Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate che ti contesta anomalie nella Certificazione Unica (CU) trasmessa come datore di lavoro?
Ti segnalano errori nei dati relativi ai redditi, ritenute, versamenti o nel trattamento fiscale dei compensi corrisposti ai dipendenti o collaboratori? In questi casi è fondamentale capire di cosa sei accusato, quali sanzioni rischi e come difenderti per evitare accertamenti e responsabilità.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta anomalie nella CU?
– Quando ci sono incongruenze tra le CU trasmesse e i versamenti F24 effettuati
– Quando risultano ritenute non operate, non versate o versate in misura inferiore rispetto a quanto dichiarato
– Quando sono stati indicati codici errati, imponibili sbagliati o dati anagrafici non coerenti
– Quando le CU sono state omesse, duplicate o inviate oltre i termini
– Quando i dati trasmessi non coincidono con quelli presenti nel modello 770 o nella contabilità aziendale
Cosa può contenere la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate?
– Il dettaglio delle anomalie rilevate per ciascun dipendente o collaboratore
– L’invito a fornire chiarimenti o documentazione correttiva
– La richiesta di trasmettere una CU rettificativa o integrativa
– L’avvertimento che, in caso di mancata regolarizzazione, potrà essere avviato un accertamento
– La segnalazione di possibili sanzioni amministrative per errori o omissioni
Quali sanzioni rischi come datore di lavoro per errori nella CU?
– 100 euro per ogni certificazione errata o omessa, fino a un massimo di 50.000 euro (art. 4, c. 6-quinquies, D.Lgs. 471/1997)
– Sanzioni per omesso versamento di ritenute, se le CU contengono dati non coerenti con gli F24
– Responsabilità solidale con il dipendente, se l’errore ha comportato un indebito vantaggio fiscale
– Accertamenti con sanzioni maggiorate, se le anomalie non vengono chiarite o corrette nei termini
Cosa puoi fare se ti contestano anomalie nella CU?
– Verifica subito le CU inviate, confrontandole con contabilità, LUL, F24 e modello 770
– Se hai commesso errori, trasmetti una CU rettificativa entro i termini per ridurre o evitare sanzioni
– Se l’anomalia è solo formale (codice errato, cifra decimale, omonimia), prepara una risposta tramite il canale CIVIS o PEC, spiegando il motivo dell’errore
– Se i versamenti sono stati effettuati regolarmente ma mal collegati alla CU, allega le quietanze e gli F24 corretti
– Se ricevi un accertamento formale, valuta con un legale se opporlo per contestare la fondatezza della pretesa
– Se l’errore è imputabile al consulente paghe o al commercialista, puoi attivare un’azione di responsabilità professionale
Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– L’archiviazione della segnalazione, se l’anomalia è infondata o formalmente sanata
– La riduzione delle sanzioni tramite ravvedimento operoso, se correggi in tempo
– La protezione della tua reputazione fiscale, soprattutto se operi come sostituto d’imposta per decine di lavoratori
– L’evitamento di un accertamento per dichiarazione infedele
– La possibilità di regolarizzare tutto senza danni economici rilevanti
Attenzione: le anomalie nelle Certificazioni Uniche possono attivare controlli a catena, sia sul datore di lavoro che sui dipendenti. Anche un errore banale può portare a contestazioni formali, sanzioni e richieste di pagamento. Intervenire subito e con precisione è essenziale per evitare conseguenze più gravi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso fiscale, lavoro e difesa del datore di lavoro ti spiega cosa fare se ricevi una contestazione sulla CU, come regolarizzare e come difendere la tua posizione fiscale e professionale.
Hai ricevuto una comunicazione per errori nelle Certificazioni Uniche?
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Introduzione
Le anomalie nella Certificazione Unica (CU) – errori, omissioni o difformità nei dati dichiarati dal datore di lavoro (sostituto d’imposta) – possono esporre quest’ultimo a contestazioni fiscali e sanzioni. La Certificazione Unica è il documento fiscale che ogni datore di lavoro (o ente pensionistico o altro sostituto) deve rilasciare annualmente ai percettori di redditi (dipendenti, collaboratori, autonomi, ecc.), attestando le somme erogate e le relative ritenute fiscali e contributive effettuate. Un’anomalia in tale documentazione può emergere da controlli incrociati dell’Agenzia delle Entrate, da comunicazioni di irregolarità o anche su segnalazione di ex dipendenti/collaboratori. Di seguito esamineremo, in un’ottica avanzata ma dal taglio pratico, quali sono le principali anomalie contestabili, quali conseguenze comportano per il datore di lavoro e soprattutto come difendersi. Il tutto è aggiornato a luglio 2025, con riferimenti normativi e giurisprudenziali recenti (tributari e amministrativi), tabelle riepilogative, domande e risposte chiarificatrici ed esempi pratici basati su casi reali. L’obiettivo è offrire una guida completa – in linguaggio giuridico ma accessibile – utile ad avvocati, imprenditori e privati che si trovino, dal punto di vista del “debitore” (sostituto d’imposta), a fronteggiare contestazioni relative a irregolarità nelle Certificazioni Uniche.
Che cos’è la Certificazione Unica e gli obblighi del datore di lavoro
La Certificazione Unica (CU) è il documento mediante il quale il sostituto d’imposta (tipicamente, il datore di lavoro o committente) certifica i redditi erogati e le ritenute effettuate nel corso di un anno fiscale. Ha sostituito dal 2015 il vecchio modello CUD, unificando in un unico modello sia i redditi di lavoro dipendente e assimilati, sia alcuni redditi di lavoro autonomo, provvigioni e altri redditi soggetti a ritenuta. In particolare, la CU riporta per ciascun percipiente: i redditi corrisposti (stipendi, compensi, pensioni, provvigioni, ecc.), le ritenute fiscali operate (ad esempio IRPEF a titolo di acconto o d’imposta) e le contribuzioni previdenziali e assistenziali versate agli enti competenti. La base normativa è l’art. 4, comma 6-ter del D.P.R. 322/1998, che impone ai sostituti d’imposta di rilasciare una certificazione unica attestante gli importi pagati, le ritenute operate, le detrazioni d’imposta e i contributi dovuti.
Obblighi e scadenze: Il datore di lavoro deve consegnare la CU al percipiente e trasmetterla telematicamente all’Agenzia delle Entrate entro termini stabiliti per legge ogni anno. Di norma:
- Consegna al lavoratore/percipiente: entro il 16 marzo dell’anno successivo (slittato al 17 marzo se il 16 è festivo, come avvenuto nel 2025). Questo termine è unico per tutti i percipienti, salvo casi particolari di cessazione anticipata (vedi infra).
- Trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate: entro la stessa data (16/17 marzo) per le CU contenenti redditi utili alla dichiarazione precompilata (es. redditi di lavoro dipendente e assimilati, alcuni redditi di lavoro autonomo). Fino al 2024 era consentito differire l’invio delle CU relative ai soli lavoratori autonomi con partita IVA al termine di presentazione del modello 770 (fine ottobre), ma questa possibilità è stata eliminata a partire dalle Certificazioni Uniche 2025 (redditi 2024). Dunque, dal 2025, le CU per i compensi di lavoro autonomo professionale vanno inviate entro il 31 marzo (termine fissato per il 2025). Resta invece fino a ottobre solo la trasmissione delle CU contenenti esclusivamente redditi esenti o non dichiarabili mediante dichiarazione precompilata (ad esempio alcune tipologie di redditi che non confluiscono nel 730).
- Caso di cessazione del rapporto di lavoro: in caso di interruzione del rapporto (licenziamento, dimissioni, termine di collaborazione) prima della fine dell’anno, il percettore ha diritto, su richiesta, a ottenere la propria CU entro 12 giorni dalla richiesta, senza dover attendere marzo dell’anno seguente. Questo obbligo tutela l’ex lavoratore/collaboratore che intenda dichiarare tempestivamente i redditi percepiti. Il datore di lavoro può adempiere consegnando la CU a mano oppure inviandola mediante raccomandata A/R, PEC o altri canali tracciati. Ad esempio, un ex dipendente licenziato a metà 2025 che ne faccia richiesta dovrà ricevere la CU 2025 (per i redditi 2025 maturati fino alla cessazione) entro 12 giorni dalla domanda, anziché ad esempio aspettare marzo 2026.
Ricordiamo che la Certificazione Unica va rilasciata anche per redditi erogati a soggetti non dipendenti quando il pagatore funge da sostituto d’imposta: ad esempio compensi a collaboratori coordinati e continuativi, amministratori, lavoratori autonomi occasionali con ritenuta, provvigioni ad agenti, compensi a professionisti soggetti a ritenuta d’acconto, ecc. In tali casi il documento certificherà i compensi e le ritenute d’acconto operate (ad esempio il 20% sulle prestazioni di lavoro autonomo occasionale, le ritenute su provvigioni, ecc.), analogamente a quanto avviene per gli stipendi dei dipendenti.
Perché è importante la CU: La CU è un documento centrale nel sistema tributario italiano: da un lato consente al percipiente di presentare correttamente la dichiarazione dei redditi (in proprio o tramite il 730 precompilato che la stessa Agenzia delle Entrate elabora usando i dati delle CU inviate dai sostituti); dall’altro lato consente al Fisco di controllare la corrispondenza tra quanto dichiarato dai contribuenti percipienti e quanto certificato dai sostituti d’imposta. Errori o omissioni in questo documento possono quindi generare disallineamenti, con possibili ripercussioni sia per il contribuente percettore (es. errori nel 730 precompilato, mancato credito per imposte pagate) sia per il datore di lavoro (sanzioni amministrative, accertamenti per imposte non versate, ecc.). È dunque fondamentale adempiere con precisione a questo obbligo e, qualora vengano contestati “anomalie o errori” nella CU, affrontare tempestivamente la situazione per prevenire conseguenze più gravi.
Tipologie di anomalie contestabili nella Certificazione Unica
Quando si parla di “anomalie” nella Certificazione Unica contestate al datore di lavoro, si possono intendere diverse situazioni irregolari. Di seguito le principali tipologie di anomalie che possono essere contestate e le loro caratteristiche:
- Omissione della Certificazione Unica: il caso più grave è la mancata emissione o mancata trasmissione di una CU dovuta. Ciò accade, ad esempio, se il datore di lavoro/committente non rilascia affatto la certificazione a un dipendente o collaboratore per i redditi corrisposti, oppure se omette l’invio telematico della CU all’Agenzia delle Entrate. L’omissione priva l’erario di un dato fondamentale e può pregiudicare il percettore (che potrebbe non avere la documentazione per dichiarare quel reddito). È una violazione oggettiva, sanzionata anche se il reddito in questione è stato comunque dichiarato dal percipiente. Esempio: un’azienda dimentica di includere nei propri invii una CU per un collaboratore occasionale pagato nell’anno.
- Ritardo nella trasmissione o consegna: il datore di lavoro adempie all’obbligo, ma oltre i termini previsti (trasmissione telematica oltre la scadenza di legge, o consegna al percipiente in ritardo). Anche la presentazione tardiva costituisce un’irregolarità sanzionabile, sebbene con possibilità di attenuanti. Esempio: il sostituto invia le CU all’Agenzia delle Entrate a fine aprile, anziché entro metà marzo – questo costituisce invio tardivo.
- Dati errati o incompleti nella CU: la certificazione è stata rilasciata ma presenta errori nei dati riportati. Gli errori possono riguardare: importi dei redditi, importi delle ritenute operate o dei contributi, generalità del percipiente (codice fiscale, ecc.), periodi di lavoro, ecc. Ad esempio, può capitare di indicare un reddito imponibile errato, oppure di riportare una ritenuta d’acconto inferiore a quella effettivamente trattenuta o versata. Rientra in questa categoria anche l’errata indicazione del tipo di reddito (es. classificare un compenso come “reddito esente” o come reddito di lavoro autonomo occasionale invece che come reddito di lavoro dipendente, ecc.) e qualunque difformità tra i dati reali e quelli certificati. Un caso tipico: il datore di lavoro rilascia al dipendente una CU con l’indicazione di ritenute IRPEF per €5.000 ma telematicamente ha trasmesso (per errore) €4.000 – c’è una difformità nei dati trasmessi rispetto a quelli effettivi.
- Difformità tra CU consegnata al lavoratore e CU trasmessa all’AdE: può accadere che la copia di CU consegnata al percettore presenti dati diversi rispetto a quelli risultanti dalla CU inviata telematicamente. Ciò può avvenire per un errore in fase di invio (ad esempio, una rettifica non comunicata al lavoratore, o una versione consegnata diversa dalla versione definitiva inviata). Questa difformità genera confusione e di solito viene alla luce perché il contribuente percepisce dati discordanti tra la propria copia e quanto emerge nel 730 precompilato dell’Agenzia. In caso di incongruenze tra CU cartacea e CU telematica, il Fisco può segnalarle come anomalia. Esempio: il lavoratore ha in mano una CU con imponibile €30.000, ma nel precompilato risulta €35.000 perché il datore ha trasmesso un importo diverso; l’Agenzia segnalerà l’incongruenza.
- Errori nell’attribuzione del percipiente o nel periodo: ad esempio, emissione di CU a nome di un soggetto sbagliato (codice fiscale errato) oppure riferita a un anno d’imposta differente. Questi errori, spesso formali, possono causare problemi perché il reddito potrebbe non essere correttamente attribuito al lavoratore giusto nelle banche dati fiscali.
- Mancata indicazione di importi dovuti: può succedere che il datore di lavoro ometta di indicare nella CU qualche elemento obbligatorio. Ad esempio: non indicare il TFR erogato, oppure omettere di segnalare detrazioni d’imposta riconosciute o compensi accessori. Queste omissioni rendono la certificazione incompleta o non veritiera.
- Anomalie relative alle ritenute previdenziali (INPS): la CU riporta anche i contributi previdenziali trattenuti e versati. Un’anomalia può sorgere se c’è disallineamento con i dati INPS (es. contributi dichiarati e non versati, o importi errati). Questo può portare a contestazioni da parte degli enti previdenziali (profili amministrativi) oltre che fiscali. Ad esempio, un ex collaboratore potrebbe accorgersi che la CU attesta versamenti a Gestione Separata INPS che però non risultano sul proprio estratto conto contributivo: segnalerà l’azienda per omissione contributiva.
Va sottolineato che anche errori apparentemente “formali” nella CU possono dar luogo a sanzioni. La normativa infatti punisce ogni certificazione “omessa, tardiva o errata” (art. 4, co. 6-quinquies DPR 322/1998). Non rileva, ai fini della sanzionabilità, l’eventuale “innocuità” dell’errore (ad esempio se il dipendente ha comunque dichiarato e versato il dovuto): la violazione formale sussiste e il Fisco può contestarla, salvo che venga sanata nei termini di tolleranza previsti (come vedremo, entro 5 giorni o 60 giorni a seconda dei casi). In alcuni casi, però, errori minori senza impatto sul calcolo dell’imposta potrebbero rientrare tra le violazioni formali non punibili se il legislatore lo prevede con specifiche sanatorie (ad esempio, in passato alcune sanatorie fiscali hanno escluso la punibilità di violazioni formali prive di incidenza sul gettito – si pensi alla “pace fiscale” per errori formali, che tuttavia non ha incluso l’omesso invio delle CU ritenuto invece violazione sostanziale perché incide sui controlli incrociati).
Sintesi delle principali anomalie:
- Omissione completa (CU mancante) – Violazione grave, impedisce al Fisco e al percipiente di conoscere i dati reddituali.
- Ritardo negli adempimenti – Violazione formale (con possibili attenuanti se contenuto entro certi limiti temporali).
- Errori nei dati (importi, codici fiscali, detrazioni, contributi, ecc.) – Violazione formale che può generare incongruenze nelle dichiarazioni.
- Difformità tra dati trasmessi e dati reali – Potenzialmente qualificabile come infedele attestazione, se rilevante, in quanto la CU non rispecchia fedelmente quanto corrisposto o versato.
Ogni tipologia di anomalia può essere rilevata attraverso specifici controlli. Nel seguito vedremo come l’Agenzia delle Entrate e altri enti possono accorgersi di queste irregolarità e in che modo vengono contestate al datore di lavoro.
Controlli e contestazioni: come vengono rilevate le anomalie
Le anomalie nella Certificazione Unica possono emergere attraverso diversi canali di controllo, sia automatizzati che in esito a segnalazioni o verifiche mirate. Comprendere come e quando tali anomalie vengono rilevate è fondamentale per sapere come reagire tempestivamente. Di seguito, le principali modalità con cui il Fisco (o i percipienti stessi) possono accorgersi di irregolarità nelle CU:
- Controlli incrociati automatizzati dell’Agenzia delle Entrate: L’Agenzia dispone di sofisticati sistemi di incrocio tra i dati delle CU trasmesse dai sostituti e le dichiarazioni dei redditi dei contribuenti. Ad esempio, in fase di elaborazione del 730 precompilato, se i dati reddituali o delle ritenute comunicati dal sostituto non coincidono con quelli risultanti dalle dichiarazioni presentate o dai documenti esibiti dal contribuente (es. CU cartacea al CAF), viene generata una segnalazione di incongruenza. Un caso comune: il contribuente presenta il 730 tramite CAF portando una CU cartacea, ma l’Agenzia ha ricevuto dati diversi; il sistema segnala “Incongruenza tra i dati presenti nella CU esibita al CAF/professionista e quelli trasmessi all’Agenzia delle Entrate dai sostituti d’imposta”. Tali difformità attivano verifiche e, se non risolte, possono portare a comunicazioni di irregolarità post-dichiarazione.
- Comunicazione di anomalie (compliance preventiva): In alcuni casi l’Agenzia delle Entrate, prima di emettere un vero e proprio avviso di accertamento, invia al contribuente (sia esso il sostituito o il sostituto) una comunicazione di anomalie riscontrate. Si tratta di lettere di “compliance” con cui il Fisco segnala possibili errori o omissioni e invita a fornire chiarimenti o a correggere spontaneamente la situazione (ad es. con ravvedimento operoso). Ad esempio, qualora dalle banche dati risultasse che un sostituto d’imposta non ha trasmesso alcuna CU per un determinato percipiente che invece ha dichiarato redditi (o viceversa, un contribuente risulta avere percepito redditi da CU che non compaiono nella sua dichiarazione), l’Agenzia può inviare una segnalazione di anomalia. In tali comunicazioni viene indicato il dato contestato, la fonte (es. “Certificazione Unica anno X”) e si invita il contribuente ad agire entro 30 giorni fornendo chiarimenti o regolarizzando tramite ravvedimento. È bene sottolineare che la risposta non è formalmente obbligatoria, ma ignorare l’anomalia espone quasi certamente ad un successivo accertamento più severo. Approfondiremo oltre come gestire al meglio queste comunicazioni.
- Controlli formali e automatizzati sulle dichiarazioni (artt. 36-bis e 36-ter DPR 600/1973): Dopo la presentazione delle dichiarazioni dei redditi, l’Agenzia effettua controlli automatici. Se un contribuente dichiara di aver subìto ritenute (ad esempio un lavoratore autonomo che nel modello Redditi indica crediti per ritenute d’acconto subite) che non trovano riscontro nelle Certificazioni Uniche trasmesse dai sostituti, scatta una comunicazione di irregolarità (il cosiddetto avviso bonario). In pratica il sistema rileva un disallineamento: il sostituito indica una ritenuta che il sostituto non ha dichiarato né versato. In genere l’avviso bonario viene emesso nei confronti del percettore, rideterminando l’imposta dovuta come se quella ritenuta non esistesse, con aggiunta di sanzioni e interessi. Tuttavia, se il percettore fornisce prova (es. copia CU, buste paga) che la ritenuta era stata operata dal datore di lavoro, l’Agenzia dovrà rivolgere la pretesa al sostituto d’imposta, poiché in base alla legge il lavoratore non è tenuto a pagare due volte (come vedremo, la Cassazione ha stabilito che in caso di ritenute operate ma non versate “il sostituito non è tenuto in solido” al pagamento). In sintesi, i controlli automatici possono far emergere omessi versamenti di ritenute o omesse certificazioni, che si traducono in irregolarità contestate o al sostituito o al sostituto a seconda dei casi.
- Verifiche fiscali e ispezioni: Nell’ambito di accertamenti più ampi (es. verifica della Guardia di Finanza o controlli dell’Agenzia delle Entrate sull’azienda), possono emergere difformità nelle CU. Ad esempio, un controllo sul modello 770 dell’azienda può evidenziare che esistono dipendenti o collaboratori pagati che non figurano nelle CU trasmesse, oppure che i totali delle ritenute dichiarate nel 770 non tornano con le somme certificate. Ancora, un accesso presso la sede aziendale potrebbe far emergere, dalla contabilità salari, che alcune ritenute non sono state versate o certificate correttamente. In questi casi l’irregolarità viene contestata tramite processo verbale e potrà sfociare in atti di accertamento tributario o sanzionatorio.
- Segnalazioni dei percipienti (dipendenti, ex dipendenti, collaboratori): Spesso sono gli stessi lavoratori o collaboratori a scoprire per primi l’anomalia. Ad esempio, un ex dipendente che non riceve la CU nei tempi dovuti può sollecitare il datore di lavoro e, in mancanza di riscontro, segnalare la violazione all’Agenzia delle Entrate (che può comminare la sanzione per omessa consegna) o rivolgersi a un legale. Oppure un lavoratore che riscontri errori nella CU (importi sbagliati, dati mancanti) ha il diritto di chiederne la correzione al datore di lavoro. Se il datore non provvede, il percettore dovrà comunque presentare la dichiarazione dei redditi con i dati corretti in suo possesso, ma potrà segnalare il fatto (ad esempio il CAF potrà indicare nelle annotazioni del 730 che i dati non coincidono con la CU ufficiale) per evitare conseguenze a suo carico. In ogni caso, la mancata consegna della CU al percipiente entro il termine è sanzionabile (100 euro per certificazione omessa) e il percipiente può agire per tutelare i propri interessi, ad esempio chiedendo eventuali danni se dall’errore ha subìto conseguenze (si pensi al caso di un conguaglio fiscale sbagliato che gli causa debiti d’imposta imprevisti).
- Controlli incrociati con dati previdenziali o altri database: Oltre ai controlli strettamente fiscali, vi possono essere incroci di dati con enti previdenziali. Ad esempio, l’INPS può confrontare i contributi dichiarati nelle CU (che riceve dall’Agenzia) con i versamenti effettuati dall’azienda: se risultano contributi non versati ma certificati, l’INPS potrà attivare un accertamento contributivo. Analogamente l’Agenzia delle Entrate potrebbe incrociare i dati delle CU con l’Anagrafe Tributaria (es. spese detratte, compensi dichiarati da professionisti) per individuare anomalie.
Dal controllo alla contestazione: Una volta rilevata l’anomalia, l’iter di contestazione al datore di lavoro può seguire vari passi:
- In prima battuta, come detto, l’Agenzia può inviare una “comunicazione di anomalia” informale (fase di compliance) in cui si offre la chance di ravvedersi o spiegare. Se il datore di lavoro reagisce positivamente (fornendo chiarimenti o correggendo l’errore), spesso la vicenda si chiude lì senza ulteriori sanzioni (o con sanzioni ridotte in caso di ravvedimento).
- Se l’anomalia non viene sanata, oppure se viene scoperta direttamente in sede di controllo formale, l’Agenzia può emettere un atto di contestazione o avviso di accertamento. Ad esempio, l’ufficio potrebbe emettere un provvedimento sanzionatorio per le CU omesse/errate (ingiunzione a pagare la sanzione di 100 euro cadauna, eventualmente con cumulo fino a 50.000 euro), oppure un avviso di accertamento per omesso versamento di ritenute (richiedendo al datore le imposte non versate, interessi e relative sanzioni).
- In molti casi, prima di un accertamento “pieno”, vi è un avviso bonario (comunicazione di irregolarità ex art. 36-bis): ad esempio, se da 770 e modelli F24 risulta un mancato versamento di ritenute, l’Agenzia emette una comunicazione chiedendo il pagamento entro 30 giorni con sanzioni ridotte a 1/3 (10%) anziché il 30%. Se si paga entro il termine, non segue accertamento; altrimenti la pretesa diventa definitiva e iscritta a ruolo (cartella esattoriale).
- Nelle ipotesi più gravi (frode, sistematica omissione di certificazioni o versamenti), il Fisco può procedere direttamente con accertamenti parziali o d’ufficio, senza passare da comunicazioni preventive, soprattutto se teme perdita di gettito. Inoltre, qualora l’importo delle ritenute non versate superi determinate soglie, può scattare anche la segnalazione penale (si pensi all’omesso versamento di ritenute dovute oltre 150.000 €, ex art. 10-bis D.Lgs. 74/2000).
In tutti i casi, tempestività e trasparenza nella fase pre-contenziosa sono cruciali: ignorare le prime comunicazioni aggrava la posizione. Come sottolineato dagli esperti, non rispondere a un invito dell’Agenzia può portare ad accertamenti con sanzioni maggiorate (fino al 90% nelle ipotesi di infedele dichiarazione) e precludere i benefici del ravvedimento. Per il datore di lavoro, quindi, alla prima segnalazione di anomalia conviene verificare i fatti e, se l’errore c’è, attivarsi subito per regolarizzare prima che diventi un vero contenzioso tributario.
Nei paragrafi seguenti vedremo quali conseguenze (sanzioni e obblighi) possono ricadere sul datore di lavoro a fronte di queste anomalie e quali strumenti di difesa e rimedio sono a disposizione.
Conseguenze per il datore di lavoro in caso di anomalie nella CU
Quando vengono contestate anomalie nella Certificazione Unica, il datore di lavoro (in qualità di sostituto d’imposta) può andare incontro a diverse conseguenze, principalmente sanzioni amministrative pecuniarie e, se l’anomalia cela imposte non versate, all’obbligo di corrispondere le somme dovute con relativi interessi. In casi estremi, come accennato, possono sorgere anche profili penali o conseguenze indirette nei rapporti con i percipienti. Esaminiamo nel dettaglio:
Sanzioni amministrative per CU omesse, tardive o errate
La legge prevede una sanzione specifica per ogni violazione relativa alle Certificazioni Uniche, disciplinata dall’art. 4, comma 6-quinquies del DPR 322/1998. Tale norma (introdotta dalla Legge di Stabilità 2015 e non modificata dal successivo “Decreto Sanzioni” del 2015) stabilisce che “per ogni certificazione omessa, tardiva o errata si applica la sanzione di 100 euro… con un massimo di 50.000 euro per sostituto d’imposta”. In altre parole, ogni CU non presentata, presentata oltre il termine, oppure con dati inesatti, comporta una multa fissa di 100 €, cumulabile fino a un tetto massimo di 50.000 € per anno e per sostituto.
La normativa, però, prevede anche alcune attenuanti importanti se il datore di lavoro corregge l’errore entro certi limiti di tempo:
- Nessuna sanzione se la correzione avviene entro 5 giorni dalla scadenza. In caso di trasmissione errata di una CU, è possibile ritrasmettere una CU corretta entro 5 giorni dal termine ordinario senza incorrere in sanzioni. Ad esempio, per le CU 2025 con scadenza 17 marzo 2025, il datore di lavoro poteva inviare una correzione entro il 21 marzo 2025 senza sanzioni. Questa sorta di “periodo di tolleranza” di 5 giorni opera anche se la prima trasmissione era avvenuta in tempo ma con errori da correggere, oppure in caso di scarto del file: i 5 giorni decorrono dalla data di comunicazione dello scarto da parte dell’AdE, se il file inviato viene rifiutato. In pratica, viene data la chance di rimediare a errori materiali immediatamente dopo la scadenza senza esborso.
- Sanzione ridotta a 1/3 (33,33 €) se la certificazione corretta viene trasmessa entro 60 giorni. Se il datore di lavoro trasmette la CU mancante o la versione rettificata entro 60 giorni dalla scadenza prevista, la sanzione base di 100 € è ridotta a un terzo, ossia 33,33 € per ciascuna certificazione. Anche il massimale per anno si riduce conseguentemente a 20.000 € (1/3 di 50.000). Tornando all’esempio della scadenza 17 marzo 2025, inviando una CU correttiva entro il 16 maggio 2025 si applicherebbe la sanzione di 33,33 € invece di 100 €. Questa riduzione premiale incentiva i sostituti a regolarizzare la propria posizione rapidamente, entro circa due mesi. Importante: se la trasmissione originaria era totalmente omessa, l’invio entro 60 giorni della CU “tardiva” rientra comunque in questa fattispecie (sanzione ridotta a 1/3).
- Oltre 60 giorni dalla scadenza: in assenza di ravvedimento, superata la soglia dei 60 giorni l’inosservanza diventa pienamente sanzionabile in misura intera (100 € per certificazione). Tuttavia, come vedremo a breve, dal 2024 è stata ammessa la possibilità di utilizzare il ravvedimento operoso anche oltre i 60 giorni, fruendo così di ulteriori riduzioni proporzionali al ritardo. Ciò significa che, anche se sono trascorsi più di 60 giorni, il datore di lavoro può ridurre la sanzione applicabile versandola spontaneamente prima di ricevere un atto formale, sfruttando le riduzioni del ravvedimento (es. 1/9 se entro 90 giorni, 1/8 entro 1 anno, etc., secondo i nuovi parametri aggiornati nel 2024 – vedi oltre).
Di seguito una tabella riepilogativa delle sanzioni previste e delle riduzioni applicabili:
Violazione CU (anno 2025) | Regolarizzazione entro… | Sanzione per ciascuna CU (max per anno) |
---|---|---|
Omessa, tardiva o errata CU (nessuna correzione) | – oltre 60 gg dalla scadenza | 100 € (massimo 50.000 € per sostituto) |
CU errata, poi corretta e trasmessa entro 5 giorni | 5 gg dalla scadenza ordinaria | 0 € (nessuna sanzione applicata) |
CU errata/omessa, trasmessa entro 60 giorni | 60 gg dalla scadenza ordinaria | 33,33 € (1/3 del minimo) – max 20.000 € |
Ravvedimento operoso oltre 60 gg (vedi infra) | Varie soglie (90 gg, 1 anno, ecc.) | sanzione ridotta in proporzione al tempo trascorso |
Fonti: Art. 4 co.6-quinquies DPR 322/98; Circ. AdE 195/1999 (tolleranza 5 gg); modifiche introdotte da Circ. AdE 12/E-2024.
La sanzione, quando dovuta, va versata dal sostituto d’imposta tramite modello F24 – generalmente utilizzando il codice tributo 8911 (sanzioni da ravvedimento/violazioni dichiarative) e indicando come anno di riferimento l’anno d’imposta della violazione. Alcune fonti indicano anche il codice 8906 per il versamento in caso di sanzione da omessa CU a seguito di comunicazione formale, ma l’orientamento aggiornato (dopo l’apertura al ravvedimento) conferma l’uso del codice 8911 per il pagamento spontaneo sanzioni CU. È sempre consigliabile verificare le istruzioni aggiornate dell’Agenzia al momento del versamento.
Oltre alla sanzione specifica sulle CU, se l’errore/omissione ha comportato anche un mancato versamento di imposte (ritenute non versate), il datore di lavoro sarà soggetto alle ordinarie sanzioni per omesso versamento di imposte: tipicamente il 30% delle somme non versate (ridotto al 15% se il pagamento avviene con breve ritardo, entro 90 giorni) ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 471/1997, oltre agli interessi legali maturati (attualmente il tasso d’interesse è 2,5% annuo dal 1° gennaio 2025). Ad esempio, se un datore di lavoro ha certificato ritenute IRPEF per 10.000 € ma ne ha versate solo 7.000 €, l’Agenzia – oltre a sanzionarlo per la CU infedele – richiederà il pagamento dei 3.000 € di ritenute mancanti, più interessi e la sanzione del 30% su tale importo (900 €), ridotta eventualmente al 10% in sede di avviso bonario se il pagamento è tempestivo. L’omesso versamento di ritenute può emergere dal confronto tra CU/770 e modello F24 o da controllo automatizzato su dichiarazioni.
Attenzione al cumulo sanzionatorio: se vi sono più violazioni (più CU omesse/errate), la sanzione è per ciascuna certificazione, ma il massimale di 50.000 € per anno per sostituto pone un tetto. La norma prevede tale tetto “in deroga all’art. 12 del D.Lgs. 472/97”, il che significa che il cumulo sanzionatorio è già definito dalla legge speciale: non si applica l’ulteriore criterio del cumulo giuridico generale, se non per quanto non disciplinato. In pratica, se anche le violazioni fossero contestate con un unico atto, la somma delle sanzioni (100 € per CU) non supererà 50.000 € per periodo d’imposta. Tuttavia, qualora il sostituto reiteri la condotta su più anni, il tetto si applica per ciascun anno separatamente.
Va ricordato che, secondo l’ordinamento tributario, l’assenza di dolo o la buona fede del sostituto non escludono di per sé la sanzione amministrativa, trattandosi di violazioni obbligative (di tipo oggettivo). Solo in casi particolari, ad esempio se l’errore è dovuto a causa di forza maggiore o a obiettiva incertezza sulla norma, il contribuente può invocare l’assenza di colpevolezza. Ma nel caso delle CU le regole sono chiare e le “attenuanti” già codificate (5 giorni, 60 giorni, ravvedimento). Difficilmente un ricorso potrà ottenere l’annullamento integrale di una sanzione per CU omessa/errata appellandosi all’assenza di danno o ad un errore scusabile, a meno di situazioni eccezionali (es. sistemi informatici dell’Agenzia non funzionanti a ridosso della scadenza, caso documentabile che potrebbe configurare causa di forza maggiore).
Effetti sull’imposta e responsabilità per le ritenute non versate
Una Certificazione Unica anomala spesso segnala un problema sottostante di mancato versamento di imposte. Ad esempio, l’omessa CU per un compenso potrebbe essere indice che il datore non ha versato la relativa ritenuta; oppure un importo di ritenute indicato erroneamente (troppo basso) potrebbe celare un tentativo di nascondere un omesso versamento. È importante chiarire le responsabilità in materia di ritenute tra datore di lavoro e lavoratore, sia per capire chi deve pagare le imposte dovute sia per valutare le strategie difensive:
- Ritenute operate ma non versate: Se il datore di lavoro ha effettivamente trattenuto dal dipendente/collaboratore le ritenute IRPEF in busta paga (o sul compenso) ma poi non le ha versate all’Erario, la legge considera comunque assolto l’obbligo d’imposta in capo al percettore. In altre parole, il lavoratore non può essere chiamato a pagare due volte quelle imposte: la responsabilità del versamento è esclusivamente del sostituto. Questo principio è stato affermato con forza dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 10378/2019), la quale ha chiarito che non sussiste alcuna solidarietà passiva tra sostituto e sostituito se la ritenuta è stata operata. Testualmente: “nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 DPR 602/1973 è espressamente condizionata […] al fatto che non siano state effettuate le ritenute”. Dunque, in tale scenario:
- Il lavoratore è “al sicuro” (non dovrà versare nulla in più rispetto a quanto già trattenuto). Può anzi far valere il credito d’imposta per quelle ritenute come se fossero state versate, sulla base della CU o delle buste paga.
- Il datore di lavoro invece risponde integralmente dell’omesso versamento: l’Agenzia delle Entrate gli notificherà un avviso per recuperare l’imposta non versata, oltre interessi e sanzioni. Non potrà rivalersi sul dipendente, avendogli già trattenuto l’importo.
- Esempio: un’azienda ha trattenuto 2.000 € di IRPEF dalle retribuzioni di un dipendente e gli rilascia la CU attestante ciò, ma non ha mai versato quei 2.000 € al Fisco. Il dipendente, grazie a CU e buste paga, potrà comunque dichiarare il reddito come tassato alla fonte (o ottenere il rimborso in sede di conguaglio, se spettante), mentre l’Agenzia richiederà i 2.000 € al datore. Non è ammesso pretendere la somma dal lavoratore neppure in via solidale. Questa situazione costituisce per il datore una violazione grave (omesso versamento di ritenute certificate), sanzionata come visto con il 30% e potenzialmente rilevante penalmente oltre soglia.
- Ritenute non operate (omesse) dal datore di lavoro: Caso diverso è quando il datore di lavoro avrebbe dovuto effettuare una ritenuta alla fonte ma non l’ha proprio applicata. In questa situazione, non essendo mai stata trattenuta l’imposta al percipiente, la legge considera entrambi (sostituto e sostituito) potenzialmente obbligati in solido per il pagamento. L’art. 35 del DPR 602/1973 infatti prevede la responsabilità solidale del sostituito nei casi in cui non sia stata effettuata la ritenuta dovuta. Ciò tipicamente accade nei casi di “lavoro nero” o compensi non dichiarati: se il committente paga in nero senza trattenere nulla, sia lui che il percettore sono tenuti all’imposta evasa. Applicato al nostro tema, se il datore omette la CU perché ha totalmente ignorato l’obbligo di ritenuta (es: paga un collaboratore occasionale senza applicare la ritenuta del 20%), allora quando il Fisco lo scopre:
- Il lavoratore potrà essere chiamato a versare l’IRPEF su quel reddito (qualora non l’abbia dichiarato e versato lui stesso spontaneamente), perché non c’è stata ritenuta subita.
- Il datore di lavoro sarà comunque sanzionato per non aver agito da sostituto d’imposta e potrà essere anch’egli obbligato al pagamento, in via solidale con il contribuente, delle imposte evase. In pratica il Fisco può rivalersi su entrambi i soggetti per recuperare il dovuto.
- Esempio: un’azienda classifica erroneamente un rapporto di lavoro come “prestazione occasionale” non soggetta a ritenuta, pagando 5.000 € a un collaboratore e non trattenendo nulla. Non emette CU. Se emerge l’irregolarità, l’Agenzia accerterà un’imposta evasa su quei 5.000 € (circa 1.150 € di IRPEF se scaglione 23%) pretendendola in solido dal collaboratore e dall’azienda, oltre a sanzionare l’azienda per omissione della CU e omesso versamento. Il collaboratore, dal canto suo, se ha già dichiarato quel reddito e pagato l’imposta nella propria dichiarazione, eviterà sanzioni personali ma la ditta resterà sanzionata per non aver effettuato la ritenuta dovuta.
In sintesi, il datore di lavoro “debitore” si trova esposto finanziariamente in entrambi gli scenari: se ha trattenuto e non versato, dovrà comunque pagare egli stesso; se non ha trattenuto quando doveva, sarà corresponsabile dell’imposta evasa insieme al percettore. La differenza pratica sta nel fatto che nel primo caso il lavoratore non subisce conseguenze fiscali (e può far valere il diritto al credito per le ritenute subite), nel secondo caso invece il lavoratore può essere chiamato a pagare la sua quota d’imposta non trattenuta (salvo rivalersi eventualmente sul datore per negligenza contrattuale, ma è un altro ambito).
Interessi e altre sanzioni: Per le imposte non versate, come detto, scatteranno interessi legali (calcolati giorno per giorno) e la sanzione del 30% per omesso versamento, salvo riduzioni se si paga entro 90 giorni (riduzione a 15%). Se l’omissione viene definita in adesione o acquiescenza, le sanzioni possono ridursi di 1/3 ulteriormente. Se invece si arriva a cartella di pagamento, il 30% pieno è dovuto. Inoltre, se il datore di lavoro ha presentato una dichiarazione infedele (ad esempio un 770 in cui ha indicato meno ritenute di quelle dovute), potrebbe astrattamente applicarsi anche la sanzione per dichiarazione infedele (che va dal 90% al 180% dell’imposta evasa, ex D.Lgs. 471/1997 art. 1). Tuttavia, di solito l’Agenzia tende a contestare la violazione specifica sulle ritenute (omesso versamento) più che la dichiarazione infedele, specie se la difformità emerge da controlli automatici.
Altre conseguenze: profili penali e rapporti con lavoratori
Profili penali: L’ordinamento tributario punisce come reato l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000), se l’importo supera una certa soglia. Attualmente (soglia valida fino al 2023, soggetta ad eventuali modifiche legislative), non versare ritenute risultanti dalla CU per un importo superiore a 150.000 € entro la scadenza dell’anno seguente costituisce reato tributario, punibile con reclusione da 6 mesi a 2 anni. Questo profilo penale riguarda il datore di lavoro che, pur avendo certificato le ritenute in CU o 770, non le versa al Fisco oltre il limite previsto. Ad esempio, se un’azienda nel 2024 trattiene complessivamente 200.000 € di IRPEF ai dipendenti ma ne versa solo 30.000, omettendo 170.000 €, commette il reato di omesso versamento di ritenute. Ovviamente, oltre al penale, resterà l’obbligo di pagare l’imposta e le sanzioni amministrative. Per importi inferiori alla soglia penale, la condotta rimane illecito amministrativo (con le sanzioni del 30% già dette). In ogni caso, questa guida si focalizza sugli aspetti tributari e amministrativi, ma è doveroso per il datore di lavoro sapere che violazioni gravi e reiterate possono trascendere nel penale. La comunicazione di anomalie dell’Agenzia stessa avverte che se la situazione configura evasione rilevante, vi è rischio di denuncia all’Autorità giudiziaria.
Rapporti con dipendenti e collaboratori: Anomalie nelle CU possono incrinare anche il rapporto fiduciario con i propri lavoratori o ex lavoratori. Un dipendente che si vede recapitare un avviso dal Fisco per colpa di un errore del datore potrebbe richiedere un risarcimento danni (ad esempio, se è costretto a pagare sanzioni o interessi in dichiarazione perché la CU era sbagliata e il datore non ha corretto per tempo). Inoltre, il lavoratore potrebbe segnalare la scorrettezza alle autorità. Ad esempio, la mancata consegna della CU nei termini potrebbe giustificare un reclamo all’Ispettorato del Lavoro o una richiesta di intervento sindacale (quantomeno come violazione degli obblighi contrattuali del datore, anche se la sanzione formale compete al Fisco). Per i collaboratori autonomi o professionisti, una CU errata può incidere sulla loro fiscalità: se la CU riporta una ritenuta d’acconto inferiore al dovuto, il professionista potrebbe vedersi contestare un maggior debito d’imposta in sede di dichiarazione e ciò potrebbe portare a controversie con il cliente/sostituto.
Reputazione fiscale e rischi indiretti: Un’azienda che accumula violazioni (specie omessi versamenti) può subire danni reputazionali. L’Agenzia delle Entrate “memorizza” le anomalie non chiarite, aumentando la probabilità di futuri controlli. Anche istituti finanziari o partner commerciali, attraverso certificazioni e documenti (come il DURF – documento unico di regolarità fiscale), potrebbero venir a conoscenza di inadempienze dell’azienda e considerarla meno affidabile. Nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, ad esempio, gravi irregolarità fiscali non regolarizzate possono precludere la partecipazione a gare d’appalto (per mancanza di requisito di regolarità fiscale).
In sintesi, per il datore di lavoro le conseguenze di anomalie nelle CU vanno ben oltre il semplice pagamento di una multa: si rischiano esborsi rilevanti (imposte dovute + sanzioni + interessi), possibili azioni penali in casi estremi, tensioni e rivendicazioni da parte dei dipendenti/collaboratori e un deterioramento del proprio standing fiscale.
Ecco perché diventa fondamentale difendersi in modo efficace non appena sopraggiunge una contestazione. Nel prossimo capitolo analizziamo proprio gli strumenti di difesa e rimedio a disposizione del datore di lavoro per tutelarsi o rimediare alle anomalie contestate.
Come difendersi: strumenti di rimedio e strategie difensive
Di fronte a una contestazione di anomalie nella Certificazione Unica, il datore di lavoro deve agire con tempestività e cognizione di causa. Gli strumenti di difesa variano a seconda dello stadio del procedimento (fase preliminare di compliance, avviso bonario, accertamento/sanzione formale) e del fondamento della contestazione (errore effettivamente commesso vs. contestazione infondata). In generale, possiamo distinguere due macro-situazioni: 1) il datore di lavoro riconosce l’errore/anomalia e vuole sanare la propria posizione; 2) il datore di lavoro ritiene la contestazione errata o infondata e intende difendersi contestandola. Vediamo le possibili azioni in entrambi i casi, passo per passo.
Fase della “comunicazione di anomalie” – compliance volontaria
Spesso la prima notifica che il datore riceve è una comunicazione di anomalie dall’Agenzia delle Entrate (anche definita “lettera di compliance” o avviso bonario di anomalia). Essa NON è un atto impositivo, ma un invito a verificare e correggere. Ecco come difendersi/utilizzarla al meglio:
- Verifica interna della segnalazione: La prima cosa da fare è controllare attentamente i fatti contestati. Bisogna confrontare i dati indicati nella comunicazione con le proprie evidenze (CU inviate, ricevute di trasmissione, modelli F24 pagati, buste paga, ecc.) per capire se l’anomalia segnalata è reale o frutto di un equivoco. Ad esempio, la lettera potrebbe indicare “manca CU per il CF XY” e magari scoprire che effettivamente quel collaboratore è stato dimenticato, oppure invece la CU è stata inviata ma c’è stato uno scarto non notato. Coinvolgere il consulente del lavoro o il commercialista è utile per esaminare la situazione. Questa fase è cruciale: se l’anomalia non esiste (cioè è un errore del Fisco o un disallineamento già sanato), il datore di lavoro adotterà una linea difensiva; se l’anomalia esiste, conviene passare subito al ravvedimento.
- Ravvedimento operoso (se l’errore c’è): Se dalle verifiche risulta che in effetti il datore ha commesso l’errore segnalato (es. CU omessa o errata), la strategia migliore è procedere con la regolarizzazione spontanea tramite ravvedimento operoso. Il ravvedimento comporta:
- Invio della dichiarazione/certificazione integrativa o tardiva: bisogna presentare la CU mancante o inviare la CU corretta rettificando i dati errati. In pratica, si rimedia all’omissione o all’errore materiale fornendo all’Agenzia i dati giusti (ad esempio inviando un file telematico di “Correttiva nei termini” se ancora entro 60gg, o di “Dichiarazione tardiva” se dopo i termini). Se l’errore impatta anche sul modello 770, andrà presentata eventualmente anche una dichiarazione 770 integrativa coerente.
- Pagamento delle imposte eventualmente dovute: se l’anomalia comporta un tributo non versato (ritenute non versate o versate parzialmente), occorre versare tali somme senza indugio. Il ravvedimento consente di pagarle con sanzioni ridotte. Ad esempio, un’imposta non versata di 1.000 € ravveduta entro l’avviso bonario paga solo il 15% di sanzione (150 €) anziché 30%.
- Pagamento della sanzione ridotta sulla CU: con la novità introdotta nel 2024, è possibile ravvedersi anche sulla sanzione per la certificazione tardiva/errata stessa. Quindi, oltre a sistemare l’imposta, bisogna versare la sanzione amministrativa prevista (100 € o 33,33 €) con la riduzione propria del ravvedimento. Ad esempio, se si ravvede oltre i 60 giorni ma entro 90 giorni dalla violazione, la sanzione di 100 € per CU si riduce a 1/9 (≈11,11 €); se entro un anno, a 1/8 (12,50 €), e così via secondo l’art. 13 D.Lgs. 472/97 come modificato dal D.Lgs. 87/2024.
- Benefici: Il ravvedimento evita un accertamento futuro e riduce drasticamente le sanzioni rispetto a quelle che sarebbero applicate d’ufficio (si pensi che in caso di accertamento la sanzione minima per infedele dichiarazione è 90% dell’imposta non versata, contro il 15% del ravvedimento breve). Inoltre chiudendo la posizione volontariamente si paga solo il dovuto con piccole addizioni e non si subiscono ulteriori aggravi. È “fortemente consigliato per evitare sanzioni maggiorate” come ricordano gli esperti.
- Risposta con chiarimenti (se si è in regola): Se dalle verifiche il datore di lavoro risulta in regola e la comunicazione appare infondata (ad esempio: la CU era stata inviata nei termini, ma per un problema tecnico l’AdE non l’ha recepita; oppure l’anomalia si basa su un errore di calcolo dell’Ufficio), è opportuno rispondere per iscritto alla comunicazione, fornendo tutti i chiarimenti e la documentazione giustificativa. La risposta può essere inviata tramite i canali indicati (spesso attraverso il portale “Cassetto fiscale” è possibile allegare una nota di replica, oppure via PEC all’ufficio competente). Nella risposta andranno:
- Spiegati i motivi per cui si ritiene che non vi sia irregolarità. Ad esempio: “La CU del Sig. Rossi risulta trasmessa il 15/03, protocollo n…, allego ricevuta. L’anomalia segnalata potrebbe riferirsi a un differente codice fiscale etc.”
- Allegati i documenti di supporto: copia delle CU, ricevute di invio, eventuali evidenze che smentiscono la contestazione.
- Richiamata se possibile la normativa a proprio favore (es: se contestano omesso invio ma la CU non era dovuta perché il percettore era un soggetto con partita IVA in regime forfettario senza ritenuta, lo si preciserà citando magari la norma di esonero).
- Chiarito che i dati originari erano corretti e che l’anomalia deriva da un misunderstanding.
Una risposta completa e circostanziata può indurre l’Agenzia a archiviare la segnalazione senza ulteriori attività. Se la posizione del contribuente viene ritenuta corretta, infatti, l’Agenzia non procederà ad accertamento. È fondamentale comunque inviare la risposta entro il termine indicato (di solito 30 giorni dalla ricezione della comunicazione) per dimostrare collaborazione.
- Non ignorare la comunicazione: Come già sottolineato, ignorare la lettera di anomalie è la scelta peggiore. Se non si risponde né si fa ravvedimento, l’Agenzia quasi certamente attiverà un controllo formale più approfondito e passerà a un accertamento vero e proprio. A quel punto le sanzioni saranno più elevate (non più ridotte) e si perderà la chance di sistemare bonariamente. Inoltre, il silenzio viene interpretato come mancanza di contestazioni: l’Ufficio presumerà corretta la propria segnalazione e procederà su quella base. Anche in ottica di un futuro contenzioso, aver ignorato il contraddittorio preventivo può essere controproducente. Dunque, sempre meglio interloquire con l’Agenzia, anche solo per comunicare che si sta verificando o che si è provveduto a correggere.
Riassumendo la strategia in fase di compliance: controllare l’anomalia; se fondata ravvedersi subito (pagando il dovuto con sanzioni minime); se infondata replicare con documenti. Così si potrà spesso evitare l’accertamento o chiudere la vicenda sul nascere.
Di seguito una tabella riepilogativa per gestione della comunicazione di anomalie:
Comunicazione di anomalia – Guida pratica | Dettagli operativi |
---|---|
Natura | Avviso non vincolante (non è accertamento, ma segnale di allarme). |
Termine per reagire | Circa 30 giorni dall’invio (spesso indicato nella lettera). |
Opzioni per il contribuente | – Ravvedimento operoso: correggere l’errore con integrativa e pagare sanzioni ridotte. – Chiarimenti/documenti: se in regola, inviare risposta motivata con prove. |
Se non si risponde | Possibile accertamento formale successivo con sanzioni piene. |
Consiglio pratico | Non ignorare: verifica i dati, collabora col Fisco (correggi o spiega). Mostrare buona fede può evitare guai peggiori. |
Difesa in sede di avviso bonario e accertamento
Se la fase di compliance preventiva è superata o non vi è stata (magari l’anomalia è emersa direttamente nei controlli automatizzati post-dichiarazione), il datore di lavoro potrebbe ricevere un avviso di irregolarità (avviso bonario) o un atto impositivo vero e proprio (atto di contestazione/sanzione o avviso di accertamento). Vediamo come difendersi in queste fasi:
- Avviso di irregolarità (art. 36-bis DPR 600/73): È la comunicazione con cui l’Agenzia segnala difformità dopo aver liquidato le dichiarazioni. Ad esempio, può essere inviata al datore di lavoro in relazione al modello 770 se risultano differenze tra ritenute dichiarate e versate, oppure al lavoratore se risultano ritenute non versate dal datore. In ogni caso, l’avviso bonario propone la liquidazione dell’imposta dovuta con sanzioni ridotte al 10% (1/3 del 30%) più interessi. Come difendersi:
- Verificare l’esattezza: controllare se l’addebito è corretto. Se sì, conviene pagare entro 30 giorni per usufruire della sanzione ridotta.
- Segnalare errori: se l’avviso contiene errori (es. calcolo errato, pagamenti F24 non considerati), contattare l’ufficio (anche via cassetto fiscale o call center) per rettifica. A volte si può risolvere senza ricorso se l’errore è palese.
- Chiedere annullamento in autotutela: se si hanno prove che l’avviso è infondato (es: ritenute versate correttamente, errore del sistema), si può presentare istanza di autotutela all’Agenzia allegando i documenti. Se l’Ufficio accoglie, annulla l’addebito.
- Non ignorare: se non si paga né contesta, dopo 30 giorni l’addebito viene iscritto a ruolo (cartella). Conviene quindi decidere se pagare o prepararsi al ricorso.
- Ravvedimento su avviso bonario?: una volta emesso l’avviso, non è più tecnicamente un ravvedimento spontaneo, ma pagando entro 30 gg si ha comunque la riduzione sanzione 10%. Dunque ha un effetto simile al ravvedimento sprint successivo.
- Atto di contestazione sanzioni (omessa/errata CU): Potrebbe accadere che l’Ufficio emetta un provvedimento sanzionatorio ad hoc, ad esempio irrogando la sanzione di 100 € per ogni CU omessa/errata ai sensi dell’art. 4 DPR 322/98. In genere, le sanzioni “formali” possono essere contestate immediatamente oppure successivamente all’accertamento. Se arriva un atto del genere, con cui si ingiunge il pagamento di € X per tot certificazioni, le opzioni difensive sono:
- Acquiescenza: pagare entro 60 giorni beneficiando (se previsto) della riduzione di 1/3 sulla sanzione irrogata (art. 15 D.Lgs. 218/97, applicabile agli atti di contestazione). Spesso negli atti viene indicato l’importo già ridotto per acquiescenza. Questa scelta ha senso se la sanzione è dovuta e difficilmente contestabile – si chiude subito con uno sconto.
- Istanza di autotutela: come sopra, se vi sono evidenti errori (es: sanzione duplicata, CU in realtà inviata, etc.), si può chiedere all’ufficio di rivedere l’atto. Non sospende i termini di ricorso però.
- Ricorso alla Giustizia Tributaria: impugnare l’atto entro 60 giorni davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). In sede di ricorso, le possibili linee difensive possono essere:
- Vizio formale dell’atto: controllare che l’atto sia stato notificato regolarmente, nei termini di decadenza (le sanzioni tributarie si notificano entro 5 anni). Ad esempio, se la sanzione riguarda l’anno d’imposta 2019, l’atto doveva essere notificato entro il 31/12/2024 (cinque anni dal 2020). Un atto tardivo è nullo.
- Insussistenza della violazione: provare che la CU non era dovuta (es: il percettore era società di capitali, quindi non soggetto a CU), oppure che l’errore contestato in realtà non c’è stato. Se si riesce a dimostrare che nessuna norma è stata violata, il giudice annullerà la sanzione.
- Errore scusabile e buonafede: tentare di far valere l’esimente dell’obiettiva incertezza normativa o dell’errore incolpevole. Questo è difficile, ma ipotizzabile se ad esempio c’era confusione normativa sulle scadenze (si pensi ad un contribuente che, non avendo colto il cambio di regole nel 2025 sulle CU autonomi, ha inviato a ottobre come negli anni precedenti – potrebbe invocare la novità e la prassi passata come circostanza attenuante). L’art. 6 comma 2 del D.Lgs. 472/97 prevede che non sia punibile chi ha commesso il fatto per obiettive condizioni di incertezza sulla portata della norma. Bisogna però convincere il giudice che l’errore era scusabile.
- Proporzionalità della sanzione: in alcuni casi la giurisprudenza ha ridotto sanzioni ritenute sproporzionate rispetto alla violazione. Nel nostro contesto, se l’errore è davvero minimo e senza conseguenze (violazione meramente formale), si può richiamare il principio di proporzionalità (anche alla luce dell’art. 10 Statuto Contribuente) per chiedere l’annullamento o la riduzione. Ad esempio, se manca una CU di 100€ di compenso ma quel reddito è stato comunque tassato dal percipiente, si potrebbe sostenere che punire con 100€ di multa è irragionevole perché non c’è evasione. Non è garantito, ma alcuni giudici tributari mostrano apertura verso queste argomentazioni, specialmente dopo la sentenza della Corte di Giustizia UE causa C- 524/15 che ha affermato il principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie.
- Circostanze esimenti: forza maggiore (es: la CU non inviata perché un evento eccezionale ha distrutto gli archivi nei giorni della scadenza – in tal caso l’omissione potrebbe non essere punibile per forza maggiore), o errore del sistema informatico del Fisco (es: CU scartata per problemi tecnici non imputabili al contribuente).
- Sanzione già ravveduta: se prima dell’atto il datore aveva già fatto ravvedimento pagando la sanzione (magari l’ufficio non ne ha tenuto conto), presentare le prove del ravvedimento. La sanzione dovrebbe essere non dovuta perché l’obbligazione si è estinta con il pagamento spontaneo.
- Avviso di accertamento (imposte non versate): Se l’Agenzia ritiene di recuperare imposte (ritenute) non versate, può emettere un avviso di accertamento con cui ingiunge il pagamento dell’imposta evasa + sanzioni e interessi. Anche qui, il datore di lavoro ha varie opzioni:
- Accertamento con adesione: prima di fare ricorso, può presentare istanza di adesione (entro 60 gg dalla notifica). Ciò sospende i termini e consente di discutere con l’ufficio per eventualmente ridurre la pretesa (ad esempio eliminare duplicazioni, ottenere sanzioni minime). Se si raggiunge un accordo, la sanzione viene ridotta di 1/3 per legge e si paga il dovuto rateizzabile.
- Acquiescenza: come per le sanzioni, pagando entro 60 gg si ottiene 1/3 di sconto sulle sanzioni accertate (non sull’imposta). Utile se l’imposta è dovuta e non si vede spazio di difesa.
- Ricorso tributario: impugnare l’avviso di accertamento entro 60 gg (anche qui con eventuale mediazione se sotto 50k). Le difese in questo caso possono riguardare:
- Aspetti procedurali: notifica invalida, termini di decadenza (di solito 31/12 del quinto anno successivo per imposte dirette), difetto di motivazione dell’atto.
- Merito – contestare la fondatezza della pretesa: es: dimostrare che l’imposta in realtà è stata versata (documentando i pagamenti F24); contestare il calcolo (importi errati); eccepire che alcune somme non erano soggette a ritenuta (es: il Fisco le ha considerate erroneamente imponibili).
- Applicazione principio Cassazione SU 2019: se l’accertamento richiedesse al datore importi che in realtà ha trattenuto e il dipendente ha considerato a posto, potrebbe non capitare in un accertamento verso il datore, ma piuttosto come difesa del dipendente. Comunque, menzionare che il percettore ha dichiarato e non c’è evasione può aiutare a ottenere clemenza sulle sanzioni.
- Sanzioni: anche qui, proporzionalità e buonafede possono essere invocati. Ad esempio, se c’è stata un’infedeltà dichiarativa, si può chiedere l’applicazione minima delle sanzioni (90%) se l’errore è contenuto e l’ufficio ha applicato magari il 120% senza motivare.
Infine, una nota sulla prescrizione: le sanzioni tributarie, come detto, si prescrivono in 5 anni dal momento in cui sono state commesse (o dal giorno in cui è avvenuta la violazione, generalmente coincidente con la scadenza dell’adempimento). Se l’Agenzia contesta un’omissione troppo vecchia (oltre 5 anni), si può eccepire la decadenza del potere sanzionatorio. Ad esempio, CU omessa nel 2018 (violazione commessa a marzo 2019): il termine per notificare la sanzione scadeva a fine 2024. Se l’atto arriva nel 2025, è tardivo e va annullato.
Autotutela e interpello
Autotutela: è uno strumento sempre disponibile: consiste nel chiedere all’Amministrazione di annullare o rettificare un atto palesemente errato o illegittimo. Può essere proposto in qualsiasi momento (anche dopo i 60 giorni, benché questo non sospenda né riapra i termini di ricorso). Nel contesto delle CU, l’autotutela è efficace se la violazione contestata non sussiste: ad esempio, se si riceve una cartella per omessa CU ma si prova che la CU era stata inviata regolarmente (magari con copia ricevuta di protocollo), l’ufficio può annullare in autotutela la sanzione. Conviene allegare tutte le prove e magari citare la normativa pertinente. L’autotutela non è un diritto del contribuente (l’ufficio può ignorarla), ma spesso per errori oggettivi l’Amministrazione è ricettiva. Sempre meglio tentare, specie se l’errore è evidente: può evitare un contenzioso lungo.
Interpello: In via preventiva, se un datore di lavoro ha dubbi sull’interpretazione di una norma relativa alle CU (es. se per un certo compenso atipico vada o meno emessa CU), potrebbe presentare interpello all’Agenzia per ottenere risposta ufficiale ed evitare future contestazioni. Tuttavia, per questioni come “devo o non devo emettere la CU”, di solito le istruzioni ministeriali sono abbastanza chiare, quindi l’interpello è meno utilizzato. Più utile in caso di situazioni nuove o borderline, ma non è uno strumento di difesa dopo che l’errore è commesso: è preventivo.
Best practice per i datori di lavoro
Per evitare di trovarsi in posizione difensiva, ecco alcune buone prassi:
- Controlli interni prima dell’invio: verificare bene tutti i percipienti e i dati prima di inviare le CU ogni anno. Incrociare l’elenco dei pagamenti fatti con l’elenco delle CU preparate, così da non dimenticarne nessuna.
- Verificare esiti di trasmissione: dopo l’invio telematico, controllare le ricevute e gli eventuali messaggi di scarto. Se qualche CU è scartata, reinviarla entro 5 giorni per evitare sanzioni.
- Comunicare tempestivamente coi percipienti: se viene corretta una CU dopo la consegna al percipiente, inviare subito la nuova versione anche all’interessato, spiegando l’aggiornamento. Ciò eviterà incongruenze in fase di dichiarazione.
- Tenere traccia scritta delle consegne ai dipendenti: far firmare una ricevuta al dipendente alla consegna della CU, o conservare le ricevute di invio via PEC/raccomandata. Questo tutela in caso di contestazioni di mancata consegna.
- Adempiere al versamento delle ritenute: è banale ma fondamentale. Se si hanno difficoltà di liquidità, comunicare col Fisco, valutare rateazioni, ma non lasciare buchi: l’omesso versamento porta a problemi seri (sanzioni, interessi, possibili reati).
- Aggiornarsi sulle novità normative: come visto, dal 2024-2025 sono cambiate alcune regole (es. ravvedimento ora ammesso per CU tardive, scadenze anticipate per autonomi). Restare aggiornati con circolari e istruzioni ufficiali (la Circ. 12/E del 31/5/2024 ha modificato orientamenti precedenti). Consultare fonti affidabili (Agenzia Entrate, siti specializzati) all’approssimarsi delle scadenze annuali.
Nei paragrafi successivi approfondiremo casi particolari riguardanti ex collaboratori e lavoratori autonomi, e forniremo una sezione di Domande&Risposte con i quesiti più frequenti, oltre ad alcune simulazioni pratiche per chiarire l’applicazione delle difese discusse.
Casi particolari: ex collaboratori e lavoratori autonomi
Tra le anomalie nella Certificazione Unica, assumono rilevanza peculiare quelle relative a ex collaboratori o in generale a percipienti non dipendenti (lavoratori autonomi, occasionali, provvigioni) poiché presentano alcune sfide specifiche. Esaminiamo questi casi particolari e come difendersi:
Ex dipendenti e cessazione del rapporto di lavoro
Quando un rapporto di lavoro termina, il datore di lavoro deve prestare particolare attenzione agli obblighi di certificazione:
- Tempistiche speciali: Come detto, l’ex dipendente ha diritto di ottenere la CU entro 12 giorni dalla richiesta. Una anomalia frequente è la mancata consegna della CU all’ex dipendente nei termini. Questo può succedere per disorganizzazione o per rapporti conflittuali. Ricordiamo che l’obbligo scatta su richiesta: quindi, se un lavoratore cessato non chiede subito la CU, il datore la rilascerà comunque entro la scadenza generale di marzo. Ma se la chiede (ad esempio a gennaio perché vuole fare subito il 730), il datore deve adempiere entro 12 giorni. Una contestazione in tal senso può provenire proprio dall’ex dipendente, che lamenta di non poter fare la dichiarazione per assenza di CU. Come difendersi: la miglior difesa è prevenire: fornire la CU tempestivamente. Se il datore omette e viene sanzionato (100 €), potrà difficilmente opporsi poiché la norma è chiara. In caso di impossibilità a rispettare i 12 giorni (es. l’azienda ha cessato l’attività, difficoltà logistiche), conviene mantenere evidenza che la CU è stata comunque predisposta e inviata il prima possibile, per chiedere quantomeno clemenza. Al lavoratore, è opportuno rispondere per iscritto spiegando eventuali ritardi e inviando magari i dati salariali in attesa della CU ufficiale, per mitigare eventuali richieste di danno.
- Errori in busta paga finali e conguaglio: Spesso a fine rapporto si effettua il conguaglio fiscale e contributivo. Se questo conguaglio è sbagliato (ad esempio il datore non trattiene un debito IRPEF residuo o sbaglia detrazioni), la CU rifletterà dati errati. L’ex dipendente se ne accorgerà presentando la dichiarazione (un classico: l’ex dipendente scopre dal 730 un debito d’imposta perché il conguaglio di fine anno non è stato fatto correttamente dal datore). In tal caso, può apparire come “anomalia” nella CU (in realtà la CU rispecchia ciò che ha fatto il datore, ma è il calcolo ad essere errato). Qui il problema è che il lavoratore dovrà pagare la differenza in dichiarazione (perché l’IRPEF non trattenuta diventa a suo carico) e potrebbe rivalersi sul datore per l’errore. Difendersi: Il datore in sede fiscale non può evitare che il lavoratore paghi la propria imposta mancante (perché legalmente l’imposta non trattenuta è dovuta dal lavoratore, essendo omessa ritenuta). Però, per correttezza, potrebbe – in sede extrafiscale – accordarsi per ristorare il dipendente delle sanzioni o interessi dovuti dal medesimo. Ad ogni modo, dal punto di vista del datore, per evitare contestazioni, è bene ricontrollare i conguagli quando si prepara la CU finale di un cessato, e se ci si accorge di errori, emettere una CU correttiva e segnalare al lavoratore di presentare dichiarazione integrativa per recuperare eventuali crediti o pagare differenze (offrendo supporto magari).
- Contestazioni postume su voci retributive: A volte un ex dipendente impugna il conteggio del TFR, o altre somme, sostenendo di aver diritto a differenze salariali. Se un giudice del lavoro riconosce somme aggiuntive (es. straordinari non pagati), il datore dovrà corrisponderle, spesso dopo l’anno fiscale di riferimento. In tali casi, andranno emesse CU integrative per “rette supplementari” relative agli anni di competenza di quelle somme, o comunque certificare gli importi pagati al momento della liquidazione giudiziale. La mancanza di tali certificazioni può essere contestata (ad esempio, l’ex dipendente ottiene nel 2025 una sentenza per differenze 2023: il datore deve certificare quelle somme con CU 2026 per redditi 2025 – periodo di pagamento – o come redditi 2023 se indicato diversamente). Non rilasciare CU su somme pagate in esecuzione di sentenza espone a sanzione.
In sostanza, verso ex dipendenti la parola d’ordine è diligenza: fornire documentazione chiara e corretta, per evitare sia sanzioni fiscali sia contenziosi civili. Se un ex dipendente lamenta un’anomalia nella CU (mancata consegna o errore), il datore farebbe bene a risolvere bonariamente prima che la questione degeneri: consegnare subito la CU mancante, correggere gli errori e inviare copia corretta, eventualmente fornire una dichiarazione sostitutiva in attesa della CU ufficiale se i tempi stringono per la dichiarazione del lavoratore.
Collaboratori coordinati e continuativi, amministratori, altre figure assimilate
I collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co), gli amministratori di società, i tirocinanti, e altre figure assimilate ai dipendenti ai fini fiscali ricevono anch’essi la Certificazione Unica per i compensi percepiti. Pur non essendo “dipendenti” in senso stretto, dal punto di vista fiscale le loro ritenute sono trattate come redditi assimilati al lavoro dipendente (art. 50 TUIR) e il sostituto deve effettuare ritenute IRPEF e versare contributi (es. Gestione Separata INPS per co.co.co).
Anomalie possibili per queste figure:
- Omessa CU per ex collaboratore: simile al caso dei dipendenti, con la differenza che spesso i collaboratori potrebbero non frequentare più l’azienda né aver modo di sollecitare. È buona prassi inviare la CU ai collaboratori cessati per posta o PEC entro marzo. Se un ex collaboratore non riceve la CU, può chiederla (anche lui ha diritto entro 12 giorni dalla richiesta, analogamente al dipendente, perché la norma non distingue) e il datore è soggetto a sanzione se inadempiente.
- Contributi INPS gestione separata non versati: la CU del co.co.co indica i contributi dovuti (2/3 a carico committente, 1/3 trattenuto al collaboratore). Se l’azienda non versa tali contributi all’INPS, il collaboratore potrebbe non accorgersene subito, ma anni dopo risulteranno buchi contributivi. Potrebbe esserci un duplice contenzioso: fiscale (CU errata per contributi indicati ma non versati?) e previdenziale (dove l’INPS chiederà all’azienda i contributi con sanzioni civili). Difesa: in ambito tributario, l’indicazione dei contributi in CU non versati non è sanzionata come la ritenuta, ma comunque l’INPS applicherà le sue sanzioni. Al collaboratore conviene informarlo e sanare il dovuto quanto prima.
- Ritenuta d’acconto IRPEF su co.co.co non versata: caso analogo ai dipendenti – se la ritenuta è stata operata ma non versata, il collaboratore non è responsabile (vedi Cass. SU 2019, principio estensibile) e l’azienda pagherà. Se non è stata neanche operata, trattasi di omessa ritenuta con solidarietà.
In linea generale, i co.co.co e assimilati non presentano differenze enormi rispetto ai dipendenti sul piano CU. Bisogna solo ricordare di includerli sempre nelle certificazioni e di rispettare per loro i medesimi adempimenti (un errore comune è pensare che un amministratore con partita IVA non abbia CU – se emette fattura con ritenuta, va comunque certificato perché persona fisica).
Lavoratori autonomi con partita IVA (professionisti)
Per i compensi a professionisti (avvocati, commercialisti, consulenti, ecc.) con partita IVA, il sostituto d’imposta (cliente) di regola opera una ritenuta d’acconto del 20% sull’onorario (salvo esenzione per contribuenti in regime forfettario dal 2019 in poi, i quali dichiarano di non subire ritenuta). Tali ritenute d’acconto vanno certificate anch’esse nella Certificazione Unica, sebbene non confluiscano nel 730 precompilato del professionista (poiché questi di solito presenta il Modello Redditi PF autonomamente).
Anomalie tipiche in questo contesto:
- Compenso a professionista non certificato: se un’azienda paga nel 2024 una fattura a un avvocato con ritenuta €100 e non inserisce tali dati in alcuna CU 2025, il professionista comunque saprà di aver subito €100 di ritenuta dal suo cedolino/fattura. Presentando la propria dichiarazione 2025, indicherà quel credito d’imposta di 100 €. L’Agenzia, incrociando, vedrà un credito di 100 dichiarato dal professionista ma nessuna CU a supporto. Cosa accade? In sede di controllo formale, l’Agenzia potrebbe emettere una comunicazione al professionista disconoscendo il credito per “ritenuta non certificata”. A quel punto, il professionista dovrà dimostrare l’avvenuta ritenuta (esibendo fattura quietanzata) e l’Agenzia rivolgerà l’attenzione al sostituto inadempiente. Conseguenza per il datore/cliente: sanzione 100 € per CU omessa, richiesta di versare eventualmente quella ritenuta se non l’aveva versata. Il professionista verrà tutelato (in ultima analisi, come per i dipendenti, se prova che la ritenuta gli è stata fatta, non gli può essere negato il credito) – e infatti la Cassazione in pronunce più recenti estende il principio anche ai professionisti: la ritenuta d’acconto è un obbligo del sostituto e il percipiente non ne risponde se subita. Ad esempio, una pronuncia di merito (CTR Lazio 2021) ha richiamato il principio di inesistenza di solidarietà anche nel caso di ritenute d’acconto su redditi autonomi. Quindi il datore/committente finirà per doverne rispondere.
- Difendersi: se succede, conviene rilasciare immediatamente la certificazione mancante (ancorché tardiva) e pagare con ravvedimento la sanzione, comunicando all’Agenzia (anche tramite il cassetto fiscale del professionista coinvolto) di aver regolarizzato. In questo modo il professionista non verrà sanzionato e l’ufficio avrà il dato.
- Ritenuta indicata ma non versata (cliente insolvente): se l’azienda trattiene la ritenuta sul pagamento al professionista (spesso però nel caso dei professionisti la ritenuta è detratta dal pagamento: es. fattura €1000 + IVA, ritenuta €200, il cliente paga €1000+IVA-€200 = €** netti) ma poi non versa quei €200 all’erario, si ha di nuovo la fattispecie “ritenuta non versata ma certificata”. Il professionista userà il credito di 200 (o lo compenserà in F24). L’Agenzia prima o poi noterà che manca il versamento del codice tributo relativo e inseguirà l’azienda. Nel frattempo potrebbe (in teoria) contestare al professionista l’utilizzo del credito non versato, ma la Cassazione – ribadiamo – dà ragione al professionista: il credito spetta comunque in base alla certificazione/unilaterale attestazione del sostituto.
- Difendersi (azienda): non far arrivare la questione a quel punto. Se succede, l’azienda dovrà pagare l’omesso versamento con interessi e sanzioni; penalmente, se supera soglia, anche qui rileva (ad esempio, molte partite IVA in regime forfettario non subiscono ritenuta, ma se la subiscono e l’azienda non versa, oltre 150k totali c’è reato). Quindi la difesa è piuttosto un obbligo di sistemare il dovuto al più presto ed evitare che il professionista subisca disagi (ad esempio avvisandolo per tempo in modo che possa evitare di utilizzare un credito fantasma, ma in genere il professionista non ha alternative se ha la CU: la userà, contando sulla veridicità).
- Regime forfettario e Certificazione Unica: i contribuenti in regime forfettario (dal 2019) non subiscono ritenuta d’acconto (devono dichiarare in fattura di esserne esonerati). In tali casi il committente non deve operare ritenuta, e su questo c’è stato un dubbio se fosse comunque obbligato a inviare la CU per quei compensi. La prassi (Risoluzione AdE 8/E 2019) ha chiarito che non è necessario certificare i compensi a forfettari senza ritenuta, in quanto la CU serve a certificare le ritenute operate. Quindi, se un’azienda non ha inviato la CU al consulente in regime forfettario, non c’è violazione. Se per errore l’Agenzia contestasse l’assenza di CU, basterà rispondere spiegando che il percipiente era forfettario esonerato ex legge, allegando la dichiarazione d’intento/annotazione in fattura. Tuttavia, attenzione: dal 2021 l’Agenzia ha inserito nel modello CU una sezione per indicare anche redditi esenti o compensi comunque erogati senza ritenuta. Dunque, per scrupolo molte aziende inviano comunque le CU anche ai forfettari, valorizzando la parte di “redditi esenti” con codice specifico. Non è obbligo di legge, ma essendo previsto il campo nel modulo molti preferiscono farlo per tracciare l’importo. Se l’avete fatto in passato e un anno no, l’Agenzia potrebbe segnalare l’assenza di quell’anno – in tal caso basterà chiarire la natura facoltativa.
In conclusione per i professionisti/autonomi: dal punto di vista difensivo, i principi di fondo sulla responsabilità del sostituto valgono appieno. Le migliori armi di difesa del professionista (sostituito) sono la documentazione (fatture, quietanze) e, se disponibile, la Certificazione Unica. Dal lato del sostituto, la difesa è evitare l’irregolarità; se avviene, regolarizzare immediatamente e comunicare all’Agenzia per evitare che colpisca il professionista.
Lavoratori autonomi occasionali
Un caso peculiare è il lavoratore autonomo occasionale (senza partita IVA). Il sostituto d’imposta che corrisponde compensi per prestazioni occasionali sopra 5.000 € annui deve anche gestire i contributi INPS Gestione Separata (oltre a operare la ritenuta IRPEF del 20%). La Certificazione Unica per tali soggetti indicherà: il compenso lordo, la ritenuta fiscale 20%, l’eventuale contributo INPS versato (solo quota datore, dato che la quota a carico percipiente è già trattenuta nel netto pagato).
Anomalie possibili:
- Omessa CU a lavoratore occasionale: L’interessato spesso non ha altri redditi e aspetta magari di fare il 730 per recuperare parte della ritenuta (se il suo reddito totale è basso potrebbe avere diritto a rimborso). Non ricevere la CU gli crea difficoltà, anche perché non avendo busta paga potrebbe avere solo una ricevuta generica. Può succedere con badanti o baby-sitter pagate occasionalmente, ad esempio. La difesa qui è identica: consegnare la CU è obbligo, se contestato c’è poco da fare se non scusarsi e rimediare. Se l’Agenzia multa, l’unica speranza è il ravvedimento (se fatto prima).
- Errori nel calcolo contributi >5000€: Se il compenso supera 5k, il committente deve versare i contributi INPS su tutta la parte eccedente 5k (con trattenuta di 1/3 al lavoratore). Errori qui portano a incongruenze: ad esempio il committente non accorge che Tizio ha superato 5k sommando vari contratti occasionali, e non versa contributi. La CU magari non riporta nulla (perché il datore non li ha versati). L’INPS incrocerà e potrà chiedere conto. Il lavoratore, se vede la CU senza contributi ma i suoi compensi totali >5k, capirà che non gli sono stati versati contributi dovuti. Può segnalare all’INPS e anche al Fisco. Difesa: regolarizzare tardivamente i contributi con INPS (con sanzioni civili) e rilasciare un’eventuale CU corretta se necessario. Fiscalmente, l’omessa indicazione di contributi obbligatori potrebbe rientrare in “errata CU” ma l’Agenzia raramente sanziona per la parte contributiva, lasciando all’INPS la questione.
In sintesi, i casi particolari confermano la regola generale: qualunque soggetto persona fisica che percepisce redditi da cui sono state trattenute imposte richiede la CU, e il datore di lavoro deve fornirla e versare le imposte relative. Le difese del datore di fronte a contestazioni su ex collaboratori o autonomi non differiscono sostanzialmente da quelle esposte: ravvedimento per errori, risposte puntuali con documenti se ha ragione, e attenzione ai diritti di questi percipienti.
Passiamo ora a una carrellata di Domande e Risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni, e successivamente ad alcune simulazioni pratiche che illustrano come applicare i concetti esposti in situazioni concrete.
Domande frequenti (FAQ) e risposte
D. Cosa si intende esattamente per “anomalie” nella Certificazione Unica contestate al datore di lavoro?
R. Con “anomalie” si fa riferimento a qualunque irregolarità o incongruenza relativa alla Certificazione Unica di competenza del datore di lavoro (sostituto d’imposta). Possono essere omissioni (mancata emissione o trasmissione di una CU dovuta), ritardi nell’adempimento, oppure errori nei dati indicati (ad esempio importi sbagliati, codici fiscali errati, ritenute o contributi non corrispondenti al vero). Anche le difformità tra la copia consegnata al lavoratore e quella trasmessa telematicamente all’Agenzia rientrano fra le anomalie. In pratica, qualsiasi scostamento dalle previsioni normative sulla compilazione e presentazione della CU costituisce un’anomalia potenzialmente contestabile. Tali anomalie vengono spesso segnalate dall’Agenzia delle Entrate tramite comunicazioni specifiche o rilevate in sede di controllo.
D. Non ho consegnato né inviato la CU di un mio dipendente entro la scadenza. Cosa rischio come datore di lavoro?
R. In caso di omessa Certificazione Unica, la normativa prevede una sanzione amministrativa fissa di 100 euro per ogni CU non rilasciata/trasmessa, fino a un massimo di 50.000 € per periodo d’imposta. Inoltre, se dall’omissione emerge che non sono state pagate imposte (ritenute) che avresti dovuto versare, ti verranno richieste anche quelle somme, con interessi e sanzione del 30% per omesso versamento. La mancata consegna al dipendente costituisce una violazione in sé, sanzionabile dal Fisco (il dipendente può segnalarla). Non ci sono sanzioni penali a meno che l’omissione celi un’evasione molto rilevante (ritenute non versate oltre 150.000 €, che integrerebbero il reato ex D.Lgs.74/2000). Va detto però che puoi ancora rimediare: se ti ravvedi spontaneamente prima che l’errore sia contestato formalmente, puoi inviare la CU tardiva e pagare la sanzione ridotta (33,33 € se entro 60 giorni, oppure riduzioni ulteriori col ravvedimento). Nessuna sanzione invece ti sarà applicata se provvedi con solo pochi giorni di ritardo (entro 5 giorni dalla scadenza). Dunque, appena ti accorgi della dimenticanza, agisci: trasmetti la CU e paga il dovuto con F24 (codice 8911) per ridurre al minimo la conseguenza pecuniaria.
D. Ho inviato nei termini una CU ma mi accorgo di aver indicato un importo errato. Posso correggere l’errore? Ci saranno sanzioni?
R. Sì, è possibile correggere la CU inviando un file Correttivo. Se lo fai entro 5 giorni dalla scadenza (praticamente subito dopo, ad esempio entro il 21 marzo se la scadenza era 16 marzo), non incorrerai in alcuna sanzione. Se la correzione avviene un po’ più tardi ma comunque entro 60 giorni dalla scadenza, la sanzione prevista di 100 € viene ridotta a 33,33 € (un terzo). Oltre i 60 giorni, formalmente la sanzione sarebbe piena (100 €), ma grazie alle nuove indicazioni dell’Agenzia (Circolare 12/E 2024) puoi comunque applicare il ravvedimento operoso e versare una sanzione ridotta in base al ritardo (ad esempio ~11 € se correggi entro 90 giorni). Dunque, correggere è sempre possibile: il consiglio è di farlo prima possibile per evitare o minimizzare le sanzioni. Nel frattempo, assicurati di fornire la CU corretta anche al percipiente (dipendente/collaboratore), in modo che usi i dati esatti in dichiarazione. Importante: se l’errore comportava un’imposta in meno versata, oltre a correggere la CU dovrai versare l’imposta mancante con relativi interessi e sanzioni (ridotte se ravvedimento).
D. Il mio ex dipendente non ha ricevuto la Certificazione Unica dopo che ha lasciato il lavoro. È venuto a chiedermela. Che obblighi ho e cosa rischio se ritardo?
R. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, l’ex dipendente ha diritto di ottenere la CU entro 12 giorni dalla sua richiesta. Ciò significa che, anche prima della scadenza generale di marzo, devi fornirgliela tempestivamente se lui la richiede. Se non lo fai, potresti incorrere in una sanzione per omessa consegna (100 €) e l’ex dipendente può segnalarlo al Fisco. Inoltre, l’ex dipendente può subire disagi perché senza CU potrebbe dover fare la dichiarazione “al buio”. Il consiglio è: forniscila immediatamente. Puoi consegnarla a mano (facendogli firmare una ricevuta) oppure inviargliela per raccomandata A/R, PEC o email (meglio PEC per avere prova legale). Se per qualche motivo non sei in grado di produrla entro 12 giorni (evento raro, visto che i dati li hai), comunicaglielo e rimediate il prima possibile. In sintesi, l’obbligo di consegna rapida è stringente: non rispettarlo senza giustificato motivo ti espone a sanzione e potrebbe far nascere anche un contenzioso col lavoratore. Adempi velocemente per evitare problemi.
D. La comunicazione di anomalie che ho ricevuto dall’Agenzia delle Entrate mi segnala “omessa dichiarazione di redditi da CU” riferita a un mio ex collaboratore. Cosa significa e cosa devo fare?
R. Questo tipo di comunicazione di solito viene inviata al contribuente percettore e significa: “Risulta che hai percepito redditi da Certificazione Unica (magari rilasciata dal tuo sostituto) che però non hai dichiarato”. In pratica, l’Agenzia incrociando i dati può aver visto che tu (datore) hai trasmesso una CU per quel collaboratore, ma il collaboratore non ha presentato la dichiarazione dei redditi, risultando quindi un reddito “non dichiarato”. L’Agenzia in questi casi avvisa il contribuente di mettersi in regola. Per te, come datore, questo segnala indirettamente che la CU è stata usata dal Fisco per un controllo. Non hai un obbligo diretto in questa fase, ma se il collaboratore ti contatta perché magari contesta qualcosa nella CU (ad esempio sostiene che l’importo è errato, o che quel reddito non andava dichiarato), verifica. Se c’è un errore nella CU, dovrai correggerla e inviargli la versione giusta quanto prima. Se invece la CU era corretta ed è lui che ha omesso la dichiarazione, non è una tua colpa – sarà un problema suo col Fisco. In generale, queste comunicazioni evidenziano l’importanza che le CU siano corrette: se per ipotesi tu avessi indicato male un codice fiscale o un importo, l’anomalia coinvolgerebbe anche te. Quindi, se ti giungono notizie di questi controlli su redditi da te certificati, cogli l’occasione per riesaminare le tue CU e assicurarti che tutto sia a posto. Nel caso specifico, potresti contattare l’ex collaboratore per assisterlo, ma formalmente l’adempimento ora spetta a lui (presentare dichiarazione integrativa se ha dimenticato di farla).
D. Cosa succede se ho trattenuto l’IRPEF dalle buste paga dei dipendenti ma, per difficoltà finanziarie, non l’ho versata allo Stato?
R. In questo caso stai commettendo un omesso versamento di ritenute certificate, una violazione seria. Dal punto di vista del dipendente, per fortuna, la legge lo tutela: il dipendente non dovrà ripagare quelle imposte, poiché avendo subito la ritenuta in busta paga il suo debito d’imposta è estinto. Tu hai rilasciato (o rilascerai) la CU indicando quelle ritenute, e ciò vale come attestazione che il dipendente è a posto. Però, dal tuo lato, l’Agenzia ti richiederà tutte le somme non versate, con interessi e sanzione del 30%. Se l’importo totale di ritenute non versate in un anno supera 150.000 €, incorri anche nel reato penale di omesso versamento (punibile con reclusione) – verifica bene le cifre, perché in tal caso occorre rivolgerti a un professionista legale per valutare soluzioni come il pagamento prima della scadenza penale (30/09 dell’anno successivo per evitare la punibilità). In sintesi: il Fisco si rivarrà su di te esclusivamente (nessuna solidarietà del dipendente). Per difenderti, hai poche vie: puoi chiedere una rateizzazione del debito fiscale se sei in difficoltà (all’Agenzia Riscossione, una volta arrivata la cartella), oppure tentare un accertamento con adesione per ridurre sanzioni. Ma essenzialmente dovrai pagare. In sede penale, se è rilevante, l’unica esimente è versare tutto prima dell’apertura del dibattimento, così da estinguere il reato (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Quindi la “difesa” migliore è prevenire: se prevedi di non farcela a versare, parla col Fisco, vedi se puoi compensare crediti, ma non far accumulare debiti di ritenute.
D. E se invece non ho proprio applicato la ritenuta a un compenso che dovevo tassare? (Ad esempio ho pagato in nero un lavoratore)
R. Questa è una situazione di evasione fiscale più grave: non c’è stata ritenuta né versamento né dichiarazione. In tal caso, quando il Fisco lo scoprirà, considererà sia te che il percettore responsabili in solido del mancato pagamento dell’imposta. Il reddito non dichiarato verrà tassato direttamente in capo al lavoratore (se lo trovano) e tu come datore sarai chiamato anch’esso a pagare imposta, sanzioni (che in questo caso saranno per dichiarazione omessa/infedele e per omessa ritenuta). Ad esempio, per lavoro nero: al datore verranno contestate le ritenute non operate + sanzione 20%/30% per omesso versamento e anche sanzioni per lavoro nero extra-fiscali; al lavoratore eventualmente faranno un accertamento IRPEF. In pratica pagherete entrambi, e poi magari il lavoratore potrà rivalersi su di te per le tasse sul nero (ci sono cause di lavoro dove il datore, condannato a pagare stipendi in nero arretrati, viene anche condannato a farsi carico delle imposte e contributi relativi). Quindi la difesa qui è praticamente nulla sul piano fiscale: se hai pagato in nero, non hai molto da opporre se non cercare di regolarizzare prima che vi colgano. Ad esempio, puoi far emergere quel compenso tardivamente (autodenuncia via dichiarazione integrativa) e pagare il dovuto con ravvedimento: così eviterai almeno le sanzioni massime e il penale se lo fai prima. Ma se aspetti la contestazione, sarà dura. È un caso estremo di anomalia (CU omessa perché c’era un rapporto occulto).
D. Come funziona esattamente il ravvedimento operoso per le Certificazioni Uniche tardive? Prima non era ammesso, giusto?
R. Esatto, fino al 2023 l’Agenzia delle Entrate riteneva inapplicabile il ravvedimento alle violazioni di omessa/tardiva CU, perché la finestra di 60 giorni per correggere era considerata speciale e incompatibile con i tempi “lunghi” del ravvedimento. Questa posizione era espressa nella Circolare 6/E del 19/02/2015. Ora però non è più così: con la Circolare 12/E del 31/05/2024 l’Agenzia ha cambiato orientamento, riconoscendo che in assenza di un espresso divieto normativo, il ravvedimento operoso è ammissibile anche per le CU trasmesse oltre i termini. Quindi oggi puoi ravvederti anche dopo i 60 giorni. Le misure di riduzione della sanzione seguono l’art. 13 D.Lgs. 472/97, recentemente modificato dal D.Lgs. 87/2024 (in vigore da settembre 2024). In pratica:
- Ravvedimento entro 90 giorni dalla violazione: sanzione ridotta a 1/9 del minimo (1/9 di 100€ = 11,11€ per CU).
- Ravvedimento entro 1 anno: 1/8 del minimo (12,5€ per CU).
- Entro 2 anni: 1/7 (≈14,29€).
- Oltre 2 anni: 1/6 (≈16,67€).
- Dopo avviso di accertamento (ma entro termini ricorso): 1/5 (20€).
(Queste frazioni sono quelle aggiornate dal D.Lgs. 87/2024, prima erano leggermente diverse).
Esempio: avevi dimenticato di inviare 3 CU per il 2023, te ne accorgi a dicembre 2024, quindi più di un anno dopo. Puoi ancora ravvederti presentandole tardivamente e pagando una sanzione di 12,50€ per ciascuna (perché sei entro il secondo anno successivo, riduzione 1/8). Se invece sono passati due anni, la riduzione è minore (16,67€ cad.). Prima del 2024, tecnicamente non avresti potuto ravvederti dopo i 60 giorni, ora sì. Quindi è un’opportunità in più di sistemare errori vecchi e prevenire sanzioni piene. Ricorda però: se l’Agenzia ti ha già contestato la violazione (ti ha notificato un atto), il ravvedimento “ordinario” non è più applicabile – a quel punto si può solo fare adesione o ricorso.
D. La mia azienda ha ricevuto un avviso di accertamento per mancato versamento di ritenute IRPEF. Posso fare qualcosa per evitare il contenzioso?
R. Sì, hai a disposizione alcuni strumenti deflattivi. Entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, puoi presentare istanza di accertamento con adesione: significa chiedere un incontro con l’ufficio per discutere la pretesa. In questo modo il termine per ricorrere è sospeso e puoi cercare un accordo. Nell’adesione potresti ottenere, ad esempio, un ricalcolo degli interessi se errati, o in alcuni casi una riduzione delle sanzioni. Quando si chiude un atto con adesione, c’è sempre lo sconto del 1/3 sulle sanzioni previsto per legge (art. 2 D.Lgs. 218/97). Inoltre puoi pagare il dovuto in rate trimestrali (fino a 8 rate se importo alto). Se l’adesione non produce esito o non la chiedi, puoi valutare l’acquiescenza: se accetti integralmente l’accertamento e paghi entro 60 giorni, hai diritto a una riduzione del 1/3 delle sanzioni (art. 15, c.1 D.Lgs. 218/97). L’avviso stesso di solito indica l’importo ridotto se vuoi definire subito. Questa opzione conviene se sai di avere torto e vuoi chiudere spendendo il meno possibile in sanzioni e senza ulteriori interessi. Se invece ritieni l’accertamento errato, dovrai fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione). Prima del processo, è prevista la fase di reclamo/mediazione (per importi fino a 50.000€): potresti ottenere una proposta transattiva dall’AdE. In mancanza, si va in giudizio dove potrai far valere le tue ragioni (vedi sopra in “difesa in sede di accertamento” le possibili linee). Quindi, per evitare il contenzioso la via migliore è l’adesione: c’è dialogo e sconto sanzioni. Se la usi, preparati con documenti e magari con un consulente per negoziare il meglio. Talvolta l’Agenzia può ridurre un po’ la pretesa (es. togliere sanzioni per infedele dichiarazione mantenendo solo quelle per omessi versamenti, se c’era dubbio interpretativo), a fronte del pagamento rapido.
D. Ho ricevuto una cartella esattoriale per “omessa CU” e relative sanzioni perché non ho fatto ricorso in tempo. Posso ancora rimediare?
R. Se la cartella deriva da un atto mai impugnato (ad esempio, ti avevano notificato la sanzione e non hai fatto nulla, e ora c’è la cartella con aggi di riscossione), lo spazio di manovra è ridotto. Una cartella esattoriale di solito puoi:
- Pagarla, anche rateizzandola (l’Agenzia delle Entrate-Riscossione concede piani fino a 72 rate mensili se l’importo supera €120, o anche 120 rate in casi di grave difficoltà). Pagando entro 60 giorni eviti ulteriori misure cautelari.
- Chiedere sgravio in autotutela se ritieni ci sia un errore (ad es. mai ricevuto l’atto presupposto, oppure hai pagato col ravvedimento e non ne hanno ten conto). Se l’errore è serio (notifica nulla, ecc.), potresti anche proporre ricorso contro la cartella per vizio proprio (entro 60 gg dalla notifica della cartella, se il vizio è la notifica nulla dell’atto presupposto puoi farlo rilevare al giudice).
- Definizione agevolata (rottamazione): verifica se rientra in qualche “pace fiscale” vigente. Ad esempio, nel 2023 c’era la Rottamazione-quater per carichi fino al 2017 che permetteva di pagare senza sanzioni. Se per ipotesi la tua cartella riguarda CU di anni passati e rientra in tali definizioni agevolate (che il legislatore spesso ripropone), potresti aderire e pagare il solo tributo (se era solo sanzione, rottamandola pagheresti zero – infatti sanzioni e interessi verrebbero condonati e la sanzione essendo tutto l’importo, resterebbe nulla). È il caso di stare aggiornati: ad oggi (luglio 2025) non sappiamo se ci sarà un’altra rottamazione, ma è uno scenario da monitorare.
- Se niente di tutto ciò è applicabile, la cartella va pagata. Puoi cercare un accordo col concessionario su eventuali fermi/ipoteche evitando misure più gravi. In parallelo puoi sempre continuare con l’autotutela se pensi che l’atto originario fosse ingiusto: a volte, anche a cartella emessa, l’AdE può annullare in autotutela e far stornare il carico (successo in casi di evidenti errori). È raro ma tentare non nuoce.
D. Un mio dipendente ha ricevuto un avviso bonario perché la CU che gli ho dato riportava meno ritenute di quelle effettivamente trattenute. In pratica per un mio errore contabile risultava che doveva versare lui più IRPEF. Come possiamo risolvere?
R. Situazione: hai trattenuto ad esempio €5.000 di IRPEF a Tizio, ma nella CU (e di conseguenza nel 730 precompilato) hai indicato solo €4.000. Il dipendente ha presentato il 730 con i dati precompilati (quindi 4.000 di ritenute) mentre in realtà ne aveva pagate 5.000. Risultato: il sistema crede che abbia versato €1.000 in meno del dovuto e gli ha mandato un avviso chiedendogli di pagare quell’importo (più sanzioni/interessi). Ingiustamente, perché lui quei soldi li ha già scontati in busta paga! Come risolvere:
- Tuo intervento immediato: Emmetti una Certificazione Unica correttiva dove risulta la ritenuta giusta (€5.000). Trasmettila all’Agenzia (anche se fuori termine) e consegnane copia al dipendente.
- Il dipendente, con quella nuova CU, potrà fare istanza di annullamento dell’avviso bonario dimostrando che c’è stato un errore. Se i tempi lo consentono (entro 30 gg dall’avviso), allega tu stesso magari una dichiarazione in cui confermi l’errore.
- Molto probabilmente l’Agenzia annullerà l’avviso al dipendente. Poi però potrebbe sanzionare te per CU errata. A quel punto tu potrai difenderti dicendo che hai già sanato con ravvedimento. Mi spiego: quando trasmetti la CU correttiva, contestaulmente versa la sanzione da ravvedimento (saranno 33€ se sei entro 60 gg dal 16 marzo, oppure 11€ se entro 90 gg, etc., o 1/8 1/7 se oltre un anno come da casi possibili). In questo modo, se anche volessero sanzionarti, tu hai già pagato la sanzione dovuta ridotta. Terrai prova del pagamento e della trasmissione correttiva.
- In sintesi: correggendo la CU e facendo emergere la ritenuta realmente operata, il tuo dipendente non dovrà versare nulla (il principio Cassazione SU 2019 lo tutela), e l’errore verrà imputato a te. Ma avendolo tu corretto prima dell’accertamento formale, la cosa si chiuderà con al più la sanzione amministrativa ridotta.
- Questa vicenda insegna anche che è bene comunicare col dipendente: se il 730 di Tizio non teneva conto di 1.000 € di ritenute, magari lui stesso poteva notarlo confrontando con le buste paga. Un controllo incrociato datore-lavoratore spesso previene questi avvisi: incoraggia i dipendenti a segnalarti incongruenze nel CUD prima di fare la dichiarazione, così tu puoi intervenire subito.
D. Ho regolarizzato in ritardo alcune CU di anni fa. Possono ancora multarmi?
R. Dipende. Se hai presentato le CU tardivamente ma spontaneamente, usufruendo del ravvedimento, in teoria hai definito la tua posizione versando la sanzione ridotta. L’Agenzia non dovrebbe più sanzionarti, a meno che consideri il ravvedimento non valido (ad esempio perché era già iniziata un’attività di controllo su quegli anni). In quel caso potrebbero ritenere “troppo tardi” il tuo ravvedimento e procedere comunque (ma ora con la circ. 12/E 2024 l’orientamento è di accettarlo, salvo atto già emanato). Inoltre, considera la prescrizione: se parliamo di CU di oltre 5 anni fa, l’AdE non può più notificare sanzioni oggi (decadenza quinquennale). Quindi se, poniamo, ti sei accorto nel 2025 di non aver inviato una CU del 2018 e l’hai inviata tardivamente, la sanzione relativa al 2018 ormai sarebbe prescritta a fine 2023 – per cui l’AdE non potrebbe comunque esigerla. In tal caso hai sanato il dato per scrupolo (bene per il lavoratore e per te per evitare in futuro problemi di crediti d’imposta, ecc.), ma di fatto eri fuori tempo per la sanzione. Invece per anni meno lontani (entro 5 anni) il Fisco potrebbe comunque contestare se ritiene che il ravvedimento non fosse applicabile (ma ora come detto lo ammette) oppure se ha altri profili (tipo infedeltà dichiarativa). In generale, se hai seguito la procedura corretta di ravvedimento e pagato ciò che dovevi, conserva con cura ricevute e documenti. Nell’eventualità arrivi una contestazione, risponderai che hai già regolarizzato e chiederai l’annullamento per intervenuto ravvedimento.
D. Un collaboratore a partita IVA in regime forfettario mi ha chiesto la CU, ma non avendo ritenute io non gliel’ho fatta. Ho sbagliato?
R. Formalmente non sei obbligato a emettere una CU per un soggetto in regime forfettario senza ritenuta, perché la CU serve a certificare le somme e le ritenute operate. Se non hai operato alcuna ritenuta (per legge, sui forfettari non si opera), la certificazione non è richiesta. Questa posizione è supportata dalla prassi (AdE ha chiarito che per i forfettari l’assenza di CU non comporta sanzioni, essendo redditi esenti da ritenuta). Tuttavia, molti sostituti rilasciano comunque una certificazione riportando i compensi corrisposti al forfettario (magari nella sezione “redditi esenti”). Questo può far comodo al collaboratore per avere un documento riepilogativo dei suoi incassi, ma non è un obbligo. Se il tuo collaboratore la desidera, potresti preparargliela come cortesia (non la trasmetterai necessariamente all’AdE se non c’è ritenuta, salvo che tu voglia comunque farlo per completezza). In sintesi: non può esserci contestazione per “omessa CU” in assenza di ritenute, perché la sanzione di 100€ si riferisce a certificazioni di ritenute non fatte. Qualora per assurdo ti arrivasse una segnalazione su ciò, potrai replicare che quel CF era regime forfettario e la certificazione non era dovuta, chiudendo la questione.
Passiamo ora a simulazioni pratiche di casi reali, per vedere come applicare concretamente queste difese.
Esempi pratici di contestazioni e difesa
Di seguito illustriamo alcuni casi di studio ispirati a situazioni reali, mostrando il problema e la strategia di difesa adottata dal datore di lavoro.
Esempio 1: Errore di importo nella CU segnalato dal Fisco
Situazione: Il datore di lavoro Alfa Srl ha rilasciato al dipendente Mario una CU 2024 indicante €25.000 di redditi e €5.000 di ritenute IRPEF. Tuttavia, a causa di un errore gestionale, nella CU telematica inviata all’AdE ha indicato ritenute per soli €4.000. Mario presenta il 730 precompilato con quelle informazioni e risulta un debito d’imposta di circa €1.000. Dopo qualche mese, Mario riceve una comunicazione di irregolarità dall’AdE: “maggior IRPEF dovuta €1.000 + interessi e sanzioni”, perché secondo l’AdE Mario ha versato meno ritenute (4.000 anziché 5.000). Problema: Mario non vuole pagare di nuovo un’imposta che sa di aver già subito; segnala l’errore al suo ex datore Alfa Srl. Difesa del datore: Alfa Srl verifica le buste paga e conferma di aver effettivamente trattenuto €5.000. L’errore è nella CU inviata. Immediatamente prepara ed invia una CU rettificativa per Mario indicando le corrette €5.000 di ritenute. Contestualmente compila un modello F24 e versa €11,11 (sanzione ravvedimento 1/9 di 100 € essendo entro 90 gg dalla scadenza) indicando causale 8911 anno 2023. Fornisce a Mario copia della nuova CU e della ricevuta di trasmissione. Mario, armato di ciò, contatta l’Agenzia (tramite il CAF) e invia una lettera spiegando l’errore con allegata la nuova CU e una dichiarazione di Alfa Srl che conferma il versamento delle ritenute dovute. Esito: L’Agenzia annulla l’avviso bonario a Mario, riconoscendo che i €1.000 erano stati trattenuti. Nei confronti di Alfa Srl, l’Agenzia non emette alcuna sanzione ulteriore, poiché l’errore è stato ravveduto prima dell’accertamento. Alfa Srl, infatti, aveva già pagato la sanzione ridotta. Caso risolto senza contenzioso: Mario non paga nulla, Alfa paga solo €11,11 di sanzione. – Nota: Se Alfa Srl non avesse agito, Mario avrebbe potuto subire una trattenuta d’imposta indebita di €1.000. Inoltre l’Agenzia avrebbe poi scoperto il pasticcio e sanzionato Alfa con 100 € per CU errata e 30% su 1.000 per omesso versamento (per fortuna evitati col ravvedimento). Questo esempio mostra l’importanza di collaborazione tra dipendente e datore in caso di incongruenze.
Esempio 2: CU omessa per un collaboratore occasionale
Situazione: Beta SRL nel 2024 ha pagato €10.000 a un collaboratore occasionale, su cui ha trattenuto €2.000 di ritenuta d’acconto (20%). Per distrazione, Beta SRL non ha inviato la CU 2025 relativa a questo compenso. Il collaboratore, avendo solo questo reddito, a giugno 2025 presenta il 730 includendo i €10.000 come “altri redditi” e indicando €2.000 di ritenute subite (lo sa dalla ricevuta di pagamento). Il 730 tuttavia non riportava in automatico questi dati (mancando la CU); il CAF inserisce manualmente il reddito e la ritenuta, allegando copia della ricevuta firmata dal datore. A dicembre 2025, il collaboratore riceve una lettera di compliance/anomalia dall’AdE: “risultano €10.000 percepiti senza CU, verificare con il sostituto d’imposta”. Problema: L’Agenzia segnala l’anomalia perché non trova la CU di Beta SRL a supporto di quel credito di €2.000. Difesa del datore: Beta SRL, contattata dal collaboratore, riconosce di aver omesso l’invio. Immediatamente trasmette la CU mancante (anche se fuori termine di 9 mesi) e si ravvede versando €12,50 di sanzione (essendo entro l’anno, riduzione 1/8). Comunica via PEC all’Agenzia – ufficio controlli 730 – di aver sanato l’omissione, allegando copia della CU inviata. Esito: L’Agenzia, ricevuti i dati ufficiali, chiude l’anomalia senza ulteriori azioni. Beta SRL successivamente riceve un esito con sanzione minima 100€ proposta, ma presenta istanza di sgravio allegando la prova del ravvedimento (invio tardivo + pagamento €12,50) e l’ufficio archivia la sanzione. – Nota: Il collaboratore, grazie a ciò, non subisce tasse ingiuste e Beta SRL ha risolto il problema con un costo minimo. Se Beta SRL avesse ignorato, l’Agenzia avrebbe potuto negare temporaneamente al collaboratore il rimborso dei €2.000 di ritenuta (costringendolo a ricorrere per ottenerlo) e avrebbe sanzionato Beta con 100 € (forse poi cartella). L’esempio evidenzia che, per i collaboratori occasionali, l’omessa CU genera confusione ma può essere risolta con ravvedimento anche tardivo, prevenendo contenziosi. Inoltre, fortifica il principio che il percettore non va penalizzato per errori del sostituto.
Esempio 3: Anomalia nelle ritenute versate rispetto al 770
Situazione: Gamma Spa presenta il modello 770/2024 dichiarando di aver versato €500.000 di ritenute IRPEF totali nel 2023. Tuttavia, dal conto corrente aziendale risultano F24 pagati per soli €480.000. C’è quindi un disallineamento di €20.000 (forse dovuto a un errore contabile: alcune deleghe non pagate). L’Agenzia, tramite il controllo automatizzato sui 770, rileva l’anomalia e invia a Gamma Spa un avviso bonario: “Omesso versamento ritenute per €20.000 – sanzioni €6.000 (30%), importo ridotto sanzioni €2.000 se paghi entro 30 gg, interessi €X”. Problema: Gamma Spa ha effettivamente saltato alcuni versamenti, quindi il debito è reale. Difesa del datore: Gamma Spa decide di agire in due mosse:
- Verifica interna: scopre che in effetti due modelli F24 per €20.000 (cumulati) non erano stati addebitati per mancanza di fondi, ma in contabilità li avevano comunque segnati. Quindi l’Agenzia ha ragione.
- Pagamento entro 30 giorni: Gamma Spa, disponendo ora delle liquidità, procede a versare i €20.000 di ritenute dovute, più €2.000 di sanzioni (10%) e gli interessi indicati, il tutto entro la scadenza dell’avviso bonario.
Contestualmente, per evitare l’apertura di un procedimento sanzionatorio sulle CU (poiché quelle ritenute risultavano certificate ma non versate), l’azienda invia una comunicazione all’ufficio segnalando di aver eseguito il pagamento e allegando i modelli F24 relativi.
Esito: L’avviso bonario viene definito con quel pagamento e Gamma Spa non riceve alcun accertamento né ulteriori sanzioni, in quanto ha sanato la posizione. I dipendenti non hanno mai subito conseguenze (le loro CU erano corrette e loro non dovevano nulla comunque). – Nota: Questo esempio mostra l’importanza di utilizzare l’avviso bonario: pagando entro i termini, la sanzione è ridotta (da 30% a 10%) e si evita l’iscrizione a ruolo. Se Gamma Spa avesse ignorato, dopo 30gg avrebbe ricevuto una cartella per €20.000 + €6.000 sanzioni + interessi + aggi esattoriali; inoltre, in teoria, essendo ritenute “certificate” non versate, passato il termine annuale (16/03/2024 per versamenti 2023) poteva configurarsi il reato se >150k (non in questo caso perché 20k). Quindi anche penalmente è bene saldare entro il termine annuale per evitare soglie critiche.
Esempio 4: Contestazione di un ex dipendente su detrazioni errate
Situazione: Un ex dipendente, Lucia, riceve la CU 2025 dal suo ex datore Delta SRL e nota che non sono state indicate le detrazioni per lavoro dipendente cui aveva diritto, perché nell’ultimo mese di lavoro l’azienda aveva sbagliato i calcoli. Di conseguenza, il suo 730 precompilato non contiene quelle detrazioni e Lucia risulta a debito d’imposta di qualche centinaio di euro. Lucia lamenta che è un errore dell’azienda. Problema: Le detrazioni avrebbero dovuto abbattere l’imposta, ma l’azienda non le ha conguagliate e neppure certificate in CU. Difesa del datore: Delta SRL, contattata, riconosce l’errore (avrebbero dovuto calcolare €300 di detrazioni e non l’hanno fatto). Agisce così: emette una CU rettificativa in cui figura l’ulteriore €300 di detrazioni d’imposta riconosciute. (La CU infatti contiene il campo detrazioni). Trasmette la CU correttiva all’AdE e a Lucia. Inoltre le corrisponde in via extra i €300 che non le aveva scontato (essendo ex dipendente non può farlo in busta, ma glieli dà come transazione per evitare un contenzioso). Lucia presenta un 730 integrativo includendo le detrazioni, ottenendo così un rimborso di €300 (o riducendo il debito). L’Agenzia non sanziona nessuno, perché le detrazioni non fruite non generano imposta evasa ma al più un credito per Lucia. Non c’è stato danno erariale, anzi Lucia aveva pagato più del dovuto. Esito: Lucia soddisfatta, Delta SRL si è evitata cause e non ha sanzioni (l’omessa indicazione di detrazioni nella CU non comporta sanzione, poiché la sanzione è legata a ritenute/dati reddituali; tuttavia se fosse stata considerata “errata CU”, Delta SRL avendo rettificato entro 60gg comunque non avrebbe sanzione). – Nota: Questo esempio tocca un punto: a volte gli errori nella CU possono andare a sfavore del lavoratore (detrazioni non applicate, bonus non indicati). In tali casi, correggere tempestivamente e aiutare il lavoratore a recuperare il dovuto è doveroso e saggio: si evita che il lavoratore paghi più tasse di quante doveva e magari chieda danni. Dal lato Fisco, simili errori non comportano evasione (anzi, portano a un’imposta pagata in eccesso) quindi non generano accertamenti negativi, semmai il lavoratore farà richiesta di rimborso.
Questi esempi dimostrano in concreto l’importanza di: controllare accuratamente le CU, rispondere subito alle contestazioni, utilizzare ravvedimento e procedure deflattive, e mantenere un atteggiamento collaborativo sia con il Fisco che con i percipienti. Così facendo, anche situazioni di potenziale conflitto possono risolversi senza gravi conseguenze.
Fonti
- D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 4 commi 6-ter e 6-quinquies – (Norma primaria che istituisce la Certificazione Unica e disciplina le relative sanzioni).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13 – (Sanzioni omesso versamento imposte – 30% ridotto a 15% se entro 90 gg).
- Circolare Agenzia Entrate 6/E del 19/02/2015, paragrafo su Certificazione Unica – (Interpretazione – superata nel 2024 – che escludeva il ravvedimento sulle CU tardive).
- Circolare Agenzia Entrate 12/E del 31/05/2024, §3 – (Nuove indicazioni: ravvedimento operoso ammissibile per invio CU oltre termini, in assenza di divieto espresso).
- Corte di Cassazione – SS.UU. – sentenza 12 aprile 2019 n. 10378 – (Massima: “nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione…”).
- Corte di Cassazione – ordinanza 17 giugno 2021 n. 17471 – (Conferma principio SS.UU. 2019 su esclusione solidarietà, citata in StudioCerbone).
(Fonti normative e di prassi consultate: Testo Unico Imposte sui Redditi – DPR 917/86 art. 49, 50, 53 (definizione redditi cert. unica); DPR 600/73 artt. 23, 24, 64 (obblighi sostituto); DPR 602/73 art. 35 (responsabilità solidale); D.Lgs. 472/97 art. 20 (prescrizione sanzioni); D.Lgs. 74/2000 art. 10-bis (reato omesso versamento ritenute) e art. 13 (causa di non punibilità penale con pagamento).
Mi Contestano Anomalie nella Certificazione Unica come Datore di Lavoro: Come Difendersi Con Studio Monardo
Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate che ti segnala anomalie nella Certificazione Unica (CU) trasmessa come datore di lavoro o sostituto d’imposta? Ti contestano errori nei dati fiscali dei dipendenti, omessi versamenti, differenze tra CU e modello 770 o altri scostamenti?
In qualità di sostituto d’imposta, sei responsabile della corretta trasmissione e compilazione della Certificazione Unica. Ma ciò non significa che ogni errore debba trasformarsi in una sanzione: puoi difenderti, correggere e chiarire la tua posizione.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la comunicazione ricevuta e i modelli CU, 770 e F24 inviati
- 📌 Verifica se le anomalie sono reali o frutto di errori materiali, duplicazioni o invii errati
- ✍️ Redige memorie difensive e istanze di autotutela per evitare sanzioni e accertamenti
- ⚖️ Ti rappresenta in caso di contestazioni più gravi: recuperi a tassazione, controlli su ritenute, sanzioni per omesso versamento
- 🔁 Ti assiste nella regolarizzazione tramite ravvedimento operoso o definizione agevolata, ove possibile
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e adempimenti dei sostituti d’imposta
- ✔️ Specializzato nella difesa di aziende e professionisti da errori CU e modelli 770
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Una contestazione sulla Certificazione Unica non va ignorata: può avere ripercussioni fiscali serie per te e per i tuoi dipendenti. Ma con la giusta assistenza puoi difenderti, correggere e prevenire sanzioni inutili.
📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa fiscale comincia da qui.