Hai ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate per redditi non dichiarati?
Ti segnalano che, secondo i dati in loro possesso, hai percepito compensi, canoni, pensioni, interessi o altri redditi che non risultano nella tua dichiarazione dei redditi? In questi casi è fondamentale capire cosa ti viene contestato, se l’anomalia è reale e cosa fare subito per evitare sanzioni e accertamenti formali.
Quando arriva una lettera per redditi non dichiarati?
– Quando l’Agenzia delle Entrate rileva dati trasmessi da banche, datori di lavoro, enti previdenziali o piattaforme digitali che non compaiono nella tua dichiarazione
– Quando risultano certificazioni uniche (CU), bonifici, compensi, dividendi, affitti o plusvalenze mai indicati nel Modello 730 o Redditi
– Quando ci sono movimenti sui conti bancari o saldi sospetti rispetto al tuo profilo fiscale
– Quando sono state riscontrate omissioni nel quadro RW per redditi o attività detenute all’estero
– Quando vi sono redditi occasionali o professionali ricevuti anche in forma non tracciata (PayPal, contanti, donazioni online)
Cosa contiene la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate?
– Il dettaglio dei redditi ritenuti non dichiarati con indicazione della fonte (INPS, banca, locazioni, piattaforme online)
– Il confronto tra quanto risulta all’Agenzia e quanto da te dichiarato
– L’invito a fornire chiarimenti o documenti a supporto
– L’opzione per presentare una dichiarazione integrativa con sanzioni ridotte
– L’avvertimento che, in assenza di risposta, verrà avviato un accertamento con imposte, sanzioni e interessi
Cosa fare se ricevi una lettera per redditi non dichiarati?
– Accedi alla tua area riservata sul sito dell’Agenzia delle Entrate con SPID, CIE o CNS
– Verifica il contenuto della comunicazione alla voce “L’Agenzia scrive” → “Comunicazioni per anomalie”
– Controlla se i redditi contestati sono effettivamente tuoi e se dovevano essere dichiarati
– Se l’errore è reale, puoi presentare una dichiarazione integrativa e pagare quanto dovuto con ravvedimento operoso
– Se ritieni la segnalazione infondata, puoi inviare chiarimenti tramite il servizio CIVIS o PEC, allegando la documentazione giustificativa
– Se hai dubbi o l’importo è rilevante, rivolgiti a un commercialista o a un avvocato tributarista prima di rispondere
Cosa puoi ottenere con una risposta tempestiva e corretta?
– L’archiviazione della segnalazione, se dimostri che non hai commesso alcuna violazione
– La possibilità di regolarizzare con sanzioni ridotte, se hai omesso redditi per errore
– L’evitamento di un accertamento formale, che comporterebbe sanzioni piene, iscrizione a ruolo e possibili azioni esecutive
– La tutela della tua reputazione fiscale, evitando segnalazioni e controlli successivi
Attenzione: molte lettere dell’Agenzia derivano da controlli automatici e incroci di dati, ma non sempre le contestazioni sono corrette. Anche in presenza di errori veri, puoi sistemare la tua posizione senza subire le conseguenze più gravi. L’importante è non ignorare la comunicazione e agire nei tempi previsti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in compliance fiscale, accertamenti e difesa del contribuente ti spiega cosa fare se ricevi una comunicazione per redditi non dichiarati, come rispondere e quando conviene correggere la dichiarazione.
Hai ricevuto una lettera dell’Agenzia delle Entrate per redditi non dichiarati?
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Introduzione
Ricevere una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate che segnala redditi non dichiarati può generare comprensibile preoccupazione. Negli ultimi anni l’Amministrazione finanziaria italiana ha intensificato l’invio di queste “lettere di compliance”, sfruttando l’incrocio delle banche dati digitali (conti correnti, movimenti bancari, fatture elettroniche, piattaforme online, transazioni in criptovalute, registri immobiliari, scambio di informazioni estere, ecc.). Si tratta di avvisi informali, non ancora atti impositivi in senso stretto, con cui il Fisco segnala al contribuente possibili anomalie o omissioni nelle dichiarazioni dei redditi e invita a regolarizzare spontaneamente la propria posizione. L’obiettivo è favorire la collaborazione preventiva invece di procedere subito con sanzioni piene o accertamenti formali, in linea con un approccio di tax compliance introdotto a partire dal 2015.
Queste comunicazioni sono diventate sempre più diffuse: basti pensare che nel 2015 ne furono inviate circa 300.000, mentre nel 2023 si è superata quota 3 milioni di lettere, con un recupero di circa 4,2 miliardi di euro. Sulla scia di tali risultati, per il 2025 l’Agenzia ha programmato l’invio di almeno 3 milioni di lettere ai contribuenti italiani. Dunque, trovarsi di fronte a una segnalazione di redditi non dichiarati non è un evento eccezionale, ma parte di una strategia ormai sistematica del Fisco italiano.
In questa guida, aggiornata a luglio 2025, esamineremo nel dettaglio come comportarsi dal punto di vista del contribuente (debitore) che riceve una simile lettera. Adotteremo un linguaggio giuridicamente accurato ma comprensibile, adatto sia a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a privati cittadini e imprenditori interessati a capire come tutelarsi. Illustreremo normative di riferimento, gli strumenti deflattivi (come il ravvedimento operoso, l’autotutela, l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale) e le best practice per risolvere la situazione evitando le conseguenze più gravi. Troverete anche tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione finale di Domande & Risposte sui dubbi più frequenti. Tutte le fonti normative, di prassi e giurisprudenziali citate sono elencate nella sezione Fonti in fondo alla guida, per consentire ogni opportuno approfondimento.
Cos’è una “lettera di compliance” e perché l’ho ricevuta?
La lettera di compliance (o lettera di invito alla compliance) è una comunicazione bonaria inviata dall’Agenzia delle Entrate che segnala al contribuente possibili redditi omessi o altri errori nella dichiarazione dei redditi, invitandolo a fornire chiarimenti o a correggere la situazione. Non è un atto di accertamento formale, dunque non contiene subito una richiesta coattiva di pagamento né l’irrogazione definitiva di sanzioni. In pratica, il Fisco mette il contribuente a conoscenza di dati in suo possesso – emersi dall’incrocio delle banche dati – che non risultano coerenti con quanto dichiarato, offrendogli la chance di ravvedersi spontaneamente con sanzioni ridotte prima che parta un vero accertamento. Se il contribuente ignora la lettera, però, è molto probabile che in un secondo momento arrivi una contestazione ufficiale (avviso di accertamento) con sanzioni ben più pesanti.
Perché si riceve una simile lettera? Le cause possono essere diverse. L’Agenzia delle Entrate raffronta costantemente i dati delle dichiarazioni con molteplici fonti informative a sua disposizione. Ecco alcuni esempi tipici di anomalie che nel 2025 hanno originato invii di lettere di compliance:
- Redditi non dichiarati da lavoro autonomo o d’impresa – ad esempio compensi professionali o ricavi che risultano da fatture elettroniche, bonifici o altre comunicazioni (es. dati dei sostituti d’imposta) ma che non compaiono nel reddito dichiarato dal contribuente. Un caso frequente riguarda i guadagni da piattaforme digitali: compensi da YouTube, Twitch, OnlyFans, e-commerce (Amazon, eBay) o altre attività online che non siano stati inclusi nella dichiarazione. L’incrocio tra dati fiscali e informazioni di terze parti (come le piattaforme digitali obbligate a comunicare i compensi) fa emergere subito queste omissioni.
- Redditi da fabbricati (affitti) non dichiarati – l’Agenzia verifica gli immobili di proprietà (attraverso il Catasto e il Registro delle Locazioni) e i relativi redditi da locazione dichiarati. Se per un immobile risulta un contratto di locazione registrato (o altre evidenze, ad es. dati forniti da portali di affitto breve) ma il relativo canone non è stato dichiarato, scatta la segnalazione. Ad esempio, negli ultimi anni sono stati incrociati i dati di Airbnb e di altri portali: i proventi da affitti turistici non dichiarati vengono segnalati come anomalie. Analogamente, anche l’omessa indicazione dell’opzione per la “cedolare secca” o la mancata dichiarazione di redditi da locazione di immobili all’estero possono originare comunicazioni di compliance.
- Redditi di lavoro dipendente o pensione esteri non dichiarati – grazie allo scambio automatico di informazioni fiscali internazionale (Common Reporting Standard dell’OCSE), il Fisco italiano riceve dalle autorità estere dati sui redditi di fonte estera percepiti da residenti italiani (stipendi, pensioni, ecc.). Se tali importi non compaiono nella dichiarazione italiana, l’Agenzia invia lettere di compliance invitando a sanare la violazione. Un provvedimento ufficiale (Prot. n. 439255/2022) ha fissato le modalità per questi avvisi relativi al periodo d’imposta 2020. Tipicamente, la lettera indica che risultano redditi esteri (ad esempio pensione dalla Svizzera, lavoro in Francia, ecc.) non dichiarati in Italia, e ricorda l’obbligo di dichiararli per evitare doppie imposizioni e sanzioni.
- Investimenti e attività finanziarie estere non dichiarati (monitoraggio fiscale) – sempre tramite lo scambio di informazioni, l’Agenzia viene a conoscenza di conti correnti esteri, depositi bancari, investimenti in titoli o partecipazioni all’estero intestati a residenti in Italia. Se il contribuente non ha compilato il Quadro RW della dichiarazione per dichiarare tali attività (adempimento di monitoraggio fiscale), scatta una lettera di compliance specifica. Questo tipo di comunicazione è divenuto molto frequente: ad esempio, nel 2023 l’Agenzia ha inviato migliaia di lettere relative a patrimoni finanziari detenuti all’estero nel 2020 senza adeguata dichiarazione. L’obiettivo dichiarato è far emergere spontaneamente queste attività estere con sanzioni ridotte, mediante ravvedimento operoso (si ricordi che la sanzione per omessa dichiarazione in RW va dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato, raddoppiata dal 6% al 30% se detenuto in paradisi fiscali, ma col ravvedimento è ridotta a 1/6 del minimo).
- Cripto-attività non dichiarate – con la crescente diffusione di criptovalute e altri asset digitali (NFT, etc.), il Fisco ha iniziato a monitorare anche questi ambiti. Dal 2023 è in vigore una normativa ad hoc (art. 1 commi 126-147 L.197/2022) che definisce le cripto-attività e impone di dichiararle, sia ai fini del monitoraggio (Quadro RW) sia per tassare le eventuali plusvalenze (26% sulle plusvalenze annue eccedenti €2.000). Anche prima della riforma, tuttavia, la giurisprudenza riteneva imponibili i redditi “in natura” derivanti da criptovalute: una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen. sez. III n. 8269/2025) ha confermato che omettere di dichiarare proventi ottenuti tramite accredito di criptovalute (nel caso specifico, ricavi da vendita di opere digitali NFT pagate in Ethereum) costituisce violazione fiscale, configurabile come dichiarazione infedele; tali introiti vanno qualificati come redditi (nel caso di specie, redditi di lavoro autonomo ex artt. 53-54 TUIR) e, se il loro controvalore supera le soglie di punibilità del D.Lgs. 74/2000, scatta anche il reato penale. Dunque, chi ha realizzato guadagni in cripto-attività senza riportarli in dichiarazione può aspettarsi lettere di compliance o controlli mirati. Per il passato, la Legge di Bilancio 2023 aveva persino previsto una procedura di regolarizzazione delle cripto-attività non dichiarate (una sorta di “sanatoria” una tantum) con pagamento di un’imposta sostitutiva del 3,5% sul valore delle criptovalute non dichiarate, oltre a una sanzione ridotta dello 0,5% per ciascun anno di ritardo in luogo delle sanzioni ordinarie sul monitoraggio. Tale finestra si è chiusa a novembre 2023. Chi non ne ha usufruito e riceve ora una lettera, dovrà regolarizzare con i mezzi ordinari (ravvedimento) o eventualmente affrontare un accertamento fiscale sulle criptovalute.
- Altre anomalie formali o di versamento – ad esempio, incongruenze nei modelli ISA (Indicatori Sintetici di Affidabilità fiscale): punteggi di affidabilità molto bassi o scostamenti significativi dagli indici di settore possono generare segnalazioni. Oppure errori nei versamenti F24 (importi non versati o versati su codici tributo errati), omesse ritenute fiscali da parte del sostituto d’imposta, crediti d’imposta anomali o utilizzati in compensazione in modo irregolare, bonus edilizi fruiti indebitamente, difformità tra fatture elettroniche e dichiarazione IVA (es. volume d’affari IVA inferiore alla sommatoria delle fatture emesse), ecc. Tutte queste situazioni rientrano nell’attività di prevenzione: l’Agenzia segnala e chiede al contribuente di verificare e correggere eventuali errori.
In ogni lettera di compliance la situazione contestata viene descritta in modo dettagliato. Per le persone fisiche, di solito la comunicazione elenca i redditi o importi che risultano non dichiarati, suddivisi per tipologia (es. “redditi di lavoro dipendente estero: €XX”, “redditi da locazione: €YY”, ecc.). Spesso è inclusa una tabella riepilogativa delle categorie di reddito interessate e la relativa annualità. Per le partite IVA (imprese o autonomi), la lettera indica l’anomalia riscontrata, l’eventuale maggiore imponibile non dichiarato che potrebbe essere contestato e la fonte dei dati utilizzati per il confronto (es. comunicazioni IVA, dati dei corrispettivi, fatture elettroniche, ecc.). In allegato, l’Agenzia fornisce istruzioni pratiche: come accedere al proprio Cassetto Fiscale online per consultare i dettagli, come utilizzare il servizio telematico CIVIS per ricevere assistenza o inviare documentazione, e come eventualmente presentare una dichiarazione integrativa. Insomma, la lettera spiega già cosa fare sia nel caso in cui il contribuente riconosca l’errore, sia nel caso in cui ritenga infondato l’addebito.
Da notare: esistono altre comunicazioni fiscali che non vanno confuse con le lettere di compliance. Ad esempio, le “comunicazioni di irregolarità” ex art. 36-bis DPR 600/73 (avvisi bonari) sono gli esiti del controllo automatico sulle dichiarazioni presentate: se dal controllo risultano imposte o versamenti non corretti, l’Agenzia invia una comunicazione con l’indicazione delle somme da versare (imposta, interessi e sanzione ridotta al 10% se si paga entro 30 giorni). Queste comunicazioni contengono già una pretesa pecuniaria e, in caso di mancato pagamento, vengono iscritte a ruolo (diventando cartelle esattoriali); per la giurisprudenza, quando recano una quantificazione definitiva delle imposte dovute, sono atti impugnabili dal contribuente. Le lettere di compliance, invece, non indicano importi da pagare immediatamente (se non eventualmente un prospetto ipotetico delle maggiori imposte calcolate) e non sono impugnabili come atti impositivi proprio perché sono meri inviti alla regolarizzazione. In caso di inerzia, sarà l’eventuale successivo avviso di accertamento a contenere la richiesta esigibile, contro cui il contribuente potrà ricorrere. È importante avere chiara questa differenza per sapere come reagire: una lettera di compliance richiede essenzialmente una valutazione interna e una decisione (correggersi o dare spiegazioni), mentre una comunicazione ex 36-bis richiede di norma o il pagamento (magari segnalando eventuali errori tramite CIVIS) o la predisposizione di un ricorso se si contesta la pretesa.
Come reagire alla lettera: verifiche preliminari e opzioni a disposizione
Vediamo ora cosa fare concretamente quando si riceve una lettera dall’Agenzia relativa a redditi non dichiarati. È fondamentale mantenere la calma e affrontare la situazione in modo analitico e tempestivo. I passi da seguire sono generalmente i seguenti:
1. Leggere attentamente la comunicazione e identificarne l’oggetto: come primo passo occorre capire quale reddito o violazione specifica viene contestata. La lettera dovrebbe indicare l’anno d’imposta interessato e la natura dell’anomalia (ad es. “redditi di lavoro autonomo non dichiarati per l’anno X”, oppure “mancata compilazione del Quadro RW per attività estere nell’anno Y”, ecc.). Verificate se la lettera proviene dalla Divisione Accertamento centrale o dalla Direzione Provinciale: in entrambi i casi, comunque, il tono sarà collaborativo e vi inviterà a “mettervi in regola”. All’interno troverete spesso riferimenti a documenti o dati: ad esempio, nel caso di redditi esteri, potrebbero citare la comunicazione ricevuta tramite scambio di informazioni internazionali; nel caso di compensi da piattaforme online, potrebbero menzionare i dati trasmessi da quelle società. Prendete nota di tutto e, se avete un consulente fiscale, fategli avere copia integrale della lettere subito.
2. Verificare la fondatezza dell’anomalia segnalata: una volta compreso cosa vi viene contestato, confrontate quel dato con la vostra documentazione e la dichiarazione dei redditi presentata per l’anno in oggetto. Avete effettivamente omesso quel reddito? Oppure l’avete dichiarato in modo differente (magari su un altro quadro) o ritenete che non fosse imponibile? Questa analisi è cruciale. Può capitare, ad esempio, che un contribuente abbia percepito un reddito estero su cui ha già pagato imposte all’estero e, ritenendolo non imponibile in Italia per convenzione, non l’abbia inserito in dichiarazione: la lettera lo segnalerà comunque come “non dichiarato”, ma in tal caso potreste dover chiarire che si trattava di reddito esente o già tassato altrove (presentando documentazione a supporto). Oppure potreste accorgervi che effettivamente c’è stata una dimenticanza o un errore materiale (es. avete presentato il modello Redditi ma vi siete dimenticati di compilare il Quadro RW, oppure il vostro commercialista ha tralasciato un CU dei redditi di lavoro dipendente estero, etc.). Se l’anomalia è fondata, conviene ammetterlo a voi stessi: negare l’evidenza non serve, meglio concentrarsi su come regolarizzare il tutto minimizzando le conseguenze. Se invece ritenete che la segnalazione sia sbagliata, appuntate quali prove documentali possono dimostrarlo (contratti, attestati di doppia tassazione, ricevute di versamenti già effettuati, ecc.).
3. Valutare i tempi a disposizione: la lettera di solito indica un termine (non perentorio in senso legale, ma indicativo) entro cui l’Agenzia “consiglia” di provvedere alla regolarizzazione o di fornire chiarimenti. Spesso viene concesso un lasso di tempo di 30 giorni o 60 giorni dalla ricezione. Ad esempio, potreste leggere frasi del tipo: “Se intende fornire elementi o regolarizzare la Sua posizione, La invitiamo a farlo entro [data] al fine di evitare l’emissione di un avviso di accertamento”. È importante rispettare il termine indicato, per dimostrare spirito collaborativo e perché, scaduto quel periodo, l’ufficio potrebbe già procedere con l’accertamento. In mancanza di un termine esplicito, vale la regola del buon senso: agire il prima possibile, comunque prima che scadano i termini di decadenza per l’accertamento di quell’anno (in genere il 31 dicembre del quinto anno successivo, o del settimo se dichiarazione omessa). Va detto che l’Agenzia, specie per redditi facilmente quantificabili, oggi è piuttosto rapida: se la lettera arriva a metà 2025 per redditi 2021, è probabile che entro il 2026 venga notificato l’accertamento se non vi attivate. Dunque non conviene attendere troppo. Detto ciò, la notifica della lettera di compliance non sospende formalmente i termini di decadenza dell’accertamento (non essendo un atto endoprocedimentale tipizzato); semplicemente è un passaggio che anticipa l’eventuale avviso. La tempistica della risposta è quindi essenzialmente quella suggerita dalla lettera stessa.
4. Scegliere come procedere: ravvedersi o contestare? A questo punto, in base alla verifica fatta, dovete decidere se adescare l’invito dell’Agenzia e regolarizzare quanto omesso, oppure se contestare/correggere i dati qualora riteniate che l’Agenzia abbia sbagliato bersaglio. In altre parole, le opzioni sono due: (A) Ravvedimento operoso, con invio di una dichiarazione integrativa e pagamento del dovuto con sanzioni ridotte, oppure (B) Risposta difensiva all’Agenzia, inviando elementi a vostro favore. Analizziamo entrambe le strade nel dettaglio.
Regolarizzare con il ravvedimento operoso: come fare e quali vantaggi offre
Se riconoscete di aver omesso o sottodichiarato redditi, la soluzione generalmente più conveniente è procedere alla regolarizzazione spontanea tramite ravvedimento operoso. Il ravvedimento operoso (disciplinato dall’art. 13 D.Lgs. 472/1997) è lo strumento che consente al contribuente di sanare spontaneamente errori o omissioni fiscali, beneficiando di sanzioni amministrative ridotte in misura tanto più favorevole quanto più tempestivo è il ravvedimento stesso. In sostanza, presentando una dichiarazione integrativa e pagando quanto dovuto prima che il Fisco avvii un accertamento formale, ci si “mette in pari” evitando le pesanti sanzioni ordinarie per l’evasione accertata. Vediamo operativamente come procedere:
- Preparare la Dichiarazione integrativa: bisogna compilare un nuovo modello Redditi (o 730 integrativo se il reddito omesso riguardava la dichiarazione 730) per l’anno in questione, includendo i redditi precedentemente non dichiarati. Ad esempio, se la lettera segnala redditi esteri non dichiarati per il 2021, si dovrà predisporre un Modello Redditi PF 2022 “Integrativo” relativo all’anno d’imposta 2021, inserendo nel Quadro RW le attività estere possedute e nei quadri reddituali (RL, RM, RT o altri a seconda del tipo) i redditi di fonte estera non dichiarati. Se trattasi di compensi di lavoro autonomo non dichiarati, andranno aggiunti nel Quadro RE o LM (a seconda del regime) della dichiarazione integrativa; se sono canoni di locazione non dichiarati, nel Quadro RB, e così via. Importante: la dichiarazione integrativa deve contenere solo gli elementi aggiuntivi o correttivi rispetto a quella originaria (non è una dichiarazione ex novo, ma un’integrazione). In pratica, si riprende il modello già presentato e vi si aggiungono/correggono i dati errati. Molti software fiscali gestiscono in automatico le integrative, calcolando anche le differenze d’imposta e le sanzioni.
- Calcolo delle imposte e interessi: nella dichiarazione integrativa risulterà una maggiore imposta dovuta (o una minore eccedenza a credito) rispetto alla dichiarazione originaria. Occorre determinare l’ammontare di questa imposta evasa e calcolare gli interessi legali dovuti su di essa, dal giorno in cui il tributo avrebbe dovuto essere versato (tipicamente il saldo IRPEF dell’anno o l’acconto, a seconda dei casi) fino al giorno in cui effettivamente verserete con ravvedimento. Il tasso di interesse legale è attualmente del 2,5% annuo per il 2024 e del 2,0% per il 2025 (era del 5% nel 2023) – va applicato pro rata temporis. L’Agenzia delle Entrate mette a disposizione anche un’applicazione online per calcolare automaticamente interessi e sanzioni dovute in caso di ravvedimento, accessibile nella sezione “Calcolo delle sanzioni e interessi” del portale “Compliance per i cittadini”.
- Calcolo delle sanzioni in misura ridotta: questo è il punto nodale. Il ravvedimento operoso comporta il pagamento di una sanzione amministrativa ridotta rispetto a quella normalmente prevista. Qual è la sanzione “normale” in caso di omessa/infedele dichiarazione? In generale:
– Per dichiarazione infedele (quando una dichiarazione è stata presentata ma alcuni redditi non vi figurano o sono indicati in misura inferiore al reale) la sanzione base va dal 90% al 180% dell’imposta evasa (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/1997). Il minimo edittale è dunque 90%.
– Per omessa dichiarazione (quando non si è presentata affatto la dichiarazione annuale) la sanzione base va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250 (art. 1, c.1 D.Lgs. 471/97). Se però la dichiarazione omessa viene presentata entro il termine della dichiarazione dell’anno successivo (cosiddetta “dichiarazione tardiva entro l’anno”), la sanzione è ridotta alla metà: quindi dal 60% al 120%. Ciò significa che chi “si ravvede” entro l’anno successivo all’omissione viene trattato come infedele (minimo 60%) invece che come completamente omesso. Tenendo presenti queste percentuali, il ravvedimento operoso consente ulteriori riduzioni frazionarie di tali sanzioni. La norma (art.13 D.Lgs.472/97) prevede diverse aliquote ridotte in funzione del momento in cui si effettua la regolarizzazione. Senza entrare in eccessivi tecnicismi, possiamo riepilogare così le principali casistiche applicabili ai redditi non dichiarati:- Ravvedimento “sprint” (entro 14 giorni): sanzione ridotta a 1/15 del minimo per ciascun giorno di ritardo. Questa fattispecie si applica tipicamente ai versamenti omessi/insufficienti più che alle dichiarazioni, ed equivale a circa 0,1% dell’imposta per giorno di ritardo (considerando il 15% di sanzione per versamenti entro 90 giorni). È poco rilevante per redditi non dichiarati, perché l’omissione di un reddito difficilmente si scopre e si sana entro 2 settimane dalla scadenza dichiarativa; vale però ad esempio se vi accorgete a pochi giorni dall’invio del 730 di aver dimenticato un reddito e integrate subito.
- Ravvedimento breve (entro 90 giorni): sanzione ridotta a 1/9 del minimo. Questo vale per violazioni sanate entro 90 giorni dalla scadenza. Nel caso di omesso versamento, equivale a 1,67% circa (cioè 1/9 di 15%). Nel caso di dichiarazione infedele sanata entro 90 giorni (es. invio di integrativa entro 3 mesi dalla scadenza originaria), la sanzione sarebbe 1/9 di 90%, quindi 10% dell’imposta evasa. Di nuovo, capita di rado per i redditi (ma potrebbe, ad es., se vi accorgete a ottobre di aver dimenticato un reddito nel mod. Redditi inviato a giugno, e fate integrativa subito).
- Ravvedimento entro un anno (dichiarazione dell’anno successivo): sanzione ridotta a 1/8 del minimo. Per i versamenti, corrisponde a 3,75% (1/8 di 30%). Per i redditi infedeli, 1/8 di 90% = 11,25% dell’imposta evasa. Questa soglia temporalmente coincide con la presentazione della dichiarazione dell’anno successivo. Molti contribuenti che ricevono lettere di compliance entro un anno dall’errore possono rientrare in questa fascia.
- Ravvedimento entro il secondo anno:
- Regime fino al 31/8/2024: sanzione ridotta a 1/7 del minimo se l’errore viene sanato oltre l’anno ma entro due anni. Per infedele: 1/7 di 90% = 12,86%.
- Dal 1/9/2024: la riforma ha modificato questa soglia: ora la riduzione 1/7 non è più legata ai “due anni”, ma diventa applicabile in un caso diverso (ravvedimento dopo una comunicazione di irregolarità non seguita da PVC e senza adesione presentata). Ciò rientra nelle situazioni di ravvedimento post-lettera, di cui diremo tra poco.
- Ravvedimento oltre i due anni (e prima di accertamento):
- Fino al 31/8/2024: sanzione ridotta a 1/6 del minimo per violazioni regolarizzate dopo due anni. Nel classico caso di lettera compliance ricevuta a distanza di più di due anni dal periodo d’imposta (es. lettera nel 2024 per redditi 2020), chi si ravvede paga 15% dell’imposta evasa (1/6 di 90%). Esempio: se su €10.000 di redditi non dichiarati l’imposta evasa è €3.000, la sanzione minima ordinaria sarebbe €2.700 (90%). Col ravvedimento oltre 2 anni paga solo €450 (il 15% di 3.000), con un risparmio enorme.
- Dal 1/9/2024: la riforma 2024 ha confermato la riduzione 1/6 ma ridefinito la cornice temporale: ora 1/6 si applica se la regolarizzazione avviene dopo la ricezione di una “comunicazione dello schema di atto” non preceduto da PVC, senza che sia stata presentata istanza di accertamento con adesione. In pratica, anche se vi arriva un avviso di accertamento “in bozza” (alcune normative speciali prevedono che prima di emettere l’accertamento le Entrate trasmettano uno schema di atto per il contraddittorio, ad es. negli accertamenti sintetici o in alcuni casi di indagini finanziarie), potete ancora ravvedervi prima che quell’atto diventi definitivo, pagando 1/6. Questo indica quanto ormai il ravvedimento sia spinto al limite temporale.
- Ravvedimento dopo PVC (processo verbale della Guardia di Finanza): se le violazioni emergono da un PVC, la legge pre-riforma concedeva ravvedimento con sanzione a 1/5 del minimo se ci si ravvede dopo il PVC ma prima di ricevere un accertamento. La riforma dal 1/9/2024 mantiene 1/5, specificando che deve avvenire dopo il PVC e prima della comunicazione dello schema d’atto, e senza aver presentato adesione al PVC. Questa situazione riguarda più chi subisce verifiche fiscali dalla Guardia di Finanza – poco attiene alle lettere di compliance (che sono appunto volte a evitare di arrivare a un PVC).
- Ravvedimento speciale 2023: per completezza ricordiamo che la Legge 197/2022 ha introdotto un ravvedimento operoso speciale per le violazioni riferite ad anni fino al 2021, con possibilità di sanare entro il 31/03/2023 pagando solo 1/18 del minimo della sanzione. Tale procedura straordinaria è stata utilizzata da alcuni per regolarizzare situazioni pregresse (incluse quelle segnalate nelle lettere di compliance). Ad oggi questa finestra si è chiusa e non risulta prorogata.
In sintesi, ravvedersi conviene perché consente di pagare sanzioni molto ridotte. Nella maggior parte dei casi pratici di lettere su redditi non dichiarati, siamo nella situazione di ravvedimento “oltre l’anno” o “oltre i due anni”, quindi con sanzione effettiva pari a 1/8, 1/7 o 1/6 del minimo edittale (a seconda del momento e della normativa applicabile). Tradotto in valori percentuali, parliamo di sanzioni tra il 12% e il 15% circa dell’imposta evasa (per infedele) invece che 90%. Se la violazione riguarda il monitoraggio estero (Quadro RW) la sanzione base 3-15% del valore viene ridotta a 1/6, cioè 0,5% sulle attività detenute (nell’esempio di €50.000 non dichiarati in RW, la sanzione in caso di ravvedimento era di soli €250, come visto). Queste percentuali ridotte si applicano pagando spontaneamente prima che l’Ufficio vi notifichi atti di accertamento o comunicazioni con somme dovute. Attenzione: una volta notificato un avviso bonario ex 36-bis o un avviso di accertamento, il ravvedimento operoso non è più ammesso su quelle somme. Dunque bisogna cogliere “il treno” prima che passi: dopo aver ricevuto ad esempio un avviso bonario, non potreste più pagare 1/6 della sanzione, ma solo eventualmente beneficiare del 10% di sanzione se pagate entro 30gg quella comunicazione. E dopo un avviso di accertamento, la sanzione piena è di regola il 90%, riducibile al massimo al 30% con acquiescenza o adesione (cioè paghereste comunque tre volte tanto rispetto al ravvedimento).
Per procedere con il ravvedimento, ecco cosa bisogna fare operativamente dopo aver calcolato imposte, interessi e sanzioni ridotte:
- Versare il dovuto con modello F24: il pagamento va effettuato tramite mod. F24, utilizzando i codici tributo appropriati. In caso di dichiarazione integrativa, generalmente si useranno:
- i normali codici tributo delle imposte dovute (es. 4001 per IRPEF saldo, 4034 per addizionale, etc.) per gli importi di imposta e relativi interessi;
- appositi codici tributo per le sanzioni da ravvedimento. L’Agenzia delle Entrate ha istituito specifici codici per le sanzioni da ravvedimento, spesso differenziati per tributo e tipologia. Ad esempio, esiste un codice per la sanzione da infedele dichiarazione ravveduta su IRPEF, uno per IVA, uno per IVAFE/IVIE, ecc. Nel caso del ravvedimento speciale 2023 furono introdotti codici TF45-TF56 per le sanzioni ridotte a 1/18, ma per il ravvedimento ordinario si usano i codici standard (ad es. “8901” per sanzioni da imposte sui redditi).
- Codice atto: se nella lettera di compliance è indicato un “codice atto” (un numero identificativo del caso anomalo), inseritelo nel campo specifico del mod. F24: servirà all’Agenzia per associare il pagamento alla vostra posizione e riconoscere che avete aderito alla compliance.
È essenziale suddividere correttamente le somme nel modello F24 (imposta, interessi, sanzione) secondo le istruzioni fornite. In allegato alla lettera spesso trovate un prospetto di ausilio per la compilazione della dichiarazione integrativa e per il calcolo di sanzioni e interessi dovuti. Se avete dubbi, il consiglio è di far predisporre tutto al vostro commercialista o consulente fiscale: un errore nel pagamento potrebbe vanificare il ravvedimento.
- Presentare la dichiarazione integrativa: il ravvedimento si perfeziona con il pagamento e con la presentazione della dichiarazione integrativa (se la violazione consisteva in dati omessi in dichiarazione). La tempistica consigliata è: preparare l’integrativa, effettuare il versamento F24 e inviare telematicamente la dichiarazione integrativa (tramite Entratel/Fisconline, direttamente o tramite intermediario abilitato). Alla dichiarazione integrativa va barrata l’apposita casella (“Dichiarazione integrativa”) e occorre indicare l’anno cui si riferisce e il codice motivo (ad es. “1” se integrativa a favore Fisco). Ricordate che per le persone fisiche e società di persone è possibile inviare dichiarazioni integrative entro il 31 dicembre del quinto anno successivo (termine di decadenza dell’accertamento); oltre tale termine, tecnicamente non si può più presentare una dichiarazione integrativa, ma ciò coincide col fatto che l’anno non sarebbe più accertabile dal Fisco. Nel nostro caso, comunque, le lettere di compliance arrivano ben prima.
- Comunicare all’Agenzia l’avvenuta regolarizzazione (facoltativo): in teoria, una volta effettuato il ravvedimento, non è obbligatorio rispondere alla lettera perché l’Agenzia se ne accorge autonomamente (grazie al codice atto sul pagamento e all’integrativa pervenuta). Tuttavia, per scrupolo, alcuni contribuenti preferiscono inviare una breve comunicazione all’ufficio (anche via PEC) indicando di aver ricevuto la lettera protocollo XYZ e di aver provveduto a regolarizzare mediante integrativa e F24, allegando copia dei versamenti. Questo può contribuire a chiudere la questione più rapidamente nei sistemi interni. In alternativa, CIVIS (il canale telematico di assistenza) permette di caricare documenti: potreste caricare la ricevuta di invio dell’integrativa e l’F24 quietanzato, in risposta alla comunicazione. Non è un passaggio richiesto formalmente, ma può farvi stare tranquilli che l’ufficio abbia registrato l’adempimento.
Vantaggi del ravvedimento operoso:
Come evidenziato, il ravvedimento presenta significativi vantaggi per il contribuente:
- Sanzioni ridotte al minimo – Si paga solo una frazione ridotta della sanzione altrimenti applicabile, tipicamente dal 1/10 al 1/6 circa (cioè dal 1% al 15% circa, a seconda dei casi), evitando le pesantissime percentuali edittali (90%, 120% ecc.). In soldoni, il risparmio può essere di migliaia di euro. Abbiamo visto l’esempio: €3.000 di imposta evasa → sanzione piena 90% = €2.700; sanzione ravvedimento 15% = €450. Anche rispetto ad altre forme di definizione successiva, il ravvedimento risulta economicamente più conveniente (adesione o acquiescenza vi porterebbero a circa 30% di sanzione, la conciliazione giudiziale al 40%, il ravvedimento scende al 15% o meno). La Tabella 1 confronta, a titolo illustrativo, il carico sanzionatorio in vari scenari.
- Interessi esigui – Gli interessi legali, pur applicati, sono a tassi contenuti (2-5% annuo) e per periodi relativamente brevi, per cui incidono poco. Decisamente preferibile pagarli col ravvedimento che vedersi poi addebitare interessi di mora ben più alti durante la riscossione coattiva.
- Nessun ulteriore accertamento o sanzione – Una volta che avrete integrato e pagato, la posizione è sanata per quell’anno e quel rilievo. L’Agenzia non avrà motivo di procedere oltre. La stessa lettera di compliance, per definizione, vi offre la possibilità di “mettervi a posto” e, così facendo, eviterete controlli futuri su quella specifica irregolarità. L’accertamento formale viene emesso solo se non vi ravvedete o se non convincete il Fisco con spiegazioni.
- Nessuna iscrizione a ruolo né procedura esattiva – Regolarizzando spontaneamente, non si innesca la filiera della riscossione forzata. In pratica, non riceverete cartelle esattoriali per queste somme, né subirete aggi e interessi di mora. L’attività di compliance è proprio finalizzata a evitare la fase coattiva. Ciò vi mette al riparo da spiacevoli azioni come pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche, che invece potrebbero derivare da una cartella post-accertamento ignorata.
- Migliora l’affidabilità fiscale e riduce future verifiche – Regolarizzare di propria iniziativa è visto positivamente: dimostra collaborazione e trasparenza verso il Fisco. Nel sistema di compliance rating dell’Agenzia (gli ISA, ecc.), un contribuente che aderisce agli inviti probabilmente risulterà meno a rischio evasione e potrà avere meno probabilità di subire verifiche invasive in futuro. Al contrario, ignorare gli inviti di compliance potrebbe “segnalarvi” come soggetto non cooperativo, aumentando il rischio di ulteriori controlli negli anni successivi.
Naturalmente, il ravvedimento operoso comporta che dobbiate versare quanto dovuto (imposte, se dovute, e sanzioni seppur ridotte). Se l’importo non è immediatamente reperibile, valutate la possibilità di farvi assistere da un professionista per calcolare esattamente il dovuto e magari rateizzate le vostre risorse (ad esempio pagando una parte a titolo di ravvedimento ora e preparando la restante liquidità). Non è previsto un pagamento rateale “ufficiale” per il ravvedimento: dovete versare integralmente le somme per perfezionarlo. Tuttavia, nessuno vi vieta di effettuare più pagamenti frazionati (ad esempio presentando più F24 in giorni diversi) purché completiate il versamento di tutto prima che l’ufficio vi notifichi qualcosa. Se proprio non riuscite a pagare l’intero importo, è meglio pagare il più possibile spontaneamente: così, eventuale residuo che verrà accertato formalmente risulterà minore (e potrete chiedere rateazione su quello). In ogni caso, per somme ingenti che non riuscite a versare, potrebbe essere opportuno consultare un esperto: a volte si può valutare di attendere l’accertamento per ottenere un piano di rateazione più strutturato, ma è una scelta da ponderare considerando il costo delle sanzioni piene.
Tabella 1 – Confronto sanzioni applicabili su imposta evasa di €3.000 (ipotesi di redditi non dichiarati)
Scenario risoluzione | Sanzione applicata | Importo sanzione (€) | Note |
---|---|---|---|
Ravvedimento operoso entro 2+ anni | 1/6 del minimo (15% dell’imposta evasa) | 450 | Ravvedimento oltre 2 anni su infedele (15% di 3.000) |
Ravvedimento entro 1 anno | 1/8 del minimo (~11,25%) | 338 | Se integrativa presentata entro anno succ. (11,25% di 3.000) |
Avviso bonario 36-bis (pagato entro 30 gg) | 10% dell’imposta | 300 | Riduzione a 1/3 della sanzione del 30% su controllo automatizzato |
Accertamento con adesione/acquiescenza | 1/3 del minimo edittale (30% dell’imposta) | 900 | Accettazione atto con riduzione sanzioni di 1/3 (sanz. base 90%) |
Conciliazione giudiziale (1° grado) | 40% del minimo edittale | 1.080 | Definizione in giudizio di primo grado (40% di 90% = 36% imposta) |
Contenzioso perso (sentenza definitiva) | 100% del minimo (90% dell’imposta) | 2.700 | Sanzione piena in caso di soccombenza totale in giudizio |
(La tabella mostra come il ravvedimento sia la soluzione meno onerosa: nel caso illustrativo, la sanzione scende a 450 €, contro 900 € in adesione e 2.700 € se si subisce un accertamento senza riduzioni. Anche rispetto a un avviso bonario 36-bis – tipicamente 10% se pagato subito – va notato che il ravvedimento su infedele è più “costoso” (15% vs 10%), ma occorre considerare che il 36-bis riguarda in genere errori di calcolo o versamenti omessi su dichiarazioni presentate. Per omissioni di redditi, di norma si passa direttamente all’accertamento, dove le sanzioni sarebbero ben più alte.)
In conclusione, se dalla vostra analisi risulta che effettivamente avete omesso di dichiarare redditi o commesso l’irregolarità segnalata, aderire alla compliance e ravvedersi immediatamente è quasi sempre la scelta migliore. Come sintetizzato efficacemente dagli esperti, ignorarla è tecnicamente possibile ma fortemente sconsigliato, perché la compliance è concepita come un’opportunità per voi: meglio coglierla.
Esempio pratico: Marco è un libero professionista che nel 2021 ha percepito €20.000 tramite una piattaforma online estera, omettendo di dichiararli. Nel 2024 riceve una lettera di compliance che segnala “redditi di lavoro autonomo estero non dichiarati per 2021”. Marco verifica e riconosce l’errore. Su €20.000, l’IRPEF evasa (aliquota marginale 38% supponiamo) è circa €7.600. La sanzione per infedele (90%) sarebbe €6.840. Marco, tramite il commercialista, presenta nel 2024 la dichiarazione integrativa 2022 per il 2021, aggiungendo i €20.000 nel quadro RE, e versa: imposta €7.600 + interessi (~€500) + sanzione ridotta 1/6 di €6.840 = €1.140. In totale circa €9.240. Se Marco avesse ignorato la lettera, probabilmente nel 2025 sarebbe arrivato un avviso di accertamento con imposta €7.600 + sanzione minima 90% €6.840 + interessi legali + sanzione accessoria per omessa IVAFE (se quei soldi erano su conto estero) + spese. Anche optando per l’accertamento con adesione, la sanzione sarebbe ridotta a 30% = €2.280, portando il conto a circa €10.380 più interessi. Andare in giudizio sarebbe ancora più incerto e costoso. Dunque il ravvedimento ha fatto risparmiare a Marco oltre €1.000 e soprattutto gli ha evitato una lunga procedura. Inoltre, avendo regolarizzato spontaneamente, non verrà segnalato per il reato di infedele dichiarazione (che scatta oltre €50.000 di imposta evasa, non il caso suo) e la sua affidabilità fiscale risulta “recuperata”.
Contestare la pretesa: chiarimenti e istanza in autotutela
Se dopo aver esaminato la situazione ritenete che la segnalazione dell’Agenzia sia errata o infondata, non dovete ovviamente “ravvedervi” su qualcosa che ritenete corretto. In questi casi, la strada da percorrere è fornire risposta all’Agenzia delle Entrate spiegando perché non c’è alcuna violazione, possibilmente allegando i documenti probanti. La lettera stessa in genere indica che “se il contribuente non ritiene corretti i dati in possesso dell’Agenzia, può comunicarlo inviando elementi e documenti di cui l’Amministrazione non era a conoscenza”. Dunque avete pieno diritto di far valere le vostre ragioni.
Come rispondere? Non esiste un modulo prestabilito valido per tutte le situazioni, ma potete utilizzare uno dei canali di comunicazione messi a disposizione dall’Agenzia:
- Servizio CIVIS: è il canale online (accessibile dall’area riservata del sito Agenzia) per interagire su comunicazioni di irregolarità e avvisi. Anche per le lettere di compliance è possibile utilizzare CIVIS scegliendo l’area “Compliance” o “Comunicazioni anomalie”. Potete caricare in formato elettronico la documentazione giustificativa e un messaggio esplicativo.
- Email/PEC all’ufficio competente: la lettera dovrebbe riportare i riferimenti dell’ufficio o del team che l’ha inviata (es. Direzione Provinciale di XX – Settore controlli). Spesso viene fornito un indirizzo email o PEC a cui inviare eventuali chiarimenti. È opportuno utilizzare la PEC (posta elettronica certificata), così avrete prova della consegna. Nella comunicazione citerete il numero di protocollo della lettera e spiegherete sinteticamente perché contestate l’anomalia, allegando i documenti rilevanti.
- Telefono o appuntamento in ufficio: l’Agenzia ricorda che si può chiamare il Centro di Assistenza Multicanale (CAM) ai numeri indicati (848.800.444 da fisso, 06.96668907 da cellulare) selezionando l’opzione relativa alle comunicazioni. Tramite il call center potreste ottenere spiegazioni o segnalare verbalmente le vostre ragioni, ma è sempre meglio inviare anche qualcosa di scritto. In alternativa, potete recarvi di persona presso la vostra Direzione Provinciale o un Ufficio Territoriale: portate con voi copia della lettera e dei documenti. L’operatore potrà protocollare le vostre spiegazioni e documenti nel sistema. A onor del vero, oggigiorno è preferibile la via telematica (PEC/CIVIS) che garantisce tracciabilità.
Quali argomentazioni portare? Dipende dal caso. Eccone alcuni esempi:
- Se la lettera contesta redditi esteri non dichiarati ma voi li avevate già tassati all’estero e, secondo la convenzione internazionale, esenti in Italia, dovrete farlo presente. Ad esempio, “Con riferimento alla Vs comunicazione, preciso che l’importo di €10.000 segnalato come ‘reddito estero non dichiarato’ è relativo a una pensione percepita in [Paese estero] già tassata alla fonte e esente da imposizione in Italia ai sensi dell’art. XX della Convenzione Italia-[Paese]. Si allega certificazione dell’ente pensionistico estero e riferimento normativo.” In situazioni del genere, l’Agenzia può aver segnalato per scrupolo, ma una volta ricevuta spiegazione archivierà la posizione.
- Se la lettera segnala, ad esempio, vendite online non dichiarate, ma voi potete dimostrare che erano solo vendite occasionali di beni usati di proprietà (quindi non tassabili), potreste rispondere che quei movimenti non configurano reddito tassabile. Allegare eventualmente documenti che provano la natura degli oggetti venduti, ecc.
- Se l’anomalia riguarda errata imputazione temporale (es. un reddito percepito a cavallo d’anno che l’Agenzia vede non dichiarato nel 2021, ma in realtà voi lo avete dichiarato nel 2022), spiegate la circostanza indicando gli estremi delle dichiarazioni in cui è confluito. A volte errori del genere nascono da incongruenze nelle comunicazioni: chiarirle può risolvere senza bisogno di pagare nulla.
- In generale, fornite quanti più elementi possibili a supporto della vostra tesi, in modo chiaro e conciso. Mettetevi nei panni di chi legge dall’altra parte: dovrà capire e avere evidenze per archiviare la segnalazione.
Spesso una risposta ben documentata risolve la questione: l’ufficio prenderà atto e non procederà oltre (non avvierà alcun accertamento se effettivamente non c’è evasione). Secondo l’esperienza, se provate documentalmente l’inesattezza della pretesa, l’ufficio evita di emettere atti insostenibili pur di fare cassa. D’altronde, l’attività di compliance si fonda sull’idea del dialogo: possono esservi anche errori dei database o situazioni particolari sfuggite, e l’Agenzia è disponibile a recepire le spiegazioni.
Una modalità “tecnica” di inquadrare formalmente la vostra risposta è presentare un’istanza di autotutela. L’autotutela è il potere/dovere dell’Amministrazione finanziaria di correggere o annullare i propri atti quando risultino errati o illegittimi, anche senza bisogno di andare in giudizio. Nel contesto compliance, voi potete chiedere in autotutela che non venga emesso alcun atto impositivo perché, alla luce degli elementi forniti, non c’è base per un accertamento. Ad esempio, se la lettera vi accusa di non aver compilato il Quadro RW ma voi in realtà lo avevate compilato correttamente (magari è l’Agenzia che ha letto male i dati), potreste inviare un’“istanza in autotutela” allegando copia della vostra dichiarazione con RW compilato e chiedendo l’archiviazione della segnalazione. Oppure, se contestano redditi per €500 che sapete di non aver percepito, lo direte e chiederete di soprassedere all’accertamento (magari indicando che siete pronti a impugnare se insistono). L’istanza va indirizzata all’ufficio che ha emesso la lettera; non serve una forma rigidissima, basta la sostanza: chi siete, quale comunicazione contestate e cosa chiedete (archiviazione / revisione) motivandolo.
Va detto che l’autotutela è una facoltà discrezionale dell’Amministrazione: l’ufficio può decidere di non accogliere le vostre spiegazioni e andare avanti lo stesso, se ritiene la violazione sussistente. Tuttavia, almeno avrete pre-costituito le vostre difese e mostrato collaborazione. In caso di successivo accertamento, il giudice tributario valuterà positivamente il fatto che avevate già fornito elementi a discarico ignorati dall’ufficio. Spesso, comunque, per piccole pretese o errori evidenti, l’autotutela viene accolta: l’Agenzia preferisce evitare un contenzioso che sa di poter perdere.
E se l’Agenzia non si convince? Può capitare che, nonostante le vostre spiegazioni, l’ufficio non receda dalla sua posizione. Magari ritenete di aver ragione, ma l’Agenzia insiste che quei redditi andavano tassati. A questo punto, avendo già provato il dialogo, non siete obbligati a pagare qualcosa che ritenete non dovuto. Potete attendere che vi venga notificato l’avviso di accertamento e poi impugnarlo in Commissione Tributaria per far valere le vostre ragioni. Questa scelta ha senso soprattutto se l’importo in ballo è modesto o se siete assolutamente certi della correttezza della vostra posizione. Ad esempio, se la disputa è su €500 di presunti redditi non dichiarati e siete in grado di provare al giudice che avete ragione, può essere ragionevole non cedere. Tenete però presente che andare in contenzioso, pur quando si ha ragione, comporta tempi lunghi e spese (quantomeno dovrete pagare un contributo unificato di €30-50 per il ricorso e magari rivolgervi a un avvocato se non ve la sentite da soli). In caso di vittoria, vi saranno rimborsati eventuali pagamenti indebiti e normalmente anche le spese di lite (in misura contenuta). Se l’importo è piccolo e la questione di principio, è vostra facoltà rifiutare “mediazioni” e far decidere al giudice. L’importante è essere consapevoli dei pro e contro: molti contribuenti in pratica preferiscono pagare anche se convinti di aver ragione, pur di evitare la trafila giudiziaria. Ma questa è una valutazione soggettiva.
In generale, il nostro consiglio è di contestare formalmente solo quando si è abbastanza sicuri che l’Agenzia stia sbagliando e la somma sia significativa o comunque si voglia evitare un precedente. In tutti gli altri casi, specie se c’è un margine di dubbio, può convenire usare il ravvedimento operoso e chiudere la faccenda con costi ridotti, invece di prepararsi a una battaglia legale.
Va poi menzionato che recenti sviluppi giurisprudenziali hanno toccato il tema dell’autotutela “in malam partem”. Normalmente l’autotutela serve a correggere errori a favore del contribuente, ma cosa accade se l’Amministrazione volesse annullare un atto già emesso per emetterne uno più gravoso? Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 30051 del 21/11/2024, hanno stabilito che è legittimo l’esercizio dell’autotutela sostitutiva in peius, ossia l’Ufficio può annullare un precedente avviso di accertamento e sostituirlo con un nuovo atto contenente una pretesa maggiore, purché non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento. Questo significa che se, ad esempio, in seguito alle vostre spiegazioni l’ufficio si accorge che in realtà l’evasione è più alta di quanto inizialmente ipotizzato, potrebbe emettere un atto integrativo più pesante entro i termini. È una situazione rara in ambito compliance (di solito si parte da dati certi), ma era doveroso segnalarla. Per voi contribuenti, la lezione è: fornire spiegazioni all’Agenzia non peggiorerà la vostra posizione a meno che realmente emergano nuovi redditi occultati; in tal caso l’Ufficio potrà certamente accertarli (lo avrebbe fatto comunque, indipendentemente dalla vostra nota). Dunque non abbiate timore di comunicare: se siete in buona fede, l’autotutela gioca a vostro favore; se c’è altro da scoprire, il Fisco lo scoprirà comunque.
Riassumendo, se contestate l’anomalia: inviate una risposta scritta (via PEC, CIVIS o raccomandata) chiara e documentata entro i termini indicati nella lettera. Conservate la prova dell’invio. Nella maggioranza dei casi l’Agenzia, valutati gli elementi, archivierà la posizione senza ulteriori atti. Se ciò non accade e arriva comunque un accertamento, potrete difendervi in sede di ricorso, forti delle ragioni già illustrate.
Cosa succede se ignoro la lettera? Conseguenze e tempi dell’accertamento
Ignorare del tutto la lettera di compliance (senza né regolarizzare né dare risposta) è una scelta altamente rischiosa. Come più volte sottolineato, la mancata reazione spalanca le porte all’emissione di un avviso di accertamento vero e proprio, con tutte le conseguenze del caso. Vediamo quali sono queste conseguenze e con quali tempistiche potrebbero materializzarsi.
1. Emissione dell’Avviso di Accertamento – Trascorso il periodo indicato nella lettera senza che il contribuente faccia nulla, l’Agenzia inserisce il nominativo nel piano dei controlli formali. A quel punto, l’Ufficio competente provvederà a emettere un avviso di accertamento (art. 42 DPR 600/73 per le imposte dirette, art. 56 DPR 633/72 per l’IVA) in cui contesterà ufficialmente i redditi non dichiarati, determinando le maggiori imposte dovute e le relative sanzioni e interessi. L’accertamento verrà notificato al contribuente a mezzo raccomandata A/R o PEC, entro i termini di decadenza previsti dalla legge (di regola, il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione, oppure settimo anno se la dichiarazione era omessa). Esempio: redditi 2021 non dichiarati → termine accertamento 31/12/2026 (dich. infedele) o 31/12/2028 (se omessa). In pratica, però, come già detto, l’Agenzia tende a muoversi prima: non aspettatevi che lascino passare 5 anni; spesso l’accertamento segue entro pochi mesi o 1-2 anni dalla lettera.
L’avviso di accertamento conterrà: la descrizione dei fatti (es. “dai controlli effettuati risulta non dichiarato un reddito di €XX…”), la quantificazione delle imposte evase (IRPEF, addizionali, IVAFE, etc. a seconda dei casi), la determinazione delle sanzioni amministrative applicate e degli interessi calcolati fino alla data. Le sanzioni in accertamento, come visto, sono nella misura piena prevista dalla legge, salvo eventuali attenuanti indicate (es. non recidività, ecc., che comunque difficilmente riducono sotto il minimo). Spesso l’Agenzia applica il minimo edittale (90% o 120%) a meno che non ravvisi aggravanti specifiche. Ad esempio, in caso di dichiarazione infedele, ci si aspetta una sanzione del 90% dell’imposta evasa (aumentabile in presenza di redditi occultati con artifici, ma quello sarebbe un altro reato ancora). In caso di omessa dichiarazione, minimo 120%. Inoltre, l’avviso può cumulare sanzioni accessorie: ad esempio, se si tratta di redditi esteri non dichiarati, oltre alla sanzione sull’imposta evasa (90%) vi applicheranno anche la sanzione per omessa dichiarazione del Quadro RW (pari al 15% degli importi non monitorati, aumentata al 30% se paradiso fiscale). Insomma, il quadro sanzionatorio di un accertamento è molto salato.
Oltre alle sanzioni, dal giorno della notifica decorre un termine di 60 giorni entro cui il contribuente può pagare o impugnare. L’avviso notifica anche l’eventuale società di riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) decorsi i termini: ormai gli avvisi sono esecutivi, il che significa che se dopo 60 giorni non pagate né ricorrete, quelle somme potranno essere direttamente iscritte a ruolo ed esatte (non serve più attendere ulteriore cartella). Già l’accertamento stesso contiene l’intimazione a pagare entro 60 giorni.
2. Maggiorazione sanzioni e interessi di mora in caso di mancato pagamento – Se l’accertamento viene ignorato a sua volta (né pagato né impugnato), le somme saranno affidate all’Agente della Riscossione per il recupero forzoso. In questa fase si aggiungono:
- gli interessi di mora (attualmente circa 3,5-4% annuo) calcolati dal giorno successivo alla scadenza dei 60 gg;
- l’aggio di riscossione (circa il 6% delle somme iscritte a ruolo, più eventuali ulteriori spese).
Inoltre, la sanzione indicata in accertamento, se non pagata nei termini, subisce una maggiorazione del 10% (ciò vale per gli avvisi bonari; per gli accertamenti esecutivi, invece, l’atto stesso costituisce titolo esecutivo dopo 60gg). In ogni caso, il costo lievita. L’Agenzia Entrate-Riscossione poi potrà attivare le procedure esecutive: pignoramento di conti, stipendio, fermo auto, ipoteca immobiliare, ecc., in base all’entità del debito iscritto a ruolo. Questa è la fase che si voleva evitare attraverso la compliance: le lettere pre-ruolo servono proprio a non far arrivare a questo punto. Se voi vi ravvedete, nulla andrà a ruolo; se invece lasciate correre, dopo qualche tempo potreste ritrovarvi con una cartella esattoriale e relative maggiorazioni.
3. Rischio di procedimento penale tributario – Un aspetto spesso ignorato ma fondamentale: la violazione penale. Finché si rimane nel campo del ravvedimento operoso, l’ipotesi di reato viene meno: infatti l’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 prevede che il pagamento integrale del debito tributario (imposte, sanzioni e interessi) prima che l’autore abbia formale conoscenza di indagini o verifiche a suo carico estingue i reati di omessa dichiarazione e di dichiarazione infedele. Ricevere una lettera di compliance non equivale ad aver formale conoscenza di una verifica o procedimento penale. Quindi, ravvedendovi dopo la lettera, usufruite anche della non punibilità penale per quei fatti. Viceversa, ignorarla e arrivare a un accertamento (o peggio, a una verifica) per importi sopra soglia significa che scatterà la denuncia alla Procura della Repubblica e potreste subire un processo penale tributario. Le soglie previste dal D.Lgs. 74/2000 (come modificato dal D.Lgs. 158/2015) sono, semplificando:
- Dichiarazione infedele (art.4): imposta evasa > €100.000 e componente attiva sottratta > 10% del totale o > €2 milioni. Pena: reclusione 2 a 4.5 anni.
- Omessa dichiarazione (art.5): imposta evasa > €50.000. Pena: reclusione 2 a 5 anni (per omessa IVA soglia €50.000).
- (Altri reati: es. dichiarazione fraudolenta se si usano artifici contabili, ma non dilunghiamoci perché esulano dal tipico caso compliance).
Se dalle omissioni segnalate in lettera emerge per esempio un’imposta evasa di €200.000, e voi non fate nulla, dopo l’accertamento l’ufficio trasmetterà la notizia di reato alla Procura. A quel punto affronterete, oltre al debito fiscale, anche un procedimento penale per evasione. Questo scenario è assolutamente da evitare, ed è un’altra ragione per cui aderire alla compliance è fondamentale: come detto, pagando tutto col ravvedimento prima di essere formalmente sotto indagine, il reato non è punibile. Anche se foste oltre soglia, il pagamento integrale prima dell’apertura del dibattimento penale estingue comunque il reato (art. 13 co.2 D.Lgs.74/2000). In parole povere: riparare subito salva anche da possibili guai penali, mentre far finta di niente quando le cifre sono elevate è estremamente pericoloso. La Cassazione penale più recente (sent. n. 8269/2025) ha ribadito che l’obbligo di dichiarare certi redditi sussisteva anche prima di specifiche norme e che l’incertezza normativa non scusa il contribuente sul piano penale. Dunque, confidare sul “non lo sapevo” non funziona: meglio sistemare e non pensarci più.
4. Aumento probabilità di altri controlli – Infine, ignorare la lettera può comportare che il vostro nominativo venga segnalato come “non collaborativo” nei sistemi dell’Agenzia. Il rischio è di finire per così dire in una lista di contribuenti da tenere d’occhio, con conseguente maggiore attenzione su anni successivi o altre posizioni. Il principio della compliance è premiare chi si adegua e colpire chi non lo fa: quindi, oltre al singolo accertamento, potreste esservi attirati maggior scrupolo da parte del fisco negli anni a venire. È un effetto meno tangibile, ma reale: ad esempio, se ignorate una lettera su redditi 2019 e vi fanno l’accertamento, è probabile che controlleranno con più zelo anche il 2020 e 2021 se hanno segnali di anomalie.
In conclusione, non reagire alla lettera di compliance è sconsigliabile. L’inerzia porta quasi certamente all’accertamento, con sanzioni fino al 240% dell’imposta (in caso di omessa dichiarazione), iscrizione a ruolo e possibili misure coattive, e potenzialmente problemi penali nei casi più gravi. Tutti scenari ben peggiori rispetto al semplice ravvedimento. Come osservato in dottrina, i percorsi alternativi successivi (adesione, ricorso) sono più onerosi e stressanti rispetto alla compliance spontanea. Solo se siete convinti al 100% di un errore del Fisco e la somma è minima si può considerare di attendere l’atto e contestarlo, ma sono casi rari. Nella generalità, conviene “prendere sul serio” l’avviso informale e attivarsi.
Strumenti deflattivi e tutele nella fase di accertamento
Poniamo il caso in cui, per qualunque motivo, non abbiate fatto in tempo o non abbiate voluto aderire alla compliance, e vi sia stato notificato un avviso di accertamento per i redditi non dichiarati. Oppure il caso in cui abbiate fornito spiegazioni ma l’Agenzia le abbia respinte, procedendo comunque con l’atto impositivo. A questo punto siete formalmente in una fase contenziosa o pre-contenziosa, ma avete ancora a disposizione alcuni strumenti per ridurre il danno o risolvere la controversia senza arrivare necessariamente fino in fondo al giudizio. Esaminiamo i principali strumenti “deflattivi” del contenzioso applicabili dopo la notifica di un accertamento:
– Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è una procedura che consente al contribuente e all’ufficio di definire consensualmente il contenuto dell’accertamento. Dopo la notifica dell’avviso, avete 60 giorni di tempo per proporre un’istanza di accertamento con adesione (anche detta “istanza di adesione”). Presentando l’istanza, i termini per fare ricorso vengono sospesi per 90 giorni. Verrete convocati dall’ufficio per uno o più incontri durante i quali potrete discutere nel merito: ad esempio, potrete portare elementi per ottenere una riduzione dei redditi accertati, o far rilevare che avete diritto a detrazioni non calcolate, ecc. L’esito possibile è un accordo in cui magari il reddito imponibile viene ridotto rispetto a quanto contestato inizialmente e/o si trova un punto d’incontro sull’entità della pretesa. Se trovate l’accordo, si redige un atto di adesione che dovrete sottoscrivere e poi perfezionare con il pagamento (entro 20 giorni). Vantaggi: le sanzioni vengono automaticamente ridotte a 1/3 del minimo edittale (quindi se era infedele 90%, diventano 30% dell’imposta) e non si applicano le sanzioni accessorie eventualmente previste. Inoltre potete chiedere una rateazione fino a 8 rate trimestrali (o 16 se importi > €50.000). In sostanza, l’adesione vi garantisce lo stesso beneficio sulle sanzioni che avreste ottenuto con l’acquiescenza (vedi sotto) ma con in più la possibilità di negoziare la base imponibile e di pagare a rate. Nel nostro esempio di prima, se vi avevano accertato €10.000 di redditi non dichiarati, potreste spuntare una riduzione a €8.000 riconoscendo magari alcune deduzioni, e la sanzione su quei €8.000 sarebbe il 30% invece del 90%. L’adesione è molto utile se vi sono aspetti fattuali da discutere: consente di evitare il muro contro muro del processo, risparmiando tempo e ottenendo uno sconto sanzioni e rateazione. Se però l’ufficio non scende a patti accettabili, potete non sottoscrivere e passare al ricorso (la sospensione di 90gg dei termini vi darà comunque respiro). Va ricordato che l’adesione può essere utilizzata anche prima della notifica dell’accertamento in alcuni casi: ad esempio adesione al PVC (verbale della Guardia di Finanza) o invito al contraddittorio. Ma nel contesto delle lettere di compliance, di solito se si arriva all’avviso significa che non c’è stata fase di invito formale antecedente (la lettera stessa era l’invito informale). In ogni caso, accertamento con adesione resta un’opportunità una volta ricevuto l’atto.
– Acquiescenza (definizione agevolata delle sanzioni ex art.15 D.Lgs. 218/97): questo strumento consiste semplicemente nell’accettare integralmente l’accertamento e pagare quanto dovuto entro 60 giorni dalla notifica. Facendo ciò, si ottiene la riduzione delle sanzioni a 1/3 (un terzo) di quanto irrogato. In pratica, l’avviso riporta già l’importo delle sanzioni ridotto di 1/3 in caso di pagamento entro 60 gg (lo troverete indicato). Se decidete di non presentare ricorso e pagate, beneficerete di tale riduzione automaticamente. L’acquiescenza non vi permette di discutere o ridurre l’imponibile – accettate i calcoli dell’ufficio. È utile se ritenete che la pretesa sia sostanzialmente corretta e volete chiudere velocemente sfruttando lo sconto sanzioni (che è lo stesso, il 30% dell’imposta evasa, che avreste in adesione in caso di accordo). Anche con l’acquiescenza potete chiedere la rateazione delle somme (fino a 8 rate). Attenzione: l’acquiescenza esclude poi ogni impugnazione, quindi va scelta solo se siete certi di voler rinunciare alla lite.
– Reclamo-mediazione (per controversie minori): fino al 2023, per gli atti di valore fino a €50.000 era obbligatorio presentare un reclamo all’ufficio prima del ricorso, tentativo di mediazione. Dal 2024 questa fase è stata abolita (per i ricorsi notificati dal 1/01/2024). Dunque attualmente, se ricevete un accertamento e volete ricorrere, non dovete più proporre reclamo all’Agenzia anche se l’importo è basso: potete procedere direttamente col ricorso in Commissione Tributaria. Tuttavia, il meccanismo della mediazione permane di fatto sotto forma di conciliazione giudiziale (vedi oltre) che può essere attivata a ridosso o durante il processo. Quindi, di fatto, il legislatore ha spostato la negoziazione nella sede del giudizio anziché prima.
– Ricorso al Giudice Tributario: se ritenete l’accertamento infondato o eccessivo e non trovate accordo con l’ufficio, potete presentare ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione dal 2023 delle Commissioni Tributarie Provinciali). Il termine è 60 giorni dalla notifica dell’atto (che tornano a decorrere se avete fatto istanza di adesione e non si è conclusa con accordo). Nel ricorso indicherete i motivi per cui contestate l’atto (ad esempio: il reddito era esente, oppure l’ufficio non ha tenuto conto di alcune deduzioni, o la ricostruzione è sbagliata, etc.). Per importi fino a €3.000 potete stare in giudizio da soli; sopra tale soglia serve l’assistenza tecnica di un avvocato tributarista, dottore commercialista o altri abilitati. Durante il giudizio, avete comunque la possibilità di chiudere la lite tramite conciliazione giudiziale: questa può avvenire in primo grado (con riduzione delle sanzioni al 40% del minimo edittale) oppure in secondo grado (sanzioni al 50% del minimo). Dal 2023 è stata introdotta la possibilità di conciliazione anche in Cassazione (con sanzioni al 60% se non erro, ma è un caso limite e rarefatto). La conciliazione può essere proposta da voi, dall’ufficio o dal giudice stesso; se si trova un accordo in udienza, si redige un verbale e la controversia si chiude lì. Ad esempio: avete un contenzioso su €100.000 di redditi, accordate col funzionario di ridurre a €70.000 l’imponibile e applicare sanzione 40% (quindi 36% dell’imposta). Pagherete quanto concordato e fine della lite. La conciliazione offre quindi un’ulteriore chance di risparmio sulle sanzioni (40% invece di 90%) se per qualche motivo non avete utilizzato il ravvedimento o l’adesione. Naturalmente, se andate avanti fino in fondo al processo e vincete, non dovrete pagare nulla (se il giudice annulla l’atto integralmente). Se invece perdete, vi ritroverete a pagare tutto (salvo eventuali riduzioni decise dal giudice, ma sulle sanzioni normalmente il giudice non può scendere sotto il minimo edittale). Il contenzioso tributario è stato recentemente riformato dalla legge 130/2022: oggi avete giudici tributari professionali, la possibilità di un giudice monocratico sotto certe soglie, e regole potenzialmente più favorevoli ai contribuenti (ad esempio il principio della prova diabolica attenuato per il contribuente virtuoso, etc.). Tuttavia, intraprendere una causa è sempre un impegno: possono volerci anni per arrivare a sentenza definitiva (specie se l’Agenzia impugna in appello ed eventualmente in Cassazione). Per questo la compliance e gli istituti deflattivi sono pensati per evitare di arrivare a questo punto se non strettamente necessario.
In questa sede non entriamo nel dettaglio del processo tributario, ma è importante sapere che, qualora si giunga a contenzioso:
- Potete chiedere al giudice una sospensione dell’atto se il pagamento immediato vi creerebbe un danno grave e avete fondate ragioni nel ricorso (art. 47 D.Lgs.546/92).
- La riforma 2022 ha previsto il giudice monocratico per le liti fino a €3.000 (senza collegio) e nuove regole probatorie. E dal 16/9/2023 le commissioni si chiamano Corti di Giustizia Tributaria.
- Se vincete in primo grado e l’Agenzia non appella entro 6 mesi, l’appello si considera rinunciato (introdotto dal 2023).
- In caso di soccombenza reciproca (vittoria parziale), potete valutare un’eventuale conciliazione in appello, oppure proseguire in Cassazione.
- Le spese di giudizio possono esservi addebitate se perdete (ma spesso sono contenute e per importi modesti ogni parte sopporta le proprie).
Tutto questo per dire: la fase contenziosa è complessa e costosa, meglio evitarla quando possibile aderendo prima. Ma se vi ci trovate, ci sono strumenti per limitare i danni (adesione, conciliazione) e far valere le vostre ragioni.
Domande frequenti (FAQ)
D: La lettera di compliance è obbligatorio pagarla o rispondervi?
R: Formalmente, no. La lettera di compliance non è una cartella o un avviso immediatamente esecutivo, perciò il contribuente non ha un obbligo giuridico di pagarla né di riscontrarla. Tuttavia ignorarla è altamente sconsigliato, perché come spiegato rappresenta un preavviso: se non fate nulla, l’Agenzia quasi certamente procederà con un accertamento formale, e a quel punto sì che sarete obbligati a pagare (con aggravio di sanzioni) o ad affrontare un ricorso. In pratica, quindi, siete “liberi” di non rispondere alla lettera, ma ciò equivale a rifiutare l’ultima opportunità di sistemare la questione a condizioni favorevoli. Il nostro consiglio è di fare sempre qualcosa: o regolarizzare l’errore tramite ravvedimento, oppure fornire chiarimenti se ritenete di aver ragione. Non cestinate semplicemente l’avviso, altrimenti il problema tornerà in forma ben più pressante.
D: La lettera di compliance in sé è impugnabile davanti al giudice?
R: No, la lettera di compliance non è impugnabile con ricorso, perché non è un atto impositivo che contiene una pretesa tributaria definitiva. Si tratta di una comunicazione informale, priva degli elementi per essere oggetto di giudizio (manca una “domanda” di pagamento certa e immediata). Potrete eventualmente impugnare il successivo avviso di accertamento se dovesse essere emesso. Va distinta la lettera di compliance da altre comunicazioni più formali: ad esempio le comunicazioni di irregolarità 36-bis (che contengono importi da versare entro 30 giorni con sanzioni ridotte) sono considerate atti impugnabili – la Cassazione ha confermato che in presenza di una pretesa compiuta il contribuente può ricorrere subito. Ma nel caso della compliance non c’è (ancora) una pretesa da contestare in giudizio. Se ritenete infondato il contenuto della lettera, dovrete comunicare con l’Agenzia e, se ciò non risolve, attendere eventualmente l’accertamento per fare ricorso su quello.
D: Quanto tempo ho per rispondere o ravvedermi dopo la lettera?
R: La lettera indica di solito un termine (spesso 30 giorni o 60 giorni) entro cui l’Agenzia suggerisce di attivarsi. Quel termine non è perentorio in senso legale (non c’è una decadenza immediata), ma è fortemente consigliato rispettarlo. In generale, l’Agenzia attende qualche mese prima di emettere l’accertamento, ma questo tempo varia: per alcuni casi l’atto arriva dopo pochi mesi, per altri dopo un anno o due, ma difficilmente oltre. Come riferito, su situazioni facilmente accertabili l’Agenzia oggi è abbastanza celere – ad esempio, lettera metà 2025 su redditi 2021, probabile accertamento entro 2026 in mancanza di vostre azioni. Quindi, non conviene attendere troppo: meglio reagire entro i 30-60 giorni indicati. Anche perché ravvedersi prima dell’arrivo di qualunque atto ufficiale vi mette al riparo da preclusioni (dopo, non potrete più farlo). Riassumendo: formalmente potete ravvedervi anche finché non vi notificano l’accertamento (sebbene dopo un certo tempo l’ufficio potrebbe già aver predisposto l’atto), ma per sicurezza muovetevi entro il termine suggerito nella lettera.
D: Posso chiedere una rateizzazione con il ravvedimento operoso?
R: No, il ravvedimento operoso non prevede un meccanismo di rateizzazione “autorizzata”: per definizione è un adempimento spontaneo unico. Dovete pagare quanto dovuto (imposta + interessi + sanzione ridotta) affinché il ravvedimento sia perfezionato. Se non pagate tutto, la violazione non si considera definita e l’Agenzia potrebbe comunque accertarvi la parte non sanata. Ciò detto, potete in pratica suddividere il pagamento in più F24 in tempi ravvicinati (purché prima che vi notifichino atti) – ad esempio pagando prima l’imposta e poi, dopo qualche settimana, le sanzioni – ma è rischioso perché se nel frattempo arriva un avviso perdete il beneficio sulla parte non versata. Una strategia possibile, se non avete liquidità, è regolarizzare almeno una parte col ravvedimento (riducendo così la base dell’eventuale futuro accertamento) e per la parte residua confidare in un accertamento rateizzabile. Esempio: avreste €50.000 da pagare, riuscite a ravvederne €30.000 e restano €20.000 scoperti – se arriverà avviso su quei €20.000, potrete rateizzare con adesione o con la riscossione. Non è l’ideale, ma è un compromesso. In sintesi: il ravvedimento in sé non dà diritto a rate, ma potete farlo parzialmente e poi rateizzare la differenza in sede di adesione/riscossione. Ovviamente, la soluzione ottimale è cercare di trovare le risorse (anche tramite prestito o altre vie) per pagare tutto subito ed evitare completamente l’accertamento.
D: La lettera riguarda un anno per cui non ho proprio presentato la dichiarazione. Posso ancora rimediare?
R: Se non avete presentato affatto la dichiarazione dei redditi di un certo anno (omissione totale) e il Fisco ve lo segnala, siete in una posizione delicata ma potete ancora agire. La normativa considera “omessa” la dichiarazione presentata con oltre 90 giorni di ritardo, ma se la presentate entro il termine dell’anno successivo la sanzione è ridotta (60%-120%). Oltre tale termine, resta omessa al 120%-240%. Tuttavia, l’Agenzia accetta di fatto dichiarazioni tardive anche oltre l’anno, purché nei termini di accertamento. Quindi sì, potete – anzi, dovete – presentare subito la dichiarazione “omessa” per quell’anno, riportando tutti i redditi e determinando le imposte dovute. Questo costituirà titolo per la riscossione delle imposte (che pagherete col ravvedimento) anche se giuridicamente la dichiarazione resta omessa. Dovrete pagare: imposte + interessi + una sanzione per omessa dichiarazione in misura ridotta. Qual è la sanzione ravvedibile per omessa dichiarazione? La circolare 42/E/2016 dell’Agenzia chiarì che si applica l’art.13 D.Lgs.472/97: 1/10 del minimo se presentate entro 90gg (quindi 12% dell’imposta, minimo €25), oltre 90gg non è più integrativa ma atto comunque valido ai fini delle imposte dovute. In pratica, conviene presentarla prima che arrivi l’accertamento: perché se arriva l’accertamento per omessa, la sanzione sarà 120%, ridotta a 40% con adesione, mentre se vi autodenunciate col ravvedimento potreste ottenere la riduzione a 1/6 del 120% = 20% (questo punto è stato controverso, ma molte DP applicano 1/6 di 120% = 20%). Anche se doveste pagare il 60% (metà del minimo) in ravvedimento, sarebbe comunque inferiore al 120% pieno accertato. Quindi sì, presentate la dichiarazione mancante e ravvedetevi. La procedura pratica: compilare il Modello Redditi omesso, barrare “dichiarazione tardiva/omessa”, calcolare le imposte, versarle con interessi e sanzione ridotta. Se oltre l’anno successivo, ci si può basare sulla sanzione minima (120%) ridotta secondo buon senso (1/6). Vista la complessità, fatevi assistere da un professionista. L’importante è non aspettare passivamente: un contribuente che, pur fuori tempo massimo, presenta spontaneamente la dichiarazione prima dell’accertamento, di norma otterrà un trattamento sanzionatorio più mite (anche i giudici riconoscono attenuanti in tali casi) e soprattutto eviterà il penale: il ravvedimento operoso con pagamento integrale prima di sapere di verifiche vi salva dal reato di omessa dichiarazione.
D: Se aderisco alla lettera e regolarizzo, potrò essere nuovamente controllato su quei redditi?
R: In linea di massima no, se avete correttamente dichiarato e pagato con ravvedimento, quella specifica violazione è definita e non verrà più contestata. L’Agenzia, registrando il versamento col codice atto, chiude la pratica. Potrebbe eventualmente esserci un controllo formale sul vostro ravvedimento (ad esempio verificare che abbiate calcolato giusto importi e sanzioni), ma se tutto combacia l’atto formale non viene emesso. Una volta ravveduto, non rischiate un accertamento duplicativo sulla stessa fattispecie, perché l’Ufficio sa che avete già versato. Diverso è se ravvedete solo parzialmente: in tal caso, per la parte non regolarizzata (es: avete pagato solo uno dei due anni contestati) è ancora possibile un accertamento. Ma se la regolarizzazione è integrale, potete considerare archiviato il capitolo. Tenete comunque tutti i documenti (ricevute F24, copia integrativa) nel vostro fascicolo, non si sa mai. Alcune comunicazioni di compliance invitano addirittura a non fare nulla se si è convinti di aver già dichiarato correttamente (capita nelle anomalie ISA o spese, in cui dicono “se per lei i dati sono corretti, non risponda”). Quindi figurarsi se avete proprio pagato: siete apposto. Inoltre, ricordiamo che la compliance serve a evitare la fase di riscossione coattiva: se ravvedete, quelle somme non andranno a cartella e non avrete problemi con Agenzia Entrate-Riscossione.
D: Posso ancora ravvedermi dopo aver ricevuto un avviso bonario o un accertamento?
R: No, il ravvedimento è escluso dal momento in cui vi viene notificato un qualsiasi atto di liquidazione o accertamento relativo a quella violazione. Ad esempio, se prima ignorate la lettera compliance e poi vi arriva un avviso bonario 36-bis, su quell’importo non potete più ravvedervi (potete però pagare il bonario con 10% di sanzione entro 30gg, che è cosa diversa). Se vi arriva un avviso di accertamento, il ravvedimento è totalmente precluso. Quindi la finestra temporale del ravvedimento si chiude con la notifica di un atto impositivo. Non esiste “mi ravvedo dopo l’accertamento per avere 1/6”: una volta notificato, potete solo eventualmente ottenere riduzioni di 1/3 o cercare conciliazioni in giudizio (vedi sopra), ma non è ravvedimento operoso (che è un atto unilaterale spontaneo che deve precedere l’azione fiscale). Perciò, se avete oltrepassato il punto di non ritorno (atto notificato), giocate su altri tavoli (adesione, conciliazione).
D: Ho ricevuto una lettera di compliance, ma contemporaneamente per lo stesso anno ho un altro accertamento in corso (o un contenzioso) su altre questioni. Come mi devo comportare?
R: È possibile, in teoria, che lo stesso anno fiscale sia oggetto di un accertamento su un aspetto e di una lettera di compliance su un altro. Ad esempio, potreste essere in contenzioso su un reddito di lavoro autonomo e intanto ricevere una lettera per redditi esteri non dichiarati nello stesso anno. In questi casi, i due procedimenti viaggiano separati perché riguardano rilievi diversi. La lettera di compliance va comunque affrontata: se riconoscete quell’omissione, ravvedetevi anche se per quell’anno avete una causa pendente su altro (non pregiudica nulla, anzi dimostrate buona condotta sul resto). Se ritenete sia un errore, rispondete come spiegato. Attenzione: se invece la lettera riguarda proprio la materia già in causa (es. vi mandano lettera su un reddito che è già oggetto di ricorso pendente), allora segnalate immediatamente la cosa al vostro difensore e all’ufficio. Potrebbe trattarsi di scarsa coordinazione interna. In teoria, se c’è già un accertamento notificato su quel punto, la lettera di compliance arriva tardiva e inutile. Comunicatelo all’Agenzia, allegando copia del ricorso pendente, in modo che sappiano che c’è un contenzioso in corso su quella questione. Di certo in tal caso non dovete fare un ravvedimento (sarebbe contraddittorio, avendo impugnato l’atto). Probabilmente l’ufficio monitor, resosi conto, non insisterà oltre.
D: Se pago col ravvedimento, rischio comunque una denuncia penale?
R: No, se pagate tutto prima dell’accertamento (e comunque prima di avere notizia di eventuali procedimenti) siete protetti. Come detto, l’art.13 D.Lgs.74/2000 considera il ravvedimento operoso integrale una causa di non punibilità per i reati di omessa e infedele dichiarazione. Quindi, ad esempio, se avevate evaso €100.000 di imposte e potevate incorrere nel reato di infedele, ma vi ravvedete spontaneamente prima di ricevere qualunque visita o avviso ufficiale, non potrete più essere puniti penalmente per quel fatto. Anche se la soglia era superata, il reato è estinto. Questo non vale per reati più gravi come la frode fiscale (che richiede altri elementi), ma nel contesto compliance di solito parliamo di infedele/omessa. Dunque potete stare tranquilli: il ravvedimento vi mette al riparo dal penale. Viceversa, ignorare e venire accertati per importi oltre soglia farà scattare la denuncia e poi l’unico modo di uscire dal penale sarebbe pagare tutto entro la fase dibattimentale, ottenendo così l’estinzione (comunque più avanti nel tempo, con già spese legali affrontate, ecc.). Meglio farlo subito e nemmeno entrarci.
D: Questa lettera avrà ripercussioni sul mio profilo fiscale futuro (es. punteggio ISA, affidabilità)?
R: In generale, sì, in positivo se aderite, in negativo se ignorate. L’obiettivo della compliance è proprio “educare” i contribuenti: chi si mette in regola spontaneamente viene considerato virtuoso. Ad esempio, se siete una partita IVA, aderire agli inviti può migliorare il vostro profilo ISA (gli Indici di Affidabilità premiano chi risolve le anomalie). Al contrario, se ignorate la lettera e subite un accertamento con esito negativo, negli anni successivi potreste avere punteggi ISA bassi o essere esclusi da alcuni regimi premiali, e come detto potreste essere inseriti in liste di controlli. Il bilancio di compliance del contribuente è una variabile ormai considerata: per dire, il nuovo articolo 5 dello Statuto del Contribuente (novellato da L.130/2022) prevede forme di adempimento collaborativo e premialità per chi è cooperativo. Nulla di codificato per i piccoli contribuenti ancora, ma la tendenza c’è. Quindi, rispondere bene a una lettera probabilmente migliora la vostra reputazione fiscale, ignorarla la peggiora. Ovviamente questo è secondario rispetto ai temi pecuniari e legali, ma è un elemento da considerare se avete un’attività: essere visti come affidabili dal Fisco può portarvi meno noie in futuro.
Conclusione
Le lettere di compliance fiscale rappresentano oggi uno snodo cruciale nei rapporti tra contribuenti e Amministrazione finanziaria. Se da un lato possono destare allarme in chi le riceve, dall’altro vanno viste come un’opportunità: quella di correggere in via amichevole eventuali errori od omissioni, evitando le conseguenze ben più gravose di un accertamento formale. Dal punto di vista del contribuente (soprattutto se debitore in difficoltà), aderire alla compliance significa poter gestire la regolarizzazione in modo controllato e con costi ridotti, proteggendo il proprio patrimonio da sanzioni esorbitanti e da azioni esecutive. Al contrario, sottovalutare o trascurare questi avvisi può portare rapidamente a situazioni ingestibili: cartelle esattoriali, pignoramenti, contenziosi lunghi e costosi, se non addirittura imputazioni penali per evasione.
In questa guida abbiamo fornito gli strumenti per comprendere cosa fare: analizzare la segnalazione, eventualmente sanare tramite ravvedimento operoso (che, come abbiamo visto, conviene quasi sempre per il forte abbattimento sanzionatorio), oppure difendersi con le proprie ragioni fornendo chiarimenti documentati. Si è inoltre illustrato cosa accade se si entra in fase di accertamento e quali rimedi (adesione, acquiescenza, conciliazione) rimangono per mitigare le conseguenze. Il filo conduttore è uno: mantenere un atteggiamento proattivo e collaborativo. Il sistema fiscale attuale, pur severo con chi persiste nell’inadempimento, offre diverse vie di uscita agevolate a chi dimostra buona volontà e onestà intellettuale nel riconoscere i propri errori.
Per i contribuenti, specialmente privati e piccoli imprenditori che magari hanno commesso leggerezze per scarsa conoscenza, la strada migliore è affrontare la lettera di compliance con l’aiuto del proprio professionista di fiducia, valutare costi e benefici di ogni opzione e agire tempestivamente. Con il giusto supporto tecnico-legale si può rispondere in modo efficace alla lettera, regolarizzare la posizione fiscale e mettere in sicurezza il proprio futuro. Al contrario, ignorare la comunicazione nella speranza che “il Fisco si dimentichi” è oggi una scommessa persa: con gli strumenti tecnologici a disposizione, l’Amministrazione difficilmente lascia cadere queste segnalazioni.
In definitiva, ricevere una lettera per redditi non dichiarati non è la fine, ma un inizio: l’inizio di un dialogo col Fisco in cui avete ancora la possibilità di dire la vostra e di rimediare. Sfruttate questa chance per mettervi in regola alle migliori condizioni possibili, proteggendo così il vostro conto, i vostri beni e anche la vostra serenità. Come recita una guida dell’Agenzia destinata ai contribuenti: “L’Agenzia ti scrive” – e sta a voi rispondere nel modo giusto, trasformando un potenziale problema in una soluzione.
Segnaliamo infine che tutte le fonti normative e di prassi citate (leggi, decreti, circolari, provvedimenti) e le sentenze menzionate sono elencate nella sezione seguente, per chi volesse approfondire ulteriormente ogni aspetto trattato.
Fonti
- Agenzia Entrate – Provvedimento Prot. n. 439255/2022 (30/11/2022), “Invio di comunicazioni per promuovere l’adempimento spontaneo in materia di redditi/attività estere non dichiarati”.
- Cassazione – Sez. Penale III, sentenza n. 8269/2025 (dep. 14/03/2025), caso NFT e criptovalute: conferma obbligo dichiarativo e rilevanza penale omessa indicazione proventi in criptovaluta.
- Cassazione – Sez. Unite Civili, sentenza n. 30051/2024 (dep. 21/11/2024), principio di diritto sulla legittimità dell’autotutela in malam partem (annullamento di un accertamento e sua sostituzione con altro più gravoso entro i termini).
- Cassazione – Ord. n. 3466/2021, su impugnabilità delle comunicazioni da controllo automatizzato recanti somme dovute (conclusione: sono impugnabili se contengono una pretesa definita).
- D.Lgs. 472/1997, art. 13: disciplina del ravvedimento operoso (come modif. da L.190/2014 e D.Lgs. 158/2015; novità introdotte da D.Lgs. 24/2023 e 87/2024 sulle lettere b-ter, b-quater, b-quinquies).
- D.Lgs. 471/1997, art. 1: sanzioni per omessa e infedele dichiarazione (120-240% e 90-180%; riduzione metà se dichiarazione entro anno succ.).
- D.Lgs. 74/2000, artt. 4-5: reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione (soglie €100k e €50k); art. 13: non punibilità per pagamento integrale prima del dibattimento.
- Statuto del Contribuente (L. 212/2000), artt. 6 e 10: principio di cooperazione e buona fede, diritto al contraddittorio endoprocedimentale (rilevanti per inviti a regolarizzare).
- Circolare AE 42/E del 12/10/2016, §3.4: chiarimenti su ravvedimento dichiarazioni omesse (applicabilità art.13 dlgs 472/97, sanzione 1/10 del minimo entro 90gg).
- Direzione Giustizia Tributaria – DGT (MEF), “Abrogazione del reclamo-mediazione”, avviso 2023 (abolizione obbligo mediazione per ricorsi dal 2024).
- D.Lgs. 218/1997, artt. 6-8: disciplina accertamento con adesione (riduzione sanzioni a 1/3); art. 15: acquiescenza con riduzione 1/3 entro 60gg.
- D.Lgs. 546/1992, art. 48 (come modif. da D.Lgs. 156/2015): conciliazione giudiziale, sanzioni ridotte al 40% in 1° grado e 50% in appello.
- Agenzia delle Entrate – “L’Agenzia ti scrive: lettera di invito a regolarizzare possibili errori”, Guida fiscale (ed. giugno 2016, online).
- Agenzia Entrate – Archivio compliance: fac-simile lettere per cittadini (es. “Comunicazione anomalie dichiarazione redditi 2022 (anno imposta 2021)”) e prospetto ausilio compilazione integrativa.
Ho Ricevuto una Lettera dall’Agenzia delle Entrate per Redditi Non Dichiarati: Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate in cui ti segnalano presunti redditi non dichiarati? Ti invitano a verificare la tua dichiarazione e a regolarizzare la posizione?
Queste comunicazioni rientrano tra le cosiddette lettere di compliance fiscale. Non sono ancora accertamenti formali, ma se ignorate possono portare a sanzioni, accertamenti esecutivi e recupero delle imposte con interessi. Ma prima di pagare o rispondere, è fondamentale capire se l’anomalia è reale.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la lettera ricevuta e i redditi che ti vengono contestati (da lavoro, affitti, estero, attività online, ecc.)
- 📌 Verifica se l’irregolarità è fondata o se si tratta di errori di rilevazione, doppie comunicazioni o dati parziali
- ✍️ Redige una risposta tecnica e motivata per evitare che la lettera si trasformi in un accertamento formale
- ⚖️ Ti difende nel caso in cui venga notificato un avviso di accertamento o una cartella esattoriale
- 🔁 Ti assiste nella regolarizzazione volontaria (ravvedimento operoso) o in eventuali definizioni agevolate
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso con l’Agenzia delle Entrate
- ✔️ Specializzato nella difesa da contestazioni su redditi non dichiarati, in Italia e all’estero
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Ricevere una comunicazione per redditi non dichiarati non significa essere già condannati dal Fisco. Con il giusto supporto puoi difenderti, chiarire o regolarizzare senza subire sanzioni inutili.
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