Compliance Fiscale e Lettere dell’Agenzia delle Entrate: Cosa Fare Subito

Hai ricevuto una comunicazione di compliance fiscale dall’Agenzia delle Entrate?
Ti segnalano anomalie, incongruenze, redditi non dichiarati, versamenti omessi o errori nelle tue dichiarazioni? In questi casi è fondamentale capire di cosa si tratta, cosa fare subito e come evitare un accertamento formale con sanzioni più gravi.

Quando arriva una lettera di compliance dell’Agenzia delle Entrate?
– Quando il Fisco rileva dati non coerenti tra dichiarazioni, certificazioni uniche, versamenti o registri fiscali
– Quando ci sono redditi non dichiarati, ad esempio da locazioni brevi, piattaforme online, pensioni estere o criptovalute
– Quando mancano versamenti IVA, IRPEF, ritenute o imposte sostitutive
– Quando ci sono scostamenti tra dati bancari/POS e corrispettivi dichiarati
– Quando hai omesso o compilato in modo errato quadri fiscali obbligatori (RW, RS, LM, ecc.)

Cosa contiene una comunicazione di compliance fiscale?
– L’elenco delle anomalie rilevate e l’anno di imposta interessato
– I riferimenti ai dati incrociati con CU, registri, conti, flussi finanziari o dichiarazioni precedenti
– L’invito a fornire chiarimenti, correggere gli errori o regolarizzare i versamenti
– Le istruzioni per accedere al CIVIS o per inviare documentazione giustificativa
– L’avvertimento che, in assenza di risposta, potrà essere avviato un accertamento vero e proprio

Cosa fare subito se ricevi una lettera di compliance?
– Accedi alla tua area riservata sul sito dell’Agenzia delle Entrate tramite SPID, CIE o CNS
– Vai nella sezione “L’Agenzia scrive” → “Comunicazioni per anomalie” e scarica il dettaglio della segnalazione
– Verifica se l’anomalia è reale o frutto di un errore formale o di un dato mancante
– Se si tratta di un errore, predisponi una risposta con documenti a supporto e inviala tramite CIVIS o PEC
– Se hai omesso dati o commesso errori, puoi presentare una dichiarazione integrativa con ravvedimento operoso
– Se non riesci a gestire la comunicazione in autonomia, rivolgiti subito a un professionista fiscale o a un avvocato tributario

Cosa puoi ottenere se agisci subito?
– L’archiviazione della segnalazione, se dimostri la correttezza della tua posizione
– La regolarizzazione con sanzioni ridotte, se presenti una dichiarazione correttiva
– L’evitamento di un accertamento formale, che comporterebbe sanzioni più elevate, interessi e iscrizione a ruolo
– La tutela della tua affidabilità fiscale, evitando segnalazioni che possono compromettere l’accesso al credito o ad altri benefici

Attenzione: la compliance fiscale non è un’accusa formale, ma un’occasione per sistemare la propria posizione prima che parta un accertamento vero e proprio. Ignorarla può portare a conseguenze gravi. Agire subito, con una risposta chiara e ben motivata, è l’unico modo per tutelarsi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in compliance fiscale, accertamenti e contenzioso tributario ti spiega come affrontare una comunicazione dell’Agenzia delle Entrate, quando correggere, come rispondere e come proteggere la tua posizione fiscale.

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Introduzione

Nel panorama del fisco italiano, le lettere di compliance rappresentano un approccio innovativo improntato alla collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Si tratta di comunicazioni bonarie inviate dall’Agenzia delle Entrate per segnalare possibili anomalie o discrepanze nelle dichiarazioni fiscali del contribuente, prima di avviare un accertamento formale. In altri termini, sono “alert” che il Fisco invia ai contribuenti quando, incrociando i dati a sua disposizione, rileva potenziali errori, omissioni o incongruenze nelle dichiarazioni presentate. L’obiettivo è duplice: da un lato stimolare l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari, consentendo al contribuente di regolarizzare la propria posizione con sanzioni ridotte; dall’altro evitare di ricorrere immediatamente a strumenti di accertamento più severi e al contenzioso.

Ricevere una lettera di compliance non significa essere già considerati evasori né subire nell’immediato richieste di pagamento. Tuttavia, non va sottovalutata: ignorarla espone il contribuente al rischio che, trascorso un certo tempo, l’Agenzia proceda con un avviso di accertamento vero e proprio, accompagnato da sanzioni ben più pesanti. Dal punto di vista del contribuente (debitore), queste comunicazioni vanno viste come un’occasione per giocare d’anticipo, correggendo eventuali irregolarità “in proprio” invece di subire passivamente un controllo fiscale. Nelle sezioni seguenti illustreremo in dettaglio cosa sono queste lettere, perché vengono inviate, come reagire subito in modo corretto e quali sono i rimedi difensivi a disposizione. Verranno presentati anche esempi pratici, risposte alle domande frequenti (FAQ), tabelle riepilogative dei principali concetti e riferimenti normativi aggiornati a luglio 2025, inclusi gli ultimi orientamenti giurisprudenziali, utili a orientare professionisti, imprenditori e contribuenti (anche con patrimoni elevati) in questa materia complessa.

Cosa sono le lettere di compliance fiscale?

Una lettera di compliance dell’Agenzia delle Entrate è una comunicazione non obbligatoria e non vincolante, inviata ai contribuenti per segnalare potenziali anomalie riscontrate nelle dichiarazioni fiscali rispetto ai dati in possesso del Fisco. È uno strumento introdotto dal legislatore con la Legge n. 190/2014 (Legge di Stabilità 2015, commi 634–636) proprio per promuovere il dialogo preventivo e la cooperazione fiscale. Tali lettere rientrano nell’ambito delle iniziative di “tax compliance” o adempimento spontaneo: invece di procedere immediatamente con sanzioni e accertamenti, il Fisco condivide con il contribuente le informazioni di cui dispone e lo invita a verificare la propria posizione.

Caratteristiche principali: la lettera di compliance non è un atto impositivo. Ciò significa che non contiene una contestazione formale di tributi dovuti né una sanzione immediata, ma si limita a elencare le possibili irregolarità rilevate (ad esempio redditi non dichiarati, pagamenti IVA mancanti, anomalie nei versamenti F24, scostamenti dagli indici ISA, mancata indicazione di criptovalute o bonus fiscali non spettanti). Di norma la comunicazione indica l’anno d’imposta oggetto di verifica e fornisce un sommario dell’anomalia (spesso allegando un prospetto di dettaglio o un foglio di “avvertenze” con maggiori informazioni, come le istruzioni per accedere al dettaglio nel proprio cassetto fiscale, le modalità per presentare un’eventuale dichiarazione integrativa e i codici tributo da usare per il ravvedimento). Importante: la lettera non quantifica le imposte o sanzioni dovute né intima un pagamento entro una scadenza perentoria. In altre parole, non c’è una “richiesta di soldi” immediata, ma solo un invito a controllare e, se necessario, correggere.

Modalità di invio: queste comunicazioni vengono trasmesse via PEC (Posta Elettronica Certificata) ai soggetti dotati di domicilio digitale (tipicamente imprese e professionisti), oppure tramite lettera raccomandata ai contribuenti privati non obbligati alla PEC. Inoltre, una copia della comunicazione è di solito resa disponibile nell’area riservata del contribuente sul portale dell’Agenzia (nel proprio Cassetto Fiscale, sezione “L’Agenzia ti scrive”). Ogni lettera riporta un numero di protocollo e un codice atto, che serviranno poi per eventuali pagamenti (in caso di ravvedimento) o per riferimenti nelle comunicazioni con l’ufficio.

Valore giuridico e (non) impugnabilità: trattandosi – come detto – di un mero avviso informativo, la lettera di compliance non è impugnabile dinanzi al giudice tributario. Non essendo un atto amministrativo di accertamento né una cartella esattoriale, il contribuente non può presentare ricorso direttamente contro di essa. Eventuali contestazioni sul merito delle anomalie segnalate potranno essere fatte valere solo in seguito, qualora l’Agenzia, in assenza di regolarizzazione, emetta un atto impositivo formale (ad esempio un avviso di accertamento). La stessa Agenzia delle Entrate nelle proprie FAQ ha chiarito che “La comunicazione ha valore puramente informativo e non richiede di attivarsi per fornire un riscontro” qualora il contribuente ritenga corretto quanto dichiarato. Ciò significa che non sussiste un obbligo legale di risposta (né tantomeno un obbligo di pagamento immediato), fermo restando che – come vedremo – ignorare la lettera è fortemente sconsigliato. Da notare che questa natura “informale” comporta anche che la lettera di compliance non interrompe né sospende i termini decadenziali entro cui l’Agenzia può notificare un futuro accertamento: se, ad esempio, il 31 dicembre di quest’anno scade il termine per accertare l’anno d’imposta 2018, l’invio di una lettera di compliance nel novembre 2023 relativa al 2018 non sposta quella scadenza – l’ufficio, per tutelarsi, dovrà comunque notificare eventualmente l’accertamento entro fine anno se il contribuente non si mette in regola.

In sintesi, la lettera di compliance è un “alert preventivo” con cui il Fisco dialoga col contribuente prima di passare alle maniere forti. Non impone nulla nell’immediato, ma offre un’opportunità: correggere spontaneamente eventuali errori beneficiando di sanzioni ridotte e senza doversi difendere in un giudizio. Questa filosofia si inserisce nel più ampio principio di collaborazione e buona fede nel rapporto tra contribuente e amministrazione, sancito dallo Statuto dei Diritti del Contribuente (L.212/2000, art. 10) e ribadito anche dalla Corte Costituzionale.

Lettera di compliance vs altre comunicazioni del Fisco

È fondamentale distinguere le lettere di compliance da altre tipologie di avvisi o atti che l’Agenzia delle Entrate invia ai contribuenti, poiché ognuno ha contenuti ed effetti diversi. In particolare, spesso ci si confonde tra: (a) la lettera di compliance; (b) la comunicazione di irregolarità (il cosiddetto avviso bonario ex artt. 36-bis e 36-ter DPR 600/1973); (c) il vero e proprio avviso di accertamento. La tabella seguente confronta le principali caratteristiche di questi tre strumenti:

Tabella 1 – Confronto tra lettera di compliance, avviso bonario e avviso di accertamento

CaratteristicaLettera di complianceComunicazione di irregolarità (“avviso bonario” da controllo automatizzato/formale)Avviso di accertamento
ContenutoSegnala possibili errori od omissioni nelle dichiarazioni senza quantificare imposte o sanzioni dovute. È un invito a verificare i dati e a regolarizzare spontaneamente.Contiene l’esito di un controllo automatizzato (ex art. 36-bis DPR 600/73) o controllo formale (art. 36-ter) su una dichiarazione presentata: dettaglia le imposte non versate o gli errori riscontrati e quantifica gli importi dovuti, con interessi e sanzioni (di regola già ridotte a 1/3) da pagare entro un termine.È un atto formale di rettifica dei dati dichiarati o di accertamento di materia imponibile non dichiarata. Determina imposte, interessi e sanzioni piene (salvo riduzioni in caso di adesione) dovuti dal contribuente.
Stato del procedimentoFase pre-accertativa informale. Non avvia ancora un’azione di controllo “ufficiale”.Fase intermedia di liquidazione del dovuto dopo il controllo automatizzato/formale. Precede l’eventuale iscrizione a ruolo (cartella) se il contribuente non paga.Fase conclusiva di un accertamento vero e proprio: è un atto impositivo a tutti gli effetti, emesso a seguito di verifiche approfondite (incrocio dati, controlli in loco, indagini finanziarie, ecc.).
Effetti immediati per il contribuenteNessun obbligo di pagamento né di risposta formale immediata. Offre la facoltà di correggere errori tramite ravvedimento operoso, evitando sanzioni più gravi.Obbligo di pagamento degli importi dovuti entro 30 giorni (termine esteso a 60 giorni dal 2025) per evitare la cartella e usufruire della sanzione ridotta. In caso di avviso bonario da liquidazione automatica, la sanzione sulle somme dovute è il 10% (1/3 di 30%) se si paga entro i termini, percentuale ulteriormente ridotta a 8,33% per le violazioni commesse dal 1º settembre 2024. Se non si paga entro il termine, la successiva cartella di pagamento conterrà la sanzione intera (30%, destinata a ridursi a 25% per le violazioni future, v. oltre). È possibile, entro lo stesso termine, segnalare all’Agenzia eventuali errori (ad es. chiedendo una correzione in autotutela).Obbligo di pagare o impugnare entro 60 giorni dalla notifica. Se non impugnato né pagato, l’atto diviene definitivo e decorso il termine l’importo viene iscritto a ruolo per la riscossione coattiva. Se impugnato, si apre il contenzioso tributario davanti alla competente Corte di Giustizia Tributaria (già Commissione Tributaria). Nel frattempo l’avviso di accertamento è già esecutivo per 1/3 delle imposte accertate, che il contribuente – salvo ottenere una sospensiva – dovrà versare a titolo provvisorio anche se fa ricorso.
SanzioniNessuna sanzione irrogata con la lettera stessa. In caso di ravvedimento operoso, si applicano sanzioni amministrative ridotte (es.: in caso di dichiarazione infedele, sanzione base 90% ridotta fino a 1/6, cioè ~15% dell’imposta non dichiarata). N.B.: Dal 2024 è previsto un ulteriore abbattimento: sanzione base infedele al 70% con riduzione 1/7 → 10%, ma solo per violazioni commesse dopo l’entrata in vigore della riforma (si veda oltre).Sanzioni già calcolate nella comunicazione, ma in misura ridotta ad 1/3 di quelle ordinariamente previste (es.: 10% anziché 30% per omesso versamento fino al 31/8/2024; 8,33% per violazioni dal 1/9/2024; oppure 20% anziché 30% in caso di controllo formale, divenuto 16,67% dal 1/9/2024). Se non si paga nei termini, la successiva cartella conterrà la sanzione intera (30%, destinata a 25% per le nuove violazioni).Sanzioni piene applicate secondo legge (es.: 90% dell’imposta evasa per infedele dichiarazione; da 120% fino 240% dell’imposta evasa per omessa dichiarazione, con minimo €250), fatte salve eventuali riduzioni per definizione agevolata. In sede di accertamento con adesione le sanzioni sono ridotte a 1/3 (es.: infedele 90% → 60%); in caso di acquiescenza (pagamento entro 60 giorni senza ricorrere) è parimenti prevista la riduzione a 1/3. Possono aggiungersi sanzioni accessorie nei casi più gravi (es. interdittive).
ImpugnabilitàNON impugnabile autonomamente, in quanto atto meramente informativo e privo di valore impositivo.Tecnicamente non impugnabile da solo, poiché non è un provvedimento finale: il contribuente può pagare o segnalare errori, ma se non concorda deve attendere la successiva cartella di pagamento per fare ricorso. (In casi particolari la giurisprudenza ha ammesso ricorsi contro l’iscrizione a ruolo immediata da avvisi bonari, ma sono eccezioni).Impugnabile entro 60 giorni dalla notifica dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria, per contestare nel merito e/o per vizi procedurali l’accertamento. È a tutti gli effetti un atto amministrativo autonomamente impugnabile.
FinalitàFavorire il contraddittorio informale e la regolarizzazione spontanea, evitando sanzioni pesanti e contenziosi, in un’ottica di cooperazione e fiducia reciproca.Recuperare in modo veloce e bonario imposte dovute per errori materiali o versamenti omessi, evitando al contribuente aggravio di sanzioni se collabora. Funziona come “intermedio” tra dichiarazione e accertamento: consente di risolvere in via amministrativa alcune pendenze.Recupero coattivo delle imposte evase o non versate, con sanzioni punitive. È l’ultimo stadio prima della riscossione forzata (cartella/esecuzione) e ha anche funzione deterrente generale.

Come si evince, la lettera di compliance è un semplice “alert” preventivo che non pregiudica i diritti del contribuente: quest’ultimo può ancora fornire chiarimenti o correggersi senza subire da subito un atto autoritativo. L’avviso bonario, invece, è già una comunicazione post-dichiarativa con effetti più stringenti (importi quantificati da versare entro un termine, seppur con possibilità di definizione agevolata senza ricorso). L’avviso di accertamento, infine, è l’atto conclusivo e più severo, che presuppone che la fase di “moral suasion” sia fallita o che l’anomalia sia tale da richiedere un intervento autoritativo.

Da notare: l’invio di una lettera di compliance non sospende né allunga i termini di decadenza per l’accertamento dell’anno d’imposta in questione. Il Fisco, se non riceve riscontri dal contribuente, dovrà comunque eventualmente emettere un avviso di accertamento entro i termini di legge (in generale, il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, oppure del settimo anno se la dichiarazione è omessa). Dunque il contribuente non può pensare di “prendere tempo” indefinitamente: ignorare l’alert porterà con elevata probabilità, trascorso un certo periodo, all’emissione di un accertamento formale entro la scadenza prescrizionale prevista.

Perché si riceve una lettera di compliance? – Tipologie di anomalie segnalate

Ricevere una lettera di compliance non significa automaticamente che si sia commessa un’evasione deliberata o una frode fiscale. La selezione dei destinatari avviene infatti in modo ampiamente automatizzato, incrociando le numerose banche dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni fiscali, certificazioni dei sostituti d’imposta, comunicazioni IVA, dati dell’Anagrafe tributaria e dei conti finanziari, segnalazioni internazionali, ecc.). Questo metodo, se da un lato consente di individuare efficacemente incongruenze, dall’altro può talvolta generare “falsi positivi” o casi dubbi, in cui l’anomalia segnalata è solo apparente o giustificabile. Di seguito elenchiamo alcune delle situazioni più comuni che possono dar luogo all’invio di queste comunicazioni:

  • Redditi non dichiarati (in tutto o in parte): è la tipologia classica. Il Fisco incrocia i dati delle Certificazioni Uniche (redditi da lavoro dipendente, pensioni, compensi autonomi occasionali, ecc.), delle comunicazioni da parte di banche e assicurazioni (interessi, premi), dei datori di lavoro o clienti (spese detraibili, compensi a professionisti), degli atti del Registro (compravendite immobiliari, plusvalenze) ecc., e li confronta con quanto il contribuente ha effettivamente riportato nella propria dichiarazione dei redditi. Esempi: un secondo lavoro o collaborazione non indicata nel modello 730/Redditi; redditi di locazione non dichiarati; redditi di capitale (interessi bancari, dividendi) o plusvalenze da cessione di partecipazioni che risultano da segnalazioni bancarie o atti notarili, ma non compaiono in dichiarazione; somme percepite all’estero e non dichiarate in Italia (se imponibili). Negli ultimi anni rientrano in questa categoria anche redditi da investimenti online (trading, criptovalute, etc.) non dichiarati: ad esempio, l’Agenzia ha cominciato a inviare lettere a chi risulta aver movimentato conti presso broker esteri (e.g. eToro, Binance) senza aver dichiarato i relativi redditi.
  • Omissioni in materia di IVA e operazioni imponibili: ad es. mancata presentazione di una dichiarazione annuale IVA, oppure incongruenze tra i dati delle liquidazioni periodiche e la dichiarazione annuale. Oppure ancora, discrepanze tra le vendite comunicate e l’IVA versata. Un caso frequente riguarda l’incrocio tra i corrispettivi telematici (o i pagamenti con carte) e i ricavi dichiarati: se un commerciante o ristoratore dichiara incassi inferiori a quelli che risultano dai pagamenti elettronici ricevuti, scatta l’anomalia (come vedremo in un esempio pratico). Ancora: comunicazioni di anomalia nei modelli F24, ad esempio crediti d’imposta usati in compensazione che non trovano riscontro nelle dichiarazioni (ciò potrebbe segnalare un credito inesistente o non spettante).
  • Investimenti e attività finanziarie estere non monitorate: grazie allo scambio automatico di informazioni internazionali (protocollo Common Reporting Standard – CRS), il Fisco riceve ogni anno dati su conti correnti, depositi e altre attività finanziarie detenute all’estero da soggetti fiscalmente residenti in Italia. Se un contribuente non ha indicato tali attività nel Quadro RW della dichiarazione (monitoraggio fiscale) e/o non ha dichiarato i redditi derivanti (interessi, dividendi, ecc.), può arrivare una lettera di compliance che lo invita a regolarizzare. Un esempio tipico è la mancata dichiarazione di conti esteri (magari aperti anni prima e “dimenticati”) o di investimenti su piattaforme estere. Da notare: se il contribuente in quell’anno risultava all’estero (iscritto all’AIRE) e quindi non soggetto all’obbligo dichiarativo in Italia, si tratterà di un “falso positivo” – in tal caso andrà semplicemente comunicato all’ufficio che la persona non era residente fiscale in Italia nell’anno in questione, allegando prova dell’iscrizione AIRE (vedi FAQ più avanti).
  • Indicatori di capacità contributiva e anomalie negli indici ISA: l’Agenzia analizza anche la coerenza economica dei dati dichiarati. Ad esempio, attraverso gli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) vengono evidenziati contribuenti con punteggi di affidabilità molto bassi o forti scostamenti rispetto al settore. In alcuni casi vengono inviate comunicazioni di compliance per anomalie ISA, segnalando al contribuente situazioni di incoerenza (es. margini troppo bassi, ritardi frequenti nell’emissione delle fatture elettroniche, ecc.) e invitandolo a verificare. Analogamente, in passato (e ancora oggi in parte) venivano segnalate anomalie dai vecchi studi di settore. Uno scenario tipico: il professionista o piccolo imprenditore in regime semplificato che dichiara ricavi molto inferiori alla media del settore e ha un ISA basso – ciò potrebbe far scattare una lettera preventiva in cui si invita a controllare la completezza dei ricavi dichiarati. Va detto che queste situazioni sono borderline: un punteggio ISA basso di per sé non è violazione, ma combinato con altri dati potrebbe portare il Fisco a richiedere spiegazioni (o a selezionare il contribuente per controlli mirati).
  • Bonus fiscali, detrazioni o crediti d’imposta non spettanti: altra area di attenzione riguarda l’utilizzo improprio di agevolazioni. Ad esempio, negli ultimi tempi l’Agenzia ha inviato comunicazioni per incongruenze relative al Superbonus 110% e altri bonus edilizi (crediti ceduti o scontati in fattura in modo anomalo), oppure per errori nel calcolo di detrazioni (spese mediche, bonus prima casa, ecc.). Ricevere una lettera su questi temi significa che dai controlli incrociati risulta un potenziale abuso o errore nell’utilizzo del bonus, e si invita a verificarlo. Un caso: il contribuente che ha indicato in dichiarazione oneri deducibili/detraibili (magari spese sanitarie, bonifici per ristrutturazioni) per importi diversi da quelli comunicati dai sostituti d’imposta o dagli enti (730 precompilato). Se c’è scostamento significativo, può arrivare una segnalazione.

In generale, qualunque discrepanza rilevante tra i dati dichiarati dal contribuente e quelli risultanti al Fisco può originare una lettera di compliance. L’Agenzia periodicamente pubblica anche dei fac-simile delle lettere e dei vademecum sulle campagne attive (ad esempio sul proprio sito c’è la sezione “L’Agenzia ti scrive” con l’archivio delle comunicazioni e guide per cittadini e imprese). Nel 2023-2025, tra le campagne di compliance pianificate ci sono: lettere ai titolari di partita IVA con ricavi non dichiarati o incoerenze IVA; lettere a persone fisiche per attività estere non monitorate (per il 2025 attese quelle relative ai redditi 2021); lettere per pagamenti elettronici vs corrispettivi (soprattutto nel settore retail/food); lettere per anomalie ISA 2022; e comunicazioni su Aiuti di Stato non dichiarati correttamente (come i crediti Covid). Complessivamente, l’Agenzia delle Entrate prevede di inviare oltre 3 milioni di lettere di compliance nel solo 2025, a conferma di quanto questo strumento sia diventato centrale nelle strategie di enforcement “soft” del Fisco.

Cosa fare quando arriva la lettera: prime azioni e verifiche

Ricevere una lettera di compliance non è un evento da prendere alla leggera, ma nemmeno motivo di panico. La chiave è agire tempestivamente e in modo organizzato. Di seguito proponiamo una guida passo-passo, dal punto di vista pratico del contribuente, su come procedere subito alla ricezione della comunicazione:

1. Non ignorare la comunicazione

La prima regola – apparentemente banale ma fondamentale – è non restare inerti. Ignorare la lettera è la scelta peggiore. Anche se si è convinti che la segnalazione sia errata o irrilevante, cestinare l’avviso senza far nulla espone a rischi significativi: l’Agenzia quasi certamente, vedendo mancanza di riscontro, procederà con un accertamento formale (nei tempi e modi che riterrà opportuni) e a quel punto ci si troverà a dover pagare sanzioni piene o affrontare un contenzioso per far valere le proprie ragioni. Inoltre, perderemmo il beneficio del ravvedimento operoso con sanzioni ridotte. Insomma, ignorare l’invito bonario significa trasformare quasi certamente un “consiglio” in una “batosta” futura.

Cosa succede se ignori la lettera? In sintesi: l’Agenzia può attivare un controllo vero e proprio con sanzioni fino al 240% dell’imposta evasa (nel caso di omessa dichiarazione); potresti ricevere un avviso di accertamento o direttamente una cartella di pagamento, con interessi e spese di riscossione aggiuntive; nei casi più gravi (omissioni rilevanti o comportamenti fraudolenti) potrebbe perfino scattare un procedimento penale tributario (es. dichiarazione infedele o omessa, se superi le soglie di punibilità); e con l’andare del tempo aumentano i rischi di misure cautelari/esecutive sul patrimonio (fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti). In più, ignorando la lettera perdi la chance di chiudere bonariamente la questione: se poi arriverà un atto, dovrai comunque occuportene, con costi maggiori (sanzioni piene, spese legali) e in un clima meno favorevole. Dunque: mai ignorare.

Va anche detto che in teoria, se si è assolutamente certi della correttezza del proprio operato, si potrebbe scegliere di non rispondere e attendere l’eventuale accertamento per contestarlo in giudizio. Ci sono contribuenti (magari assistiti da legali esperti) che deliberatamente adottano questa strategia: confidano di poter vincere in contenzioso e preferiscono non “svelare le proprie carte” subito. Tuttavia, è una strategia da valutare con estrema attenzione e raramente consigliabile al contribuente medio. Significa infatti prepararsi a un percorso lungo e oneroso (ricorso in Commissione, forse appello, con relativo pagamento provvisorio di 1/3 del dovuto) e vivere nell’incertezza. Nella maggior parte dei casi – soprattutto quando la violazione c’è ed è palese – conviene approfittare della finestra bonaria e sistemare tutto subito.

2. Recuperare i dettagli dell’anomalia segnalata

Il secondo passo è comprendere esattamente cosa il Fisco abbia rilevato. La lettera stessa potrebbe contenere un riepilogo dettagliato dell’anomalia (ad esempio: “redditi da lavoro autonomo non dichiarati per € XX”; oppure “mancata presentazione dichiarazione IVA anno…”) e spesso indica la possibilità di visualizzare maggiori dettagli online. È buona prassi quindi, subito dopo aver letto la comunicazione, accedere al proprio Cassetto Fiscale sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Nella sezione “L’Agenzia ti scrive” o “Compliance” si troverà la segnalazione con un codice atto: cliccando, si potranno vedere gli elementi specifici (ad es. il dettaglio dei redditi segnalati, le controparti da cui risultano quei redditi, i movimenti finanziari contestati, etc.). Se non si ha dimestichezza con i servizi telematici, un’alternativa è recarsi (o far recare il proprio consulente) presso gli sportelli dell’Agenzia delle Entrate: fornendo il protocollo della lettera, gli operatori potranno fornire un estratto dei dati.

Esempio: se la lettera segnala “investimenti esteri non dichiarati per il 2019”, entrando nel dettaglio potrebbe emergere che l’anomalia riguarda un conto corrente presso la Banca XYZ a Monaco con saldo di tot euro e interessi per tot euro, comunicati al Fisco via CRS. Oppure, una lettera per “discrepanza incassi POS” potrebbe avere allegato un prospetto che confronta, mese per mese, i corrispettivi telematici inviati vs gli importi transati su carte risultanti dal circuito bancario, evidenziando la differenza. Tutte queste informazioni vanno recuperate e analizzate attentamente.

3. Analizzare la propria posizione fiscale e confrontarla con l’anomalia

Una volta raccolti i dettagli forniti dal Fisco, bisogna svolgere una sorta di “audit interno”: confrontare i dati segnalati con le proprie dichiarazioni e scritture. In pratica, il contribuente deve verificare se effettivamente c’è stata la violazione prospettata oppure no. Questo passaggio è cruciale e potrebbe richiedere il supporto di un commercialista o fiscalista di fiducia.

  • Se l’anomalia riguarda redditi non dichiarati: controllare la dichiarazione dei redditi dell’anno in questione e verificare se effettivamente quella fonte di reddito manca. A volte può trattarsi di una svista o di un errore materiale (es.: un codice fiscale indicato male che ha fatto “perdere” una CU). Altre volte invece il reddito c’è ma era esente o escluso da tassazione (es.: un reddito estero esente per convenzione, o una borsa di studio non imponibile) – in tal caso bisognerà poi spiegarlo all’ufficio.
  • Se riguarda IVA o dichiarazioni omesse: verificare se davvero è stata omessa la presentazione di quel modello (a volte, ad esempio nei cambi di consulente, può accadere che una dichiarazione annuale IVA non sia stata trasmessa per disguidi, come nel Caso 3 che vedremo). Oppure, se segnalano un’imposta non versata, controllare i propri F24: potrebbe emergere, ad esempio, che un pagamento è stato fatto ma con codice tributo errato o su anno errato (situazione risolvibile con istanza di correzione).
  • Se riguarda investimenti esteri: rintracciare eventuali conti correnti o investimenti fuori Italia in quegli anni e vedere se effettivamente non furono dichiarati. Capita spesso che ci si “dimentichi” di conti aperti in passato, specie se con piccoli importi: la lettera funge da promemoria. Se invece si era non residenti (AIRE) come detto, l’anomalia è del Fisco, ma serve documentarlo.
  • Se riguarda incassi/corrispettivi: incrociare i dati di vendita registrati a libro o in contabilità con quelli bancari. Ad esempio, nel caso di scostamento POS, potrebbe emergere che una parte è dovuta a tempi diversi (fatture emesse l’anno dopo per acconti incassati, come nell’esempio della ristoratrice B.), oppure a errori di terzi (duplicazioni bancarie, poi stornate). Bisogna quantificare l’eventuale quota effettivamente non dichiarata.
  • Se riguarda crediti/detrazioni: recuperare la documentazione relativa a quel bonus o detrazione e verificare se c’è un errore. Ad es., se il Fisco contesta oneri detraibili non riportati correttamente, controllare ricevute, fatture, e anche i dati della precompilata (nel cassetto fiscale sono visibili).
  • Se riguarda ISA: qui l’“errore” non è netto, ma si può comunque capire il motivo del basso punteggio (magari omissione di alcuni dati nell’indice di affidabilità). È utile, in vista di rispondere, capire se il contribuente ha elementi per giustificare la situazione (es.: settore in crisi quell’anno, eventi straordinari, ecc.).

Questo check-up interno serve a dividere i casi in due macro-categorie: (A) l’anomalia è fondata (c’è effettivamente un errore/omissione da sanare); (B) l’anomalia non è fondata, o perlomeno il contribuente ritiene di aver agito correttamente e vuole contestare la segnalazione. C’è anche una terza categoria intermedia, quando solo una parte delle discrepanze è fondata (es.: il Fisco segnala 30k di ricavi non dichiarati, ma 15k effettivamente mancano mentre 15k erano un errore bancario): in tal caso si dovrà procedere con un mix di regolarizzazione e chiarimenti, come vedremo.

Suggerimento: documentate tutto il possibile in questa fase. Raccogliete le copie delle dichiarazioni, i modelli F24 pagati, gli estratti conto, le fatture, i contratti, qualsiasi pezzo di carta rilevante per spiegare la vostra situazione. Questo dossier vi servirà sia per calcolare esattamente il dovuto (se dovete ravvedervi) sia per predisporre una risposta argomentata all’Agenzia.

4. Se c’è un errore/omissione: regolarizzare con ravvedimento operoso

Se dalle verifiche risulta che avete effettivamente commesso un errore o un’omissione sostanziale, il passo successivo è sanare la posizione usufruendo dei benefici del ravvedimento operoso. Il ravvedimento operoso (disciplinato dall’art. 13 del D.Lgs. 472/1997) è lo strumento che consente al contribuente di correggere spontaneamente le violazioni tributarie commesse, beneficiando di sanzioni ridotte proporzionalmente alla tempestività del ravvedimento. Nel contesto delle lettere di compliance, è possibile accedere al ravvedimento anche dopo aver ricevuto la segnalazione, purché prima che vengano notificati atti di accertamento o comunicazioni con addebito di somme. Infatti, la normativa sul ravvedimento è stata estesa a partire dal 2015 proprio per permettere la regolarizzazione anche a seguito di queste comunicazioni bonarie.

Come effettuare il ravvedimento: bisogna presentare una dichiarazione integrativa per l’anno d’imposta interessato, rettificando i dati errati o inserendo quelli omessi. Ad esempio, se non avevate dichiarato un certo reddito, andrete a compilare il quadro Redditi opportuno e il Quadro RX (o imposte a credito/debito) con l’imposta aggiuntiva dovuta. Se si trattava di un quadro omesso (es. Quadro RW per i beni esteri), compilerete quello. Andrà barrrata la casella di dichiarazione integrativa. Una volta predisposta l’integrativa (meglio farsi assistere da un commercialista per evitare ulteriori errori), occorrerà versare quanto dovuto:

  • le maggiori imposte risultanti dalla dichiarazione integrativa (ad es. IRPEF su redditi non dichiarati, IVA non versata, ecc.);
  • gli interessi legali maturati su tali imposte (calcolati giorno per giorno dal momento in cui il pagamento originario era dovuto fino al giorno in cui effettivamente pagate – il tasso legale è relativamente basso, es. 1% circa, quindi spesso gli interessi sono importi modesti);
  • le sanzioni in misura ridotta da ravvedimento.

Quanto alle sanzioni ridotte, queste variano a seconda del tipo di violazione e del momento in cui si effettua il ravvedimento. Nel caso di una lettera di compliance, spesso siamo in presenza di violazioni “tardive” (l’errore risale a un paio d’anni prima almeno), quindi si applica la riduzione minima 1/6 (un sesto del minimo edittale). Ad esempio: per una dichiarazione infedele, la sanzione edittale minima è il 90% dell’imposta evasa; ridotta a 1/6 diventa il 15%. Ciò significa che pagherete solo il 15% della maggiore imposta dovuta, invece che il 90%. Per un’omessa dichiarazione, la sanzione va dal 120% al 240% dell’imposta (minimo €250) – se però presentate ora la dichiarazione omessa e pagate le imposte, la sanzione minima (120%) si riduce a 1/6 = 20% dell’imposta, o se l’imposta era zero si applica 1/6 di €250. Per un omesso versamento (es. IVA non versata), la sanzione piena del 30% si riduce secondo quando ravvedete: oltre un anno di ritardo la riduzione standard è 1/8 = 3,75%, ma se siete entro l’anno è 1/8 o 1/9 di 30% (in ogni caso molto inferiore al 30%). Per la mancata indicazione di attività estere (Quadro RW), la sanzione base è 3% del valore non dichiarato (per paesi collaborativi; 6% se paesi black-list): ravvedendovi pagate 1/6, quindi 0,5% (o 1% se black-list). Nota bene: come accennato, è in corso dal 2024 una riforma del sistema sanzionatorio che abbassa ulteriormente alcune sanzioni: ad esempio la sanzione per infedele dichiarazione scende a 70% fisso con minimo €150, e la riduzione ravvedimento passa a 1/7. In tal caso, per le violazioni commesse dopo l’entrata in vigore (dunque verosimilmente per i redditi 2023 e seguenti), la sanzione in ravvedimento sarà il 10% (1/7 di 70%). Per le violazioni dei periodi precedenti resta il 15% (1/6 di 90%). Esempio pratico: nel Caso 1 di seguito, il signor A. per sanare €520 di IRPEF ha pagato €78 di sanzione (15%); se la stessa situazione fosse per il 2023 con nuove regole, pagherebbe ~€52 (10%).

Il pagamento di imposte, interessi e sanzioni avviene tramite modello F24, utilizzando i codici tributo appositi per il ravvedimento (spesso indicati nella stessa lettera o nelle istruzioni online) e riportando il codice atto o protocollo della comunicazione, in modo che l’ufficio possa abbinare il versamento alla specifica posizione. Ad esempio, per un ravvedimento IRPEF esiste un codice tributo per l’imposta, uno per interessi e uno per sanzione. L’Agenzia nella sua guida fornisce l’elenco dei codici da utilizzare caso per caso. Dal 2023 c’è stato anche un ravvedimento operoso speciale (per violazioni fino al 2021) con sanzione ridotta a 1/18, che richiedeva però pagamento in 8 rate – se avete aderito a quello, bene; altrimenti ora rimane il ravvedimento ordinario (1/6 o 1/7 come detto).

Una volta effettuata la dichiarazione integrativa e l’F24, avrete perfezionato il ravvedimento operoso. Oltre a sistemare sul piano fiscale, questo ravvedimento vi garantisce anche tutele sul piano penale tributario: infatti, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 74/2000, il pagamento integrale di imposte, sanzioni e interessi prima dell’apertura del dibattimento penale estingue i reati tributari eventualmente configurabili. La Cassazione penale ha confermato di recente che tale non punibilità opera anche se il ravvedimento è avvenuto dopo l’inizio di un’attività di verifica, purché completo e tempestivo prima del dibattimento. Dunque, ravvedersi conviene doppiamente: risparmiate sulle sanzioni amministrative e vi mettete al riparo da possibili conseguenze penali (ove in astratto configurabili, ad es. omessa dichiarazione oltre €50k di imposta evasa, dichiarazione infedele oltre soglie di legge, ecc.).

Tempistiche: quanto tempo avete per ravvedervi? Formalmente, finché non vi viene notificato un atto di accertamento o una comunicazione con somme dovute, il ravvedimento è ammesso. La legge, dopo le modifiche del 2015-2016, permette il ravvedimento anche oltre l’anno successivo, e persino dopo eventuali accessi o ispezioni (purché non vi sia già un atto fiscale notificato). In pratica, però, l’Agenzia non aspetterà in eterno: come detto, deve rispettare i termini di decadenza per l’accertamento (tipicamente 5 anni). Quindi, dopo aver inviato la lettera, se non riceve nulla, trascorso un certo periodo procederà con l’atto finale entro la scadenza. È impossibile sapere esattamente quanto attendano (dipende dal caso, dall’anno, dalle priorità interne), ma è ragionevole pensare che abbiate qualche mese di tempo utile. Il consiglio degli esperti è di completare il ravvedimento entro l’anno solare in cui si è ricevuta la lettera, o al massimo entro i primi mesi dell’anno successivo, per stare al sicuro. Ad esempio, se ricevete una lettera a luglio 2025, cercate di ravvedervi entro dicembre 2025 (o entro il primo trimestre 2026). Questo anche per una questione di “comunicazione” con l’ufficio: se fate passare troppo tempo, l’ufficio potrebbe già aver predisposto l’accertamento.

5. Predisporre una risposta scritta all’Agenzia (con chiarimenti e documenti)

Sebbene – ribadiamolo – la lettera di compliance non obblighi a rispondere formalmente (la stessa Agenzia, come visto, dice che non occorre fare nulla se non si ravvisano errori), è fortemente consigliato che il contribuente invii un riscontro scritto. In particolare, dovreste sempre comunicare all’ufficio l’esito delle vostre verifiche: sia nel caso in cui avete effettuato il ravvedimento, sia nel caso in cui ritenete infondata l’anomalia e volete spiegare il perché. Una risposta ben formulata serve a cristallizzare la vostra posizione e a evitare che l’ufficio, non ricevendo notizie, vada avanti in modo “standard” verso l’accertamento.

La risposta può essere inviata tramite PEC all’indirizzo PEC dell’ufficio che ha emesso la lettera (di solito indicato sulla comunicazione stessa), oppure attraverso il canale telematico CIVIS (il servizio online dell’Agenzia per comunicare su avvisi e comunicazioni). In alternativa, si può consegnare a mano o inviare per raccomandata A/R, ma la PEC è preferibile per rapidità e tracciabilità.

Contenuto della risposta: naturalmente dipenderà dal caso. Possiamo delineare alcuni schemi di risposta:

  • Se avete regolarizzato con ravvedimento: nella lettera di risposta è opportuno indicare che, a seguito della comunicazione ricevuta, avete verificato la vostra posizione fiscale per l’anno X e avete riscontrato l’errore segnalato, provvedendo quindi a presentare dichiarazione integrativa in data Y e a versare le somme dovute. Indicate gli estremi dell’F24 (data e importo) e magari allegate copia della ricevuta telematica di invio della dichiarazione integrativa e dell’F24 pagato. Potete concludere chiedendo conferma che, avendo regolarizzato, la posizione è da considerarsi definita e non seguiranno ulteriori atti. Un fac-simile può essere: “In riferimento alla Vs comunicazione prot. … relativa all’anno d’imposta …, confermo di aver provveduto a regolarizzare l’anomalia segnalata. In data … ho presentato dichiarazione integrativa e in data … ho versato con modello F24 le imposte, interessi e sanzioni dovute (codice atto …). Allego copia. Chiedo gentilmente conferma che la presente regolarizzazione viene acquisita e che non verranno emessi avvisi di accertamento in merito”. Tono cordiale ma fermo. Questa risposta non è obbligatoria, ma è molto utile: consente all’ufficio di abbinare subito il pagamento alla lettera e di chiudere la pratica senza dubbi. In genere, dopo qualche tempo, l’Agenzia risponde con un breve riscontro di archiviazione (come successo al signor A. nel Caso 1).
  • Se ritenete di essere nel giusto (nessun errore sostanziale): in tal caso la risposta servirà a fornire chiarimenti e prove a vostro favore. Occorre spiegare perché l’anomalia segnalata non costituisce evasione. Ad esempio: “La differenza di €5.000 nei compensi 2022 segnalata è solo apparente: come da documentazione allegata, trattasi di una fattura elettronica emessa a fine 2022 ma scartata dal SdI e re-emessa nel 2023, quindi legittimamente esclusa dal reddito 2022. Non vi è dunque alcun ricavo omesso.” Oppure: “In merito ai conti esteri segnalati, si precisa che il contribuente era residente fiscale all’estero nell’anno X (iscritto AIRE, vedi certificato allegato) e pertanto non soggetto all’obbligo dichiarativo in Italia.” Insomma, bisogna narrativa i fatti e supportarli con documenti. Allegare sempre copie di quanto utile: dichiarazioni già presentate, ricevute di invii telematici, certificati, estratti contabili, lettere di banche (come nel Caso B, dove la contribuente ha allegato la lettera dell’acquirer che confermava l’errore di €15.000). Lo scopo è convincere l’ufficio che l’eventuale “buco” nei loro dati è frutto di un malinteso o di un dato incompleto, e che non c’è imposta evasa. Se per caso emerge che avete commesso solo errori formali (es. fattura emessa con data errata, o tardiva ma comunque tassata l’anno dopo), sottolineatelo. In alcuni casi, potrebbe essere opportuno presentare comunque una dichiarazione integrativa “a zero” per correggere l’errore formale (ad esempio se una fattura era stata imputata nell’anno sbagliato ma senza evadere imposta complessiva, si potrebbe integrare un anno riducendo 5k e aumentare l’altro di 5k, senza debito, giusto per allineare i dati – non sempre necessario, valutare caso per caso). Se optate per questa soluzione, menzionatelo nella risposta. L’aspettativa, se la spiegazione è solida, è che l’ufficio prenda atto e non dia seguito ad accertamenti. A volte potrebbero chiedere integrazioni o convocarvi per esibire documenti: nessun problema, è meglio un contraddittorio adesso che una lite in tribunale poi.
  • Se l’anomalia era parzialmente fondata e avete fatto un “ravvedimento parziale”: esempio: metà dell’importo contestato era effettivamente non dichiarato (e lo avete ravveduto) mentre l’altra metà era corretta. In questo caso, nella risposta dovrete evidenziare entrambe le cose. Cioè: comunicare di aver regolarizzato €X di imponibile (allegando l’integrativa e F24 per quella parte) e al contempo spiegare che il restante importo €Y non costituiva evasione per le ragioni XYZ, con relativi documenti. Questo approccio dimostra onestà e vi mette al riparo sul lato ravveduto, lasciando come unica potenziale contestazione futura la parte non ravveduta – ma se l’avete motivata bene, è probabile che l’ufficio chiuda l’intera pendenza e non proceda oltre.
  • Forma della risposta: non esiste un modulo predefinito (anche se alcune Direzioni locali a volte forniscono fac-simili). Potete scrivere una lettera formale con intestazione vostra, indirizzata all’Ufficio competente, indicando nell’oggetto “Riferimento vs comunicazione prot. … del … – Risposta del contribuente”. Poi spiegate il tutto come sopra. Firmate digitalmente la PEC se possibile, o firmate a penna se cartacea. Conservate la ricevuta di invio (PEC o postale). Nella lettera di compliance spesso è indicato anche un numero di telefono o email dell’ufficio per informazioni: nulla vieta di prendere contatto informale col funzionario incaricato, per anticipare ad esempio che invierete chiarimenti o concordare tempi. Ma è bene che ogni cosa importante risulti poi per iscritto.

In tutti i casi, rispondere – anche se non obbligatorio – risulta molto opportuno. Non c’è alcuna sanzione se non rispondete, ma rischiate di pregiudicare la possibilità di fermare sul nascere un eventuale accertamento. In altre parole, se l’ufficio non riceve controdeduzioni, tenderà a considerarvi inadempienti e procederà. Invece, una buona risposta potrebbe convincerli a lasciar perdere ulteriori azioni (o almeno a concentrare l’attenzione solo su ciò che eventualmente non avete sanato).

Unica eccezione: in situazioni davvero semplici e di scarso rilievo (es. avete ricevuto una lettera manifestamente sbagliata per importi minimi, che magari non riceverà mai seguito), si potrebbe decidere di non rispondere, confidando che cada nel vuoto. Ma è comunque un azzardo: meglio spendere mezz’ora ora per scrivere una PEC, che magari anni dopo in tribunale per farsi annullare un accertamento “automatico” basato su dati incompleti.

Cosa succede se non regolarizzi: rischi e conseguenze

Dal punto di vista del contribuente (“debitore”), è fondamentale comprendere le possibili conseguenze di una mancata adesione all’invito bonario del Fisco. In sintesi, se non fai nulla, si attiverà la procedura ordinaria di accertamento. Questo comporta:

  • Perdita dei benefici sanzionatori: come già sottolineato, rinunci implicitamente alla possibilità di pagare sanzioni ridotte (che col ravvedimento sarebbero 1/6 o 1/7 del minimo). L’eventuale successivo accertamento ti applicherà sanzioni piene (salvo poi poterle ridurre solo a 1/3 con adesione). Ad esempio, un’imposta evasa di €10.000 comporterà €9.000 di sanzione (90%) invece che €1.500 col ravvedimento.
  • Emissione di un avviso di accertamento: trascorso un tempo variabile (mesi o un paio d’anni, a seconda dei carichi di lavoro e dei termini), l’Agenzia procederà a emettere un avviso di accertamento relativo all’anno e ai rilievi segnalati. L’accertamento ti verrà notificato tramite PEC o raccomandata e costituirà un atto impositivo vero e proprio: quantificherà l’imposta ritenuta dovuta, gli interessi e le sanzioni al 100% (o 120-240% se omessa dichiarazione). Da quel momento scatteranno precisi termini per reagire (60 giorni) e obblighi (pagamento di una quota). Non solo: un accertamento fiscale è un “precedente” che resterà nella tua storia come contribuente, potenzialmente aumentando il rischio di future verifiche.
  • Possibile iscrizione a ruolo provvisoria: come accennato, oggi gli avvisi di accertamento sono immediatamente esecutivi per 1/3 delle maggiori imposte accertate. Ciò significa che, anche se fai ricorso, in assenza di sospensione dovrai versare 1/3 di imposte + interessi entro 60 giorni (resta congelata invece la parte di sanzioni fino a sentenza). Se non versi, quella parte va a ruolo per la riscossione coattiva anche con ricorso pendente. Questo è un ulteriore impatto finanziario da tenere presente.
  • Contenzioso tributario: se vorrai contestare l’accertamento (perché magari ritieni tuttora di aver ragione, o perché la ricostruzione del Fisco è eccessiva), dovrai intraprendere un ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria provinciale (ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni dalla notifica, con l’assistenza di un difensore abilitato (di solito avvocato tributarista o commercialista). Questo comporta costi (tributo unificato, compenso al difensore) e tempi (i processi tributari durano mesi/anni). Sebbene il processo tributario consenta di fare valere le tue ragioni e di produrre tutte le prove (quindi anche se non hai risposto alla lettera, potrai difenderti in giudizio), è innegabile che si tratta di una strada più incerta e gravosa rispetto a un ravvedimento spontaneo. Inoltre, come detto, dovrai forse pagare una parte subito e chiedere eventualmente al giudice una sospensiva per evitare la riscossione provvisoria: la sospensione viene concessa solo se dimostri sia il fumus (probabilità di vittoria) sia il periculum (danno grave dal pagamento anticipato).
  • Rischio di sanzioni penali: qualora le violazioni configurino reati (dichiarazione infedele: imposta evasa > €100k e >10% del dichiarato; omessa dichiarazione: imposta > €50k; emissione di fatture false, ecc.), l’emissione di un accertamento non definito potrebbe portare all’inoltro di una segnalazione alla Procura da parte dell’Agenzia. In realtà, già la constatazione in sede amministrativa potrebbe essere passata al penale se i numeri superano le soglie. Ma esiste una causa di non punibilità (art. 13 D.Lgs 74/2000) se si paga tutto prima del dibattimento. Ignorare la compliance e arrivare a un accertamento significa però perdere la chance di sanare prima che scatti il procedimento. Dovrai eventualmente affrettarti poi a pagare tutto con sanzioni piene per evitare il processo penale, sempre che tu ne abbia la disponibilità economica.
  • Riscossione coattiva e misure patrimoniali: in mancanza di definizione bonaria, alla fine l’importo contestato diventerà definitivo (se non fai ricorso, dal 61° giorno; se fai ricorso e perdi, a sentenza definitiva) e verrà affidato all’Agente della Riscossione. Seguirà una cartella esattoriale o un altro atto di intimazione. A quel punto, se non paghi, si può procedere con le solite misure di recupero: fermi amministrativi su auto, ipoteche su immobili, pignoramenti di conti, stipendi, affitti, ecc. Tutto questo ovviamente aumenta costi e stress rispetto a una sistemazione volontaria iniziale.

In definitiva, ignorare la lettera significa perdere il treno della definizione agevolata e mettersi su un binario rischioso. Certo, come detto esistono situazioni in cui un contribuente può, a ragion veduta, scegliere lo scontro formale (magari perché ha certezza della propria correttezza e preferisce affrontare il giudice che pagare qualcosa che ritiene ingiusto). Ma è una scelta da ponderare con un esperto, consapevoli che è un percorso oneroso e incerto. Nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto quando la violazione c’è ed è difficilmente negabile, aderire all’invito bonario conviene nettamente.

Una possibilità alternativa: se al momento della lettera di compliance è stata approvata una qualche definizione agevolata o sanatoria fiscale che copre la vostra violazione, potreste valutare di aderirvi in luogo del ravvedimento. Ad esempio, nella Legge di Bilancio 2023 era previsto il “ravvedimento speciale” (per violazioni dichiarative fino all’anno d’imposta 2021) che consentiva di sanare pagando solo 1/18 della sanzione (circa 5%). Chi ha ricevuto lettere per il 2019-2020 ha potuto sfruttarlo. In futuro potrebbero esservi altri condoni o definizioni agevolate (magari per omesse dichiarazioni, ecc.). La lettera di compliance di per sé non preclude la possibilità di aderire a queste misure (non essendo un atto impositivo). Quindi, se mentre valutate cosa fare scoprite che è uscito un condono più vantaggioso del ravvedimento, e ne avete i requisiti, potete optare per quello. Occorre leggere bene le norme di ciascuna sanatoria: alcune richiedono che non ci siano atti definitivi notificati, altre magari escludono chi ha già ricevuto accertamenti, ecc. La lettera in sé, ripetiamo, non è un atto definito, dunque normalmente non vi esclude dalla sanatoria. Valutate però attentamente col vostro consulente se la vostra violazione rientra e se conviene rispetto al ravvedimento. In caso di dubbio, potete anche ravvedervi subito e poi, se successivamente arriva una sanatoria più conveniente, aderire ad essa chiedendo eventualmente il rimborso di quanto pagato in eccedenza – non è un percorso semplice, ma alcune volte percorribile.

Esempi pratici di compliance: casi risolti passo passo

Per rendere più concreti i principi esposti, presentiamo alcuni casi pratici simulati, focalizzati su diverse tipologie di contribuenti, con la descrizione di come affrontare la lettera di compliance nel caso specifico.

Caso 1: Persona fisica – Conto estero non dichiarato

Scenario: Il signor A., residente in Italia, riceve a ottobre 2024 una PEC dall’Agenzia delle Entrate avente per oggetto “Investimenti esteri non dichiarati – compliance anno d’imposta 2019”. La lettera segnala che, dai dati pervenuti tramite accordi internazionali, risulta che A. deteneva nel 2019 un conto corrente presso una banca francese con saldo di €80.000, nonché titoli per un valore di €50.000; inoltre, sarebbero stati percepiti interessi attivi per €2.000 non dichiarati nei redditi.

Azione: A. accede al cassetto fiscale e scarica il dettaglio: conferma che i dati corrispondono (conto presso BNP Paribas FR, titoli, interessi). Ricorda di aver effettivamente dimenticato di inserire quel conto aperto anni prima quando lavorava in Francia. Senza indugio, insieme al suo commercialista calcola il dovuto per sanare la situazione:

  • Imposta sul reddito: gli €2.000 di interessi avrebbero dovuto essere tassati al 26% (trattandosi di interessi esteri) → €520 di IRPEF.
  • IVAFE: sul saldo di €80.000 del conto corrente andava pagata l’IVAFE (imposta sul valore attività finanziarie estere) 2019, pari allo 0,2% = €160.
  • Sanzione per infedele dichiarazione su IRPEF: 90% di €520 = €468; ravvedimento a 1/6 = €78.
  • Sanzione per omessa indicazione in RW: la mancata compilazione del quadro RW per €130.000 (conto + titoli) comporta sanzione del 3% = €3.900 (paese UE, quindi cooperativo); ravvedimento a 1/6 = €650.
  • Interessi legali: circa 1% annuo medio su €520 per 4 anni ≈ €20.

A. presenta a novembre 2024 la dichiarazione integrativa 2020 (reddituale) indicando il conto e i redditi finanziari. Contemporaneamente, tramite F24 versa circa €1.428 (€520 imposta + €160 IVAFE + €78 sanzione IRPEF + €650 sanzione RW + €20 interessi). Invia quindi una PEC all’ufficio: spiega l’errore (conto estero non dichiarato per svista), allega copia della dichiarazione integrativa e della ricevuta di invio, copia dell’F24 quietanzato, un estratto conto bancario che evidenzia saldo e interessi, e chiede conferma di archiviazione della posizione (in sostanza dichiara di aver regolarizzato e invita l’ufficio a non procedere oltre).

Esito: L’Agenzia, preso atto del ravvedimento, non invia alcun accertamento. Nel 2025 A. riceve solo una breve PEC di riscontro: “La Sua comunicazione PEC del … è stata protocollata al n…; avendo provveduto a regolarizzare quanto segnalato, questa Direzione considera definita la posizione per l’anno 2019”. Caso chiuso con sanzioni minime e senza strascichi.

(Se A. avesse ignorato la lettera: quasi certamente entro fine 2024 o 2025 l’Agenzia gli avrebbe notificato un avviso di accertamento per redditi esteri non dichiarati, chiedendo: €520 di IRPEF + €160 IVAFE + sanzione al 90% su IRPEF (€468) + sanzione 15% annua su RW (€5% annuo, quindi circa €6.500 per 2019) + interessi. Totale oltre €7.000, con in più l’apertura di un fascicolo per reato di omessa dichiarazione (dato che €520 > €50k? No, in questo caso reato no perché l’imposta evasa era piccola; ma se fosse stata maggiore, rischiava). Anche senza penale, A. si sarebbe trovato a dover fare ricorso per contestare eventualmente la sanzione RW o chiedere la riduzione a minimo, con aggravio di spese legali. Il ravvedimento gli ha risparmiato almeno €5.000 e ogni grattacapo ulteriore.)

Caso 2: Ditta individuale – Discrepanza tra corrispettivi e incassi POS

Scenario: La signora B. gestisce un ristorante (ditta individuale, contabilità semplificata, obbligo di invio telematico dei corrispettivi giornalieri). A settembre 2024 riceve una raccomandata dall’Agenzia delle Entrate con oggetto “Comunicazione anomalie incassi elettronici – anno d’imposta 2022”. La lettera riporta che, a fronte di corrispettivi dichiarati per €300.000, risultano pagamenti con carte e bancomat per €330.000, con uno scostamento di +€30.000. Invita a verificare la completezza dei ricavi dichiarati e a regolarizzare eventuali importi non documentati.

Azione: B. recupera i dati dai propri registri e conti bancari. Confronta i corrispettivi giornalieri 2022 comunicati (scontrini) con gli accrediti sul conto bancario da POS. Scopre così che effettivamente nel 2022 c’è un problema: per circa €15.000 di incassi con carte relativi a banchetti aziendali di dicembre, le relative fatture erano state erroneamente emesse a gennaio 2023 (anziché a dicembre 2022), quindi quei €15k non compaiono nel totale 2022 (ma sono stati poi dichiarati nel 2023). Gli altri €15.000 di differenza risultano invece dovuti a un errore dell’acquirer (il circuito bancario) che ha conteggiato alcune transazioni duplicate, poi stornate nel 2023. In sintesi, B. realizza che ha parzialmente omesso di dichiarare €15.000 di ricavi 2022 (quelli fatturati tardi), mentre gli altri €15.000 non sono ricavi reali.

Calcola quindi il dovuto sulla parte di ricavi omessi (€15.000):

  • IVA non dichiarata (aliquota 10% per la ristorazione): €15.000 * 10% = €1.500.
  • Imposte dirette: quei €15.000 di maggiori ricavi avrebbero generato circa €4.000 di reddito imponibile (tolti costi variabili ecc.), tassato al ~27% (IRPEF + addiz.) = €1.100 circa.
  • Sanzione infedele su IVA: 90% di €1.500 = €1.350; ravvedimento 1/6 = €225.
  • Sanzione infedele su IRPEF: 90% di €1.100 = €990; ravvedimento 1/6 = €165.
  • Interessi legali: essendo passati 1-2 anni, pochi euro (diciamo €10-20).

B. quindi presenta un’integrativa IVA 2023 (anno imposta 2022) e un’integrativa Redditi PF 2023 con i maggiori ricavi €15.000 imputati al 2022. Paga tramite F24 circa €2.600 tra imposte (€1.500 IVA + €1.100 IRPEF) e €390 tra sanzioni e interessi (totale sui €3.000).

Inoltre, predispone una risposta all’Agenzia via PEC, in cui dettaglia la situazione: “A seguito della Vs comunicazione, ho riscontrato che €15.000 di incassi POS di fine 2022 sono stati fatturati tardivamente a gennaio 2023 (ora regolarizzati tramite integrativa), mentre gli altri €15.000 erano frutto di un errore contabile dell’acquirer, come da documentazione allegata”. Allega infatti le integrative presentate, l’F24 pagato, e soprattutto la lettera ufficiale della banca che attesta l’errore di doppio conteggio (ottenuta su richiesta). Specifica dunque che ha sanato la parte di ricavi effettivamente omessa (€15k) e chiede che venga preso atto anche dell’errore tecnico per gli altri €15k.

Esito: L’ufficio esamina la risposta. Riconosce l’errore bancario per €15.000 (quindi nulla da recuperare su quella parte) e prende atto che gli altri €15.000 sono stati dichiarati e liquidati con ravvedimento. Entro fine 2025 invia a B. un breve avviso via PEC: “Gentile contribuente, relativamente alla comunicazione di anomalia incassi POS 2022, viste le integrazioni dichiarative e i pagamenti effettuati, non si darà corso ad ulteriori rilievi. Pratica chiusa.” B. ha risolto con un esborso modesto e nessuna penalità grave.

(Se B. avesse ignorato: molto probabilmente nel 2025 l’ufficio avrebbe avviato un controllo approfondito sul 2022, magari con una verifica o accesso, contestando €30.000 di ricavi omessi. Avrebbe emesso un accertamento basato in parte su induttivo (presunzione che quei €30k fossero nero). B. si sarebbe trovata a dover pagare €1.500 IVA + €1.100 IRPEF + sanzioni 90% (€2.340) + interessi, per un totale oltre €5.000, e a dover poi dimostrare a posteriori (in contraddittorio o in contenzioso) la storia dell’errore dell’acquirer – comunque dovendo pagare almeno le sanzioni su €15k veri. Con la compliance ha pagato solo ~€3k e ha chiuso tutto senza vertenze.)

Caso 3: Società – Omessa dichiarazione IVA annuale

Scenario: La società Alfa S.r.l., start-up e-commerce, per un disguido amministrativo non presenta la dichiarazione IVA 2024 (riferita all’anno d’imposta 2023). Aveva però regolarmente liquidato e versato l’IVA mensilmente per tutto il 2023. A febbraio 2025 riceve una PEC dall’Agenzia intitolata “Adempimento spontaneo – mancata presentazione dichiarazione IVA 2024”. Si segnala che dagli incroci (fatture elettroniche emesse e comunicazioni delle liquidazioni periodiche) risulta l’obbligo di presentare la dichiarazione IVA annuale, e si invita la società a farlo al più presto per evitare sanzioni maggiori.

Azione: Alfa Srl si rende conto dell’errore (aveva cambiato commercialista a inizio 2024 e la dichiarazione annuale è stata dimenticata). Fortunatamente:

  • Tutta l’IVA dovuta per il 2023 era già stata versata nei vari mesi (non c’è IVA a debito ulteriore).
  • Non vi sono crediti particolari da riportare né detrazioni da esercitare in dichiarazione (il che semplifica le cose).

La società quindi, a marzo 2025, presenta immediatamente la dichiarazione IVA 2024 (seppur tardiva). Trattandosi di dichiarazione omessa ma senza debito d’imposta residuo, la violazione consiste principalmente nel mancato invio. La sanzione edittale prevista dal DLgs 471/97 è dal 120% al 240% dell’IVA dovuta, con minimo €250. Nel nostro caso, l’IVA dovuta è in realtà €0 (perché tutto già pagato), quindi si applica il minimo €250 per omessa dichiarazione senza debito. Essendo la dichiarazione presentata entro l’anno, Alfa può ravvedere la violazione con sanzione ridotta a 1/6 del minimo: €250/6 = circa €42. Tuttavia, precisi riferimenti normativi indicano che se la dichiarazione omessa viene presentata entro il termine di quella dell’anno successivo, la sanzione minima si riduce a €150 (il doppio del minimo ridotto per presentazione spontanea tardiva entro 90gg, che sarebbe €25, ma qui siamo oltre 90gg). Facciamo riferimento alla prassi: in genere in questi casi si applica €250 se scoperta dal Fisco, ma se il contribuente presenta spontaneamente prima dell’accertamento, spesso viene accolta l’applicazione del minimo. Per prudenza Alfa versa €167 (che è 2/3 di €250, nel dubbio di interpretazione). Usa l’F24 con il codice tributo per sanzione omessa dichiarazione ravveduta.

Alfa risponde via PEC all’Agenzia: spiega l’accaduto (dimenticanza non intenzionale dovuta al cambio di consulente), allega copia della dichiarazione IVA ora presentata e dell’F24 con la sanzione minima pagata (specificando che l’IVA era già stata versata interamente durante l’anno).

Esito: L’ufficio, riscontrando che l’IVA 2023 era tutta pagata e che ora la dichiarazione annuale è agli atti, considera la posizione regolarizzata. Non viene irrogata ulteriore sanzione oltre quanto pagato. Il caso viene archiviato.

(Se Alfa non avesse reagito: dopo qualche mese avrebbe ricevuto un avviso di accertamento per omessa dichiarazione IVA, con sanzione di €500 circa (doppio minimo, spesso in questi casi applicano il doppio del minimo se interviene l’ufficio). Pur non avendo imposta evasa, avrebbe dovuto comunque pagare almeno €250-500 + interessi e gestire il tutto in contraddittorio, magari riuscendo a farsi ridurre la sanzione ma con dispendio di tempo. Inoltre, avrebbe perso la “clean record” come società. Molto meglio aver sistemato subito con €167.)

Caso 4: Contribuente in regime forfettario – Anomalia segnalata ma nessuna irregolarità effettiva

Scenario: C. è un libero professionista in regime forfettario dal 2021 (esente IVA, contabilità semplificata). Nel dicembre 2024 riceve una comunicazione di compliance che segnala “anomalie nei dati dei compensi 2022”. In particolare, confrontando i dati delle fatture elettroniche emesse nel 2022 (che ammontano a €85.000) con quanto dichiarato nel quadro LM del modello Redditi PF 2023 (compensi €80.000), risulta una differenza di €5.000. L’Agenzia invita a verificare se siano stati omessi dei ricavi o commessi errori.

Azione: C. analizza i dati e scopre l’arcano: a fine 2022 ha emesso una fattura di €5.000 a un cliente, ma la fattura è stata scartata dal Sistema di Interscambio (SdI) per un errore di compilazione, e poi reinviata e registrata con data gennaio 2023. Di fatto, nei registri 2022 di C. quell’importo non c’è (giustamente, perché la fattura valida è datata 2023). Tuttavia, il sistema dell’Agenzia sembra aver conteggiato anche la fattura scartata nel totale “fatture emesse 2022” (forse un bug o una mancata distinzione tra fatture valide e scartate). Dunque appare come se C. avesse fatturato €85k nel 2022, ma in realtà ne ha avuti €80k.

C. è sicuro che non vi sia alcuna imposta evasa: nel regime forfettario lui paga un’imposta sostitutiva sul 67% dei ricavi, e ha calcolato correttamente su €80k (non avendo incassato quei €5k nel 2022). Prepara comunque una risposta dettagliata:

  • Spiega l’episodio della fattura scartata e reinviata, documentandolo con le notifiche del SdI (sistema di interscambio) che mostrano “fattura n.10/2022 scartata” e poi “fattura n.1/2023 emessa a gennaio per lo stesso importo”.
  • Dichiara che i compensi 2022 effettivi sono €80k, come dichiarato, e che non vi è alcuna omissione.
  • Allega copia del registro fatture emesse 2022 e 2023 e delle ricevute SdI di scarto/invio, a supporto.
  • Chiede all’ufficio di prendere atto di ciò e di correggere eventuali evidenze errate nei loro sistemi (se necessario).

Esito: L’Agenzia, ricevuta la spiegazione e la documentazione, concorda che non sussiste evasione. Non essendoci imposte aggiuntive dovute, non c’è neppure materia per un ravvedimento. Dopo qualche mese, la posizione di C. risulta normalizzata e non segue alcun atto. (Magari, auspicabilmente, alla prossima tornata di lettere il software escluderà i documenti scartati, avendo appreso dal caso…).

Questo esempio mostra come talvolta la compliance serva anche a “ripulire” le informazioni e a far emergere casi in cui il contribuente è nel giusto – evitando che si trasformino in accertamenti ingiusti. Se C. non avesse risposto, forse l’Agenzia avrebbe comunque accantonato la cosa (essendo importo modesto), oppure avrebbe mandato un questionario. In ogni caso, C. ha preferito chiarire subito e dormire sonni tranquilli.


Da questi esempi emerge una costante: il dialogo preventivo paga. In ogni scenario, la risposta proattiva del contribuente ha evitato l’aggravarsi della situazione. E anche nei casi borderline (errori del Fisco), un chiarimento tempestivo ha scongiurato noie future.

Domande frequenti (FAQ) sulla gestione delle lettere di compliance

Di seguito una serie di domande comuni che i contribuenti si pongono riguardo alle lettere di compliance, con risposte basate sulla normativa aggiornata e le prassi dell’Agenzia.

D1. La lettera di compliance è un accertamento? Devo pagarla entro una scadenza specifica?
R: No, non è un accertamento formale e non contiene una richiesta di pagamento immediato. È un avviso informativo di anomalia, privo di valore impositivo. Dunque non c’è una scadenza legale entro cui “pagare la lettera” – la lettera stessa non quantifica somme dovute. Tuttavia, è fortemente consigliato regolarizzare o rispondere al più presto (orientativamente entro 30-60 giorni). Questo per sfruttare i benefici del ravvedimento (che, ricordiamo, potete fare finché non arriva un atto formale) e per dimostrare spirito di collaborazione. Se invece ignorate la comunicazione troppo a lungo, rischiate che l’Agenzia proceda con atti formali (quelli sì con scadenze perentorie!). In altre parole, considerate la lettera come un sollecito: non avete un termine perentorio come per un avviso bonario (che dal 2025 è 60 giorni), ma agite senza indugio.

D2. Devo rispondere obbligatoriamente alla lettera?
R: No, non c’è un obbligo di legge di rispondere, poiché la lettera di compliance non impone un contraddittorio formale. Come riportato nella FAQ ufficiale, “Non occorre fare nulla. La comunicazione ha valore puramente informativo e non richiede di attivarsi per fornire un riscontro” se non si ravvisano errori. Detto ciò, è nell’interesse del contribuente rispondere. Inviare un riscontro scritto, specie se hai fatto ravvedimento o se vuoi contestare l’anomalia, è altamente consigliato per chiarire la tua posizione e prevenire che l’ufficio, in assenza di tue notizie, prosegua d’ufficio. Quindi: non verrai sanzionato se non rispondi, ma potresti pregiudicare la possibilità di fermare sul nascere un eventuale accertamento. Rispondi sempre se hai elementi utili da comunicare.

D3. La lettera di compliance è impugnabile davanti alla Commissione Tributaria?
R: No. Non essendo un atto impositivo né una liquidazione di tributo, la lettera di compliance non può essere impugnata autonomamente. Un ricorso presentato contro una simile comunicazione verrebbe dichiarato inammissibile. Potrai far valere le tue ragioni solo se e quando l’Agenzia emetterà un avviso di accertamento (o eventualmente una cartella a seguito di un avviso bonario non pagato). L’unica situazione borderline riguarda le comunicazioni ex art. 36-bis/ter con somme dovute: in passato, in qualche caso la giurisprudenza ha ammesso ricorsi contro l’iscrizione a ruolo derivante da un avviso bonario, ma parliamo di avvisi bonari, non di semplici lettere di compliance informativa. Le semplici lettere di compliance, prive di una pretesa tributaria quantificata, non rientrano tra gli atti impugnabili. In sintesi, non puoi fare ricorso al giudice contro la lettera in sé – devi piuttosto utilizzare gli strumenti del contraddittorio volontario (risposta scritta, eventuale incontro con l’ufficio) per risolvere la questione.

D4. Quanto tempo ho per regolarizzare con ravvedimento?
R: Fino a quando non ricevi un atto formale (es. un avviso di accertamento o una comunicazione di irregolarità con somme da pagare), puoi ravvederti. La legge consente il ravvedimento anche oltre il termine di presentazione della dichiarazione successiva e anche dopo eventuali accessi o ispezioni (novità introdotte dal 2015 in poi), purché – ribadiamo – non ti sia già stato notificato un atto impositivo o una comunicazione ex 36-bis/ter con somme dovute. In pratica, se sei arrivato a ricevere la lettera (nel 2023, 2024, ecc.), la violazione risale a anni prima, quindi sarai nel caso di ravvedimento “oltre 2 anni” → sanzione ridotta a 1/6 del minimo. Potresti teoricamente ravvederti anche dopo 3 o 4 anni, finché non scade il termine di accertamento. Attenzione però: il Fisco non aspetterà per sempre. Come spiegato, i termini di decadenza (5 anni di norma) fanno sì che, dopo averti mandato la lettera, se non ti muovi l’ufficio emetterà l’accertamento prima della scadenza. Quindi di fatto hai tempo fino a quando non ti notificano qualcosa – ma conviene non tirare troppo la corda. Un consiglio operativo: cerca di ravvederti entro l’anno solare in cui hai ricevuto la lettera o al massimo entro i primi mesi dell’anno successivo. Questo per chiudere la questione prima che l’ufficio pianifichi l’azione successiva.

D5. Posso chiedere una rateizzazione per il ravvedimento?
R: Il ravvedimento operoso richiede il pagamento spontaneo e integrale delle somme dovute (imposta + interessi + sanzione ridotta). La normativa non prevede un piano di rateazione “automatico” per perfezionare il ravvedimento: se tu paghi a rate di tua iniziativa senza accordo, tecnicamente non hai perfezionato il ravvedimento (che richiede il versamento completo entro la scadenza che ti sei prefissato). Detto ciò, se hai seri problemi finanziari e l’importo è elevato, hai qualche opzione:

  • Puoi contattare l’ufficio (meglio per iscritto) e segnalare la difficoltà, tentando di concordare un termine più ampio o un frazionamento informale. Non c’è garanzia, ma in certi casi l’ufficio può attendere qualche mese in più se vede collaborazione. Ad esempio, alcuni contribuenti hanno ottenuto di pagare in 2-3 tranche ravvicinate invece che tutto in un’unica soluzione, con il beneplacito dell’ufficio.
  • In alternativa, potresti attendere l’emissione di un avviso di accertamento e poi chiedere la rateizzazione della cartella esattoriale successiva (fino a 8 rate trimestrali per importi < €100k, o piani più lunghi con garanzie, secondo le norme sulla riscossione). Però così perderesti lo sconto sulle sanzioni del ravvedimento e pagheresti di più. Insomma, risolvi il problema di liquidità ma a prezzo pieno.
  • Una via di mezzo è l’accertamento con adesione: quando stia per arrivare l’accertamento (ti notificano ad es. un “invito” o sai che è imminente), puoi presentare istanza di adesione; nell’adesione potrai discutere e pattuirle anche un pagamento a rate (fino a 8 rate trimestrali). Le sanzioni in adesione sono ridotte a 1/3 (meglio di niente, ma comunque peggio del ravvedimento a 1/6).

In sintesi, formalmente no, il ravvedimento non è rateizzabile. Se proprio non riesci a pagare tutto, valuta di fare almeno un ravvedimento “parziale”: versa il possibile, così quantomeno riduci le sanzioni su quella parte (perché quella quota sarà considerata ravveduta), e per il resto eventualmente negozierai. Ogni caso è a sé: coinvolgi un professionista per minimizzare i danni.

D6. Ho ricevuto una lettera per redditi esteri ma in realtà ero residente all’estero/AIRE in quell’anno: cosa devo fare?
R: Questo è un tipico esempio di “falso positivo”. Se eri iscritto all’AIRE ed eri fiscalmente non residente in Italia nell’anno X, non dovevi presentare dichiarazione dei redditi in Italia (salvo eventualmente per redditi prodotti in Italia), e non dovevi compilare il quadro RW per i conti esteri detenuti all’estero. L’Agenzia ti ha inviato la lettera perché ha ricevuto dati dal CRS (ad es. informazioni su un tuo conto estero) e, nei loro archivi, risultavi collegato a un codice fiscale italiano – probabilmente non hanno incrociato subito l’informazione che eri AIRE. Come procedere: rispondi all’ufficio spiegando la situazione e allegando prova della tua iscrizione AIRE e residenza estera per l’anno in questione (es. certificato di iscrizione all’AIRE, documenti di residenza fiscale estera, copia di passaporto con visti di lunga durata, ecc.). Nella risposta, dichiara ad esempio che “per l’anno X non ricorreva l’obbligo dichiarativo in Italia ai sensi dell’art. 2 TUIR, non essendo il sottoscritto ivi fiscalmente residente”. Una volta ricevute queste informazioni, l’Agenzia dovrebbe prenderne atto e chiudere il caso. Tieni presente che, se nel frattempo tu avessi mantenuto qualche posizione fiscale in Italia (es. una partita IVA attiva, o immobili), potrebbero farti domande in merito a quelli – ma sul tema “conti esteri” sarai coperto. In breve: non ignorare pensando “tanto non dovevo nulla” – comunica ufficialmente la tua non-residenza per evitare futuri malintesi o iscrizioni a ruolo erronee.

D7. La comunicazione di compliance è arrivata al commercialista (o nel cassetto fiscale) ma non mi è stata notificata ufficialmente: i 5 anni di accertamento decorrono lo stesso?
R: Sì. Come già evidenziato, la lettera di compliance non interrompe né sospende i termini di decadenza dell’azione accertativa. Solo gli atti legali notificati (avvisi di accertamento, atti istruttori come questionari qualora previsti con sospensione termini, ecc.) hanno effetti sui termini. La lettera è un atto informale e non ha effetti giuridici sui termini. Quindi, ad esempio, se il 31 dicembre di quest’anno scade il termine per accertare l’anno 2018 e tu a novembre 2023 ricevi una lettera su anomalie 2018, sappi che l’Agenzia per tutelarsi dovrà comunque notificare un accertamento entro il 31/12/2023 se non ti regolarizzi – la lettera di per sé non sposta quella scadenza. In pratica la compliance viene usata mesi prima della decadenza per darti un’ultima chance; ma se tu non sani entro fine anno, l’ufficio quasi certamente emetterà l’atto definitivo entro la scadenza. Dunque la presenza della lettera non “protegge” da un accertamento allo scadere dei termini, né li proroga. Anche se tu non ne fossi venuto a conoscenza immediatamente (perché arrivata al consulente o visibile solo online), ciò non incide sui termini legali.

D8. E se dopo aver regolarizzato mi accorgo di aver commesso errori anche in altri anni non segnalati dal Fisco?
R: Nulla vieta di estendere la regolarizzazione ad altri anni. Anzi, è buona norma una volta scoperto un problema, verificare anche gli anni vicini. Ad esempio: ricevi lettera per redditi esteri 2018 e scopri che in effetti non hai dichiarato interessi per vari anni dal 2017 al 2020. Sarebbe opportuno ravvedere tutti gli anni ancora accertabili, senza aspettare le lettere dei singoli anni. Il Fisco potrebbe averti mandato la lettera solo per il 2018 come test, ma avere dati anche per altri anni. Se sistemi tutto subito, potresti poi inviare un’unica comunicazione all’Agenzia dicendo di aver spontaneamente regolarizzato l’anno X segnalato e anche gli anni Y e Z collegati. Questo chiuderà il cerchio ed eviterà ulteriori comunicazioni/atti. Ricorda che il ravvedimento è possibile finché i termini non scadono: se parliamo ad esempio del 2017 e siamo nel 2025, quell’anno forse è già decaduto (salvo fosse omessa dichiarazione, in cui il termine è di 7 anni). Valuta con un esperto fino a che anno puoi ravvedere e fallo, se necessario, anche in assenza di lettera. Non c’è bisogno di aspettare di essere scoperti per ravvedersi: la legge incentiva chi corregge spontaneamente gli errori prima ancora dell’intervento del Fisco.

D9. Cosa succede se ho ricevuto la lettera ma non devo nulla (perché errore del Fisco) e decido comunque di non rispondere?
R: In teoria, se davvero sei nel giusto al 100% e l’anomalia è dovuta solo a un dato mal interpretato dall’Agenzia, potresti anche decidere di non rispondere e aspettare. È possibile che il Fisco, vedendo mancanza di ravvedimento, proceda con ulteriori controlli. Magari ti manderanno un questionario o un invito a comparire per chiarimenti. A quel punto dovrai spiegare formalmente le tue ragioni. Oppure emetteranno direttamente un avviso di accertamento e dovrai fare ricorso per far valere che avevi ragione. Entrambi i percorsi sono più seccanti di una semplice PEC di chiarimento preventiva. Quindi, pur non essendoci obbligo, conviene sempre fornire spiegazioni. Se proprio decidi di non farlo, assicurati di conservare benissimo tutti i documenti che dimostrano la tua correttezza, perché quasi certamente dovrai esibirli più avanti. In sintesi: puoi ignorare se sei sicuro, ma è un rischio inutile; meglio spendere mezz’ora a scrivere una lettera ora che anni in tribunale poi.

D10. La lettera riguarda un mio errore, ma nel frattempo è uscita una “sanatoria” (es. definizione agevolata, condono): posso usare quella invece del ravvedimento?
R: Dipende dalla sanatoria. Se parliamo, ad esempio, del ravvedimento speciale 2023 (che consentiva di sanare errori fino al 2021 con sanzione ridotta a 1/18), la risposta era : la Circolare esplicativa ha chiarito che rientravano anche le violazioni segnalate da compliance, a patto che la dichiarazione “incriminata” fosse 2021 o precedenti e non fosse già stato notificato un accertamento. Quindi, se hai ricevuto lettera per il 2021 e c’era il ravvedimento speciale, potevi usarlo. In generale, se il legislatore apre una definizione agevolata (pensa a un condono parziale sulle dichiarazioni) e tu hai proprio quell’irregolarità, puoi aderirvi – la lettera non te lo vieta, anzi ti ha portato attenzione sul problema giusto in tempo. Valuta però attentamente: alcune definizioni agevolate richiedono la rinuncia ai ricorsi o situazioni specifiche. Nel dubbio, puoi anche ravvederti subito e poi aderire alla sanatoria se è più conveniente, chiedendo magari il rimborso di quanto versato in più (non semplice ma possibile). Ogni provvedimento ha le sue regole: leggi bene la norma o consulta il tuo consulente per capire se la tua violazione rientra e se ti conviene rispetto al normale ravvedimento.

D11. Dopo aver sistemato tutto, posso essere sicuro che non arriverà altro per quell’anno?
R: Se hai regolarizzato completamente l’anomalia segnalata e l’Agenzia ne ha preso atto (anche solo implicitamente tramite i versamenti), in linea di massima non dovresti ricevere altri atti sullo stesso oggetto per quell’anno. L’ufficio, vedendo il pagamento con il codice atto e/o la tua risposta, di solito archivia la pratica. Tieni presente tuttavia che il Fisco ha molte banche dati: è bene che tu abbia fatto davvero un lavoro completo. Ad esempio, se la lettera riguardava redditi esteri e tu hai sanato quelli, non è che magari c’era anche un problema di un’altra categoria di reddito interno non segnalato? Quello, se c’è, potrebbe ancora emergere separatamente. Ma per quella specifica materia (es. i redditi esteri 2019 del caso A) dovresti stare tranquillo. Conserva però con cura tutta la documentazione del ravvedimento (dichiarazioni integrative, F24 quietanzati, PEC inviata, ricevute di consegna): se per un disguido partisse comunque un accertamento sullo stesso importo (può succedere, ad esempio, per mancato abbinamento dei versamenti), avrai modo di dimostrare subito che avevi già pagato e farlo annullare magari in autotutela senza neppure bisogno di ricorso. La sicurezza al 100% non esiste mai (errori burocratici capitano), ma se hai le prove del ravvedimento eventuali sviste dell’ufficio saranno sanabili.

D12. Come posso prevenire future lettere di compliance?
R: La prevenzione consiste nel migliorare la propria compliance spontanea e tenere ordinate le evidenze fiscali. Alcuni consigli:

  • Compila sempre con attenzione le dichiarazioni, specialmente i quadri “sensibili” come RW (investimenti esteri), RS (prospetti di aiuti/crediti), RT/RM (plusvalenze estere), etc. Se hai dubbi su come dichiarare qualcosa, meglio investire tempo col consulente subito.
  • Usa i servizi dell’Agenzia (dichiarazione precompilata, cassetto fiscale) per verificare se risultano redditi comunicati da terzi che tu non hai considerato. Ad esempio, controlla nella precompilata eventuali certificazioni di redditi occasionali o esteri.
  • Se hai operazioni con l’estero, informati bene sugli obblighi dichiarativi (molti che ricevono lettere per estero ignoravano di dover dichiarare certe cose). Ad esempio: giacenze su conti esteri sopra €15k vanno monitorate, investimenti crypto spesso non erano noti ai contribuenti come imponibili.
  • Mantieni ordinata la contabilità e riconcilia i dati finanziari: per le partite IVA, ad esempio, confronta periodicamente i corrispettivi dichiarati con gli incassi sul conto (ora che tutti i pagamenti sono tracciati). Nel caso B, se avesse incrociato a fine anno conti e ricavi, avrebbe scoperto subito la differenza e potuto correggere in dichiarazione.
  • Per professionisti e piccole imprese: occhio agli ISA e agli scostamenti. Se hai un indice di affidabilità molto basso o sei fuori dai parametri, aspettati possibili attenzioni: magari anticipa tu fornendo spiegazioni in dichiarazione (c’è lo spazio per note ISA) o preparando la documentazione.
  • Se aderisci a regimi fiscali agevolati (forfettario, flat tax incrementale, concordato biennale), assicurati di rispettarne i requisiti e di avere prove documentali per eventuali esclusioni o situazioni particolari, così da poter replicare immediatamente se qualcosa viene contestato erroneamente.

Inoltre, tieni d’occhio le comunicazioni dell’Agenzia: essa pubblica spesso sul proprio sito i calendari delle campagne di compliance. Ad esempio, può essere noto che a marzo inviano lettere per redditi esteri, a luglio quelle per IVA, e così via. Sapere in anticipo su cosa si concentreranno ti aiuta a controllare prima se su quel punto sei a posto. Se sei un professionista del settore, troverai queste info nelle circolari o comunicati stampa dell’Agenzia.

Tabelle riepilogative utili

Per concludere la guida, presentiamo due tabelle di sintesi: la prima confronta il “costo” in termini di sanzioni di una regolarizzazione spontanea vs un accertamento, la seconda riepiloga i canali di comunicazione e le azioni possibili dopo la lettera.

Tabella 2 – Sanzioni a confronto: Ravvedimento vs Accertamento

ViolazioneSanzione con ravvedimento (stima)Sanzione in accertamento (senza adesione)Note
Redditi non dichiarati (dichiarazione infedele)~15% dell’imposta evasa (riduzione 1/6 di sanzione 90%) (→ 10% se violazione post-2024, riduzione 1/7 su sanzione 70%)90% dell’imposta evasa (edittale minimo)Con adesione: 60%. Con acquiescenza (pagamento entro 60gg): 60% (riduz. 1/3). Ravvedimento speciale 2023: sanzione 5% (1/18).
Omessa dichiarazione (con imposta dovuta)~20% dell’imposta evasa (riduzione 1/6 di 120%) (se imposta = 0: 1/6 di €250 = €41 circa)120% – 240% dell’imposta evasa (minimo €250 se imposta = 0)Se dichiarazione omessa ma tasse già versate: sanzione fissa €250; se si presenta spontaneamente entro termini accertamento, di solito applicano €150–250. Ravvedimento entro 90gg da scadenza ordinaria (dich. tardiva): sanzione ridotta a €25 (1/10 di €250).
Omesso versamento (es. IVA non versata)3,75% dell’importo non versato (ravvedimento dopo 1 anno ≈ 1/8 di 30%) (sanzione ulteriormente ridotta al 2,5% se ravv. entro 90gg, 1/10 di 25%)30% dell’importo non versato (sanzione piena, 27% per violazioni post-2024)Avviso bonario: sanzione 10% se paghi entro 60gg (violazioni fino al 31/8/2024), ridotta a 8,33% per violazioni dal 1/9/2024.
Violazione monitoraggio (Quadro RW)0,5% del valore non dichiarato (1/6 di 3% annuo)3% del valore non dichiarato (minimo edittale, 6% se paesi black-list)Se attività in paese black-list: ravvedimento ~0,833% (1/6 di 5%) vs sanzione 5% annua (edittale minimo 6%, ridotto a 5% da L.157/2019).
Errori formali (senza imposta)Integrazione spontanea, sanzione sostanziale non dovuta (eventuale sanzione fissa minima)€250 sanzione fissa per omessa dichiarazione (anche senza debito); altre violazioni formali simili (di solito €250)Spesso l’Agenzia, in sede di compliance, non sanziona gli errori formali corretti spontaneamente. Se l’errore formale è sanato prima di un controllo, può applicarsi l’istituto della “sanatoria errori formali” se previsto dal legislatore (es. condono 2019: €200 forfettario per chiusura formalità).

Legenda: “imposta evasa” = differenza di imposta dovuta rispetto al dichiarato. Le percentuali in ravvedimento sopra indicate assumono un ravvedimento “tardivo” (oltre 2 anni dalla violazione). In caso di ravvedimento più tempestivo, le sanzioni sarebbero ancora più ridotte (es. infedele dichiarazione ravveduta entro 1 anno ≈ 11,25%, cioè 1/8 di 90%). In accertamento, come visto, se si definisce con adesione o acquiescenza c’è la riduzione a 1/3 sulle sanzioni (es. 90% → 60%). Nel contenzioso, in caso di conciliazione giudiziale precoce, la sanzione può ridursi a 1/2. Inoltre, ricordiamo che il pagamento integrale entro termini (acquiescenza) dà diritto anche alla riduzione delle sanzioni a 1/3, effetto analogo all’adesione.

Tabella 3 – Cosa fare dopo aver ricevuto la lettera: canali e soluzioni

Situazione del contribuenteAzione consigliataModalità praticheEsito atteso
Piena concordanza con l’anomalia (errore commesso, imposte dovute)Ravvedimento operoso + comunicazione all’Agenzia– Presenta dichiarazione integrativa correttiva – Versa imposte, interessi, sanzioni ridotte (F24, indicando codice atto) – Invia PEC (o usa CIVIS) spiegando di aver regolarizzato, allegando copia integrativa e F24Chiusura bonaria della pendenza. Niente accertamento; sanzioni minime.
Anomalia infondata (dati corretti) o errore formale senza impostaInviare chiarimenti all’ufficio (ed eventuale correzione formale)– Prepara risposta scritta dettagliando perché i dati segnalati sono errati o già dichiarati correttamente – Allegare documenti giustificativi (dichiarazioni, ricevute, certificazioni, estratti conti, ecc.) – Se opportuno, presentare un’integrativa “senza debito” per correggere errori formali (es. allineare dati)L’ufficio prende atto delle spiegazioni. Se convincenti, nessun seguito (al più una richiesta di integrazione documenti, raramente).
Anomalia dovuta a non obbligo (es. soggetto non residente, esonero dichiarazione)Segnalare l’inesattezza e fornire prova– Invia risposta indicando il motivo per cui non c’era obbligo (es. “ero residente all’estero, vedi certificato AIRE”; “contribuente deceduto in tale data”, etc.) – Allegare prova (certificati, copie di norme di esonero, documenti esteri)Archiviazione della posizione. L’ufficio aggiorna i propri archivi evitando un accertamento improprio.
Caso misto: in parte fondata, in parte no (dati parzialmente corretti)Ravvedimento parziale + chiarimenti– Regolarizza la parte effettivamente non dichiarata (integrativa e pagamento per quella quota) – Nella risposta: specifica di aver sanato la violazione X, mentre per Y fornisci chiarimento che era corretta per [motivo] – Allega sia copia F24 sia documenti esplicativi per la parte contestata ingiustamenteL’ufficio perseguirà eventualmente solo la parte non sistemata (se davvero c’è ancora qualcosa) o, più probabilmente, considererà soddisfatto l’adempimento per tutto e chiuderà la pratica.
Nessuna risposta né regolarizzazione (Sconsigliato!)Attendere le mosse successive del FiscoNon fare nulla e confidare che la questione cada nel vuoto, o rimandare la difesa alla fase di accertamentoProbabile accertamento formale con sanzioni piene; necessità di difesa successiva (maggiore costo e incertezza). Possibile invito a comparire o ispezione prima dell’atto. In ogni caso, percorso peggiorativo.

Come si evince, rispondere e/o regolarizzare è sempre la strategia preferibile. Solo in situazioni estremamente semplici (es. lettera manifestamente sbagliata e di poco conto) si potrebbe non rispondere senza conseguenze, ma rimane un azzardo. In generale la compliance è concepita per essere un’occasione di ravvedimento: cogliamola.

Conclusioni

Le lettere di compliance dell’Agenzia delle Entrate rappresentano uno strumento moderno di interazione fisco-contribuente, improntato più alla prevenzione che alla repressione. Dal punto di vista del contribuente (debitore), riceverne una può inizialmente destare preoccupazione, ma – come abbiamo visto – offre in realtà la possibilità di sistemare eventuali irregolarità con costi ben inferiori a quelli di un accertamento e con un percorso più snello, senza contenzioso.

In questa guida abbiamo illustrato dettagliatamente:

  • Cosa sono queste lettere e perché vengono inviate, chiarendo che non sono accuse definitive ma alert da non trascurare.
  • Il quadro normativo di riferimento e la filosofia di fondo (favorire l’adempimento spontaneo – L.190/2014), nonché le ultime novità normative su termini e sanzioni (estensione a 60 giorni degli avvisi bonari dal 2025, riduzione sanzioni ravvedimento).
  • Come procedere operativamente: dall’analisi dei dati segnalati, al calcolo e pagamento col ravvedimento operoso, fino alla redazione di una risposta efficace all’Amministrazione.
  • I possibili scenari pratici, con esempi di casi risolti passo passo, mostrando che nella maggior parte dei casi una risposta collaborativa risolve la questione senza degenerare in sanzioni pesanti o cause.
  • I rischi dell’inazione, per sottolineare che ignorare queste comunicazioni è economicamente e legalmente svantaggioso nel medio termine.
  • Una sezione di FAQ e tabelle riassuntive, per chiarire i dubbi più comuni e offrire una consultazione rapida dei punti chiave.

In conclusione, il punto di vista del debitore dovrebbe essere quello di vedere nella lettera di compliance non un atto ostile, ma una preziosa finestra temporale per mettersi in regola limitando al minimo le conseguenze. È un segnale di allarme, sì, ma accompagnato da un’offerta di “perdono” parziale se si corre ai ripari. Come recita lo Statuto del Contribuente, il rapporto Fisco-cittadino dev’essere improntato alla reciproca collaborazione e buona fede: ebbene, queste lettere sono un esempio concreto di tale principio. Sfruttiamole a nostro vantaggio, con l’aiuto di professionisti qualificati se necessario, per mantenere (o ristabilire) la compliance fiscale ed evitare problemi ben più gravi in futuro.

Fonti e riferimenti normativi

Di seguito tutte le fonti consultate e citate nella guida, includendo normative, prassi ufficiali dell’Agenzia delle Entrate e giurisprudenza aggiornata:

  • Agenzia delle Entrate – FAQ Compliance (Imprese e lavoratori autonomi): Faq 6 dicembre 2024, chiarimenti su lettere inviate a partite IVA (ISA e concordato biennale).
  • Agenzia delle Entrate – Progetto “Se l’Agenzia ti scrive”: sito web istituzionale con guide fiscali e schede informative sulle comunicazioni per promuovere l’adempimento spontaneo. Include fac-simile di lettere e vademecum “L’Agenzia ti scrive: lettera di invito a regolarizzare possibili errori”.
  • Normativa di riferimento:
    • Legge 23 dicembre 2014 n. 190, art. 1 commi 634–636 – Introduzione delle comunicazioni per la promozione della compliance fiscale.
    • D.Lgs. 472/1997, art. 13 – Disciplina del ravvedimento operoso (riduzioni di sanzioni, condizioni di inibizione). Modificato dal D.Lgs. 158/2015 e dalla L. 157/2019 (estensione ravvedimento oltre inizio verifiche).
    • DPR 600/1973, art. 36-bis e 36-ter – Controlli automatizzati e formali delle dichiarazioni; comunicazioni di irregolarità (“avvisi bonari”) con sanzioni ridotte a 1/3 se pagate entro 30 gg (termine esteso a 60 gg dal 2025).
    • D.Lgs. 462/1997 – Definizione e riscossione delle somme da controlli automatizzati (termini di pagamento 30/60/90 gg, rateazione avvisi bonari).
    • D.Lgs. 74/2000, art. 13 – Causa di non punibilità penale tributaria in caso di pagamento integrale dei debiti tributari (imposte, sanzioni, interessi) prima dell’apertura del dibattimento.
    • D.Lgs. 158/2015 – Riforma delle sanzioni tributarie: riduzione sanzione infedele da minimo 100% a 90%; omessa dichiarazione min. 120% invariato, introdotta riduzione per dichiarazione tardiva entro termini accertamento, ecc..
    • D.Lgs. 130/2022 e D.Lgs. 119/2022 – Riforma della giustizia tributaria (istituzione Corti di Giustizia Tributaria al posto delle Commissioni, professionalizzazione giudici tributari).
    • D.Lgs. 24/2023 (Attuazione Delega Fiscale 2023) – Ha previsto l’estensione da 30 a 60 giorni del termine per pagare le comunicazioni di irregolarità a partire dal 2025, implementato con D.Lgs. 108/2024.
  • Prassi e circolari dell’Agenzia Entrate:
    • Circolare AE n. 42/E del 12/10/2016 – Chiarimenti sul ravvedimento operoso dopo le modifiche 2015 (L.190/2014, D.Lgs.158/2015). Esempi di calcolo sanzioni ridotte in caso di integrativa per infedele dichiarazione.
    • Circolare AE n. 2/E del 2023 – Chiarimenti sul “ravvedimento speciale” introdotto dalla L.197/2022 (Legge di Bilancio 2023): conferma applicabilità anche a violazioni segnalate da compliance, se dichiarazioni 2021/prior e niente accertamento notificato.
    • Risoluzione AE n. 6/E del 14/02/2023 – Istituzione codici tributo per il ravvedimento speciale (L. 197/2022). Conferma che il ravvedimento speciale è applicabile anche se si è ricevuta una comunicazione di compliance.
    • Provvedimento AE Prot. 10241/2023 del 19/01/2023 – Attuazione art.1 commi 634-636 L.190/2014: invio comunicazioni per promuovere l’adempimento spontaneo su anomalie redditi 2019 (esempi: collaboratori domestici non dichiarati, ecc.).
    • Provvedimento AE Prot. 176284/2025 dell’11/04/2025 – Comunicazioni a titolari di partita IVA su anomalie tra fatture elettroniche/corrispettivi 2022 e dichiarazione IVA 2023 (controllo incrociato per individuare omessi/infedeli dichiarativi).
    • Provvedimento AE Prot. 244832/2025 del 05/06/2025 – Comunicazioni compliance su Aiuti di Stato 2020 non dichiarati correttamente (es.: bonus Covid non registrati): dati e modalità di invio PEC.
    • FAQ Agenzia Entrate 24/02/2025 (area ISA/concordato) – Chiarimenti su lettere inviate a soggetti ISA per adesione al concordato biennale introdotto dalla L.197/2022; ribadisce natura informativa delle comunicazioni e assenza obbligo di risposta (se si intende aderire o meno).
  • Giurisprudenza recente:
    • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 12864/2025 (dep. 14/05/2025) – Ha ribadito che le comunicazioni ante-ruolo (avvisi bonari ex art.36-bis) non sono impugnabili autonomamente e che un ricorso presentato in assenza di atto impositivo è improcedibile. (Osservatorio Giustizia Tributaria).
    • Cassazione Penale, Sent. n. 26274/2023 (dep. 19/09/2023) – Ha confermato la non punibilità ex art. 13 D.Lgs. 74/2000 del contribuente che abbia effettuato il ravvedimento operoso integrale pagando imposte, sanzioni e interessi prima del dibattimento, anche se tale pagamento è avvenuto dopo l’avvio di attività investigativa o la formale conoscenza di verifiche. (In sostanza, una verifica “a tavolino” o una richiesta di chiarimenti del Fisco non precludono la causa di non punibilità penale se il debito viene estinto nei termini di legge).
    • CGT 2° grado (ex CTR) Lombardia, sent. n. 57/2022 – Sul valore delle lettere di compliance: conferma che “la comunicazione di compliance non costituisce presunzione legale di evasione, ma semplice avvio di interlocuzione” e che, se il contribuente prova la correttezza della sua dichiarazione o regolarizza l’anomalia, l’ufficio deve archiviare senza accertamento.
    • Corte Costituzionale n. 120/2023 – Sentenza sulla cooperazione fiscale per grandi contribuenti; enfatizza il principio di collaborazione e buona fede (Statuto contribuenti, art. 10) nel rapporto fisco-contribuente. Le comunicazioni bonarie e gli istituti di adempimento spontaneo sono citati come espressione di tale principio, in linea con gli artt. 53 Cost. (dovere fiscale) e 97 Cost. (buon andamento PA).

Compliance Fiscale e Lettere dell’Agenzia delle Entrate: Cosa Fare Subito

Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate e non sai come comportarti? Ti segnalano anomalie nei redditi, differenze tra dati dichiarati e incassi reali, oppure errori formali?

Le lettere di compliance non sono accertamenti, ma avvisi preventivi che invitano il contribuente a regolarizzare la propria posizione prima che scattino sanzioni o controlli. Ignorarle è un errore. Ma nemmeno pagare o rispondere in automatico è sempre la scelta giusta.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la lettera ricevuta e i dati fiscali contestati
  • 📌 Verifica se l’anomalia segnalata è reale o frutto di errori tecnici, doppie comunicazioni o presunzioni infondate
  • ✍️ Redige una risposta formale, tecnica e documentata per evitare che la compliance si trasformi in accertamento
  • ⚖️ Ti rappresenta in caso di successivo avviso di accertamento o richiesta di pagamento
  • 🔁 Ti assiste anche nella regolarizzazione tramite ravvedimento operoso o nella gestione rateale del debito

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso con l’Agenzia delle Entrate
  • ✔️ Specializzato nella gestione di anomalie fiscali, lettere di compliance e controlli automatizzati
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Le lettere di compliance dell’Agenzia delle Entrate vanno affrontate con attenzione e competenza. Sono un’occasione per chiarire, difendersi e – se necessario – regolarizzare senza subire un accertamento.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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