Cosa Sono Le Questioni Assorbenti Nel Processo Tributario

Hai sentito parlare di questioni assorbenti nel processo tributario, ma non sai esattamente cosa significhino?
Se stai affrontando un ricorso contro un accertamento o una cartella esattoriale, è fondamentale capire cosa sono le questioni assorbenti, quando si applicano e perché possono far vincere una causa fiscale anche senza discutere tutti i motivi del ricorso.

Cosa si intende per “questioni assorbenti” nel processo tributario
Le questioni assorbenti sono motivi di ricorso o argomentazioni difensive che, se accolti dal giudice, rendono inutile esaminare gli altri motivi. In pratica, si tratta di questioni talmente decisive che, una volta riconosciute fondate, assorbono tutte le altre: non c’è bisogno di discutere il resto, perché la causa si chiude lì.

Il principio dell’assorbimento permette al giudice di evitare una pronuncia su tutti i punti sollevati, concentrandosi solo su quello che risolve la controversia.

Esempi tipici di questioni assorbenti nel processo tributario
– Un vizio di notifica dell’atto fiscale, che ne comporta la nullità: se l’accertamento è nullo, non serve discutere il merito del tributo
– L’omessa motivazione di un avviso di accertamento: se l’atto è carente sotto il profilo motivazionale, va annullato a prescindere dal contenuto
– La prescrizione del credito tributario: se il diritto a riscuotere è scaduto, non serve analizzare l’imposta
– La mancata instaurazione del contraddittorio, nei casi in cui è obbligatorio
– La violazione del principio del ne bis in idem, se l’imposta è già stata oggetto di altro accertamento o sentenza

A cosa servono le questioni assorbenti
– A far annullare l’atto fiscale con una sola questione decisiva
– A semplificare il giudizio, evitando di affrontare tutti i motivi del ricorso
– A concentrare la difesa su un punto forte, strategico e facilmente dimostrabile
– A ridurre i tempi e i costi del processo, con vantaggi pratici per il contribuente

Come si sollevano le questioni assorbenti nel processo tributario
– All’interno del ricorso introduttivo, come motivo principale o tra i motivi alternativi
– In modo chiaro e distinto, specificando che si tratta di questione assorbente
– Con l’assistenza di un avvocato o difensore abilitato, che sappia individuare i vizi strategici dell’atto fiscale
– Anche in appello, se il primo grado non ha considerato una questione che avrebbe potuto assorbire il resto

Cosa può decidere il giudice in presenza di una questione assorbente
– Può accogliere il ricorso solo su quella questione, assorbendo gli altri motivi
– Può non esprimersi sul merito dell’imposta, perché la decisione è già sufficiente a definire la causa
– Può riconoscere le spese di giudizio a favore del contribuente, se la questione assorbente comporta l’annullamento dell’atto

Cosa puoi ottenere con una corretta impostazione difensiva basata su una questione assorbente
– L’annullamento totale dell’atto impugnato, con una sola questione ben sollevata
– Una difesa più efficace e concentrata, anche in casi complessi
– La tutela dei tuoi diritti fiscali con il minimo sforzo probatorio
– La possibilità di evitare un giudizio sul merito, se il vizio formale o sostanziale è già decisivo

Attenzione: le questioni assorbenti sono spesso decisive, ma vanno formulate con precisione e in modo tempestivo. Un errore nella loro impostazione può far perdere l’occasione di chiudere subito la causa. Affidarsi a un professionista è essenziale per sfruttare al meglio questa opportunità difensiva.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, annullamento atti fiscali e strategie difensive avanzate ti spiega cosa sono le questioni assorbenti, come usarle e perché possono farti vincere il ricorso anche senza discutere tutti i motivi.

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Introduzione

Nel contenzioso tributario può accadere che il giudice risolva la causa decidendo una questione “assorbente”, tale per cui le altre questioni sollevate dalle parti non vengono esaminate. In altre parole, una questione assorbente è un motivo o un’eccezione sufficientemente decisivo da rendere superfluo affrontare gli altri. Ad esempio, se il contribuente contesta un avviso di accertamento sia per un vizio formale (come la notifica invalida) sia nel merito (sostenendo l’inesistenza del debito d’imposta), e il giudice accoglie il vizio formale, la decisione sul merito viene “assorbita” e non è affrontata. Questo fenomeno, frequente nel processo tributario, comporta importanti conseguenze processuali, specialmente in appello e in Cassazione. Di seguito forniremo una guida approfondita e aggiornata a luglio 2025 sulle questioni assorbenti nel processo tributario, con riferimenti normativi, pronunce giurisprudenziali recenti e consigli pratici dal punto di vista del contribuente (debitore).

Definizione e inquadramento delle questioni assorbenti

In assenza di una definizione normativa specifica, il concetto di questione assorbente è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale. In generale, si ha un’questione assorbente quando la decisione del giudice su di essa copre o implica la decisione sulle altre questioni, rendendo queste ultime inutili o implicitamente rigettandole. In altre parole, il giudice fonda la pronuncia su un motivo che prevale sugli altri: gli altri motivi vengono considerati assorbiti poiché, dato l’esito su quello principale, non vi è necessità né possibilità di esaminarli.

La Corte di Cassazione ha distinto due forme di assorbimento:

  • Assorbimento in senso proprio: ricorre quando, avendo il giudice accolto una domanda o eccezione “principale”, la parte ottiene già tutta la tutela richiesta, e quindi manca interesse residuo a decidere altre domande subordinate. La decisione sulle altre questioni diviene superflua perché la parte vittoriosa ha già ottenuto il massimo risultato possibile con la pronuncia sulla questione principale. Ad esempio, se il contribuente impugna un atto sia chiedendone l’annullamento totale sia, subordinatamente, la riduzione dell’imposta, e il giudice annulla totalmente l’atto, la domanda subordinata di riduzione è assorbita in senso proprio: la sua decisione non serve più, poiché l’atto non esiste più.
  • Assorbimento in senso improprio: avviene quando la decisione su una questione pregiudiziale o comunque prioritaria esclude la necessità o la possibilità di decidere le altre questioni, oppure comporta un loro implicito rigetto. In sostanza, la pronuncia sull’elemento assorbente implica logicamente la sorte delle questioni assorbite. Ad esempio, se il giudice dichiara inammissibile il ricorso tributario per un vizio processuale (es. tardività del ricorso), tale decisione assorbente rende impossibile provvedere sulle censure di merito, che restano non esaminate; oppure, se rigetta un’impugnazione principale, rimangono assorbiti eventuali appelli incidentali condizionati.

Importante: In entrambi i casi, formalmente il giudice non si pronuncia sulle questioni assorbite. Tuttavia, dal punto di vista logico, nell’assorbimento improprio le questioni assorbite risultano implicitamente decise (rigettate o rese irrilevanti) dalla pronuncia assorbente. Nell’assorbimento in senso proprio, invece, le questioni subordinate decadono per difetto sopravvenuto di interesse della parte vincitrice ad avere una decisione su di esse.

La mancata pronuncia espressa sulle questioni assorbite non integra vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) quando l’assorbimento è corretto e giustificato. Infatti, in tal caso la decisione “assorbente” contiene già la soluzione implicita delle restanti questioni, sia pure in modo indiretto. Diversamente, se il giudice dichiara assorbita una questione erroneamente, privando una parte di una decisione cui aveva diritto, si configura un vizio di omessa pronuncia censurabile in appello o per cassazione. La Cassazione ha ribadito che “allorquando l’assorbimento venga erroneamente dichiarato esso si traduce in un’omessa pronunzia”, ossia un vero e proprio errore in procedendo.

Va evidenziato che “non esiste una definizione normativa dell’assorbimento”, trattandosi di un istituto di creazione giurisprudenziale e pratica. La Corte Suprema (Sez. Trib., sent. n. 10993/2023) ha sottolineato che l’assorbimento è un metodo logico-argomentativo di decisione che comporta la formale mancata decisione su alcune domande, dopo aver deciso quella ritenuta assorbente. Tale termine è impiegato per descrivere situazioni eterogenee: dalle ipotesi classiche sopra descritte, fino ai casi in cui norme processuali prevedono effetti assorbenti (ad es. sospensione del processo per pregiudizialità, difetto di giurisdizione, ecc., che rendono inutile procedere oltre).

In ambito tributario, esempi tipici di questioni assorbenti sono: vizi procedurali o formali dell’atto impugnato (es. difetto di notifica, carenza di motivazione, incompetenza dell’ufficio, nullità dell’atto per altri motivi formali), eccezioni preliminari di merito come la decadenza o la prescrizione del potere impositivo, la litispendenza o il difetto di legittimazione. Se accertato uno di questi vizi che travolge in radice la pretesa tributaria o il processo, il giudice può decidere la causa su tale base senza esaminare le ulteriori questioni di merito sulla fondatezza dell’imposta o delle sanzioni. Ad esempio, l’accoglimento dell’eccezione di decadenza (ossia l’avviso di accertamento emesso oltre i termini di legge) assorbe l’esame del merito della pretesa tributaria; oppure, l’annullamento di un avviso per vizio di notifica rende inutile discutere se l’imposta fosse dovuta o meno. Anche le questioni di giurisdizione o competenza sono assorbenti: se un ricorso viene dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice tributario, tutte le questioni di merito fiscale restano assorbite e non decise.

Sintesi: una questione assorbente è una questione (domanda od eccezione) di tale portata che, se accolta o esaminata per prima, determina da sola l’esito del giudizio, rendendo inutili le altre. Ciò imprime al processo tributario criteri di economia processuale, ma pone anche problemi in caso di impugnazione, poiché alcune questioni rimangono “sospese” e potenzialmente da esaminare solo se la decisione assorbente viene ribaltata nei successivi gradi di giudizio.

Le questioni assorbenti nel giudizio di primo grado

Nel giudizio di primo grado (davanti alla Commissione/oggi Corte di Giustizia Tributaria di primo grado), le questioni assorbenti emergono quando il giudice decide il ricorso basandosi su un unico motivo decisivo e tralascia gli altri. Il giudice tributario, al pari di ogni giudice civile, ha il dovere di esaminare tutte le domande ed eccezioni proposte (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, art. 112 c.p.c.), salvo che esse divengano irrilevanti a seguito della soluzione di una questione pregiudiziale o assorbente. Pertanto, in primo grado il giudice segue un ordine logico: normalmente affronta prima le questioni di rito o preliminari di merito che possono definire la causa (questioni pregiudiziali), poi – solo se necessario – passa all’esame del merito della pretesa tributaria.

Se una questione pregiudiziale viene accolta (ad esempio, si dichiara nullo l’atto impugnato per un vizio formale o si ritiene prescritto il credito tributario), essa funge da questione assorbente: il ricorso viene deciso in base a quella, e la sentenza tace sugli altri motivi. Tecnicamente, il giudice “assorbe” le altre questioni, evitando di dilungarsi su aspetti che, dato l’esito, non influiscono sul dispositivo. Questo approccio è coerente con i principi di economia processuale e di logicità della motivazione: il giudice non è tenuto a decidere questioni divenute oggettivamente irrilevanti per effetto della sua pronuncia su un motivo decisivo. Ad esempio, se il contribuente eccepisce sia la tardività dell’atto impositivo sia l’erroneità del calcolo dell’imposta, e il giudice accerta che l’atto è tardivo (quindi decaduto), annullerà l’atto per questo motivo e non affronterà l’errore di calcolo, perché una volta annullato l’atto per tardività l’errore di calcolo non rileva più.

È bene sottolineare che il giudice di primo grado dovrebbe dichiarare esplicitamente in motivazione che, avendo deciso su un certo motivo, “assorbe” gli altri (a volte si legge in sentenza: “Assorbiti gli ulteriori motivi” oppure “Restano assorbite le altre eccezioni”). Una motivazione chiara in tal senso è opportuna per far comprendere alle parti che la mancata disamina di quei punti non è una svista, bensì una scelta logico-giuridica. Purtroppo, non sempre le sentenze di primo grado lo esplicitano con formula chiara; talora il giudice semplicemente non menziona affatto le altre questioni. In assenza di un’espressione chiara di assorbimento, il rischio è che la parte soccombente su quelle questioni possa lamentare un’omessa pronuncia. Tuttavia, come visto, se davvero la decisione su un punto rendeva inutile decidere sugli altri, la mancata pronuncia non è un errore: è considerata coperta dall’assorbimento e non integra omessa decisione sostanziale. Ad esempio, Cassazione n. 14978/2020 spiega che quando ricorre l’assorbimento (in senso proprio o improprio) non sussiste vizio di omessa pronuncia, sebbene formalmente alcune domande non siano state decise, in quanto implicatamene lo sono state.

Errore del giudice di primo grado nell’assorbimento: se però il giudice sbaglia ad assorbire una questione – ossia la considera risolta dalla decisione su un altro punto, mentre in realtà così non è – si verifica un’omissione illegittima. Ciò avviene, ad esempio, se il giudice dichiara assorbita una domanda autonoma che andava invece esaminata separatamente. In tale caso, la parte che aveva proposto quella domanda/eccezione subisce un pregiudizio perché non ha ottenuto risposta. Il rimedio è impugnare la sentenza per omessa pronuncia (in appello, se parliamo del primo grado). Dal punto di vista del contribuente, è fondamentale leggere attentamente la sentenza di primo grado: se qualche motivo difensivo non risulta né accolto né esplicitamente rigettato, bisogna capire se è stato considerato tacitamente assorbito oppure se il giudice vi ha omesso di pronunciare per errore. Nel dubbio, è prudente sollevare la questione in appello, per evitare che un eventuale assorbimento erroneo resti sanato.

Riassumendo per il primo grado: il giudice tributario può decidere la causa sulla base di una questione assorbente (tipicamente una questione preliminare di rito o merito che determina l’annullamento o il rigetto del ricorso) e in tal caso non affronta le altre questioni. Ciò è legittimo e non viola l’art. 112 c.p.c. se effettivamente la decisione sul punto assorbente era sufficiente a definire la controversia. Lato contribuente, vincere in primo grado per una questione assorbente è certamente positivo, ma occorre essere preparati per il grado successivo: quella vittoria infatti poggia su un solo pilastro (es. un vizio formale) e le altre difese non sono state valutate. Se la controparte appella, tutte le questioni assorbite torneranno potenzialmente in gioco e bisognerà gestirle in appello come spiegato oltre.

Le questioni assorbenti nel giudizio di appello

Nel giudizio di appello tributario (davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, ex Commissione regionale), il tema delle questioni assorbite diventa cruciale. L’appello tributario, analogamente all’appello civile, ha effetto devolutivo: porta al giudice di secondo grado le questioni controverse del primo giudizio affinché vengano riesaminate. Tuttavia, l’effetto devolutivo non è automatico e totale, ma limitato dai motivi d’impugnazione proposti dall’appellante e dalle eventuali riproposizioni dell’appellato. In altre parole, il giudice d’appello può e deve esaminare solo ciò che rientra nel “thema decidendum” del secondo grado, delimitato dalle doglianze di chi appella e dalle istanze riproposte dalla controparte.

Presunzione di rinuncia delle questioni non riproposte (art. 56 D.Lgs. 546/1992)

La regola fondamentale in appello è contenuta nell’art. 56 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (ancora vigente fino al 31 dicembre 2025, poi trasfusa senza modifiche sostanziali nell’art. 110 del nuovo Testo Unico della Giustizia Tributaria, D.Lgs. 175/2024). L’art. 56 recita:

“Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, s’intendono rinunciate.”

Questo significa che la parte vincitrice in primo grado, se intende conservare in appello le questioni su cui il primo giudice non si è pronunciato a suo favore (perché le ha respinte o le ha lasciate assorbite), deve riproporle espressamente nel giudizio di appello, altrimenti si presume che vi rinunci. Tale presunzione di rinuncia è assoluta e determina la formazione di un giudicato interno su quelle questioni. In pratica, se un’eccezione o domanda del contribuente non viene riesaminata in appello perché non riproposta, essa è persa definitivamente: non potrà più essere sollevata né nei gradi successivi né in un nuovo giudizio.

Ambito di applicazione – “non accolte” include le assorbite: L’espressione “questioni ed eccezioni non accolte” ha dato luogo a interpretazioni: la Cassazione ha chiarito che essa si riferisce alle questioni su cui il primo giudice non ha pronunciato in modo favorevole, e comprende sia quelle espressamente rigettate sia quelle non esaminate perché assorbite. Dunque:

  • Se una questione è stata espressamente respinta in primo grado (il contribuente è risultato soccombente su di essa), non basta riproporla: per eliminarne gli effetti serve un’impugnazione (appello incidentale), perché lì c’è già un deciso rigetto. In altri termini, la parte vittoriosa su altri fronti ma soccombente su una specifica domanda o eccezione deve proporre appello incidentale se vuole che la Corte d’Appello la riesamini. Ad esempio, il contribuente vince sul merito ma si vede rigettare l’eccezione di prescrizione: se vuole far valere la prescrizione dovrà appellare (incidentale) quella parte, essendo stata espressamente respinta.
  • Se una questione non è stata esaminata (né accolta né rigettata) in primo grado, tipicamente perché assorbita, la parte pienamente vittoriosa non ha l’onere di appello incidentale (non essendovi una statuizione sfavorevole da rimuovere), ma ha comunque l’onere di riproporla espressamente in appello. In mancanza, scatta la presunzione di rinuncia ex art. 56. La Cassazione lo afferma chiaramente: “la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado… non ha l’onere di proporre appello incidentale… ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente [le questioni assorbite], in modo tale da manifestare la volontà di chiederne il riesame”.

Quindi, per la parte appellata vittoriosa (spesso il contribuente, se l’ente impositore appella), è determinante distinguere le proprie difese di primo grado in due categorie: quelle vinte (accolte) e quelle rimaste inevase o perdute. Quelle già vinte non richiedono azioni specifiche (il loro effetto prosegue, e l’appellante semmai cercherà di farle cadere); quelle inevase o assorbite, invece, vanno rimesse sul tavolo del giudice di secondo grado tramite un’adeguata riproposizione.

Modalità e termini per la riproposizione delle questioni assorbite

Come si ripropongono le questioni? La legge non prescrive formule sacramentali. È però necessario che la volontà di riproporre sia espressa chiaramente e specificamente, preferibilmente nell’atto di costituzione in appello (la “memoria di risposta” dell’appellato). Non basta un generico rinvio alle difese di primo grado: la Cassazione richiede un’indicazione specifica di ogni questione che l’appellato intende mantenere viva. Ad esempio, scrivere frasi vaghe tipo “si richiamano tutte le eccezioni già sollevate” è considerato insufficiente. Occorre invece ribadire puntualmente: “In relazione all’eccezione di nullità dell’atto per difetto di motivazione, già sollevata in primo grado e non esaminata, l’appellato ne chiede l’espressa valutazione in questo grado”, oppure: “Si ripropone l’eccezione di prescrizione del credito tributario, rimasta assorbita in prime cure”. Questa chiarezza mette al riparo dal rischio di interpretazioni infauste.

Riguardo al termine, l’art. 56 D.Lgs. 546/92 non lo fissa espressamente. La giurisprudenza – anche a Sezioni Unite per il processo civile – ha stabilito che la riproposizione va fatta al più tardi entro la prima udienza di trattazione dell’appello. Idealmente, come detto, va inclusa nell’atto di risposta depositato dall’appellato nei termini (tipicamente 20 giorni prima dell’udienza ex art. 347 c.p.c.). Ma se l’appellato si costituisce tardivamente o comunque vuole aggiungere riproposizioni, è ammesso farlo entro la prima udienza, in quanto fino a quel momento l’oggetto del giudizio d’appello può essere delineato senza preclusioni sostanziali. Le Sezioni Unite civili (sent. n. 7940/2019) hanno chiarito che la riproposizione in appello non è soggetta a decadenze analoghe a quelle dell’appello incidentale, purché avvenga, appunto, tempestivamente entro la prima udienza utile. Resta fermo che l’atto con cui si formalizza la riproposizione dev’essere portato a conoscenza delle altre parti rispettando il contraddittorio, quindi inserirlo nella comparsa di risposta è la via maestra.

Eccezioni rilevabili d’ufficio e mere difese: Va segnalato che la mancata riproposizione riguarda domande ed eccezioni in senso proprio, ossia pretese attive del contribuente o eccezioni in senso stretto (come decadenza, prescrizione, vizi formali) che richiedono un’iniziativa di parte. Non rientrano invece nell’art. 56 le questioni rilevabili d’ufficio dal giudice e le mere difese. Ad esempio, se una questione attiene a un vizio di ordine pubblico (giurisdizione, incompetenza, nullità insanabile), il giudice d’appello può rilevarla d’ufficio anche se la parte non la ripropone, purché non decisa in primo grado. Ancora, le “mere difese” (cioè le contestazioni ai fatti costitutivi dell’avversa pretesa, come negare che un reddito sia imponibile) in realtà non richiedono riproposizione formale, perché l’appellato, chiedendo la conferma della sentenza, implicitamente mantiene il disaccordo sui fatti allegati dall’appellante. In sintesi, l’onere di riproposizione riguarda ciò che potremmo chiamare “questioni non esaminate su cui vi era una soccombenza potenziale”, mentre non tocca né le questioni puramente favorevoli all’appellato (già accolte) né quelle che il giudice può affrontare ex officio né le semplici difese non configurabili come eccezioni autonome.

Effetti sul giudizio di appello: riesame delle questioni assorbite e limiti

Una volta correttamente riproposte dall’appellato, le questioni precedentemente assorbite entrano nel perimetro del giudizio di appello. Cosa accade, dunque, in secondo grado?

  • Se l’appellante (es. l’ente impositore) non ottiene la riforma della decisione assorbente di primo grado, le questioni riproposte rimangono teoricamente irrilevanti. Ad esempio, se l’Agenzia delle Entrate appella ma la Corte conferma che l’atto era nullo per vizio di notifica, tutte le altre eccezioni del contribuente (merito dell’imposta, ecc.) restano assorbite anche in appello. È comunque bene che siano state riproposte, perché solo conoscendole la Corte d’Appello ha potuto eventualmente considerarle (e in motivazione spesso lo si segnala brevemente, es. “assorbiti i motivi riproposti”).
  • Se invece l’appellante ottiene la riforma sul punto assorbente, allora il giudice d’appello deve esaminare le questioni che erano state assorbite in primo grado, a condizione che siano state ritualmente riproposte. Ad esempio, tornando al caso: la Commissione di primo grado aveva annullato l’atto per difetto di notifica e non aveva esaminato i motivi di merito; la Corte d’Appello ritiene invece valida la notifica (quindi riforma la sentenza su questo aspetto). A questo punto, il ricorso del contribuente “rivive” per la parte di merito: la Corte passa ad esaminare le censure di merito (fondatezza dell’imposizione, errori di calcolo, ecc.) che il contribuente avrà riproposto. Se tali questioni furono omesse e non riproposte, la Corte non potrà esaminarle (perché, come visto, sarebbero considerate rinunciate), con la conseguenza paradossale che l’appello verrebbe accolto in toto a favore del Fisco senza alcuna disamina del merito perché il contribuente, pur avendole inizialmente sollevate, le ha fatte decadere non riproponendole. È quindi fondamentale per il contribuente vittorioso in primo grado su una questione assorbente: se subisce appello, deve riproporre tutte le altre questioni per evitare di perdere automaticamente qualora l’assorbimento venga meno in secondo grado.
  • Se un motivo del contribuente era stato esaminato e respinto in primo grado (dunque su quello era soccombente) e il contribuente non ha fatto appello incidentale, tale capo è coperto da giudicato interno e il giudice d’appello non può rivalutarlo. Attenzione: spesso nel processo tributario il contribuente propone più ragioni di illegittimità dell’atto; può capitare che alcune siano respinte espressamente e una sola accolta. In tal caso, se la parte vittoriosa non vuole/può rischiare appello incidentale, quelle questioni respinte in primo grado restano definitivamente perse. La Cassazione ha infatti affermato che l’art. 56 (come l’art. 346 c.p.c.) non offre una “terza via” per le questioni respinte: o si accetta il giudicato interno oppure occorre impugnare. Ad esempio, se il giudice ha accolto l’eccezione di decadenza ma ha anche affrontato e respinto una certa eccezione di merito del contribuente (magari ritenendo infondata una deduzione probatoria), su questa seconda eccezione si è formato giudicato a meno che il contribuente non appelli la sentenza nella parte in cui non gli ha dato ragione.

Nella pratica del processo tributario, le parti spesso formulano motivi in via subordinata o alternativa. Ad esempio, il ricorrente può chiedere: (i) annullamento totale dell’atto perché nullo/decaduto; (ii) in subordine, riduzione dell’imponibile per errata determinazione; (iii) ulteriore subordine, riduzione delle sanzioni. Se il punto (i) viene accolto in primo grado, i successivi (ii) e (iii) sono assorbiti. In appello, qualora l’Ufficio impugni, il contribuente dovrà riproporre espressamente i punti (ii) e (iii) per far sì che, se il giudice di secondo grado ribalta l’annullamento totale, esamini allora la riduzione dell’imponibile e delle sanzioni.

La tabella seguente riepiloga le diverse situazioni e i relativi oneri per le parti in appello:

Conseguenze della mancata riproposizione: se l’appellato omette di riproporre una questione assorbita, scatta la presunzione di rinuncia. In tal caso, come detto, il giudice d’appello non può esaminarla senza violare il principio dispositivo e il divieto di ultrapetizione (art. 112 c.p.c.), perché si considererà che la parte abbia abbandonato quella domanda. Una pronuncia d’ufficio su una questione non riproposta sarebbe ultra vires. Ad esempio, la Cassazione (Sez. Trib.) con ordinanza n. 100 del 4 gennaio 2025 ha cassato la decisione di una CTR che aveva deciso d’ufficio su questioni non riproposte dall’appellato contumace (assente in appello), configurando un vizio di ultrapetizione per violazione degli artt. 112 c.p.c. e 56 D.Lgs. 546/92. In sintesi, se il contribuente vittorioso in primo grado non si costituisce in appello o si costituisce ma dimentica di riproporre una difesa assorbita, e l’ufficio ottiene la riforma sul punto deciso, la causa può essere decisa in appello a suo sfavore senza esaminare altro, perché legalmente quelle eccezioni non sono più nel processo.

Esempi concreti: poniamo che in primo grado il contribuente abbia ottenuto l’annullamento di un avviso di accertamento per difetto di motivazione dell’atto, senza che il giudice abbia esaminato i profili di merito (es. contestazioni sui ricavi). L’Agenzia appella sostenendo la sufficienza della motivazione. Il contribuente, appellato, deve riproporre in appello le doglianze di merito sui ricavi. Se lo fa, la CTR, qualora ritenga valido l’atto (dando ragione all’ufficio sul motivo di motivazione), dovrà giudicare se i ricavi accertati erano congrui o no. Se invece il contribuente non ripropone nulla e si limita a difendersi sulla motivazione, e la CTR dà ragione all’ufficio su quel punto, la partita è persa: la CTR emetterà sentenza favorevole al Fisco, non potendo più discutere dei ricavi (questioni ormai rinunciate). Il risultato sarebbe disastroso, perché magari il contribuente avrebbe avuto buone ragioni di merito, ma non vengono mai valutate per un errore processuale.

Conclusione sul grado di appello: il giudizio di secondo grado nel processo tributario esige grande attenzione dalle parti, specialmente dalla parte che aveva vinto in primo grado su una questione assorbente. Tale parte deve bilanciare due esigenze: da un lato difendere la sentenza impugnata (quindi argomentare che la decisione assorbente era corretta, cercando di far rigettare l’appello avversario), dall’altro tenere aperte tutte le porte qualora quella decisione venisse riformata. Ciò si fa appunto con la puntuale riproposizione delle questioni assorbite. Questo onere, pur non previsto nel processo tributario fino al 1992, è stato introdotto proprio per evitare surprise in appello e per “velocizzare” il secondo grado, chiarendo fin dall’inizio su quali punti c’è ancora controversia. Da notare che la norma (art. 56) pone un limite all’effetto devolutivo automatico: l’appello devolve solo ciò che l’appellante censura e ciò che l’appellato ripropone, delimitando il thema decidendum e probandum in appello. Il giudice d’appello che rispettasse questa regola non dovrebbe mai affrontare questioni non espressamente devolute dalle parti, pena – come visto – la nullità per ultrapetizione.

Prima di passare al giudizio di legittimità, ricordiamo un’importante novità legislativa: il D.Lgs. 14 novembre 2024 n. 175 (entrato in vigore il 29/11/2024, con efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2026) ha emanato il Testo Unico della Giustizia Tributaria. Tale decreto abroga l’art. 56 D.Lgs. 546/92 dal 2026 e lo sostituisce con l’art. 110 del T.U., di contenuto sostanzialmente identico. Dunque, anche nel nuovo assetto normativo, resta confermato l’onere di riproposizione delle questioni non accolte in primo grado. Per il professionista e il contribuente, ciò significa che le regole illustrate continueranno ad applicarsi invariatemente anche nei giudizi di appello instaurati sotto la vigenza della nuova normativa.

Le questioni assorbenti nel giudizio di Cassazione

Nel giudizio di Cassazione (dinanzi alla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria o eventualmente Sezioni Unite), cambia radicalmente la prospettiva: qui non si riesaminano i fatti né l’intera controversia, ma solo le questioni di legittimità dedotte con i motivi di ricorso. Non esiste un effetto devolutivo analogo all’appello; inoltre, non c’è un ulteriore grado di merito in cui decidere questioni rimaste inesplorate. Pertanto, il tema delle questioni assorbite in Cassazione si pone in termini diversi:

  • Innanzitutto, l’art. 346 c.p.c. (e l’art. 56 D.Lgs. 546/92) non si applicano al giudizio di Cassazione. La Cassazione stessa ha chiarito più volte che nel giudizio di legittimità non opera la presunzione di rinuncia delle questioni non riproposte in appello, perché tale meccanismo vale solo per il passaggio dal primo al secondo grado (momento in cui le parti possono ancora introdurre o mantenere temi di discussione). In Cassazione, invece, non si “ripropongono” questioni assorbite: o esse sono divenute irrilevanti e coperte da giudicato interno (perché non riproposte né appellate nel grado precedente), oppure – se ancora rilevanti – vanno fatte valere come motivi di ricorso per cassazione, qualora il giudice d’appello abbia commesso un errore di diritto nel non deciderle.
  • Se una questione è rimasta assorbita in appello (ad esempio, la CTR ha confermato la decisione del CTP su un vizio formale e non è passata al merito, perché il contribuente aveva vinto e l’ufficio non aveva ulteriormente sollecitato la questione di merito o magari il contribuente non l’aveva riproposta), in Cassazione non è possibile riesaminarla nel merito. La Corte di Cassazione infatti giudica solo su errori di diritto: non può valutare questioni di fatto o di merito che non siano state decise dai giudici di merito. Su tali questioni non trattate, si può ricorrere per Cassazione solo denunciando un errore processuale del giudice di appello (violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia), ma a condizione che l’omissione fosse stata censurata come motivo di appello o comunque che la questione fosse ritualmente pendente in appello. Se la questione non era più pendente (perché non riproposta), allora è preclusa e non se ne può parlare in Cassazione.
  • Omessa pronuncia e cassazione con rinvio: nel caso in cui la Corte d’Appello/CTR abbia erroneamente omesso di decidere una questione perché reputata assorbita mentre andava esaminata, il contribuente soccombente su quel punto può (anzi, deve) proporre ricorso per cassazione per violazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia). La Cassazione, riconoscendo il vizio, casserà la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso la decisione e, non potendo essa stessa decidere il merito, rinvierà la causa nuovamente al giudice di merito (in grado di appello, o anche in primo grado se il vizio era di primo grado e l’appello non lo aveva sanato) affinché decida la questione trascurata. Questo è l’effetto dell’art. 336 c.p.c.: la cassazione parziale di una sentenza ha effetto caducante sulle parti dipendenti da quella cassata. Ad esempio, Cassazione ord. n. 16750/2021 ha evidenziato che se in Cassazione viene accolto il ricorso principale di una parte, le questioni poste in via incidentale condizionata dall’altra parte e rimaste assorbite dipenderanno dall’esito del giudizio di rinvio. Quindi, la Cassazione non decide la questione assorbita nel merito, ma assicura che venga giudicata dal giudice competente.
  • Se una questione non fu mai esaminata né riproposta (quindi abbandonata), la Cassazione non ne potrà discutere affatto. Per la Suprema Corte, “nel giudizio di legittimità… non possono trovare ingresso le questioni sulle quali, per qualunque ragione, non vi sia stata decisione nei gradi di merito”. Ciò riflette il principio che la Cassazione non è una terza istanza di merito. Ad esempio, se il contribuente non ha riproposto in appello un’eccezione e questa quindi non è stata decisa dalla CTR, in Cassazione non potrà cercare di farla valere ex novo: su di essa si è formato giudicato implicito di rinuncia.
  • Assorbimento in Cassazione: anche la Cassazione, nelle sue pronunce, talvolta utilizza il concetto di assorbimento. Ciò avviene quando il ricorso per cassazione contiene più motivi e la Corte, accogliendone uno che è decisivo per la sorte della causa, dichiara assorbiti gli altri. Ad esempio, se il contribuente ricorre con tre motivi e la Cassazione ritiene fondato il primo, che già impone l’annullamento della sentenza impugnata, spesso la Corte non esamina gli altri motivi, dichiarandoli assorbiti dall’accoglimento del primo (in quanto, rivedendosi la sentenza impugnata, potrebbe cambiare il quadro e gli altri motivi diventano prematuri o irrilevanti). Questo assorbimento “logico” in Cassazione è legittimo e non dà luogo a omessa pronuncia, perché la Corte ha deciso ciò che serviva decidere per definire il giudizio di legittimità. Ad esempio, Cass. Sez. V n. 4330/2023 ha affermato che in Cassazione non vengono esaminate questioni nuove o non più controverse, e se un motivo di ricorso resta assorbito per effetto dell’accoglimento di un altro, ciò è normale applicazione del metodo logico-giuridico di decisione.

Riassunto per la Cassazione: nel giudizio di legittimità conta ciò che è stato deciso o omesso in appello e opportunamente censurato. Il concetto di questione assorbente continua a operare come spiegazione del perché certi motivi non siano stati affrontati nei gradi di merito, ma in Cassazione non esiste più la facoltà di riproporre questioni di fatto non decise. Bisogna agire sui binari propri del ricorso per cassazione: o contestando l’erronea dichiarazione di assorbimento (omessa pronuncia) oppure facendo valere direttamente la violazione di legge su quel punto, se il materiale fattuale è già tutto acquisito e non controverso. Ad esempio, se la CTR ha confermato l’annullamento di un atto per un vizio formale senza esaminare la prescrizione eccepita in subordine dal contribuente (perché magari l’ufficio non ha appellato la questione prescrizione, ritenendola assorbita dalla sua vittoria sul punto formale in appello), il contribuente in Cassazione potrebbe dolersi che la CTR non ha deciso sulla prescrizione. Ma attenzione: se il contribuente in appello non aveva formalmente riproposto l’eccezione di prescrizione, allora la CTR correttamente non l’ha esaminata e in Cassazione non c’è vizio da far valere (la questione è stata abbandonata). Se invece l’aveva riproposta e la CTR, pur riformando la sentenza sul vizio formale, ha errato a non valutare la prescrizione, allora il contribuente ricorrente potrà ottenere una cassazione con rinvio affinché quella eccezione venga decisa.

In definitiva, la Cassazione funge da garante: interviene se una questione doveva essere esaminata e il giudice di merito indebitamente l’ha saltata, oppure se ha applicato male l’istituto dell’assorbimento (dichiarando assorbito ciò che invece era indipendente). Viceversa, la Cassazione non riapre mai questioni che le parti hanno fatto volontariamente cadere lungo il percorso (non riproponendole o non impugnandole).

Prospettiva pratica: consigli per il contribuente (debitore)

Dal punto di vista del contribuente che agisce in giudizio contro un atto impositivo (dunque “debitore” dell’obbligazione tributaria contestata), la gestione delle questioni assorbenti è fondamentale per tutelare pienamente i propri diritti. Alcune raccomandazioni pratiche:

  • Sollevare tutte le eccezioni rilevanti già dal primo grado: È buona prassi che il contribuente, nel ricorso iniziale, alleghi tutti i motivi di illegittimità dell’atto, sia formali che sostanziali. Anche se uno di essi appare evidentemente vincente (es. un vizio formale macroscopico), non bisogna fare affidamento esclusivo su quello. Inserire motivi alternativi o subordinati (ad esempio: se per caso il giudice non ritiene nullo l’atto, entrare nel merito dell’imponibile) serve ad avere difese di riserva. Così, se la questione principale non fosse accolta, ci sono altre frecce all’arco; se invece viene accolta e le altre assorbite, esse potranno tornare utili in appello in caso di riforma.
  • Chiedere esplicitamente decisioni su questioni strategiche: Se il contribuente tiene particolarmente a una questione (ad es. una ragione di merito che vorrebbe fosse valutata comunque, magari per ottenere una riduzione d’imposta anche se non annullamento totale), può — senza contraddire la logica dell’assorbimento — chiedere al giudice di primo grado, in via subordinata, di esaminare anche i motivi assorbiti. In alcuni casi, i giudici tributari decidono di pronunziarsi “anche nel merito” per completezza. Ciò non è dovuto, ma talvolta viene fatto per evitare un processo di rinvio futuro. Dal lato pratico, però, spesso le Commissioni non accolgono tale invito e preferiscono fermarsi alla questione assorbente.
  • Vittoria in primo grado: se il contribuente ottiene una sentenza favorevole fondata su un’unica questione (es. nullità dell’atto), deve già prepararsi all’eventuale appello dell’Ufficio. In particolare, è opportuno che, nella fase tra primo e secondo grado, riesamini tutti i motivi del ricorso iniziale e valuti quali non sono stati decisi. Appena riceve l’appello dell’Agenzia Entrate, il contribuente deve costituirsi tempestivamente (entro 60 giorni) e riproporre per iscritto ogni questione rimasta assorbita. È utile essere analitici: elencare i motivi assorbiti uno per uno, come se fossero motivi di un appello incidentale (anche se formalmente non lo sono). In tal modo, si “mette sul tavolo” tutto il pacchetto difensivo. Questo è cruciale: come visto, la mancata riproposizione equivale a rinuncia. Non bisogna dare per scontato che il giudice d’appello li consideri d’ufficio. Anche se la controparte in appello non fa menzione di quei motivi (magari convinta di vincere sul punto assorbente), il contribuente deve farlo.
  • Appello incidentale quando necessario: se il contribuente, pur vincendo, ha perso su qualche punto in primo grado (ad esempio, il giudice ha annullato l’atto per un vizio formale ma, nel farlo, ha respinto l’istanza di rimborso delle sanzioni per altri motivi, oppure non ha accolto la domanda di risarcimento spese), occorre valutare un appello incidentale. Anche se l’esito principale è favorevole, l’appello incidentale serve a evitare che quel capo sfavorevole passi in giudicato. La legge dà 40 giorni dall’appello principale per proporlo (art. 54 D.Lgs. 546/92). Se quell’aspetto è importante (es. sanzioni, interessi, ecc.), il contribuente non deve esitare a impugnarlo incidentalmente. Ciò non toglie che debba comunque riproporre in via subordinata quelle eccezioni non esaminate, in aggiunta.
  • Attenzione alla contumacia: il contribuente vittorioso non dovrebbe mai “disertare” l’appello. Se non si costituisce (contumacia) confidando che la sentenza di primo grado si manterrà da sola, corre un rischio elevato: l’ufficio potrebbe ottenere la riforma sul punto deciso, e nessuno in appello riproporrebbe i motivi assorbiti del contribuente, perché egli è assente. Il giudice d’appello, come visto, in tal caso non potrà considerare d’ufficio quelle questioni, quindi se la ragione assorbente cade, il contribuente perde la causa senza discussione ulteriore. È comprensibile che talvolta, per questioni economiche o di strategia (es. piccoli importi), il contribuente scelga di non costituirsi in appello; ma deve sapere che, così facendo, rinuncia a ogni difesa non contenuta nella sentenza di primo grado.
  • Chiarezza e specificità: quando si redigono gli atti di appello (siano principali o di risposta), è bene usare paragrafi distinti per ciascuna questione e, nel caso dell’appellato, titolarli magari “Riproposizione dell’eccezione X” oppure “Eccezione Y – richiesta decisione”. Questo aiuta sia il giudice sia la controparte a rendersi conto del perimetro del contendere. Se, ad esempio, la comparsa di risposta del contribuente elenca chiaramente “1. Eccezione di difetto di motivazione dell’avviso – riproposta”; 2. Eccezione di illegittimità del metodo accertativo – riproposta”, ecc., l’Ufficio potrà replicare puntualmente e il giudice avrà chiaro che dovrà occuparsene se supera il primo motivo.
  • Nel dubbio, riproporre sempre: può capitare che non sia evidente se un certo argomento sia stato davvero “accolto” o “assorbito” o se invece costituisca già una mera difesa di fatto (che non rientra nell’onere di riproposizione). In caso di dubbio interpretativo sulla sentenza, conviene riprogrammarlo comunque nell’atto d’appello, per sicurezza. Non fa male essere ridondanti: meglio un’istanza ridondante che perdere un diritto per silenzio. Come recita un noto principio, “meglio abbondare che deficere” – in appello tributario ciò è doppiamente vero.
  • Aggiornarsi sulle ultime pronunce: gli avvocati e difensori dei contribuenti dovrebbero essere aggiornati sull’evoluzione giurisprudenziale. Ad esempio, la distinzione tra questioni respinte e questioni assorbite, e la relativa esigenza di appello incidentale o riproposizione semplice, è stata oggetto di sentenze della Cassazione anche a Sezioni Unite (SU nn. 11799/2017 e 7940/2019). Sapere che “per le questioni respinte serve appello incidentale, per quelle non esaminate basta riproposizione” è un must per evitare errori fatali. Inoltre, pronunce come Cass. 10993/2023 e Cass. 100/2025 (citata sopra) forniscono linee guida vincolanti su forma e limiti della riproposizione. Un difensore accorto le citerà magari nella comparsa di risposta, per sostenere la validità della propria riproposizione o contestare eventuali eccezioni dell’appellante.

In sintesi, il contribuente che ha sollevato questioni assorbenti deve avere un approccio strategico su più livelli temporali: sollevare tutto subito; vincere se possibile su una questione (non si disdegna mai una vittoria immediata); ma preparare il “piano B” per l’appello, assicurandosi che nulla vada perso nel passaggio di grado. Si tratta di una gestione accorta del contenzioso che spesso fa la differenza tra una vittoria duratura e una vittoria effimera seguita da una sconfitta in appello.

Domande frequenti (FAQ) sulle questioni assorbenti

D: Cosa significa in concreto “questione assorbente” nel processo tributario?
R: È una questione (di solito un’eccezione o un motivo di ricorso) che, se decisa in un certo modo, risolve da sola la controversia, rendendo inutili le altre questioni. Ad esempio, un vizio procedurale che porta all’annullamento dell’atto impugnato è assorbente: definisce il giudizio senza bisogno di esaminare altro. Il giudice decide sul punto assorbente e “assorbe” (cioè omette di decidere) le restanti domande, perché a quel punto non servono più.

D: Le questioni assorbenti sono solo questioni preliminari di rito?
R: Non solo di rito (procedurali), ma spesso lo sono. Nel processo tributario tipicamente sono assorbenti le questioni preliminari di rito (giurisdizione, competenza, inammissibilità del ricorso, nullità della notifica, etc.) e le preliminari di merito (decadenza dei termini di accertamento, prescrizione del credito, difetto di motivazione dell’atto, vizio di firma, ecc.). Anche alcune questioni di merito possono essere assorbenti, ad esempio l’accoglimento pieno di una causa di esenzione fiscale rende superfluo esaminare altri conteggi. In generale, la caratteristica è che la questione abbia natura prioritaria e decisiva rispetto alle altre.

D: Se in primo grado il giudice accoglie un mio motivo (es. annulla l’atto per un vizio) e non considera gli altri, posso fare qualcosa per farli esaminare lo stesso?
R: Nel processo tributario non c’è un obbligo per il giudice di primo grado di decidere comunque tutti i motivi per completezza (come talora avviene in altri processi). Puoi però chiedere nella memoria conclusiva o in udienza che, “in via subordinata, siano esaminati gli ulteriori motivi qualora non si ritenesse assorbente il primo”. Alcuni giudici lo fanno, pronunciando sentenze più estese, ma molti no. Se la sentenza ti è favorevole su un punto e silente sugli altri, non hai facoltà di appello (perché hai vinto). Tuttavia, se pensi che il giudice abbia sbagliato a non esaminare un motivo (cioè ritenevi dovesse deciderlo comunque), potrai far valere questa omissione solo se e quando la controparte appellerà, costituendoti e riproponendo il motivo. Se invece la controparte non appella, la tua vittoria resta tale e non c’è motivo di riaprire le questioni assorbite (salvo il caso eccezionale di proporre appello incidentale per un capo sfavorevole, ma se hai vinto totalmente non si pone).

D: In appello, come faccio a “riproprorre” esattamente una questione assorbita? C’è una formula?
R: Non esiste una formula sacramentale, ma conta la sostanza e la chiarezza. Nel tuo atto di risposta in appello dovresti dedicare uno spazio a ciascuna questione non decisa in primo grado che vuoi mantenere viva. Ad esempio: “Il contribuente ripropone l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, rimasta assorbita in primo grado, insistendo affinché la Corte voglia esaminarla qualora ritenga infondato il motivo accolto in sentenza”. L’importante è che sia specifico (menzionando precisamente la questione) e che risulti la volontà di ottenere decisione su di essa. Evita frasi vaghe come “si ripropongono tutte le eccezioni”: la Cassazione le ha giudicate insufficienti. Meglio dettagliare punto per punto.

D: Se dimentico di riproporre qualcosa in appello, posso rimediare dopo? Ad esempio con una memoria integrativa o in udienza?
R: La prassi consente di chiarire posizioni in udienza, ma formalmente la riproposizione va fatta entro la prima udienza di trattazione. È bene inserirla già nella comparsa di risposta (la legge prevede che l’appellato la depositi 20 giorni prima dell’udienza). Le memorie integrative a ridosso dell’udienza in genere non sono contemplate nel rito tributario (che è a cognizione piena ma con atti limitati: ricorso, appello, controdeduzioni, memorie ex art. 32). In udienza potresti verbalizzare una dichiarazione di riproposizione, ma affideresti al verbale una cosa che doveva stare negli atti: meglio evitarlo. In sostanza, se te ne accorgi prima dell’udienza, puoi provare a depositare un atto (se i termini lo consentono) o farlo presente in udienza chiedendo al collegio di metterlo a verbale. Ma rischi opposizioni della controparte. È molto rischioso arrivare a quel punto: la sicurezza si ha solo riproponendo tempestivamente per iscritto.

D: Quali sono le differenze tra appello incidentale e riproposizione ex art. 56?
R: L’appello incidentale è una vera impugnazione contro una parte della sentenza di primo grado. Lo proponi quando vuoi che il secondo giudice cambi qualcosa che il primo giudice ha deciso a tuo sfavore (ad esempio, la sentenza ti ha dato torto su un punto e tu chiedi che in appello ti dia ragione). La riproposizione ex art. 56, invece, non contesta la sentenza, ma serve a evitare che su un punto non deciso cali il silenzio definitivo. In pratica, con l’appello incidentale dici: “il primo giudice ha sbagliato nel respingere questa mia domanda, vi chiedo di riformare in parte la sentenza”; con la riproposizione dici: “il primo giudice non si è pronunciato su questa mia domanda (perché assorbita o trascurata), vi chiedo di deciderla se diventa rilevante”. Tecnicamente, l’appello incidentale richiede forme (va notificato se proposto dopo la comparsa di risposta, o inserito in essa, entro 40 giorni dall’appello principale) e comporta pagamento del contributo unificato ulteriore; la riproposizione no, si fa nella comparsa di risposta senza bolli né notifiche. Inoltre, se presenti appello incidentale su una questione, stai chiedendo la riforma della sentenza su di essa, implicando che quella questione era stata decisa (negativamente) dal primo giudice. Non puoi, invece, fare appello incidentale su qualcosa su cui il primo giudice non si è pronunciato affatto: lì la strada è la riproposizione. Un errore classico sarebbe confondere i due istituti: se appelli incidentalmente una questione assorbita, commetti un errore di qualificazione (non c’era nulla da impugnare, perché su quel punto la sentenza non dice nulla), ma la Cassazione ha ritenuto che un appello incidentale del genere possa talvolta essere riqualificato come riproposizione, se il contenuto lo evidenzia e se proposto entro la prima udienza. Comunque, meglio seguire la regola: respinto -> appello incidentale; non deciso -> riproposizione.

D: In Cassazione posso sollevare motivi nuovi o questioni assorbite mai esaminate?
R: In linea di massima no. La Cassazione giudica su ciò che è stato trattato in appello o sulla legittimità della sentenza d’appello. Se una questione era stata abbandonata (non riproposta) in appello, in Cassazione è come se non esistesse più nel processo – non puoi resuscitarla. Se invece era stata riproposta ma l’appello non l’ha esaminata per errore, allora la tua sede per lamentartene è proprio la Cassazione, ma sotto forma di vizio di omessa pronuncia (o altro errore di diritto). La Cassazione non entra nel merito della questione stessa (non farà lei i calcoli dell’imposta o l’analisi del fatto), ma verifica se il giudice d’appello doveva pronunciarsi e non l’ha fatto. Se sì, annulla e rinvia. Quindi, non si può sperare di discutere ex novo in Cassazione il merito di un motivo non affrontato prima. Casomai, si discute sull’errore procedurale commesso dalla CTR nel trascurarlo. Ci sono rarissime eccezioni: questioni di puro diritto che non richiedono accertamenti di fatto ulteriori e che risultano dai fatti già accertati; in teoria la Cassazione potrebbe, per economia processuale, decidere essa stessa (art. 384 c.p.c.) se non serve rimandare. Ma succede di rado e solo quando c’è stata comunque devoluzione regolare del tema. Quindi la regola pratica è: le questioni o si vincono in appello o si rinviano con la Cassazione, ma non si introducono per la prima volta in Cassazione.

D: Come incide la riforma del 2022-2023 (giudice monocratico tributario, nuovo T.U. giustizia tributaria) su queste regole delle questioni assorbite?
R: Di fatto non incide sui principi discussi. La riforma (L. 130/2022 e D.Lgs. 175/2024) ha cambiato vari aspetti (giudice monocratico per cause minori, reclutamento di magistrati tributari, ecc.) ma non ha modificato l’assetto del sistema impugnatorio per quanto riguarda le questioni non esaminate. L’art. 56 D.Lgs. 546/92 viene riprodotto nell’art. 110 del nuovo Testo Unico senza variazioni sostanziali. Quindi, anche nei giudizi che si svolgeranno con le nuove Corti di Giustizia Tributaria, resterà l’obbligo di riproporre in appello le questioni assorbite, pena la presunzione di rinuncia. Il passaggio a un eventuale giudice monocratico in primo grado per le liti fino a €3.000 (introdotto dalla riforma) non cambia la logica: se quel giudice monocratico decide su un punto assorbendo gli altri, in appello (che in quei casi è davanti a un collegio di secondo grado) varranno le stesse regole di sempre sulla riproposizione. Insomma, il contribuente dovrà continuare a fare attenzione a queste insidie procedurali anche nel “nuovo” processo tributario.

D: Se il giudice d’appello rigetta l’appello dell’Ufficio confermando la mia vittoria su un vizio formale, può o deve decidere comunque le altre questioni di merito?
R: In teoria no, non deve. Se l’appello è rigettato, significa che la ragione assorbente di primo grado è stata confermata (o magari ce n’è un’altra di appello che conferma comunque l’esito). In tal caso, la controveria è chiusa lì e le questioni di merito restano assorbite anche in secondo grado. Il giudice d’appello potrebbe per completezza trattarle (si parla di obiter dicta in sentenza), ma non è tenuto e generalmente non lo fa, per evitare di emettere pronunce sul merito che sarebbero condizionate. L’unica eccezione è se l’appellante ha proposto motivi tra loro in rapporto di subordinazione (ad esempio, l’Ufficio impugna dicendo: “il giudice ha sbagliato sul vizio formale, e in subordine, se invece il vizio c’era davvero, chiedo comunque che riduciate la sanzione…” – ipotesi rara). In tal caso la CTR deciderebbe il principale e, se lo rigetta, dovrebbe valutare quello subordinato. Ma di norma l’Ufficio appella sostenendo semplicemente che la sentenza è errata e che l’atto era legittimo: se perde, finisce lì.

D: Un esempio di vita vissuta: in primo grado ho vinto per decadenza dell’accertamento; avevo anche eccepito prescrizione e infondatezza nel merito, ma la Commissione non ne ha parlato. L’ente ha appellato e io ho riproposto tutto. La CTR però ha ignorato la prescrizione e ha respinto l’appello solo sulla base che l’accertamento era comunque infondato nel merito. Posso lamentarmi in Cassazione che non hanno deciso sulla prescrizione?
R: In questo scenario, bisogna analizzare: la CTR ha ritenuto infondato nel merito l’accertamento (dunque, in definitiva, ti ha dato ragione e ha rigettato l’appello dell’Ufficio, anche se per motivazione diversa dalla decadenza). Se la prescrizione era stata riproposta, ma la CTR non l’ha esaminata perché una volta affrontato il merito ha ritenuto superfluo parlare di prescrizione (che in effetti sarebbe ulteriore causa di nullità, ma una volta annullato l’atto nel merito la prescrizione non aggiunge nulla), siamo ancora nel campo dell’assorbimento: la CTR ha assorbito la prescrizione. Non è un errore, perché tu comunque hai vinto, la sentenza ti è favorevole e la prescrizione sarebbe un’ulteriore ragione a tuo favore che però non incide sull’esito (l’atto è già annullato per infondatezza). Tu non hai interesse a impugnare in Cassazione una sentenza a te favorevole solo perché non parla di prescrizione: rischieresti l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse (non c’è un soccombente su quel punto, tu hai vinto comunque). Diverso sarebbe se la CTR ti avesse dato torto sul merito e non avesse considerato la prescrizione: allora sì che avresti dovuto fare motivo di ricorso per omessa pronuncia. In sintesi, se hai ottenuto comunque la conferma dell’annullamento dell’atto, non importa se per decadenza, merito o altra ragione; la prescrizione in più era ridondante. In Cassazione, se provassi a dire “omessa pronuncia sulla prescrizione”, ti risponderebbero che la sentenza è in tuo favore e che l’assorbimento di un’ulteriore ragione di conferma non ti danneggia.

D: E se invece in appello ho perso, perché la CTR ha dato ragione all’Ufficio sul punto formale e ha ignorato i miei motivi di merito riproposti?
R: Questa è la situazione delicata: ad esempio, CTR dice che la notifica dell’atto era valida (dunque riforma la sentenza di primo grado che l’annullava) e poi non esamina i motivi di merito che avevi riproposto. Se li avevi effettivamente riproposti in appello, la CTR qui ha sbagliato a non esaminarli, commettendo un’omessa pronuncia. Sei soccombente, quindi hai titolo per ricorrere per Cassazione, denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c. La Cassazione, accertato ciò, probabilmente accoglierà il tuo ricorso e rinvierà ad altra sezione della CTR affinché esamini finalmente i motivi di merito. Questo ovviamente allunga il processo, ma è l’unico rimedio perché tu possa far valutare i tuoi argomenti. Se invece – ipotesi sfortunata – non avevi riproposto i motivi di merito in appello, la CTR in realtà ha fatto bene a non considerarli (erano rinunciati) e tu in Cassazione non potrai lamentare nulla al riguardo. Rimarrai sconfitto definitivamente. Da ciò la lezione: mai dimenticare di riproporre!

Esempi pratici e simulazioni (casi italiani)

Di seguito presentiamo alcune simulazioni pratiche, basate su tipiche controversie tributarie, per illustrare come funzionano le questioni assorbenti nei vari scenari:

Caso 1: Vizio formale assorbente e merito del tributo
Scenario: La società Alfa Srl riceve un avviso di accertamento IVA per l’anno X, con cui si recuperano imposte per €100.000 e sanzioni €30.000. Alfa impugna l’avviso in Commissione Tributaria Provinciale, sollevando due motivi: (1) nullità della notifica dell’avviso (perché effettuata a soggetto non legittimato), e in subordine (2) erroneità nel merito dell’accertamento (contestando le riprese fiscali). La CTP esamina prima il motivo (1) e lo accoglie, dichiarando nullo l’avviso per notifica invalida; dato ciò, non affronta il motivo (2), che resta assorbito. La sentenza annulla l’atto.
Sviluppo: L’Agenzia delle Entrate propone appello alla CTR, sostenendo che la notifica era valida (impugnando quindi la statuizione sul motivo 1). Alfa Srl, quale appellata, si costituisce e nella sua comparsa ripropone espressamente il motivo (2) sull’erroneità nel merito, sottolineando che la CTP non si è pronunciata al riguardo a causa dell’assorbimento. In udienza, la CTR ritiene fondata la doglianza dell’Ufficio: secondo i giudici di secondo grado, la notifica era regolare (riforma della sentenza su punto 1). A questo punto, però, grazie alla riproposizione, la CTR passa a esaminare il merito (punto 2). Valuta le prove presentate da Alfa Srl e giudica che effettivamente l’accertamento fiscale era parzialmente infondato: riduce l’imponibile contestato, facendo scendere l’IVA dovuta a €20.000 (invece di €100.000) e ridetermina anche le sanzioni. In tal modo, la CTR accoglie parzialmente il ricorso di primo grado sul motivo (2). L’esito finale: la notifica viene giudicata valida (su appello dell’Ufficio), ma l’accertamento viene in gran parte ridotto nel merito (grazie alla riproposizione del contribuente). Se Alfa non avesse riproposto il merito, la CTR, una volta ritenuta valida la notifica, avrebbe dovuto limitarsi a confermare per intero l’atto impositivo, perché nessuno le avrebbe prospettato officialmente i motivi di merito (sarebbero stati considerati rinunciati): Alfa avrebbe perso su tutta la linea (€100.000 dovuti). Invece, avendo seguito la procedura corretta, Alfa ottiene comunque una notevole riduzione.
Nota: poniamo che l’Ufficio sia ancora insoddisfatto e ricorra in Cassazione sulla riduzione: la Cassazione in quel caso esaminerà solo se la CTR ha violato norme nel valutare il merito (o eventualmente sulla notifica, ma su quella l’Ufficio ha vinto in CTR, quindi Alfa casomai controricorrente potrebbe lamentare la notifica in Cassazione, ma avendo poi vinto in parte sul merito, potrebbe anche non farlo). In ogni caso, la Cassazione non rivedrà ex novo i fatti; al più potrebbe riscontrare un vizio di motivazione o di diritto nella sentenza d’appello. Le questioni assorbite di primo grado qui sono state tutte risolte in appello, quindi la Cassazione tratterà il caso come definito.

Caso 2: Eccezioni di decadenza e prescrizione
Scenario: Il contribuente Tizio riceve una cartella di pagamento per IRPEF 2014. Tizio presenta ricorso sostenendo che: (1) il diritto di accertamento è decaduto, perché la cartella (che fa seguito a un controllo automatizzato) è stata notificata oltre i termini previsti dalla legge; (2) in via ulteriormente subordinata, l’eventuale credito fiscale è comunque prescritto, essendo trascorsi più di 5 anni; (3) nel merito, in ogni caso, l’importo richiesto non è dovuto per errori di calcolo. La CTP esamina subito l’eccezione (1) di decadenza e la accoglie, annullando la cartella per tardività. Dichiarando fondata la decadenza, la Commissione non affronta né la prescrizione né il merito (entrambi assorbiti). L’Agenzia delle Entrate appella, contestando che non vi fosse decadenza (cioè sostiene che i termini erano stati rispettati, magari per via di una sospensione riconosciuta). Tizio, appellato, si costituisce e ripropone sia l’eccezione (2) di prescrizione sia il motivo (3) di merito, sottolineando che la CTP non li aveva valutati. In appello, la CTR dà ragione all’Agenzia: ritiene che la notifica della cartella fosse nei termini (riforma sul punto 1). A questo punto, il ricorso di Tizio è ancora pendente e devono esaminarsi i motivi ulteriori: la CTR valuta l’eccezione di prescrizione (2). Supponiamo che in fatto risulti che tra la scadenza per il pagamento e la notifica della cartella siano passati più di 5 anni senza atti interruttivi; la CTR giudica fondata la prescrizione e per tale motivo annulla comunque la cartella. Poiché ciò già definisce il caso (prescrizione estintiva del debito), la CTR a questo punto ritiene assorbito il merito (3) e non lo esamina. Risultato: Tizio in primo grado aveva vinto per decadenza; in appello perde su decadenza ma vince su prescrizione, ottenendo comunque l’annullamento integrale della cartella. Il merito tributario (la debenza effettiva dell’IRPEF) non è stato mai deciso da nessun giudice, ed è rimasto assorbito prima dalla decadenza e poi dalla prescrizione. L’Agenzia potrebbe ricorrere in Cassazione contro la sentenza d’appello contestando la prescrizione. Se lo fa, Tizio potrebbe controricorrere e magari proporre ricorso incidentale condizionato sulla questione della decadenza (per farla riesaminare qualora la Cassazione escludesse la prescrizione, ma qui Tizio è rimasto soccombente su decadenza in CTR e non l’aveva appellata incidentalmente, errore!). Infatti, Tizio su (1) è ormai soccombente senza appello incidentale, quindi in Cassazione non può più ridiscutere la decadenza (giudicato interno). La Cassazione esamina il motivo dell’Ufficio sulla prescrizione: se lo ritiene infondato, rigetta il ricorso e fine (Tizio vittorioso); se invece dà ragione all’Ufficio che la prescrizione non c’era, casserebbe la sentenza sul punto 2. E qui: la Cassazione non potrà decidere nel merito la debenza tributaria rimasta assorbita (punto 3), dovrà rinviare alla CTR perché giudichi su quello. Nel giudizio di rinvio, Tizio finalmente potrà vedere esaminato il merito (a meno che, nel frattempo, non si generino altri assorbimenti o che si trovi un accordo).
Analisi: Questo esempio mostra un caso multi-strato di assorbimento: in primo grado decadenza ha assorbito tutto; in appello prescrizione (riproposizione) è subentrata e ha assorbito il merito; in Cassazione, rimosso l’ostacolo prescrizione, riemerge il merito. La giostra potrebbe essere lunga. Nota: se Tizio non avesse riproposto la prescrizione in appello, dopo la riforma sulla decadenza la CTR avrebbe dovuto affrontare subito il merito (che però Tizio aveva riproposto), altrimenti – in assenza di qualunque riproposizione – la CTR, una volta esclusa la decadenza, avrebbe accolto l’appello dell’Ufficio in toto e Tizio si sarebbe trovato a dover pagare l’IRPEF senza che né prescrizione né merito fossero stati valutati, senza possibilità di rimediare (non avrebbe potuto farlo notare in Cassazione, perché colpa sua non averli riproposti).

Caso 3: Questione assorbente di giurisdizione
Scenario: L’azienda Beta impugna una cartella di tributi locali (TARI) davanti alla Commissione Tributaria Provinciale nel 2024. Solleva un unico motivo: (1) difetto di giurisdizione del giudice tributario, sostenendo che si tratti in realtà di materia patrimoniale di competenza del giudice ordinario (ipotesi teorica). In subordine (2) contesta nel merito l’importo della TARI. La CTP ritiene invece che la giurisdizione tributaria ci sia (rigetta l’eccezione 1) e passa al merito (2), dove però accoglie parzialmente le doglianze di Beta riducendo la cartella del 50%. La sentenza dunque respinge l’eccezione di giurisdizione e accoglie in parte il merito (Beta vince a metà). Nessuna questione è assorbita qui, perché il giudice ha deciso tutto. Beta, pur avendo ottenuto una riduzione, rimane parzialmente soccombente e decide di non appellare sul merito (accetta la riduzione del 50%, non vuole rischiare). Il Comune però appella sulla parte che ha perso, ossia quel 50% di riduzione, chiedendo il ripristino integrale. In appello, Beta è appellata vittoriosa in parte, ma anche soccombente in parte (sulla giurisdizione era soccombente ma non ha appellato). Beta si costituisce e ovviamente difende il merito (chiede di confermare la riduzione). Sa però di avere una questione assorbente potenziale: se avesse ragione sulla giurisdizione, l’intero giudizio andrebbe azzerato per difetto di giurisdizione. Purtroppo, avendo la CTP deciso negativamente su quella, Beta avrebbe dovuto appellare incidentalmente per ribaltare quella statuizione. Ma Beta non lo ha fatto nei 40 giorni. Può Beta almeno “riproporre” la giurisdizione ex art. 56? No. Perché l’eccezione di difetto di giurisdizione è stata respinta espressamente in primo grado (il giudice ha affermato la propria giurisdizione), quindi per attaccarla serviva appello incidentale, non riproposizione. Beta ormai se l’è giocata: la CTR non potrà dichiararsi senza giurisdizione se Beta non ha impugnato quel capo (e anzi, in tema di giurisdizione la Cassazione dice che anche se non impugnato, il capo sulla giurisdizione fa stato). Quindi in appello si discuterà solo del merito (quantificazione TARI). Beta può tutt’al più accennare alla giurisdizione, ma la CTR non potrebbe accoglierla, essendosi formato giudicato. Questo esempio evidenzia che non tutto è riproponibile: alcuni errori (come non fare appello incidentale su questioni decise e perse) sono irreversibili.
Possibile variante: se Beta invece avesse confidato molto nella giurisdizione e poco sul merito, avrebbe dovuto fare appello incidentale su giurisdizione. In tal caso la CTR, investita della questione di giurisdizione, l’avrebbe riesaminata. E se avesse dato ragione a Beta (difetto di giurisdizione) avrebbe dichiarato nullo tutto il processo e la cartella impugnabile davanti al giudice ordinario. Però Beta ha scelto di non impugnare quel rigetto, quindi fine. Morale: distinguere bene cosa va riproposto e cosa va appellato!.

Caso 4: Sanzioni assorbite dall’annullamento dell’imposta
Scenario: Il contribuente Gamma impugna un avviso di accertamento che recupera €50.000 di imposte e irroga €20.000 di sanzioni. Egli contesta (1) la pretesa tributaria nel merito (non dovuta), e (2) di conseguenza chiede anche l’annullamento delle sanzioni. La CTP accoglie il motivo (1) principale, annullando l’imposta; quanto alle sanzioni (2), spesso accade che la sentenza neppure ne parli, perché se non c’è imposta non possono esserci sanzioni (sanzioni su base imponibile azzerata sono azzerate per legge). In sentenza, infatti, magari si legge “Annulla l’avviso; restano assorbite le altre domande”. Gamma ha quindi vinto su tutto, ma formalmente la domanda sulle sanzioni non è stata decisa (se non implicitamente assorbita). L’Ufficio appella naturalmente contro l’annullamento dell’imposta, chiedendo di far rivivere l’avviso. Gamma in appello dovrà riproporre espressamente la questione delle sanzioni (che non erano state esaminate). Se non lo fa, e se la CTR dovesse dargli torto sull’imposta, accadrebbe una beffa: la CTR potrebbe a quel punto ripristinare l’imposta e, non trovando alcuna contestazione pendente sulle sanzioni (che non sono state riproposte), automaticamente per il principio accessorium sequitur principale, le sanzioni verrebbero confermate per intero. Gamma si troverebbe non solo a dover pagare €50.000 di imposta ma anche €20.000 di sanzioni, nonostante avesse sollevato obiezioni sulle sanzioni in primo grado – obiezioni che, non riproposte, sono scomparse dal radar. Se invece Gamma ha riproposto correttamente la questione sanzioni, allora la CTR, qualora dia ragione all’Ufficio sul merito dell’imposta, dovrà comunque esaminare se le sanzioni fossero legittime (magari Gamma aveva argomentato che erano sproporzionate, o non dovute per non punibilità). Ad esempio, la CTR potrebbe confermare l’imposta ma, valutando il motivo sulle sanzioni riproposto, magari ridurre le sanzioni del 50% per circostanze attenuanti. Ciò sarebbe un risultato parziale ma importante.
Nota finale: questo caso è comune nella pratica: a volte le sanzioni vengono dimenticate. È sempre consigliabile riproporre l’argomento sanzioni in appello se in primo grado erano state assorbite dall’annullamento dell’imposta, perché non si sa mai. L’Ufficio, dal canto suo, se appella e si vede riproposte questioni su sanzioni, dovrà replicare e difendere anche quelle – diversamente, potrebbe trovarsi a vincere sull’imposta ma perdere in parte sulle sanzioni.


Questi esempi evidenziano l’importanza per il contribuente (e i suoi difensori) di avere sempre una visione di insieme del contenzioso, anticipando le mosse successive. Le questioni assorbenti sono armi a doppio taglio: possono far vincere subito una causa, ma se non gestite bene possono portare a “perdere per strada” alcune difese. La chiave è conoscere bene le regole processuali e agire con tempestività e precisione in ogni fase del giudizio.

Tabelle riepilogative

Per consolidare i concetti esposti, presentiamo due ulteriori tabelle di riepilogo.

Tabella 1 – Effetto dell’assorbimento nei vari gradi di giudizio:

Grado di giudizioComportamento del giudice sulle questioni assorbentiRimedio in caso di errore/omissione
Primo grado (CTP/Corte I grado)Può decidere la causa su una questione assorbente (spesso preliminare) e non pronunciarsi sulle altre. Ciò è lecito se la questione risolve il caso (no omessa pronuncia sostanziale). Se l’assorbimento è esplicito, le questioni residue si intendono implicitamente rigettate o superflue.Se il giudice avrebbe dovuto decidere una questione (perché non realmente coperta dalla principale) ma non lo fa, commette omissione di pronuncia. La parte lesa deve appellare la sentenza denunciando la mancata decisione su quel punto.
Secondo grado (CTR/Corte II grado)Esamina solo i motivi impugnati dall’appellante e quelli riproposti dall’appellato. Le questioni di primo grado assorbite vanno specificamente riproposte dall’appellato vittorioso o si intendono rinunciate. Il giudice d’appello, se riforma la sentenza sul punto assorbente, deve decidere le questioni riproposte (altrimenti omessa pronuncia). Se conferma l’assorbimento, le altre questioni restano assorbite anche in secondo grado.Se la CTR non decide una questione riproposta (erroneamente dichiarandola assorbita o ignorandola), la parte deve proporre ricorso per Cassazione per omessa pronuncia (art. 360 n.4 c.p.c.). Se invece la questione non era riproposta, la CTR non poteva deciderla (nessun rimedio, è rinuncia). Una decisione d’ufficio su questione non riproposta è vizio di ultrapetizione.
Cassazione (giudizio di legittimità)Non rivaluta i fatti né le questioni nuove. L’assorbimento qui rileva solo come criterio logico: la Cassazione se accoglie un motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri eventuali motivi condizionati. Non si applica l’art. 346 c.p.c., dunque in Cassazione non si “ripropongono” questioni assorbite. Si possono però dedurre come motivi di ricorso gli eventuali errori commessi dalla CTR nel dichiarare assorbito o nel omettere decisioni.La Cassazione, constatato un vizio di omessa pronuncia o errori nell’applicazione dell’assorbimento, annulla la sentenza impugnata sul punto e rinvia la causa al giudice di merito competente. La Cassazione non decide nel merito questioni non esaminate (salvo casi eccezionali di sola legittimità). Se una questione è stata rinunciata (non riproposta) in appello, è ormai preclusa: in Cassazione non c’è rimedio e non può essere riesumata.

Tabella 2 – Onere di impugnazione o riproposizione per le questioni del contribuente:

Tipo di questione del contribuente (in esito al I grado)Serve appello (principale/incidente)?Serve riproposizione ex art. 56?Note aggiuntive
Questione interamente accolta in I grado (es: eccezione di nullità dell’atto accolta)No. (Il contribuente ha vinto su quella, non deve impugnare nulla in merito. Sarà la controparte semmai ad appellare se ritiene)No (Tecnicamente non è “non accolta”, è accolta; l’appellato chiede la conferma della sentenza su quel punto).L’appellato dovrà comunque difendersi dal motivo di appello avverso. Le questioni vinte “sopravvivono” senza bisogno di riproposizione.
Questione respinta (soccombenza) in I grado (es: eccezione rigettata espressamente)Sì, necessario se si vuole ribaltare l’esito. Bisogna proporre appello (o incidentale) entro i termini.Non applicabile (se è respinta, non è oggetto di riproposizione, ma semmai di impugnazione).Se non si appella quel rigetto, diventa definitivo (giudicato interno). La riproposizione semplice non è ammessa per questioni decise e rigettate.
Questione non decisa (assorbita) in I grado (es: non esaminata perché travolta da altra questione accolta)No (non c’è statuizione avversa da impugnare)Sì, fondamentale. Va specificamente riproposta in appello dall’appellato.In mancanza di riproposizione, scatta presunzione di rinuncia. Fa eccezione il caso di questioni rilevabili d’ufficio (es: giurisdizione) o mere difese: in tal caso il giudice può rilevarle anche senza riproposizione.

Conclusioni

Le questioni assorbenti nel processo tributario rappresentano un aspetto delicato ma cruciale del diritto processuale tributario italiano. Comprenderne il funzionamento significa assicurarsi che tutte le proprie cartucce difensive vengano utilizzate al momento giusto e non vadano perse per ragioni procedurali. In sintesi:

  • Preparare più linee difensive: come un giocatore di scacchi, il contribuente deve avere una strategia multi-mossa. Vincere subito con una questione assorbente è ottimo, ma occorre predisporre le difese alternative per il seguito.
  • Conoscere le regole (art. 56 D.Lgs. 546/92, art. 346 c.p.c. analogico, giurisprudenza pertinente): ciò permette di non confondere quando appellare e quando riproporre, evitando decadenze. La conoscenza aggiornata delle sentenze di Cassazione (anche le più recenti fino al 2025) è un arma in più per argomentare correttamente.
  • Tempestività e chiarezza: ogni questione va sollevata o riproposta nei tempi e modi dovuti, espressamente e chiaramente. Meglio rischiare la ridondanza che l’omissione.
  • Attenzione al passaggio di grado: ogni transizione (primo grado -> appello, appello -> Cassazione) comporta filtri processuali. Ciò che non passa il filtro del secondo grado non arriverà mai in Cassazione.
  • Prospettiva del debitore: dal lato pratico, il contribuente deve tenere presente che l’Amministrazione finanziaria spesso concentra l’impugnazione sulle questioni formali vinte dal contribuente, e tende a non “ridiscutere” il merito se non necessario. Ciò significa che il contribuente deve essere il guardiano delle proprie questioni di merito: se vuole che vengano esaminate, deve forzare la mano riproponendole. Altrimenti il rischio è di vincere per un vizio e poi vederselo togliere in appello senza poter far valere che, anche senza quel vizio, aveva comunque ragione.

In conclusione, le questioni assorbenti sono un meccanismo con cui i giudici razionalizzano il loro lavoro decisionale, ma impongono ai difensori un onere di vigilanza processuale. Un contenzioso tributario ben condotto richiede non solo valide argomentazioni nel merito, ma anche un’accurata gestione di questi aspetti procedurali: spesso la differenza tra una sconfitta e una vittoria sta proprio in una riproposizione fatta o mancata. Con questa guida, aggiornata a luglio 2025, speriamo di aver fornito uno strumento utile per orientarsi in questo ambito complesso, con la consapevolezza che il diritto tributario vive di dettagli formali capaci di determinare sostanziali effetti sulle vite dei contribuenti.

Fonti e riferimenti

  • Corte di Cassazione (Sez. Trib.), sent. n. 14978/2020 – Definisce l’istituto dell’assorbimento in senso proprio e improprio, chiarendo che la decisione su una questione assorbente può implicare il rigetto implicito delle altre e che, se l’assorbimento è corretto, non vi è omessa pronuncia.
  • Corte di Cassazione (Sez. I, SU), sent. n. 11799/2017 – Principio di diritto sulle conseguenze delle domande respinte vs non esaminate: per le respinte serve appello incidentale, per le assorbite basta riproposizione.
  • Corte di Cassazione (Sez. Unite), sent. n. 7940/2019 – Ha risolto contrasti circa il termine e le modalità di riproposizione ex art. 346 c.p.c., stabilendo che le domande ed eccezioni assorbite vanno riproposte entro e non oltre la prima udienza del giudizio d’appello (preferibilmente nella comparsa di risposta). Ha escluso decadenze se la riproposizione avviene entro tale limite.
  • Corte di Cassazione (Sez. Trib.), sent. n. 12591/2020 – Conferma che l’art. 56 D.Lgs. 546/92 (come l’art. 346 c.p.c.) si riferisce alle questioni non accolte a favore dell’appellato, cioè non pronunciate (assorbite), non a quelle respinte. Sulle respinte occorre impugnazione (principale o incidentale), sulle assorbite basta riproposizione.
  • Corte di Cassazione (Sez. Trib.), sent. n. 25840/2021 – Ribadisce che la parte totalmente vittoriosa non ha interesse a un appello incidentale per questioni assorbite, ma deve solo riproporle espressamente in appello.
  • Corte di Cassazione (Sez. Trib.), ord. n. 22311/2020 – Esemplifica la necessità di specificità nella riproposizione: richiamo generico alle difese di primo grado non è sufficiente.
  • Corte di Cassazione (Sez. Trib.), sent. n. 10993/2023 – Sottolinea la natura pratico-giurisprudenziale dell’assorbimento e la mancanza di definizione normativa. Inoltre, chiarisce che la riproposizione può avvenire in qualsiasi forma purché chiara, non prescrivendo formule sacramentali.
  • Corte di Cassazione (Sez. I), ord. n. 100/2025 – Ha statuito che il giudice d’appello incorre in ultrapetizione se decide d’ufficio questioni non riproposte dall’appellato contumace, violando art. 112 c.p.c. e art. 56 D.Lgs. 546/92 (presunzione di rinuncia). Rilevante per i casi di contumacia dell’appellato.
  • Corte di Cassazione (Sez. I), ord. n. 2670/2025 – Conferma linee guida su onere di riproposizione, in linea con la precedente n.10993/2023, ribadendo che la riproposizione deve avvenire chiaramente entro la prima udienza (assenza di una norma di forma specifica, ma necessità di esprimere la volontà di discutere le questioni assorbite).
  • Corte di Cassazione (Sez. Trib.), sent. n. 18120/2023 – Ha affermato che nel giudizio di Cassazione non si applica l’art. 346 c.p.c. e quindi non serve (né è possibile) riproporre questioni assorbite, ma sulle questioni non decise in appello occorre verificare se vi sia omissione censurabile. Ha inoltre ricordato che la Cassazione non può esaminare questioni di merito su cui i giudici di merito non si sono pronunciati per qualsiasi ragione (mancata devoluzione).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56 – Norma cardine del processo tributario in appello, introdotta dalla riforma del contenzioso tributario del 1992, sulla “presunzione di rinuncia delle questioni non riproposte”. Testo: “Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono specificamente riproposte in appello, s’intendono rinunciate”. (Articolo abrogato dal 2026 e sostituito dall’art. 110 D.Lgs. 175/2024, di analogo contenuto).
  • Codice di procedura civile, art. 346 – Norma equivalente per il processo civile ordinario, da cui l’art. 56 trae ispirazione. Prevista la decadenza dalle domande ed eccezioni non riproposte in appello. La giurisprudenza civile consolidata ha chiarito il significato di “non accolte” esteso alle assorbite e i tempi della riproposizione (SU 11799/2017 e 7940/2019 citate).
  • Giurisprudenza di merito e altre fonti: vari riferimenti minori (es. Cass. Sez. II n. 15810/2020, Cass. Sez. V n. 7663/2012 citate in motivazioni, etc.) sono stati utilizzati indirettamente tramite le citazioni dottrinali per completare il quadro. Inoltre, la disciplina codicistica (artt. 112, 336 c.p.c.) e la normativa tributaria (D.Lgs. 546/92; D.Lgs. 175/2024) sono state integrate per contesto.

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🧾 Esempi di questioni assorbenti

  • Notifica nulla dell’avviso di accertamento → l’atto è annullabile, quindi il giudice non valuta il merito
  • Vizio insanabile di motivazione dell’atto → il giudice non esamina gli altri profili fiscali sollevati
  • Prescrizione del credito tributario → non ha senso discutere se il debito sia giusto, perché ormai non è più esigibile
  • Illegittimità della procedura seguita → annulla l’atto a monte, assorbendo ogni questione tecnica successiva

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