Sei una guardia giurata con debiti e stai cercando una via d’uscita?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti sullo stipendio, solleciti da banche o finanziarie, e non riesci più a far fronte agli impegni economici? In questi casi è fondamentale sapere quali strumenti hai a disposizione per difenderti legalmente, proteggere il tuo stipendio e recuperare la tua serenità personale e lavorativa.
Quando una guardia giurata può ritrovarsi sommersa dai debiti?
– Quando hai acceso prestiti personali, cessioni del quinto o deleghe di pagamento che, nel tempo, si sono sommati
– Quando hai accumulato ritardi nei pagamenti di imposte, multe, cartelle esattoriali o contributi previdenziali
– Quando ti trovi a sostenere da solo spese familiari importanti, a causa di separazioni, emergenze o imprevisti
– Quando hai firmato fideiussioni per parenti, colleghi o soci, diventando coobbligato
– Quando, nonostante il lavoro fisso, il tuo stipendio non basta più a coprire tutti gli impegni mensili
Cosa può succedere a una guardia giurata con debiti?
– Pignoramento dello stipendio direttamente presso l’istituto di vigilanza
– Trattenute in busta paga fino a un quinto del netto mensile
– Segnalazioni nelle banche dati (CRIF, Centrale Rischi), che bloccano l’accesso al credito
– Notifiche di cartelle esattoriali, decreti ingiuntivi, atti di precetto o fermi amministrativi
– Tensioni personali e familiari che influiscono anche sulla concentrazione e sul rendimento lavorativo
Cosa puoi fare se sei una guardia giurata con debiti?
– Verifica con precisione quali sono i debiti effettivi, quali sono contestabili o prescritti
– Se ci sono cartelle esattoriali, valuta una rateizzazione, una rottamazione o un saldo e stralcio
– Se hai più debiti e non riesci a pagare, puoi accedere alla procedura di sovraindebitamento, che consente a chi ha reddito fisso di azzerare o ristrutturare i debiti
– Se è già in corso un pignoramento, puoi chiedere la sospensione, la riduzione o la revisione della trattenuta
– Se i debiti derivano da errori o da responsabilità altrui, puoi presentare opposizione o azione risarcitoria
– Con l’aiuto di un avvocato, puoi bloccare gli atti esecutivi, trattare con i creditori e costruire una strategia concreta di uscita
Cosa puoi ottenere con l’assistenza giusta?
– La sospensione di pignoramenti e trattenute sullo stipendio
– La possibilità di pagare solo ciò che puoi, senza interessi e sanzioni aggiuntive
– La riduzione o cancellazione di una parte dei debiti, se accedi all’esdebitazione
– La tutela del tuo stipendio, della tua famiglia e della tua dignità professionale
– La chiusura definitiva della situazione debitoria, per tornare a vivere con tranquillità
Attenzione: anche se hai un lavoro stabile, non sei al riparo da pignoramenti e azioni legali. Ma proprio perché sei dipendente con reddito fisso, hai diritto ad accedere a strumenti potenti e legali per risolvere la situazione, con il supporto di un professionista.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento, difesa del lavoratore e protezione del reddito ti spiega cosa fare se sei una guardia giurata con debiti, come difenderti e come riprendere il controllo della tua vita economica.
Sei una guardia giurata in difficoltà con debiti, trattenute o pignoramenti?
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Introduzione
Una guardia particolare giurata – tipicamente un lavoratore dipendente con reddito fisso modesto – può trovarsi in una grave situazione di sovraindebitamento, ossia nell’incapacità di far fronte regolarmente ai propri debiti. Le cause possono essere molteplici: spese impreviste (ad esempio cure mediche), eventi familiari come una separazione (nel caso di Luigi, una guardia giurata la cui storia esamineremo, il mantenimento del figlio dopo il divorzio ha inciso pesantemente), uso eccessivo di finanziamenti, perdita di un secondo reddito familiare, ecc. Dal punto di vista del debitore, l’accumularsi di debiti comporta non solo pressione finanziaria, ma anche rischi concreti: pignoramenti di stipendio e beni, iscrizione nelle banche dati dei “cattivi pagatori”, eventuali conseguenze professionali indirette (ad esempio la difficoltà ad ottenere il rinnovo del porto d’armi se sopraggiungono condanne penali connesse all’insolvibilità, ecc.). Di fronte a ciò, l’ordinamento italiano – con un insieme di norme di livello avanzato e recentemente aggiornate al luglio 2025 – offre strumenti giuridici specifici per uscire dalla crisi debitoria in modo legale e definitivo, senza sfuggire ai creditori ma garantendo un equo contemperamento dei diritti. Questa guida, rivolta tanto a professionisti del diritto quanto a privati cittadini indebitati (compresi piccoli imprenditori non fallibili), esamina in dettaglio tali strumenti – le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento – alla luce della normativa italiana vigente e delle più recenti sentenze. Il taglio sarà giuridico ma divulgativo, adottando un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori, con approfondimenti per avvocati e riferimenti normativi puntuali.
Conseguenze del sovraindebitamento: rischi per il debitore
Prima di affrontare le soluzioni, è utile chiarire cosa accade a una guardia giurata (o qualsiasi debitore) fortemente indebitata se non interviene con misure correttive. In Italia i creditori hanno vari strumenti di tutela che, in assenza di accordi o procedure concorsuali, possono incidere drasticamente sul patrimonio e sul reddito del debitore:
- Pignoramento dello stipendio e della pensione: il creditore munito di titolo esecutivo può ottenere dal giudice il pignoramento di una quota dello stipendio netto mensile (o della pensione) dell’interessato. La legge prevede un limite generalmente pari a un quinto (20%) dello stipendio netto per i debiti ordinari. Ad esempio, su uno stipendio netto di 1.500 €, possono essere trattenuti 300 € al mese a beneficio dei creditori. Se vi sono debiti fiscali con l’erario, si applicano percentuali differenti in base all’importo complessivo del debito: attualmente 1/10 per debiti fino a circa 2.500 €, 1/7 per quelli fino a ~5.000 €, e 1/5 oltre tale soglia. Inoltre, la legge tutela in parte i redditi minimi: per le pensioni, una somma pari all’assegno sociale aumentato della metà è impignorabile (rimane sempre al debitore); per gli stipendi accreditati in conto corrente, l’ultimo importo mensile versato è impignorabile nella misura prevista (in pratica, sul conto non si possono pignorare le somme corrispondenti all’ultima mensilità di stipendio entro il limite dell’assegno sociale). Queste soglie garantiscono che al debitore resti il minimo vitale, ma il resto viene forzosamente destinato ai creditori.
- Pignoramento di beni mobili e veicoli: il creditore può far pignorare i beni mobili di valore intestati al debitore (ad esempio un’automobile, arredi di pregio, denaro su conti correnti). Un veicolo di proprietà, come l’auto di servizio se di proprietà personale, può essere oggetto di fermo amministrativo (blocco della circolazione) e successiva vendita forzata. Anche i saldi dei conti correnti bancari o postali sono pignorabili: il pignoramento presso terzi consente di bloccare le somme disponibili sul conto fino a concorrenza del credito dovuto. Da notare che sul conto corrente, come detto, l’ultima mensilità di stipendio accreditata è protetta entro certi limiti, ma il resto può essere assegnato ai creditori. Ciò significa che, ad esempio, un eventuale premio o tredicesima eccedente la soglia di impignorabilità potrebbe essere prelevato.
- Pignoramento immobiliare e ipoteche: se la guardia giurata è proprietaria di un immobile (ad esempio l’abitazione di famiglia), i creditori possono iscrivere ipoteca e avviare l’esecuzione immobiliare. Occorre distinguere i creditori: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (per cartelle esattoriali) ha limiti particolari nel pignorare la prima casa: se il debitore possiede un solo immobile adibito ad uso abitativo, non di lusso, in cui risiede, e il debito fiscale totale è inferiore a €120.000, l’Erario non può procedere con ipoteca né espropriazione di tale immobile. Superata la soglia di €120.000 (o in presenza di più immobili), il Fisco può invece iscrivere ipoteca e, in caso di mancato pagamento, mettere all’asta la casa trascorsi almeno 30 giorni dal preavviso di esecuzione. Per i creditori privati (banche, finanziarie, condomìnio, ecc.), non esiste un divieto generale di pignorare la prima casa: ad esempio una banca può ipotecare e pignorare l’abitazione per un mutuo non pagato o altri debiti, ottenendo un ordine di vendita dal tribunale. In pratica, senza misure protettive, anche la casa di abitazione può essere perduta in presenza di debiti significativi, salvo accordi con i creditori o interventi legali che vedremo. La sola eccezione legale è quella menzionata per i debiti fiscali sotto soglia.
- Interessi di mora e spese legali: più il tempo passa, più il debito cresce. I contratti di finanziamento prevedono interessi di mora in caso di ritardo nei pagamenti, che possono far lievitare l’esposizione. Inoltre, i costi di eventuali decreti ingiuntivi, atti di precetto, pignoramenti (onorari di avvocati, spese di procedura) vengono generalmente addebitati al debitore soccombente. Una guardia giurata già indebitata rischia di vedere il proprio debito aumentare mese dopo mese a causa di queste aggiunte.
- Segnalazioni nelle banche dati creditizie: un debitore inadempiente viene tipicamente segnalato nelle centrali rischi finanziarie private (come CRIF) e in quella pubblica della Banca d’Italia. Questo comporta un blocco dell’accesso al credito: ottenere nuovi prestiti, mutui o anche semplici finanziamenti per l’auto diventa quasi impossibile finché la posizione rimane “negativa”. La permanenza in queste liste come cattivo pagatore dura vari anni (in genere 36 mesi dall’estinzione o dalla scadenza contrattuale del prestito non onorato, o periodi similari a seconda del tipo di segnalazione). Ne consegue che la guardia giurata indebitata non potrà contare su ulteriori aiuti dal sistema creditizio formale, rimanendo schiacciata dai debiti esistenti.
- Stress psicologico e implicazioni personali: sebbene non sia un effetto giuridico in senso stretto, vale la pena menzionare il grave impatto emotivo e sociale del sovraindebitamento. Debitori oppressi dai creditori spesso sviluppano ansia, depressione, e possono cadere vittime di usura (rivolgendosi a prestiti illegali per tamponare le falle). Proprio per questo la Legge 3/2012 sul sovraindebitamento è stata soprannominata “legge anti-suicidi”, riconoscendo che il peso dei debiti può condurre a gesti estremi se non vi è via d’uscita. Nel caso di categorie come le guardie particolari giurate, che svolgono mansioni delicate di sicurezza, uno stato di indebitamento grave può anche destare preoccupazioni al datore di lavoro circa l’affidabilità (ad es. il timore – forse infondato ma esistente – che un dipendente sommerso dai debiti possa essere più vulnerabile a corruzione o comportamenti scorretti). Pur non essendoci allo stato attuale una norma che revochi la qualifica di guardia giurata soltanto perché indebitata (a differenza di reati o mancanze specifiche che invece la farebbero revocare), la situazione debitoria può quindi avere riflessi indiretti sulla sfera lavorativa e personale.
In sintesi, ignorare il problema dei debiti non è una strada percorribile: il sistema giuridico consente ai creditori di attaccare stipendi, beni e conto bancario del debitore, lasciandogli appena il minimo indispensabile per sopravvivere. Più tempo passa, più il debito cresce e più il patrimonio viene eroso, compromettendo a lungo termine la possibilità di risollevarsi. Fortunatamente, però, esiste una soluzione legale che consente di bloccare queste azioni e raggiungere una sistemazione equilibrata: le procedure previste dalla normativa sul sovraindebitamento, che esaminiamo nei paragrafi seguenti.
Normativa italiana sul sovraindebitamento: quadro generale aggiornato al 2025
La disciplina di riferimento è relativamente recente e ha subìto modifiche significative proprio negli ultimi anni. Il concetto di sovraindebitamento è stato introdotto nell’ordinamento italiano con la Legge 3/2012 (nota anche perché inserita in un provvedimento contro l’usura), definendo il sovraindebitamento come lo “stato di crisi o insolvenza” del debitore non fallibile che non è più in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. Tale legge del 2012 ha rappresentato una svolta storica, perché per la prima volta ha permesso anche ai privati cittadini e agli imprenditori minori (tradizionalmente esclusi dal fallimento) di accedere a procedure concorsuali per ristrutturare o liquidare i debiti.
Successivamente, il legislatore ha varato il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) con D.Lgs. 14/2019, un testo organico che riforma tutta la materia fallimentare e anche quella del sovraindebitamento. Dopo vari rinvii, il Codice è entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022, sostituendo integralmente la Legge 3/2012. La normativa sul sovraindebitamento è stata quindi assorbita nel nuovo Codice (artt. 65 e ss. CCII) mantenendone lo spirito originario ma apportando alcune migliorie importanti. Da allora ci sono stati ulteriori correttivi: in particolare il D.Lgs. 83/2022 e il “correttivo ter” D.Lgs. 136/2024 hanno raffinato alcuni aspetti tecnici. Al luglio 2025 il quadro normativo applicabile è dunque quello del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, come modificato da tali decreti, mentre i riferimenti alla Legge 3/2012 sono perlopiù storici (i concetti base rimangono però analoghi).
Principi ispiratori: la normativa attuale pone al centro il favor debitoris, cioè la volontà di agevolare il risanamento e la liberazione del debitore onesto in difficoltà. Si tratta di un approccio più moderno e meno punitivo rispetto al passato: l’insolvenza del consumatore o del piccolo imprenditore non è più vista come una “colpa” da scontare vita natural durante, ma come una situazione patologica da cui è possibile uscire tramite procedure guidate dal giudice, bilanciando gli interessi dei creditori. In quest’ottica, sia il legislatore sia i giudici interpretano le norme in modo da facilitare l’accesso alle procedure di sovraindebitamento e la concessione dell’esdebitazione (cioè la liberazione dai debiti residui) al termine del percorso. Questo non significa che “tutti i debiti spariscono magicamente” – il debitore deve offrire tutto il possibile ai creditori – ma significa che non verrà richiesto l’impossibile, e che una volta pagato il ragionevolmente pagabile si potrà cancellare il resto, consentendo al debitore di tornare ad una vita economicamente attiva e regolare (il concetto di fresh start promosso anche da direttive UE 2019/1023). D’altro canto, la legge introduce anche il principio del merito creditizio: i creditori (banche, finanziarie) che abbiano concesso prestiti in modo irresponsabile al debitore già in difficoltà non potranno opporsi efficacemente alle soluzioni proposte e vedranno i loro diritti compressi in ragione della propria condotta imprudente (ad esempio, un istituto che abbia erogato un quinto prestito a chi era già oberato di debiti, violando l’art. 124-bis TUB sui doveri di valutazione, non potrà contestare la convenienza del piano del consumatore proposto, secondo l’art. 69 CCII). Questo favorisce un atteggiamento più responsabile da parte di chi concede credito e al contempo tutela il debitore da situazioni di sovrafinanziamento colposo altrui.
Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento? Le procedure sono riservate ai soggetti non fallibili, cioè a quelle categorie di debitori che non possono essere dichiarati falliti (li definiremo meglio tra poco). In particolare:
- Consumatori: persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa o professionale. Tipicamente rientrano qui lavoratori dipendenti (come la nostra guardia giurata), pensionati, disoccupati, casalinghe, ecc., con debiti di natura personale (mutui, finanziamenti al consumo, spese familiari, canoni, bollette, debiti verso privati). Anche il fideiussore di altrui debiti può qualificarsi consumatore se la garanzia prestata riguarda un’obbligazione altrui di natura personale. Nota: un soggetto che in passato era imprenditore può essere considerato consumatore se l’attività d’impresa è cessata e i suoi debiti residui sono misti (personali e d’impresa); la giurisprudenza più recente tende ad ammettere il piano del consumatore anche a chi abbia debiti misti, purché includa nel piano tutti i debiti, evitando trattamenti di favore – sono stati omologati piani di consumatori “ex imprenditori” con debiti promiscui, ad es. Trib. L’Aquila 11/10/2023, Trib. Pesaro 20/9/2023, Trib. La Spezia 5/6/2024. In sostanza se oggi la persona vive da privato (es. fa la guardia giurata) e non ha più un’attività economica, potrà presentare la procedura come consumatore, anche se parte dei debiti deriva da una vecchia partita IVA chiusa. Viceversa, chi è tuttora imprenditore (anche piccolo) o professionista in attività non è consumatore e dovrà utilizzare le altre procedure (concordato minore o liquidazione).
- Imprenditori minori e piccoli commercianti/artigiani: coloro che esercitano un’attività d’impresa ma sono al di sotto delle soglie di fallibilità. Le soglie di fallibilità attuali (art. 2 CCII) prevedono che non è soggetto a fallimento l’imprenditore individuale o società di persone che, nei tre esercizi precedenti la domanda, non abbia superato contemporaneamente i seguenti limiti: attivo patrimoniale annuo > €300.000, ricavi lordi annui > €200.000, debiti totali > €500.000. Chi resta sotto almeno uno di questi parametri in ogni esercizio è “non fallibile” e può accedere al sovraindebitamento (se li supera viene trattato col sistema delle imprese maggiori, es. liquidazione giudiziale, concordato preventivo). Nella pratica, piccoli negozianti, artigiani, ditte individuali di dimensioni ridotte rientrano qui. Va aggiunto che la start-up innovativa (ex art. 25 DL 179/2012) è per definizione esclusa dal fallimento per 5 anni dall’iscrizione speciale, dunque in caso d’insolvenza prima di tale termine può usare le procedure da sovraindebitamento.
- Imprenditori agricoli: tradizionalmente esclusi dal fallimento, gli imprenditori agricoli (coltivatori diretti, aziende agricole, allevatori) anche di grandi dimensioni rientrano tra i soggetti sovraindebitati che possono accedere alle procedure ad hoc.
- Professionisti, lavoratori autonomi e associazioni professionali: anche i titolari di studi professionali (avvocati, commercialisti, architetti, etc.), artisti e autonomi senza organizzazione d’impresa, nonché le associazioni tra professionisti, non sono assoggettabili a fallimento e dunque possono utilizzare queste procedure. Ad esempio, un avvocato indebitato con banche e fisco può proporre un concordato minore o altro rimedio di sovraindebitamento.
- Enti non commerciali e no-profit: fondazioni, associazioni riconosciute e non, ONLUS, associazioni sportive dilettantistiche, condomìni, e in generale enti privati che non hanno per oggetto un’attività d’impresa lucrativa, se sovraindebitati, rientrano nell’alveo di applicazione (non essendo fallibili). Un caso pratico può essere quello di un’associazione culturale con debiti per affitti e fornitori non pagati: potrà accedere a queste procedure.
- Eredi di imprenditore defunto: se una persona eredita i debiti di un imprenditore deceduto e ha accettato con beneficio di inventario, trascorso un anno dalla morte non è più possibile dichiarare fallimento dell’eredità; l’erede con quei debiti potrà utilizzare il sovraindebitamento.
- Soci illimitatamente responsabili: il socio di SNC o di SAS (o accomandatario) è responsabile con patrimonio personale dei debiti sociali. Se la società non fallisce (perché sotto soglia o per altri motivi) oppure dopo la chiusura del fallimento residuano debiti a carico del socio, questi può ricorrere alle procedure di sovraindebitamento per sistemare la propria posizione personale.
In sintesi, tutti i debitori non fallibili (ossia che non rientrano nelle categorie di fallibilità di cui sopra) possono teoricamente accedere. Includiamo quindi quasi chiunque tranne le medie-grandi imprese commerciali e le società con quei requisiti di attivo/ricavi/debiti superiori (le quali devono invece ricorrere alle procedure maggiori come concordato preventivo o liquidazione giudiziale ex fallimento). Ricapitolando i requisiti generali: il debitore deve trovarsi in stato di sovraindebitamento (cioè insolvenza o crisi conclamata), non deve essere fallibile o soggetto ad altre procedure concorsuali (come amministrazione straordinaria, ecc.), e – condizione fondamentale – deve essere un debitore “meritevole”, cioè non deve aver provocato il proprio dissesto con condotte fraudolente o gravemente colpose. Il Codice esclude espressamente l’accesso a chi abbia cagionato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave o frode ai creditori. Ad esempio, un debitore che abbia dissipato patrimonio in gioco d’azzardo patologico o attività speculative potrebbe essere considerato in colpa grave, ma attenzione: la giurisprudenza recente tende a interpretare in modo non eccessivamente restrittivo la meritevolezza, distinguendo l’errore o la leggerezza (che non precludono l’accesso) dalla malafede concreta. La Cassazione ha sottolineato che non esiste una soglia minima di debito da pagare per essere meritevoli: anche piani che soddisfino in misura ridotta i creditori possono andare bene, purché rappresentino il massimo sforzo possibile per il debitore e questi si sia comportato correttamente. Tribunali di merito hanno escluso la “colpa grave” in casi di condotte sì imprudenti ma frutto di buona fede (come indebitamento eccessivo per aiutare familiari, dipendenze patologiche che hanno portato a debiti, ecc.), riconoscendo comunque l’accesso alle procedure in nome del favor debitoris. Naturalmente, se emergeranno frodi (ad es. aver nascosto beni, falsificato i bilanci, distratto attivo) il debitore verrà sanzionato con l’inammissibilità o con la revoca dei benefici. Tra le cause ostative, la legge prevede anche che non può accedere chi ha già ottenuto un’esdebitazione in una procedura di sovraindebitamento nei 5 anni precedenti, o chi ha beneficiato di esdebitazione per due volte in totale nella vita. Ciò per evitare abusi (il debitore seriale che ogni pochi anni azzera i debiti). Un’ulteriore novità del Codice della crisi è la possibilità di procedure familiari congiunte: se più membri della stessa famiglia convivente sono tutti indebitati, possono presentare un unico procedimento di sovraindebitamento in forma coordinata, risparmiando tempi e costi. I requisiti sono che siano conviventi e che le loro posizioni debitorie abbiano un’origine comune (es. marito e moglie garanti l’uno dei debiti dell’altra, o entrambi coinvolti nelle stesse vicende). Questa innovazione evita la frammentazione in più pratiche separate come avveniva in passato.
Ambito oggettivo – debiti compresi ed esclusi: rientrano nel sovraindebitamento tutti i debiti contratti dal soggetto, sia verso creditori privati sia verso enti pubblici. Ad esempio, debiti bancari (mutui, prestiti, carte di credito), debiti verso finanziarie o privati, bollette e utenze non pagate, rate di leasing, multe e sanzioni amministrative, spese condominiali, tributi locali e statali (cartelle esattoriali per tasse, imposte, contributi) – tutto può essere inserito. Anche la cessione del quinto dello stipendio è considerata un debito finanziario come gli altri e può essere inclusa. In sostanza, il debitore deve dichiarare tutte le proprie obbligazioni insolute. Tuttavia, attenzione: non tutti questi debiti potranno poi essere effettivamente cancellati dalla procedura. Alcune categorie di crediti, per espressa previsione normativa, restano esclusi dall’esdebitazione finale. L’art. 278 CCII (riprendendo analoghe previsioni già vigenti) stabilisce che non vengono mai eliminati: a) gli obblighi di mantenimento e gli alimenti dovuti per legge (es. il mantenimento al coniuge separato o ai figli); b) le obbligazioni risarcitorie derivanti da fatti illeciti (cioè i debiti per risarcimento danni causati da illeciti extra-contrattuali, ad es. danni da reato) e c) le sanzioni pecuniarie penali o amministrative che non siano accessorie a debiti estinti. In pratica: se la guardia giurata avesse arretrati di assegni alimentari verso l’ex coniuge o figli, quelle somme non potranno essere semplicemente condonate – dovranno essere pagate, prima o dopo, perché la legge tutela i crediti alimentari; se avesse una multa penale o una sanzione amministrativa (ad es. contravvenzioni stradali non pagate), anche quelle resteranno dovute. Nulla vieta di includerle nel piano di pagamento, ma se non venissero soddisfatte integralmente non verrebbero cancellate dalla procedura, continuando a gravare sul debitore. Invece i debiti ordinari (finanziamenti, bollette, fisco, ecc.) sono potenzialmente esdebitabili: se ne potrà prevedere un pagamento parziale e il resto sarà perdonato con l’omologazione o con l’esdebitazione finale. A scanso di equivoci, precisiamo che anche i debiti fiscali e contributivi rientrano a pieno titolo nel sovraindebitamento: l’Agenzia Entrate Riscossione partecipa come un creditore e i suoi crediti possono subire falcidie e dilazioni all’interno delle procedure (IVA compresa, come vedremo). Ciò rappresenta una differenza rispetto al passato: un tempo alcune imposte (come l’IVA e le ritenute) dovevano essere pagate integralmente nei concordati, pena l’inammissibilità, ma la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo quel divieto e oggi anche l’IVA può essere falcidiata dietro transazione fiscale.
Chiariti i presupposti soggettivi e oggettivi, passiamo ora ad analizzare le diverse procedure previste dalla legge per risolvere il sovraindebitamento. Il Codice della crisi ne contempla quattro principali: (1) la ristrutturazione dei debiti del consumatore (già nota come piano del consumatore), (2) il concordato minore (già accordo di composizione), (3) la liquidazione controllata del sovraindebitato (già liquidazione del patrimonio) e (4) l’esdebitazione del debitore incapiente (introdotta ex novo). Vediamole singolarmente in dettaglio.
Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento
1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore)
Questa è la procedura disegnata su misura per i debitori consumatori, come la nostra guardia giurata dell’esempio. Si tratta di presentare al Tribunale un piano di pagamento dei propri debiti che sia sostenibile rispetto al reddito e al patrimonio disponibile del debitore. La caratteristica fondamentale è che non richiede l’accordo dei creditori: diversamente da un concordato, il piano del consumatore può essere omologato dal giudice anche se i creditori sono contrari, purché il piano rispetti i requisiti di legge. In altri termini, il consumatore sovraindebitato – con l’ausilio obbligatorio di un organismo di composizione della crisi (OCC) – elabora una proposta unilaterale di ristrutturazione dei debiti indicando tempi e modi per superare la crisi, e la sottopone al vaglio giudiziale.
Chi può accedervi: solo il debitore persona fisica consumatore può utilizzare questa procedura. Ciò implica che l’indebitamento deve riguardare ambiti personali/familiari. Come già spiegato, se il soggetto ha anche debiti derivanti da una cessata attività d’impresa, può comunque utilizzare il piano consumatore includendoli, mentre se è un imprenditore attivo no. Il consumatore deve essere meritevole (assenza di dolo o colpa grave) e non aver già goduto di esdebitazione recentemente. Tali condizioni di ammissibilità – assenza di frodi, di procedure abusate in passato, ecc. – verranno verificate dal giudice prima di entrare nel merito del piano. Va rilevato che il Correttivo Ter 2024 ha eliminato un passaggio che esisteva: prima, nella L.3/2012, il giudice fissava un’udienza solo dopo aver valutato la fattibilità; ora, nel Codice, la domanda di piano viene subito esaminata per l’ammissibilità e se supera il vaglio, il giudice dispone immediatamente le pubblicazioni di rito e le comunicazioni ai creditori. Ciò rende più rapido l’iter. Inoltre, su istanza del debitore nella domanda introduttiva, il giudice può emettere misure protettive già all’inizio: sospensione delle esecuzioni in corso e divieto di iniziarne di nuove contro il patrimonio del debitore fino alla conclusione del procedimento. Queste misure, che devono essere espressamente richieste dal debitore (a differenza del passato, in cui talora scattavano in automatico), servono a “congelare” la situazione: ad esempio bloccare un pignoramento dello stipendio già attivo o una procedura d’asta in corso sulla casa, così da permettere che il piano venga valutato senza il depauperamento continuo del patrimonio. Nel fare ciò il giudice può anche vietare al debitore di compiere atti di straordinaria amministrazione sui propri beni nel frattempo, salvo autorizzazione, per evitare che svenda o occulti risorse. Se emergono atti di frode, la protezione può essere revocata. Dunque, una volta presentato un piano del consumatore ben documentato, il debitore può ottenere una boccata d’ossigeno: si sospendono le pressioni dei creditori e lui stesso si impegna a non peggiorare la situazione.
Contenuto del piano: la legge dà ampia libertà su come strutturare il piano di pagamento. Non vi sono percentuali minime imposte: il debitore può proporre il soddisfacimento parziale e non integrale dei crediti, anche in misura differenziata tra creditori, purché motivato. Si possono prevedere dilazioni (pagamenti rateali in un certo numero di anni), falcidie (riduzioni) di alcuni debiti, stralcio totale di interessi o sanzioni, e così via. Ad esempio, se la guardia giurata ha cinque finanziarie creditrici, potrebbe proporre di pagarle al 20% in 4 anni, motivando che quello è il massimo consentito dal suo stipendio al netto delle spese vitali. Non c’è bisogno del voto dei creditori su questa proposta, ma essi hanno diritto di presentare osservazioni e contestazioni al giudice (tramite l’OCC) entro 20 giorni dal deposito della proposta. In particolare, i creditori possono eccepire l’inammissibilità (se pensano manchino requisiti) e soprattutto possono contestare la convenienza del piano rispetto a una ipotetica liquidazione: il giudice infatti, se un creditore si oppone perché ritiene di ricavare troppo poco, deve verificare che quel creditore non prenderebbe comunque di più nell’alternativa liquidatoria. Se il piano offre ai creditori almeno quanto otterrebbero vendendo i beni del debitore, allora è considerato conveniente. Inoltre, come accennato, i creditori “colpevoli” (che hanno aggravato il sovraindebitamento concedendo credito facile) non potranno neppure contestare la convenienza per legge. Il giudice, valutata la fattibilità del piano (ad es. controlla che le entrate previste siano certe, che eventuali garanti siano affidabili, ecc.) e la meritevolezza del debitore, procede all’omologazione con sentenza (oggi l’omologa del piano avviene con sentenza, non più con decreto come in passato). L’omologazione rende il piano vincolante per tutti i creditori anteriori. Ciò significa che eventuali creditori dissenzienti sono comunque obbligati ad accettare quanto il piano stabilisce per loro, perdendo la parte eccedente del credito. Durante l’esecuzione del piano, che è affidata allo stesso debitore sotto la vigilanza dell’OCC (non viene più nominato un liquidatore esterno come era nella vecchia legge), il debitore dovrà attenersi rigorosamente ai pagamenti e agli atti previsti. Ad esempio, se il piano prevede la vendita di un’automobile o di un immobile, dovrà procedere a farlo nei tempi previsti e destinare il ricavato ai creditori come stabilito. Ogni sei mesi l’OCC relaziona al giudice sull’andamento dell’esecuzione. Una volta completato tutto il piano (es. tutte le rate pagate, i beni eventualmente liquidati, ecc.), l’OCC presenta un’ultima relazione finale al giudice attestando il corretto adempimento. A quel punto, il giudice certifica l’adempimento del piano e dichiara l’esdebitazione del debitore, ossia la sua liberazione da tutti i debiti residui concorsuali non pagati. Da notare: l’esdebitazione nel piano del consumatore consegue al regolare adempimento integrale del piano; se il debitore non riesce a eseguire il piano, rischia la revoca dell’omologazione e la perdita del beneficio (oltre eventualmente alla conversione in liquidazione controllata). Il Codice ha ridotto a 6 mesi (dalla chiusura del piano) il termine entro cui i creditori possono chiedere la revoca per inadempimento o frode, snellendo la fase post-omologa. In caso di revoca, il giudice, su istanza del debitore o anche su richiesta dei creditori o del PM in caso di frode, dichiara aperta la procedura di liquidazione controllata per disporre comunque la vendita dei beni e un diverso soddisfacimento. Questo è importante: se un piano non va a buon fine, non si torna allo scenario caotico pregresso, ma c’è un paracadute nella liquidazione (come vedremo).
Vantaggi del piano del consumatore: il maggior vantaggio è la mancata necessità di consenso dei creditori – la spinta propulsiva sta tutta nella proposta del debitore e nella valutazione del giudice. Questo consente di superare eventuali atteggiamenti ostruzionistici di singoli creditori. Inoltre, il piano è estremamente flessibile: può prevedere ad esempio la continuazione di mutui o leasing in essere (se il debitore vuole mantenere un bene e può pagare quelle rate), oppure il taglio di determinati crediti chirografari fino a zero (stralcio totale), purché il piano nel complesso offra il massimo ai creditori. Si può anche discriminare tra creditori in base alle cause del debito o alle garanzie: ad esempio, nulla vieta di offrire il pagamento integrale di un debito alimentare (non esdebitabile) e il 30% ai finanziamenti personali, giustificando che la legge stessa tutela maggiormente il primo tipo. Un altro vantaggio notevole inserito nel CCII è la possibilità di moratoria fino a 2 anni sui crediti privilegiati: il piano può prevedere che, per i primi due anni dall’omologazione, il debitore pagherà solo i creditori chirografari, mentre l’eventuale pagamento di crediti privilegiati (es. ipoteca sulla casa, privilegio su stipendio) inizi o riprenda dopo un biennio. Ciò consente di dare respiro iniziale e magari accumulare somme da offrire. Sempre in tema di privilegiati, il piano può ridurre l’importo dovuto a essi purché sia garantito che non prendano meno di quanto ricaverebbero dalla vendita forzata del bene su cui hanno garanzia. Ad esempio, se c’è un mutuo residuo di 100.000 € su una casa che, venduta, darebbe 80.000 € al creditore ipotecario, il piano può proporre di pagare 80.000 (anche rateizzati) anziché 100.000, falcidiando la parte eccedente – questo è ora lecito. Un ulteriore aspetto pratico: la cessione del quinto già in corso sullo stipendio del debitore viene sospesa con l’apertura della procedura e il piano può prevedere di non onorare integralmente quel debito residuo. In altri termini, l’istituto finanziatore che aveva il quinto in busta paga verrà trattato come un creditore qualsiasi nel piano e potrà vedersi ridurre l’importo dovuto; nel frattempo la trattenuta stipendiale si interrompe, liberando liquidità mensile per il debitore (che infatti userà quelle somme per pagare equamente tutti i creditori secondo il piano). Ciò è un enorme sollievo per molti debitori: ad esempio Luigi, la guardia giurata di cui si diceva, grazie al procedimento ex L.3/2012 (oggi piano del consumatore) ha bloccato la cessione del quinto e offerto ai creditori un pagamento mensile proporzionato alle sue possibilità. Nella sua proposta, Luigi con l’aiuto dell’OCC di Protezione Sociale Italiana ha messo sul piatto 355 € al mese per 36 mesi (sottraibili dal suo stipendio di ~1.570 €) più il ricavato dalla vendita della sua auto usata (€3.500) e perfino €50.000 dalla liquidazione anticipata del suo fondo pensione. Questa soluzione – denominata tecnicamente liquidazione controllata ma in pratica concordata come un piano – è stata omologata dal Tribunale di Roma nel 2023, consentendogli di ottenere l’esdebitazione dopo 3 anni. Al termine, Luigi vedrà cancellati circa €126.000 di debiti residui e perfino la segnalazione di “cattivo pagatore” sarà rimossa dalle centrali creditizie pubbliche e private, potendo così ricostruirsi una reputazione finanziaria. Questo esempio reale mostra il potente effetto del piano (o liquidazione) per il consumatore: blocca i pignoramenti, riduce drasticamente l’ammontare dovuto e, dopo l’esecuzione, cancella i debiti residui dal suo “foglio di vita civile”.
Svantaggi e considerazioni: il piano del consumatore richiede comunque che il debitore abbia una capacità di pagamento, seppur limitata. Se il soggetto è totalmente privo di reddito e beni, non potrà offrire nulla ai creditori e quindi non riuscirebbe a formulare un piano minimamente fattibile. In tal caso dovrà eventualmente ricorrere alla procedura di esdebitazione dell’incapiente (di cui al punto 4). Inoltre, il piano deve superare il giudizio di fattibilità: promesse irrealistiche (es. “pagherò 300 €/mese per 10 anni” senza base certa di reddito futuro) verranno rigettate dal giudice. È fondamentale quindi predisporre un piano credibile, magari con l’aiuto di un avvocato esperto e dell’OCC che valuta la situazione. Un altro limite è che il piano non consente, di per sé, la continuazione di un’attività d’impresa: se il debitore ha un’azienda avviata e vuole salvarla, potrebbe preferire il concordato minore in cui è ammessa la continuità aziendale. Il piano del consumatore è più orientato a chi ha entrate fisse (stipendi, pensioni) e un indebitamento prettamente personale. Infine, va tenuto presente che l’omologazione del piano viene pubblicata su un’area web dedicata del tribunale o Ministero e comporta una certa pubblicità della situazione, anche se questo aspetto è inevitabile per qualsiasi procedura concorsuale (ed è comunque più discreto rispetto a un fallimento, coinvolgendo solo registri elettronici accessibili agli interessati).
2. Concordato minore (ex accordo di composizione)
Il concordato minore è la procedura parallela pensata per i debitori non consumatori, ossia imprenditori minori, professionisti, start-up, ecc., che rientrano nel sovraindebitamento. In realtà, anche un consumatore potrebbe teoricamente proporre un concordato minore, ma in genere non conviene perché questo richiede il voto dei creditori. La logica del concordato minore è simile a un concordato preventivo semplificato: il debitore propone un accordo ai creditori presentando un piano di ristrutturazione con pagamenti parziali o dilazionati, e tale accordo diviene effettivo solo se approvato dalla maggioranza dei creditori stessi. La maggioranza richiesta è per valore di crediti ammessi al voto: servono voti favorevoli di creditori che rappresentino oltre il 50% dei crediti (esclusi eventuali crediti che non hanno diritto di voto). Se la maggioranza vota sì, il concordato viene omologato dal tribunale ed estende i suoi effetti anche ai creditori dissenzienti minoritari; se la maggioranza dice no, la proposta non può essere omologata (salvo alcune eccezioni di cram-down fiscale per crediti erariali, vedi infra).
Ambito soggettivo: come detto, questa procedura è rivolta tipicamente all’imprenditore sotto-soglia, all’imprenditore agricolo o al professionista che voglia ristrutturare i debiti e, se possibile, continuare l’attività. Il CCII distingue due sottotipologie: se è prevista la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale, il concordato minore può essere in continuità e non richiede necessariamente il contributo di risorse esterne aggiuntive; se invece cessa l’attività, il debitore deve apportare al concordato risorse esterne (denaro nuovo, apporti di terzi) che aumentino in misura apprezzabile il ritorno ai creditori rispetto a una liquidazione. Questo per evitare che il concordato “liquidatorio” sia meno vantaggioso di una liquidazione controllata. In ogni caso, anche qui è obbligatorio farsi assistere da un OCC e presentare tutta la documentazione attestante la situazione economica, con relazione particolareggiata.
Contenuto della proposta: analogo al piano del consumatore, con la differenza del voto. Il debitore prepara un piano che può prevedere qualsiasi forma di soddisfacimento dei creditori, anche diversificata per classi (si potrebbero dividere i creditori in classi con trattamenti differenziati, ad es. distinguere fornitori chirografari, banche ipotecarie, Fisco, ecc.), e lo sottopone al voto. Per facilitare l’approvazione, spesso si cerca di rendere la proposta accettabile: ad esempio offrire una certa percentuale minima uguale per tutti i chirografari, o garantire una parte con l’intervento di un terzo garante. Il concordato minore non richiede l’unanimità, basta la maggioranza semplice del 50%+1 in valore. Ciò significa che può “imporre” la soluzione anche ai creditori dissenzienti purché la maggior parte sia d’accordo. I creditori possono votare per iscritto (con PEC) o in adunanza convocata dall’OCC; se non votano si considera voto negativo (silenzio = dissenso, salvo eccezioni). Dopo il voto, il tribunale controlla legalità e fattibilità ed omologa l’accordo rendendolo vincolante erga omnes. Se invece il voto manca o è negativo, il tribunale dichiara il fallimento (pardon, la liquidazione giudiziale) se il debitore sarebbe fallibile, oppure, se non fallibile, può aprire d’ufficio la liquidazione controllata in alternativa.
Vantaggi del concordato minore: rispetto al piano del consumatore, qui il debitore può coinvolgere attivamente i creditori cercando consensi. Se la relazione con i creditori è collaborativa, il concordato può portare a soluzioni flessibili: ad esempio i creditori possono accettare di acquisire partecipazioni societarie al posto dei crediti, o concordare operazioni sul capitale dell’azienda. Inoltre è espressamente contemplata la continuità aziendale: il piccolo imprenditore può continuare a gestire la sua impresa durante e dopo il concordato, mantenendo i beni produttivi e i contratti essenziali, cosa utile se l’obiettivo è evitare la chiusura dell’attività. Un ulteriore vantaggio è la possibilità di effettuare la transazione fiscale nell’ambito del concordato: i debiti fiscali e previdenziali possono essere trattati con uno specifico accordo che ne prevede la falcidia (riduzione) e/o il pagamento dilazionato, e tale accordo – se il Fisco non approva – può comunque essere omologato dal giudice se il trattamento offerto è non inferiore a quello che il Fisco otterrebbe altrimenti. Questo meccanismo di cram-down fiscale (introdotto nel 2021 e confermato dal CCII) consente ad esempio di ridurre l’IVA e le ritenute nel concordato minore, superando il vecchio veto dell’Erario. Quindi, benché serva il voto dei creditori privati, per i crediti pubblici c’è un margine di imposizione giudiziale della proposta equa.
Svantaggi: il punto debole è evidente – serve una maggioranza di creditori favorevoli. Se il debitore ha pochi creditori ma uno molto grande che da solo supera il 50% ed è ostile, il concordato minore rischia di fallire. In questi casi il piano del consumatore (se fosse persona fisica) sarebbe preferibile. Inoltre, la procedura di voto può richiedere tempo e mediazione. Il debitore deve convincere i creditori della bontà della proposta, magari fornendo garanzie aggiuntive. Vi è poi maggiore formalismo: se la maggioranza non si raggiunge, l’accordo non nasce proprio. Questo crea incertezza sull’esito. Anche qui, comunque, come estrema ratio rimane la liquidazione controllata. Un altro aspetto: il concordato minore non consente di coinvolgere crediti personali del debitore se questi è imprenditore? In realtà, la distinzione tra debiti personali e aziendali non è più così rigida: se il debitore è un’imprenditore individuale, tutti i suoi debiti sono comunque personali (l’azienda non ha distinta personalità). Se invece è socio illimitatamente responsabile, l’accordo riguarderà i debiti sociali e quelli personali insieme se necessario. Quindi il perimetro è flessibile. Riguardo l’esdebitazione: anche nel concordato minore, a valle dell’esecuzione integrale dell’accordo omologato, il debitore avrà diritto all’esdebitazione dei debiti residui analogamente al consumatore. In caso di inadempimento, i creditori potranno chiederne la risoluzione e nuovamente si potrà sfociare in liquidazione.
In sintesi, il concordato minore è la via maestra per piccoli imprenditori e professionisti in crisi che puntino a un accordo condiviso, magari per continuare l’attività. Richiede abilità negoziale e spesso l’assistenza di advisor e OCC per predisporre un piano convincente. Se invece l’attività è ormai compromessa o cessata e non c’è speranza di pagare granché, potrebbe essere preferibile passare direttamente alla liquidazione controllata.
3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)
Questa procedura è in pratica l’equivalente del fallimento (liquidazione giudiziale) però applicabile ai soggetti non fallibili. Vi può accedere sia il consumatore sia l’imprenditore minore sovraindebitato. Si tratta di mettere a disposizione tutto il patrimonio disponibile del debitore per soddisfare i creditori, sotto la supervisione di un liquidatore nominato dal tribunale. In cambio di questo “sacrificio” patrimoniale, il debitore potrà ottenere l’esdebitazione alla fine della procedura anche se i creditori ricevono solo una parte dei loro crediti. È dunque uno strumento potente per chi è in situazione gravissima, senza possibilità di proporre un piano sostenibile. Si ricorre alla liquidazione controllata ad esempio quando il debitore non ha entrate capienti e possiede magari solo alcuni beni liquidabili, oppure quando le altre procedure (piano o concordato) falliscono o non sono praticabili. Anche i creditori possono chiedere l’apertura della liquidazione controllata (un po’ come accade per il fallimento su istanza dei creditori), ma in tal caso il debitore può opporsi proponendo in extremis una soluzione alternativa.
Caratteristiche principali: il debitore (o il creditore istante) chiede al tribunale di aprire la procedura di liquidazione indicando l’elenco dei beni del debitore. Il tribunale, verificati i requisiti, nomina un gestore della crisi o direttamente un liquidatore e dispone l’apertura della procedura con sentenza (pubblicata e comunicata). Da quel momento, il patrimonio del debitore diviene vincolato: non può essere liberamente disposto dal debitore, e gli atti di disposizione non autorizzati sono inefficaci. Vengono sospese tutte le azioni esecutive individuali (i pignoramenti in corso decadono) e i creditori possono far valere le proprie ragioni solo nello stato passivo della liquidazione, presentando domanda di insinuazione. Il liquidatore (soggetto nominato dal giudice, spesso un professionista esperto in crisi) provvede a raccogliere l’attivo: può vendere i beni immobili e mobili del debitore, riscuotere crediti, sciogliere contratti in corso se opportuno, ecc., analogamente a quanto avviene in un fallimento. Egli redige un piano di liquidazione che viene comunicato ai creditori. I crediti sono soddisfatti secondo l’ordine delle cause legittime di prelazione (prima i creditori privilegiati sui beni venduti, poi eventualmente quelli chirografari in riparto proporzionale). Di solito, per un consumatore, i beni liquidabili possono essere: immobili di proprietà (es. la casa, salvo che abbia vincoli di impignorabilità come prima casa per debiti fiscali sotto soglia – ma in sede concorsuale, quel limite non vale e la casa può essere venduta in liquidazione volontaria, attenzione), autoveicoli, saldi di conto, eventuali TFR maturati, beni di lusso, ecc. Sono protetti dalla liquidazione (come dalla normale esecuzione) i beni di stretta necessità: ad esempio i beni di uso personale e della casa entro il limite di decoro, eventuali stipendi/pensioni per la parte impignorabile, e in generale tutto ciò che la legge già esclude dal pignoramento (abbiamo visto prima le tutele sul minimo vitale). Il liquidatore quindi non potrà ad esempio privare il debitore dei suoi vestiti o degli arredi essenziali, ma potrà vendere quelli di valore o non essenziali. Se il debitore svolge un’attività lavorativa, dovrà continuare a destinare una parte del reddito ai creditori durante la procedura: tipicamente, la quota pignorabile del reddito (il famoso quinto, salvo diverse determinazioni) viene assegnata alla massa attiva per i riparti. Nel caso di Luigi, ad esempio, con la liquidazione controllata omologata dal Tribunale, egli si è impegnato a versare €355 mensili (circa il 22% del suo stipendio) per 36 mesi alla procedura. Questo contributo dai redditi futuri è frequente nelle liquidazioni dei consumatori e serve ad accrescere l’attivo in mancanza di beni sufficienti.
Durata della procedura: una grande innovazione del Codice della crisi è aver limitato la durata della liquidazione. Ora, l’art. 270 CCII prevede che la liquidazione controllata deve chiudersi entro 3 anni dall’apertura (salvo proroghe giustificate). In passato, con la L.3/2012, una liquidazione del patrimonio poteva durare fino a 4 anni solo come periodo di osservazione per l’esdebitazione, e in pratica restava aperta finché tutti i beni non fossero venduti, anche 5-6 anni. Oggi c’è la tendenza a chiudere in 3 anni: ciò significa che se anche non tutti i beni sono liquidati in tale termine, il giudice può chiudere ugualmente la procedura distribuendo il realizzato fino a quel punto e stabilendo il resto (eventuali beni invenduti) come non liquidato. Questo limite temporale certo è pensato per favorire il debitore, evitandogli di rimanere troppo a lungo “bloccato”. Durante questi anni, la vita economica del debitore è sotto supervisione: ogni nuovo debito eventualmente contratto dopo l’apertura della liquidazione rimane fuori (ma il debitore dovrebbe astenersi dal contrarne, se non per necessità correnti), e i beni sopravvenuti durante la procedura possono in taluni casi essere presi (se ad es. vince alla lotteria durante la liquidazione, quel denaro affluirebbe all’attivo, salvo forse l’ordinario incremento di stipendio). Al debitore è richiesto di collaborare lealmente: deve fornire tutte le informazioni, consegnare documenti, segnalare eventuali mutamenti (cambio lavoro, eredità ricevute, ecc.). L’inadempimento dei doveri o l’occultamento di attivo può portare a sanzioni penali e a perdere l’esdebitazione.
Esdebitazione nella liquidazione: al termine della procedura (entro i 3 anni, come detto), il liquidatore presenta il rendiconto finale e il piano di riparto conclusivo. Il giudice emette decreto di chiusura e contestualmente – se il debitore ha cooperato e non ci sono cause ostative – dichiara l’esdebitazione, cioè che il debitore è liberato da tutti i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. La differenza rispetto a prima è che ora l’esdebitazione è pressoché automatica, non richiede un’apposita istanza del debitore: viene pronunciata d’ufficio nel contesto della chiusura (salvo opposizione di eventuali creditori per comportamenti scorretti). Al momento dell’esdebitazione, il debitore torna ad essere solvibile e i debiti pregressi si cancellano, a eccezione – come detto – di quelli esclusi per legge (alimenti, risarcimenti da illecito e sanzioni) che se non pagati integralmente restano a suo carico anche dopo. Per il resto, tutti i creditori chirografari e anche quelli privilegiati eventualmente non soddisfatti integralmente non potranno più pretendere nulla dal debitore. Viene meno anche lo status di protestato o cattivo pagatore legato a quei debiti: l’esdebitazione infatti estingue il debito civilisticamente e consente al debitore di essere riabilitato finanziariamente. La sentenza di Roma sul caso di Luigi specificava proprio che egli otterrà la cancellazione da tutte le banche dati dei debitori insolventi dopo i 3 anni e l’esdebitazione.
Debitore incapiente: un caso particolare di liquidazione/esdebitazione merita menzione – quello del debitore che non ha nulla da liquidare. Può sembrare paradossale, ma il Codice ha introdotto una norma per cui anche chi non ha beni né redditi disponibili può comunque essere esdebitato, ossia liberato dai debiti, subito. È la procedura di esdebitazione del debitore incapiente (di cui al prossimo paragrafo). Questa figura si collega alla liquidazione controllata perché, di fatto, è come una liquidazione in cui non c’è attivo da liquidare. Il debitore persona fisica meritevole può chiedere direttamente di essere esdebitato pur non offrendo alcuna utilità ai creditori, se davvero non è in grado di dare nulla neppure in futuro. Il beneficio però è concesso una sola volta nella vita e con una condizione risolutiva: se entro 4 anni dalla concessione dell’esdebitazione sopravvengono utilità rilevanti (ad es. un’eredità consistente, una vincita) tali da permettere di pagare almeno il 10% dei vecchi debiti, allora il debitore è obbligato a pagare fino a quel 10%, pena la revoca del beneficio. Questa norma – calibrata per evitare furbizie – rappresenta comunque un’ancora di salvezza estrema: pensiamo a chi, dopo aver perso tutto, resti con debiti altissimi e nessun reddito (ad esempio una guardia giurata che venga licenziata, non trovi nuovo impiego e abbia debiti pregressi). Prima sarebbe rimasto insolventemente ostaggio dei creditori a vita; ora può perlomeno chiedere al giudice di essere “perdonato” dai debiti, sancendo la sua inesigibilità definitiva. Nel prosieguo dedicheremo un paragrafo a questa esdebitazione senza utilità.
Confronto con le altre procedure: la liquidazione controllata ha il pregio di non richiedere né il voto dei creditori (parte immediatamente su richiesta), né che il debitore disponga di redditi per pagarli. Si adatta alle situazioni di dissesto più gravi. Di contro, comporta la perdita tendenzialmente di tutto il patrimonio disponibile del debitore. Se questi possiede beni di valore affettivo (es. la casa di famiglia) rischia di dovervi rinunciare perché liquidati a beneficio del ceto creditorio. Talvolta è possibile, con accordi su base volontaria, evitare la vendita di alcuni beni: ad esempio, i creditori potrebbero acconsentire che il debitore mantenga la prima casa se ciò non intacca le loro prospettive (magari perché la casa è già gravata da ipoteca e il suo valore eccede di poco il mutuo residuo, quindi inutile vendere). Ma formalmente, nella liquidazione, tutti i beni vanno liquidati, salvo quelli impignorabili o se il giudice esclude beni di minima importanza dal realizzo (possibile per ragioni di economicità). Il debitore comunque può concordare col liquidatore modalità di realizzo meno traumatiche – ad esempio vendere lui stesso un immobile per conto della procedura per spuntare un prezzo migliore rispetto all’asta. Inoltre, a differenza del fallimento tradizionale (dove il fallito subiva anche limitazioni personali, come l’incapacità di esercitare attività commerciali per un periodo), nella liquidazione controllata non ci sono stati di incapacità personale: il debitore conserva la capacità di agire, pur con le limitazioni patrimoniali menzionate. Può continuare a lavorare, percepire redditi (al netto della quota destinata ai creditori) e condurre la sua vita quotidiana. In più, la breve durata (3 anni) riduce l’impatto temporale.
Va notato che la liquidazione controllata può essere avviata anche come conversione di un piano o concordato non ammessi o non omologati. Ad esempio, se un piano del consumatore viene respinto perché il debitore era in malafede, il giudice su istanza del debitore stesso può dichiarare aperta subito la liquidazione, così almeno i creditori otterranno qualcosa dalla vendita dei beni senza ulteriori iniziative esecutive scoordinate. Oppure se un concordato minore non raggiunge il voto, il debitore può chiedere in quella sede la conversione in liquidazione. Questo meccanismo di “scala di riserva” fa sì che, in ogni caso, una soluzione esista sempre.
In definitiva, la liquidazione controllata è spesso l’ultima spiaggia ma anche la più sicura in termini di esito: non dipende dal consenso altrui, porta comunque al risultato finale dell’esdebitazione (salvo frodi) e chiude ogni partita. È l’opzione preferibile quando il debitore è solvente solo nei beni ma non nel reddito (cioè quando si tratta di tirare una riga e ripartire da zero, vendendo il vendibile). Molti casi di successo si registrano in giurisprudenza: ex piccoli imprenditori che hanno azzerato centinaia di migliaia di euro di debiti liberandosi dopo la liquidazione, famiglie sovraindebitate che hanno sacrificato qualche bene ma poi ottenuto la cancellazione dei debiti, e così via.
4. Esdebitazione del debitore incapiente (senza utilità)
Questa procedura merita un approfondimento a sé stante perché introdotta solo di recente e indirizzata a un caso particolare: il debitore persona fisica meritevole che non è in grado di offrire alcuna utilità ai creditori nemmeno in futuro. In parole semplici, chi è totalmente nullatenente o comunque privo di beni liquidabili e senza reddito disponibile, ma ha una montagna di debiti pregressi, può chiedere al tribunale di essere esdebitato subito, senza dover passare per un piano o per una liquidazione (che sarebbero procedure vuote). Questa è la cosiddetta “esdebitazione dell’incapiente” o esdebitazione senza utilità, regolata dall’art. 283 CCII. Si tratta di un beneficio eccezionale, attivabile solo una volta nella vita per ciascun debitore, proprio a evitare che uno faccia il furbo dichiarandosi nullatenente a ripetizione. Inoltre è precluso a chi ha anche una minima capacità di pagamento: la norma richiede la totale assenza di utilità dirette o indirette per i creditori.
Procedura: il debitore presenta un’istanza al tribunale (anche qui con l’ausilio dell’OCC preferibilmente) dichiarando la propria insolvenza e la mancanza assoluta di attivo. Deve allegare tutta la documentazione attestante la sua situazione patrimoniale (es. stato di famiglia, conto corrente con saldo esiguo, attestazione che non possiede immobili né auto di valore, ecc.), un elenco dei creditori e l’indicazione delle cause che lo hanno portato all’insolvenza. Il tribunale fissa udienza e sente eventualmente i creditori (che potrebbero contestare la veridicità dell’assenza di beni). Se ritiene soddisfatte le condizioni – in particolare accerta la meritevolezza del debitore incapiente e la completezza delle informazioni – omologa il provvedimento di esdebitazione. L’effetto è l’immediata liberazione del debitore da tutti i debiti chirografari pregressi. In pratica, si ha un’esdebitazione senza pagamenti: una remissione ex lege dei debiti. Questo strumento realizza un principio di civiltà giuridica: evitare che persone completamente rovinate restino per sempre schiacciate da debiti che mai potranno pagare, divenendo emarginate economicamente. Meglio riportarle a zero e dar loro la chance di reinserirsi nell’economia legale (anche per evitare fenomeni di lavoro nero o usura). Va però ribadito: è un condono ad personam circoscritto, con condizioni rigorose.
Condizioni e limiti: l’incapiente deve essere persona fisica (quindi non vale per società o enti, che se non hanno attivo semplicemente verranno liquidati e chiusi) ed avere i requisiti soggettivi generali (non procedure recenti, niente frodi, ecc.). Inoltre non deve proprio possedere nulla di apprezzabile: se ha anche solo un piccolo bene vendibile, la strada corretta sarebbe la liquidazione controllata (dove quel bene si liquida, e poi si esdebita). L’esdebitazione incapiente è per chi non raggiunge neanche i minimi per aprire una liquidazione. Un parametro di riferimento potrebbe essere: debiti magari di decine di migliaia di euro, ma patrimonio quasi zero (a parte magari mobilio di casa, beni di stretta necessità) e reddito al di sotto della soglia di pignorabilità (es. disoccupato, o reddito pari solo a pensione sociale). Se c’è un reddito pignorabile, i creditori avrebbero comunque diritto al quinto: in tal caso si opterebbe per una liquidazione di 3 anni in cui quel quinto viene preso, non per l’esdebitazione immediata. Dunque, l’incapienza va interpretata in senso sostanziale: nessuna utilità nemmeno prospettica può venire ai creditori. L’OCC nella sua relazione dovrà dichiarare che il debitore non può offrire nulla ora né prevedibilmente nel prossimo futuro (12 mesi successivi, ad esempio). Se poi invece il debitore mente o nasconde attivo, commette reato e rischia la revoca del beneficio. La legge infatti pone la condizione risolutiva di 4 anni: se entro quattro anni dal decreto di esdebitazione l’incapiente “baciato dalla fortuna” dovesse entrare in possesso di risorse rilevanti (tali da permettere di pagare almeno il 10% dei vecchi debiti), allora dovrà informare i creditori e pagare loro spontaneamente fino a quel 10%. Se non lo fa, i creditori possono chiedere la revoca dell’esdebitazione e tornare a pretendergli tutto. Questa clausola serve a bilanciare equità e clemenza: se proprio uno torna benestante poco dopo essere stato graziato, è giusto che versi almeno qualcosina ai vecchi creditori (non tutto, ma almeno il 10%). Se entro 4 anni non accade nulla di simile, l’esdebitazione diventa definitiva e irrevocabile.
Effetti: ottenuta l’esdebitazione incapiente, il debitore è libero dai debiti passati (fatte salve le solite eccezioni: alimenti, danni da illecito e sanzioni che restano comunque, ma se era nullatenente è probabile che non avesse nemmeno questi o che comunque anche quelli restino inesigibili, ma formalmente non cancellati). Potrà riprendere ad operare senza timore di azioni esecutive su di sé per quei debiti. Questo gli consente di lavorare in regola, aprire magari un conto (che non verrà più pignorato per quei debiti pregressi), ecc. Dal punto di vista reputazionale, è ovvio che difficilmente otterrà credito nel breve termine, ma almeno non sarà assillato dai recuperi.
Relazione con le altre procedure: l’esdebitazione incapiente è stata pensata soprattutto per chi non può accedere proficuamente alle altre procedure. Non è necessario passare prima per la liquidazione controllata se già si sa che non c’è nulla da liquidare. Tuttavia, il debitore potrebbe voler comunque attivare una procedura di liquidazione anche senza beni, ad esempio per far emergere formalmente in un processo l’insinuazione dei crediti e poi farsi esdebitare. La giurisprudenza ha discusso se un debitore senza beni possa aprire comunque una liquidazione controllata “di comodo” per ottenere poi l’esdebitazione standard: alcune corti hanno dubitato dell’ammissibilità di una liquidazione a carico di chi è assolutamente incapiente (che senso avrebbe nominare un liquidatore senza nulla da liquidare? Si rischia di gravare il tribunale inutilmente). Proprio per questo il legislatore ha introdotto la via diretta dell’esdebitazione incapiente, così da non ingolfare le procedure con casi simili e dare subito risposta. È importante sapere che se un debitore incapiente chiede questa esdebitazione ma il giudice rileva che in realtà qualcosa da liquidare ci sarebbe, può convertire l’istanza in una liquidazione controllata normale (in cui poi a fine triennio l’esdebitazione arriverà). Ad esempio, se Caio chiede esdebitazione incapiente ma si scopre che è beneficiario di una piccola quota di eredità futura, il giudice potrebbe preferire aprire una liquidazione per gestire quell’asset potenziale. Il confine può essere sottile e dipende molto dalla valutazione del caso concreto e dalla meritevolezza: questa procedura, essendo “a fondo perduto” per i creditori, verrà concessa solo a debitori davvero sfortunati e onesti.
Conclusione su questa procedura: è l’ultima risorsa, destinata a chi sarebbe altrimenti condannato all’irregolarità perenne. Non riguarda la nostra guardia giurata tipo (che un reddito ce l’ha e infatti può attivare un piano o liquidazione ordinaria), ma potrebbe riguardare altri (p.es. un ex guardia giurata rimasta disoccupata, senza TFR e con debiti contratti magari per spese mediche). Costoro non vanno dimenticati: il sistema li ha ora inclusi con questa previsione, ispirata a principi di umanità giuridica.
Effetti delle procedure sul debitore e sul suo patrimonio
Dopo aver illustrato le varie procedure disponibili, riassumiamo qui gli effetti pratici che esse producono sulla vita del debitore sovraindebitato, in particolare dal punto di vista del debitore medesimo (la guardia giurata del nostro esempio), evidenziando ciò che cambia rispetto alla situazione iniziale.
- Sospensione delle azioni esecutive: in tutte le procedure di composizione della crisi, una volta avviato il percorso e ottenuti i provvedimenti di apertura o di ammissione, i creditori non possono più procedere individualmente contro il debitore. Questo è cruciale. Significa che, se prima dell’istanza magari c’era un pignoramento dello stipendio in corso, il giudice – su richiesta – ne dispone la sospensione. Se c’era un’asta sulla casa fissata, viene sospesa e poi eventualmente revocata se il piano va a buon fine. La legge parla di misure protettive e automatic stay: si tutela la par condicio e si evita che un creditore singolo pignori tutto a danno degli altri e del piano. Dunque il debitore tira un sospiro di sollievo: i pagamenti ai creditori avverranno secondo il piano o il concordato, non più in modo caotico e angosciante. Un caso particolare è la cessione del quinto: come accennato, la trattenuta su stipendio derivante da precedenti contratti di cessione viene bloccata perché considerata alla stregua di un’azione esecutiva in corso. La somma che prima veniva decurtata in busta paga resta così nella disponibilità del debitore (o meglio, entra nella massa attiva della procedura per essere distribuita equamente).
- Gestione del patrimonio: nelle procedure di tipo “piano” o “concordato”, il debitore rimane titolare e in possesso dei suoi beni, salvo dover compiere eventuali atti dispositivi previsti (ad es. vendere un bene come da piano). Nel piano del consumatore, in particolare, il debitore continua a gestire il suo patrimonio sotto la sorveglianza dell’OCC e l’obbligo di non compiere atti non autorizzati di straordinaria amministrazione. Nel concordato minore, se in continuità, il debitore prosegue l’attività imprenditoriale usando i beni aziendali normalmente. Solo nella liquidazione controllata vi è uno spossessamento patrimoniale: i beni del debitore vengono amministrati dal liquidatore e venduti, e il debitore perde la disponibilità diretta di essi (pur restando proprietario giuridicamente fino alla vendita). In liquidazione, la casa di abitazione – se non protetta da norme speciali – rientra nell’attivo e il liquidatore potrà metterla in vendita; tuttavia, se la casa è cointestata col coniuge non debitore o se vi sono minori, spesso il giudice adotta cautele (ad es. posticipare lo sloggio, accordi di divisione). I beni mobili indispensabili non vengono toccati. Il reddito da lavoro del debitore, in ogni procedura, viene considerato disponibile limitatamente alla quota pignorabile: il legislatore tutela il necessario al mantenimento del debitore e famiglia. Quindi anche nel concordato o piano, quando si calcolano le somme da destinare ai creditori mensilmente, si tiene conto di quanto serve al nucleo per vivere. Gli OCC e i giudici utilizzano parametri come l’assegno sociale o le tabelle ISTAT sui consumi familiari per stabilire il “minimo vitale” da lasciare al debitore. Ad esempio, se la guardia giurata ha stipendio di 1.500 € e vive con un figlio a carico, potrebbe essere ritenuto congruo lasciarle €1.100 per spese mensili e destinare €400 ai creditori. Ciò avviene in maniera negoziata nel piano; nella liquidazione, €400 mensili verrebbero prelevati come quota pignorabile. In ogni caso, al debitore viene garantito di non cadere nella miseria durante la procedura.
- Durata e impegni periodici: per un piano del consumatore o concordato, la durata dipende da quanto lungo è il piano di rientro proposto. Non vi sono limiti fissi (salvo la ragionevolezza): di solito i piani si sviluppano su 4–5 anni, talvolta 7, raramente oltre i 10 anni. Un piano ventennale sarebbe difficilmente accettato per l’incertezza prolungata. Nella liquidazione controllata, come visto, la durata è normativamente contenuta entro 3 anni: allo scadere, il debitore può davvero voltare pagina. Durante tali periodi, il debitore dovrà attenersi alle scadenze di pagamento e agli obblighi informativi. Se perde il lavoro o subisce imprevisti durante un piano, deve avvisare l’OCC e il giudice: il piano potrebbe essere modificato con consenso dei creditori o convertirsi in liquidazione. Il sistema non è inflessibile: i giudici hanno mostrato comprensione per rimodulazioni qualora eventi sopravvenuti rendano temporaneamente impossibile adempiere (ad es. malattia del debitore). L’importante è la trasparenza e buona fede.
- Liberazione dai debiti (esdebitazione): il traguardo finale di queste procedure è la liberazione del debitore dai debiti pregressi una volta completati gli obblighi assunti. Ciò avviene: per il piano del consumatore e concordato minore – al termine dell’esecuzione del piano omologato, certificata dal giudice; per la liquidazione controllata – con il decreto di chiusura e contestuale esdebitazione; per l’incapiente – immediatamente con il decreto di omologa. L’esdebitazione cancella gli effetti delle obbligazioni verso i creditori coinvolti: questi non possono più perseguire il debitore per ottenere pagamenti ulteriori. In altre parole, il debito si estingue per causa diversa dall’adempimento (per provvedimento dell’autorità giudiziaria). È importante chiarire però che l’esdebitazione non cancella i debiti nei confronti di eventuali coobbligati o garanti: se Tizio e Caio erano obbligati in solido e Tizio ottiene l’esdebitazione, il creditore potrà ancora chiedere l’intero a Caio (coobbligato). Parimenti, se la madre della guardia giurata aveva fatto da garante per un suo prestito, la liberazione del figlio non libera anche lei (il creditore potrà rivalersi sul garante, il cui diritto di regresso verso il debitore tuttavia non sarà esercitabile perché il debitore è esdebitato). Questo dettaglio tecnico spinge, nella prassi, a coinvolgere nel procedimento tutti i debitori connessi: ad esempio, coppie marito-moglie indebitate insieme presentano spesso un’unica procedura familiare per ottenere entrambi l’esdebitazione, altrimenti uno resterebbe esposto per l’altro. In ogni caso, per il debitore diretto l’esdebitazione segna la fine di un incubo: potrà ricominciare senza lo spettro di rate scadute e ufficiali giudiziari. Giova ripetere che restano esclusi solo i debiti per alimenti, risarcimenti da illecito e sanzioni, che se presenti andranno comunque onorati a parte.
- Riabilitazione finanziaria: oltre al dato giuridico, l’esdebitazione comporta anche una riabilitazione “civile”. Il debitore non è più considerato insolvente, può chiedere la cancellazione dalle banche dati dei cattivi pagatori esibendo il provvedimento di esdebitazione. Le Centrali Rischi in genere aggiornano lo status a “chiuso per procedura concorsuale” e dopo un certo periodo (in base ai regolamenti, ad es. 24-36 mesi) la posizione viene eliminata. Va detto che ottenere nuovo credito subito dopo non è semplice: le finanziarie vedranno comunque che c’è stata un’insolvenza risolta per legge. Tuttavia, col tempo e mostrando un reddito stabile, anche una guardia giurata esdebitata potrà tornare ad accedere a finanziamenti (magari inizialmente di modesta entità). In ogni caso, non avrà più quei vecchi debiti a ostacolarla: potrà aprire un conto corrente, lavorare regolarmente senza timore che il suo stipendio venga aggredito per vicende passate, e persino partecipare a concorsi pubblici o iniziative imprenditoriali senza le preclusioni che una volta colpivano i “falliti”. L’esdebitazione, infatti, rimuove le eventuali incapacità personali derivanti dall’insolvenza (ad es. in passato il fallito non poteva avere incarichi societari per un periodo; oggi un esdebitato può invece rivestirli perché la procedura di sovraindebitamento non glielo vieta).
Per fissare le idee, la tabella seguente confronta sinteticamente le caratteristiche delle quattro procedure di sovraindebitamento dal punto di vista del debitore:
Procedura | Chi può accedervi | Consenso creditori | Durata tipica | Effetti sul patrimonio | Esdebitazione finale |
---|---|---|---|---|---|
Piano del consumatore (ristrutturazione debiti) | Persona fisica consumatore meritevole, non fallibile. Debiti personali (anche misti con ex attività cessata). | Non richiede voto dei creditori (omologazione giudiziale d’ufficio se piano fattibile). Creditori possono solo fare osservazioni. | Variabile, di solito 4–5 anni (può estendersi se necessario, ma in genere <10 anni). | Il debitore conserva amministrazione dei beni sotto vigilanza OCC. Pagamenti secondo piano; possibili vendite di alcuni beni se previste. Misure protettive bloccano pignoramenti. | Concessa dopo esecuzione integrale del piano omologato. Cancella i debiti residui concorsuali. Niente esdebitazione se revoca/annullamento per frode o inadempimento grave. |
Concordato minore (ex accordo) | Imprenditore minore, professionista, start-up, ente non fallibile; anche consumatore può, ma di rado (preferisce piano). Debitore meritevole. | Richiede voto favorevole dei creditori ≥ 50% dei crediti. Se approvato, omologato dal giudice anche contro dissenzienti. | Variabile, simile a piano (3–5 anni tipicamente). Può prevedere continuità aziendale anche indefinita (pagamenti graduali). | Il debitore mantiene gestione (specie se continuità aziendale). Eventuali atti di straordinaria amm. controllati. Se l’attività prosegue, beni non liquidati salvo quanto previsto da piano. Pignoramenti sospesi durante trattativa e dopo apertura. | Concessa dopo esecuzione del concordato omologato (a saldo di quanto promesso). Debiti residui stralciati. Possibile risoluzione se inadempimento rilevante, con perdita beneficio e apertura liquidazione. |
Liquidazione controllata del sovraindebitato | Qualsiasi debitore sovraindebitato non fallibile (consumatore o no), anche su istanza di creditori o in conversione da altre procedure. | Nessun voto richiesto. Si apre con sentenza su richiesta debitore o creditori. Creditori partecipano tramite insinuazione al passivo, non decidono sull’apertura. | Max 3 anni dalla data di apertura (salvo proroghe limitate). | Patrimonio sotto controllo del liquidatore nominato dal Tribunale. Beni non indispensabili venduti per pagare creditori. Il debitore perde disponibilità dei beni ma trattiene il minimo vitale su redditi. Azioni esecutive individuali bloccate. | Concessa al termine (decreto di chiusura) salvo condotte fraudolente. Cancella tutti i debiti non soddisfatti (eccetto quelli esclusi ex lege). Se emergono atti di frode, niente esdebitazione e possibili sanzioni penali. |
Esdebitazione incapiente (senza utilità) | Persona fisica meritevole che non può offrire nulla ai creditori. Ammessa solo 1 volta, purché mai esdebitato negli ultimi 5 anni. | Nessun voto. Istanza individuale. Creditore può opporsi solo contestando presupposti (es. presenza di beni occulti). | Tempi brevi: l’istanza viene valutata e decisa dal Tribunale, in pochi mesi si arriva al decreto se tutto ok. | Non c’è gestione concorsuale del patrimonio perché il debitore non ha attivo liquidabile. Se emerge attivo, istanza rigettata o convertita in liquidazione. | Esdebitazione concessa subito con il decreto di omologa. Debitore liberato dai debiti senza pagamenti. Condizione risolutiva 4 anni: se entro 4 anni compaiono utilità ≥10% debiti, obbligo pagamento pro-quota ai creditori o revoca beneficio. |
(Fonti: Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, art. 65-83, 268-283; D.Lgs 136/2024 correttivo; Camera di Commercio RC; Mandico, 2024; Trib. Roma 2023.)
Come si vede dalla tabella, ogni procedura ha i suoi pro e contro, ma tutte convergono verso lo stesso traguardo: dare al debitore sovraindebitato la possibilità concreta di soddisfare in parte i creditori e venire liberato dal peso dei debiti eccedenti.
Un punto che merita attenzione dal punto di vista del debitore è il costo di accesso a queste procedure. Sebbene l’alternativa – restare nei debiti – sia ben più costosa in termini di somme dovute e conseguenze, anche avviare una procedura di sovraindebitamento comporta alcune spese iniziali. In particolare, bisogna rivolgersi a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) iscritto presso il Ministero della Giustizia. Questi organismi (spesso istituiti presso gli Ordini professionali dei commercialisti o avvocati, oppure presso le Camere di Commercio come quella di Reggio Calabria citata) mettono a disposizione un gestore della crisi che assisterà il debitore nella predisposizione della proposta e che svolgerà le funzioni di controllo durante la procedura. L’OCC ha diritto a un compenso, che per legge è basato su parametri ministeriali e in parte proporzionale alla complessità e all’attivo. In genere è previsto un acconto fisso iniziale di qualche centinaio di euro: ad esempio, la Camera di Commercio di RC richiede al deposito dell’istanza un versamento di €300 + IVA. Altri OCC applicano cifre simili (talora 200, 300 o 400 euro). Tale importo serve a coprire le prime attività del gestore. Il compenso finale verrà poi determinato dal giudice a fine procedura e di solito è pagato utilizzando le somme destinate ai creditori (cioè è un costo che incide sul ricavato per i creditori, non richiede esborso aggiuntivo del debitore oltre a quel piccolo acconto). Tuttavia, se la procedura non ha alcun attivo (tipo incapiente) o è a riparto molto ridotto, può capitare che al debitore venga richiesto di contribuire almeno in parte al compenso del gestore per il lavoro svolto. È quindi importante informarsi presso l’OCC prescelto sui criteri di calcolo e sulle eventuali convenzioni: alcuni OCC territoriali hanno tariffe calmierate. Nota bene: il debitore deve rivolgersi a un OCC avente sede nel circondario del Tribunale competente per il suo territorio di residenza. Se nella propria zona non ci sono OCC attivi, può chiedere al tribunale la nomina di un professionista in supplenza. In alternativa, può rivolgersi ad associazioni specializzate (ad esempio quella citata “Protezione Sociale Italiana” che opera come OCC in varie città) che affianchino il debitore nel percorso. È altamente consigliabile avvalersi anche di un avvocato di fiducia esperto in materia, specie per interloquire con eventuali creditori e per curare gli aspetti legali della domanda (ricorso). Non è obbligatorio per legge farsi assistere da un avvocato (il procedimento è classificato come volontaria giurisdizione, dove il patrocinio non è strettamente richiesto), ma nella pratica molti tribunali lo danno per scontato, e certamente per un debitore senza conoscenze giuridiche preparare da solo tutta la documentazione e affrontare l’udienza sarebbe proibitivo. Tra l’altro, è possibile richiedere il gratuito patrocinio a spese dello Stato per l’avvocato, se il reddito del nucleo familiare del debitore rientra nelle soglie (attualmente circa €11.700 annui, aumentati di €5500 per ogni convivente extra). Molti debitori sovraindebitati rispettano tale requisito e possono dunque avere un avvocato gratis pagato dallo Stato. L’OCC invece non rientra nel gratuito patrocinio, essendo un organismo tecnico: se però il debitore è davvero indigente, alcuni OCC di ispirazione pubblica riducono o posticipano il compenso. Ad ogni modo, nella valutazione se intraprendere la procedura, il debitore deve considerare questo investimento iniziale (qualche centinaio di euro e l’eventuale parcella del professionista, spesso rateizzabile). È un piccolo prezzo da pagare in confronto al beneficio di azzerare magari decine di migliaia di euro di debiti.
Soluzioni extragiudiziali per uscire dai debiti (brevi cenni)
La normativa sul sovraindebitamento offre soluzioni giudiziali formali, ma prima di imboccare quella strada – o parallelamente ad essa – il debitore può tentare anche delle soluzioni extragiudiziali. Dal punto di vista di una guardia giurata con debiti, quali opzioni ci sono per uscire dalla crisi senza coinvolgere il tribunale? Eccone alcune, con relativi pregi e limiti:
- Ristrutturazione volontaria del debito / Piani di rientro accordati: consiste nel contattare i propri creditori (specie banche e finanziarie) e negoziare nuovi termini di pagamento. Ad esempio, si può chiedere alla banca di allungare la durata di un prestito per ridurre l’importo rata, o di concedere qualche mese di sospensione (moratoria) delle rate per riprendere fiato. Negli ultimi anni, anche grazie alle linee guida ABI, molti istituti offrono possibilità di rinegoziazione. Il debitore deve presentarsi con un piano credibile di come intende saldare il dovuto. Vantaggi: si evita il “marchio” di una procedura concorsuale e si mantiene un rapporto diretto (spesso più rapido). Svantaggi: richiede la collaborazione dei creditori; se uno non ci sta, può vanificare lo sforzo. Inoltre, senza l’ombrello del tribunale, i creditori potrebbero approfittare di eventuali miglioramenti futuri del debitore chiedendo subito di più. È comunque consigliabile, prima di precipitare nell’insolvenza conclamata, provare a trattare: ad esempio, se la guardia giurata prevede di non poter pagare 3 finanziarie, potrebbe proporre ad ognuna un accordo di dilazione prima che queste procedano legalmente. A volte funziona.
- Consolidamento dei debiti (prestito di consolidamento): è l’idea di accendere un nuovo finanziamento per estinguere tutti quelli in essere, ottenendo così un’unica rata mensile più sostenibile. Sul mercato bancario esistono prodotti di “consolidamento debiti” che fanno proprio questo. Però, per accedervi, il debitore deve avere ancora una reputazione creditizia decente e garanzie reddituali sufficienti. Se ormai è segnalato come cattivo pagatore, difficilmente otterrà un nuovo prestito bancario. Inoltre, spesso il consolidamento allunga la durata e potrebbe incrementare il costo totale degli interessi. In pratica, questa opzione è utile nelle fasi iniziali di difficoltà (quando il debitore ancora non è in default e può rivolgersi a una banca). Per la nostra guardia giurata, se ancora sta pagando regolarmente ma vede che è sovraesposta, potrebbe funzionare: prende un unico prestito decennale che copre tutte le altre posizioni, e si trova con una rata mensile totale inferiore alla somma delle precedenti. Ma va valutato caso per caso e facendo attenzione a non incorrere in tassi magari più alti.
- Saldo e stralcio: è una formula negoziale in cui il debitore offre al creditore un pagamento una tantum e immediato di un importo inferiore al dovuto, a fronte del quale il creditore rinuncia al resto del credito. Tipicamente avviene quando il debitore riceve un aiuto (es. un familiare che presta dei soldi) o realizza la liquidazione volontaria di un bene e quindi dispone di una somma cash da mettere sul piatto. Molte finanziarie e banche accettano saldi e stralci se capiscono che l’alternativa è non recuperare quasi nulla (ad esempio se il debitore minaccia di avviare la procedura di sovraindebitamento). Poniamo che la guardia giurata abbia un debito di €20.000 con una finanziaria e i genitori siano disposti a darle €10.000: potrebbe offrire €10.000 a saldo, subito. Se la finanziaria ritiene il debitore in grave difficoltà, può preferire incassare 10k subito piuttosto che avviare lunghe azioni sperando di recuperarne 15 forse. Il vantaggio per il debitore è evidente: riduzione del debito e chiusura immediata del rapporto. Lo svantaggio è che serve avere liquidità disponibile per convincere il creditore. Inoltre bisogna formalizzare bene l’accordo (meglio con scrittura, e pagamento con assegno circolare o bonifico contestuale alla firma di quietanza) per evitare che poi il creditore ceda il residuo a società di recupero. In ogni caso, il saldo e stralcio è una via ottima quando praticabile. Fa parte degli strumenti stragiudiziali più efficaci, ma richiede capacità di negoziazione o assistenza legale per ottenere lo sconto maggiore possibile e la certezza della liberazione del debito.
- Definizioni agevolate e condoni fiscali: sul versante dei debiti tributari, il legislatore periodicamente introduce misure di saldo e stralcio generalizzato (condono parziale) per i carichi iscritti a ruolo. Ad esempio, la cosiddetta “Rottamazione-quater” prevista dalla Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) consente ai debitori di cartelle esattoriali affidate fino a giugno 2022 di estinguere il debito pagando solo l’imposta e eliminando sanzioni e interessi, in un massimo di 18 rate. Misure simili (rottamazioni I, II, III) si sono succedute dal 2016 in poi. Inoltre, sempre nel 2023, c’è stato l’annullamento automatico dei piccoli debiti sotto €1.000 relativi agli anni 2000-2015. Un debitore sovraindebitato deve stare attento a cogliere queste opportunità legislative, perché permettono di ridurre il carico fiscale senza dover ricorrere al giudice. Certo, sono provvedimenti una tantum e con scadenze: bisogna aderire nei termini stabiliti. Se la guardia giurata ha molte cartelle esattoriali, potrebbe valutare di aderire alla rottamazione in corso (se c’è) per sgravarsi di parte degli oneri. Il limite è che serve poi pagare regolarmente le rate agevolate: se non lo fa, decade e si ritorna al dovuto integrale. Dunque, queste definizioni agevolate sono utili solo se c’è una base economica sufficiente per sostenere il pagamento agevolato. In mancanza, comunque, le procedure di sovraindebitamento restano una via, e anzi nel loro ambito il debitore può proporre ulteriori falcidie al Fisco (sotto controllo del giudice).
- Piani del consumatore “di fatto” seguiti dall’esdebitazione fallimentare: prima del 2012, l’unica strada per le persone oberate dai debiti era spesso il fallimento personale (se erano soci di società fallite) o la cessio bonorum (vendere spontaneamente i propri beni ai creditori sperando nella benevolenza). Oggi, con l’estensione delle procedure concorsuali anche ai non fallibili, di fatto queste vecchie figure sono confluite nella liquidazione controllata. Tuttavia, se la guardia giurata fosse socia di una s.n.c. fallita, potrebbe beneficiare – dopo la chiusura del fallimento – dell’esdebitazione fallimentare prevista per i falliti meritevoli (art. 282 CCII). Non entriamo nel dettaglio in quanto esula dal sovraindebitamento tecnico, ma lo menzioniamo solo per dire: esistono vari istituti in parallelo che possono condurre al medesimo risultato di liberazione dai debiti, a seconda delle situazioni.
- Fondo di prevenzione usura / Fondi di solidarietà: vale anche la pena ricordare che esistono fondi statali o regionali che erogano prestiti garantiti a soggetti sovraindebitati a rischio usura, per aiutarli a ripianare i debiti legalmente. La Legge 108/1996 ha istituito un Fondo di prevenzione dell’usura gestito da enti come la Fondazione antiusura, al quale ci si può rivolgere tramite determinati organismi accreditati (es. fondazioni antiusura diocesane) presentando un progetto di risanamento. Se ammessi, si ottiene una garanzia statale che permette a una banca convenzionata di erogare un prestito a tasso agevolato da usare per pagare i debiti. Questo strumento, poco noto, è però selettivo e spesso richiede che il sovraindebitamento sia risolvibile con una cifra non esorbitante. Nel caso della nostra guardia, se i debiti fossero ad es. €30.000 e lei ancora solvibile con un prestito decennale, potrebbe tentare questa via con l’aiuto di una fondazione. Non è invece fatto per i casi di insolvenza conclamata di centinaia di migliaia di euro, dove le procedure giudiziali sono più indicate.
Riassumendo, il debitore ha un ventaglio di opzioni extra-giudiziali, che vanno sempre considerate perché, se riescono, permettono di evitare i costi e i tempi di una procedura concorsuale e magari anche di salvare la reputazione (le procedure concorsuali, pur senza sanzioni personali oggi, lasciano comunque una traccia). Tuttavia, bisogna essere realistici: quando la situazione debitoria è troppo pesante rispetto alle risorse, solo un intervento dell’autorità giudiziaria può imporre un sacrificio ai creditori. Un creditore potrebbe non accettare mai volontariamente di rinunciare a metà del credito, mentre un giudice glielo può imporre omologando un piano o liquidazione. Dunque, il nostro consiglio dal punto di vista del debitore è: provare prima le soluzioni amichevoli, ma se queste falliscono o sono chiaramente insufficienti, non esitare a utilizzare gli strumenti di legge sul sovraindebitamento. Essi esistono proprio per dare una seconda chance alle persone oneste ma sfortunate, e come abbiamo visto, con le riforme recenti sono efficaci e relativamente rapide.
Domande frequenti (FAQ)
D: Ho debiti per multe, bollette e carte revolving. Posso usare la legge sul sovraindebitamento?
R: Sì. Le procedure di sovraindebitamento coprono praticamente ogni tipo di debito, incluse multe stradali, bollette non pagate e debiti da carte di credito revolving. Tali obbligazioni rientrano infatti nei debiti “concorsuali” che possono essere ristrutturati o falcidiati. Attenzione però: le sanzioni amministrative (come le multe) non vengono cancellate dall’esdebitazione, quindi se nel piano non vengono pagate integralmente, resterà comunque l’obbligo di pagarle dopo. Conviene dunque prevedere di soddisfare almeno in buona parte le multe all’interno del piano, per non rimanere con quella coda. Bollette, rate di carte e altri debiti commerciali invece si cancellano con l’esdebitazione finale se non pagati interamente. In sintesi: puoi includerli, ma verifica quali saranno effettivamente estinti e quali no a fine procedura.
D: Sono una guardia giurata divorziata con assegno di mantenimento per mia figlia. Posso abbassare o eliminare quel debito di mantenimento tramite il sovraindebitamento?
R: No, i debiti alimentari e di mantenimento verso coniuge o figli non possono essere oggetto di esdebitazione. La legge li esclude espressamente: si tratta di obblighi di natura speciale, tutelati per ragioni di solidarietà familiare. Ciò significa che nelle procedure di sovraindebitamento tali crediti devono essere pagati integralmente. Puoi certamente includerli nel conteggio e prevedere di pagarli nel piano, magari rateizzando eventuali arretrati, ma non verranno perdonati. Se hai accumulato arretrati di mantenimento, dovrai trovare un modo di saldarli (magari destinando ai familiari una quota prioritaria nel piano del consumatore). Tieni presente che l’obbligo di mantenimento ha priorità assoluta: il giudice non omologherebbe mai un piano che prevede di pagare i finanziamenti ma non il mantenimento ai figli.
D: Ho sia debiti personali (carta di credito, prestito auto) sia debiti della mia ex attività di vigilanza privata (che ho cessato). Posso fare il “piano del consumatore”?
R: Sì, è possibile. Se hai chiuso l’attività d’impresa (es. avevi una ditta individuale di sicurezza e l’hai cessata), ora agisci come privato cittadino. La legge definisce consumatore la persona fisica che ha contratto debiti estranei ad attività imprenditoriale. Ma la giurisprudenza ha chiarito che se l’attività è cessata e restano debiti misti, il soggetto può comunque presentarsi come consumatore, purché includa tutti i debiti nel piano e li tratti equamente. Diversi tribunali (L’Aquila, Pesaro, Matera, La Spezia, ecc.) dal 2023 in poi hanno ammesso piani del consumatore di ex imprenditori con debiti promiscui. L’importante è che tu non abbia attualmente un’impresa in corso. Se invece stessi ancora operando con partita IVA, dovresti orientarti sul concordato minore. Quindi, nel tuo caso – ex titolare di istituto di vigilanza ora dipendente come guardia giurata – sì, puoi procedere come consumatore: nel piano menzionerai sia i debiti verso banche/fornitori legati all’ex attività, sia quelli personali, offrendo una soluzione globale. Così otterrai l’esdebitazione complessiva.
D: Ho in corso un pignoramento del quinto sullo stipendio e anche una cessione del quinto. Se avvio la procedura, cosa succede a queste trattenute?
R: Vengono sospese entrambe. Quando presenti la domanda di sovraindebitamento (sia piano che liquidazione), puoi chiedere al giudice misure protettive che sospendano i pignoramenti in corso sullo stipendio. Normalmente i tribunali accolgono questa richiesta, bloccando la prosecuzione del pignoramento (che altrimenti ogni mese sottrae quota di stipendio). Anche la cessione del quinto – pur essendo un contratto volontario – nella pratica viene equiparata a una forma di prelievo forzoso a favore di un creditore, quindi una volta aperta la procedura l’amministrazione del tuo datore di lavoro interromperà la trattenuta. La somma che prima veniva trattenuta per la cessione confluirà nel reddito disponibile per la procedura. Nel piano del consumatore, potrai decidere se e quanto pagare al finanziatore della cessione: ad esempio potresti anche offrire zero (falcidiando totalmente quel debito) oppure una percentuale. In liquidazione controllata, quel creditore verrà trattato come chirografario (salvo fosse assistito da TFR a garanzia). Quindi sia il pignoramento giudiziario sia la cessione contrattuale vengono stoppati, e il relativo importo resta a disposizione per soddisfare tutti i creditori in modo uniforme secondo il piano o la liquidazione. Ciò ti permette di respirare, perché riavrai subito quella quota di stipendio in busta paga (salvo l’eventuale quota pignorabile che comunque dovrai destinare alla procedura, ma suddivisa fra tutti i creditori).
D: Devo vendere per forza la casa di proprietà se faccio la procedura?
R: Non necessariamente, dipende dalla procedura e dalla sostenibilità senza venderla. La casa di abitazione è spesso il bene più prezioso e caro. Nel piano del consumatore, se il tuo obiettivo è tenere la casa, puoi strutturare il piano in modo da continuare a pagare l’eventuale mutuo (se sostenibile) ed offrire ai creditori chirografari altre risorse (redditi futuri, piccoli beni). I giudici ammettono piani in cui la casa non viene toccata, purché il piano sia comunque conveniente per i creditori. Ad esempio, se il mutuo assorbe già la parte massima del tuo reddito disponibile e la casa ha poco equity (valore residuo oltre il mutuo), potresti mantenere la casa e l’OCC lo segnalerà come preferibile perché la vendita non gioverebbe molto ai creditori. Nel concordato minore, similmente, è possibile prevedere la salvaguardia di alcuni beni essenziali (continuità aziendale, ecc.), quindi anche lì potresti evitare la vendita della casa se i creditori non la pretendono e il piano offre alternative. Invece, nella liquidazione controllata, formalmente tutti i beni vanno liquidati, casa inclusa. Non ci sono esenzioni specifiche per la prima casa (quelle valgono solo per esecuzioni fiscali individuali, non dentro una procedura concorsuale). Quindi, se scegli la liquidazione, devi mettere in conto che la casa verrà messa all’asta dal liquidatore, a meno che i creditori ipotecari (la banca) non preferiscano altre soluzioni. Una via a volte praticata è: prima di avviare la liquidazione, se vuoi salvare la casa, cerca di accordarti col creditore ipotecario separatamente (ad esempio rinegoziando il mutuo) e imposta il sovraindebitamento sugli altri debiti. Tieni però presente che questo è delicato: l’accordo extragiudiziale con la banca sul mutuo potrebbe essere visto come atto in frode se fatto male (privilegiando un creditore). Meglio allora valutare di includere la banca nel piano offrendo di continuare a pagarla regolarmente (quindi di fatto la banca non subisce danno e la casa non si vende). In sintesi: no, non è inevitabile vendere la casa, se hai reddito sufficiente a proporre un piano alternativo. Ma se la casa ha valore e i creditori non vengono soddisfatti altrimenti, il tribunale potrebbe condizionare l’omologa alla sua liquidazione. Ogni caso fa storia a sé: vanno valutati valore dell’immobile, importo del mutuo residuo, importo dei debiti chirografari, necessità abitativa per la famiglia, ecc. Molti piani del consumatore recenti prevedono che il debitore mantenga la casa (pagando il mutuo) e i creditori chirografari vengano soddisfatti su base reddito. Ciò è perfettamente lecito e spesso approvato se il debitore non avrebbe alternative abitative. Al contrario, se hai più case o immobili non essenziali, aspettati di doverne sacrificare qualcuno per avere l’esdebitazione.
D: Quanto tempo ci vuole per chiudere tutta la faccenda?
R: Dipende dalla procedura scelta e dalla complessità, ma facciamo qualche stima pratica basata sull’esperienza. Per un piano del consumatore: la fase iniziale di preparazione documenti e ricorso richiede magari 1-3 mesi (dipende anche dalla collaborazione dei creditori nel fornire saldi, ecc.). Depositato il ricorso, il tribunale fissa un’udienza entro circa 2-3 mesi in media. Se tutto è in regola, il giudice può omologare il piano subito dopo l’udienza o entro poche settimane. Dall’omologazione parte l’esecuzione: se il piano dura ad esempio 4 anni di pagamenti, dovrai attendere 4 anni per completarlo e poi qualche settimana per la certificazione di adempimento e l’esdebitazione. Quindi in totale potrebbero essere circa 5 anni (4 di piano + 1 tra preparazione e burocrazia iniziale/finale). Per un concordato minore i tempi di omologazione possono essere simili o leggermente più lunghi, perché c’è la votazione dei creditori in mezzo: dall’istanza all’omologa possono passare 4-6 mesi. Poi segue l’esecuzione del piano (anni di pagamento). La liquidazione controllata ha una tempistica diversa: l’apertura è abbastanza rapida (2-3 mesi dal ricorso, talora anche 1 mese se urgenza). Una volta aperta, dura appunto fino a 3 anni per legge, salvo proroghe di 6 mesi se occorre vendere beni con calma. Spesso le liquidazioni di consumatori con pochi beni si chiudono anche prima di 3 anni. Ad esempio, se non hai immobili ma solo stipendio, il liquidatore potrebbe fare 3 riparti annuali e chiudere. Dunque potresti ottenere l’esdebitazione in 3 anni circa. Se hai immobili, il fattore limitante è la vendita: alcune aste vanno deserte e richiedono tempo; però col nuovo limite triennale, il giudice non permette che si prolunghi troppo – eventualmente chiude assegnando l’immobile ipotecato alla banca o cose così. Per l’incapiente, i tempi sono i più brevi: teoricamente nel giro di 4-6 mesi dal deposito potresti avere il decreto di esdebitazione, perché non c’è molto da fare se non verifiche formali. È plausibile comunque che il tribunale fissi un’udienza, informi i creditori, ecc., quindi qualche mese è necessario. In conclusione: nell’ipotesi più veloce (incapiente) potresti essere libero dai debiti in pochi mesi; in quella più lenta (piano lungo) potrebbero volerci 5-6 anni. La buona notizia è che gli effetti di sollievo (sospensione pignoramenti, stop interessi) li percepisci fin da subito con l’ammissione della procedura, non devi aspettare la fine per avere benefici. La liberazione finale completa richiede invece di arrivare in fondo e ottenere l’esdebitazione ufficiale.
D: Servono documenti particolari? Come mi preparo per avviare la procedura?
R: Sì, serve un certo corredo documentale. In generale, dovrai predisporre: un elenco completo di tutti i creditori con relativi importi aggiornati (estratti conto finanziamenti, cartelle esattoriali, bollette insolute, contratti, decreti ingiuntivi, ecc.); documenti anagrafici (carta identità, codice fiscale, stato di famiglia, residenza); documenti reddituali (ultime buste paga, CU, 730 o UNICO degli ultimi 3 anni, estratti conto bancari ultimi 1-2 anni, eventuali attestati ISEE); documenti patrimoniali (visure catastali immobili per dimostrare cosa possiedi, estratti cronologici PRA per veicoli, eventuali atti di proprietà, documenti di mutui e ipoteche); una relazione sull’origine dell’indebitamento (spiegherai perché hai fatto quei debiti: es. per pagare spese mediche, per mantenimento familiare insufficiente, etc. – l’OCC ti aiuterà a formalizzarla). Inoltre, dovrai dichiarare di non aver atti in frode (es. vendite di beni negli ultimi anni a parenti per sottrarli ai creditori). Se in passato hai avuto procedure concorsuali, dovrai segnalarlo. Insomma, c’è un checklist abbastanza corposo, simile a quello per un fallimento semplificato. Alcuni tribunali (es. Tribunale di Torino, Milano) mettono a disposizione modelli di elenco documenti sul loro sito. Non spaventarti: l’OCC e l’avvocato ti guideranno. Fondamentale è la completezza e la trasparenza: non nascondere nulla, perché tanto verrà fuori dalle visure. Prepara anche un prospetto delle spese mensili tue e della famiglia (bollette, alimentari, trasporti, affitto se c’è, etc.), perché servirà per calcolare quanto puoi permetterti di pagare. Infine, predisponi i €300 circa per l’acconto OCC e se hai diritto al gratuito patrocinio porta la documentazione per chiederlo (ci penserà l’avvocato in caso). Con tutto ciò pronto, fare la domanda diventa un lavoro soprattutto tecnico di chi la redige. In sintesi: raccogli contratti di finanziamento, estratti delle posizioni debitorie (anche tramite PEC ai creditori per sapere il residuo – sono obbligati a dirtelo), documenti reddituali e patrimoniali degli ultimi anni. Meglio eccedere in documentazione che ometterla.
D: I creditori possono opporsi o impugnare la procedura?
R: Possono presentare opposizione in alcune fasi, ma con limiti. Nel piano del consumatore, come detto, i creditori non votano ma possono fare osservazioni/opposizioni prima dell’omologa (soprattutto su convenienza e ammissibilità). Se un creditore contesta che il piano lo tratti peggio del dovuto, il giudice valuta e decide se omologare lo stesso. Se omologa, il creditore potrebbe tentare reclamo in appello, ma la giurisprudenza sul punto è oscillante: alcuni dicono che il decreto (ora sentenza) di omologa del piano è ricorribile in Cassazione ex art.111 Cost perché incide sui diritti, altri no. Tuttavia, arrivare fino alla Cassazione è raro: di solito se il giudice omologa, il creditore si adegua. Nei concordati minori, i creditori decidono col voto: chi è dissenziente può solo sperare che manchi la maggioranza. Se c’è maggioranza e omologa, un creditore escluso può fare reclamo se ritiene vi siano violazioni di legge, ma difficilmente viene ribaltato un giudizio di convenienza già espresso dalla maggioranza (salvo errori procedurali gravi). Nella liquidazione controllata, i creditori vengono avvisati dell’apertura e possono contestare lo stato passivo se ritengono il liquidatore abbia ammesso o escluso crediti a torto, e alla fine possono opporsi alla chiusura o all’esdebitazione se credono che il debitore non lo meriti (frode). Ma devono portare prove concrete (es. se scoprono che hai nascosto un bene, lo segnalano e allora l’esdebitazione salta). Statisticamente, le opposizioni serie sono poche perché i giudici valutano già a monte la meritevolezza. Nel procedimento incapienti, i creditori possono comparire e obiettare che magari non sei così incapiente (esibendo prove di tuoi beni occulti). Se ci riescono, il giudice rigetta l’istanza. Quindi sì, i creditori hanno strumenti di difesa, come è giusto. Ma non possono bloccare pretestuosamente le procedure: se le norme sono rispettate, il loro dissenso economico non basta (nel piano del consumatore il parere dei creditori non vincola affatto il giudice). Possono appellarsi, ma con margini ristretti. Diciamo che, purché tu agisca con correttezza e abbia un OCC e un legale che impostano bene la pratica, le probabilità di successo superano di gran lunga quelle di un’eventuale opposizione vittoriosa dei creditori.
D: Dopo l’esdebitazione, posso chiedere un mutuo o un finanziamento?
R: In linea di principio, sì, nulla te lo vieta; in pratica sarà difficile nel breve periodo. L’esdebitazione ti toglie l’etichetta di insolvente legalmente, però le banche nel valutare un nuovo prestito guarderanno alla tua storia creditizia recente. Anche se le vecchie posizioni risultano chiuse per procedura concorsuale, sanno che hai avuto problemi. Quindi nel primo periodo dopo l’esdebitazione è improbabile ottenere credito ingente (come un mutuo casa) a meno di avere garanzie eccezionali (es. un coobbligato con reddito alto, ipoteca su immobile, ecc.). Tuttavia, col passare degli anni, specie se mantieni un impiego stabile e non contrai altri debiti problematici, la tua affidabilità migliora. Sul SIC (sistemi di informazioni creditizie) il record del sovraindebitamento persisterà per un certo tempo ma poi verrà cancellato, e comunque potrai nel frattempo costruirti un nuovo credit scoring, ad esempio facendo una piccola carta di credito e rimborsandola regolarmente, o facendoti intestare le utenze e pagandole puntuali. Insomma, l’accesso al credito dopo un’insolvenza non è precluso per legge (come invece in passato per i falliti c’era uno stigma), ma dipende dalla politica di rischio degli istituti. Probabilmente dovrai accettare inizialmente condizioni meno favorevoli (piccoli prestiti a tassi più alti). Consiglio: una volta esdebitato, cerca di risparmiare e accumulare un piccolo patrimonio, in modo da ridurre la necessità di chiedere prestiti. La cosa importante è che dopo l’esdebitazione sei libero di farlo: non hai più vincoli giuridici. Prima sarebbe stato inutile chiedere un mutuo perché tanto avevi i pignoramenti in corso; ora se una banca ti dice di no, potrai provare con un’altra. Col tempo (direi 2-3 anni almeno di “riabilitazione” finanziaria con conti a posto) le porte si riapriranno gradualmente.
D: Cosa succede se durante il piano perdo il lavoro o mi ammalo e non pago qualche rata?
R: Comunicalo immediatamente all’OCC e al giudice tramite il tuo avvocato. La legge prevede la possibilità di modificare il piano in caso di cambiamenti significativi delle condizioni. Ad esempio, se perdi il lavoro, potresti chiedere la sospensione delle scadenze per alcuni mesi (ci sono precedenti in tal senso) o la riduzione dell’importo rateale, presentando opportuna documentazione. I creditori verranno sentiti: se la causa è oggettiva e non dipendente dalla tua volontà, spesso c’è comprensione. Se la situazione è recuperabile (es. trovi nuovo impiego entro breve), si riprende il piano con qualche aggiustamento magari (prolungando la durata per recuperare le rate saltate). Se invece la situazione precipita (perdi il lavoro e non ne trovi un altro simile, e non hai prospettive), allora probabilmente il piano diventerà inattuabile. In tal caso il giudice può revocare l’omologa del piano per sopravvenuta impossibilità e, su tua istanza o d’ufficio, convertire la procedura in liquidazione controllata. In pratica passi a liquidazione e ti esdebitano comunque dopo 3 anni. Certo, in liquidazione i creditori avranno poco (se non stai lavorando, non c’è molto attivo), ma tu almeno non perdi il beneficio finale. Quindi, non devi far finta di nulla se non paghi una rata! Questo è importante: la malafede nell’inadempimento (sparire, non dare notizie) viene punita con la revoca senza conversione magari, facendoti perdere tempo. Invece la buona fede (avvisare subito, spiegare, cooperare) di solito porta a una soluzione. Nei concordati minori, similmente, c’è la possibilità di accordarsi per modifiche con il voto dei creditori, oppure convertire in liquidazione se salta. Nel frattempo, se c’è un evento come una malattia, potresti valutare l’aiuto di assicurazioni o del fondo di garanzia INPS (es. per il TFR) se esistono tutele del genere. In sostanza: le procedure non sono una gabbia rigida, si può gestire gli imprevisti con trasparenza e l’aiuto del tribunale. Devi però documentare tutto (lettera di licenziamento, certificati medici, etc.) per giustificare il perché non paghi.
D: I crediti che ho io verso altri che fine fanno?
R: Se tu, in qualità di debitore sovraindebitato, vanti crediti attivi (es. hai prestato soldi a un amico, o avevi venduto qualcosa e devi ancora incassare, o un risarcimento danni a tuo favore in attesa), questi crediti entrano nella procedura. Nelle procedure concorsuali, anche il lato attivo del patrimonio va considerato. Nel piano del consumatore, dovresti indicare l’esistenza di quei crediti e prevedere nel piano che, se riscossi, andranno a beneficio del pagamento dei tuoi debiti. Nel concordato, idem: magari potresti cedere quei crediti a un terzo che anticipa liquidità per pagare i tuoi creditori. Nella liquidazione controllata, i tuoi crediti verso terzi li recupererà il liquidatore (che agirà in tuo nome per riscuoterli) e li aggiungerà all’attivo. Attenzione, se i crediti attivi sono ad esempio uno stipendio arretrato o TFR dovuto dal datore di lavoro, il liquidatore li incasserà e li userà per il concorso. Se quei crediti invece sono di difficile esigibilità (tipo l’amico non restituirà mai il prestito), verranno considerati inesigibili e di fatto non influiranno, ma formalmente tu li devi elencare. In sintesi: non è che puoi tenerti i crediti attivi per te e tagliare solo i debiti; devi mettere nel piatto anche ciò che hai da riscuotere. Dopo l’esdebitazione, se qualche credito attivo non si era ancora realizzato e non fu quindi liquidato (mettiamo che avevi un credito di causa legale e la causa finisce dopo la chiusura procedura), tecnicamente quel credito residuo potrebbe ancora essere preteso dai vecchi creditori se l’esdebitazione non l’ha considerato – ma qui si entra in questioni complesse. Di solito, a fine procedura, quel che è perdonato è perdonato, e se poi incassi qualcosa che era inatteso ma deriva da situazioni pregresse, devi comunque onorare l’obbligo di darne il 10% ai creditori se rientra nelle utilità sopravvenute rilevanti (vedi incapiente) o nei casi di revoca per frode. Ma al netto di queste eccezioni, i crediti attivi te li terrai post esdebitazione solo se erano proprio non considerati (frutti civili futuri ad esempio).
D: Se ho già beneficiato anni fa di un fallimento con esdebitazione, posso fare di nuovo il sovraindebitamento?
R: Dipende. La legge vieta l’esdebitazione per chi l’ha avuta nei 5 anni precedenti, e in assoluto più di due volte nella vita. Se “anni fa” hai avuto un fallimento da cui sei stato esdebitato, devi vedere quanti anni sono passati: se più di 5, in teoria potresti accedere di nuovo. Però c’è il limite delle due volte: se quella era la prima, questa sarebbe la seconda e ultima opportunità; se era già la seconda, non sarebbe concessa la terza. Inoltre il giudice valuterà con attenzione la tua meritevolezza: se a pochi anni da un’esdebitazione ti sei di nuovo riempito di debiti, potrebbe dubitare della tua buona fede (magari penserà che hai comportamenti incauti reiterati). Quindi anche potendo legalmente, non è garantito che tu ottenga di nuovo il beneficio se la situazione attuale è frutto di colpa grave e vicina temporalmente alla precedente. Diciamo che, tecnicamente, un nuovo sovraindebitamento è possibile se rispetti quei parametri temporali/numerici, ma preparati a dover dare ottime spiegazioni al tribunale. Ad esempio, se la prima volta i debiti erano di una società, e ora invece sei consumatore con debiti del tutto diversi per sfortuna (malattia costosa, etc.), allora potresti convincere di meritare anche la seconda esdebitazione. Diversamente, se sembra un abuso, rischi di vederti respingere per indegnità.
D: Che differenza c’è tra queste procedure e il fallimento (liquidazione giudiziale) tradizionale?
R: Molte, ma semplificando: il fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale) riguarda imprese di dimensioni rilevanti o soggetti fallibili, mentre le procedure di sovraindebitamento riguardano soggetti non fallibili. In fallimento classico ci sono curatore, giudice delegato, tempi più lunghi spesso, e non era previsto l’esdebitazione del fallito fino a una riforma del 2006 (ora sì, ma con limiti). Nel sovraindebitamento c’è più flessibilità, procedure più snelle, e l’esdebitazione è centrale fin da subito. Ad esempio, nel vecchio fallimento l’imprenditore restava protestato a vita senza liberazione, ora invece dopo il sovraindebitamento ottiene subito il fresh start. Inoltre, le procedure di sovraindebitamento includono qualcosa di analogo al concordato preventivo (il concordato minore) e qualcosa analogo alla liquidazione fallimentare (la liquidazione controllata), ma su scala minore e con adempimenti semplificati. Possiamo dire che la differenza si è affievolita col nuovo Codice: ora piccole e grandi insolvenze sono trattate con principi simili, adattati alle dimensioni. Il comune cittadino finalmente ha accesso a strumenti concorsuali come le grandi aziende, modulati su misura (ad es. il piano del consumatore non ha parallelo nel fallimento perché le società non hanno “vita familiare” da salvaguardare). In sostanza, nel sovraindebitamento l’attenzione è molto sulla persona del debitore e sulla sua dignità, mentre nel fallimento tradizionale l’accento era sui creditori e sulla punizione dell’insolvente. È un cambio di filosofia. Tecnicamente, per il debitore, il sovraindebitamento è preferibile: pensiamo che nel fallimento una volta i beni venivano liquidati e stop, il debitore restava comunque con eventuali debiti residui (salvo la procedura di esdebitazione introdotta poi); nel sovraindebitamento invece la liberazione completa è l’obiettivo esplicito.
Con questo panorama di risposte, speriamo di aver chiarito i dubbi più comuni. Ricorda che ogni caso concreto ha le sue particolarità: questa guida offre un quadro avanzato e aggiornato a luglio 2025, ma confrontarsi con un professionista rimane fondamentale per applicare correttamente le norme alla tua specifica situazione di guardia giurata (o altro debitore) con debiti. L’importante messaggio finale è che una via d’uscita legale c’è sempre, anche nelle situazioni più compromesse: la legge italiana oggi consente di uscirne, per quanto lunga e impegnativa la strada possa essere, e tornare ad una vita serena e produttiva, lasciandosi alle spalle i debiti del passato.
Fonti (normativa, giurisprudenza e riferimenti)
- D.Lgs. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (artt. 65-83, 268-283) – in vigore dal 15/07/2022, ha integrato la Legge 3/2012. Modificato dai D.Lgs. 83/2022 e 136/2024. Definizioni di sovraindebitamento e consumatore in art. 2 CCII. Principi generali di favor debitoris e meritevolezza (assenza dolo/colpa grave) confermati. Novità: procedure familiari con membri conviventi e debiti comuni; introduzione esdebitazione incapiente (una volta sola, obbligo pagamento 10% se utilità entro 4 anni).
- Tribunale di Roma – Esempio di omologazione Liquidazione controllata ex L.3/2012 (post Codice) 8.11.2023: caso “guardia giurata” con €126.000 debiti, piano liquidatorio 36 mesi × €355/mese + vendita auto, omologato senza consenso creditori. Sentenza Trib. Roma 8/11/2023, est. Tedeschi, NRG 1318/2023: conceda esdebitazione dopo 3 anni con cancellazione debiti residui e status di cattivo pagatore.
- Camera di Commercio di Reggio Calabria – Organismo Composizione Crisi (OCC) – Scheda informativa aggiornata al 24/6/2025: Definizione sovraindebitamento; categorie accesso: consumatore, imprenditore minore, agricolo, start-up, professionisti, enti non commerciali; esclusi chi già esdebitato <5 anni o 2 volte, e autore di frodi/dolo. Ruolo OCC e opzioni debitore: piano consumatore (no voto creditori), concordato minore (creditori >50% dei crediti), liquidazione controllata (vendita beni con ricavato ai creditori), esdebitazione (incapiente). Indicazioni pratiche: istanza con marca da bollo, documenti e acconto €300+IVA OCC; competenza territoriale OCC.
- Protezione Sociale Italiana – Gazzetta del debitore: Storia vera – Guardia giurata azzera €126.000 di debiti (2023) – Caso reale Trib. Roma: motivi indebitamento (separazione, mantenimento figlio); intervento OCC (PSI) e scelta liquidazione controllata; proposta: €355/mese ×36 mesi + vendita auto €3.500 + €50.000 da fondo pensione; sentenza 8/11/2023 omologa liquidazione controllata senza voto creditori; debitore ammesso a beneficio esdebitazione dopo 3 anni; effetti: cancellazione status cattivo pagatore e debiti residui da centrali creditizie.
- Dati Ministero Giustizia (DG-Stat): diffusione procedure sovraindebitamento per area geografica – Nord 52%, Centro 24%, Sud 24% (Indicativo, fonte DGStat 2021). Aumento ricorsi dopo 2020 (effetto pandemia) e semplificazioni normative.
- Tribunale di Torino – Sito ufficiale: sezione Sovraindebitamento – Condizioni per ottenere l’esdebitazione (agg. 2022) – Ricorda esclusione dall’esdebitazione di obblighi alimentari, debiti da dolo/colpa grave, ecc. Fornisce modelli elenco documenti e linee guida locali.
- Codice Civile e procedura civile: art. 480 c.p.c. (precetto valido 90 gg), art. 545 c.p.c. (limiti pignorabilità stipendi/pensioni), art. 14-terdecies L.3/2012 (esdebitazione e sue condizioni, ora trasfuso in art. 282-283 CCII).
- Cassazione civile: varie pronunce su sovraindebitamento:
- Cass. Sez. I, 23/02/2018 n.4451 – ricorribilità in Cassazione dei decreti sovraindebitamento (massima: solo se decisori su diritti).
- Cass. Sez. I, 26/09/2022 n.28013 – conferma non decisorietà provv. inammissibilità procedure (no ricorso straordinario).
- Cass. Sez. I, 27/07/2023 n.22797 – su ricorribilità decreti omologa accordi ex art.182-bis (richiamata per analogia).
- Cass. Sez. I, 30/04/2025 n.11448 – provvedimento inammissibilità apertura liquidazione ex art.14-ter L.3/2012 non ricorribile ex art.111 Cost (non definitivo, possibilità di riproporre domanda).
- Cass. Sez. I, 26/07/2023 n.22699 – debiti promiscui: ribadita natura “consumatore” limitatamente ai debiti estranei attività d’impresa, anche se soggetto ha debiti misti. Orientamento consolidato a favore accesso piano consumatore ex imprenditore cessato.
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- ✔️ Specializzato nella tutela di lavoratori dipendenti, anche in ambito di sicurezza privata
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Essere una guardia giurata con debiti non è una condanna. Con il giusto supporto legale puoi fermare le pressioni, difendere il tuo stipendio e ricominciare con dignità.
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