Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate per attività da influencer o content creator?
Ti segnalano redditi non dichiarati, movimenti bancari sospetti o compensi da piattaforme online? Se operi come influencer, creator, streamer o testimonial digitale, è fondamentale capire quali redditi sono imponibili, come inquadrarli correttamente e come difenderti in caso di controlli fiscali.
Quali sono i redditi prodotti da un influencer?
– Compensi per collaborazioni pubblicitarie con brand, agenzie o aziende
– Proventi da sponsorizzazioni su Instagram, TikTok, YouTube, Twitch, OnlyFans, ecc.
– Donazioni, abbonamenti o mance ricevute da follower tramite piattaforme (es. Patreon, Ko-fi, PayPal, Stripe)
– Redditi da affiliazioni o vendita di prodotti digitali (corsi, ebook, contenuti a pagamento)
– Prodotti ricevuti in cambio di visibilità, che possono costituire compenso in natura
– Entrate pubblicitarie automatiche da AdSense, Amazon Influencer Program, ecc.
Quando il Fisco può contestare i redditi da attività di influencer?
– Quando ricevi pagamenti tracciabili (bonifici, PayPal, carta) non dichiarati nel Modello Redditi
– Quando hai aperto un canale o un profilo con attività continuativa e organizzata, anche senza partita IVA
– Quando l’Agenzia effettua controlli incrociati tra dati bancari, accessi digitali e redditi dichiarati
– Quando i compensi ti vengono accreditati da società estere, ma sei fiscalmente residente in Italia
– Quando percepisci prodotti, viaggi, servizi o benefit in cambio di prestazioni promozionali
Cosa rischi se non dichiari correttamente i redditi da influencer?
– Sanzioni per omessa o infedele dichiarazione dei redditi (dal 90% al 180% dell’imposta dovuta)
– Accertamenti induttivi con ricostruzione forfettaria dei ricavi
– L’obbligo di aprire partita IVA con sanzioni retroattive, se l’attività è abituale
– Il recupero dell’IVA non versata, se hai superato i limiti del regime forfettario o non sei iscritto
– In casi gravi, la segnalazione per evasione fiscale, con implicazioni penali
Come puoi difenderti dal Fisco se sei un influencer?
– Verifica se i redditi contestati sono realmente imponibili o rientrano in fattispecie escluse (donazioni occasionali, rimborsi, benefit non significativi)
– Se hai omesso compensi per errore o mancanza di conoscenza, puoi presentare una dichiarazione integrativa con ravvedimento operoso
– Se l’Agenzia ha ricostruito i ricavi in modo arbitrario, puoi presentare una memoria difensiva o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
– Valuta se aprire partita IVA nel regime corretto (forfettario o ordinario) e regolarizzare la posizione
– Se l’attività è occasionale e non strutturata, dimostralo con prove concrete: assenza di continuità, mancanza di struttura organizzata, natura sporadica delle collaborazioni
– Se ricevi pagamenti da estero, assicurati di compilare correttamente il quadro RW e di evitare doppie imposizioni
Cosa puoi ottenere con una strategia difensiva efficace?
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento, se i ricavi sono stati mal interpretati
– La riduzione delle sanzioni, se dimostri buona fede e regolarizzi in tempi rapidi
– La rateizzazione dell’importo dovuto, per non compromettere la tua attività e il tuo tenore di vita
– La tutela della tua posizione fiscale e digitale, utile anche per collaborare con agenzie e brand
– La costruzione di un assetto fiscale corretto, per lavorare in sicurezza anche in futuro
Attenzione: oggi il Fisco monitora anche l’economia digitale. Molti influencer pensano che “piccoli compensi” o attività online non dichiarate passino inosservate. Ma con i controlli automatizzati e i dati bancari incrociati, le contestazioni possono arrivare anche dopo anni. Tuttavia, con una buona consulenza, puoi difenderti e metterti in regola senza rovinarti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità digitale, difesa tributaria e contenzioso per lavoratori online ti spiega cosa sono i redditi da influencer, quando e come si tassano, e come difenderti se ricevi una contestazione.
Sei un influencer, content creator o streamer con problemi fiscali?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a regolarizzare la tua posizione, evitare sanzioni e proteggere il tuo lavoro online.
Introduzione
Negli ultimi anni il fenomeno degli influencer – creatori di contenuti online seguiti da vaste platee sui social media – è cresciuto esponenzialmente, attirando anche la crescente attenzione del Fisco e di altre autorità. L’economia digitale legata agli influencer ha generato centinaia di milioni di euro (solo in Italia si stima un giro d’affari di circa 350 milioni nel 2023) e, con essa, sono aumentati i controlli fiscali mirati. Emblematica è l’operazione condotta a marzo 2024 dalla Guardia di Finanza di Bologna, che ha ricostruito oltre 11 milioni di euro di compensi non dichiarati da un gruppo di influencer e content creator italiani. Alcuni nomi noti – tra cui celebri youtuber e imprenditori digitali – sono risultati addirittura “sconosciuti al fisco”, cioè privi di qualunque precedente dichiarazione dei redditi. In quell’occasione, grazie a un protocollo con l’Agenzia delle Entrate, le Fiamme Gialle hanno incrociato il numero di follower e contenuti sponsorizzati con i redditi dichiarati, evidenziando forti discrepanze. Molti degli influencer verificati hanno riconosciuto le contestazioni e versato spontaneamente le imposte dovute; altri hanno richiesto approfondimenti prima di procedere, avviando il dialogo con gli uffici finanziari.
Questa crescente attenzione fiscale, unita alla “regolamentazione” emergente del settore, rende fondamentale per chi crea contenuti online comprendere come qualificare correttamente i propri redditi e come difendersi in caso di controlli o accertamenti. Dal 1º gennaio 2025, ad esempio, il legislatore ha persino introdotto un codice ATECO specifico (73.11.03 “Attività di influencer marketing”) per identificare in modo univoco l’attività di influencer e content creator. Si tratta di un riconoscimento ufficiale che fino al 2024 mancava – gli influencer venivano classificati sotto voci generiche, come la “promozione pubblicitaria” – e che ora comporta regole fiscali e previdenziali dedicate. Contestualmente, anche l’INPS ha emanato chiarimenti: la Circolare n. 44/2025 ha definito l’inquadramento previdenziale di chi crea contenuti digitali a scopo di lucro, sciogliendo precedenti incertezze su come e dove iscriversi. Altre autorità di regolazione si sono mosse in parallelo: l’Autorità Antitrust (AGCM) ha iniziato a sanzionare influencer per pubblicità occulta non segnalata, e l’Autorità per le Comunicazioni (AGCom) ha adottato linee guida specifiche dopo il caso di una campagna pubblicitaria mascherata da contenuto “spontaneo” (il noto “caso Ferragni”). Perfino il Garante Privacy vigila sull’uso dei dati personali dei follower, specie minori, da parte dei creator. Insomma, la “creator economy” non è più un Far West: è ormai riconosciuta dal legislatore e sottoposta a obblighi ben precisi.
In questo contesto, la presente guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un quadro avanzato sulle regole fiscali che governano i redditi degli influencer in Italia e sulle strategie di difesa a disposizione di professionisti, privati o imprenditori del settore in caso di accertamenti. Adotteremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, calandoci nel punto di vista del “debitore” (ossia dell’influencer/contribuente chiamato a rispondere al Fisco) e fornendo riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati. Nei capitoli seguenti esamineremo:
- Quadro Normativo: le fonti e disposizioni italiane applicabili all’attività degli influencer – obblighi fiscali, previdenziali e di trasparenza – utili a capire come vanno dichiarati e qualificati i relativi redditi, nonché quali violazioni sono tipicamente contestate.
- Qualificazione dei Redditi da Influencing: le diverse possibili qualificazioni dei compensi percepiti (reddito di lavoro autonomo, d’impresa, redditi diversi, ecc.) alla luce della normativa e delle più recenti sentenze – incluse le pronunce chiave del 2023-2024 – e le relative conseguenze in termini di tassazione e contributi.
- Fiscalità e Adempimenti per l’Influencer: come vengono tassati in concreto i guadagni online (imposte dirette IRPEF/IRES, IVA, regimi agevolati come il forfettario), quali sono gli adempimenti contabili, come gestire la deducibilità dei costi (con esempi pratici su spese peculiari come abbigliamento, viaggi, attrezzature) e i punti critici su cui il Fisco concentra i controlli.
- Accertamenti Fiscali e Difesa del Contribuente: cosa succede quando l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza contestano imposte non pagate – dall’invito a comparire all’avviso di accertamento esecutivo – e quali strumenti ha l’influencer per difendersi. Analizzeremo le procedure deflattive (come l’adesione all’accertamento) per evitare il contenzioso, e il percorso del ricorso in Commissione/CGT con le possibili strategie processuali. Verranno trattati anche gli accertamenti contributivi INPS (avvisi di addebito per mancati versamenti) e le loro peculiarità, nonché brevi cenni alle contestazioni di altri enti (es. sanzioni AGCM) per completare il quadro.
- Domande e Risposte: una sezione FAQ che affronta i quesiti più frequenti di influencer e creator su fisco e tasse (dalle soglie per la partita IVA alla gestione dei prodotti ricevuti gratuitamente, fino ai rischi penali in caso di evasione).
- Tabelle Riepilogative e Casi Pratici: schemi riassuntivi delle diverse casistiche fiscali (occasionale vs abituale, autonomo vs impresa, regime forfettario vs ordinario, ecc.) e simulazioni numeriche di scenari tipici, per fissare in modo concreto i concetti esposti.
Tutto sarà corredato da riferimenti puntuali a normative (articoli di legge, circolari) e sentenze aggiornate sino al 2025, riportate nelle note. In fondo alla guida è presente una sezione con tutte le fonti citate, per chi desideri approfondire ulteriormente.
Nota: La prospettiva adottata è quella italiana (tassazione in Italia) e di livello avanzato; di conseguenza, le informazioni sono valide per influencer fiscalmente residenti in Italia o che comunque producono redditi ivi tassabili, con riferimento allo stato della legislazione italiana a luglio 2025.
Quadro Normativo: obblighi fiscali, contributivi e di trasparenza per gli influencer
Prima di esaminare come difendersi da un accertamento, è opportuno chiarire quali sono gli obblighi fiscali e affini cui un influencer deve adempiere secondo l’ordinamento italiano. In questo capitolo forniremo un riepilogo delle principali norme in materia di dichiarazione dei redditi, IVA, contributi previdenziali e altre regole (come quelle sulla pubblicità e sulla privacy) che riguardano chi crea contenuti online a scopo di lucro. Comprendere questo quadro normativo è essenziale sia per prevenire contestazioni, sia per sapere su quali basi giuridiche eventualmente impostare una difesa.
Obblighi fiscali: dichiarazione dei redditi e IVA
L’influencer che risiede fiscalmente in Italia (ossia è domiciliato o residente in Italia per la maggior parte dell’anno) è soggetto, per legge, al principio del worldwide income. Ciò significa che tutti i redditi da lui ovunque prodotti sono imponibili in Italia (fatti salvi eventuali crediti d’imposta per tasse pagate all’estero, nei limiti delle convenzioni internazionali). I compensi generati dall’attività di content creation – siano essi pagamenti in denaro, benefici in natura (prodotti, viaggi, servizi gratuiti ricevuti in cambio di visibilità) o altre utilità – costituiscono in linea di principio reddito imponibile ai fini IRPEF e vanno pertanto dichiarati.
Occorre però determinare a quale categoria reddituale appartengano tali proventi, poiché da ciò discendono regole diverse in materia di tassazione e adempimenti. Il quadro normativo di riferimento è dato dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR 917/1986, detto TUIR), che prevede varie categorie di reddito: in particolare, possono rilevare i redditi di lavoro autonomo (art. 53 TUIR), i redditi d’impresa (artt. 55 e seguenti TUIR), oppure – in ipotesi residuali – i redditi diversi (art. 67 TUIR). Ciascuna di queste categorie ha presupposti propri:
- Reddito di lavoro autonomo (art. 53 TUIR): include i compensi derivanti dall’esercizio abituale di arti e professioni in forma autonoma, ossia senza vincolo di subordinazione. Rientrano in tale categoria non solo le professioni intellettuali classiche (avvocati, ingegneri, ecc.), ma in generale le attività di lavoro prevalentemente personale e connotate da intuitu personae – dove cioè la prestazione dipende dalle capacità individuali di un soggetto. Come vedremo, molte prestazioni tipiche degli influencer (es. la promozione della propria immagine e l’influenza sul pubblico tramite contenuti originali) vengono oggi ricondotte a questa categoria dalla giurisprudenza, data la prevalenza dell’elemento personale/creativo rispetto a eventuali strutture organizzative. Se il reddito dell’influencer è qualificato come lavoro autonomo, egli sarà tassato in base all’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche, a scaglioni progressivi) e dovrà adempiere agli obblighi contabili tipici dei professionisti (tenuta delle scritture semplificate o regime forfettario, fatturazione con eventuale ritenuta d’acconto, ecc. – dettagli in seguito).
- Reddito d’impresa (artt. 55-66 TUIR): include i redditi derivanti dall’esercizio di imprese commerciali. Si configura tipicamente quando l’attività viene svolta in forma imprenditoriale abituale, ovvero è organizzata con capitale, dipendenti, mezzi anche non personali, assumendo un rischio economico. Nel contesto degli influencer, si può parlare di reddito d’impresa in almeno due situazioni: (a) quando l’attività di creazione contenuti integra gli estremi di una attività commerciale di promozione/intermediazione (ad esempio, l’influencer opera come un vero e proprio agente o procacciatore di affari per le aziende, gestendo codici sconto e percentuali sulle vendite generate); (b) quando, pur non essendo un intermediario, l’influencer gestisce il tutto in forma d’impresa per l’organizzazione di mezzi – ad esempio, creando una struttura con dipendenti/collaboratori, un ufficio, investimenti significativi in marketing, ecc., tale da travalicare la mera prestazione personale. In questi casi, il reddito è tassato sempre con IRPEF (o IRES se si opera tramite società di capitali), ma si applicano le regole fiscali e contabili proprie delle imprese (contabilità ordinaria o semplificata, possibilità di deduzioni di costi d’impresa più ampie, niente ritenute d’acconto subite sulle fatture, ecc.). Le Entrate tendono a inquadrare come “ditta individuale” l’influencer che svolge in modo abituale e organizzato l’attività, soprattutto dopo l’introduzione del codice ATECO dedicato nel 2025.
- Redditi diversi (art. 67 TUIR): questa è una categoria residuale, in cui rientrano i proventi che non trovano collocazione altrove. Per quanto riguarda i creator, la fattispecie più rilevante è il reddito derivante da attività di lavoro autonomo occasionale, non esercitata abitualmente. In concreto, se un aspirante influencer o un micro-creator realizza sporadicamente qualche contenuto sponsorizzato, senza una vera organizzazione e con guadagni modesti, tali compensi possono essere dichiarati come redditi diversi ex art. 67, comma 1, lett. l) TUIR. Ciò comporta l’assenza (in quel frangente) di obbligo di partita IVA, tassazione IRPEF come reddito “vario” e – se il pagatore è un soggetto sostituto d’imposta (es. un’azienda italiana) – l’applicazione di una ritenuta d’acconto del 20% all’atto del pagamento, in quanto collaborazione occasionale. Come vedremo, però, l’occasionalità non è valutata solo in base ai ricavi annui ma da criteri qualitativi (assenza di professionalità e organizzazione); indicativamente, superare i 5.000 € annui di compensi da attività social fa presupporre il carattere abituale e dunque la necessità di passare al regime di lavoro autonomo abituale con partita IVA. A livello pratico, comunque, sotto i 5.000 € netti annui è possibile mantenere la qualifica di prestatore occasionale, con esenzione IVA e – se i compensi lordi annui non superano €4.800 – addirittura senza obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi (in quanto tale importo rientra nella no tax area per redditi occasionali). Va infine notato che se l’attività occasionale è retribuita da committenti esteri privati, non vi è ritenuta all’origine e il reddito andrà auto-dichiarato; se il committente estero è impresa, potrebbe doversi gestire la tassazione italiana mediante autoliquidazione (reverse charge) del 20% come “autonomo occasionale estero”, ipotesi complessa che esula da questa sintesi.
- Lavoro dipendente o assimilato: pur non essendo frequente, non si può escludere che in alcuni casi un influencer operi nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. Ad esempio, un’azienda potrebbe assumere una persona con il ruolo di gestire i propri social media e fare l’“influencer” per il brand a stipendio fisso; in altri casi può esservi una collaborazione continuativa di tipo parasubordinato (Co.co.co.). In tali ipotesi i compensi seguono le regole fiscali del reddito di lavoro dipendente o assimilato (artt. 49-50 TUIR), con ritenute IRPEF operate mese per mese dal datore di lavoro. Per completezza, segnaliamo che, al verificarsi di particolari presupposti, anche i redditi percepiti dall’influencer potrebbero qualificarsi come redditi di lavoro dipendente (ad es., se l’influencer è vincolato da un contratto di esclusiva, orari, direttive stringenti di un’impresa, tanto da configurare una subordinazione di fatto). Questa tuttavia è una situazione limite, che esula dalla prassi comune (la maggior parte degli influencer agisce come autonomo o imprenditore).
In sintesi, la linea di demarcazione principale è tra attività occasionale e attività abituale/professionale. Se un soggetto posta contenuti sponsorizzati in modo sporadico e saltuario, senza organizzazione, i guadagni rientreranno tra i redditi diversi (occasionali); viceversa, se l’attività diviene continua e organizzata, siamo nell’alveo del lavoro autonomo abituale o dell’impresa. Questa distinzione non è solo teorica ma comporta obblighi concreti. In particolare, quando si passa all’attività abituale:
- Apertura della Partita IVA: diviene obbligatoria l’apertura di una posizione IVA quando l’influencer esercita in modo professionale e continuativo l’attività di produzione di contenuti a scopo di lucro. In Italia non esiste una soglia minima di fatturato oltre cui la partita IVA è obbligatoria: anche un solo euro ottenuto da attività abituale dovrebbe essere fatturato. Tuttavia, come detto, per importi annui sotto ~5.000 € di solito si presume l’occasionalità. Dal 2025, con il nuovo codice ATECO 73.11.03, l’influencer può inquadrare precisamente la propria attività al momento dell’apertura della partita IVA. In fase di apertura, occorre scegliere un regime fiscale (ordinario o forfettario) e un regime IVA (ordinario o eventuali esenzioni se spettanti). Approfondiremo a breve il regime forfettario ampiamente usato dai piccoli influencer.
- Dichiarazione dei redditi annuale: l’influencer con partita IVA dovrà presentare ogni anno il Modello Redditi PF (ex Unico) dichiarando i proventi della propria attività. Se invece rimane senza IVA come occasionale e supera €4.800 di redditi lordi, dovrà comunque presentare la dichiarazione dei redditi (Quadro RL per redditi diversi). In ogni caso, ogni compenso percepito deve trovare spazio in dichiarazione in qualche forma. Ricordiamo che l’omessa presentazione della dichiarazione configura una grave violazione, sanzionata amministrativamente dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (minimo €250) e – se l’imposta evasa supera €50.000 – integrando persino reato penale di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) punibile con reclusione da 2 a 5 anni.
- Obblighi IVA: per il Fisco italiano, le prestazioni fornite da un influencer – tipicamente consistenti in servizi di pubblicità e promozione online – sono operazioni imponibili IVA, salvo rientrino in un regime di esonero particolare. Ciò significa che, una volta aperta partita IVA, nella generalità dei casi l’influencer dovrà addebitare l’IVA in fattura ai propri committenti per i servizi svolti (attualmente aliquota IVA ordinaria del 22%). Fanno eccezione: (a) chi aderisce al regime forfettario, che è esonerato dall’applicazione dell’IVA (non addebita IVA in fattura né la detrae sugli acquisti); (b) le prestazioni verso committenti esteri: se l’influencer fattura a un’azienda extra-UE (es. una società USA che paga per una sponsorizzazione su YouTube), l’operazione è considerata fuori campo IVA per carenza del requisito territoriale (o “esportazione di servizi”) e l’IVA non si applica; se invece fattura a un cliente UE (es. un brand europeo senza stabile organizzazione in Italia), si applica il reverse charge intra-UE ai sensi dell’art. 7-ter DPR 633/72, dunque l’influencer emette fattura senza IVA indicando “inversione contabile” e sarà il committente UE ad assolvere l’IVA nel proprio paese. In questi casi esteri, l’influencer italiano deve comunque riportare le operazioni nei modelli Intrastat e nella comunicazione transfrontaliera (esterometro) se dovuta. Naturalmente anche le prestazioni in natura (barter) sono rilevanti agli effetti IVA: ad esempio, se un’azienda italiana fornisce all’influencer un bene/viaggio in cambio di visibilità, si configura un’operazione permutativa in cui sia l’influencer che l’azienda effettuano una prestazione reciproca, ciascuna da fatturare all’altro per il valore normale. Attenzione: l’influencer che operi senza aprire IVA pur dovendolo (attività abituale) rischia, in sede di verifica, non solo il recupero dell’IVA non applicata ma anche pesanti sanzioni (dal 90% al 180% dell’IVA evasa, oltre interessi). In sintesi, chi svolge l’attività con regolarità deve attivare la posizione IVA ed emettere fattura per ogni collaborazione retribuita, salvo il caso del regime forfettario (dove comunque vi è fattura, ma senza addebito IVA).
- Tenuta della contabilità: l’influencer imprenditore o professionista ha l’obbligo di tenere le scritture contabili previste dal regime contabile adottato. Molti optano per il regime forfettario se ne hanno i requisiti, poiché esso semplifica enormemente gli adempimenti (niente registri IVA, niente liquidazioni periodiche, nessuna ritenuta d’acconto subita né operata, esonero dall’esterometro e dai registri contabili, ecc.). Approfondiremo dopo le caratteristiche di questo regime. Chi invece è in regime ordinario/semplificato dovrà tenere i registri IVA (acquisti, vendite, corrispettivi) e un registro cronologico dei ricavi e spese (per i professionisti) o libro giornale/registri Iva e dei beni ammortizzabili (per le imprese semplificate). Inoltre, dal 2019 vige l’obbligo di fatturazione elettronica per tutti i titolari di partita IVA ordinari: gli unici esonerati sono i forfettari (i quali però dal 2022 devono comunque emettere fattura elettronica se hanno ricavi > €25.000 annui). Un influencer professionista, se in regime ordinario, emetterà fatture elettroniche con ritenuta d’acconto del 20% a carico del committente (quando questi è sostituto d’imposta); se in regime forfettario, indicherà in fattura di essere esente IVA e non soggetto a ritenuta (ai sensi dell’art. 1, c. 67 L. 190/2014). Un influencer in forma di impresa individuale, invece, emetterà fatture con IVA ma senza ritenuta d’acconto, in quanto le ritenute si applicano solo ai compensi di lavoro autonomo e non ai corrispettivi d’impresa. Questo dettaglio può creare confusione: in pratica, se l’influencer è inquadrato come lavoratore autonomo (es. categoria “esercenti arti e professioni”), i clienti aziendali applicheranno la ritenuta sui suoi compensi; se è inquadrato come ditta individuale commerciale (es. cod. ATECO attività di marketing), allora fatturerà come un fornitore commerciale senza subire ritenute. La qualificazione fiscale incide dunque anche su tale aspetto operativo.
In questo quadro, appare chiaro che la demarcazione occasionalità/professionalità è un punto critico. La normativa non fornisce criteri quantitativi precisi, ma linee guida qualitative: una prestazione è occasionale quando è episodica, non organizzata, non inserita in un’attività sistematica. Oltre alla regola pratica dei 5.000 € annui (sopra cui di regola scatta l’iscrizione previdenziale e quindi la necessità di P.IVA), contano elementi come la frequenza delle collaborazioni, l’esistenza di un contratto di lungo termine con brand, l’investimento in attrezzature dedicate, la presenza di un piano editoriale professionale, ecc. Come suggerito da una recente circolare dell’INPS, descritta più avanti, chi pubblica contenuti sponsorizzati in modo regolare, magari su base settimanale o mensile, difficilmente potrà difendere la tesi dell’occasionalità. È importante perché fingere di essere “amatoriale” quando in realtà si opera professionalmente espone a recuperi retroattivi di imposte e contributi.
In conclusione, un influencer italiano abituale deve considerarsi un operatore economico a tutti gli effetti, tenuto a dotarsi di partita IVA, a dichiarare al Fisco qualunque forma di compenso (monetario o meno) legato alle sue attività online e ad applicare correttamente la normativa IVA. La mancata osservanza di tali doveri può portare all’avvio di procedimenti di accertamento e alla notifica di atti impositivi (avvisi di accertamento per le imposte, avvisi di addebito per contributi) a cui l’influencer dovrà eventualmente far fronte con gli strumenti difensivi che vedremo.
Obblighi previdenziali: inquadramento INPS degli influencer
Parallelamente agli obblighi tributari, chi svolge in modo abituale l’attività di content creator deve valutare il proprio inquadramento previdenziale. Fino a poco tempo fa, vi era incertezza su come l’influencer dovesse iscriversi all’INPS: gestione commercianti? gestione separata? gestione ex-ENPALS (spettacolo)? Proprio su questo punto è intervenuta la recente Circolare INPS n. 44 del 19/02/2025, intitolata “Attività dei content creator – Profili previdenziali”. Essa ha fornito criteri generali per individuare la corretta gestione previdenziale a cui iscrivere i soggetti che creano contenuti online dietro compenso. In sintesi, le indicazioni attuali sono:
- Gli influencer e content creator sono assimilati ai lavoratori autonomi ai fini previdenziali, salvo operino nell’ambito dello spettacolo. Caso generale: l’influencer che non ha un rapporto di lavoro dipendente e crea contenuti a scopo di lucro deve iscriversi alla Gestione Separata INPS (art. 2, c.26 L. 335/1995), la stessa prevista per i liberi professionisti “senza cassa” e i collaboratori. Ciò comporta il pagamento dei contributi previdenziali proporzionali al reddito, con aliquota attualmente intorno al 26-27% (25% IVS + aliquote aggiuntive). Tali contributi sono per 1/3 a carico dell’eventuale committente e 2/3 a carico dell’influencer, ma nella pratica, se l’influencer è titolare di partita IVA, versa da sé l’intero importo tramite F24 (potendo però addebitare in fattura un 4% “rivalsa INPS” ai clienti, facoltativamente). Se l’attività invece è occasionale sotto i 5.000 € annui, non scatta l’obbligo contributivo; oltre €5.000, sull’eccedenza bisogna iscriversi in Gestione Separata e versare contributi anche per il lavoro occasionale (in parte tramite trattenuta del committente).
- Attività d’impresa commerciale: la circolare precisa che se l’attività del content creator assume i connotati di un’attività d’impresa commerciale (come delineato nella sezione precedente), allora l’influencer dovrà iscriversi al Registro delle Imprese come imprenditore e alla Gestione INPS Commercianti. Questa gestione (artigiani e commercianti) comporta il pagamento di contributi fissi trimestrali (circa €4.200 annui, validi per reddito fino a €17.000 ca.) più una percentuale (24% circa) sull’eventuale reddito eccedente tale soglia minimale. Tale inquadramento potrebbe riguardare ad esempio l’influencer che funge da intermediario stabile di e-commerce per i brand, o che gestisce un merchandising con negozio online proprio – insomma, quando la sua attività è assimilabile al commercio/marketing più che a una libera professione. Il confine non è sempre nitido: si valuteranno elementi come l’oggetto dell’attività, il codice ATECO scelto e la presenza di un’organizzazione commerciale.
- Attività nello spettacolo: qualora l’influencer svolga un’attività riconducibile al campo artistico/mediatico tradizionale, potrebbe ricadere nell’ambito del Fondo Pensione Lavoratori dello Spettacolo (ex ENPALS). Ciò accade, ad esempio, se il creator realizza principalmente performance artistiche (concerti live in streaming a pagamento, esibizioni di ballo/canto sul web remunerate, ecc.) equiparabili a quelle di artisti dello spettacolo. In tal caso, prima di esibirsi dovrebbe munirsi di “certificato di agibilità” INPS e poi versare i contributi al fondo spettacolo, eventualmente tramite il committente/organizzatore. Questa fattispecie è minoritaria ma è stata contemplata per non lasciare scoperto chi di fatto è un artista digitale.
Riassumendo, per un influencer le possibili strade previdenziali sono tre: (1) Gestione Separata INPS (freelance digitali, caso più comune); (2) Gestione Commercianti INPS (se attività d’impresa commerciale/marketing in senso stretto); (3) Fondo Spettacolo ex ENPALS (se attività assimilabile a lavoratore dello spettacolo). La Circolare 44/2025 ha il merito di aver ufficializzato queste opzioni, facilitando anche i controlli: dal 2025 l’INPS incrocerà i dati delle dichiarazioni fiscali con le proprie banche dati, individuando più facilmente i content creator “non iscritti” da richiamare alla contribuzione dovuta. Ad esempio, se Tizio dichiara al Fisco 30.000 € di redditi da lavoro autonomo come influencer per il 2024 ma non risulta iscritto ad alcuna gestione previdenziale, l’INPS potrà notificargli un avviso di addebito chiedendo i contributi di Gestione Separata su quel reddito (circa €7.800, più sanzioni e interessi). Oppure, se Caio ha aperto partita IVA come ditta individuale commerciale ma non ha versato i contributi artigiani/commercianti per gli anni precedenti, si vedrà richiedere dall’INPS i contributi fissi non pagati più le somme percentuali dovute sui redditi eccedenti.
È importante notare che la materia previdenziale rientra sotto la giurisdizione del Giudice del Lavoro (non quella tributaria). Dunque, eventuali controversie con l’INPS sugli inquadramenti o importi dovuti seguiranno regole processuali diverse dal ricorso tributario (ne parleremo nella sezione difensiva). In ogni caso, regolarizzarsi previdenzialmente è fondamentale: non versare i contributi obbligatori significa accumulare debiti con l’INPS che nel tempo generano interessi di mora e sanzioni civili, e l’Istituto ha poteri di riscossione coattiva analoghi a quelli del Fisco.
In conclusione, sul versante previdenziale il punto di riferimento 2025 è: influencer = Gestione Separata, a meno che ricorrano i presupposti per qualificarlo imprenditore commerciale (allora Gestione Commercianti) o artista (Fondo Spettacolo). Questo allineamento tra Fisco (che vede l’influencer come autonomo/imprenditore) e Previdenza (che lo assicura di conseguenza) contribuisce a togliere alibi a chi vorrebbe restare in una zona grigia.
Obblighi di trasparenza commerciale e altri profili regolamentari
Oltre a tasse e contributi, l’attività degli influencer comporta altri obblighi legali, la cui violazione può esporre a sanzioni amministrative o provvedimenti che indirettamente interessano anche il fisco. Accenniamo brevemente ai principali:
- Obblighi sulla pubblicità online (trasparenza e divieti): il D. Lgs. 206/2005 (Codice del Consumo) e i provvedimenti dell’AGCM impongono che la pubblicità sia sempre riconoscibile come tale. Un influencer deve quindi segnalare chiaramente i contenuti sponsorizzati (con hashtag tipo #adv, #sponsorizzato, etc.), evitando pratiche ingannevoli. L’Autorità Garante della Concorrenza (Antitrust) ha già sanzionato vari personaggi per pubblicità occulta, inclusi casi recenti legati a post su cibi (es. il pandoro promosso da noti influencer senza dichiararlo era “pubblicità ingannevole”). Le sanzioni AGCM possono arrivare fino a 5 milioni di euro e – sebbene non riguardino direttamente le imposte – spesso le segnalazioni su pubblicità occulta portano alla luce anche compensi non dichiarati al Fisco (si pensi a prodotti di lusso regalati per pubblicità occulta: doppia violazione, tributaria e di consumo). L’esposto Codacons del 2023 citato sopra, ad esempio, ha denunciato contestualmente la mancata trasparenza sui social e il possibile sommerso fiscale di vari VIP.
- Obblighi privacy: gli influencer che trattano dati personali (es. raccolgono email dei follower per newsletter, fanno concorsi, o semplicemente diffondono immagini di terzi) devono rispettare la normativa GDPR. In particolare vanno cautelati i dati di minori (molti follower lo sono) e serve attenzione nel fare tag o rivelare informazioni di altre persone nei contenuti. Il Garante Privacy ha emanato linee guida sull’influencer marketing invitando a ottenere consensi adeguati e evitare eccessi (ad esempio, non esporre i propri figli minorenni in campagne commerciali senza tutele, etc.). Anche se le sanzioni privacy (amministrative) non sono collegate alle tasse, un’inchiesta del Garante potrebbe far emergere pagamenti da sponsorizzazioni non a norma. Dunque, professionalizzandosi, l’influencer deve curare anche questi aspetti di compliance.
- Altre regolamentazioni settoriali: a seconda della tipologia di contenuti, possono applicarsi norme specifiche. Ad esempio, per influencer in ambito finanziario (c.d. finfluencer) occorre rispettare le regole su consulenza finanziaria e abuso di mercato; per chi promuove prodotti sanitari, vigono le restrizioni della pubblicità sanitaria; per chi opera su piattaforme di live streaming con donazioni (es. Twitch) vanno considerati i termini di servizio che impongono di segnalare le sponsorizzazioni; ecc. Inoltre, dal 2023 in UE è in vigore la DAC7, una direttiva che obbliga le piattaforme digitali a comunicare alle autorità fiscali i redditi generati dai venditori/utenti attivi sulle piattaforme. Questo strumento potrebbe portare le Entrate italiane a ricevere informazioni su creator che vendono servizi tramite piattaforme online, aumentando le possibilità di individuare redditi occultati.
In definitiva, l’attività dell’influencer ormai interseca diverse aree normative. Questa guida si focalizza sul profilo tributario, ma è bene avere consapevolezza del contesto: spesso i procedimenti nascono da cross-check tra vari enti. Un controllo fiscale può scaturire da un esposto per pubblicità occulta; un’indagine penale per truffa può partire da irregolarità fiscali; un accertamento contributivo INPS può essere parallelo a quello dell’Agenzia Entrate. Pertanto, professionalizzarsi significa anche dotarsi di consulenti (fiscalisti, legali) che aiutino a navigare in questo ecosistema regolatorio. Nel prossimo capitolo entreremo nel vivo della qualificazione fiscale dei redditi da influencer, analizzando come legge e giurisprudenza inquadrano i vari flussi di guadagno generati dall’economia dei social media.
Qualificazione dei Redditi dell’Influencer: lavoro autonomo, impresa o altro?
Una delle questioni più dibattute è: come qualificare i redditi prodotti dall’influencer? Dalla qualificazione dipendono non solo gli adempimenti (come visto), ma anche il diverso trattamento fiscale (determinazione del reddito, deducibilità costi, eventuali ritenute, ecc.) e contributivo. Non esiste ancora una norma ad hoc che dica “i proventi degli influencer sono redditi di tipo X”; pertanto, si applicano le categorie generali viste prima, e spetta al caso concreto stabilire quale sia quella corretta. Negli ultimi anni, però, diverse sentenze e pronunce di prassi hanno affrontato casi specifici, fornendo criteri utili. In questa sezione vedremo le casistiche più rilevanti emerse fino al 2025, alla luce di fonti istituzionali autorevoli come sentenze tributarie di merito, di Cassazione e documenti dell’Agenzia delle Entrate.
Possiamo distinguere principalmente tre macro-profili di influencer, dal punto di vista contrattuale ed economico, con relative implicazioni tributarie:
- Influencer come semplice promotore pubblicitario (lavoro autonomo) – L’influencer si limita a pubblicare contenuti sponsorizzati per conto di aziende, ricevendo un compenso fisso per la prestazione (per post, per campagna, ecc.), senza partecipare direttamente alle vendite dei prodotti/servizi promossi. In questo scenario l’influencer svolge un servizio di endorsement, assimilabile a un testimonial pubblicitario o a un freelance creativo. Fiscalmente, i compensi si configurano tendenzialmente come redditi di lavoro autonomo professionale (art. 53 TUIR). È la situazione più comune per i content creator: essi monetizzano la propria immagine e notorietà, e tale sfruttamento mediatico – come ha affermato la Commissione Tributaria di Torino nel caso di Cristiano Ronaldo – «costituisce sotto il profilo tributario un’attività di lavoro autonomo, non essendo qualificabile come attività d’impresa per la prevalenza dell’intuitu personae e l’assenza di una significativa organizzazione di mezzi e capitali». In altre parole, anche se dietro c’è un contratto commerciale di pubblicità, ciò che fiscalmente rileva è che il valore generato deriva principalmente dalla persona/influenza individuale, non da una struttura imprenditoriale. A conferma, la cosiddetta “sentenza Ronaldo” (CGT II grado Piemonte n. 219/2/2023) ha negato a Ronaldo la possibilità di far tassare i compensi per lo sfruttamento della propria immagine come redditi d’impresa esteri, qualificandoli invece come redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia proprio in virtù della natura personale e professionale della gestione dell’immagine. Tale impostazione – sebbene riguardasse un calciatore/influencer – è estensibile agli influencer puri: sfruttare commercialmente la propria immagine/popolarità genera reddito da lavoro autonomo, salvo che l’attività non si svolga in forma non abituale (in tal caso può ricadere nei redditi diversi). Dunque, per la maggior parte dei creator che pubblicano contenuti sponsorizzati, l’inquadramento corretto è lavoro autonomo abituale con partita IVA (o occasionale se rarissimo). Già nel 2018 l’Agenzia delle Entrate, in una risposta a interpello, aveva assimilato i compensi percepiti da una blogger per banner pubblicitari al reddito di lavoro autonomo non essendovi organizzazione d’impresa (Risp. Interpello AE 67/2018). E la Cassazione, sul criterio dell’inerenza dei costi, ha più volte affermato che conta il collegamento anche solo potenziale di una spesa all’attività professionale. Insomma, l’orientamento prevalente è considerare l’influencer un professionista che presta servizi pubblicitari. Ciò comporta: base imponibile data dalla differenza tra ricavi e costi inerenti, possibilità di utilizzare il regime forfettario se ne ricorrono le condizioni, applicazione di IVA e ritenuta d’acconto come da lavoro autonomo (salvo forfettario), iscrizione INPS gestione separata.
- Influencer come intermediario commerciale (reddito d’impresa) – In questo caso l’influencer non si limita a promuovere passivamente un prodotto, ma agisce come tramite per le vendite: tipicamente condivide codici sconto o link affiliati, riceve provvigioni in percentuale sul venduto generato grazie a lui, oppure ha un accordo di collaborazione stabile con un brand per spingere i clienti all’acquisto. Questa situazione ricalca in parte la figura del procacciatore d’affari o persino dell’agente di commercio. Proprio su questo fronte si è avuta una pronuncia clamorosa: la Sentenza n. 2615/2024 del Tribunale di Roma (Sez. Lavoro), che ha esaminato il caso di alcuni influencer ingaggiati in modo continuativo da un’azienda di integratori alimentari. Il Tribunale ha accertato che, per le caratteristiche degli obblighi assunti (promozione stabile dei prodotti, incentivazione alle vendite, ecc.), quegli influencer integravano gli estremi di un rapporto di agenzia commerciale tradizionale, con la conseguenza di dover versare i contributi previdenziali alla fondazione Enasarco. Si è così “creata” la figura dell’“influencer-agente di commercio”. Questa decisione ha avuto enorme risonanza, inducendo alcuni a generalizzare che tutti gli influencer sarebbero agenti; in realtà, come osservato dalla dottrina, essa riguarda una situazione particolare e non è estensibile all’intera categoria. Tuttavia, quando ricorrono effettivamente tutti gli elementi tipici del contratto di agenzia (stabilità, obbligo di promuovere contratti per un preponente, eventuale zona, provvigioni, ecc.), un influencer può essere inquadrato come agente. Fiscalmente, ciò significa che i suoi redditi saranno redditi d’impresa (impresa commerciale individuale) anziché lavoro autonomo. Di fatto, anche se il confine può essere labile, si può usare questa discriminante: se l’influencer viene remunerato in base ai risultati commerciali che genera (percentuale sulle vendite, lead procurati, ecc.) e opera con una certa autonomia ma continuativamente per uno o più brand, ci si avvicina alla figura dell’agente/procacciatore, quindi reddito d’impresa; se invece prende fee fisse per post/video a prescindere dalle vendite, resta nell’ambito della prestazione di servizio pubblicitario (lavoro autonomo). Da notare che anche un’attività di intermediazione non abituale può configurare reddito d’impresa occasionale (reddito diverso) oppure, più propriamente, un reddito diverso specifico (procacciamento occasionale). Ma appena c’è abitualità, scatta l’impresa. Sul piano fiscale, la distinzione ha riflessi anche in termini di IVA: l’agente di commercio è soggetto a IVA ma i suoi compensi non subiscono ritenuta d’acconto dal cliente (in quanto provvigioni d’impresa); inoltre, l’agente ha obbligo di iscrizione alla Camera di Commercio, posizione INPS commercianti e posizione Enasarco (contributo previdenziale integrativo del 17% circa sulle provvigioni, in parte a suo carico e in parte a carico del preponente). Un influencer-agente, se persona fisica, potrebbe inquadrare l’attività con il nuovo codice ATECO 73.11.03 comunque, ma indicando come forma “impresa”. La sentenza di Roma 2615/2024 ha statuito proprio la necessaria sottoposizione degli influencer-agenti agli oneri previdenziali Enasarco, equiparandoli agli agenti tradizionali. Questa pronuncia, pur lavoristica, avrà riflessi tributari: l’Agenzia potrà sostenere, in casi simili, che quei compensi erano redditi d’impresa fin dall’origine, con possibile recupero di IVA non versata se l’influencer aveva operato come forfettario/autonomo. Va però ribadito: non sempre l’attività dell’influencer è qualificabile come intermediazione – come scrivono Magliaro e Censi, “non sempre l’attività dell’influencer può essere qualificata come di intermediazione e conseguentemente come produttiva di reddito d’impresa […] l’attività potrebbe generare reddito d’impresa anche solo perché svolta in forma organizzata d’impresa, pur non essendo qualificabile come intermediazione”. Quindi, l’influencer può avere reddito d’impresa anche senza essere agente, semplicemente se gestisce la sua attività in modo imprenditoriale (es. con dipendenti, uffici, capitale investito). Nel dubbio, il consiglio è analizzare bene il modello di business: se si è agenti di fatto, meglio regolarizzarsi come tali; se no, ma si ha una struttura aziendale, trattare i redditi come d’impresa “generica” (es. attività di produzione di contenuti digitali).
- Sfruttamento economico dell’immagine tramite società (lavoro autonomo ex art. 54 TUIR) – Un caso peculiare riguarda gli influencer (soprattutto VIP) che costituiscono società o concedono a terzi i diritti di sfruttamento della propria immagine/nome per finalità commerciali, incassando indirettamente tali proventi. Alcuni personaggi famosi hanno tentato in passato di “schermare” i guadagni derivanti dalla propria popolarità facendoli transitare su società (magari estere) per godere di aliquote fiscali più basse o regimi agevolati. La normativa italiana, però, ha previsto una specifica disposizione anti-elusiva: l’art. 54, comma 1-quater, TUIR. Questa norma (introdotta nel 2017 dopo noti contenziosi con calciatori e modelle) stabilisce che i compensi derivanti dallo sfruttamento economicamente della propria immagine o nome, percepiti tramite società o associazioni, sono comunque assimilati a redditi di lavoro autonomo della persona fisica che ne è protagonista. In pratica, se un influencer crea una società a cui fa intestare i contratti pubblicitari relativi alla propria immagine, l’Agenzia può imputare “per trasparenza” quei redditi alla persona stessa come lavoro autonomo. Le cosiddette “sentenze Ronaldo” (oltre al caso già visto, ve ne sono state in Cassazione su altri calciatori) confermano che la residenza fiscale della persona prevale sul luogo in cui la società sfrutta l’immagine: la tassazione segue la persona, perché l’attività promozionale è inscindibile dalla persona stessa. Inoltre, queste pronunce hanno escluso che i proventi di immagine rientrino tra i redditi da diritto d’autore (art. 53 comma 2 lett. b TUIR), chiarendo che l’immagine non è un’opera dell’ingegno autonomamente separabile dalla persona. Dunque, anche i grandi influencer non possono “scappare” dal lavoro autonomo: costituire società in paradisi fiscali o far pagare le sponsorizzazioni a una propria SRL non evita la tassazione personale, a meno di strutture complesse che però reggono sempre meno ai controlli. Resta possibile, per carità, aprire un’azienda strutturata per gestire il brand dell’influencer (molti top creator l’hanno fatto, assumendo dipendenti, etc.), ma in tal caso come visto siamo nell’ambito del reddito d’impresa in Italia – o, se la società è estera ma l’influencer vive in Italia, rischia la esterovestizione con relative conseguenze. In conclusione: i proventi legati alla persona dell’influencer (immagine, fama, presenza online) tendono a essere considerati redditi direttamente riferibili a lui/lei. Un autorevole studio li definisce “redditi di lavoro autonomo in via principale (art. 53, c.1 TUIR) ovvero redditi della stessa categoria ex art. 54, c.1-quater TUIR se interposti altri soggetti”, sintetizzando come la legge Ronaldo copra anche le interposizioni.
- Altre ipotesi particolari: Oltre ai tre scenari principali, ricordiamo che i redditi dell’influencer potrebbero occasionalmente ricadere altrove. Ad esempio, se un influencer presta un’opera creativa puntuale per un’azienda (es: realizza un jingle musicale o scrive un testo per una campagna) potrebbe generarsi un diritto d’autore tassabile ai sensi dell’art. 53(2)(b) TUIR, oppure un compenso di natura diversa. Queste restano eccezioni. Un altro esempio: i premi e le vincite eventualmente ottenute partecipando a contest come influencer possono essere redditi diversi (art. 67, c.1 d) tassati a parte, ma non rientrano nella normale attività. Oppure, se l’influencer viene assunto da una società di comunicazione come dipendente e da essa percepisce stipendio, quel reddito è ovviamente da lavoro dipendente. Ma si tratta di situazioni estranee al tipico “reddito da influencer” di cui parliamo.
Riepilogando la qualificazione: La tabella seguente riassume le possibili forme che può assumere il reddito di un influencer, con le relative caratteristiche fiscali:
Profilo Influencer | Esempi | Qualificazione fiscale | Trattamento Fiscale e IVA | Contributi |
---|---|---|---|---|
Promoter/Endorser (pagato a post o campagna, importo fisso, non legato a vendite) | Post sponsorizzato su Instagram per un fee forfettario; video YouTube con product placement pagato a forfait. | Reddito di lavoro autonomo (art. 53 TUIR) – o reddito diverso se attività isolata. | IRPEF progressiva; se abituale, obbligo P.IVA, fattura con IVA 22% e ritenuta d’acconto 20% (salvo forfettario); se occasionale, niente IVA, ritenuta 20% sul compenso. | INPS Gestione Separata (se >€5000/anno o abituale); nessun contributo se occasionale sotto €5000. |
Intermediario/Agente (procura clienti e guadagna provvigioni sulle vendite generate) | Codice sconto personalizzato: riceve il 10% di ogni acquisto effettuato con quel codice; partnership continuativa come ambassador con obiettivi di vendita. | Reddito d’impresa commerciale (art. 55 TUIR) – ditta individuale (procacciatore/agente) o società. | IRPEF su reddito d’impresa (o IRES se società); P.IVA obbligatoria, fatture con IVA 22%; no ritenuta sui compensi (provvigioni) da parte dei committenti. | INPS Gestione Commercianti; se agente, contributo ENASARCO su provvigioni (14% circa, metà a carico azienda). |
Talent/Creator con società interposta (società del personaggio gestisce l’immagine) | SRL dell’influencer che firma contratti pubblicitari a suo nome e incassa compensi; società estera che sfrutta il nome/immagine del creator. | Reddito di lavoro autonomo del personaggio (art. 54 c.1-quater TUIR) – l’utile della società viene attribuito al socio come reddito perso.In alternativa: reddito d’impresa della società ma con verifica di esterovestizione se estera. | Se fiscalmente imputato alla persona: IRPEF progressiva, come lavoro autonomo; la società è trasparente. Se società italiana regolare: IRES 24% sugli utili e successiva tassazione dividendi (schema poco conveniente senza pianificazione). | Se società trasparente: contributi come da reddito persona (Gestione Sep. o altro). Se società con dipendenti: contributi come datore di lavoro e possibile posizione ex-ENPALS per il socio se artista. |
Occasionale amatoriale (sporadico, importi modesti) | Un micro-influencer viene pagato una tantum €3000 per una collaborazione isolata. | Reddito diverso da lavoro occasionale (art. 67). | Tassazione IRPEF separata in dichiarazione (se >€4800); ritenuta 20% operata dall’azienda sul pagamento. Nessuna IVA. | Nessuna iscrizione se ≤€5000; se >€5000 (somma di occ.co) su eccedenza contributi Gestione Separata (com. 2/3 a carico influencer, 1/3 trattenuto). |
Dipendente/Collaboratore (caso raro di subordinazione) | Social media manager assunto come dipendente per fare anche l’influencer; contratto di collaborazione coordinata. | Reddito di lavoro dipendente (o assimilato) art. 49-50 TUIR. | Tassazione IRPEF con ritenute mensili in busta paga; nessuna IVA (prestazione esclusa da IVA perché lavoro subordinato); contributi e oneri a carico datore come per ogni dipendente. | Contributi INPS gest. dipendenti versati dal datore (e quota dip. trattenuta). Nessun obbligo autonomo per il lavoratore. |
(Legenda: P.IVA = partita IVA; IRPEF = imposta su reddito persone fisiche; IRES = imposta reddito società; IVA = imposta valore aggiunto; ENASARCO = Ente nazionale assistenza agenti commercio).
Come si nota, il regime fiscale “segue” la sostanza dell’attività svolta. Un medesimo influencer potrebbe anche combinare più profili (es. redditi autonomi per certe attività, e redditi d’impresa per altre se ha avviato anche un ecommerce); in tal caso occorre un’attenta pianificazione fiscale per separare le attività (magari costituendo una società per il business separato, tenendo contabilità separate, ecc.). In genere però per la maggior parte dei content creator individuali, l’ambito sarà quello del lavoro autonomo o dell’impresa individuale commerciale.
Case law recente: val la pena evidenziare alcune pronunce di giurisprudenza tributaria che hanno fatto chiarezza su situazioni borderline:
- La Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Piemonte, Sent. 219/2023 (caso Ronaldo), già citata, ha fissato punti fondamentali: l’attività di gestione/promozione della propria immagine da parte di un personaggio pubblico è da considerarsi attività professionale abituale (dunque reddito di lavoro autonomo) a meno che non sia occasionale. Inoltre, la localizzazione del reddito segue la residenza della persona, non il luogo dove la società contrattualizzata ha sede. Questa sentenza offre paletti per tutti i casi analoghi di sfruttamento di immagine degli influencer: difficile sfuggire al fisco italiano se l’influencer risiede qui e qui opera, anche se i pagatori sono esteri.
- La CTR Lombardia (ora CGT) Sent. n. 3938/15/2018 affrontò il caso di spese per l’immagine di una nota showgirl (Belén Rodriguez) dedotte in dichiarazione. Già allora emerse il principio che il vestire e curare la propria immagine può essere funzionale al lavoro artistico/pubblicitario, riconoscendo parzialmente deducibili quei costi (nella specie fu accordata deducibilità al 50% dei costi per abiti). Questo ha fatto da apripista alle cause più recenti sul tema deduzioni costi (vedi oltre).
- Il Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, Sent. 2615/2024 (caso influencer-agente) – commentato in dottrina da Magliaro/Censi – ha confermato che laddove l’influencer svolga compiti tipici di un agente di commercio, ne assume gli oneri (contributivi in primis). Pur non essendo una sentenza tributaria, essa implica che il reddito di quell’attività andrà considerato reddito d’impresa sin dall’origine, e fa capire alle aziende che ingaggiano influencer-stabilmente-promoter che potrebbero essere considerate preponenti in rapporti di agenzia (con obblighi di contribuzione e contrattuali specifici). Dunque, molta cautela: se un’azienda vuole un influencer come brand ambassador continuativo e pagarlo a percentuale, è opportuno formalizzare un contratto di agenzia e regolarizzare contributi, per evitare contenziosi futuri.
Dopo aver chiarito il “cosa è” fiscalmente il reddito di un influencer nelle varie situazioni, passiamo ora al “come viene tassato e controllato” in concreto: quali sono le aliquote, i regimi, le deduzioni e i principali nodi pratici della fiscalità degli influencer.
Tassazione dei Redditi da Influencer e Adempimenti Fiscali: aliquote, regimi, costi deducibili
In questa sezione esamineremo come vengono calcolate le imposte sui compensi dell’influencer e quali strumenti fiscali si possono utilizzare per gestirle. Parleremo di scaglioni IRPEF e possibili regimi sostitutivi (in primis il regime forfettario), della deducibilità dei costi (tema spinoso, viste le spese peculiari che un creator può sostenere, dal guardaroba ai viaggi), della gestione dell’IVA (compresa la detrazione dell’IVA sugli acquisti) e infine daremo uno sguardo a come il Fisco effettua i controlli su tali contribuenti, includendo anche il capitolo sanzioni.
Aliquote IRPEF e Regimi agevolati (flat tax forfettaria)
Il reddito imponibile generato dall’attività di influencer – una volta determinata la sua natura (autonomo, d’impresa, ecc.) – confluisce, per le persone fisiche, nell’IRPEF. L’IRPEF ordinaria è un’imposta progressiva per scaglioni: al 2025 prevede aliquote dal 23% al 43% man mano che il reddito sale (23% fino a €15.000; 25% da 15.001 a 28.000; 35% da 28.001 a 50.000; 43% oltre 50.000, cui aggiungere le addizionali regionali e comunali). Per un influencer di medio livello con, poniamo, 60.000 euro annui di utili, l’aliquota marginale è 43% e quella media intorno al 34-35%. Questo regime “ordinario” può risultare oneroso, specie per chi non ha molti costi da dedurre (un creator che lavora da casa con lo smartphone avrà margini altissimi e poca possibilità di abbattere il reddito). Fortunatamente, il legislatore ha esteso anche ai nuovi lavori digitali il regime forfettario, una flat tax pensata per autonomi e imprese individuali di piccole dimensioni. Molti influencer agli inizi o di dimensioni piccole/medie rientrano in questo regime agevolato, il quale ha le seguenti caratteristiche salienti:
- Soglia di ricavi: accesso consentito fino a €85.000 di ricavi/compensi annui (limite innalzato dalla Legge di Bilancio 2023, prima era 65.000). Se si supera €100.000 in corso d’anno, si esce dal regime immediatamente dall’anno successivo (se >100k) o addirittura dall’anno stesso (se >110k).
- Aliquota sostitutiva: imposta unica del 15% sul reddito imponibile forfettario. Inoltre, per le nuove attività è prevista l’aliquota start-up del 5% per i primi 5 anni, se si rispettano talune condizioni (nessuna prosecuzione di attività altrui, etc.). Questa imposta sostituisce IRPEF, addizionali e IRAP.
- Determinazione forfettaria del reddito: al contribuente in forfettario non è consentito dedurre analiticamente i costi; il reddito imponibile è calcolato applicando un coefficiente di redditività ai ricavi. Per le attività di influencer marketing, tipicamente si usa il coefficiente del 67% (codici attività settore servizi vari), quindi significa che a fronte di 100 di incassi, 67 è imponibile e 33 si considera forfetariamente spesa deducibile. Non c’è obbligo di documentare quei costi (anche se ovviamente è bene conservarne traccia per eventuale verifica). Questo meccanismo è molto conveniente per chi ha pochi costi reali (di fatto tasse sul ~2/3 del fatturato al 15% o 5%).
- Esoneri IVA e contabilità: il forfettario non addebita IVA sulle fatture (quindi di fatto ottiene un vantaggio competitivo del 22% sui prezzi, ma subisce l’IVA sugli acquisti come costo indeducibile) e non è soggetto a ritenuta d’acconto sui compensi da parte dei sostituti (dev’essere indicato in fattura che si tratta di importo non soggetto a ritenuta per regime L.190/2014). Inoltre è esonerato dalla gran parte degli obblighi contabili e dichiarativi IVA.
- Limiti e cause di esclusione: non possono usare il forfettario coloro che hanno partecipazioni di controllo in SRL con attività simili, chi fattura prevalentemente a ex-datori di lavoro recenti, e alcuni altri casi (ad esempio, i soggetti non residenti senza almeno il 75% di redditi prodotti in Italia – clausola che può escludere influencer che si spostano all’estero pur mantenendo P.IVA italiana).
Per un influencer, il regime forfettario è spesso la soluzione ideale nella fase iniziale: semplifica la gestione e riduce la tassazione sensibilmente (considerando anche che sotto 85k non c’è obbligo fattura elettronica fino a fine 2023, poi dal 2024 anche i forfettari dovranno adeguarsi ma con possibili semplificazioni). Va però monitorato il limite di ricavi: se la carriera decolla e supera la soglia, il passaggio al regime ordinario è obbligato. In ordinario, la tassazione come detto è progressiva IRPEF ma si possono dedurre i costi effettivi, il che per alcuni influencer (es. travel blogger con molte spese di viaggio) può comunque mitigare l’imposta. Da notare che l’IRAP – l’imposta regionale sulle attività produttive – dal 2022 non è più dovuta dalle persone fisiche esercenti imprese o arti (è stata abolita per ditte indiv. e professionisti). Pertanto un influencer individuale, anche in regime ordinario, non paga IRAP (mentre prima alcuni con struttura complessa rischiavano di doverla pagare se considerati organizzati). Questo è un vantaggio: la pressione fiscale globale risulta quindi data solo da IRPEF (o imposta sostitutiva) + contributi.
Per i pochi influencer che operassero tramite società di capitali (s.r.l. unipersonale magari), la tassazione avviene su due livelli: 24% IRES sull’utile societario + imposta sui dividendi quando distribuiti (26%). Spesso questa scelta non conviene rispetto alla ditta individuale oltre un certo orizzonte di tempo, a meno di strategie di reinvestimento degli utili nella società. Alcuni la adottano più che altro per ragioni di immagine, responsabilità limitata, o per gestire meglio eventuali soci/collaboratori. In ogni caso, la maggior parte dei creator rimane in forma individuale.
Focus estero: se un influencer italiano percepisce parte dei compensi da soggetti esteri, bisogna verificare trattati e norme per evitare doppie imposizioni. Ad esempio, i pagamenti di YouTube/Google dall’Irlanda vengono erogati al lordo (nessuna ritenuta), e il reddito è imponibile in Italia come lavoro autonomo estero, ma con la possibilità di dedurre un credito d’imposta se quel reddito fosse tassato alla fonte (non è il caso di Google Ireland, ma potrebbe esserlo con altri paesi). Se invece l’influencer lavora all’estero per un periodo e genera redditi fuori, può attivare meccanismi come l’“impatriati” (se rientra in Italia poi) o usufruire di convenzioni contro le doppie imposizioni se si crea residenza altrove. Tuttavia, la fiscalità internazionale di questi redditi è complessa e, come dimostrato da casi come Ronaldo, l’Italia tende a rivendicare la tassazione se la base dell’attività resta qui. Quindi attenzione a relocation fittizie: trasferirsi a Dubai o Montecarlo solo sulla carta non esenta dai tributi se rimane il centro di interessi in Italia (esterovestizione). Servirebbe un capitolo a sé, ma basti dire che il Fisco esamina elementi come: dove vengono creati i contenuti, dove l’influencer vive stabilmente, dove incassa i compensi, ecc., per valutare la residenza fiscale effettiva.
Deducibilità dei costi e detraibilità IVA: quali spese si possono scaricare?
Un aspetto cruciale per chi dichiara redditi da lavoro autonomo o d’impresa è la possibilità di dedurre i costi relativi all’attività, così da abbattere la base imponibile, e la detrazione dell’IVA sugli acquisti. Nel caso degli influencer, possono sorgere dubbi su molte voci di spesa non convenzionali: abiti griffati, cosmetici, cene al ristorante, viaggi, elettronica di consumo, arredamento per set fotografici… sono spese personali o aziendali? Il discrimine generale è sempre l’inerenza: un costo è deducibile se è inerente all’attività, cioè se vi è un nesso funzionale tra la spesa e la produzione dei ricavi. Sul piano giuridico, la Cassazione ha elaborato un criterio ampio di inerenza: è inerente ogni spesa “in qualche modo collegata all’attività, anche solo in via indiretta o potenziale”, purché non si tratti di costi estranei per loro natura. Questo principio, però, va calato in concreto: per un avvocato, ad esempio, l’abito elegante potrebbe essere considerato di rappresentanza ma storicamente non deducibile (perché utilizzabile nella vita quotidiana); per un fashion influencer, invece, l’abbigliamento è parte integrante del personaggio e strumento essenziale del lavoro. Vediamo quindi quali spese tipiche un influencer può dedurre e in che misura, alla luce delle ultime interpretazioni:
- Abbigliamento e accessori: Tradizionalmente, le spese per vestiti, scarpe, cosmetici sono considerate personali e non deducibili fiscalmente. Tuttavia, nel caso di influencer del settore moda/immagine, la giurisprudenza sta riconoscendo un certo grado di deducibilità. Una sentenza innovativa è la CGT II grado Lombardia n. 468/2024, che ha giudicato il caso di una fashion influencer colpita da un accertamento: inizialmente i giudici di primo grado le avevano negato in toto la deduzione degli acquisti di abiti, ritenendoli non inerenti; in appello, invece, la Corte ha riconosciuto che “l’attività di influencer nel campo della moda richiede senza dubbio un adeguato aspetto estetico, e i capi di abbigliamento, anche ricercati, divengono strumenti essenziali per l’esercizio dell’attività: l’acquisto di vestiario è strettamente collegato con l’attività svolta e ne rappresenta necessario presupposto”. Di conseguenza, ha ritenuto deducibili i costi per abiti in quanto inerenti all’attività di influencer, nonché detraibile l’IVA relativa. C’è però un limite: nel caso in esame l’influencer non aveva provato che tali capi fossero utilizzati esclusivamente per eventi o shooting professionali – potevano anche essere indossati nella vita privata. Pertanto la Corte ha applicato il principio dell’uso promiscuo, ammettendo in deduzione solo il 50% della spesa e analogamente la detrazione IVA al 50%. In sostanza: sì alla deduzione di vestiti e trucchi se servono al personaggio pubblico, ma salvo prova di uso esclusivo, si presume metà usato per esigenze personali e quindi non deducibile. Questo allineamento ricorda quello per auto e cellulari (deducibili 20% o 80% se uso promiscuo). Consiglio pratico: l’influencer documenti per quanto possibile l’uso lavorativo degli outfit – es. ricevute di eventi in cui ha indossato quell’abito, foto correlate a collaborazione, ecc. – per sostenere un’eventuale deducibilità maggiore. Se un vestito viene acquistato appositamente per una sfilata o uno shooting e poi magari rivenduto, la deducibilità potrebbe essere integrale (ma va argomentato).
- Attrezzature e tecnologia: Spese per hardware, software, fotocamere, videocamere, luci, microfoni, computer, smartphone – ovvero tutti gli strumenti con cui l’influencer crea contenuti – sono tipicamente deducibili al 100% (salvo uso personale marginale). Rientrano tra i beni strumentali all’attività creativa. Se il costo di un bene strumentale supera €516,46, va dedotto tramite ammortamento su più anni (es. PC ammortizzabile in 5 anni al 20% annuo). L’IVA su tali beni è detraibile interamente se l’uso è solo professionale; se ad esempio uno smartphone è usato sia per lavoro che per vita privata, si può detrarre solo una quota (in mancanza di calcolo preciso, di solito al 50% come per uso promiscuo). In caso di controllo, l’Agenzia delle Entrate potrebbe contestare beni eccessivamente di lusso o non giustificati dal tipo di attività, ma in generale per un influencer avere ultima generazione di smartphone o videocamera è normale. Una spesa peculiare è quella per software/applicazioni, canoni di piattaforme o tool digitali (montaggio video, abbonamenti a archivi immagini, musica, ecc.): anch’essi deducibili come servizi (spese per prestazioni di terzi).
- Viaggi, trasferte e ristoranti: Molti influencer viaggiano per creare contenuti o partecipare ad eventi. Le spese di viaggio e alloggio sono deducibili se inerenti, cioè se effettuate nell’ambito di collaborazioni o produzione di materiale. Ad esempio: un travel blogger che si autofinanzia un viaggio per poi produrre post sponsorizzati può dedurre i costi di volo e hotel come spese di produzione (se poi ottiene ricavi da quel contenuto). Attenzione però: se il viaggio è parzialmente personale (es. vacanza dove incidentalmente produce anche storie sponsorizzate), la deducibilità va ridotta in proporzione. Le spese di vitto e alloggio per trasferte professionali seguono le regole generali: deducibili al 100% se il costo è addebitato analiticamente al committente in fattura (trasparenza), altrimenti deducibili al 75% con limite del 2% dei ricavi annui (art. 54 TUIR per autonomi, art. 109 TUIR imprese). Molti influencer non recuperano IVA su vitto/alloggio (IVA su ristoranti e alberghi è detraibile solo 75% entro i limiti suddetti). Quindi, conviene farsi rimborsare tali spese dai clienti quando possibile. Comunque, se l’influencer va a un evento su invito di un brand (es. sfilata) e paga lui viaggio e hotel, può dedurli come spese di rappresentanza (limite 1% ricavi) o come spese per partecipazione eventi, abbastanza giustificabili.
- Spese per servizi di terzi: sono generalmente deducibili al 100%. Esempi: compensi pagati a fotografi, videomaker, editor per aiutare nella creazione di contenuti; costi per la gestione dei social (se si paga un social media manager esterno); provvigioni corrisposte ad eventuali manager/agenti dell’influencer; fee per piattaforme di intermediazione che mettono in contatto brand e influencer; pubblicità a pagamento che l’influencer stesso acquista per promuovere i propri contenuti. Tutti questi costi sono inerenti all’attività di guadagno e deducibili integralmente. Se l’influencer si avvale di un’agenzia che gli procura contratti e trattiene una percentuale, tale fee è costo deducibile. Anche eventuali spese legali, fiscali, assicurative relative all’attività (un commercialista, un avvocato che difende in una causa, assicurazione per la strumentazione) sono deducibili.
- Casa e ufficio/studio: molti creator lavorano da casa, magari allestiscono una stanza come studio o set. È possibile dedurre una quota delle spese domestiche se c’è un ambiente adibito in modo esclusivo ad uso ufficio/studio professionale. Ad esempio, se l’influencer utilizza stabilmente una stanza di 20mq di un appartamento di 100mq solo per lavoro (set per registrare, deposito attrezzature), può dedurre il 20% dell’affitto, delle bollette, TARI, ecc., come spese per locali destinati all’attività. Se invece non c’è esclusività (es. si lavora in salotto condiviso), in teoria niente deduzione (uso promiscuo non quantificabile); ma a volte si accetta un 30-50% forfettario di utenze se c’è un’attività da casa. Se l’influencer affitta invece uno studio o coworking esterno, quel costo è interamente deducibile.
- Auto e mezzi di trasporto: se l’influencer acquista o utilizza un’automobile per l’attività (per recarsi a eventi, consegne prodotti, ecc.), vale la disciplina generale delle auto aziendali. Per i professionisti, è deducibile solo il 20% delle spese auto (carburante, leasing, manutenzione) entro un limite di costo imponibile di €20.000 circa. Per le imprese, 20% se uso promiscuo amministratore, oppure 100% se destinata esclusivamente ad attività con loghi ecc. Spesso, date le basse percentuali, molti forfettari non scaricano l’auto (tanto non potrebbero comunque). I costi di taxi, ride sharing, mezzi pubblici per spostamenti lavorativi sono invece deducibili al 100% (e l’IVA detraibile al 100%) come spese di trasferta.
- Prodotti omaggio a follower / contest: se l’influencer compra beni da regalare ai follower (es. gadget per un giveaway), la spesa è deducibile come spesa di pubblicità o rappresentanza. Se i gadget hanno valore unitario entro €50, sono rappresentanza interamente deducibili entro 1% ricavi; se oltre, rientrano in pubblicità deducibile 100% ma bisogna dimostrare che la campagna aveva scopo commerciale. Ad esempio, l’acquisto di 100 magliette col logo da regalare serve a farsi pubblicità: deducibile 100%. Mentre regalare i propri oggetti personali di lusso (senza logo) potrebbe non essere deducibile.
- Formazione e aggiornamento: spese per corsi, workshop, libri attinenti al settore (es. corso di fotografia per migliorare i contenuti, manuali di marketing) sono deducibili integralmente come aggiornamento professionale (fino a €10.000 annui i corsi di formazione sono deducibili 100% per professionisti ex art. 54). Abbonamenti a riviste di settore, acquisto di studi o ricerche di mercato sul pubblico target, sono tutti costi inerenti.
In generale, il consiglio è: documentare e motivare ogni spesa al fine di giustificarne l’inerenza. Meglio eccedere in prudenza e non portare in deduzione costi difficilmente difendibili (es. chirurgia estetica spacciata per esigenza d’immagine, acquisto di beni palesemente personali come generi alimentari di lusso non legati a contenuti food, ecc.), perché in caso di controllo rischiano di essere ripresi a tassazione con sanzioni. Tra l’altro, i verificatori guardano molto i conti bancari: se vedono grossi prelievi di denaro contante o spese con carta incoerenti con quanto dedotto, possono contestare un uso personale di somme prelevate dall’attività. Quindi, ad esempio, se uno deduce poche spese ma spende tanto su conti privati, potrebbe emergere domanda su dove siano finiti quei soldi (consumo personale non tassato?).
Caso di studio – Abiti Dedotti: Riprendiamo la vicenda della fashion influencer di Milano che si è vista contestare dal Fisco la deduzione di decine di migliaia di euro spesi in abbigliamento (anni d’imposta 2015-2016). In primo grado, la Commissione provinciale le diede torto, escludendo tout court l’inerenza di quei costi. In appello (sentenza 468/2024 citata) i giudici invece hanno adottato una visione moderna: hanno riconosciuto che in quell’ambito professionale il vestiario è parte integrante del personaggio e che l’acquisto di abiti “costituisce necessario presupposto per svolgere l’attività di influencer nel campo moda”. Di conseguenza, hanno ritenuto che il criterio d’inerenza fosse soddisfatto – rifacendosi peraltro a precedenti Cassazione (es. Cass. 27786/2018) sul concetto ampio di correlazione tra spesa e attività. Tuttavia, non essendo stata fornita prova di un uso esclusivo di quei capi per scopi lavorativi (alcuni potevano essere stati usati anche privatamente), hanno optato per la soluzione dell’uso promiscuo al 50%. Quindi, hanno sancito che il 50% dei costi abbigliamento è deducibile e il 50% dell’IVA è detraibile. Questa pronuncia, forse la prima così esplicita in Italia, costituisce un precedente rilevante: conferma che il confine tra personale e professionale può spostarsi per nuove professioni come gli influencer, che fanno di sé stessi un brand. È lecito attendersi che in futuro l’Agenzia delle Entrate (spesso scettica su queste deduzioni) adegui le proprie circolari, oppure continuino i contenziosi caso per caso. Per ora, un influencer prudente dedurrà una percentuale dei costi “borderline” coerente con l’uso effettivo e con la documentazione che può esibire, evitando deduzioni integrali azzardate.
Dal punto di vista IVA, va ricordato che si può detrarre l’IVA sugli acquisti solo se si è soggetti IVA in regime normale. Chi è in forfettario non detrae nulla (ma difatti non la paga sulle vendite). Chi è in regime IVA ordinario detrae l’IVA nella misura dell’impiego per operazioni imponibili. Se l’influencer compie sia operazioni imponibili che operazioni esenti/non imponibili (p.es. lavorasse sia come influencer sia come medico esente IVA, ipotesi remote), applicherà il prorata. Ma nella generalità, tutte le sue operazioni sono imponibili (salvo esportazioni). Quindi l’influencer con IVA ordinaria recupera l’IVA su attrezzature, servizi, ecc., risparmiando un 22% di costo su tutto il deducibile. Un tema è la detrazione IVA su beni ad uso promiscuo (auto, telefono, etc.): qui la legge stessa pone limiti (40% auto per agenti, 50% telefoni). Per i vestiti non c’è norma specifica, quindi si applicherà ragionamento analogico (infatti il giudice ha scelto 50%).
Riassumendo: l’influencer deve tenere una contabilità di ricavi e costi come qualunque imprenditore/professionista, e può dedurre tutte le spese necessarie o utili all’esercizio dell’attività, entro i limiti di legge e buon senso. Le tabelle seguenti offrono un riepilogo di alcune voci comuni e il loro trattamento fiscale (deducibilità costi e detraibilità IVA):
Tabella – Deducibilità di alcune spese tipiche dell’influencer (regime ordinario)
Tipologia di spesa | Deducibilità ai fini reddito | Detraibilità IVA | Riferimenti / Note |
---|---|---|---|
Abbigliamento, accessori, cosmetici | Fino al 100% se uso esclusivo professionale provato; tipicamente ammessa deducibilità parziale (50%). | Parziale, in misura uguale alla deducibilità (es. 50%). | Se inerenti all’immagine (fashion/beauty). Documentare eventi o contenuti legati a tali acquisti. Sentenze: CGT Lombardia 468/2024 (ded. 50%). |
Elettronica (telefono, PC, fotocamera) | 100% se uso esclusivo lavorativo; altrimenti quota proporzionale (es. telefoni in genere 80% deducibili per professionisti). | 50% telefoni cellulari (forfettario normato); altri device proporzionale all’uso (spesso 50% se promiscui). | Telefono: deducibile 80% (autonomi) ma per semplicità molti usano 50%. PC/Fotocamere: meglio dedicare dispositivi separati per lavoro per detrarre 100%. |
Viaggi di lavoro (trasporto, alloggio) | 100% se trasferta per lavoro (limite 2% ricavi per vitto/alloggio se non addebitati al cliente). | IVA hotel e ristoranti detraibile 100% entro limite spesa deducibile (75% fino 2% ricavi); trasporti (treno, aereo) IVA indetraibile per legge (IVA assolta a monte). | Importante avere lettera di incarico/invito evento per giustificare. Se la trasferta ha anche svago personale, dedurre solo quota lavoro (es. 50%). |
Auto propria utilizzata per lavoro | 20% dei costi (carburante, manutenzione, ammortamento) deducibile, max valore auto €25.000 circa. 80% se agente di commercio (max €25k). | IVA auto detraibile 40% (uso promiscuo) o 100% se auto strumentale (rara, es. scuola guida) – per influencer si applica 40%. Carburante IVA 40% detraibile (promiscuo). | Molti influencer usano auto personale senza portarla in contabilità data la scarsa deducibilità. Meglio dedurre viaggi specifici con rimborso km o taxi. |
Attrezzature, scenografie, materiali | 100% deducibile (ammortamento su più anni se beni durevoli >€516). | 100% IVA detraibile se beni solo per attività. | Es: luci, microfoni, cavalletti, arredi set (es. fondali) – tutti costi di produzione. |
Servizi professionali (fotografo, montaggio, consulenze) | 100% deducibile. | IVA 100% detraibile. | Prestazioni di terzi inerenti (es. montatore video, avvocato) pienamente deducibili. Ritenute su compensi pagati a altri autonomi: scaricabili come onere deducibile. |
Spese di rappresentanza (regali, eventi senza corrispettivo) | Deducibili 100% se ≤€50 cadauno (oggetto omaggio), oltre deducibili nel limite dell’1% dei ricavi annui. Eventi: deducibili 50% costi organizzazione entro 1%. | IVA regali ≤€50 detraibile; >€50 indetraibile (trattata come omaggio). | Gadget col logo da regalare a fan: deducibili come pubblicità se scopo promozionale diretto (allora 100% senza limite). Allo stretto, costo feste/eventi per fan sarebbero rappres. 1%. |
Formazione, corsi, aggiornamento | 100% deducibile fino €10.000 annui (per autonomi, art 54). | IVA detraibile 100% se addebitata (molti corsi esenti IVA se erogati da certi enti). | Esempi: workshop fotografia, corsi public speaking, acquisto libri su marketing. |
(Le percentuali indicate possono variare per disposizioni di legge aggiornate; riferimenti: TUIR art. 54 (autonomi) e 109 (imprese) sulle spese, DPR 633/72 per IVA.)
Come si evince, alcuni costi sono solo parzialmente deducibili per legge (es. auto 20%, telefoni 80%) mentre altri dipendono dall’uso personale vs professionale (abbigliamento, viaggi, ecc.). È sempre preferibile mantenere separate le spese personali da quelle di business (magari con carte o conti diversi) e tenere traccia documentale di come un certo costo abbia contribuito all’attività di influencer, così da poterlo giustificare in caso di accertamento. Se il Fisco dovesse contestare la deduzione di un costo, spetterebbe al contribuente provare l’inerenza dello stesso: ecco perché vediamo influencer conservare screenshot dei post in cui indossano i capi acquistati, o contratti di collaborazione che menzionano la necessità di un certo materiale.
In ultimo, un cenno sulle sanzioni tributarie relative ai costi: se in dichiarazione si deducono costi inesistenti o documenti falsi, si rischiano sanzioni dal 90% al 180% della maggiore imposta e, se i costi fittizi sono rilevanti, anche denunce penali (reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false, art. 2 D.Lgs. 74/2000, soglia €100k di imponibile fittizio). Diverso il caso di costi reali ma ritenuti indeducibili: lì la sanzione è per infedele dichiarazione (tipicamente 90% della maggior imposta). Ad esempio, se deduco €10.000 di abiti e l’Ufficio li ritiene indeducibili, mi recuperano la relativa IRPEF + 90% di sanzione su quell’imposta. Avere precedenti giurisprudenziali a supporto (come la sentenza citata) può aiutare a difendersi e magari ottenere l’annullamento della sanzione (se si dimostra che la questione era oggetto di incertezza interpretativa).
Controlli fiscali sugli influencer: come il Fisco scopre i redditi non dichiarati
La crescita dei guadagni online ha spinto l’Amministrazione finanziaria a sviluppare metodi specifici per individuare possibili evasori tra gli influencer. Già da qualche anno la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate hanno avviato task force dedicate all’economia digitale: incrocio di dati telematici, monitoraggio dei social, accordi con piattaforme. Nel 2024 c’è stata un’accelerazione: è stato firmato un memorandum operativo congiunto Entrate-GdF per concentrare le verifiche su settori “nuovi” come quello degli influencer. Vediamo le principali modalità con cui il Fisco effettua i controlli:
- Analisi open-source dei social media: Le autorità possono raccogliere informazioni pubbliche dai profili social degli influencer (numero di follower, engagement, presenza di sponsorizzazioni dichiarate, stile di vita ostentato, ecc.) e confrontarle con i dati fiscali. Ad esempio, forti discrepanze tra redditi dichiarati e platea di follower/attività online accendono un campanello d’allarme. Un utente con milioni di follower che dichiara reddito nullo è sospetto: come mantiene quel tenore di vita? In un’intervista del marzo 2024, ufficiali della GdF hanno confermato che guardano indicatori come numero di visualizzazioni vs. reddito, e utilizzano software per tracciare i flussi su piattaforme come YouTube, Twitch, OnlyFans. Naturalmente, avere tanti follower non significa di per sé guadagnare, ma nella maggior parte dei casi c’è correlazione. Sono stati citati dai media casi di youtuber gamer con centinaia di migliaia di iscritti che non presentavano dichiarazione: l’Agenzia, una volta identificati, ha ricostruito mediante i dati delle piattaforme e dei provider di pagamento i compensi effettivamente percepiti (ad esempio da pubblicità sulle visualizzazioni) e ha contestato anche 700mila € di ricavi non dichiarati ad un singolo gamer, imponendogli le relative imposte. Similmente, la GdF di Bologna nel 2024 ha scoperto 4 influencer “sconosciuti al fisco” (mai registrati) che accumulavano proventi da post sponsorizzati e vendite di contenuti per adulti su OnlyFans, ricostruendo il tutto a ritroso. Spesso queste indagini partono da segnalazioni (come quelle del Codacons nel 2023 che ha denunciato vari VIP per pubblicità mascherata e possibili mancati introiti erariali). L’innovazione è che ora anche i big data dei social sono “dati” a tutti gli effetti, che il Fisco può utilizzare per selezionare chi controllare.
- Tracciamento dei flussi di pagamento: Un influencer che monetizza lascia in genere tracce nel sistema finanziario. Le Entrate possono incrociare i movimenti bancari (loro o su segnalazione dell’UIF per flussi anomali) con le dichiarazioni. Ad esempio, se un influencer riceve bonifici ripetuti da Google Ireland e non ha P.IVA, è un segnale; se compra casa o auto di lusso senza redditi ufficiali, scatta un accertamento sintetico sul tenore di vita. Inoltre, dal 2023 come detto è attiva la DAC7: le principali piattaforme digitali (marketplace, siti di crowdfunding, etc.) invieranno alle autorità fiscali i dati dei venditori/creatori attivi sulle loro piattaforme e i relativi compensi annui. Questo probabilmente includerà servizi come YouTube Partner Program, OnlyFans e simili. L’Italia recependo DAC7 (D.Lgs. 13/2023) ha previsto sanzioni per le piattaforme che omettono di comunicare i dati e meccanismi per condividere tali informazioni con l’Agenzia delle Entrate. In pratica, nel 2024 l’Agenzia potrebbe già aver ricevuto elenchi di italiani che nel 2023 hanno guadagnato sopra certe soglie su eBay, Amazon, Airbnb e verosimilmente anche su YouTube/Google, Meta (per i bonus reels) ecc.. Quindi il classico “mi paga PayPal dall’estero, non se ne accorgono” è destinato a finire.
- Controlli incrociati con aziende e brand: Spesso l’influencer è la controparte di un contratto con un’azienda (es. campagna pubblicitaria). L’azienda, se verifica i pagamenti, scaricherà quel costo come deduzione. L’Agenzia incrocia le banche dati delle fatture: se l’azienda Alfa dichiara di aver pagato €10.000 all’influencer Beta per pubblicità (magari con ritenuta d’acconto versata), allora Beta dovrebbe averlo dichiarato. In caso contrario, ecco un accertabile. Anche i controlli IVA possono far emergere discrepanze: se un influencer ha emesso fatture con IVA e poi non ha presentato liquidazioni/dichiarazioni, i sistemi automatici lo segnalano come evasore IVA. O viceversa, se risultano fatture di acquisto a suo nome ma lui non ha posizione attiva. Inoltre, l’INPS ora incrocia i dati: nel 2025 l’INPS guarderà le dichiarazioni dei redditi inviate all’Agenzia e se trova codici ATECO di influencer senza relativa iscrizione contributiva, farà partire contestazioni. Dunque, i vari enti si scambiano informazioni e non è facile restare “invisibili” a lungo se si hanno movimenti economici significativi.
- Accessi, verifiche e indagini finanziarie: se un influencer viene selezionato per un controllo approfondito, gli strumenti a disposizione del Fisco sono quelli ordinari: potrà essere convocato a fornire informazioni (invito a comparire), oppure si potrà subire un accesso ispezione presso il domicilio/studio (ad es. per controllare documentazione, soprattutto se c’è anche vendita di prodotti). Nelle indagini finanziarie, l’AdE può ottenere dagli intermediari l’elenco dei conti e movimenti del contribuente e dei familiari stretti, cercando accrediti di compensi non dichiarati o spese non coerenti. Ad esempio, se un influencer incassa su PayPal o su carta prepagata, questi conti possono essere scandagliati. Va ricordato: i compensi percepiti in criptovalute o altre forme alternative non sfuggono – anch’essi vanno dichiarati al loro controvalore; la GdF ha reparti specializzati in investigare wallet crypto se c’è sospetto di utilizzo per incassi non tassati.
- Accertamenti sintetici sul tenore di vita (redditometro): L’Agenzia può ricorrere, in casi eclatanti, al redditometro o meglio ora al “raffronto spese-redditi” (art. 38 DPR 600/73). Se un influencer mostra sui social e risulta aver sostenuto spese per beni voluttuari (es. orologi di lusso, auto sportive) molto superiori al suo reddito ufficiale, il Fisco può chiedere conto di quelle spese e presumerle finanziate da redditi non dichiarati. In un certo senso, la vita pubblica dell’influencer – spesso volutamente ostentata – può diventare prova a suo carico se non in linea col fisco. È famoso un caso di alcuni anni fa in cui un rapper italiano venne attenzionato perché nei videoclip esibiva auto e gioielli di valore incompatibile coi redditi modesti denunciati: ne conseguì un accertamento. Insomma, Ostentare ricchezza attira attenzione anche dall’Erario.
- Controlli su specifici settori (es. adult entertainment): L’operazione di Bologna 2024 ha rivelato che tra i creator sconosciuti al fisco c’erano persone attive su OnlyFans e Escort Advisor – piattaforme per contenuti per adulti. Qui vi è un ulteriore profilo: la legge italiana (art. 1 c. 473 L.266/2005) prevede un’addizionale del 25% sui redditi derivanti da produzione o commercio di materiale pornografico o di incitamento alla violenza. La GdF ha infatti segnalato tre di quei creator all’Agenzia per applicare anche questa imposta addizionale, destinando circa 200mila euro recuperati al fondo per lo spettacolo. Ciò insegna che anche nicchie particolari non sfuggono, anzi possono essere colpite con normative specifiche se esistenti. Un altro esempio: per gli streamer di videogiochi che fanno tornei con premi, ci sono le ritenute sulle vincite da gioco a premi da considerare. Ogni sottosettore può avere le sue peculiarità.
In caso di omissioni, l’Agenzia delle Entrate solitamente avvia prima un contraddittorio: ad esempio invia un “invito a fornire dati e notizie” all’influencer, chiedendo spiegazioni su certe entrate o chiedendo di presentarsi. È un momento cruciale: con una risposta convincente si può evitare l’accertamento formale, oppure si può optare per regolarizzare con ravvedimento (se l’errore è evidente e non c’è ancora atto formale). Se invece le spiegazioni non soddisfano, l’Ufficio passerà all’avviso di accertamento (ne parleremo dettagliatamente a seguire), in cui contesterà le imposte evase su redditi non dichiarati, l’IVA non versata, aggiungendo sanzioni e interessi.
Dal lato penaltributario, se gli importi evasi superano le soglie di punibilità (50.000 € di imposta evasa per omessa dichiarazione, 150.000 € per infedele dichiarazione), scatterà anche la segnalazione alla Procura per i reati di cui al D.Lgs. 74/2000. Nel 2023 alcune procure (Milano, Bologna) hanno aperto fascicoli su noti influencer proprio con l’ipotesi di reato di omessa dichiarazione o truffa aggravata allo Stato – poi da valutare caso per caso. Di solito, comunque, l’approccio iniziale del Fisco con gli influencer è collaborativo: come notato dalla GdF, la maggior parte di quelli controllati ha “aderito prontamente ai rilievi mossi, versando l’importo dovuto”, chiudendo la questione in via amministrativa. Non conviene infatti ignorare o sfidare il Fisco se si è chiaramente in difetto, meglio semmai negoziare le sanzioni e mettersi in regola.
In conclusione, gli influencer non dovrebbero sentirsi “invisibili” al Fisco: i loro dati sono sempre più monitorati, e case history recenti (Luis Sal, Gianluca Vacchi, CiccioGamer89 – tutti nomi finiti in comunicati stampa per verifiche fiscali) mostrano che anche i volti noti del web vengono messi sotto la lente. La sezione successiva sarà dedicata proprio a cosa fare dopo aver ricevuto un avviso di accertamento o altro atto: quali sono i diritti del contribuente e le strategie difensive per ridurre o annullare le pretese fiscali.
Come Difendersi dal Fisco: strategie e strumenti per il contribuente (profilo del debitore)
Nonostante tutte le cautele, può accadere che l’influencer si trovi destinatario di un atto ufficiale del Fisco o di altri enti: ad esempio un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate che richiede il pagamento di imposte non dichiarate, oppure un avviso di addebito INPS per contributi omessi, o ancora una sanzione dell’AGCM per pubblicità occulta. In questa parte della guida analizzeremo come affrontare queste situazioni dal punto di vista di chi le subisce – cioè del “debitore” chiamato a difendersi. Vedremo innanzitutto cosa caratterizza i diversi tipi di atti (tributari, previdenziali, amministrativi) e poi quali passi compiere per impugnarli o risolverli, con focus sulle procedure tributarie (ricorsi, adesione, ecc.). L’obiettivo è fornire un vademecum su come muoversi tempestivamente e consapevolmente, per evitare che un problema fiscale si trasformi in un incubo peggiore (pignoramenti, fermi amministrativi, o addirittura condanne penali).
Tipologie di atti e termini di reazione
Di seguito elenchiamo i principali atti che un influencer potrebbe ricevere in caso di contestazioni, con una breve spiegazione e i termini entro cui agire:
- Invito al contraddittorio / Processo verbale di constatazione (PVC): Prima di emettere un accertamento, l’Agenzia delle Entrate spesso invia un invito a comparire (ex art. 5-ter D.Lgs. 218/97) o notifica un PVC se c’è stata una verifica. Questi non sono provvedimenti impositivi, ma documenti che anticipano le possibili contestazioni. Riceverli è un’opportunità: entro 15 giorni (invito) o 60 giorni (PVC) si può presentare documentazione e memorie per chiarire la propria posizione. Ad esempio, se l’invito elenca bonifici non dichiarati, l’influencer può spiegare che magari uno era un prestito, un altro compenso già tassato all’estero, ecc. È fondamentale non ignorare questa fase: il dialogo preventivo può convincere l’Ufficio a ridurre o archiviare la pretesa, e in ogni caso consente di concordare un eventuale accertamento con adesione con sanzioni ridotte.
- Avviso di accertamento dell’Agenzia Entrate: È l’atto formale con cui l’Agenzia rettifica la dichiarazione dei redditi (o IVA) del contribuente, contestando maggior imponibile e relativa imposta, oltre a sanzioni e interessi. Dal 2020, gli avvisi di accertamento sono esecutivi: ciò significa che diventano titolo per la riscossione decorsi 60 giorni dalla notifica (non serve più la cartella). Un avviso tipico a un influencer potrebbe ad esempio accertare per l’anno 2022 ricavi non dichiarati per €100.000, chiedendo €23.000 di IRPEF evasa + €5.000 di IVA + sanzioni 100% (€28.000) + interessi. Cosa fare? I termini di reazione sono: entro 60 giorni si può presentare ricorso alla Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria, CGT), eventualmente chiedendo la sospensione dell’atto; in alternativa, entro gli stessi 60 giorni, si può presentare istanza di accertamento con adesione per cercare un accordo. Quest’ultima opzione sospende automaticamente di 90 giorni il termine per ricorrere. Durante il periodo sospeso, si ha un incontro con l’Ufficio per discutere la pretesa: se si raggiunge un accordo (magari eliminando voci non provate o riducendo sanzioni), l’adesione si perfeziona con il pagamento (anche rateale) di quanto concordato. L’adesione comporta sanzioni ridotte a 1/3 del minimo. Se l’adesione fallisce, riparte il termine per ricorrere (i 60 gg sospesi più 30 residui). Importante: se non si fa nulla entro i 60 giorni (o 150 con adesione), l’accertamento diventa definitivo ed esecutivo: l’Agenzia lo affida all’Agente della Riscossione, che può iniziare pignoramenti su conti, stipendio, ecc. Quindi mai restare inerti. Anche se si ha intenzione di pagare, conviene manifestarlo ed eventualmente chiedere rateazione all’Ente prima che passi a riscossione coattiva (per evitare aggravi). Nel nostro esempio, con adesione l’influencer potrebbe negoziare di riconoscere €80k di imponibile invece che 100k (fornendo qualche giustificazione), pagare IRPEF+IVA su 80k e sanzione 1/3 (30% circa). Magari tutto rateizzato in 8 rate trimestrali se importo >€50k.
- Cartella di pagamento: Può succedere di ricevere direttamente una cartella esattoriale da Agenzia Entrate Riscossione, ad esempio per omessi versamenti (tipo IVA dichiarata e non pagata, o contributi INPS dichiarati e non versati). In tal caso l’atto originario è il ruolo reso esecutivo e la cartella invita a pagare entro 60 giorni. Se la cartella si riferisce a somme derivanti da atti non contestati, resta solo la via del pagamento (o al limite della rateazione con AdER). Se invece si tratta di importi mai notificati prima (es. un accertamento mai ricevuto o viziato), si può fare ricorso contro la cartella per vizi propri o perché l’atto presupposto è nullo. I termini sono sempre 60 giorni dalla notifica. Nel 2023 molti piccoli influencer hanno ricevuto cartelle per non aver pagato la Gestione Separata su redditi occasionali >5000 €: conviene in tali casi valutare se la pretesa è corretta e magari fare ricorso se si ritiene l’attività fosse ancora occasionale (giurisdizione comunque lavoro per contributi).
- Avviso di addebito INPS: Come anticipato, l’INPS notifica un “avviso di addebito” che è equiparato a una cartella esattoriale immediatamente esecutiva. Ciò avviene ad esempio se l’influencer non si è iscritto alla Gestione Separata pur avendo redditi autonomi dichiarati – l’INPS procede d’ufficio chiedendo i contributi dovuti con sanzioni. L’avviso contiene il dettaglio dei periodi e degli importi (capitale, sanzioni civili, interessi). Se si ritiene che l’INPS abbia sbagliato (ad es., l’attività in quei periodi era occasionale sotto soglia, oppure l’influencer era già coperto da altra gestione previdenziale), bisogna proporre ricorso al Tribunale – sezione Lavoro competente, entro 40 giorni dalla notifica. La procedura è diversa dal ricorso tributario: serve il tramite di un avvocato (il patrocinio è obbligatorio) e si instaura una causa di lavoro civile. Se invece si concorda col debito, è possibile chiedere all’INPS una dilazione (di solito fino a 24 rate). Da notare che l’avviso di addebito è immediatamente esecutivo, quindi l’INPS potrebbe procedere a esecuzione forzata trascorsi 60 giorni, come farebbe l’Agenzia – ma spesso in ambito contributi c’è più margine per trattare prima di azioni dure. In ogni caso, ignorare un avviso INPS è pericoloso: si rischia il pignoramento di beni o crediti allo stesso modo che col fisco.
- Atti di altre autorità: qui citiamo per completezza le possibili sanzioni amministrative AGCM o ingiunzioni del Garante Privacy. Se l’Antitrust multa un influencer (es. 100k € per pubblicità occulta reiterata), notificherà una decisione motivata. Si può fare ricorso al TAR del Lazio entro 60 giorni o presentare istanza di annullamento in autotutela o ancora (percorribile in certi casi) negoziare impegni con l’Autorità per ridurre la sanzione. Sono ambiti specialistici: in genere, influencer multati per pubblicità occultata scelgono di adeguarsi (per evitare danni di reputazione) e magari chiedono la rateazione della multa al Ministero. Per il Garante Privacy, un’ordinanza-ingiunzione si può contestare entro 30 giorni al tribunale civile. Queste procedure esulano dal tema fiscale, ma vanno tenute presenti perché il punto di vista del debitore è simile: c’è un ente che chiede soldi e bisogna difendersi o pagare.
Chiarito chi notifica cosa e i tempi generali, passiamo alle strategie di difesa specifiche per i casi tributari, che sono il fulcro del “come difendersi dal fisco”.
Difesa in ambito tributario: il ricorso in Commissione (CGT) e strumenti deflattivi
Se un influencer riceve un avviso di accertamento fiscale con cui non è d’accordo (ad esempio, contesta l’importo o la legittimità), ha diritto di impugnarlo davanti agli organi di giustizia tributaria. Dal 2023, le Commissioni Tributarie sono rinominate Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado (rispettivamente ex CTP e CTR). Ecco come funziona la difesa tributaria:
- Ricorso in primo grado: Va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, alla CGT provinciale competente (di solito, quella della provincia di domicilio fiscale). Il ricorso è un atto scritto, motivato, che può essere redatto personalmente dal contribuente se l’importo in contestazione è fino a €3.000 – oltre tale soglia è necessario farsi assistere da un difensore abilitato (commercialista, avvocato tributarista, consulente del lavoro per contributi, ecc.). Nel ricorso si espongono i motivi di fatto e di diritto per cui l’atto sarebbe errato o illegittimo. Ad esempio, un motivo potrebbe essere: “i €50.000 qualificati come ricavi non dichiarati erano in realtà prestiti infruttiferi da parenti, e non costituiscono reddito” (allegando prove); oppure: “errata applicazione di sanzione piena, spettava la riduzione per adesione”; o ancora vizi procedurali (difetto di firma, mancato contraddittorio se obbligatorio, notifica irregolare, prescrizione termini, ecc.). Il ricorso si notifica all’Ufficio che ha emesso l’atto e poi si deposita in CGT con le ricevute. Contestualmente (o anche qualche giorno dopo) va versato il contributo unificato dovuto (importo variabile in base al valore della causa: es. €30 sino a 5k, €50 fino 25k, €100 fino 75k, etc.). Effetti del ricorso: blocca la definitività dell’accertamento, ma non sospende automaticamente la riscossione. L’avviso esecutivo infatti, decorso 60 gg, diventa riscuotibile per 1/3 delle imposte contestate anche se c’è ricorso. Per evitare ciò, si può chiedere al giudice tributario la sospensione cautelare dell’atto, dimostrando sia fumus boni iuris (motivi fondati) che periculum (danno grave e irreparabile dal pagamento anticipato). Spesso, in presenza di importi alti, la sospensione viene concessa, rinviando la riscossione a dopo la sentenza di primo grado. Il processo poi prosegue con lo scambio di memorie, eventuale udienza (ora anche da remoto possibile), e la decisione della CGT. I tempi: mediamente 8-18 mesi per la sentenza di primo grado. Se l’influencer vince, l’accertamento è annullato (in toto o in parte) e, se aveva pagato il 1/3, va richiesto il rimborso. Se perde, dovrà pagare quanto dovuto (salvo appello). In ogni caso, è sempre possibile chiudere la lite con conciliazione: fino all’udienza, contribuente e ufficio possono accordarsi (magari su cifre mediate) e chiudere la causa, con sanzioni ridotte al 40% se conciliazione in primo grado.
- Appello in secondo grado: sia il contribuente che l’Agenzia, se soccombenti in primo grado, possono appellare la sentenza sfavorevole entro 60 giorni dalla notifica (o 6 mesi se non notificata) alla CGT di secondo grado (regionale). L’appello richiede il pagamento del bollo (contributo unificato di importo maggiore) e comporta il riesame del caso. È previsto anche qui l’istituto della conciliazione (sanzioni ridotte al 50% se si concilia in appello). La durata del secondo grado è simile al primo. La sentenza di appello è esecutiva (se condanna al pagamento, adER potrà riscuotere).
- Ricorso in Cassazione: possibile solo per violazioni di legge, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di appello. Non sospende la efficacia della sentenza impugnata, salvo sospensiva ad hoc. La Cassazione eventualmente annulla rinviando o definitivamente. Quasi nessun influencer è arrivato (finora) a Cassazione per cause fiscali, ma in futuro potrebbe accadere su questioni di principio (es: la deducibilità abiti potrebbe arrivare in Cassazione se AE facesse ricorso contro la CTR Lombardia…).
Tutto quanto sopra attiene al contenzioso tributario giurisdizionale. Ma è spesso opportuno considerare le vie deflattive, ovvero gli strumenti per risolvere la controversia prima o fuori dal processo:
- Accertamento con adesione: come già illustrato, è il procedimento col quale, su istanza del contribuente, si cerca un accordo con l’ufficio prima del ricorso. Vantaggi: sanzioni ridotte a 1/3, niente spese processuali, rapporto meno conflittuale; Svantaggi: richiede una base di accordo (se l’ufficio è rigido e il contribuente non ha prove solide, potrebbe concludersi con scarsi sconti). Spesso l’adesione conviene quando l’accertato ammette in parte il debito ma vuole uno sconto su sanzioni o su imponibili dove c’è margine di discussione. Non conviene se si ritiene di aver ragione al 100%: in tal caso meglio ricorrere.
- Ravvedimento operoso: prima che arrivi un accertamento (o se è arrivato solo un invito, quindi “per ora” non c’è atto impositivo), il contribuente può ravvedersi, ossia presentare dichiarazioni integrative e pagare spontaneamente il dovuto con sanzioni ridotte (a 1/8 o 1/5 secondo i casi). Nel contesto influencer, se ad esempio uno non ha dichiarato i redditi 2023 e intuisce che potrebbe essere scoperto, può ravvedersi presentando ora (nel 2025) la dichiarazione omessa del 2023 pagando imposte + sanzione ridotta del 5% (invece che 120%), evitando l’accertamento. Dopo che l’Agenzia ha notificato un PVC o inviato un avviso bonario, c’è ancora margine per ravvedersi (con sanzioni un po’ meno ridotte). Ravvedersi è segno di resipiscenza e in caso di successivi contenziosi penali può evitare il processo (causa di non punibilità per alcuni reati tributari, se avviene prima di notifica atti). Quindi è sempre consigliabile valutare questa opzione appena ci si rende conto dell’errore, purché non sia già innescata un’attività di accertamento formale.
- Acquiescenza: se l’accertamento è fondato e non si vuole o può ricorrere, pagando entro 60 giorni si ottiene una riduzione delle sanzioni a 1/3. Ad esempio, atto con sanzioni 90% – pagando subito si riducono a 30%. L’acquiescenza conviene quando non ci sono motivi difensivi e magari non si hanno liquidità per un lungo contenzioso: consente di risparmiare qualcosa sulle multe in cambio del pronto pagamento. Spesso viene utilizzata se l’ufficio in accertamento ha già applicato il minimo di legge (nel qual caso 1/3 del minimo coincide col minimo e quindi non c’è sconto ulteriore).
- Definizioni agevolate (sanatorie): il legislatore a volte approva condoni o pacificazioni fiscali. Nel 2023 c’è stata ad esempio la definizione agevolata delle liti pendenti (chiudere cause tributarie in corso pagando percentuali ridotte) e la regolarizzazione delle dichiarazioni 2021/22 (integrativa con sanzione 1/18). Un influencer coinvolto in un contenzioso potrebbe sfruttarle se capitano. Al momento (2025) non ce ne sono di aperte, ma è utile tenersi informati perché possono far risparmiare molto in certe situazioni.
In pratica, la difesa dal fisco richiede tempestività e competenza. Tempestività perché i termini sono brevi e perentori: passati quelli, si perde ogni chance. Competenza perché serve individuare i motivi validi su cui basare la propria posizione. È consigliabile farsi assistere da un professionista esperto di diritto tributario sin dal primo segnale di contestazione. Per esempio, se arriva un invito a comparire, l’avvocato tributarista può presentare una memoria difensiva efficace che magari convince l’Agenzia ad annullare in autotutela la pretesa infondata. Oppure, se arriva l’accertamento, può verificare vizi procedurali (come la mancata notifica di un obbligatorio invito al contraddittorio) e far annullare l’atto in giudizio.
Esempio concreto di difesa: supponiamo che l’Agenzia accerti ad un influencer €50.000 di redditi non dichiarati (derivati da prodotti ricevuti gratuitamente dal brand X e rivenduti, e da compensi in criptovaluta non tracciati). L’influencer si rivolge a un legale. Si potrebbe difendere così: sul fatto – dimostrando che i prodotti omaggio erano campioni gratuiti di modesto valore (sotto soglia, non tassabili, se così fosse) e che le criptovalute erano premi occasionali non tassabili o già tassate all’estero; sul diritto – eccependo errori formali (magari l’accertamento è stato notificato oltre i termini, o calcola male le sanzioni). Il legale può consigliare di tentare prima un’adesione: se l’ufficio percepisce alcune ragioni, potrebbe ridurre la pretesa a, diciamo, €20k imponibile. L’influencer aderisce pagando imposte su 20k e chiude. Se invece l’ufficio è rigido, si fa ricorso, evidenziando in giudizio prove (documenti di trasporto per i prodotti con valore) e giurisprudenza (ad esempio, un principio per cui gli omaggi di modico valore non costituiscono reddito – c’è di fatto per i fringe benefit dei dipendenti, analogia arguibile). Il giudice potrebbe accogliere parzialmente e annullare metà del reddito tassato. Entrambe le parti valuteranno se appellare. È un percorso lungo ma col supporto giusto aumenta la probabilità di successo (o quantomeno di riduzione del danno).
Difesa in ambito contributivo (INPS)
Abbiamo già accennato che per gli atti INPS la sede competente è il tribunale. Se un influencer riceve un avviso di addebito per contributi, i motivi di contestazione tipici potrebbero essere: “non ero tenuto all’iscrizione in Gestione X per quell’anno”, oppure “l’importo calcolato è errato (magari l’INPS ha considerato redditi lordi e non al netto, ecc.)”. In tal caso, entro 40 giorni si deposita un ricorso al Tribunale civile, sezione lavoro, contro INPS. La procedura è più formale (atti introduttivi, memoria di costituzione INPS, ecc.). L’influencer può chiedere al giudice del lavoro anche qui la sospensione dell’esecuzione dell’avviso se può provocare danni. Esempio: l’INPS chiede €15.000 di contributi per 3 anni, il legale contesta che l’attività in quei 3 anni era occasionale e dunque non soggetta, allegando copie di ritenute sotto 5000 annui. Se il giudice concorda, annullerà l’addebito. In queste cause spesso l’INPS, se capisce di aver errato in inquadramento, può proporre conciliazioni o rinunce. Notare: l’avviso di addebito INPS richiede comunque opposizione entro 40 gg, anche se infondato, altrimenti diventa definitivo.
Difesa in caso di procedimento penale
Se sfortunatamente l’evasione contestata è tale da comportare un procedimento penale (es: omessa dichiarazione con imposta evasa di 200k), il miglior modo di “difendersi” dal penale è estinguere il debito tributario prima possibile. La riforma dei reati tributari prevede che il ravvedimento operoso con pagamento integrale prima dell’apertura del dibattimento estingue il reato di omessa o infedele dichiarazione. Anche la tenuità del fatto (evasi appena sopra 50k) può portare a non luogo a procedere. In ogni caso serve un avvocato penalista specializzato, che eventualmente tratti con la Procura soluzioni come patteggiamento evitando pene detentive. Molti influencer noti, qualora incappati in soglie penali, hanno seguito questa via: ammettere l’errore, pagare il dovuto, patteggiare una pena sospesa per chiudere la vicenda con minimo clamore. Ad esempio, anni addietro un famoso youtuber risolvette così una contestazione per omessa IVA. La trasparenza e la regolarizzazione pagano: se il debito fiscale è saldato, spesso lo stesso PM richiede l’archiviazione per “particolare tenuità” se l’importo non era smisurato.
Considerazioni finali dal punto di vista del debitore
Possiamo riassumere alcuni consigli pratici per l’influencer che voglia prepararsi ad un’eventuale difesa o addirittura prevenirla:
- Conservare tutta la documentazione: fatture emesse e ricevute, contratti con brand, screenshot di campagne, estratti conto evidenziando entrate e la loro causale, conversazioni email con clienti – tutto può servire a giustificare sia i ricavi dichiarati (evitando che ne vengano imputati di più) sia i costi dedotti (provando l’inerenza). Ad esempio, se si ricevono prodotti gratuiti, farsi mandare dal brand una lettera che esplicita il valore commerciale e lo scopo (così da valutare la tassabilità e poterlo spiegare al Fisco). Questo archivio sarà oro durante un controllo.
- Affidarsi a consulenti e fare tax compliance: investire in un buon commercialista e avvocato può sembrare costoso all’inizio, ma risparmia cifre ben maggiori dopo. Meglio pagare un 20% di tasse su un certo reddito che nasconderlo e trovarsi poi a pagarne il 100% con sanzioni e interessi più avanti. Un approccio compliance (dichiarare e pagare il giusto) è la miglior difesa preventiva. Se proprio si vuole ottimizzare, farlo con strumenti leciti (regime forfettario, detrazioni, eventuale trasferimento di residenza reale all’estero se conviene) e non con occultamenti.
- Non trascurare le comunicazioni del Fisco: se arriva una PEC o raccomandata dall’AdE, leggerla subito e attivarsi. Molti problemi nascono da atti ignorati, che diventano intoccabili. Anche contestare la notifica può essere talvolta risolutivo (ad es., se l’atto viene inviato a un vecchio indirizzo non più valido, potrebbe essere nullo – ma bisogna eccepirlo tempestivamente in ricorso).
- Durante il controllo, collaborare (entro certi limiti): un atteggiamento apertamente ostile spesso irrigidisce i verificatori. Mostrarsi invece collaborativo può portare a un esito meno impattante (come rilevato pure dalla GdF di Bologna: “gli influencer si sono dimostrati ampiamente collaborativi aderendo ai rilievi”). Ciò non vuol dire confessare colpe inesistenti, ma fornire i dati richiesti, spiegare il proprio business onestamente e magari accettare di sanare spontaneamente le mancanze minori. Per esempio, se durante un invito in ufficio l’Agenzia fa notare che mancano all’appello due fatture di un cliente, è saggio proporre subito di emetterle e ravvedersi, chiudendo lì.
- Conoscere i propri diritti: il contribuente ha diritto a “conoscere gli atti del procedimento, essere assistito da un professionista, chiedere la proroga per aderire, ottenere copia del PVC, ecc.”. Esiste lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) che tutela da abusi (ad es. verifiche non oltre 30 giorni salvo proroga). Sapere se un termine è decaduto o se l’ufficio non ha tenuto conto di giustificazioni fornite può essere decisivo. Ad esempio, se l’accertamento arriva oltre il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello d’imposta (oggi ordinario), è nullo per decadenza – ma va eccepito.
Concludiamo questa sezione ricordando che ogni caso è a sé e non esiste una formula unica di difesa. Il punto di vista del debitore dev’essere anche pragmatico: a volte conviene transare e pagare qualcosa (se la violazione c’è stata) per chiudere presto la vicenda e ripartire puliti; altre volte, per una questione di principio o per somme elevate infondate, bisogna combattere fino in fondo. L’importante è non farsi travolgere dalla macchina fiscale supinamente: ci sono rimedi e gradi di giudizio appositi per far valere le proprie ragioni.
Domande Frequenti (FAQ)
D.1: Sono un piccolo influencer alle prime armi. Devo aprire subito partita IVA?
R.1: Dipende dai tuoi guadagni e dalla frequenza con cui svolgi l’attività. Se i tuoi compensi annui non superano €5.000 e le collaborazioni sono sporadiche, puoi operare inizialmente come prestazione occasionale, senza partita IVA. In tal caso, i pagamenti da aziende italiane subiscono una ritenuta d’acconto del 20% e li dichiarerai come “redditi diversi” in dichiarazione (sempre che superino €4.800 lordi totali). Tuttavia, appena l’attività diventa abituale e continuativa, anche se i compensi sono bassi, scatta l’obbligo di apertura IVA. Indicativamente, superare €5.000 annui è un campanello; ma più ancora conta se cominci ad avere collaborazioni ricorrenti (es. vari post sponsorizzati al mese). Ricorda che per ricevere pagamenti occasionali sopra €5.000 da un singolo committente dovresti iscriverti alla Gestione Separata INPS anche come occasionale – scenario scomodo. Perciò molti aprono la partita IVA non appena vedono che l’attività prende piede (talora anche sotto i 5k se confidano in crescita). Per fortuna oggi c’è il regime forfettario (flat tax 15% o 5%) che semplifica la gestione per ricavi fino 85k. Quindi non temere la partita IVA: se la tua attività vuole essere professionale, è meglio attivarla ed essere in regola – pagherai poche tasse se guadagni poco e non avrai problemi. L’importante è valutare bene il codice ATECO giusto (dal 2025 c’è il 73.11.03 specifico) e comunicare al tuo commercialista il tipo di prestazioni che farai (così valuta se sei “arte e professione” o “impresa”).
D.2: Ho un seguito sui social e mi mandano spesso prodotti gratis in cambio di recensioni o post: questi omaggi sono tassati?
R.2: Sì, in linea di massima i prodotti/servizi ricevuti gratuitamente come corrispettivo di una prestazione pubblicitaria costituiscono per te un reddito in natura. Il valore normale di tali beni andrebbe quantificato e dichiarato nei tuoi redditi. Tecnicamente, si configura una permuta: tu offri visibilità, l’azienda ti paga in beni. Ad esempio, se ti regalano uno smartphone del valore di €1000 per fare una recensione, quell’importo dovrebbe concorrere al tuo reddito imponibile (l’azienda fornitrice potrebbe anche emettere fattura pro-forma indicando “corrispettivo in natura per servizio pubblicitario”). Nella pratica, non sempre c’è una rendicontazione puntuale di ogni omaggio. Piccoli gadget di valore trascurabile (qualche decina di euro) talvolta sfuggono, ma beni di valore rilevante vanno considerati. La GdF nelle sue indagini ha proprio cercato di stimare se “la ricchezza patrimoniale degli influencer” potesse derivare da regalie e benefit non dichiarati. La chiave è capire se l’omaggio è puro regalo senza obbligo (in teoria tassabile anch’esso come reddito diverso se sistematico), oppure compenso concordato. Se l’azienda te lo invia dopo che hai già fatto pubblicità spontanea, potrebbe considerarsi un regalo non tassabile; ma se è condizionato a un post, è compenso. In dubbio, meglio optare per dichiararli. Nota che se rivendi quei prodotti (es. su eBay) è doppiamente reddito: prima in natura, poi monetizzato con la vendita (quest’ultima va dichiarata anch’essa se abituale). A fini IVA, uno scambio merce come questo significa che avresti dovuto emettere fattura per il valore del bene (con IVA) e l’azienda emettere autofattura per il bene ceduto. Quasi nessuno lo fa per le piccole collaborazioni, ma formalmente sarebbe corretto. Il consiglio è: se gli omaggi diventano tanti e consistenti, concorda con l’azienda un valore e fatti rilasciare un documento (es. “tot prodotti per valore X in cambio di pubblicazione Y”) così da poterlo contabilizzare. Oppure negozia di ricevere compenso in denaro e meno regali, per semplificare.
D.3: Posso usufruire del regime forfettario 15%? Cosa comporta in termini pratici per un influencer?
R.3: Sì, se rispetti le condizioni. Il regime forfettario è accessibile a persone fisiche con ricavi/compensi fino a €85.000 annui, che non abbiano partecipazioni di controllo in srl attive in settori analoghi, che non abbiano avuto redditi di lavoro dipendente >€30k mantenendo P.IVA, e altre cause ostative minori (niente residenza all’estero salvo eccezioni, niente attività esclusivamente verso ex-datori, etc.). Un influencer tipicamente rientra se non ha altre situazioni ostative. In pratica, col forfettario tu:
- Non addebiti IVA ai clienti (in fattura indichi operazione non soggetta IVA art.1 L.190/2014). Ciò ti rende più competitivo per i clienti privati e ti semplifica la vita (niente liquidazioni IVA).
- Non applichi né subisci ritenute d’acconto: nelle fatture scrivi che sei in regime che esonera dalla ritenuta. Dunque i clienti ti pagano il lordo completo. Questo migliora la tua liquidità (non devi attendere di recuperare la ritenuta in dichiarazione).
- Paghi un’unica imposta del 15% (o 5%) sul 67% dei tuoi ricavi (ipotesi tu sia classificato nei servizi con coefficiente 67%, es. promozione pubblicitaria). Significa che, ad esempio, se fatturi 30.000 € l’anno e non hai altri redditi, pagherai imposta sostitutiva su €20.100 (il 67%) pari a circa €3.015 (15% di 20.100) – indipendentemente dalle spese che hai effettivamente sostenuto. Non versi IRPEF né addizionali su quei redditi.
- Devi comunque versare i contributi INPS dovuti (gestione separata). Quelli non sono sostituiti: sul reddito imponibile forfettario (i 20.100 dell’esempio) pagherai il 26% circa di contributi, quindi ~€5.200 (questi li versi con F24, di solito acconto e saldo come per imposte). Quindi occhio: la flat tax è 15%, ma vanno aggiunti i contributi.
- Adempimenti semplificati: niente obbligo di registri contabili (ma conserva fatture e ricevute), dichiarazione dei redditi più semplice (compili quadro LM invece che RF o RG). Dal 2024 dovrai emettere fattura elettronica (regola che scatta probabilmente dal 1/7/2024 anche per forfettari, ad oggi se fatturato >25k era già richiesto) – ma puoi usare servizi gratuiti tipo Fatture e Corrispettivi AdE.
- Puoi scaricare poche cose: in forfettario, le spese non le deduci analiticamente, quindi non devi stare a calcolare costi per ridurre le tasse. L’unico onere deducibile è l’eventuale contributo previdenziale versato: quello sì riduce l’imponibile. Nel nostro esempio, dei 20.100 € di reddito ne dedurrai 5.200 di contributi pagati, restando 14.900 su cui paghi i 15%. In sostanza paghi 15% dopo i contributi.
Per molti influencer con margini alti, il forfettario è vantaggioso. Diventa meno conveniente se hai spese molto elevate >33% dei ricavi (perché dedurresti di più col regime ordinario) o se superi di parecchio 85k (perché devi uscire). Fai attenzione: se nell’anno superi 100.000 di ricavi, esci subito dal regime e da lì devi applicare IVA e tutto. Quindi monitora: se stai per sfondare, magari modulare le fatture (non spezzare artificiosamente però, è vietato). Complessivamente, il forfettario è consigliato per gli influencer finché le entrate restano entro soglia – la maggior parte dei creator individuali infatti ne usufruisce.
D.4: Che succede se non dichiaro nulla al Fisco? Possibili sanzioni o conseguenze?
R.4: Se rimani totalmente inadempiente – cioè non apri mai partita IVA, non presenti dichiarazioni, incassi “in nero” – le conseguenze possono essere severe una volta che vieni scoperto. In sintesi:
- Ti contesteranno l’omissione delle dichiarazioni per i periodi d’imposta non dichiarati: la sanzione amministrativa è dal 120% al 240% dell’imposta evasa per ciascun anno. Ad esempio, se in un anno dovevi 10.000 € di tasse e non hai dichiarato, la sanzione base è 120% = 12.000 € (che può salire fino a 24k a discrezione), più interessi. Quindi pagheresti in totale 10k imposte + 12k multa + interessi. E questo per ogni anno. È evidente come le somme raddoppino. Dal 2024, per semplificazione normativa, la sanzione per omessa è fissata al 120% (invece che range), quindi comunque l’importo minimo.
- Se l’imposta evasa supera soglie penali, rischi un procedimento penale: omessa dichiarazione è reato oltre €50.000 di imposte evase per anno, punito con la reclusione da 2 a 5 anni. Quindi, se per 2-3 anni non dichiari e per ciascuno dovevi magari 60k di tasse, potresti accumulare più capi d’imputazione. Anche l’omesso versamento IVA oltre 250k per anno è reato (ma di solito se non hai nemmeno dichiarato sei già nell’altro).
- Ti verranno richiesti anche i contributi previdenziali arretrati (INPS), con sanzioni civili molto alte (fino al 40% annuo in alcuni casi di evasione dolosa). Quindi il debito con INPS potrebbe quasi eguagliare l’importo non versato.
- Scatterà la riscossione coattiva: se non paghi volontariamente, l’Agente di Riscossione potrà attuare misure come il fermo amministrativo della tua auto, il pignoramento del conto corrente, il pignoramento presso terzi (ad es. se hai crediti verso un’agenzia pubblicitaria, li prendono). Nel lungo periodo, i debiti fiscali crescono con interessi di mora (~4% annuo) e aggi di riscossione (3%+6%).
- Rischi di essere inserito in liste di controlli futuri a tappeto: una volta pizzicato, difficilmente il Fisco ti perderà di vista. Anzi, potresti subire accertamenti induttivi: se mancano scritture, l’Agenzia può determinare il reddito presuntivamente basandosi su indizi (followers, stile di vita, ecc.) e sta a te semmai provare che è inferiore.
- La tua reputazione potrebbe subire danni: i media adorano titoli come “Influencer Tizio evade tot” e questo può minare la fiducia dei brand (nessuno vuole associare il marchio a un “evasore”). Lo si è visto con il caso di un noto youtuber (cui imputavano 1 milione non dichiarato): anche se disse che aveva professionisti e avrebbe sistemato, l’episodio ha fatto rumore. In un settore basato sull’immagine, non è trascurabile.
In breve, non dichiarare nulla non è affatto una buona idea. All’inizio può sembrare di “risparmiare” ma è un gioco d’azzardo: se guadagni cifre importanti, prima o poi emergono – e allora pagherai molto di più in sanzioni. Conviene piuttosto dichiarare e pagare il giusto sin dall’inizio, magari scegliendo i regimi più favorevoli. Se ormai l’omissione è fatta, meglio valutare il ravvedimento prima che ti becchino. Per piccole somme una volta può andare liscia, ma più a lungo continui, più il rischio e l’entità del danno crescono.
D.5: Che tipo di spese posso scaricare dal reddito di influencer? Ci sono dei limiti per vestiti, trucchi, ecc.?
R.5: Puoi dedurre tutte le spese inerenti alla tua attività, cioè collegate alla produzione dei ricavi. Nel caso degli influencer, oltre alle classiche spese (attrezzature tecniche, bollette, canoni internet, eventuale affitto studio, prestazioni di collaboratori), ci sono spese particolari legate all’immagine: abbigliamento, make-up, parrucchiere, estetista, palestra… Su queste voci il Fisco è tradizionalmente restrittivo perché le considera a uso promiscuo (personale oltre che professionale). La buona notizia è che di recente i giudici tributari hanno riconosciuto che per un fashion o beauty influencer l’abbigliamento e l’aspetto sono strumenti di lavoro. Ad esempio, una fashion influencer è riuscita a farsi riconoscere in secondo grado la deducibilità al 50% dei costi di abiti e relativa IVA. Il 50% veniva considerato uso lavorativo, il restante 50% uso personale (mancando prova di esclusività). Questo indica che, seppur con prudenza, puoi provare a dedurre una parte di tali spese. Il criterio dovrebbe essere: deduci la quota effettivamente usata per contenuti. Se compri 10 vestiti e li usi tutti in shooting o eventi di lavoro, documentandoli, potresti difendere anche più del 50%. Se invece li indossi anche nella vita privata quotidiana, limita la deduzione (ad es. uno su due). Stesso discorso per cosmetici o parrucchiere: se fai tutorial di trucco, il makeup è materia prima deducibile; se ti tingi i capelli perché piace a te ma incidentalmente appari nei video, non è deducibile. Altre spese: viaggi – se sono finalizzati a creare contenuti (es. volo e hotel per vlog di viaggio sponsorizzato) sono deducibili (tranne una quota di vitto/alloggio, 25%, come da regole generali). Auto – la tua auto personale è deducibile solo 20% (limite costi 20k); molti preferiscono non metterla in azienda. Attrezzatura elettronica – completamente deducibile/ammortizzabile se usata per i contenuti. Ristoranti – se offri cene nei vlog o incontri fan, puoi considerarla spesa di rappresentanza (ded. 75% con limite 1% ricavi). Regali ai follower – gadget di modico valore deducibili (limite €50 cadauno per rappresentanza) o se brandizzati come pubblicità integrale. Formazione – corsi, workshop, libri professionali deducibili al 100% (entro 10k l’anno se autonomo). Affitto e bollette – se lavori da casa in una stanza dedicata, puoi dedurre la quota di affitto e utenze relativa (es. 20% se stanza 20mq su 100).
Riassumendo: scarica ciò che serva effettivamente a creare i tuoi contenuti e mantenere la tua figura pubblica. Evita di scaricare spese meramente personali sperando di farla franca (es. vacanza al mare spacciata per “shooting location” se non c’entra nulla col lavoro). Tieni scontrini/fatture di tutto e, se deduci spese borderline (vestiti, beauty), annota magari a margine a quale collaborazione/evento sono legate. Così, in caso di controllo, potrai dimostrarne l’inerenza. Infine, ricorda che se sei in regime forfettario non scarichi nulla tranne i contributi: le spese sono irrilevanti ai fini fiscali lì, quindi il problema deduzioni non si pone (ma comunque conservare le prove di spese inerenti può servire a respingere accuse di non inerenza se mai contestassero la natura dell’attività).
D.6: Collaboro con aziende estere e vengo pagato da fuori Italia (es. YouTube Ireland, sponsor USA via PayPal). Devo dichiarare questi redditi in Italia? E devo applicare IVA?
R.6: Sì, se sei fiscalmente residente in Italia, devi dichiarare tutti i redditi ovunque prodotti. Quindi anche i pagamenti da enti esteri (YouTube/Google, Twitch/Amazon, OnlyFans, brand stranieri ecc.). In genere, non avrai subìto alcuna ritenuta all’estero (a parte casi come YouTube che trattiene la quota per tassazione USA sui views USA – ma di solito è irrilevante). Dunque li dichiari al lordo e paghi le imposte italiane su di essi, eventualmente con un credito se hai pagato qualcosa fuori (es. l’IRS USA trattiene il 30% su redditi da diritti d’autore se non presenti modulo: alcuni youtuber che non hanno compilato il W-8BEN hanno visto trattenute sugli introiti USA – quella sarebbe un’imposta estera da scomputare). Per l’IVA, bisogna distinguere il tipo di operazione:
- Se il tuo committente estero è un soggetto extra-UE (es. un’azienda USA o la stessa Google Ireland considerata extra-UE dopo Brexit? No, Irlanda è UE. Vabbè, mettiamo USA), la tua prestazione di servizi pubblicitari si considera “fuori campo IVA” per carenza del requisito territoriale (art. 7-ter DPR 633/72) poiché resa a committente estero non UE. Emetti fattura senza IVA, con dicitura “operazione non soggetta – committente extraUE”. Non devi applicare l’IVA né il committente ovviamente (USA non la versa).
- Se il committente è soggetto UE (es. Google Ireland, o un’agenzia francese), si applica sempre l’art. 7-ter: servizio generico B2B verso soggetto passivo UE è rilevante nel paese del committente. Quindi tu emetti fattura senza IVA indicando “inversione contabile – art. 7-ter”. Il tuo cliente UE si autoaddebiterà l’IVA nel suo paese (reverse charge). Tu dovrai: iscriverti al VIES (registro operatori intraUE), presentare modello Intrastat servizi se superi soglie (o trimestrale se necessario), e dal 2022 anche comunicare l’esterometro (ora integrato nello spesometro trimestrale). Ma niente IVA da versare tu.
- Se il committente è un privato consumatore estero (B2C): caso raro, ma es. un follower estero ti paga per un servizio personalizzato. Allora se extra-UE è fuori campo IVA, se è UE andrebbe considerata localizzata in Italia perché B2C segue prestatore, e quindi soggetta a IVA italiana (a meno di regimi OSS ecc. che qui non rilevano molto). Ma scenario minoritario.
- YouTube/Google AdSense: la sede pagatrice è Google Ireland (UE). Google Ireland di solito è identificata come soggetto passivo UE, quindi il tuo servizio di monetizzazione video è un B2B intra-UE: niente IVA tua, reverse charge in Irlanda. Devi fare fattura mensile (o per periodo di pagamento) a Google Ireland con importo in euro corrispondente all’accredito, senza IVA e con loro VAT ID. Google di fatto genera un “self-billing” statement per te. Non dimenticare di inserire questi proventi negli elenchi Intrastat e di conservarne evidenza (puoi stampare i report AdSense).
- PayPal o altre piattaforme: PayPal è solo un mezzo di pagamento, rileva chi paga. Se vieni pagato su PayPal da un’azienda USA – come sopra, fuori campo IVA. Se da privati (es. donazioni fan su Ko-fi), quelle di solito sono fiscalmente considerate o liberalità (non tassabili se modeste e spontanee) o pagamento per servizi (es. se offri contenuti extra ai patrons in cambio). Se quest’ultimo, va dichiarato e se B2C UE dovresti versare IVA (in teoria). In pratica, micro-donazioni occasionali rientrano in redditi diversi se non professionali.
Riassumendo: non è vero che “siccome pago su PayPal o perché l’azienda è estera allora non devo nulla in Italia”. Devi tutto: dichiarare i redditi e anche registrare ai fini IVA le operazioni, se sei soggetto IVA (salvo forfettario, in quel caso sei esonerato da Intrastat/esterometro ma comunque dichiari i redditi). Un’ultima cosa: attento ai tassi di cambio se ricevi in valuta, devi dichiarare il controvalore in € al momento del pagamento. E occhio ai movimenti su PayPal: l’Agenzia può chiederne l’estratto e se trova decine di migliaia di euro, li considera reddito se non giustifichi diversamente.
D.7: Se ho ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia Entrate, è utile contattare direttamente l’ufficio? O meglio passare subito per vie legali?
R.7: Dipende. In genere, quando ricevi un avviso hai due mesi di tempo prima che diventi esecutivo. È spesso conveniente in quel lasso tentare il canale di accertamento con adesione (quindi contattare l’ufficio, presentare istanza di adesione e discutere). Questo perché: 1) sospende i termini di ricorso per 90 giorni, guadagnando tempo; 2) potresti ottenere un sostanziale sconto o chiarimento, chiudendo la vicenda in modo più rapido e con sanzioni ridotte. Anche se poi non raggiungi accordo, avrai capito meglio la posizione dell’ufficio e potrai preparare un ricorso più mirato. D’altra parte, se l’accertamento è totalmente infondato e l’ufficio appare poco aperto al dialogo (magari hai già fatto contraddittorio prima senza esito), puoi anche preparare direttamente il ricorso e passare alla fase giudiziale. Tieni presente che nulla vieta di negoziare anche dopo il ricorso: c’è la conciliazione giudiziale che consente accordi con riduzione sanzioni al 40% in primo grado. Quindi a volte il vero dialogo si sposta davanti al giudice. Comunque un primo contatto informale o formale con l’Agenzia raramente è controproducente: al peggio ti diranno “nessuno sconto, paghi tutto”, e allora farai ricorso sapendo che non avresti ottenuto nulla di più parlando. Una eccezione: se il caso è anche penale (tipo fatture false, frode grave), lì meglio parlare tramite avvocato perché ogni dichiarazione potrebbe essere usata contro di te. Ma per questioni tributarie ordinarie, instaurare un confronto con l’ufficio spesso aiuta. Ad esempio, potresti scoprire che fornendo un documento mancante fai crollare metà della pretesa. Nota: se decidi di aderire all’accertamento perché effettivamente hai evaso e ti va bene chiuderla, hai diritto a sanzioni ridotte a 1/3 e anche alla rateazione (fino a 8 rate se importi elevati). Se invece litighi in giudizio e perdi, pagherai sanzione piena + interessi di mora e aggi di riscossione. Dunque, valuta costi-benefici. Un buon tributarista di solito prima tenta la via dell’adesione (se vede margine) poi, se non soddisfacente, prepara il ricorso senza indugio.
D.8: Quali soglie di evasione fiscale fanno scattare il reato penale? Un influencer può finire in carcere per tasse non pagate?
R.8: In Italia l’evasione fiscale è reato solo oltre determinate soglie e in presenza di specifiche condotte. Per l’omessa dichiarazione (non presentare proprio la dichiarazione) la soglia è €50.000 di imposta evasa per periodo d’imposta. “Imposta evasa” significa la somma di IRPEF, addizionali, IVA non versate. Quindi, se ad esempio nel 2023 non dichiari 200k di redditi e su questi c’erano 60k di IRPEF dovuta, hai superato 50k: reato art.5 D.Lgs.74/2000 punibile con reclusione 2–5 anni. Se avevi comunque presentato la dichiarazione ma con dati infedeli, le soglie sono più alte: per la dichiarazione infedele serve evadere >€100.000 di imposta e omettere almeno il 10% del reddito o >2 milioni di imponibile. Non impossibile per un top influencer, ma insomma soglia alta. C’è poi il reato di omesso versamento IVA sopra €250.000 (se dichiari l’IVA ma poi non paghi). A meno di avere società, di solito riguarda imprenditori. In concreto, la maggior parte degli influencer beccati ha situazioni borderline col reato di omessa dichiarazione per uno o più anni. Se succede, normalmente non si arriva a carcere effettivo: di solito se il contribuente paga il dovuto prima del processo, scatta la non punibilità (causa di esclusione del reato se pagamento integrale prima del dibattimento). Anche la recente riforma Cartabia ha ampliato l’uso della particolare tenuità del fatto per importi poco sopra soglia. E nelle condanne, se incensurato e l’importo non enorme, si patteggia con pena sospesa (niente carcere). Però rimane la fedina penale sporca e magari misure accessorie (interdizione da uffici societari etc.). Insomma, sì, in teoria un influencer che evada alla grande rischia il penale; in pratica, se una volta scoperto collabora e paga, difficilmente finirà in cella, ma una condanna (anche se sospesa) può comunque arrivare. Il deterrente comunque è forte: basti pensare che per 3 anni di omessa dichiarazione sopra soglia potresti cumulare potenzialmente condanne per 6-9 anni (2-3 per ciascuno) – poi magari unificano le pene, ma non è piacevole. Dunque, il consiglio è di stare ben lontani da quelle soglie. Dichiarare sempre, anche perché i benefici di evadere 50k di tasse non valgono il rischio di un processo penale con tutte le spese e stress annessi. Meglio pianificare in modo lecito (massimizzando costi deducibili, scegliendo regime agevolato, ecc.) piuttosto che non dichiarare affatto e sperare.
D.9: Conviene aprire una società SRL per pagare meno tasse sui guadagni da influencer?
R.9: Dipende dalla scala dei guadagni e dalle tue esigenze. In genere, per chi è individuale, aprire una SRL ha senso più per motivi non fiscali (limitare responsabilità, far entrare soci/investitori, dare un’immagine più business) che per risparmio fiscale puro. Anzi, spesso a parità di altre condizioni, una SRL può portare a pagare di più in termini totali di imposte. Mi spiego:
Se sei persona fisica, paghi IRPEF sui redditi man mano, con aliquota progressiva max 43%. Se apri una SRL, l’utile della società paga IRES 24% fissa, che è allettante rispetto al 43%. Ma poi quei soldi per diventare tuoi devono essere distribuiti come dividendo, tassato al 26% (dal 2018) a livello personale. Quindi, combinati, 24% + (76%*26%) = circa 43.5% totale. Di fatto, simile all’aliquota massima IRPEF. E c’è doppia trafila. Puoi ridurlo se non distribuisci utili e li lasci in società (allora paghi solo 24% e reinvesti il resto). Quindi se il tuo obiettivo è accumulare capitali e magari investirli in progetti o strumenti finanziari all’interno della società, la SRL ti consente di posticipare la tassazione definitiva (paghi 24% e tieni il resto in pancia finché non ti serve personalmente). Inoltre, se guadagni tantissimo (es. 1 milione/anno), con SRL la tassazione rimane 24% sugli utili trattenuti, mentre da persona fisica saresti al 43% su buona parte. Quindi potresti reinvestire quella differenza del 19%. Tuttavia, la SRL ha costi amministrativi più alti (notai, libri sociali, bilanci, commercialista più caro, ecc.), obblighi contabili stringenti, e se vuoi prelevare soldi per le tue spese personali devi o farti uno stipendio (che ricrea reddito lavoro + contributi INPS) o i dividendi (26%). Molti top influencer hanno creato SRL non tanto per risparmio fiscale ma per gestire un’attività più ampia: ad esempio, creare linee di prodotti, assumere staff, stipulare contratti grossi con aziende (che si fidano di più di contrattare con una società). In quel contesto la SRL funziona: l’influencer può farsi assumere come amministratore con uno stipendio sufficiente alle sue spese (tassato IRPEF ma con deduzione in società) e lasciare il resto degli utili in azienda per farla crescere.
Va anche considerato che l’Agenzia Entrate è guardinga verso chi fa società solo per pagare meno: se l’attività societaria è di fatto la prestazione personale dell’influencer e la società serve solo a tassare a IRES invece che IRPEF, potrebbero applicare l’art. 54, co.1-quater TUIR e imputare i redditi al socio come lavoro autonomo (il caso Ronaldo docet). Quindi devi dare sostanza alla società: un brand distinto, investimenti, magari pluriennalità e scopo di business più ampio (es. apri una tua agenzia media che oltre a promuovere te, gestisce altri influencer, ecc.).
In sintesi: sotto i €100k annui di guadagni, generalmente conviene restare persona fisica (magari forfettario se possibile). Sopra, valutare SRL ha senso solo se intendi accumulare capitali nell’azienda o necessiti di far crescere l’attività con struttura e terzi coinvolti. Fai bene i conti anche sui contributi: come persona fisica paghi gestione separata ~26%. Come socio/amministratore di SRL pagheresti contributi su eventuale compenso (gest.separata o commercianti se attività commerciale) o su eventuale iscrizione gestione commercianti se lavori per la tua SRL. C’è anche chi delocalizza la società all’estero (UK, Dubai) per tagliare ulteriormente, ma lì entri in discorsi di stabile organizzazione e residenza complessi – rischiosi se vivi in Italia. Quindi, per la maggioranza, la formula vincente rimane: ditta individuale in forfettario finché puoi, poi regime ordinario individuale con ottimizzazione costi; la SRL considerala quando stai gestendo qualcosa di più grande di te (un brand diversificato, uno store e commerce, contratti internazionali, etc.). E se la fai, seguine la logica imprenditoriale e non solo il risparmio fiscale, altrimenti potresti trovarlo effimero.
D.10: Ho ricevuto una cartella dall’Agenzia Entrate Riscossione per imposte non pagate due anni fa. Cosa posso fare?
R.10: Una cartella esattoriale è l’atto con cui l’Agente della Riscossione (AdER, ex Equitalia) ti chiede il pagamento di somme risultanti a debito verso vari enti (Agenzia Entrate, INPS, Comune, etc.). In questo caso parli di imposte non pagate: probabilmente o è un esito di un controllo automatizzato (tipo un 36-bis su una dichiarazione) che non hai versato, oppure il ruolo derivante da un avviso di accertamento divenuto definitivo. La prima cosa: verifica la correttezza della cartella. Controlla a quale anno si riferisce, quale imposta, se c’è un numero di atto presupposto. Se tu non hai mai ricevuto l’avviso originario, potresti fare ricorso contro la cartella eccependo la mancata notifica dell’atto precedente. Attenzione che i termini per ricorrere su questo motivo decorrono dalla conoscenza della cartella (60 giorni). Se invece sai di quel debito (es. avevi un avviso e l’hai ignorato), allora la cartella è solo la conseguenza. In tal caso, non puoi contestare nel merito ora (sarebbe tardivo), a meno di vizi formali della cartella stessa. Devi decidere come pagare. Hai 60 giorni dalla notifica per pagare l’intero importo ed evitare aggiuntivi. Oppure puoi chiedere una rateizzazione ad AdER: per debiti fino a €120.000 basta una domanda online e ti danno fino a 72 rate (6 anni) di solito. Oltre, serve documentare temporanea difficoltà, ma comunque concedono piani (anche 10 anni se importo grande). La rateazione evita azioni esecutive finché paghi le rate. Quindi muoviti subito: trascorsi 60 gg, se non fai nulla, AdER può attivare procedure come fermi auto, pignoramento conto, pignoramento crediti (ad esempio possono notificare a YouTube/Google di girare a loro le tue entrate AdSense!).
In breve: se c’è margine legale (vizi, prescrizione – verifica se è decorso più di 8 anni per IRPEF ad esempio), fai ricorso per annullarla. Se no, contatta AdER e rateizza. Tieni presente che dal 2023 c’è stata la “tregua fiscale” che permetteva di rottamare cartelle fino al 2020 senza sanzioni, ma se la tua è di due anni fa non rientra (riguardava debiti 2000-2017 nel 90% dei casi). AdER comunque è più disponibile di una volta a piani flessibili. Se l’importo è modesto (<€1000) e datato, verifica se rientra in automatico annullamento (cartelle sotto 1k del 2011-2015 sono state annullate ex lege nel 2023). Non credo sia il tuo caso recente. Comunque non ignorare la cartella: molti la lasciano lì sperando in condoni, ma intanto possono subire il prelievo forzoso. Ad esempio, se hai soldi su conto, AdER può bloccarlo e prendersi il dovuto.
In sintesi: analizza il contenuto con un esperto per vedere se c’è motivo di impugnarla (errori di notifica, decadenza, ecc.), altrimenti attivati per pagare o rateizzare. Anche perché i debiti fiscali generano interessi e sanzioni di mora col passare del tempo, quindi prima sistemi meglio è.
Tabelle riepilogative e casi pratici
Per fissare i concetti, proponiamo qui alcune tabelle riepilogative e simulazioni numeriche relative alla fiscalità degli influencer in Italia.
Tabella A – Occasione vs Abitualità: differenze fiscali principali
Caratteristica | Lavoro occasionale (reddito diverso) | Attività abituale (autonomo/impresa) |
---|---|---|
Durata/Frequenza | Episodica, non programmata, saltuaria. Esempio: 1-2 collaborazioni l’anno. | Continuativa, organizzata, reiterata (anche se stagionale). Esempio: più sponsor al mese regolarmente. |
Limite compensi indicativo | ≤ €5.000 netti annui (sopra, di regola diventa abituale). | Nessun limite minimo; anche pochi € se c’è continuità richiedono P.IVA. (Sopra €85.000 annui fuori forfettario). |
Inquadramento fiscale TUIR | Reddito diverso ex art. 67 c.1 lett. l) TUIR (prestazione occasionale). | Reddito di lavoro autonomo (art. 53) o d’impresa (art. 55) a seconda dei casi. |
Dichiarazione dei redditi | Solo se supera €4.800 lordi annui (no tax area). Quadro RL (al lordo, poi deduzione forf. 5%). | Sempre obbligatoria (Mod. Redditi PF). Quadro LM (forfettario) o RF/RG. |
Partita IVA | No (vietato avere abitualità). Nessuna iscrizione IVA, compenso al lordo meno ritenuta. | Sì obbligatoria. Numero IVA da indicare su fatture, regime fiscale da scegliere. |
Fatturazione e IVA | Ricevuta per prestazione occasionale; no IVA (esente ex art.5 DPR 633). | Fattura professionale/commerciale; IVA al 22% salvo esoneri (forfettario, ecc.). |
Ritenuta d’acconto | Sì, 20% a titolo d’acconto IRPEF operata dal committente (se sogg. passivo). | Autonomo prof.: Sì, 20% su parcella (eccetto forfettario senza). Impresa: No ritenuta sulle fatture. |
Contributi previdenziali | Non dovuti se ≤ €5.000 lordi annui; oltre, iscrizione Gestione Separata su eccedenza >5k (solo parte >5k al 33%). | Dovuti sempre. Gestione Separata (autonomo) 26%, o Commercianti ~24%+fissi (impresa). Nessuna soglia di esenzione. |
Vantaggi | Semplicità, zero burocrazia, se importi bassi niente tasse. Utile per testare l’attività. | Possibilità di crescere senza vincoli, immagine professionale seria, deducibilità costi, regimi agevolati (forfettario). |
Svantaggi | Limitata nel volume e nel tempo, niente brand strutturato, impossibilità di detrarre costi (ritenuta subìta fissa). Rischio di sforare soglia e dover sanare tardivamente. | Adempimenti (IVA, contabilità), costi fissi (contributi minimi se impresa), complessità. Necessario anche per importi modesti se c’è frequenza. |
Tabella B – Regime forfettario vs Regime ordinario per un creator (esempio di calcolo)
Scenario: Influencer con €50.000 di ricavi annui. Costi effettivi sostenuti: €5.000 (attrezzature, viaggi). Contributi INPS gestione separata al 26,23%. Confronto tassazione in forfettario (aliquota 15%, coeff. redditività 67%) vs ordinario (aliquota IRPEF marginale 35%).
Regime Forfettario | Regime Ordinario (semplificato) | |
---|---|---|
Ricavi lordi | €50.000 | €50.000 |
Coefficiente redditività (forf.) / Costi deducibili (ord.) | 67% → Reddito imponibile = €33.500 (nota: costi reali non deducibili qui) | Costi deducibili = €5.000 → Reddito imponibile = €45.000 |
Contributi INPS dovuti | su €33.500 → 26,23% = €8.783 (2/3 a carico tuo, 1/3 sarebbe del committente se avesse ritenuta) | su €45.000 → 26,23% = €11.804 |
Reddito imponibile fiscale (dopo deduz. contributi) | €33.500 – €8.783 = €24.717 | €45.000 – €11.804 = €33.196 |
Imposta dovuta | 15% su 24.717 = €3.708 (sostitutiva IRPEF+addiz.) | IRPEF su 33.196: circa €6.874 (aliquota media ~20.7%: calcolo per scaglioni) + Addizionali ~€663 = tot ~€7.537 |
Ritenute subite | €0 (nessuna ritenuta in forfettario) | Su €50k fatturati da professionista: 20% = €10.000 trattenuti dai clienti (poi a credito) |
IVA | Non applicata ai clienti (operazione fuori campo IVA) | Applicata 22% su fatture: €11.000 incassati e versati (ma diritto a detrarre IVA sui costi €1.100) |
Cash flow durante l’anno (incassi – uscite) | Incassi €50k. Uscite: €5k costi + €8.783 contributi + acconti imposta ~€2.966 = netto ~€33.251 (poi saldo €742). | Incassi €50k – €10k ritenute = €40k. Uscite: €5k costi + IVA netta €9.900 (11k versata – 1.1k detratta) + €11.804 contributi = restano €13.296 (ma avrà credito €10k ritenute utilizzato per imposte). Dopo compensazioni, netto reale ~€23.296. |
Considerazioni | Imposte molto ridotte, contributi ridotti perché imponibile inferiore. Nessun recupero IVA su costi però (costo IVA €1.100 rimasto indeducibile). Cash flow buono durante l’anno. | Imposte più che doppie rispetto forfettario. Ha però dedotto costi reali e recuperato €1.100 di IVA sui costi. Cash flow risente di IVA da versare trimestralmente e ritenute subite (che recupera in dichiarazione). |
Nota: Nel caso ordinario sopra, i €10k di ritenute vengono sottratti in corso d’anno ma poi l’influencer li utilizza per pagare le imposte finali (6.874+663) e l’eccedenza di credito può andare a compensazione contributi. Quindi in termini di reddito netto finale, entrambi i regimi lasciano più o meno lo stesso netto dopo tasse (circa €33k) in questo esempio, ma il forfettario offre liquidità immediata migliore e un carico amministrativo minore. Se i costi fossero percentualmente più alti (es. €20k su €50k ricavi), l’ordinario diventerebbe più conveniente oltre una certa soglia.
Caso pratico 1: Accertamento fiscale e definizione – Mario è un influencer che nel 2021-2022 non ha dichiarato nulla, pur avendo guadagnato in nero. A maggio 2025 riceve un avviso di accertamento per il 2021: l’Agenzia ha scoperto €80.000 di ricavi non dichiarati tramite incroci social e bonifici. Chiede €80k imponibile tassato come reddito d’impresa, con €23k di IRPEF, €17.6k di IVA evasa, sanzione 100% su imposte (€40.6k) e interessi €3k: totale circa €84.2k. Mario, disperato, si rivolge a un tributarista. Si scopre che: €20k di quei ricavi erano regali prodotti (valutati dal Fisco a stima) e €60k pagamenti. Mario ha però documenti che per i prodotti il valore era minore (€10k) e che alcuni costi non dedotti (es. €5k di attrezzatura) potevano ridurre l’IRPEF. Tramite istanza di adesione, l’ufficio accetta di abbassare i ricavi non dichiarati a €70k (togliendo €10k di sovrastima regali) e riconosce €5k di costi deducibili. L’imponibile netto diventa €65k. Ricalcola: IRPEF su 65k ~€21k, IVA evasa su 70k (gli omaggi non rettificano IVA) = €15.4k, sanzioni ridotte 1/3 (dal 100% al ~33%) quindi €12k, interessi €2k. Totale nuovo €50.4k. Mario aderisce e ottiene la rateazione in 8 rate trimestrali da circa €6.3k l’una per 2 anni. Inoltre, regolarizza contestualmente il 2022 spontaneamente (ravvedimento): dichiara i €90k guadagnati nel 2022 pagando IRPEF+IVA e sanzioni ridotte 1/8 (€5k totali). Così il 2022 esce dal mirino e per il 2021 chiude con l’adesione. L’Agenzia per il 2021 non lo denuncia penale perché l’imposta evasa (21k+15k=36k) sta sotto soglia 50k. Mario impara la lezione, apre P.IVA forfettaria e dal 2023 dichiara regolarmente. In questo caso, con la difesa attiva, Mario ha ridotto il debito da 84k a 50k e evitato processi. Se fosse stato passivo o senza assistenza, avrebbe dovuto pagare 84k (il triplo di quanto incassato in quel 2021!) e forse avrebbe avuto anche il penale (se superava soglia con altro anno).
Caso pratico 2: Contestazione contributiva INPS – Sofia è un’influencer beauty. Nel 2024 ha guadagnato €30.000 con P.IVA da freelance (forfettaria). Ingenuamente non sapeva di doversi iscrivere alla Gestione Separata INPS e non ha versato alcun contributo nel 2024. Nel settembre 2025, incrociando i dati 2024, l’INPS rileva che Sofia ha codice ATECO influencer e reddito dichiarato ma non risulta iscritta. Le notifica un avviso di addebito chiedendo: contributi 2024 su €30k = €7.869 (26.23%), più sanzioni civili per omesso versamento (diciamo 1% al mese per un anno = ~€787) e interessi €100. Totale circa €8.756. Sofia ora deve: 1) iscriversi subito alla Gestione Separata (per evitare che anche il 2025 venga omesso); 2) decidere se impugnare l’avviso. In teoria, la pretesa è corretta perché doveva iscriversi e versare. Non ha motivi validi per fare ricorso (non può dire “pensavo di essere occasionale”, aveva P.IVA e forfettario quindi era abituale). Allora tramite il suo consulente contatta l’INPS e chiede una rateazione amministrativa (possibile fino a 24 mesi per contributi). L’INPS gliela concede: 12 rate mensili da ~€730. Sofia paga regolarmente e sistema la sua posizione. Non serve portare la questione in tribunale, anzi un ricorso sarebbe infondato e aggraverebbe costi. Questo esempio evidenzia come il controllo contributivo scatta e sia fondamentale mettersi in regola spontaneamente prima (Sofia se si fosse avveduta, avrebbe potuto versare con sanzioni ridotte anche prima della notifica). Ora dal 2025 l’INPS è ancora più solerte, quindi tutti gli influencer farebbero bene a verificare la propria posizione previdenziale.
Caso pratico 3: Pubblicità occulta e fisco – Luca è un travel influencer di medio livello. Nel 2023 è andato ospite in vari hotel e resort di lusso che in cambio chiedevano visibilità, ma Luca non ha esplicitato “advertising” nei post (ha fatto finta di essere un ospite spontaneo). Un’associazione consumatori segnala il caso all’AGCM. Nel 2025 l’Antitrust sanziona Luca con €20.000 di multa per pratica commerciale scorretta (pubblicità non dichiarata). Inoltre informa la Guardia di Finanza dei soggiorni gratuiti ricevuti. La GdF valuta che in due anni Luca ha goduto di ospitalità per controvalore di €15.000 non dichiarati. Nel suo caso, Luca aveva però dichiarato regolarmente compensi monetari ma si era “dimenticato” di valorizzare quei benefit. L’Agenzia Entrate dunque gli notifica un avviso di accertamento per redditi 2022, aggiungendo €7.500 di imponibile (valore stimato di hotel gratis) con relative imposte ~€2k e sanzione infedele al 90% ~€1.8k. Luca, già bastonato dai 20k di multa AGCM, preferisce chiudere subito la parte fiscale: fa acquiescenza all’accertamento entro 60 giorni, pagando IRPEF+IVA+interessi e sanzione ridotta a 1/3 (€0.6k). Totale circa €3.5k. Così sistema il fisco. Per la multa Antitrust, tramite un legale presenta ricorso al TAR chiedendo sconto ma intanto l’ha messa a bilancio. Questo scenario mostra come la mancanza di trasparenza pubblicitaria può attivare anche il fisco: le regalie in hotel erano reddito in natura. Se Luca avesse segnalato “adv” e fatturato regolarmente la prestazione con valore pari al soggiorno (magari facendosi pagare e poi pagando l’hotel), sarebbe stato tutto dichiarato e niente sanzioni. Morale: la correttezza nelle pratiche commerciali va di pari passo con quella fiscale.
Conclusioni
La figura dell’influencer, nata in un contesto di spontaneità sul web, è oggi a tutti gli effetti un operatore economico soggetto a regole fiscali e legali ben definite. Questa guida ha percorso in dettaglio gli aspetti tributari dei redditi da influencer in Italia e le possibili linee di difesa in caso di accertamenti. Riassumendo i punti chiave:
- Qualificazione fiscale multi-forme: i redditi dell’influencer possono appartenere a diverse categorie (lavoro autonomo, impresa, diversi) a seconda della modalità di attività. È fondamentale impostare sin dall’inizio la propria posizione corretta (aprire partita IVA se necessario, scegliere il regime giusto) perché correggerla a posteriori è costoso. Le recenti sentenze – dal caso Ronaldo a quello dell’influencer-agente – ci dicono che il Fisco e i giudici stanno inquadrando con maggior precisione queste nuove professioni, col comune denominatore che “reddito prodotto online = reddito tassabile” senza scappatoie.
- Obblighi da rispettare: l’influencer abituale deve dichiarare tutti i compensi, anche in natura, e versare IVA e contributi quando dovuti. L’introduzione di normative ad hoc (codice ATECO, circolare INPS) è segno che l’epoca dell’improvvisazione è finita. Ignorare questi obblighi porta quasi certamente a venire prima o poi individuati e sanzionati, vista la mole di controlli incrociati in atto. Prevenire è meglio che curare: dotarsi di un minimo di organizzazione amministrativa (fatture, registri delle entrate) e affidarsi a consulenti aiuta a dormire sonni tranquilli, lasciando all’influencer la creatività e non le grane burocratiche.
- Controlli in aumento: come abbiamo visto, già nei primi mesi 2024 il Fisco italiano ha recuperato milioni di euro dall’economia degli influencer. Operazioni come quelle di Bologna e intese Entrate-GdF segnalano che l’approccio è passato da pedagogico a punitivo: chi non si mette in regola volontariamente verrà con alta probabilità scovato e costretto a farlo con gli interessi. Inoltre, la collaborazione tra autorità (anche AGCM, Agcom, Codacons) fa sì che comportamenti scorretti su un fronte (es. pubblicità occulta) espongano a conseguenze anche sull’altro (tasse non pagate). Sostanzialmente, la compliance a 360° è l’unica strategia vincente sul lungo periodo.
- Difendersi è possibile: dal punto di vista del contribuente (debitore) abbiamo visto che esistono strumenti di tutela – dal contraddittorio all’autotutela, dall’adesione al ricorso – che permettono di far valere le proprie ragioni e ridurre sanzioni e pretese quando queste sono eccessive o inesatte. Un influencer informato sa che ricevere un avviso non è la fine, ma l’inizio di una procedura in cui può dire la sua e, spesso, negoziare un accordo sostenibile. L’importante è agire tempestivamente e con cognizione di causa, preferibilmente con l’assistenza di professionisti.
- Giurisprudenza in evoluzione: alcune tematiche peculiari (deducibilità di spese personali, qualificazione agenti, trattamento fiscale di certi introiti) sono ancora in via di consolidamento. È essenziale tenersi aggiornati sulle ultimissime sentenze e interpelli, perché possono aprire spiragli di pianificazione o difesa. Ad esempio, dopo la CGT Lombardia sugli abiti deducibili, un’influencer può sentirsi più confidente nel dedurre quei costi con criterio, sapendo di avere un precedente favorevole. Lo stesso per chi struttura società estere: conosciamo i limiti posti dal caso Ronaldo e dunque si può evitare di cadere negli stessi errori.
- Consapevolezza e professionalità: in definitiva, il messaggio è che fare l’influencer non esime dall’essere un contribuente diligente. Creatività e regole non sono in antitesi: si può avere successo sui social ed essere al contempo in regola col Fisco. Anzi, la professionalità a tutto tondo (che include onorare i propri doveri fiscali) aumenta la credibilità dell’influencer verso brand e pubblico. Al contrario, chi accumula guai con il Fisco rischia di compromettere la propria carriera oltre che il patrimonio (basti vedere come il “caso Ferragni” abbia spronato interventi normativi e quanti commenti negativi suscitino le notizie di influencer evasori).
Questa guida voleva fornire agli influencer, e ai consulenti che li assistono, un compendio approfondito ma pratico per navigare il sistema tributario italiano “da influencer”, con un occhio sia alla prevenzione sia alla difesa in caso di problemi. Adeguarsi può sembrare oneroso, ma è un piccolo prezzo da pagare rispetto ai rischi dell’irregolarità. Come in un famoso proverbio, “meglio pagare oggi un po’ di imposte che pagare domani imposte, multe e avvocati”.
In conclusione, l’influencer che produce reddito è chiamato non solo a influenzare i gusti e le tendenze del pubblico, ma anche a comportarsi come un cittadino fiscalmente responsabile. Con le conoscenze giuste e il supporto di professionisti, può farlo senza eccessiva fatica, continuando a concentrarsi su ciò che sa fare meglio – creare contenuti e valore – mentre il Fisco diventa semplicemente un altro stakeholder con cui relazionarsi in modo trasparente. E se qualcosa va storto, adesso sa come difendersi con cognizione di causa, forte dei propri diritti oltre che consapevole dei propri doveri.
Fonti e Riferimenti
- Normativa:
- DPR 22/12/1986 n. 917 (TUIR) – Artt. 53 (redditi di lavoro autonomo), 54 comma 1-quater (sfruttamento dell’immagine), 55-56 (redditi d’impresa), 67 (redditi diversi).
- DPR 26/10/1972 n. 633 – Artt. 7-ter (territorialità IVA servizi), 10, 5 (occasionale escluso IVA).
- D.Lgs. 15/12/1997 n. 446 – art. 1 c. 8 (esenzione IRAP dal 2022 per PF).
- L. 190/2014 – art. 1 commi 54-89 (Regime forfettario).
- D.Lgs. 74/2000 – art. 5 (omessa dichiarazione reato >€50k), art. 4 (infedele >€100k imposta >10%), art. 10-ter (omesso versamento IVA >€250k).
- L. 197/2022 (L. Bilancio 2023) – ampliamento forfettario a 85k.
- L. 197/2023 (L. Bilancio 2024) – novità sanzioni tributarie (D.Lgs 24/2024: omessa dichiarazione sanzione fissa 120%).
- D.Lgs. 149/2022 – riforma giustizia tributaria (istituzione CGT).
- Circolare INPS n. 44 del 19/02/2025 – “Attività dei content creator. Profili previdenziali”.
- Provv. ADE Prot. 406608/2023 – Istituzione Codice ATECO 73.11.03 “Attività di influencer” dal 01/04/2025.
- Delibera AGCom 19/01/2024 n. 19/24/CONS – Linee guida influencer (trasparenza pubblicità).
- Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) – Artt. 20-26 pratiche commerciali ingannevoli (pubblicità occulta).
- Giurisprudenza e Prassi:
- CGT II grado Piemonte n. 219/2/2023 (caso Cristiano Ronaldo) – Redditi da sfruttamento immagine qualificati come lavoro autonomo prodotto in Italia, non opere d’ingegno.
- CTR Lombardia n. 3938/15/2018 – Deduzione 50% spese abbigliamento per showgirl (precursore caso influencer).
- CGT II grado Lombardia n. 468/2024 (depositata 12/02/2024) – Fashion influencer: abbigliamento deducibile con uso promiscuo 50%, IVA detraibile 50%.
- Tribunale di Roma, Sez. Lavoro n. 2615/2024 (4 marzo 2024) – Influencer con attività di promozione continuativa inquadrato come agente di commercio, obbligo contributi Enasarco.
- Cassazione Civ. n. 27786/2018 – Principio di inerenza: spesa collegata all’attività anche indirettamente può essere dedotta.
- Cassazione Pen. n. 38684/2019 – Omessa dichiarazione: dolo specifico e soglia punibilità €50k (conferma art.5).
- Risoluzione AE 88/E 2020 – Chiarimenti su regime fiscale youtuber (equiparazione a lavoro autonomo non esercente arti ordinamentate).
- Risposta Interpello AE 67/2018 – Compensi da banner pubblicitari su blog inquadrati come reddito di lavoro autonomo ex art. 53.
- Circolare AE 19/E 2012 – Prestazioni di lavoro autonomo occasionale: limiti e ritenute (precisa soglia €5k per obbligo contributivo).
- Nota INL 1798/2021 – Chiarimenti su quando l’influencer può essere considerato lavoratore subordinato o autonomo (criteri etero-organizzazione).
Sei un influencer, content creator o youtuber e hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate per redditi non dichiarati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Sei un influencer, content creator o youtuber e hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate per redditi non dichiarati? Oppure vuoi sapere come gestire correttamente le entrate derivanti dalle attività online per evitare problemi fiscali?
Il Fisco italiano ha acceso i riflettori sul mondo digitale: oggi i guadagni da sponsorizzazioni, affiliazioni, collaborazioni, vendite online, donazioni (Twitch, Patreon, OnlyFans) sono sottoposti a controlli sempre più frequenti. Ma esistono strategie di difesa e regolarizzazione per tutelarti, anche se sei in ritardo.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la tua posizione fiscale e le fonti di reddito: Instagram, YouTube, TikTok, e-commerce, collaborazioni
- 📌 Verifica se i redditi contestati sono imponibili in Italia e come devono essere inquadrati fiscalmente
- ✍️ Redige memorie difensive o istanze in autotutela in caso di accertamenti o lettere di compliance
- ⚖️ Ti rappresenta in ricorsi contro avvisi di accertamento, contestazioni IVA o redditi “non dichiarati”
- 🔁 Ti assiste anche nella regolarizzazione spontanea (ravvedimento operoso) e nella scelta del regime fiscale più adatto (forfettario, ordinario, attività occasionale)
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e fiscalità dell’economia digitale
- ✔️ Specializzato nella difesa di influencer, streamer, youtuber e digital creators
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Essere un influencer significa anche essere un contribuente. Ma questo non vuol dire subire il Fisco passivamente. Con la giusta consulenza puoi metterti in regola, difenderti da contestazioni e lavorare online con serenità.
📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua tutela fiscale comincia da qui.