Ex Soci Di Impresa Di Vendita Di Prodotti Per La Casa Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi

Sei un ex socio di un’impresa che vendeva prodotti per la casa e ora ti ritrovi con debiti fiscali, contributivi o bancari legati alla vecchia attività?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, avvisi di accertamento, richieste di pagamento dall’Agenzia delle Entrate, dall’INPS o da ex fornitori? In questi casi è fondamentale capire quando un ex socio può essere chiamato a rispondere, cosa puoi ancora contestare e come difendere il tuo patrimonio personale.

Quando un ex socio può essere ritenuto responsabile per i debiti dell’impresa
– Quando la società era una società di persone (SNC o SAS), dove i soci rispondono illimitatamente e solidalmente anche dopo l’uscita
– Quando hai firmato fideiussioni personali per prestiti, forniture o affitti commerciali
– Quando la società è stata cancellata con debiti ancora pendenti, e il Fisco agisce direttamente contro i soci
– Quando hai rivestito ruoli gestionali o di rappresentanza, e ti viene contestata una responsabilità per mala gestio
– Quando sei stato socio di una SRL con amministrazione di fatto, e l’Agenzia contesta il superamento del limite di responsabilità

Cosa può arrivarti anche dopo anni dalla cessazione della società
– Cartelle esattoriali per IVA, IRPEF, IRAP, contributi INPS o sanzioni
– Avvisi di accertamento con contestazione di ricavi non dichiarati, costi fittizi o mancato versamento di imposte
– Pignoramenti su conto corrente, casa, auto o altri beni personali
– Richieste di pagamento per debiti commerciali da parte di ex fornitori o banche
– Notifiche per responsabilità solidale tra soci, anche se il debito non era stato formalmente sottoscritto da te

Come puoi difenderti se sei un ex socio con debiti della vecchia impresa
– Verifica se l’atto è stato notificato regolarmente e se ci sono i termini per presentare opposizione
– Se eri socio di società di persone, valuta se i debiti si sono formati dopo la tua uscita e se è stata rispettata la disciplina della responsabilità residua
– Se hai firmato garanzie, verifica se sono scadute, impugnabili o sproporzionate
– Se il Fisco contesta la tua responsabilità come ex socio di SRL, verifica se hai agito solo come investitore e non come amministratore
– Se l’accertamento si basa su presunzioni (es. margini elevati, vendite “in nero”), puoi contestarlo con una memoria difensiva documentata
– Se l’importo è troppo alto, puoi valutare strumenti come rateizzazione, rottamazione o procedura di sovraindebitamento

Cosa puoi ottenere con una difesa ben strutturata
– L’annullamento dell’atto se non sussistono i presupposti per chiamarti in causa
– La sospensione di pignoramenti e misure esecutive già avviate
– La riduzione delle somme dovute grazie a strumenti di definizione agevolata
– La protezione dei tuoi beni personali e del tuo nucleo familiare
– La possibilità di chiudere definitivamente la tua posizione debitoria e voltare pagina

Attenzione: essere ex socio non significa essere automaticamente responsabile per i debiti dell’impresa. Tuttavia, il Fisco e i creditori spesso tentano di agire in modo diretto, specie se la società è cessata. Se ricevi un atto, non ignorarlo: hai diritto a difenderti e a proteggere ciò che è tuo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in responsabilità dei soci, contenzioso tributario e protezione del patrimonio personale ti spiega cosa fare se sei un ex socio con debiti legati alla vendita di prodotti per la casa, come difenderti e come uscire in sicurezza da una situazione complessa.

Hai ricevuto cartelle o atti per debiti di una vecchia società di cui eri socio?
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Introduzione

Essere ex socio di un’impresa che commercializza prodotti per la casa e ritrovarsi con dei debiti da affrontare è una situazione delicata ma non insolita. Quando un’attività imprenditoriale – che sia una piccola società familiare o un’impresa più strutturata – accumula obbligazioni non pagate, i suoi soci (anche quelli usciti dalla compagine sociale) possono essere chiamati a risponderne in certe circostanze. Sapere cosa fare per difendersi significa conoscere i propri diritti e obblighi alla luce della normativa italiana vigente (aggiornata a luglio 2025) e delle più recenti sentenze in materia, per potersi tutelare efficacemente.

In questa guida affrontiamo in modo approfondito – ma con linguaggio chiaro e divulgativo – tutti gli aspetti legali rilevanti per un ex socio debitore. Analizzeremo:

  • Le diverse forme societarie (società di persone, società di capitali, impresa individuale) e come variano le responsabilità patrimoniali dei soci ed ex soci nei confronti dei creditori.
  • I principali tipi di debito (debiti verso fornitori, banche, Fisco, enti previdenziali, dipendenti, ecc.) e come ciascuno di essi può riflettersi sul patrimonio personale dell’ex socio.
  • Gli strumenti di difesa a disposizione del debitore: dalle eccezioni legali (ad esempio il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale) alle strategie negoziali (come accordi a saldo e stralcio), fino alle procedure formali di esdebitazione e sovraindebitamento introdotte dal legislatore per favorire il “fresh start” dell’imprenditore onesto ma sfortunato.
  • Domande e risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni (ad es. “un ex socio di SNC risponde dei debiti contratti dopo la sua uscita?”, “se la società non paga le tasse, il Fisco può rivalersi sul socio uscente?”, “come funziona l’esdebitazione per chi non ha beni?”).
  • Tabelle riepilogative che schematizzano i punti chiave: la responsabilità dei soci per forma giuridica e le caratteristiche essenziali delle procedure di composizione della crisi da debiti.
  • Alcune simulazioni pratiche (casi di esempio) basate su situazioni tipiche, per mostrare come applicare le norme nella pratica, dal punto di vista del debitore.

L’obiettivo è fornire una guida esaustiva (oltre 10.000 parole), aggiornata e autorevole, che possa essere utile sia ai professionisti legali (avvocati, consulenti) sia ai privati e imprenditori coinvolti in queste vicende. Le spiegazioni faranno riferimento a norme del diritto italiano e a pronunce giurisprudenziali aggiornate al 2025, mantenendo un taglio tecnico ma accessibile.


Nota bene: le informazioni seguenti riguardano esclusivamente la normativa italiana. Le situazioni pratiche proposte sono semplificazioni didattiche valide per il contesto nazionale. In ogni caso concreto è opportuno valutare i dettagli con un professionista, poiché piccoli elementi di differenza possono influire sulle possibili soluzioni.

Passiamo ora ad esaminare in dettaglio la posizione dell’ex socio debitore, iniziando dalle basi: che cosa prevede la legge a seconda del tipo di impresa di cui faceva parte e quale responsabilità continua ad avere dopo la sua uscita.

Responsabilità dei soci (ed ex soci) per i debiti: società di persone, di capitali, impresa individuale

La responsabilità verso i debitori sociali (cioè verso i creditori dell’impresa) varia enormemente a seconda della forma giuridica con cui era organizzata l’attività. È fondamentale per un ex socio sapere quali obblighi gli possano essere imputati per legge in base al tipo di società o impresa a cui apparteneva. In questa sezione distingueremo i tre scenari principali:

  • Società di persone (come la S.n.c. – società in nome collettivo – o la S.a.s. – società in accomandita semplice).
  • Società di capitali (ad es. la S.r.l. – società a responsabilità limitata, forma molto diffusa nelle imprese di vendita al dettaglio – o la S.p.A. – società per azioni).
  • Impresa individuale (ditte individuali, dove non c’è distinzione tra persona e impresa).

Vedremo per ciascuna forma quali sono le caratteristiche della responsabilità durante la vita della società e quali implicazioni restano in capo all’ex socio una volta uscita la sua figura dall’impresa (per recesso, cessione di quota o scioglimento della società).

Società di persone (S.n.c., S.a.s. e simili)

Nelle società di persone vige il principio della responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali. Ciò significa che, salvo eccezioni relative ai soci accomandanti nelle S.a.s., ogni socio risponde con tutti i propri beni personali dei debiti contratti dalla società, ed ogni creditore sociale può chiedere a qualsiasi socio il pagamento integrale del debito (responsabilità solidale). Questa responsabilità ha carattere sussidiario rispetto alla società: i creditori devono in teoria rivolgersi prima al patrimonio sociale e solo in seconda battuta ai soci. Approfondiamo i punti principali:

  • S.n.c. (Società in nome collettivo): tutti i soci sono illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali durante l’esistenza della società. Se la società non paga un debito, il creditore può escutere i soci nel loro patrimonio personale, pur dovendo in generale tentare prima l’escussione dei beni sociali (beneficio di preventiva escussione ex art. 2304 c.c.). Approfondiremo più avanti il funzionamento concreto di questo beneficio di escussione.
  • S.a.s. (Società in accomandita semplice): si distingue tra soci accomandatari (illimitatamente responsabili, come i soci di S.n.c.) e soci accomandanti (responsabili limitatamente al capitale conferito). Gli accomandatari rispondono dei debiti sociali con le stesse modalità viste per la S.n.c. (illimitatamente, solidalmente e in via sussidiaria). I soci accomandanti invece non rispondono oltre la quota conferita, purché abbiano mantenuto il ruolo di semplici finanziatori senza ingerirsi nella gestione. Tuttavia, è importante notare che in caso di scioglimento della società, anche i soci accomandanti possono essere chiamati a rispondere di eventuali debiti residui nei limiti di quanto da essi riscosso in sede di liquidazione (art. 2324 c.c.). In pratica, se una S.a.s. si estingue e resta un debito sociale non pagato, i creditori potranno agire verso l’ex socio accomandante limitatamente alle somme che questi abbia eventualmente ricevuto come riparto finale di liquidazione (ad esempio la restituzione del capitale versato o utili finali). Se non ha ricevuto nulla, non potrà essergli richiesto nulla (analogamente a quanto avviene per i soci di capitali, come vedremo).
  • Società semplice e altre società di persone: nel caso di società semplice (usata raramente nel commercio al dettaglio, più frequente in agricoltura o professioni) vale un regime simile, con responsabilità illimitata dei soci e beneficio di escussione (art. 2267 e 2268 c.c.). Le particolarità esulano però dall’oggetto di questa guida, che si concentra sulle forme commerciali più comuni.

Responsabilità dell’ex socio durante la vita della società: finché la società di persone esiste, un socio che cede la propria quota o recede rimane responsabile verso i terzi per i debiti sociali contratti fino al giorno dell’uscita. Lo stabilisce espressamente l’art. 2290 del Codice Civile: “Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi… è responsabile verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento”. Dunque, se la società ha contratto un debito mentre Tizio era socio, Tizio ne risponde anche se successivamente esce dalla società. Viceversa, non risponde dei debiti sorti dopo la sua uscita (quindi per obbligazioni sociali assunte quando ormai non era più parte della compagine).

Tuttavia, la norma prevede una condizione fondamentale: lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza, non è opponibile ai terzi che lo hanno ignorato senza colpa. Ciò significa che l’ex socio, per evitare responsabilità su debiti successivi, deve accertarsi che la sua uscita sia opponibile ai terzi. In pratica, occorre formalizzare il recesso o la cessione della quota (tipicamente tramite iscrizione della modifica societaria nel Registro delle Imprese) e notificare ai principali creditori il cambiamento. Se un creditore ignorava in buona fede che il socio fosse uscito – ad esempio perché il recesso non era stato pubblicizzato – potrebbe comunque considerarlo responsabile. Su questo punto si è espressa anche la Cassazione (Cass. civ. n. 29306/2023), chiarendo che l’ex socio di una S.n.c. non risponde delle obbligazioni divenute esigibili dopo la sua uscita, purché la cessazione del rapporto sociale sia stata resa conoscibile ai terzi in modo adeguato. La logica, spiegano i giudici, è di equità: chi contrae con una società sa che nel tempo la compagine sociale può mutare, e non può fare affidamento illimitato sulla responsabilità di chi non è più socio; d’altra parte l’ex socio, non avendo più potere di gestione dopo la sua uscita, non può essere chiamato a rispondere di obbligazioni che maturano successivamente senza che egli possa influire.

Attenzione: esiste una fattispecie in cui l’ex socio di una società di persone può essere coinvolto anche per vicende successive alla sua uscita, ed è il caso dell’insolvenza con conseguente fallimento della società. La legge fallimentare (Regio Decreto 267/1942, art. 147, oggi sostituita dal nuovo Codice della Crisi) prevedeva – e prevede tuttora in forma simile – che se una società di persone fallisce, sono trascinati nel fallimento anche i soci illimitatamente responsabili. Ciò si applica non solo ai soci attuali, ma anche a quelli che hanno lasciato la società da meno di un anno prima dell’apertura del fallimento. In altre parole, se una S.n.c. viene dichiarata insolvente e si avvia una liquidazione giudiziale (il nuovo termine per fallimento) entro un anno dall’uscita di Tizio dalla società, anche Tizio potrà essere dichiarato fallito in estensione, con tutte le conseguenze del caso. Se invece l’ex socio è uscito da oltre un anno, non potrà essere soggetto a fallimento insieme alla società. Ad esempio: Caio recede da una S.n.c. nel gennaio 2024; la società fallisce nel dicembre 2024 (meno di 12 mesi dopo) – Caio può essere chiamato dal Tribunale ed estendere il fallimento a lui personalmente. Se invece la società fallisce nel 2026, Caio (uscito da più di un anno) non verrà dichiarato fallito. Resta comunque ferma la sua responsabilità verso i creditori sociali per i debiti contratti fino al momento del recesso, ma in tal caso agiranno individualmente fuori dalla procedura concorsuale (ossia i creditori potranno fargli causa o atti esecutivi, perché Caio non è protetto dallo stay fallimentare essendo rimasto estraneo alla procedura).

Riassumendo per le società di persone: l’ex socio illimitatamente responsabile continua a rispondere con il proprio patrimonio dei debiti che la società aveva già contratto fino alla data della sua uscita, mentre non è tenuto per quelli successivi (purché l’uscita sia stata pubblicizzata). Egli può essere coinvolto nel fallimento della società solo se la sua uscita è relativamente recente (entro l’anno precedente la dichiarazione di fallimento). I soci accomandanti (responsabilità limitata) in principio non rispondono personalmente, a meno di dover restituire quanto eventualmente ricevuto in liquidazione della società, entro i limiti delle somme riscosse.

Di seguito una tabella riepilogativa della responsabilità dei soci ed ex soci nelle società di persone:

Forma societariaResponsabilità durante la societàResponsabilità dell’ex socio (dopo uscita)Note
Società in nome collettivoIllimitata e solidale tra tutti i soci. Beneficio di escussione sul patrimonio sociale (art. 2304 c.c.).Risponde per i debiti sorti fino al giorno dell’uscita (se comunicata ai terzi). Non risponde di debiti successivi. Può essere dichiarato fallito se uscita ≤ 1 anno prima del fallimento della società.L’ex socio resta obbligato in solido con i soci rimasti per i debiti pregressi. Ha diritto di rivalsa sugli altri per le quote di competenza (regresso interno).
Società in accomandita sempliceAccomandatarioIllimitata e solidale (come sopra, equiparato a socio di S.n.c.).Come per i soci di S.n.c.: responsabile per debiti fino all’uscita, escluso per quelli successivi (uscita opponibile). Fallibilità entro 1 anno dall’uscita.L’accomandatario che esce resta solidalmente obbligato con i soci (accomandatari) rimasti per i debiti pre-uscita.
Società in accomandita sempliceAccomandanteLimitata al conferimento (nessuna responsabilità personale verso creditori sociali durante la società, salvo perdita dello status per interferenza gestionale).In caso di società estens) estinta, risponde solo entro le somme ricevute dalla liquidazione finale. Se non ha ricevuto nulla, nessuna responsabilità aggiuntiva.Equiparato al socio di capitale per debiti residui post-chiusura: art. 2324 c.c. richiama art. 2495 c.c. (limite del bilancio finale).
Società semplice (o società non registrata)Illimitata e solidale tra i soci. Escussione: art. 2268 c.c. (il socio può indicare beni sociali da escutere facilmente).Simile a S.n.c.: l’ex socio risponde dei debiti fino allo scioglimento del rapporto, se questo è reso noto ai terzi.La società semplice non fallisce (non commerciale), ma i soci debitori rispondono individualmente.

Nota: in tutte le società di persone, i creditori sociali non possono agire sui beni personali dei soci senza prima escutere il patrimonio sociale, almeno finché la società esiste e non sia manifesta la sua incapienza. In pratica, però, se la società è priva di beni escutibili (evento frequente quando emergono i debiti), il creditore potrà agire immediatamente contro i soci dimostrando l’insufficienza del patrimonio sociale (ad es. società inattiva o in liquidazione senza attivo). Approfondiremo più avanti come il socio può eccepire l’eventuale mancato rispetto di questo beneficio di escussione.

Società di capitali (S.r.l., S.p.A.)

Nelle società di capitali vige la regola della responsabilità limitata del socio: i debiti della società gravano solo sul patrimonio sociale, e i soci non ne rispondono con i propri beni personali oltre al capitale che hanno conferito (o sottoscritto) nell’impresa. Questo principio (il cosiddetto schermo societario) è uno dei motivi principali per cui si costituiscono S.r.l. e S.p.A.: proteggere il patrimonio personale degli investitori dalle obbligazioni contratte dalla società in nome proprio.

Dunque, se la sua impresa di vendita di prodotti per la casa era organizzata come S.r.l., l’ex socio (che magari ha ceduto le quote o si è fatto liquidare) in linea di principio NON è personalmente responsabile per i debiti contratti dalla società. I creditori dovranno rivalersi sulla società stessa; se questa non paga, i soci non sono obbligati a intervenire con i propri soldi (a differenza delle società di persone). L’unica perdita per il socio sarebbe l’eventuale capitale investito andato perso.

Tuttavia, è cruciale capire le eccezioni e i casi particolari, perché anche in un regime di responsabilità limitata possono sorgere situazioni in cui i creditori cercano di ottenere soddisfazione dagli ex soci di una società di capitali. Vediamo i principali scenari:

  • Obblighi di conferimento non eseguiti: se un socio non aveva ancora versato interamente il capitale sottoscritto (pensiamo a una S.r.l. con quote non completamente liberate) ed esce dalla società, rimane comunque obbligato a versare quanto dovuto alla società stessa. I creditori sociali, in caso di insolvenza della società, potrebbero indirettamente giovarsi di questa pretesa. Questo però non costituisce una responsabilità “per i debiti”, ma l’adempimento di un’obbligazione verso la società (che poi il liquidatore userà per pagare i creditori).
  • Garanzie personali prestate dal socio: se l’ex socio ha firmato una fideiussione o altra garanzia personale per un debito della società (ad esempio garantendo un mutuo bancario, un fido o un contratto di fornitura), quella garanzia rimane valida anche dopo la sua uscita dalla società. Il creditore garantito (banca, fornitore, ecc.) potrà quindi chiedere a lui il pagamento in virtù del contratto di garanzia, indipendentemente dallo status di socio. È importante sottolineare che questa è una responsabilità volontaria e contrattuale assunta dal socio, distinta dalla responsabilità legale da socio: in pratica, l’ex socio-garante sta pagando non perché era socio, ma perché ha firmato come garante. Ad esempio, se un socio di S.r.l. ha garantito “in proprio” un prestito bancario alla società, la banca potrà esigere da lui il saldo del debito qualora la società non paghi, anche se nel frattempo egli ha ceduto le quote ed è uscito. La responsabilità in questo caso è però limitata a quel determinato debito e non si estende agli altri creditori sociali. Approfondiremo più avanti come difendersi in caso di fideiussioni (ad esempio verificando se la garanzia è nulla per vizi formali o per violazione delle norme antitrust, tema emerso di recente in giurisprudenza).
  • Responsabilità come amministratore o liquidatore: qui entriamo in un ambito diverso. Se l’ex socio ricopriva anche ruoli gestionali (amministratore, consigliere delegato, liquidatore della società), potrebbe incorrere in responsabilità ulteriori verso i creditori in caso di mala gestione. Ad esempio, l’art. 2495 c.c. prevede che, dopo la cancellazione di una società, i creditori insoddisfatti possano agire contro i liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi. Oppure, i creditori sociali (o il curatore fallimentare) possono promuovere azioni di responsabilità contro gli amministratori per atti di mala gestio (es. ex art. 2476 c.c. per S.r.l., o 2394 c.c. per danno ai creditori sociali in SpA). Tali azioni riguardano violazioni di doveri dell’amministratore e sono indipendenti dallo status di socio. In sintesi, un ex socio può essere chiamato a rispondere di un debito sociale infinoltre se la sua condotta gestoria ha leso il patrimonio sociale (ad esempio, se da amministratore ha distratto beni che dovevano soddisfare i creditori). Questa però è responsabilità per colpa personale (potremmo dire aquiliana verso i creditori) e non una responsabilità “automatica” di socio. Nel contesto di questa guida, ci focalizzeremo principalmente sulla responsabilità “da socio”, ma il lettore tenga presente anche questa possibile area di rischio se ha avuto ruoli amministrativi.
  • Scioglimento, liquidazione e cancellazione della società: il momento critico in cui può riemergere la responsabilità dei soci di capitali è dopo l’estinzione della società. Secondo l’art. 2495 c.c., una volta cancellata la società dal Registro delle Imprese, i creditori sociali insoddisfatti possono agire contro i soci, ma solo entro precisi limiti. In particolare, i soci rispondono “fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”. Ciò significa che un ex socio di S.r.l. (o S.p.A.) può essere chiamato a pagare i debiti residui della società solo se ha ricevuto qualcosa dalla liquidazione finale, e comunque non oltre l’ammontare di quanto ricevuto. Se un socio non ha ricevuto alcuna distribuzione (ad esempio perché la liquidazione si è chiusa a zero, o perché aveva già ceduto la partecipazione prima della liquidazione), non potrà essere costretto a pagare di tasca propria i debiti della società estinta, altrimenti si violerebbe il principio cardine della responsabilità limitata. Questo concetto è stato più volte ribadito dalla Cassazione, da ultimo con una ordinanza del novembre 2023 confermata dalle Sezioni Unite nel 2025: “il socio di una società a responsabilità limitata può essere chiamato a rispondere dei debiti sociali solo fino alla concorrenza delle somme riscosse in sede di liquidazione, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2495 c.c.”. Inoltre grava sul creditore l’onere di provare che vi sia stata una distribuzione di attivo ai soci, mentre spetta poi al socio dimostrare di aver eventualmente utilizzato quelle somme per pagare debiti sociali (ad esempio pagando personalmente alcuni fornitori). Se il socio non ha ricevuto nulla in sede di chiusura, la sua responsabilità non sorge nemmeno.

Questa regola vale per tutti i soci limitatamente responsabili, quindi tanto i soci di S.r.l./S.p.A. quanto, come accennato, i soci accomandanti di S.a.s. (per questi ultimi è l’art. 2324 c.c. a richiamare l’art. 2495 c.c.). È importante evidenziare che, secondo la Cassazione, la natura di tale responsabilità post-estinzione non è una garanzia diretta del debito sociale, bensì una forma di responsabilità succedanea e limitata: si parla infatti di successione dei soci nel lato passivo delle obbligazioni non soddisfatte, entro i limiti di quota, quasi fosse una responsabilità di tipo “successorio” e non illimitata. Il creditore deve dimostrare l’avvenuta distribuzione di attivo e la percezione di somme da parte del socio sul bilancio finale. Se questa prova manca, l’azione contro il socio non può avere successo.

Va anche notato che esiste un aspetto procedurale: sempre l’art. 2495 c.c. aggiunge che se la domanda del creditore verso il socio è proposta entro un anno dalla cancellazione della società, essa può essere notificata presso l’ultima sede della società (una facilitazione per il creditore). Ciò non significa che il socio risponda solo per un anno – la responsabilità rimane per il periodo di prescrizione ordinaria decennale – ma semplicemente agevola la notifica iniziale dell’atto entro il primo anno, potendo usare la vecchia sede come domicilio dei soci.

Un altro punto di attenzione è che spesso l’Amministrazione finanziaria (Agenzia Entrate o Agenzia Entrate-Riscossione) tenta di recuperare debiti tributari da soci di società estinte in base a normative speciali (art. 36 del DPR 602/1973). Ci ritorneremo dettagliatamente nel capitolo sui debiti tributari; qui basti dire che le Sezioni Unite della Cassazione nel febbraio 2025 sono intervenute a chiarire definitivamente che anche in ambito fiscale vale il limite dell’art. 2495 c.c.: i soci subentrano nei debiti fiscali della società estinta solo entro quanto hanno riscosso. Inoltre, hanno stabilito che il Fisco deve notificare un avviso di accertamento specifico agli ex soci, provando la percezione di somme da parte loro, e non può semplicemente inserirli automaticamente nel processo originario contro la società. In breve, nessuna “automaticità” di responsabilità illimitata: l’ex socio di S.r.l. non deve pagare i debiti sociali se non ha beneficiato di attivi sociali, nemmeno per il Fisco.

Riassumendo per le società di capitali: un ex socio di norma non risponde con il suo patrimonio dei debiti della società. Fanno eccezione le ipotesi in cui:

  • Egli abbia ricevuto somme in liquidazione (in tal caso risponde verso i creditori insoddisfatti fino a concorrenza di quelle somme e previa prova da parte dei creditori).
  • Egli abbia prestato garanzie personali per specifici debiti (in tal caso risponde secondo i termini della garanzia, potenzialmente anche illimitatamente, ma solo verso quei creditori garantiti).
  • Egli sia stato amministratore/liquidatore colpevole di inadempienze: in tal caso può rispondere a titolo di risarcimento danni (responsabilità extracontrattuale per mala gestio) verso i creditori per la parte di pregiudizio causata. Ad esempio, liquidatori che abbiano ripartito attivo ai soci senza pagare i debiti privilegiati, o amministratori che abbiano aggravato il dissesto, potranno essere citati in giudizio.

Ecco una tabella di sintesi per la responsabilità nelle società di capitali:

Forma societariaResponsabilità ordinariaResponsabilità dell’ex socioNote
S.r.l. (Soc. a resp. limitata)Limitata al capitale conferito: i soci non rispondono dei debiti sociali con patrimonio personale.In caso di liquidazione della società: responsabile solo fino all’ammontare ricevuto col bilancio finale. Se non ha ricevuto nulla, non deve nulla. Nessuna responsabilità post-uscita per debiti sociali ulteriori, salvo garanzie personali o azioni di responsabilità per ruoli gestionali.Il creditore deve provare la distribuzione di attivo al socio. Il socio può difendersi dimostrando di non aver percepito somme o di averle usate per pagare creditori. Recenti Cass. SU 2025 confermano questi principi anche per debiti fiscali.
S.p.A. (Società per azioni)Come la S.r.l.: soci azionisti non rispondono dei debiti, rischio limitato al valore azioni.Idem S.r.l.: dopo cancellazione, azionisti responsabili pro-quota entro ciò che hanno riscosso nella liquidazione finale (es. riparto di attivo). Altrimenti nessuna pretesa.Per le SpA grandi, raramente i creditori inseguono soci salvo distribuzioni consistenti. Principi giurisprudenziali allineati: Cass. SS.UU. 6070-6072/2013 e ord. 32729/2023.
Cooperative, altre società di capitaliI soci cooperatori non rispondono dei debiti sociali (cooperative a resp. limitata). Per cooperative a resp. illimitata (rare), soci assimilabili a S.n.c.Cooperative a resp. lim.: simile a S.r.l. (limite al conferimento). In liquidazione coatta, eventuale riparto ai soci è raro; in ogni caso stessi limiti dell’art. 2495 c.c.Le cooperative seguono regole speciali in liquidazione coatta amministrativa, non trattate qui in dettaglio.

Impresa individuale (ditta individuale)

Nel caso dell’impresa individuale, non c’è distinzione giuridica tra l’imprenditore e la sua azienda: è la stessa persona fisica a essere titolare dei rapporti giuridici. Dunque, se Mario Rossi esercitava il commercio di prodotti per la casa come ditta individuale “Rossi Mario”, tutti i debiti contratti nell’attività sono debiti personali di Mario Rossi. Non c’è un “capitale sociale” separato: risponde illimitatamente con tutto il suo patrimonio personale (presente e futuro) delle obbligazioni d’impresa.

Di conseguenza, parlare di “ex socio” in questo contesto è improprio (non ci sono soci), ma possiamo parlare di ex titolare di impresa individuale cessata. Cosa accade se l’impresa individuale viene chiusa (cancellata la partita IVA, cessata l’attività) e restano debiti? Semplicemente, il titolare resta debitore in prima persona. La cessazione dell’attività non fa venir meno i debiti, né li trasferisce ad altri soggetti (non essendoci una struttura societaria su cui operi una successione). I creditori potranno continuare a perseguire l’imprenditore nelle forme ordinarie (decreto ingiuntivo, pignoramenti, ecc.), senza particolari formalità aggiuntive. Se mai, la chiusura dell’azienda può far venir meno eventuali benefici (ad esempio, il Fondo di Garanzia INPS per i crediti di lavoro interviene solo se c’è insolvenza o fallimento dell’azienda; un imprenditore che chiude senza fallire lascia i dipendenti a doverlo citare personalmente).

Un ex imprenditore individuale indebitato potrebbe essere soggetto a fallimento? Sì, se ricorrono i presupposti dimensionali e temporali previsti dalla legge. Il nuovo Codice della Crisi prevede la liquidazione giudiziale (fallimento) per gli imprenditori non piccoli; anche se l’impresa è cessata, se il Tribunale viene adito entro un anno dalla cessazione, può aprire la procedura sull’imprenditore (art. 33 CCII, riprendendo l’art. 10 l.fall. previgente). Ad esempio, se la ditta individuale di Mario ha debiti ingenti e viene chiusa nel 2024, i creditori possono chiederne il fallimento fino al 2025. Se invece l’impresa era di dimensioni minori (sotto soglie di fallibilità) oppure è trascorso oltre un anno, l’ex imprenditore non sarà soggetto a fallimento, ma rimarrà comunque sovraindebitato come persona fisica e dovrà gestire i debiti con strumenti alternativi (che vedremo: piani di rientro, procedure di sovraindebitamento).

In sintesi, per l’impresa individuale non esiste alcuna limitazione di responsabilità: non essendoci entità giuridiche distinte, tutti i debiti dell’impresa coincidono con debiti personali dell’imprenditore. Se l’attività cessa, i debiti permangono a suo carico. L’unica via per liberarsene, se non si riesce a pagarli, è ricorrere alle procedure di esdebitazione previste dalla legge (ne parleremo diffusamente più avanti).

Ecco una breve tabella per l’impresa individuale:

Tipo di impresaResponsabilità durante attivitàResponsabilità dopo cessazioneNote
Impresa individualeIllimitata su tutto il patrimonio personale dell’imprenditore. Non c’è distinzione persona/azienda.Rimane totalmente a carico del titolare per ogni debito non estinto. La chiusura dell’attività non incide sulle obbligazioni pregresse (che restano con normale prescrizione a carico dell’ex imprenditore).L’ex imprenditore può essere dichiarato fallito entro 1 anno dalla cessazione (se superava parametri di fallibilità). Se non fallisce, è comunque soggetto alle procedure da sovraindebitamento come persona.

Conclusione sezione: Abbiamo delineato come, a seconda del tipo di impresa, la posizione di un ex socio (o ex titolare) possa essere molto diversa. In una società di persone, l’ex socio è ancora un debitore solida-le per i vecchi debiti sociali; in una società di capitali, l’ex socio risponde solo in casi limitati (riparti di attivo o garanzie); in un’impresa individuale, l’ex titolare coincide con il debitore e resta pienamente obbligato. Nei capitoli successivi entreremo nel dettaglio dei diversi tipi di debito e delle possibili azioni difensive, ma è importante tenere sempre presente questo quadro di base relativo alla responsabilità legale.

I vari tipi di debito e il rischio per l’ex socio

Non tutti i debiti sono uguali. Dal punto di vista legale, la natura del credito può influire su come (e se) un ex socio possa esserne chiamato a rispondere. In questa sezione analizzeremo i principali tipi di debito che un’impresa di vendita di prodotti per la casa potrebbe aver lasciato insoluti, considerando per ciascuno le implicazioni per l’ex socio dal punto di vista del debitore che vuole difendersi:

  • Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali (acquisto di merci, affitti, utenze, ecc.).
  • Debiti bancari e finanziari (prestiti, fidi, mutui).
  • Debiti fiscali (imposte e tasse, es. IVA, imposte sui redditi, IRAP).
  • Debiti previdenziali e contributivi (contributi INPS per titolari, dipendenti, contributi INAIL).
  • Debiti verso dipendenti (retribuzioni non pagate, TFR).
  • Sanzioni o altre tipologie (multe, penali contrattuali, ecc., se rilevanti).

Per ognuna di queste categorie vedremo quali sono le caratteristiche specifiche e come un ex socio può essere coinvolto o difendersi.

Va premesso che, alla luce di quanto visto nel capitolo precedente, il coinvolgimento dell’ex socio dipende molto dal tipo di responsabilità societaria: ad esempio, un debito fiscale di una SNC insoluta certamente potrà essere richiesto all’ex socio (perché socio illimitatamente responsabile), mentre la stessa tassa non pagata da una SRL estinta potrà essere chiesta all’ex socio solo se ha ricevuto somme in liquidazione. Riprenderemo brevemente questi meccanismi per ogni categoria di debito.

Debiti verso fornitori e creditori vari

Cosa sono: Include tutti i debiti commerciali dell’impresa: fatture non pagate a fornitori di merci o servizi, canoni di locazione per il negozio o il magazzino, bollette di utenze, debiti verso consulenti, ecc. Questi crediti in genere sono di natura contrattuale (fornitura di beni/servizi) e soggetti a prescrizione ordinaria decennale, salvo diversa pattuizione (alcuni crediti commerciali hanno prescrizioni brevi, ma la regola generale è 10 anni per le obbligazioni contrattuali).

Società di persone: L’ex socio di una SNC/SAS accomandatario risponde personalmente dei debiti verso fornitori contratti fino alla data in cui era socio. Il fornitore, se non ha riscosso dalla società, può agire contro di lui (ad esempio ottenendo un decreto ingiuntivo per la fattura impagata). L’ex socio potrà però eccepire il beneficio di escussione se il creditore non ha nemmeno tentato di escutere la società. In pratica, se la società esiste ancora (magari in liquidazione) o ha beni rimasti, può chiedere al giudice di ordinare prima l’esecuzione su quei beni. Come visto, la giurisprudenza ritiene sufficiente che il creditore dimostri che la società è incapiente (ad esempio producendo una visura che mostra zero beni intestati, o evidenziando che la società è stata cancellata). Difficilmente quindi il beneficio di escussione salva completamente l’ex socio, se la società non ha attivo. Tuttavia, come vedremo più avanti, l’ex socio può contestare l’azione del creditore se questi non prova adeguatamente l’incapienza della società. Ad esempio, la Cassazione ha annullato una cartella esattoriale a un socio di SNC perché l’Agenzia non aveva provato che la procedura concorsuale (fallimento della società) fosse insufficiente a pagare i debiti. Quindi, anche nel caso di debiti commerciali, l’ex socio può difendersi chiedendo: “Dimostrate che la società non poteva pagare; altrimenti escutete prima quella”.

Se il debito commerciale è sorto dopo l’uscita del socio (cioè è un contratto firmato quando non era più socio), l’ex socio non ne risponde affatto, a condizione che la sua uscita fosse opponibile. Questo può essere un punto di discussione con il creditore: l’ex socio dovrà magari mostrare che la fattura si riferisce a merce consegnata in data successiva al suo recesso e che il creditore era stato informato della sua uscita (ad esempio tramite visura camerale o comunicazione). Se il creditore “era incolpevolmente ignaro” del recesso, potrebbe tentare comunque un’azione sostenendo che faceva affidamento sulla presenza di quel socio. In generale, però, il dettato di legge (art. 2290 c.c.) è chiaro: oltre quella data, l’ex socio non è tenuto.

Società di capitali: Per debiti verso fornitori di una SRL o SPA, il principio è che i fornitori possono rivalersi solo sulla società. Se questa non paga e magari chiude, i fornitori restano insoddisfatti salvo agire verso eventuali garanti. Il fornitore non può chiedere il pagamento ai soci solo per il fatto che erano soci. L’unica strada è, come già spiegato, se la società si è cancellata e ha distribuito dei fondi ai soci: in tal caso il fornitore (creditore insoddisfatto) può fare causa al socio per farsi dare indietro fino a concorrenza di quanto quello ha incassato. Ma spesso, quando ci sono debiti verso fornitori non pagati, significa che la società non aveva abbastanza attivo per soddisfarli – quindi è raro che resti qualcosa da distribuire ai soci! Anzi, il più delle volte i soci escono senza un euro. Dunque, molto spesso un ex socio di SRL non subisce pretese dai fornitori. Se però – caso raro – i soci si erano distribuiti degli utili o acconti in liquidazione lasciando fornitori a bocca asciutta, quei fornitori potrebbero cercare di rivalersi. Avrebbero l’onere di provare in giudizio che la liquidazione finale aveva un attivo e che è stato indebitamente distribuito ai soci invece di pagare loro. In giudizio, il socio potrebbe difendersi sostenendo che la distribuzione era lecita o che il creditore aveva approvato il bilancio finale ecc. (ma questi sono dettagli procedurali complessi).

In sintesi, per i debiti commerciali: l’ex socio di società di persone è di solito bersaglio principale (perché ha responsabilità illimitata), mentre l’ex socio di società di capitali di regola non è obbligato a pagarli di persona, a meno di rare situazioni (distribuzioni finali contestate o garanzie).

Debiti di locazione: Un caso particolare e frequente: l’impresa aveva un contratto di affitto per il locale commerciale e ha lasciato canoni arretrati. Chi risponde? Se l’impresa era una società di persone, il locatore può chiedere i canoni non pagati ai soci (presenti ed ex, se riferiti a periodi in cui erano dentro). È importante però distinguere: la Cassazione 2023 che citavamo ha proprio riguardato un caso simile, in cui un ex socio di SNC era stato ingiunto per canoni maturati dopo il suo recesso. La Corte ha escluso la sua responsabilità perché il debito (canoni 2012-2013) era sorto dopo la sua uscita nel 2010. Se invece i canoni riguardano periodi antecedenti, sì, l’ex socio deve contribuire. Per le SRL, vale il discorso generale: il locatore è un normale fornitore, potrà eventualmente tentare l’azione ex 2495 c.c. se la SRL è cancellata e i soci hanno incassato qualcosa, altrimenti dovrà insinuarsi in un eventuale fallimento o rassegnarsi.

Utenze e fornitori minori: Bollette di luce, gas, merce minuta non pagata – per SNC e affini il fornitore può spedire ingiunzioni ai soci, per SRL no (salvo eccezioni solite). Di solito, però, questi creditori più piccoli raramente attivano procedure complicate contro ex soci di SRL, spesso preferiscono portare a perdita.

Difese dell’ex socio per debiti commerciali: Nel prossimo capitolo sulle strategie difensive vedremo in dettaglio come agire. Anticipando: l’ex socio può:

  • Negare la propria responsabilità se il debito è sorto dopo la sua uscita (produrre documenti di recesso, visure camerali).
  • Sollevare il beneficium excussionis chiedendo che il creditore provi prima l’incapienza della società.
  • Verificare se il credito è prescritto (es. fattura del 2012 non azionata per 10 anni sarebbe prescritta).
  • Negoziato: spesso con fornitori si può trattare un saldo e stralcio se vedono che l’unica chance è il socio (ad esempio offrendo di pagare una percentuale subito per chiudere la questione).

Debiti bancari e finanziari (prestiti, mutui, fidi)

Cosa sono: Prestiti contratti dall’impresa con banche o finanziarie – ad esempio mutui per ristrutturare il negozio, scoperti di conto corrente, anticipo fatture, leasing su attrezzature, ecc. Questi crediti in genere sono garantiti: le banche spesso chiedono ai soci (specie se di società piccole) di firmare garanzie personali (fideiussioni omnibus sui conti e finanziamenti). Inoltre possono esserci ipoteche su immobili aziendali o personali, pegno su merci o crediti, ecc.

Società di persone: Qui la banca ha doppia tutela: contrattuale sulla società e, per legge, su ogni socio illimitatamente responsabile. Quindi la banca può chiedere all’ex socio di una SNC il pagamento del debito bancario (capitale + interessi) se la società non paga, come a qualsiasi creditore sociale. In più, se l’ex socio aveva anche firmato una fideiussione specifica, la banca potrebbe far valere anche quella. In pratica però, non cambia molto: o c’è responsabilità ex lege del socio, o c’è l’obbligo da fideiussione – la banca a volte procede direttamente come creditore sociale. Anche qui vale il discorso dell’escussione preventiva: la banca dovrebbe escutere prima i beni sociali. Ma di solito la banca ha già magari ipoteche su beni sociali; se quelli non bastano, si rivolge ai soci. Un ex socio potrà controllare se la banca ha formalmente “escusso” la società (ad esempio abbia tentato pignoramento dei suoi conti senza esito) o quanto meno provato la sua insolvenza.

Se il debito bancario deriva da un contratto stipulato dopo l’uscita del socio (es. la società ha acceso un prestito dopo che Tizio è uscito), l’ex socio non è obbligato. Capita però che l’ex socio possa aver comunque firmato da garante in passato: ad esempio Tizio esce dalla SNC ma la banca non lo libera dalla fideiussione già firmata. In tal caso rimane garante anche se non è più socio, a meno che la banca accetti una liberazione (che di solito non concede facilmente). Quindi attenzione: l’ex socio che ha garantito un fido per la società dovrà attivarsi per revocare o limitare la fideiussione quando esce (spesso va fatta una scrittura con la banca, altrimenti la garanzia rimane per i debiti già assunti e talora anche per quelli futuri, se era omnibus, fino a revoca).

Società di capitali: Se l’impresa è una SRL/SPA, il debito verso la banca è della società. La banca in sé non può pretendere dai soci il pagamento, a meno che:

  • Il socio (anche ex) abbia firmato una fideiussione o una lettera di patronage a garanzia. Come detto, ciò è comune: quasi tutte le banche, per concedere credito a piccole SRL, chiedono impegni personali degli amministratori o soci di maggioranza. In quel caso, la banca può escutere direttamente il garante. E l’uscita del socio dalla SRL non lo solleva automaticamente dalla garanzia già prestata, a meno che sia previsto in contratto o la banca acconsenta.
  • Oppure ci sia stato un finanziamento soci postergato: questo è un altro aspetto. Se il socio aveva prestato dei soldi alla società (finanziamento infruttifero) e la società poi fallisce, i soldi del socio sono subordinati agli altri creditori, ma questo rileva più per le sue pretese, non per quelle dei creditori.
  • Caso della società cancellata: come per fornitori, se la SRL si estingue con debiti verso la banca e c’era un attivo distribuito ai soci, la banca può agire ex art. 2495 c.c. per farsi restituire quanto distribuito. Ma di solito la banca è creditore privilegiato o garantito, quindi prima di distribuire qualcosa ai soci in liquidazione la banca doveva essere pagata. Dunque, se la banca resta insoddisfatta, probabilmente non c’era attivo distribuito (o i liquidatori sono colpevoli, nel qual caso la banca può anche citarli per colpa). In ogni caso, l’ex socio di SRL risponde solo se e quanto abbia ricevuto.
  • Se la banca ha ipoteca su un immobile e questo era magari intestato a un socio (ad esempio il socio ha dato casa sua in garanzia), allora la banca escuterà quell’immobile comunque. Ma qui si entra nel caso di garanzie reali prestate dal socio.

Difese dell’ex socio per debiti bancari: Poche se era socio illimitato: dovrà pagare salvo accordi. Può negoziare con la banca una soluzione transattiva (spesso le banche preferiscono un rientro concordato piuttosto che lunghe procedure). Se c’è una fideiussione e ritiene che abbia clausole nulle (ad esempio molte fideiussioni bancarie su schema ABI, con clausole “a fotocopia”, sono state ritenute nulle per violazione antitrust dalla Banca d’Italia – la famosa vicenda delle clausole di reviviscenza, rinuncia eccezioni, ecc. – e la Cassazione le annulla se provato che erano conformi allo schema illegittimo (v. Ultime Sentenze Inserite all’inizio di questa guida, Tribunale di Torino 2022, trattasi di un caso di fideiussione nulla per intesa anticoncorrenziale)). Quindi il garante ex socio potrebbe fare opposizione sostenendo la nullità parziale della fideiussione, riducendo il dovuto. Si tratta di una difesa tecnica che va valutata caso per caso con legali esperti in diritto bancario.

In conclusione, i debiti bancari sono spesso coperti da garanzie personali; un ex socio deve verificare attentamente quali impegni ha sottoscritto e valutare se sono contestabili. Nel contesto societario, se non vi sono garanzie, per SRL/SPA la banca di norma non ha margini per colpire i soci (salvo art. 2495 c.c. se distribuito attivo), per SNC la banca tratterà i soci come coobbligati solidali.

Debiti tributari (Erario: tasse e imposte)

Cosa sono: Imposte dovute dall’impresa: IVA sulle vendite, imposte sui redditi (IRES per società di capitali, IRPEF per soci di società di persone e ditte individuali, addizionali), IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), ritenute fiscali non versate (ad es. ritenute su stipendi o compensi), imposta di registro su atti, eventuali tasse locali (TARI rifiuti, occupazione suolo pubblico, ecc.).

Questi debiti spesso emergono sotto forma di cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) o di avvisi di accertamento qualora l’imposta non sia stata dichiarata/pagata.

Società di persone: Qui bisogna distinguere le imposte sui redditi dal resto. Nelle SNC/SAS, la società in sé non è soggetto d’imposta sul reddito (trasparenza fiscale): le quote di reddito (o perdita) si imputano ai soci, che le dichiarano nel proprio Unico. Quindi IRPEF su redditi d’impresa era già dovuta dai soci personalmente. Se una SNC non ha versato acconti o saldo IRPEF, in realtà a livello fiscale il debito è in capo ai soci pro-quota. L’Agenzia Entrate solitamente notifica accertamenti o cartelle a ciascun socio per la sua quota di reddito. Dunque un ex socio di SNC potrebbe vedersi notificare cartelle IRPEF per annualità in cui era socio, anche anni dopo, essendo debito personale tributario. In tal caso, non c’è difesa “non sono più socio” perché il debito fiscale è proprio del contribuente persona fisica (l’ex socio stesso).

Discorso diverso per IVA, IRAP e altri tributi della società. Quelli sono dovuti dalla società in quanto tale. Ma poiché nella SNC i soci sono illimitatamente responsabili, l’Amministrazione finanziaria li considera debitori in solido. In pratica, se la SNC non paga l’IVA o l’IRAP, l’Agenzia può iscrivere a ruolo gli importi e notificare cartelle anche ai soci (indicando che sono solidalmente tenuti come coobbligati). Un ex socio risponde degli omessi versamenti riferiti al periodo in cui era socio. Ad esempio, se la SNC non ha versato l’IVA 2022 e Caio era socio fino a fine 2022, l’Agenzia potrà chiedere a Caio quell’IVA. Se la società è ancora attiva, Caio può richiamare il beneficio di escussione (dicendo: prima escutete la società); di solito però l’Agenzia tende a aggredire tutti.

Importante: notifica degli atti fiscali agli ex soci. È essenziale che l’Agenzia Entrate, per colpire un ex socio, emetta un atto a suo nome. La giurisprudenza ha infatti stabilito che non basta che la cartella intestata alla società, scaduta, venga poi usata contro il socio; serve un atto proprio. Le Sezioni Unite 2025 hanno chiarito che l’Erario deve notificare un avviso di accertamento autonomo agli ex soci per stabilire la loro responsabilità, non coinvolgerli automaticamente nel processo della società. Inoltre, hanno ribadito che la responsabilità è limitata alle somme prese in liquidazione. Questo si è reso necessario perché in passato vi erano orientamenti discordanti e l’Agenzia talvolta inviava cartelle ai soci per l’intero, anche se non avevano preso nulla. Ora la regola è: ex socio SNC (illimitato) – risponde integralmente dei tributi del periodo di partecipazione; ex socio SRL – risponde solo entro attivo distribuito, e con avviso dedicato.

Società di capitali: Per una SRL, i debiti fiscali (IVA, IRES, IRAP, etc.) sono della società. Finché la società esiste, il Fisco può agire solo verso di essa (ad esempio iscrivere ipoteca sui beni sociali, pignorare conti sociali). I soci non sono debitori d’imposta. Tuttavia, dopo la cancellazione della società, come spiegato, l’art. 2495 c.c. consente all’Agenzia Entrate di rivolgersi ai soci entro il limite di quanto da essi riscosso. Questo è stato confermato in modo solenne dalle SU 2025: gli ex soci succedono nei debiti tributari solo limitatamente a eventuali attivi avuti. Non solo: la Suprema Corte ha imposto che l’Agenzia faccia un accertamento ad hoc per stabilire tale percezione e il conseguente obbligo. In passato c’era confusione: alcune sentenze minori dicevano che i soci rispondono comunque pro quota dei debiti tributari non soddisfatti, anche senza aver preso nulla (basandosi su una lettura del combinato art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602/73). Ma questa tesi è stata rigettata. Oggi: ex socio di SRL non è automaticamente debitore fiscale sol per la carica di socio, deve aver incassato patrimonio residuo. Dunque, se la nostra impresa di vendita (SRL) è fallita o liquidata senza attivo, l’ex socio non deve pagare le tasse non pagate dalla società, per quanto moralmente spiacevole sia per l’Erario perdere gettito. L’Agenzia potrebbe, tutt’al più, agire contro l’ex amministratore per sanzioni o reati tributari, ma non può chieder soldi al socio-incapiente.

Caso delle ritenute non versate: se l’impresa non ha versato ritenute d’acconto trattenute a dipendenti o professionisti, l’amministratore risponde penalmente (reato di omesso versamento se supera soglia), ma il socio in sé no. Il debito tributario resta della società. In SNC anche i soci illimitati ne rispondono civilmente, certo, ma in SRL no salvo attivo distribuito. Va però segnalato che per le sanzioni amministrative tributarie c’è un principio di personalità: se la società non paga la sanzione, potrebbe essere talvolta irrogata agli amministratori (c’è l’art. 11 D.lgs. 472/97 su amministratori e liquidatori responsabili in solido per le sanzioni in certi casi di violazioni a loro imputabili). I soci in quanto tali no.

Difese dell’ex socio per debiti fiscali:

  • Società di persone: può impugnare le cartelle sostenendo la violazione del beneficio di escussione (Cass. 18345/2021 ha ammesso che il socio SNC può fare ricorso in Commissione Tributaria eccependo che non è stato provato l’esito infruttuoso dell’escussione del patrimonio sociale). In quella sentenza la Cassazione pretese che il Fisco dimostrasse l’insufficienza del patrimonio sociale (esibendo stato passivo del fallimento) prima di esigere dal socio. Questa è una difesa tecnica importante: se l’ex socio riceve una cartella, può fare ricorso chiedendo l’annullamento per mancata prova dell’incapienza sociale. Se il Fisco non porta elementi, il giudice può dargli ragione.
  • Società di capitali: l’ex socio se riceve direttamente una cartella (può accadere che l’Agenzia gliela notifichi senza nuovo accertamento, in passato succedeva) ha ottime chance di farla annullare per vizio di notifica: deve esserci un atto impositivo a monte a suo nome. Inoltre, potrà eccepire di non aver ricevuto alcun riparto (costringendo l’Ufficio a provare il contrario).
  • Prescrizione: i tributi hanno termini di decadenza e prescrizione speciali (5 anni per cartelle esattoriali non impugnate ad esempio). Un ex socio può far valere che la pretesa è tardiva.
  • Rottamazioni e definizioni: Se pendono cartelle, l’ex socio può valutare di aderire a eventuali sanatorie (rottamazione cartelle, saldo e stralcio) per chiudere il debito con sconti di sanzioni e interessi. Nel 2023-2024, ad esempio, c’è stata la “Rottamazione-quater” con pagamento del solo capitale e interesse ridotto. Queste misure sono temporanee ma è bene tenerle presenti come opportunità di difesa (in senso di riduzione del danno).

Debiti previdenziali (INPS) e verso enti assistenziali

Cosa sono: Contributi obbligatori non pagati all’INPS o ad altri enti. Possiamo avere:

  • Contributi INPS dovuti dall’impresa per i dipendenti (quote a carico datore e trattenute a carico lavoratore).
  • Contributi INPS commercianti o artigiani dovuti dai titolari/soci stessi.
  • Contributi alla Gestione Separata, o a Casse professionali se era un’impresa con iscrizioni particolari.
  • Premi assicurativi INAIL non pagati.

Società di persone: Simile ai debiti tributari: i contributi per dipendenti sono dovuti dal datore di lavoro (la società), ma i soci illimitati ne rispondono in solido. L’INPS, tramite Agenzia Riscossione, notifica cartelle alla società e ai soci. Un ex socio risponde per contributi relativi al periodo in cui era socio. Vale il beneficio di escussione analogamente (anche se raramente l’INPS “prova” l’incapienza – tende a iscrivere a ruolo direttamente). I contributi personali dei soci (ad es. gestione commercianti) invece erano già a carico del socio stesso come soggetto assicurato, quindi se non li ha pagati mentre era attivo, li inseguiranno come debito personale, pure dopo l’uscita (perché il socio di SNC resta obbligato alla gestione commercianti finché era socio attivo, e se non ha versato, l’INPS lo chiede a lui).

Società di capitali: I contributi dipendenti non pagati restano debito della società. I soci in quanto tali non rispondono (non c’è norma analoga a 2495 c.c. specifica per contributi, ma dottrina e giurisprudenza applicano per analogia lo stesso criterio: l’INPS può chiedere ai soci di SRL contributi non pagati entro limite di attivo riscosso in liquidazione, equiparando a crediti sociali qualunque). Quindi scenario come i tributi: in assenza di attivo distribuito, l’ex socio SRL non paga. Attenzione però: l’INPS potrebbe rivalersi sugli amministratori per mancato versamento delle ritenute previdenziali (esiste una responsabilità del legale rappresentante per il reato di omesso versamento contributi > una soglia, e anche sul piano civile a volte tenta di chiamarli in causa per danni). Per i soci no, se non hanno ricevuto fondi.

Difese: Simili ai tributi. Un ex socio di SNC può fare opposizione alle cartelle di contributi eccependo l’escussione preventiva. Ad esempio, la Cass. 18345/2021 citata sopra in realtà era un caso di contributi INPS (il socio impugnava cartella in commissione tributaria, ma analogamente potrebbe in tribunale per contributi). Comunque, la ratio è la stessa: l’INPS deve dimostrare che la società non ha beni. Inoltre, i contributi prescrivono in 5 anni (termini INPS), quindi se l’ente è in ritardo, eccepire prescrizione.

Debiti verso dipendenti (retribuzioni, TFR)

Cosa sono: Somme dovute ai lavoratori dipendenti: stipendi non pagati, straordinari, ferie maturate, trattamento di fine rapporto (TFR), indennità varie.

Società di persone: I dipendenti sono creditori della società e, come tutti gli altri, possono agire contro i soci illimitati. In un fallimento di SNC, i dipendenti insinuano i loro crediti e se non c’è attivo abbastanza, possono rivolgersi ai soci (e spesso anche al Fondo di Garanzia INPS per il TFR e ultime mensilità, che interviene al posto del datore insolvente). Se l’impresa non fallisce ma chiude e non paga, il dipendente può portare in giudizio i soci per avere le sue spettanze. L’ex socio risponde per i periodi lavorativi fino alla sua uscita. Se il dipendente continua a lavorare dopo, le retribuzioni successive sarebbe debito della società quando lui non c’era, quindi quell’ex socio non è tenuto (stesso discorso generale). Ma il TFR matura sull’intero rapporto: poniamo un dipendente che ha 10 anni di anzianità e uno dei soci è uscito 2 anni prima della fine – quell’ex socio risponde pro quota del TFR maturato fino alla sua uscita? In teoria sì per la parte di obbligazione maturata nel periodo in cui era socio (anche se il TFR è un credito unitario che sorge alla fine, la giurisprudenza direbbe che per la porzione maturata sotto la vigenza di quel socio, egli ne risponde in solido). È un tema raffinato ma plausibile. Comunque, all’atto pratico, i dipendenti di solito in questi casi ottengono dal Tribunale un decreto ingiuntivo contro datore e soci e poi chiedono eventualmente al Fondo di Garanzia quanto coperto (il Fondo paga TFR fino a un massimale e ultime 3 mensilità, poi si surroga nel credito).

Società di capitali: Il dipendente è creditore privilegiato sul patrimonio della società. I soci non pagano di tasca loro, se l’azienda chiude e non li paga. Se però i soci si sono presi soldi indebitamente in liquidazione e i dipendenti sono rimasti impagati, i dipendenti potrebbero agire ex 2495 c.c. per farsi dare quei soldi (caso raro: sarebbe un liquidatore folle distribuire utili ignorando i dipendenti che hanno privilegio). Molto più frequente invece che intervenga il Fondo di Garanzia INPS che paga il TFR e ultime retribuzioni quando c’è insolvenza del datore (basta lo stato di insolvenza accertato, non serve fallimento per aziende sotto soglia). Il Fondo poi si sostituisce come creditore verso la società (ma se società defunta, rimane incagliato).

Difficilmente i soci vengono chiamati a pagare i dipendenti in una SRL. Potrebbe però capitare un’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c.: i dipendenti potrebbero sostenere che i soci (o amministratori) hanno svuotato la società, leso il capitale destinato a pagarli, ecc., e tentare un’azione risarcitoria verso di loro. Ma è complessa e poco praticata dai singoli lavoratori (magari potrebbe farla un curatore fallimentare per conto di tutti).

Difese: Nelle SNC, l’ex socio può soltanto dilazionare opponendo beneficio di escussione, ma moralmente ed equitativamente, i giudici sono spesso poco indulgenti verso i soci se i dipendenti sono rimasti senza stipendi. Quindi la strategia migliore è magari trovare un accordo con i lavoratori o con i sindacati – spesso si preferisce evitare cause di lavoro lunghe e i soci, se possono, pagano almeno in parte il dovuto. Altrimenti, il giudice del lavoro emetterà ingiunzioni e si passerà a esecuzione sui beni personali dei soci.

Altre tipologie di debiti: sanzioni, penali, ecc.

Multe e sanzioni amministrative: se l’impresa ha preso multe (es. sanzioni amministrative per violazioni commerciali, igiene, contravvenzioni al CdS su auto aziendale, ecc.), nelle società di persone ne rispondono i soci illimitati, nelle SRL no (sono a carico persona giuridica). Attenzione: alcune sanzioni (tipo quelle ambientali o sicurezza sul lavoro) possono essere comminate a chi dirige l’azienda, quindi magari al socio-amministratore in proprio. In tal caso restano sue anche se esce.

Penali contrattuali: se l’impresa ha inadempiuto contratti con penali, sono debiti come gli altri verso quei creditori. Non differiscono dai debiti commerciali: soci illimitati ne rispondono, soci SRL no.

Debiti verso soci stessi: se l’ex socio vanta crediti verso la società (es. un finanziamento soci non rimborsato), diventa un creditore come gli altri, ma questo esula dal nostro tema perché qui parliamo di lui come debitore.


Questa panoramica dei tipi di debito evidenzia che per l’ex socio il rischio maggiore deriva tipicamente dai debiti “istituzionali” (Fisco, INPS, dipendenti) nel caso in cui la sua forma societaria prevedeva responsabilità illimitata. I debiti verso fornitori e banche possono spesso essere oggetto di trattative e transazioni; quelli verso l’Erario sono meno negoziabili (se non tramite strumenti normativi come rottamazioni). Nel prossimo capitolo, esamineremo in generale cosa può fare l’ex socio debitore per difendersi, sia sul piano stragiudiziale che giudiziale, e successivamente passeremo alle soluzioni strutturate di esdebitazione e sovraindebitamento previste dalla legge.

Come difendersi: strategie e strumenti a disposizione dell’ex socio debitore

Di fronte a richieste di pagamento da parte di creditori sociali, un ex socio con debiti ha diversi possibili strumenti di difesa. Questi vanno dalla contestazione legale della pretesa, quando non dovuta, fino alla negoziazione di accordi, per arrivare alle procedure concorsuali di esdebitazione quando la situazione è insostenibile. In questa sezione articoleremo le principali mosse difensive dal punto di vista del debitore ex socio, tenendo conto di quanto appreso su responsabilità e tipi di debito.

Verificare la legittimità della pretesa e la propria effettiva responsabilità

Il primo passo è sempre verificare a fondo se veramente l’ex socio è obbligato a pagare quel debito. Sorprendentemente, non di rado vengono avanzate pretese indebite o eccessive. L’ex socio deve quindi analizzare:

  • Data di origine del debito: confrontare con la data di uscita dalla società. Se il debito (o l’obbligazione sottostante) è sorto dopo la sua uscita, egli può eccepire di non essere mai stato parte di quel rapporto, quindi non obbligato (art. 2290 c.c. lo esonera per debiti successivi allo scioglimento del rapporto). Esempio: un fornitore chiede a un ex socio di SNC il pagamento di forniture consegnate un anno dopo che era uscito – l’ex socio può rifiutare citando la sua cessazione pubblicizzata e la non opponibilità oltre tale data.
  • Opponibilità ai terzi della cessazione: l’ex socio dovrebbe munirsi di prova dell’iscrizione del recesso o cessione nel Registro Imprese e/o eventuali comunicazioni fatte al creditore. Se un creditore afferma “non sapevo che non eri più socio”, l’ex socio può dimostrare che il recesso è stato reso pubblico (es. Gazzetta Ufficiale o Registro Imprese) e magari di aver informato via PEC i principali creditori. Se ciò non è stato fatto a suo tempo, sarà più arduo difendersi da debiti contratti poco dopo l’uscita (il giudice valuterà se il creditore era effettivamente ignaro senza colpa).
  • Tipo di società e norma di riferimento: verificare come la legge inquadra quel debito rispetto ai soci. Ad esempio, se è una SRL con società cancellata, l’art. 2495 c.c. limita la responsabilità ai riparti avuti; se è un debito fiscale, le SU 2025 richiedono avviso specifico e limite somme percepite. Richiamare le norme specifiche in eventuali memorie o ricorsi è fondamentale. Citare la legge e la giurisprudenza: ad esempio, scrivere all’Agenzia delle Entrate facendo presente la sentenza Cass. SS.UU. n. 3625/2025 che esclude responsabilità illimitata, può indurla a più miti consigli.
  • Onere della prova: capire su chi grava. Se un creditore cita in giudizio un ex socio di SRL, deve provare che costui ha ricevuto somme dalla liquidazione. L’ex socio può semplicemente contestare e chiedere che il creditore dimostri quella circostanza. Inversamente, se un ex socio di SNC eccepisce beneficio di escussione, alcuni giudici richiedono che sia il socio a indicare i beni sociali escutibili (art. 2268 c.c. per società semplice); in altri casi si ritiene basti l’incapienza provata dal creditore. In Cass. 18345/2021 fu detto che è onere dell’Amministrazione provare l’insufficienza patrimoniale della società prima di escutere il socio. Conoscere queste sottigliezze aiuta a impostare la difesa: ad esempio, se arriva un precetto al socio, può intimare che il creditore non ha assolto l’onere di previa escussione, citando quella giurisprudenza.
  • Prescrizione e decadenza: controllare se il credito è ancora esigibile o se è decorso il termine. Un ex socio può opporre la prescrizione come eccezione (non è rilevabile d’ufficio, va sollevata dal debitore). Per dire: un fornitore dopo 10 anni chiede il pagamento – è presumibilmente prescritto (10 anni da scadenza fattura, salvo atti interruttivi). Un contributo INPS di oltre 5 anni fa senza cartelle notificate – prescritto. Un avviso IRPEF non notificato entro termini di decadenza – nullo. Questi aspetti tecnici possono estinguere il debito senza dover discutere sul merito. È sempre bene quindi esaminare la cronologia: quando è sorto, se ci sono stati solleciti, ingiunzioni, ecc. Un avvocato può aiutare a individuare eventuali termini scaduti.
  • Difetti di notifica o procedura: specialmente con cartelle esattoriali, capita che la notifica non sia stata fatta correttamente (es. indirizzo errato, deposito senza avviso, ecc.). Anche questo può essere motivo di opposizione formale. Se una cartella non fu mai notificata alla società ma direttamente al socio, è vizio radicale (il socio potrebbe dire: non avete mai accertato il mio obbligo, quindi atto inesistente).

In sintesi, non dare per scontato di dover pagare solo perché ricevuta una richiesta. La posizione dell’ex socio debitore è peculiare: va valutata caso per caso alla luce delle norme. Se emergono motivi validi di opposizione, l’ex socio può fare ricorso nelle sedi opportune (tribunale civile, commissione tributaria, giudice del lavoro a seconda) per far dichiarare che non è tenuto al pagamento o che la pretesa è nulla.

Eccepire il beneficio della preventiva escussione

Come già accennato più volte, uno strumento specifico di difesa per il socio (attuale o uscente) di società di persone è il beneficio di escussione preventiva del patrimonio sociale (art. 2304 c.c. per SNC/SAS, art. 2268 c.c. per SS). Consente di ritardare o evitare l’escussione personale se il creditore non ha prima agito sui beni della società. Nella pratica:

  • In fase giudiziale, il socio illimitatamente responsabile può opporsi a un decreto ingiuntivo o a una cartella esattoriale sostenendo che il creditore non ha preventivamente escusso la società. La Cassazione ha riconosciuto questa eccezione come proponibile anche in Commissione Tributaria per i soci (sent. 18345/21).
  • In fase esecutiva, se già c’è un titolo (sentenza o decreto) contro il socio, egli può comunque opporsi all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.) sostenendo che l’esecuzione è prematura perché non tentata sulla società. Tuttavia, come visto, la giurisprudenza prevalente ritiene sufficiente che il creditore provi che l’esecuzione sul patrimonio sociale sarebbe infruttuosa. Ad esempio, se la società è fallita o ha cessato l’attività senza beni, il giudice considererà soddisfatto il requisito e consentirà l’esecuzione sul socio. Se invece la società è attiva o ha cespiti, il giudice potrebbe sospendere l’esecuzione sul socio e ordinare di prima escutere la società (questo avviene raramente, ma in linea teorica è la tutela offerta dalla norma).

Per l’ex socio, invocare il beneficium excussionis è utile soprattutto come leva negoziale: fa capire al creditore che dovrà fare qualche passaggio in più, quindi magari lo incentiva a trovare un accordo transattivo col socio anziché impelagarsi in questioni legali. Ad esempio, l’Agenzia Entrate potrebbe accettare una rateizzazione direttamente col socio se questi minaccia ricorsi lunghi sull’escussione.

Va aggiunto che il beneficio si applica anche se la società è in liquidazione: l’art. 2304 c.c. lo prevede pure in fase di liquidazione. Quindi finché c’è un liquidatore che sta gestendo l’attivo, il creditore deve rivolgersi a lui prima di pretendere ai soci.

Conclusione su questo punto: Eccepire la preventiva escussione non elimina il debito, ma può ritardare o ostacolare l’azione del creditore contro l’ex socio, guadagnando tempo e magari portando a un compromesso. Inoltre, in alcuni casi (come in Cass. 18345/21) ha portato proprio all’annullamento della cartella poiché il creditore pubblico non aveva fornito prova sufficiente dell’incapienza.

Negoziare con i creditori: accordi transattivi e saldo a stralcio

Spesso la via più pragmatica per un ex socio indebitato è trattare direttamente con i creditori, specialmente quelli privati (fornitori, banche, locatori). Questi soggetti potrebbero preferire recuperare qualcosa subito piuttosto che affrontare cause lunghe o rischiare di non ottenere nulla se il debitore diventa insolvente del tutto.

Cos’è un saldo e stralcio: È un accordo in cui il debitore paga immediatamente (o in poche rate) una somma inferiore al totale dovuto e il creditore accetta tale somma a completa definizione del debito, rinunciando al restante. Ad esempio, su un debito di €10.000 il debitore propone di versare €4.000 entro 30 giorni e il creditore, valutando scarse le alternative, accetta di “stralciare” il residuo €6.000, considerandolo perduto. Questo accordo va formalizzato per iscritto, con clausola che il pagamento definisce in via transattiva ogni obbligo e che nulla più potrà essere preteso.

Quando proporre il saldo e stralcio: L’ex socio debitore dovrebbe proporlo:

  • Quando riconosce che il debito è effettivamente dovuto (nessun valido motivo di annullarlo totalmente) ma non è in grado di pagarlo interamente.
  • Quando il creditore ha anche lui convenienza a chiudere subito (es. un fornitore vecchio, che altrimenti dovrebbe fare causa, o una banca che altrimenti deve insinuarsi in procedure lente).
  • Se ha disponibilità liquide limitate che però può offrire immediatamente (questo alletta il creditore: poco ma sicuro e subito).

Trattativa: Meglio farsi assistere da un legale o commercialista nel negoziare. Bisogna essere convincenti sulla propria incapacità di pagare l’intero (magari fornendo una bozza di piano con tutti i debiti, per far vedere che se non accetta la riduzione, il rischio è che il debitore vada in insolvenza e magari avvii un procedimento di sovraindebitamento). Molto spesso, la minaccia implicita di un fallimento o liquidazione concorsuale (dove il creditore prenderebbe forse zero) spinge ad accettare un saldo ridotto.

Esempio tipico: Ex socio di SNC ha 5 fornitori creditori. Debito totale €50k. Lui possiede una casa ipotecata dalla banca e nient’altro. Propone a ciascun fornitore di pagare il 30% in 6 mesi, magari ottenendo dalla banca un rifinanziamento ipotecario. I fornitori, valutando che il socio se no potrebbe dichiarare sovraindebitamento e pagare ancora meno, accettano. Si formalizzano accordi transattivi singoli con quietanza a saldo.

Attenzione: con creditori pubblici (Erario, INPS) il margine di trattativa è minore, in quanto essi hanno procedure standard (rateizzazioni, rottamazioni). L’Agenzia Entrate non fa “sconti” individuali sostanziali se non previsti da legge (non può dire “paga il 50% e chiudiamo” senza una norma di condono). Tuttavia, con l’Agente della Riscossione si possono ottenere piani di dilazione fino a 6 anni (72 rate) o 10 anni in casi gravi. E se ci sono rottamazioni legislative, aderire conviene.

Invece banche e fornitori sono liberi di fare sconti, e spesso lo fanno. Sulle banche: se il debito è in sofferenza, possono accettare stralci significativi, specie a fine anno per pulire bilancio, o vendere il credito a società di recupero che poi transano.

Punti da curare nell’accordo:

  • Farsi rilasciare una quietanza liberatoria totale dopo il pagamento, in cui il creditore dichiara che nulla più avrà a pretendere per quella causale.
  • Prevedere la cancellazione di eventuali ipoteche o pegni al momento del pagamento (se c’è ipoteca iscritta, il creditore deve liberarla una volta incassato il saldo concordato).
  • Se più creditori, valutare un accordo collettivo (difficile senza una procedura formale, ma magari con gruppo di fornitori si può).
  • Non promettere cifre non realistiche: fallire un accordo peggiora la credibilità. Meglio offrire poco ma pagarle effettivamente, che promettere metà e poi non riuscire.

Negoziare può anche includere cedere qualche bene: ad es., l’ex socio può cedere alla banca la proprietà di un magazzino in cambio dell’azzeramento del mutuo residuo (datio in solutum). Sono tutte modalità lecite di chiusura transattiva.

Rateizzazioni e piani di rientro

Se lo stralcio non è ottenibile (alcuni creditori possono rifiutare di abbuonare parte del dovuto), si può puntare alla dilazione nel tempo. Ad esempio, con l’Agente Riscossione si può rateizzare fino a 72 rate mensili (6 anni) standard se il debito supera certe soglie e si prova temporanea difficoltà. Con l’INPS similmente. Le banche possono trasformare uno scoperto esigibile a vista in un prestito rateale ristrutturato.

L’ex socio, per evitare azioni immediate, può proporre un piano di rientro scritto, magari con garanzie aggiuntive (es: “ti pago 1000€ al mese per 3 anni, e a garanzia ti cedo il pegno su un veicolo” etc.). Formalizzare questi piani consente di prendere tempo e diluire lo sforzo.

Certo, il rischio è che in futuro se non si regge la rata, si torna al punto di partenza. Bisogna essere sicuri di poter sostenere il piano.

Va detto che in contesti di sovraindebitamento grave, rateizzare semplicemente può non bastare e allora entrano in gioco gli strumenti straordinari del prossimo capitolo.

Opporsi nelle sedi giudiziarie opportune

Quando un creditore agisce legalmente (ingiunzione, pignoramento, citazione), l’ex socio deve valutare una opposizione formale in giudizio. Abbiamo già menzionato alcuni casi:

  • Opposizione a decreto ingiuntivo: entro 40 giorni, se l’ex socio ha motivi (non era dovuto, prescrizione, beneficio escussione, ecc.). L’opposizione instaura un giudizio ordinario dove far valere tutte le difese. Conviene farsi assistere da un legale esperto in diritto societario per evidenziare norme come art. 2290, 2495 c.c. e giurisprudenza.
  • Ricorso in Commissione Tributaria: contro cartelle/avvisi dell’Agenzia Entrate o INPS, entro 60 giorni dall’atto. Qui un tributarista può impostare bene la difesa (es: “il socio non ha percepito riparti, quindi non è soggetto passivo ex art. 2495; inoltre l’avviso doveva essere notificato a lui e non è stato fatto”).
  • Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi: se già si è in fase di pignoramento (ad es. arriva un atto di pignoramento stipendio in cui un creditore sociale colpisce l’ex socio), si può fare opposizione all’esecuzione per far valere che non era legittimo eseguirla per mancanza di titolo valido o beneficio escussione non rispettato.

Queste difese giudiziarie servono, se fondate, a ottenere un provvedimento dal giudice che libera l’ex socio dal pagamento o almeno riduce l’importo. Ad esempio, se il giudice tributario accerta che il socio non ha ricevuto nulla in liquidazione, annullerà l’atto impositivo verso di lui. Oppure se il giudice civile vede che la cessione quota fu iscritta prima del debito, rigetterà la domanda del creditore.

Chiaramente, fare causa comporta costi e tempi; va ponderato in base all’entità del debito e alla solidità delle ragioni. Se il debito è piccolo, magari conviene transare; se è grande, investire in una causa per annullarlo può avere senso.

Rivalersi sugli altri soci o su terzi obbligati

Un aspetto spesso trascurato: il socio che paga più del dovuto può poi rivalersi internamente. Questo non è tanto una “difesa” immediata, quanto un diritto di regresso post-pagamento. Esempio: Tizio e Caio erano soci al 50% di SNC. Tizio ex socio paga un debitore sociale interamente da solo per €20.000. Ebbene, Tizio ha diritto di chiedere a Caio (socio rimasto o anch’egli ex, se la società estinta) di rimborsargli €10.000, cioè la quota di debito che eccede la sua parte di perdite. Questo diritto di regresso tra coobbligati esiste in generale (art. 1299 c.c.). Quindi, purtroppo spesso l’ex socio che si trova bersaglio dei creditori finisce per pagare anche per altri, ma non è senza rimedio: può poi agire in giudizio contro gli altri ex soci per farsi dare la loro parte. Naturalmente, se anche gli altri sono insolvibili, resta teorico.

Similmente, se l’ex socio paga un debito garantito da ipoteca su un bene sociale rimasto, subentra nei diritti del creditore (surroga ipotecaria) e può rifarsi su quel bene.

Questa rivalsa non ferma i creditori esterni ma consente almeno di riequilibrare i conti tra soci. In alcuni casi, sapere questo può facilitare accordi interni: se un ex socio è perseguito da banche, potrebbe accordarsi con gli altri soci per dividere lo sforzo di chiusura debiti in proporzione, evitando poi cause tra loro.

Evitare comportamenti pregiudizievoli (attenzione a patrimoni e atti in frode)

Un consiglio difensivo, in realtà, è non peggiorare la propria posizione con azioni avventate. Se un ex socio percepisce che i creditori potrebbero aggredirlo, potrebbe essere tentato di “far sparire” i propri beni (intestarli a familiari, venderli sotto prezzo…). Questa strada è pericolosa e spesso controproducente:

  • I creditori possono agire con l’azione revocatoria (art. 2901 c.c.) entro 5 anni per far dichiarare inefficaci gli atti dispositivi compiuti in frode alle loro ragioni. Ad esempio, se vendo la casa a mio fratello per metà valore quando già avevo debiti, il creditore può revocare la vendita.
  • Se il debitore mette in atto frodi gravi, può incorrere in profili di reato (bancarotta fraudolenta patrimoniale se c’è procedura concorsuale, o sottrazione fraudolenta al pagamento imposte ex art. 11 D.lgs 74/2000 se lo scopo è non pagare tasse).
  • Inoltre, alienare patrimoni rende poi più difficile accedere a procedure di sovraindebitamento “oneste”, perché uno dei requisiti è la meritevolezza (non aver dolosamente disperso beni).

Dunque, meglio adottare trasparenza: se si hanno pochi beni, dichiararlo apertamente ai creditori e semmai destinarli equamente al piano di rientro, piuttosto che tentare di occultarli. Le procedure concorsuali che vedremo offrono la possibilità di salvare alcuni beni essenziali (ad es. la casa di abitazione spesso si riesce a tenerla con accordi) senza bisogno di atti illeciti.

Prepararsi alle procedure di esdebitazione

Quando i debiti superano le capacità e non c’è accordo possibile con tutti i creditori, l’ex socio dovrebbe valutare di ricorrere alle procedure legali di esdebitazione o sovraindebitamento. Questo è l’argomento della prossima sezione. È importante però iniziare a prepararsi per tempo: raccogliere la documentazione dei debiti, evitare di creare preferenze ingiustificate (pagare qualcuno e altri no poco prima della procedura può creare problemi di revocatoria in concordati, ad esempio), mantenere un comportamento corretto.

La meritevolezza, come vedremo, è un criterio chiave: ad esempio, per accedere al piano del consumatore o all’esdebitazione dell’incapiente si richiede che il debitore non abbia colpa grave o dolo nel produrre l’indebitamento e non abbia violato gli obblighi di lealtà verso i creditori. Dunque l’ex socio deve poter mostrare di aver cooperato e di non aver aggravato la posizione (ad esempio cercando accordi, non dissipando risorse, etc.). Questo, oltre che eticamente corretto, paga in termini pratici: i giudici concorsuali guardano con occhio più favorevole chi ha tentato soluzioni e ha tenuto condotta trasparente.


Ricapitolando le strategie difensive principali:

  1. Accertare la propria effettiva obbligazione: se non c’è, farla valere (uscita antecedente al debito, mancanza di riparti di attivo per soci di SRL, ecc.).
  2. Usare eccezioni legali: beneficio di escussione, prescrizione, vizi di notifica… tutte leve per far decadere o ridurre le pretese.
  3. Trattare privatamente: saldo e stralcio, piani di rientro, per chiudere i debiti in modo sostenibile ed evitare il contenzioso.
  4. Ricorrere al giudice quando serve: opposizioni e ricorsi per far valere i propri diritti e doveri limitati.
  5. Non isolarsi: cercare accordi con eventuali coobbligati (altri soci) per condividere il carico equamente.
  6. Agire in buona fede: niente frodi o favoritismi, che peggiorano la situazione (legalmente e moralmente).
  7. Considerare le procedure concorsuali come ultima risorsa per un reset, se la situazione è ormai insostenibile.

Passiamo ora proprio a illustrare queste procedure formali di esdebitazione e sovraindebitamento, strumento di “ultima istanza” che il nostro ordinamento prevede per dare al debitore onesto ma sfortunato una via d’uscita dai debiti impossibili.

Procedure di esdebitazione e sovraindebitamento per l’ex socio debitore

Quando un ex socio (o ex imprenditore) non riesce oggettivamente a far fronte ai debiti residui con le proprie forze – nemmeno attraverso dilazioni o accordi – il sistema giuridico mette a disposizione delle procedure concorsuali specifiche per risolvere la situazione di sovraindebitamento, ripartendo in modo equo il sacrificio tra debitore e creditori e consentendo, al termine, di cancellare i debiti (esdebitazione).

Nel corso degli ultimi anni, il quadro normativo italiano in materia è profondamente cambiato, con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), D.Lgs. 14/2019 (in pieno vigore dal luglio 2022, aggiornato da D.Lgs. 83/2022 e 169/2022). Questo Codice disciplina sia le procedure tradizionali (fallimento, concordato preventivo, ecc.) sia quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento per soggetti non fallibili (come i privati, i piccoli imprenditori, i professionisti).

Per il punto di vista del debitore ex socio, che spesso rientra nei soggetti “non fallibili” (pensi all’ex socio di una SNC di piccole dimensioni, o all’ex titolare di ditta individuale, o al garante non imprenditore di una SRL fallita), rilevano in particolare le procedure di sovraindebitamento previste dal nuovo Codice, ossia:

  • Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore della L.3/2012), riservato a chi ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (il consumatore).
  • Il concordato minore (ex accordo di composizione della crisi), destinato a imprenditori minori, professionisti, start-up innovative, imprenditori cessati e in generale debitori diversi dal consumatore non soggetti a liquidazione giudiziale.
  • La liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio), una sorta di procedura esecutiva concorsuale in cui il patrimonio del debitore viene liquidato sotto controllo giudiziale per soddisfare i creditori, con possibilità poi di esdebitazione.
  • L’esdebitazione del debitore incapiente, detta anche esdebitazione a zero, introdotta di recente per i casi estremi in cui il debitore persona fisica non ha alcuna utilità da offrire ai creditori.

Approfondiamo ciascuna di queste opzioni, perché un ex socio debitore potrebbe rientrare in una o più categorie e trarne beneficio per “voltare pagina”.

Esdebitazione post-fallimentare (liquidazione giudiziale dell’ex socio)

Prima di parlare delle procedure da sovraindebitamento, menzioniamo brevemente l’esdebitazione classica che si applica ai debitori falliti (ora debitori assoggettati a liquidazione giudiziale). Se l’ex socio di un’impresa di persone è stato dichiarato fallito insieme alla società, oppure se l’ex titolare individuale è fallito, al termine del fallimento (liquidazione giudiziale) può ottenere la cancellazione dei debiti residui non soddisfatti nella procedura. Questo istituto esiste dal 2006 (L. 5/2006) ed è ora ripreso nel Codice della Crisi.

I requisiti per l’esdebitazione del fallito sono:

  • Persona fisica meritevole (non condannata per bancarotta fraudolenta, che abbia cooperato, ecc.).
  • Istanza da presentare al Tribunale dopo la chiusura del fallimento.
  • Il Tribunale, sentiti i creditori, emette un decreto che esdebita (cancella) i debiti chirografari rimasti.

Di fatto, oggi l’esdebitazione del fallito è quasi automatica per il debitore onesto: il Codice della Crisi prevede una sorta di esdebitazione di diritto, salvo opposizione di creditori e in presenza di cause ostative.

Per un ex socio illimitatamente responsabile che è stato coinvolto nel fallimento, questa è la strada tipica: completa la procedura fallimentare, cede tutto ciò che poteva ai creditori, e poi ottiene l’esdebitazione che lo libera dai debiti residui. È ciò che consente il cosiddetto “fresh start” dell’imprenditore fallito.

Tuttavia, molti ex soci non finiscono formalmente in fallimento (ad esempio i soci di SRL non falliscono, i soci di SNC se usciti da oltre un anno nemmeno, i piccoli imprenditori sotto soglia no, ecc.). Per costoro il legislatore ha predisposto le procedure di sovraindebitamento di cui ora parliamo.

Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore

Cos’è: È la procedura concorsuale prevista per il debitore civile (persona fisica) che ha debiti sorti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. È l’erede dell’istituto noto come piano del consumatore nella legge 3/2012. In pratica, un consumatore sovraindebitato – ad esempio un ex socio che oggi è solo un privato cittadino, magari con debiti derivati da fideiussioni o da tasse personali – può presentare al Tribunale un piano di ristrutturazione proponendo come pagherà i propri debiti in modo sostenibile, chiedendo la esdebitazione del residuo a fine piano.

Chi può accedervi: solo la persona fisica che non è imprenditore attivo e che ha contratto le obbligazioni per motivi personali. Se uno era imprenditore, deve aver cessato l’attività e i debiti devono essere prevalentemente personali. C’è un concetto di debitore misto: se uno ha insieme debiti da attività e personali, la giurisprudenza discute se possa comunque qualificarsi consumatore. Il CCII dà una definizione di consumatore come colui che ha debiti non riferibili a attività imprenditoriale (anche pregressa, ma se l’attività è cessata forse li includerebbe nel concordato minore). In generale, l’ex socio di SRL che era solo garante potrebbe essere considerato consumatore, l’ex socio di SNC (imprenditore) no, dovrà usare concordato minore. Su questo, per sicurezza, se ci sono dubbi, molti Tribunali preferiscono far usare il concordato minore (procedura più adatta ai debiti d’impresa) anziché il piano consumatore.

Come funziona:

  • Il debitore, con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e del suo professionista, elabora un piano dettagliato in cui indica come intende pagare i creditori (in che percentuale, in che tempi, con quali risorse). Ad esempio: “propongo di pagare integralmente i debiti alimentari, al 20% i chirografari, in 5 anni, utilizzando il mio stipendio mensile di X euro, mantenendo per me solo il minimo vitale”.
  • Questo piano non necessita dell’accordo dei creditori: è unilateralmente proposto dal consumatore. I creditori possono contestarlo in giudizio, ma non è richiesta una votazione o maggioranza di assenso.
  • Il Tribunale valuta il piano in camera di consiglio. I requisiti chiave perché omologhi il piano: la fattibilità (che le somme promesse siano realistiche) e la meritevolezza del consumatore. Meritevolezza significa: non deve aver colposamente provocato il proprio sovraindebitamento con comportamenti irresponsabili, né avere violato obblighi di buona fede (ad es. non deve aver mentito ai creditori). Occorre anche che non abbia già usufruito di procedure simili in passato (c’è divieto di accesso se ha già avuto esdebitazione da meno di 4 anni, se ricordo bene).
  • Se il giudice trova tutto in ordine (riceve anche una relazione dell’OCC che certifica la veridicità dei dati e le cause dell’indebitamento), emette un decreto di omologazione del piano. Da quel momento, il piano diventa vincolante per tutti i creditori, anche dissenzienti.
  • Il debitore quindi esegue il piano: paga le rate concordate, eventualmente sotto supervisione OCC. Durante l’esecuzione, è protetto: i creditori non possono agire esecutivamente (c’è la sospensione delle azioni).
  • A fine piano, se il debitore ha adempiuto correttamente, il giudice lo dichiara esdebitato dai debiti anteriori non soddisfatti. Cioè viene liberato dal dover pagare l’eventuale percentuale che non è stata coperta dal piano.

Vantaggi del piano consumatore:

  • Non serve convincere i creditori uno per uno: decide il giudice se il piano è equo. Ciò è molto utile se alcuni creditori (tipicamente banche o esattorie) non accetterebbero volontariamente sconti, ma il giudice li può imporre.
  • Si possono classificare i creditori nel piano, pagando di più quelli meritevoli (es. forse giudice chiede di trattare meglio quelli con privilegio, ecc., ma il codice nuovo consente una certa libertà, salvo rispettare le cause di prelazione per i crediti privilegiati che non si possono alterare senza consenso del creditore).
  • Il debitore conserva i beni non destinati al piano, salvo quanto concordato. Ad esempio può mantenere la casa di abitazione se riesce a pagare i creditori diversamente e se il giudice ritiene il piano fattibile così.

Limiti:

  • Il reddito o patrimonio del debitore deve consentire un minimo di pagamento. Non esiste un tetto di legge, ma un piano che offre zero a tutti non è un piano (quello sarebbe l’esdebitazione incapiente che vedremo). Deve offrire il “maggior soddisfacimento possibile” compatibile con la situazione. Se il debitore ha anche poche centinaia di euro al mese, può offrire quelle.
  • Il giudice può rigettare se ritiene il debitore non meritevole (es. ha fatto spese spropositate oltre le sue possibilità, ha ignorato consigli dell’OCC, ecc.). In passato rigettavano molti piani consumatore per difetto di meritevolezza (c’era giurisprudenza severa: consideravano non meritevole chi aveva ottenuto troppi finanziamenti senza prospettiva di pagarli). Il CCII ora definisce criteri un po’ più chiari, ma rimane un elemento soggettivo.
  • Il piano non può essere usato dai debitori “non consumatori”: per loro c’è il concordato minore.

Concordato minore

Cos’è: È la procedura per i debitori sovraindebitati non consumatori, introdotta dal CCII. Sostituisce l’“accordo di ristrutturazione” della vecchia legge ma con logiche simili al concordato preventivo. Pensatelo come un mini-concordato per imprenditori sotto soglia o ex imprenditori che non possono accedere al concordato preventivo.

Chi può accedere:

  • L’imprenditore commerciale non fallibile (cioè di dimensioni sotto i limiti di cui all’art. 2 lett. c CCII: attivo < €300k, debiti < €500k, ricavi < €200k, se ricordo bene; comunque i piccoli).
  • L’imprenditore agricolo (che non fallisce per definizione).
  • L’imprenditore cessato (anche fallibile) che però non è stato chiesto in fallimento entro l’anno e rimane con debiti.
  • I professionisti, gli artisti, le startup innovative (tutti soggetti esclusi da fallimento).
  • In generale, qualunque debitore sovraindebitato che non sia consumatore né abbia requisiti per altre procedure più grandi, può usare il concordato minore.

Quindi l’ex socio di SNC (che è imprenditore), se la SNC non è stata dichiarata fallita e lui ha debiti personali, rientra qui. L’ex titolare di ditta che non è fallita idem. L’ex socio garante di SRL forse qui se lo si considera per quei debiti “imprenditoriali” (c’è dibattito, ma per sicurezza molti tribunali direbbero: hai garantito un debito d’impresa, non sei un consumatore puro, fai concordato minore).

Come funziona:

  • Il debitore, con l’OCC, prepara una proposta di concordato minore e un piano, analogamente al piano consumatore, indicando come intende soddisfare i creditori.
  • Differenza: qui i creditori vengono chiamati a votare sulla proposta, come in un concordato preventivo semplificato. Serve il voto favorevole di almeno il 60% dei crediti (credo sia rimasta questa soglia nel CCII, in L.3/2012 era il 60% per l’accordo).
  • I creditori privilegiati devono essere soddisfatti almeno per il valore di realizzo dei beni su cui hanno prelazione, a meno che non rinuncino. Insomma, va rispettato il best interest of creditors test: nessun creditore può essere trattato peggio di come sarebbe in liquidazione.
  • Se la maggioranza approva e il tribunale omologa, il concordato minore diventa vincolante per tutti, anche per i dissenzienti.
  • Durante la procedura c’è il blocco delle azioni esecutive (automatic stay).
  • A esecuzione completata, il debitore è esdebitato dai debiti residui.

Caratteristiche:

  • Più complesso del piano consumatore per via del voto. Bisogna convincere i creditori (per questo spesso serve offrire loro almeno quanto avrebbero da liquidazione, se no questi votano no).
  • In compenso, non c’è il requisito della meritevolezza in senso stretto come per il consumatore. Anche un imprenditore che ha fatto errori può accedervi (salvo comportamenti fraudolenti che sarebbero comunque sanzionati).
  • Permette soluzioni anche più articolate: ad esempio può prevedere la continuità aziendale se uno ha ancora un’attività (anche se nel sovraindebitamento puro la continuità è rara, ma il CCII prevede pure un concordato minore in continuità se utile).
  • Il concordato minore, contrariamente al piano consumatore, consente di cramdown sui privilegiati solo entro certi limiti (non si può falcidiare il loro credito senza consenso oltre il valore di liquidazione del bene, regole tecniche analoghe al concordato preventivo).

Per l’ex socio: se ad esempio uno era socio di SNC e ora come persona ha residui debiti di fornitore, fiscali, ecc., può proporre un concordato minore offrendo magari la vendita di un suo immobile e il pagamento parziale ai chirografari. I creditori votano; se raggiunge 60%, e la percentuale offerta è ragionevole rispetto a una sua ipotetica liquidazione personale, allora viene omologato e poi estingue i debiti residui.

Liquidazione controllata del sovraindebitato

Cos’è: È l’equivalente del fallimento (liquidazione giudiziale) per i soggetti non fallibili. Quando un debitore sovraindebitato non ha la possibilità di proporre o sostenere un piano/accordo (perché magari non ha entrate sufficienti per un concordato minore, o perché i creditori non approverebbero), può optare per mettere a disposizione tutto il suo patrimonio e farlo gestire da un liquidatore nominato dal Tribunale. Al termine della liquidazione, otterrà l’esdebitazione (salvo eccezioni per debiti esclusi).

Chi può accedere: Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o meno). Può essere richiesta anche d’ufficio se le altre procedure (piano o concordato minore) falliscono, convertendo in liquidazione. Può chiederla anche direttamente il debitore quando vede che non ha senso un piano (es: troppi debiti, meglio liquidare quel poco che ha e ripartire pulito).

Come funziona:

  • Si deposita un ricorso per liquidazione controllata, con elenco di tutti i beni e debiti.
  • Il Tribunale apre la procedura, nomina un liquidatore giudiziale (spesso un professionista nominato tra gli OCC o curatori).
  • Da quel momento, il patrimonio del debitore viene destinato a soddisfare i creditori: il liquidatore vende i beni, riscuote crediti, ecc., e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione (i privilegiati prima, poi gli altri pro-quota).
  • Il debitore perde la disponibilità dei suoi beni (come un fallito), ma mantiene quelli dichiarati impignorabili o necessari al sostentamento (ad esempio in alcune pronunce si è esclusa la liquidazione dell’unica casa se modesta e specifiche condizioni, ma qui la legge non prevede esenzioni automatiche come per prima casa, dipende).
  • Durata: dipende dalla complessità, in genere 4 anni o meno.
  • Chiusa la liquidazione (deposito piano di riparto finale e rendiconto), il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione per i debiti rimasti non pagati.

Esdebitazione nella liquidazione controllata: Il CCII prevede che l’esdebitazione può essere concessa se il debitore ha cooperato lealmente, non ha frodato creditori, ecc. Se nessun creditore si oppone o se l’opposizione viene rigettata, il giudice dichiara inesigibili i residui debiti chirografari. Alcuni debiti rimangono esclusi per legge (così come nel fallimento: alimenti, debiti da malfatti penali, sanzioni pecuniarie amministrative e penali, etc., quelli non si cancellano; ad es. multe stradali no).

In pratica per l’ex socio: se proprio uno non ha nulla da offrire salvo liquidare quel poco che ha, conviene la liquidazione controllata. Esempio: ex socio ha una casa, ma i debiti superano di molto il valore della casa. Con un concordato minore magari i creditori non accetterebbero meno, oppure l’ammontare è ingestibile. Con la liquidazione, si vende la casa, con i proventi si soddisfano in parte i crediti, il resto si cancella. Il debitore perde la casa ma esce libero dai debiti e potrà rifarsi una vita senza zavorre.

Esdebitazione del debitore incapiente (c.d. “fresh start” del nullatenente)

Questa è un’assoluta novità (introdotta prima nella L.3/2012 nel 2020 e ora in art. 283 CCII). Rappresenta un’opzione straordinaria per chi non ha nulla da offrire ai creditori.

Chi può chiederla: Il debitore persona fisica sovraindebitato:

  • Meritevole (onesto, non colpevole di indebitamento fraudolento).
  • Completamente incapiente, cioè “non in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”.
  • Che non abbia già usufruito di esdebitazione incapiente in passato (è ammessa solo una volta in vita).

In pratica, si pensa al nullatenente: nessun immobile, nessun reddito pignorabile, niente di niente da liquidare, e con poche prospettive di miglioramento almeno al momento.

Procedura:

  • Si deposita ricorso chiedendo l’esdebitazione incapiente ex art. 283 CCII. Bisogna allegare l’elenco debiti, attestare la propria condizione di indigenza, e soprattutto convincere il giudice della meritevolezza.
  • L’OCC redige una relazione sulle cause dell’indebitamento e sul fatto che il debitore non può offrire nulla (verifica che non abbia cespiti nascosti, e spiega perché non può pagare nulla).
  • Il Tribunale sente i creditori (i quali potrebbero opporsi se ritengono che invece qualcosa si poteva ricavare).
  • Se tutto è in regola, il giudice omologa l’esdebitazione dell’incapiente: con decreto cancella tutti i debiti del debitore.

Effetti: Il debitore è immediatamente liberato dai debiti senza aver pagato nulla. Per questo è chiamata colloquialmente “zero debiti senza soldi”. È chiaramente una misura eccezionale, quasi umanitaria, per evitare che chi è completamente povero resti inseguito a vita dai creditori senza speranza di riscatto.

Cautele e obblighi: Proprio perché “drastica” (nessuna soddisfazione per i creditori), la legge impone:

  • Questo beneficio è una tantum: lo puoi fare solo una volta nella vita.
  • Nei 4 anni successivi all’esdebitazione, se il debitore ottiene sopravvenienze di reddito (es. trova un buon lavoro, eredita soldi, vince alla lotteria), deve pagarne una parte ai vecchi creditori, fino a concorrenza dei loro crediti annullati. Precisamente, l’art. 283 CCII comma 2 prevede che il debitore per 4 anni debba comunicare eventuali incrementi di patrimonio e il tribunale potrà disporre che fino al 50% di tali incrementi vadano ai vecchi creditori (con esonero per i guadagni modesti necessari al mantenimento). Questo per evitare furbizie e per equità: se l’anno dopo diventi ricco, giusto che i creditori abbiano qualcosa.
  • Sono esclusi dall’esdebitazione incapiente i debiti per mantenimento, risarcimenti da illecito extracontrattuale e sanzioni penali/ammin., come di regola.

Per l’ex socio debitore incapiente: se davvero non ha né beni né redditi (caso tipico: ex imprenditore anziano, fallito, senza proprietà, vive di pensione minima), questa procedura è la salvezza. Ad esempio, un ex socio con €200k debiti e nessun bene può ottenerne la cancellazione totale con questo istituto, voltando pagina all’istante. Aggiornamento 2025: Già diversi Tribunali hanno applicato l’art. 283 CCII con decreti di esdebitazione immediata a persone nullatenenti. Inoltre, la Legge di Bilancio 2024 ha istituito un Fondo di garanzia per le procedure di incapienti per coprire i costi di OCC e giustizia, così il debitore veramente povero non deve nemmeno pagare spese (vengono anticipate da questo fondo statale).

Nota di merito: Questa soluzione incarna la filosofia del fresh start: se hai agito onestamente e la sfortuna o errori ti hanno lasciato sommerso di debiti ma senza risorse, lo Stato ti dà una chance di ripartire da zero, pur con un periodo di “osservazione” di 4 anni.

Tabella riepilogativa delle procedure di sovraindebitamento ed esdebitazione

Di seguito, uno schema comparativo delle principali procedure a disposizione di un ex socio (persona fisica) indebitato, secondo il Codice della Crisi attuale:

ProceduraSoggetti ammessiCaratteristiche principaliEsdebitazione
Piano di ristrutturazione del consumatore (ex piano consumatore)Persona fisica consumatore (debiti non da attività d’impresa/professione).– Proposta unilaterale di pagamento parziale dei debiti, senza voto dei creditori (decide il giudice).– Necessaria meritevolezza del debitore.– Non richiede accordo con creditori, può cramdown dissenzienti.– Gestito con ausilio OCC; eventuale omologazione dal Tribunale se fattibile e equo per creditori.Sì, al termine dell’esecuzione del piano omologato il debitore è liberato dai debiti residui (salvo quelli non soggetti a esdebitazione per legge).
Concordato minore (ex accordo)Debitore non consumatore sovraindebitato: piccoli imprenditori, ex imprenditori, professionisti, ecc..– Proposta di ristrutturazione da sottoporre al voto dei creditori (richiesto consenso di ≥60% crediti).– Possibile dividere creditori in classi e prevedere pagamento anche parziale ai chirografari.– Necessario offrire ai creditori almeno il valore di liquidazione dei beni (tutela dei dissenzienti).– Omologato dal Tribunale se raggiunte le maggioranze e verificata fattibilità e rispetto prelazioni.Sì, dopo l’esecuzione del concordato omologato, il debitore è esdebitato dai debiti anteriori non soddisfatti, analogamente al concordato preventivo (art. 80 CCII).
Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidaz. patrimonio)Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no). Può accedervi anche d’ufficio su conversione di altra procedura non riuscita.– Procedura liquidatoria: il patrimonio del debitore è gestito da un liquidatore nominato dal giudice, che vende beni e distribuisce il ricavato ai creditori.– Simile a un fallimento ma per non fallibili: spossessamento dei beni, formazione stato passivo dei creditori, vendita attivi.– Il debitore collabora ma subisce le vendite dei suoi beni (salve eccezioni di legge).Sì, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione dei debiti residui al termine della liquidazione, se ha cooperato e non ci sono stati comportamenti dolosi (artt. 282-283 CCII).
Esdebitazione del debitore incapiente (fresh start nullatenenti)Persona fisica meritevole totalmente priva di beni e redditi pignorabili. Una volta sola nella vita.– Procedura straordinaria: il debitore chiede di essere liberato dai debiti pur senza pagamento ai creditori.– Occorre dimostrare di non poter offrire alcuna utilità né ora né nel futuro prevedibile.– Tribunale valuta meritevolezza e assenza di atti in frode, sente i creditori (che spesso sono chirografari rassegnati).– Se accordata, con decreto, i creditori non soddisfatti non possono più pretendere nulla.Sì immediata: il decreto del Tribunale cancella i debiti del debitore incapiente.– Caveat: per i 4 anni successivi il debitore ha obbligo di pagamento sopravvenienze eventuali ai vecchi creditori (fino max 50%). In caso di mancata comunicazione di migliorìe reddituali, l’esdebitazione può essere revocata.

Procedura da scegliere: considerazioni finali

Un ex socio debitore dovrà valutare qual è la procedura più adatta al suo caso:

  • Se ha un reddito o patrimonio parziale e vuole evitare liquidazione forzata dei beni, può tentare un piano del consumatore (se rientra come consumatore) o un concordato minore (se imprenditore). Ciò gli permette magari di conservare la casa e pagare il possibile.
  • Se ha pochi beni e troppi debiti, e i creditori non collaborerebbero, la liquidazione controllata gli permette di chiudere la partita liquidando quel poco e togliendosi tutto di torno.
  • Se è nullatenente assoluto, puntare direttamente all’esdebitazione incapienti gli fa risparmiare tempo e sforzi, ottenendo la liberazione subito.

Va detto che le procedure concorsuali comportano dei costi (compenso OCC, eventuali spese legali, pubblicazioni) ma come notato esistono fondi di aiuto per i casi più gravi. Inoltre, la riforma ha semplificato un po’ gli iter e unificato la competenza nel Tribunale delle imprese o sezione specializzata.


Con questo, concludiamo il panorama delle possibili vie di uscita legali per l’ex socio debitore. Andiamo ora a rispondere sinteticamente ad alcune domande frequenti, per fissare i concetti chiave dal punto di vista pratico.

Domande frequenti (FAQ) e risposte

D: Un ex socio di S.n.c. risponde dei debiti contratti dalla società dopo la sua uscita?
R: No, l’ex socio di una società di persone risponde solo dei debiti sorti fino al giorno in cui era parte della società. Per le obbligazioni successive, egli non è responsabile, a condizione che la sua uscita sia stata resa opponibile ai terzi (ad esempio mediante iscrizione nel Registro Imprese e comunicazione a chi di dovere). Se i creditori ignoravano senza colpa il suo recesso (ad es. perché non pubblicizzato), potrebbero provare a ritenerlo ancora obbligato, ma in generale la legge (art. 2290 c.c.) lo tutela dal dover pagare debiti contratti quando ormai non poteva più influire sulla gestione. Ad esempio, se un contratto è stato sottoscritto dalla società dopo l’uscita del socio, quel socio non ne risponde. Viceversa, resta obbligato per i debiti già esistenti prima (es. un prestito o forniture prese mentre era socio).

D: E se il debito nasce da un contratto stipulato quando ero socio ma le prestazioni (es. canoni) scadono dopo che me ne sono andato?
R: In linea di principio conta il momento in cui l’obbligazione diviene esigibile. La Cassazione ha chiarito che rispondono dei debiti sociali coloro che sono soci al momento in cui l’obbligazione diviene esigibile nei confronti della società. Quindi, se ad esempio la società ha firmato un contratto di locazione pluriennale mentre Tizio era socio, ma alcuni canoni vengono a scadenza dopo che Tizio è uscito, Tizio non è tenuto per quei canoni futuri (purché il locatore fosse stato informato del suo recesso nel frattempo). Questo perché dopo la sua uscita Tizio non aveva più potere di gestire l’adempimento di quelle obbligazioni e la controparte contrattuale deve accettare il rischio del cambiamento nella compagine sociale. È sempre opportuno comunicare formalmente il recesso ai creditori contrattuali per evitare contestazioni.

D: Un ex socio di S.r.l. risponde dei debiti sociali non pagati?
R: Generalmente no, a meno di circostanze particolari. I soci di S.r.l. hanno per legge responsabilità limitata ai conferimenti, quindi i creditori possono rivalersi solo sul patrimonio della società. Quando la S.r.l. viene cancellata dal Registro delle Imprese, i creditori eventualmente insoddisfatti possono agire contro gli ex soci soltanto entro i limiti di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione finale. Ciò significa che se il socio non ha ricevuto nulla (come spesso accade quando l’azienda chiude male), non dovrà pagare nulla ai creditori sociali. Se invece ha ricevuto, ad esempio, €10.000 di attivo finale e resta un debito sociale di €50.000, i creditori possono chiedergli al massimo €10.000 (pro quota tra i soci). Dovranno però provare tale riparto attivo. Fanno eccezione i casi in cui il socio abbia assunto impegni personali: fideiussioni, avalli, garanzie per debiti sociali – in tal caso risponde come garante secondo il contratto firmato, indipendentemente dallo scioglimento della società. Inoltre, se il socio era anche amministratore e ha commesso irregolarità, può rispondere di danni verso creditori (azione di responsabilità), ma non è una responsabilità “automatica” da socio, va dimostrata una colpa grave.

D: L’Erario (Agenzia Entrate) o l’Agenzia delle Riscossioni possono chiedere agli ex soci di pagare i debiti tributari di una società?
R: Sì, possono, ma con limiti stringenti. Per le società di persone, i soci illimitatamente responsabili rispondono in solido dei debiti tributari della società e l’Erario può notificar loro avvisi e cartelle di pagamento, purché riguardino imposte relative al periodo in cui erano soci. Devono però rispettare il beneficio di escussione: la Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 3625/2025) ha stabilito che l’Amministrazione finanziaria deve emanare un autonomo avviso di accertamento nei confronti degli ex soci, provando che hanno percepito somme dalla liquidazione, e che comunque gli ex soci rispondono solo entro le somme effettivamente ricevute. In altri termini, gli ex soci non possono essere considerati automaticamente responsabili per l’intero debito fiscale della società estinta. Se non hanno incassato nulla in liquidazione, non devono nulla (se la società era di capitali). Nel caso di società di persone, la responsabilità è illimitata, ma se l’ex socio è uscito da oltre un anno (e non è fallibile), i creditori (incluso il Fisco) devono agire in via ordinaria contro di lui e non attraverso la procedura concorsuale. In sintesi: sì, il Fisco può rivolgersi agli ex soci per recuperare tributi non pagati entro i limiti di legge (quota di attivo ricevuto) e con gli atti dovuti (notifica diretta al socio). L’ex socio può difendersi eccependo la mancanza di tali presupposti (nessun attivo percepito, difetto di notifica, ecc.).

D: Ho ricevuto una cartella esattoriale a mio nome per debiti di una SNC di cui ero socio: posso fare qualcosa?
R: Sì. Puoi impugnarla eccependo il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale. La Corte di Cassazione ha confermato che il socio illimitatamente responsabile può fare ricorso sostenendo che il Fisco (o l’INPS) non ha provato l’insufficienza dei beni sociali prima di agire contro di lui. Nel tuo ricorso (da presentare alla competente Commissione Tributaria entro 60 giorni dalla notifica), dovrai indicare che la società aveva un patrimonio (se lo aveva) oppure che comunque l’Agente della Riscossione non ha tentato di escutere la società (ad esempio non ha pignorato i conti sociali, non ha verificato la presenza di beni). Se la società è fallita, la Cassazione dice che non basta il fallimento in sé a escutere il socio: bisogna dimostrare che neanche nel fallimento c’è capienza. Questa eccezione, se accolta, può portare all’annullamento della cartella. Se invece la società è palesemente nulla tenente o cessata, il giudice potrebbe considerare soddisfatta l’escussione implicita, ma vale comunque la pena giocarsi questa carta. In parallelo, verifica sempre che la cartella sia stata correttamente notificata e che il debito non sia prescritto. Un avvocato tributarista potrà valutare più motivi di ricorso.

D: E se la cartella riguarda debiti IVA o imposte di una SRL di cui avevo quote?
R: In tal caso, come ex socio di SRL, puoi opporla sostenendo che non hai mai ricevuto somme in liquidazione e che quindi, ai sensi dell’art. 2495 c.c. e della giurisprudenza, non sei tenuto a rispondere dei debiti sociali. È fondamentale controllare se l’Agenzia Entrate ha emesso un avviso di accertamento verso di te come ex socio: se non l’ha fatto e ti ha inviato direttamente la cartella, c’è un vizio (mancata emanazione dell’atto presupposto specifico). In genere, con la recente pronuncia delle Sez. Unite 2025, l’Agenzia dovrà notificarti un atto formale che accerti che tu hai avuto tot dalla liquidazione e quindi devi pagare quell’importo. Se ciò non è avvenuto, hai un solido argomento di opposizione. Anche qui, termini di impugnazione stretti: 60 giorni.

D: Ero socio accomandante in una S.a.s.: rischio di dover pagare i debiti sociali dopo la chiusura della società?
R: Normalmente, no oltre il tuo conferimento. I soci accomandanti sono per legge responsabili limitatamente al capitale apportato. Durante la vita sociale, i creditori non possono chiederti nulla più di quello (e di solito neanche quello, vanno sulla società). In caso di liquidazione della S.a.s., se la società si estingue con debiti, i creditori possono rifarsi su di te entro i limiti della quota di liquidazione che eventualmente hai ricevuto. Questo perché l’art. 2324 c.c. equipara la posizione degli accomandanti a quella dei soci di SRL: non rispondono oltre a quanto recuperato dalla società in liquidazione. Quindi, se non hai recuperato il tuo capitale o utili finali, non devi nulla. Se hai avuto, poniamo, 5.000 € di quota di liquidazione, quel 5.000 € potrebbe essere richiesto dai creditori rimasti insoddisfatti. Dovranno comunque provare che l’hai incassato (bilancio finale). In generale gli accomandanti, se non ingerenti nella gestione, non subiscono aggressioni personali dai creditori sociali. Anche il Fisco li tratta come soci di capitali: per l’Agenzia Entrate un accomandante succede nei debiti tributari entro limite della somma liquidata (esiste peraltro un orientamento che li assimila totalmente ai soci di SRL ai fini fiscali, quindi senza attivo distribuito non pagano).

D: I debiti si prescrivono? Quanto tempo devono aspettare i creditori per non potermi più chiedere nulla?
R: Dipende dal tipo di debito. Non esiste una prescrizione unica per “debiti sociali”, si applicano le regole ordinarie:

  • Debiti commerciali (fornitori, affitti, bollette): di solito 10 anni dal momento in cui il credito è esigibile, salvo atti interruttivi. Alcuni hanno termini più brevi: es. canoni di locazione 5 anni, stipendi 5 anni, bollette utenze 5 anni. Ma attenzione: se c’è un titolo giudiziale (es. sentenza) in mano al creditore, questo vale 10 anni dal passaggio in giudicato.
  • Debiti bancari: 10 anni (contratto di mutuo, fido) dal momento di inadempimento o dalla scadenza dell’ultima rata.
  • Debiti fiscali: le cartelle esattoriali si prescrivono in 5 anni (dalla notifica) per la maggior parte dei tributi, se nessun atto interruttivo (ex L. 159/2020). Alcune imposte hanno decadenze specifiche per la notifica degli accertamenti (es. l’IVA va accertata entro il 5° anno successivo). Bisogna esaminare caso per caso.
  • Contributi INPS: 5 anni.
  • Debiti da sentenza di risarcimento: 10 anni (titolo giudiziale).
    In pratica, un creditore sociale di solito non “dimentica” per 10 anni; se però passano tanti anni senza che abbiano più chiesto nulla né fatto atti, è possibile invocare la prescrizione. Esempio: fornitore non vi chiede niente dal 2012, e nel 2023 spunta – eccepite la prescrizione decennale. Notate che la prescrizione va eccepita in giudizio dal debitore, altrimenti il giudice non la applica d’ufficio. Quindi è un’arma difensiva importante, ma che dovete sollevare voi nella prima difesa utile in causa. Se il creditore è il Fisco, attenti: a volte mandano solleciti che interrompono i termini (perciò verificate cronologia atti). Se siete incerti sui termini, consultate un legale perché far valere la prescrizione al momento giusto può chiudere definitivamente la partita di un debito.

D: La mia società (SNC) è fallita, io ero socio ma ero uscito poco prima: possono dichiarare fallito anche me personalmente?
R: Scenario: se la società di persone viene dichiarata fallita (ora si dice liquidazione giudiziale), tutti i soci illimitatamente responsabili ancora in carica sono trascinati nel fallimento di diritto (art. 147 l.f. / art. 256 CCII). Per i soci che hanno cessato la responsabilità prima della dichiarazione, la legge fallimentare prevedeva che potessero essere dichiarati falliti se la cessazione era avvenuta entro l’anno precedente la sentenza di fallimento. Questo per evitare che uno esca all’ultimo per sfuggire al fallimento. Quindi, se tu sei uscito a ridosso del crac (meno di 12 mesi prima della dichiarazione), il curatore o i creditori potrebbero chiedere la tua estensione di fallimento come ex socio. Se invece la tua uscita è più “vecchia” (oltre un anno prima del fallimento), non puoi essere assoggettato a fallimento. Naturalmente resti responsabile dei debiti verso i creditori sociali maturati fino a quando eri socio, però essendo fuori dal fallimento questi creditori dovranno agire contro di te individualmente (non vengono automaticamente nella procedura fallimentare). In sintesi: entro 1 anno dall’uscita rischi fallimento personale, oltre no (salvo ipotesi di fallimento “improprio” ma qui entriamo in tecnicismi: direi oltre un anno sei salvo dal fallimento personale, come giustamente affermato anche da Cassazione e dottrina). Nel nuovo Codice, mi risulta sia rimasta analoga previsione (art. 256 CCII). Dunque tempismo cruciale.

D: Se ero socio di fatto o di una società irregolare, le stesse regole valgono?
R: In generale sì: se due o più persone operano come società di fatto (senza atto scritto, magari in modo occulto) e contraggono debiti, i creditori possono far valere la responsabilità illimitata dei soci di fatto. In caso di insolvenza, anche la società di fatto può essere dichiarata fallita con i soci. L’uscita da una società di fatto è complessa da provare (non essendoci registri ufficiali), quindi un presunto ex socio di fatto dovrà dimostrare di aver sciolto il rapporto societario con atto noto ai terzi. Le tutele di art. 2290 c.c. valgono analogicamente, ma tutto è meno formalizzato. Quindi, attenzione: se eri socio occulto o di fatto e cerchi di sottrarti ai debiti dicendo “sono uscito”, potresti avere difficoltà se non c’è evidenza pubblica di quando hai cessato. In linea di massima, vale lo stesso principio: sei responsabile per i debiti sorti mentre partecipavi di fatto alla società, non per quelli successivi al tuo distacco, ma l’onere di provare la fine del rapporto grava su te ed è complicato.

D: Se pago io ex socio tutti i debiti sociali, posso rivalermi sugli altri soci?
R: , hai diritto di regresso verso gli altri soci per la parte di debito che eccede la tua quota. Nelle società di persone, salvo patto diverso, i soci sopportano le perdite in proporzione alle parti di capitale o agli accordi sociali. Quindi se tu, socio A, hai pagato 100 ai creditori che erano debiti della società di cui eri socio al 50% con B, hai diritto di chiedere a B la sua metà (50). Questo è sancito dal codice (rapporto di mutua garanzia tra coobbligati solidali). In pratica, però, devi poi agire contro B legalmente se non vuole spontaneamente rimborsarti. Spesso queste cause interne avvengono dopo che uno dei soci ha subito un’esecuzione e gli altri no: il socio che ha pagato può citare i soci inadempienti per farsi restituire la loro parte. Se però anche gli altri sono insolvibili o irreperibili, rimane una vittoria sulla carta. Tra soci di capitali ciò si pone meno perché di regola i soci non devono pagare nulla; potrebbe presentarsi se più soci avevano prestato fideiussione solidale e uno paga tutto: anche lì, sì, diritto di regresso pro-quota. Il consiglio è: cercate di muovervi d’accordo già in fase di negoziazione coi creditori, così da evitare di dover litigare dopo tra voi. Ad esempio, se tre ex soci decidono di chiudere i debiti mettendo il 33% ciascuno, possono fare un accordo interno; se poi uno non rispetta, gli altri due potranno rivalersi, ma almeno c’è chiarezza di impegni.

D: Ho molti debiti personali derivati dal fallimento della mia società. Non ho modo di pagarli tutti. Posso liberarmene in qualche modo?
R: Sì, l’ordinamento ti offre la possibilità di liberarti dei debiti residui attraverso l’esdebitazione. Ci sono vari percorsi:

  • Se sei stato dichiarato fallito personalmente, puoi presentare istanza di esdebitazione dopo la chiusura del fallimento (art. 282 CCII). Il Tribunale, verificato che sei meritevole (nessuna frode, cooperativo durante la procedura) emetterà decreto che cancella i debiti chirografari non pagati nel fallimento. Così non dovrai più nulla ai creditori vecchi e potrai ricominciare.
  • Se non sei fallito (ad es. perché la tua società era SRL e tu socio no, o SNC ma sei uscito per tempo, o ditta individuale non fallibile), puoi accedere alle procedure di sovraindebitamento previste per le persone sovraindebitate. A seconda del tuo profilo, puoi:
    • Usare un piano del consumatore (se i debiti sono perlopiù personali e non legati all’impresa),
    • O un concordato minore (se sei ex imprenditore con debiti di impresa).
    • Se non hai nulla da offrire, addirittura chiedere l’esdebitazione del debitore incapiente, che ti cancella i debiti subito senza pagare nulla (riservata ai casi estremi in cui sei nullatenente ma meritevole).
    • Altrimenti, puoi mettere a disposizione quel poco che hai in una liquidazione controllata e ottenere l’esdebitazione dopo che i beni sono liquidati.

In sostanza, : la legge italiana oggi consente alla persona fisica sovraindebitata di ottenere la cancellazione dei debiti residui, una volta che abbia soddisfatto certi requisiti di buona fede e, se possibile, dato ai creditori tutto il ragionevolmente ottenibile. Dal punto di vista del debitore, l’esdebitazione è la meta finale per tornare economicamente “pulito”. La chiave è rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a professionisti competenti che ti guideranno nella procedura giusta.

D: Quanto tempo ci vuole per essere esdebitati?
R: Dipende dalla procedura:

  • Esdebitazione post-fallimento: può avvenire poco dopo la chiusura del fallimento, quindi i tempi del fallimento (che può durare 1-3 anni per procedure semplici, anche 5-6 per quelle più complesse). Dopo la chiusura, l’istanza di esdebitazione viene decisa in pochi mesi generalmente.
  • Piano del consumatore: la procedura di omologazione può durare pochi mesi (6-12 mesi) se la documentazione è completa e non ci sono intoppi. L’esdebitazione avviene dopo l’esecuzione del piano, che magari può durare diversi anni (es. un piano su 5 anni: solo dopo quei 5 anni, quando hai pagato le rate pattuite, i debiti residui sono cancellati).
  • Concordato minore: tempi simili (qualche mese per omologa se creditori collaborano). Anche qui l’esdebitazione giunge a completamento del piano di pagamento, che può essere pluriennale.
  • Liquidazione controllata: la durata dipende dal numero di beni da liquidare. Può variare da 1-2 anni (se ci sono solo pochi beni da vendere) a magari 4 anni. Al termine, una volta depositato il rendiconto finale e pagato il ricavato, puoi chiedere esdebitazione subito. Quindi stimabile 3-5 anni dall’avvio.
  • Esdebitazione incapiente: è la più rapida, perché non c’è da eseguire pagamenti. Dalla domanda al decreto potrebbero passare pochi mesi (diciamo 4-6 mesi), dopodiché i debiti sono subito cancellati (salvo l’obbligo di segnalare sopravvenienze per 4 anni).
    In generale, parlare di anni può sembrare lungo, ma pensa che senza queste procedure i creditori potrebbero perseguitarti a vita (fino a 10 anni rinnovabili se ottengono decreti). Quindi anche 4-5 anni per uscirne definitivamente è un buon affare. L’importante è attivarsi presto e non lasciar marcire la situazione.

D: Dopo l’esdebitazione, potrò tornare a fare l’imprenditore o chiedere finanziamenti?
R: Sì. L’esdebitazione, soprattutto quella ottenuta in procedure giudiziarie, riabilita il debitore. Ad esempio, dopo l’esdebitazione post-fallimento, il tuo nominativo viene cancellato dai registri dei protesti e dalle banche dati dei “cattivi pagatori” per quei debiti pregressi, in quanto per legge non sono più dovuti. Anche l’esdebitazione da sovraindebitamento dovrebbe renderti nuovamente “affidabile”, anche se nella pratica le banche possono fare valutazioni discrezionali. Ma giuridicamente non ci sono preclusioni: potrai aprire una nuova società, contrarre nuovi mutui, ecc. Addirittura la legge fallimentare prevede che il fallito esdebitato riacquista la capacità di stare in società e la stima commerciale. È l’obiettivo del fresh start: un debitore liberato torna un cittadino economicamente attivo. Certo, se chiedi un prestito, probabilmente ti chiederanno se hai avuto procedure concorsuali pregresse e lo terranno in conto. Ma la mera esdebitazione non ti impedisce nulla: non sei più fallito, non hai più carichi pendenti di pagamento. Dovrai ovviamente stare attento a non ricadere nell’indebitamento eccessivo, anche perché l’esdebitazione incapiente la puoi usare solo una volta e anche per le altre procedure sarebbe difficile ottenerla di nuovo in breve tempo.

D: Cosa succede se, dopo un’esdebitazione per incapienza, improvvisamente divento benestante (per es. un’eredità)?
R: Come accennato, la legge prevede uno specifico meccanismo di “controllo” per 4 anni dopo l’esdebitazione incapiente. Dovrai informare il gestore o il tribunale delle sopravvenienze di rilievo e una parte di esse dovrà essere destinata ai vecchi creditori (fino al 50% di ciò che eccede un certo minimo necessario). Se, poniamo, un anno dopo aver avuto l’esdebitazione a zero, erediti 100.000 €, il tribunale potrebbe ordinare che tu ne versi 50.000 in un conto a beneficio dei creditori che erano stati falcidiati, in proporzione ai rispettivi crediti annullati. Questo non “riapre” i debiti in senso tecnico (resti esdebitato), ma è come una condizione risolutiva parziale: devi condividere la fortuna inaspettata con loro, altrimenti l’esdebitazione può essere revocata o comunque si può considerare non equo il beneficio. Dopo i 4 anni, quel che guadagni resta tuo senza vincoli. Nel caso di un esdebitato incapiente che trovi un lavoro normale, di solito il reddito da lavoro serve a lui e alla famiglia, quindi difficilmente scatta l’obbligo di devolvere parte (salvo sia molto alto); serve più per grosse vincite o eredità.

D: Quali debiti non si cancellano nemmeno con l’esdebitazione?
R: Alcune categorie di debito rimangono anche dopo le procedure:

  • Obblighi di mantenimento e alimentari stabiliti da legge o sentenza (es. assegno divorzile, mantenimento figli) – non sono cancellati, per ragioni di tutela familiare.
  • Debiti da risarcimento di danni derivati da fatti illeciti gravi (es. danni per morte o lesioni causati dal debitore) – qui c’è un’esclusione in genere.
  • Multe, ammende e sanzioni penali o amministrative pecuniarie – lo Stato non rinuncia a quelle, quindi anche se ti esdebiti, le multe stradali, le sanzioni tributarie, ecc., restano dovute. Tuttavia, attenzione: c’è un dibattito se nella sovraindebitamento si possano includere o meno le sanzioni. La giurisprudenza recente tende a escluderle dall’esdebitazione (il CCII art. 280 mi pare dica che restano fuori).
  • Debiti fiscali per somme dovute a titolo di capitale? Questi in realtà si esdebitano, sì, come tutti i chirografari; l’unica eccezione erano le sanzioni come detto. Idem i contributi previdenziali.
  • Debiti da dolo del debitore emersi in una procedura concorsuale? Nel vecchio fallimento c’era una preclusione se il debitore era condannato per bancarotta fraudolenta. Ora credo che se ha commesso reati di frode, il giudice può negare l’esdebitazione per indegnità.
    In sintesi, la maggior parte dei debiti “normali” (commerciali, bancari, fiscali, contributivi) possono essere cancellati. Mentre quelli che hanno natura punitiva (multe) o personale (mantenimento) no.

D: In concreto, cosa deve fare un ex socio indebitato che voglia avviare queste procedure?
R: Dovrebbe rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) sul territorio (spesso istituiti presso le Camere di Commercio o gli Ordini professionali). Lì spiegherà la situazione e verrà affiancato da un Gestore della crisi, una figura terza che aiuta a predisporre la domanda e il piano. Può anche incaricare un avvocato con competenze specifiche per sovraindebitamento, il quale a sua volta lavorerà con l’OCC. In molte città le procedure sono oramai collaudate. Occorrerà raccogliere tutti i documenti sui debiti, l’elenco del patrimonio, redditi, e redigere una relazione sulle cause dell’indebitamento. Il passo iniziale è quindi: contattare l’OCC e presentare un’istanza di nomina di un gestore. Dopodiché si deciderà quale procedura (piano, concordato minore o liquidazione) intraprendere. Il tribunale competente di solito è quello del luogo di residenza del debitore.

D: E se i miei debiti non sono poi così enormi? Mi conviene comunque la procedura?
R: Dipende. Le procedure concorsuali convengono quando la situazione è ingestibile con i mezzi ordinari. Se i debiti sono ridotti e puoi trattarli individualmente (magari con qualche aiuto economico), spesso è preferibile evitare la procedura giudiziale, che comporta pubblicità e rigidità. D’altro canto, la procedura garantisce la liberazione completa dai debiti: ad esempio, se hai 10 creditori e accordarsi con tutti è complicato, un concordato minore risolve tutto in un colpo solo. C’è una soglia psicologica ed economica: per poche migliaia di euro di debito, meglio trattare privatamente; per centinaia di migliaia o milioni, la procedura è l’unica via. Nel mezzo, va valutato caso per caso. Tieni presente anche i costi: OCC e spese legali possono pesare (anche se per l’incapiente c’è un fondo ora). In un piano, dovrai destinare qualche migliaio di euro magari alle spese della procedura stessa. In liquidazione, i costi escono dall’attivo liquidato. Quindi, se l’indebitamento è relativamente piccolo e magari concentrato con un unico creditore, forse conviene fare una transazione con quello.

D: Un ex socio fallito può beneficiare di queste procedure di sovraindebitamento?
R: No, non mentre è in fallimento. Se sei già fallito (liquidazione giudiziale aperta), devi seguire quell’iter e poi chiedere esdebitazione in quella sede. Le procedure di sovraindebitamento sono alternative al fallimento (non vi può accedere chi è soggetto a liquidazione giudiziale aperta). Tuttavia, un ex socio fallito dopo il fallimento potrebbe comunque, se rimangono debiti non esdebitabili in quella sede, valutare il piano per quelli (caso raro: ad es. sanzioni escluse in fallimento potrebbero in teoria essere oggetto di piano, ma non credo ammissibile per norma). In generale, se sei ex socio di SNC e sei fallito col fallimento della società, attenderai l’esdebitazione nel fallimento. Se per assurdo ti venisse negata (es perché hai commesso reati), non hai scorciatoie tramite sovraindebitamento – quella negazione ti chiude porte per qualche tempo. Diverso caso: socio non fallito ma con debiti – lui sì che può usare sovraindebitamento come abbiamo discusso.


Conclusione: Difendersi come ex socio debitore richiede un mix di azioni: conoscere i propri diritti per non pagare oltre il dovuto, usare la legge a proprio favore per negoziare soluzioni e, quando necessario, affidarsi alle procedure concorsuali per una soluzione equa e definitiva. Il panorama normativo aggiornato al 2025 offre diversi strumenti di tutela del debitore in buona fede, riconoscendo che il fallimento di un’impresa o un sovraindebitamento possono capitare e che è interesse di tutti (anche dell’economia generale) permettere all’ex imprenditore di ripartire senza essere schiacciato da debiti impagabili. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale agire per tempo, con trasparenza e con l’assistenza di professionisti, per ottenere i benefici di legge ed evitare di subire invece azioni esecutive disordinate. Speriamo che questa guida – completa di riferimenti normativi e giurisprudenziali – abbia fornito gli strumenti necessari per capire cosa fare per difendersi efficacemente in queste situazioni.

Fonti e riferimenti normativi

  • Codice Civile:
    • Art. 2290 c.c. – Responsabilità del socio uscente nelle società di persone (il socio risponde dei debiti sociali fino al giorno dello scioglimento del rapporto).
    • Art. 2304 c.c. – Beneficio di escussione a favore dei soci illimitatamente responsabili (i creditori sociali non possono agire sui soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale).
    • Art. 2495 c.c. – Cancellazione della società di capitali e responsabilità dei soci e liquidatori (i soci rispondono dei debiti sociali entro le somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione).
    • Artt. 2324, 2313 c.c. – Estensione agli accomandanti: i soci accomandanti di S.a.s. rispondono nei limiti della quota liquidata (analogia con società di capitali).
  • Legge Fallimentare (RD 267/42) e Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019):
    • Art. 147 RD 267/42 (ora art. 256 CCII) – Fallimento dei soci illimitatamente responsabili, inclusi quelli cessati entro 1 anno.
    • Art. 10 RD 267/42 (ora art. 33 CCII) – Termine di 1 anno dalla cessazione dell’impresa per fallire l’imprenditore cessato.
    • Art. 142 RD 267/42 (ora art. 282 CCII) – Esdebitazione del fallito (condizioni per la liberazione dai debiti residui).
    • Art. 283 CCIIEsdebitazione del debitore incapiente: debitore meritevole, persona fisica, senza utilità da offrire, può essere esdebitato una volta sola.
    • Artt. 65-73 CCIIPiano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (disciplina ex L.3/2012).
    • Artt. 74-83 CCIIConcordato minore (procedura di composizione per debitori non fallibili con voto dei creditori).
    • Artt. 268-277 CCIILiquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione patrimonio).
    • D.L. 137/2020 conv. L.176/2020 – Introduzione immediata dell’esdebitazione incapiente nell’ordinamento (art. 14-quaterdecies L.3/2012).
  • Giurisprudenza:
    • Cass., Sez. Un., 22/02/2010, nn. 4060-4062: cancellazione immediata e natura successoria dei debiti ai soci (fondamento dell’art. 2495 c.c.).
    • Cass., Sez. Un., 26/03/2013, nn. 6070-6072: principi su estinzione società e rapporti processuali successori.
    • Cass., Sez. Un., 12/02/2025, n. 3625: responsabilità degli ex soci per debiti tributari società estinta – gli ex soci succedono nei debiti fiscali nei limiti delle somme percepite in liquidazione; Fisco deve notificare avviso specifico a ciascun socio.
    • Cass., Sez. I, 24/11/2023, n. 32729: conferma orientamento su ex soci SRL: creditore deve provare distribuzione attivo e socio risponde solo entro quella.
    • Cass., Sez. III, 23/10/2023, n. 29306: ex socio SNC non risponde di obbligazioni divenute esigibili dopo recesso (caso canoni di locazione).
    • Cass., Sez. V, 02/07/2021, n. 18345: il socio illimitatamente responsabile può impugnare cartella esattoriale eccependo violazione del beneficium excussionis; onere sul Fisco di provare incapienza patrimonio sociale.
    • Tribunale di Torino, 13/07/2022: (in Giurisprudenza delle Imprese) in fallimento SNC, socio cessato da oltre un anno non è fallito né tenuto a contribuzione ex art. 2280 c.c.; creditori sociali però conservano azione individuale verso socio non fallito.
    • Corte di Appello di Venezia, 03/06/2025, n. 2785: (richiamata in osservatorio-corporate) conferma che socio unico SRL non risponde oltre quanto riscosso, e se non ha riscosso nulla non risponde affatto.
    • Tribunale di Napoli Nord, 2023: (linee guida OCC) – meritevolezza nel piano del consumatore e requisiti.
    • Tribunale di Roma, vari decreti 2023-2024: applicazione art. 283 CCII, concessione esdebitazione incapienti (es. citato in dottrina: caso debitore incapiente con reddito solo da pensione sociale, esdebitato).

Ex Soci di Impresa di Vendita di Prodotti per la Casa con Debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Conclusione

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