Avviso Di Accertamento A Venditore Ambulante: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate come venditore ambulante?
Ti contestano ricavi non dichiarati, omesse fatturazioni, incassi in nero o differenze tra acquisti e vendite? In questi casi è fondamentale capire su cosa si basa l’accertamento, se è legittimo e come difendersi per evitare imposte elevate, sanzioni e pignoramenti.

Quando arriva un avviso di accertamento a un venditore ambulante?
– Quando l’Agenzia riscontra incongruenze tra il volume d’affari dichiarato e gli acquisti di merce
– Quando ci sono scostamenti rispetto agli ISA o agli studi di settore
– Quando vengono effettuati controlli sul posto o rilievi da parte della Guardia di Finanza
– Quando i dati di acquisto forniti dai fornitori non coincidono con le fatture emesse o i corrispettivi registrati
– Quando vengono rilevate mancate emissioni di scontrini o ricevute fiscali

Cosa contiene l’avviso di accertamento?
– Il dettaglio delle violazioni contestate (omessa dichiarazione, ricavi non contabilizzati, IVA evasa)
– Il metodo utilizzato per la ricostruzione dei ricavi: induttivo, analitico-induttivo o presuntivo
– Il calcolo delle imposte dovute (IVA, IRPEF, IRES, IRAP), oltre a sanzioni e interessi
– L’invito ad aderire all’accertamento o presentare osservazioni entro 60 giorni
– L’avvertimento che, in caso di mancata risposta, l’atto diventerà definitivo e sarà iscritto a ruolo

Come puoi difenderti da un accertamento come venditore ambulante?
– Verifica se la ricostruzione dei ricavi è basata su stime arbitrarie o non verificate
– Controlla se l’Agenzia ha applicato percentuali di ricarico standard che non riflettono la tua attività reale
– Dimostra l’esistenza di scarti, merce invenduta, promozioni o particolarità stagionali
– Se i rilievi sono solo parzialmente fondati, puoi aderire per ridurre le sanzioni
– Se ritieni che l’accertamento sia infondato o sproporzionato, puoi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
– Prepara una memoria difensiva, allegando tutta la documentazione utile: acquisti, resi, registri, contabilità anche minima

Cosa puoi ottenere con la giusta strategia difensiva?
– L’annullamento dell’accertamento, se i rilievi sono ingiustificati o viziati
– La riduzione delle imposte e delle sanzioni, in caso di adesione o buon esito del ricorso
– La rateizzazione dell’importo dovuto, evitando l’aggressione del tuo conto o dei beni strumentali
– La tutela della tua posizione fiscale, prevenendo nuovi controlli
– La difesa della tua attività e della tua licenza, evitando conseguenze irreparabili

Attenzione: molti accertamenti verso venditori ambulanti si basano su presunzioni teoriche e stime non personalizzate, che spesso non tengono conto delle reali condizioni di lavoro. Anche in presenza di errori o omissioni, puoi difenderti efficacemente e limitare i danni, se agisci per tempo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, accertamenti fiscali e difesa del piccolo commerciante ti spiega come reagire a un accertamento come ambulante, quando aderire, quando opporsi e come proteggere la tua attività.

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Introduzione

Un venditore ambulante può trovarsi a ricevere avvisi di accertamento o altre contestazioni da parte delle autorità fiscali e amministrative. Si tratta di atti ufficiali con cui gli vengono contestate irregolarità – fiscali, autorizzative, igienico-sanitarie o relative all’occupazione del suolo pubblico – con la richiesta di pagare imposte, sanzioni o di subire altri provvedimenti (come sequestri di merce o sospensioni dell’attività). Affrontare queste situazioni richiede conoscenze giuridiche specifiche, perché il quadro normativo italiano è complesso e coinvolge diverse fonti: dalle leggi tributarie alle normative sul commercio su aree pubbliche, fino ai regolamenti locali e alle più recenti sentenze dei giudici.

Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un’analisi approfondita e pratica su come difendersi da un avviso di accertamento se si esercita il commercio ambulante. In un linguaggio tecnico ma divulgativo, vedremo quali sono le principali violazioni contestate ai venditori ambulanti, quali sanzioni e conseguenze comportano e, soprattutto, quali strumenti ha a disposizione il venditore (debitoriale) per tutelarsi. Saranno illustrati i riferimenti normativi rilevanti (con particolare attenzione alla normativa italiana vigente), le sentenze più recenti e autorevoli in materia – sia in ambito tributario che amministrativo/commerciale – e saranno presentate tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande & Risposte frequenti dal punto di vista del venditore ambulante. L’obiettivo è fornire una guida completa rivolta sia ai professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia agli stessi venditori ambulanti e imprenditori individuali, per capire come opporsi efficacemente agli accertamenti e far valere i propri diritti.

Tipologie di accertamento e controlli per i venditori ambulanti

I venditori ambulanti, per la natura stessa della loro attività, sono soggetti a molteplici controlli da parte di diverse autorità. È importante distinguere le tipologie di accertamento più comuni, perché ciascuna segue regole proprie e prevede strumenti di difesa differenti. Ecco le principali categorie di accertamenti che un venditore ambulante potrebbe subire:

  • Accertamenti fiscali: condotti dall’Agenzia delle Entrate (anche a seguito di verifiche della Guardia di Finanza), mirano a controllare il rispetto degli obblighi tributari (dichiarazione dei redditi, emissione di scontrini o ricevute fiscali, versamento di IVA, ecc.). Si concretizzano spesso in un avviso di accertamento tributario, atto con cui si contestano maggiori imposte dovute e sanzioni fiscali. Ad esempio, l’Agenzia può ritenere che il venditore ambulante abbia nascosto parte dei ricavi o non abbia emesso scontrini per alcune vendite, determinando un’imposta evasa. In questi casi l’atto tipico è l’avviso di accertamento tributario, notificato al contribuente con l’indicazione delle maggiori imposte (Irpef, Iva, Irap) e relative sanzioni e interessi.
  • Accertamenti amministrativi sul commercio: effettuati in genere dalla Polizia Municipale (vigili urbani) o da altri organi di vigilanza (Carabinieri, Polizia di Stato, agenti delle ASL per gli aspetti sanitari). Questi controlli verificano il rispetto delle normative commerciali e amministrative: ad esempio la presenza della prescritta autorizzazione al commercio su aree pubbliche, il rispetto delle condizioni di licenza (luogo, orari, tipo di merce), l’eventuale occupazione non autorizzata di suolo pubblico, il possesso dei requisiti igienico-sanitari per la vendita di alimenti, ecc. Quando riscontrano violazioni, gli agenti redigono un verbale di contestazione (spesso consegnato immediatamente al venditore) in cui descrivono l’illecito amministrativo (ad esempio “esercizio del commercio ambulante senza licenza” oppure “occupazione di area pubblica senza concessione”). Nel verbale vengono indicati i fatti, la norma violata e i dati del trasgressore. Tipicamente scatta anche il sequestro della merce venduta senza autorizzazione, con successiva confisca. Entro qualche tempo (da poche settimane a qualche mese) seguirà poi l’ordinanza-ingiunzione da parte dell’autorità competente (es. il Comune) con l’irrogazione formale della sanzione amministrativa pecuniaria.
  • Accertamenti in materia igienico-sanitaria: riguardano soprattutto chi vende generi alimentari (alimentari, bevande) o prodotti che richiedono particolari requisiti sanitari. I controlli sono svolti dalle ASL (Aziende Sanitarie Locali) attraverso i Servizi di Igiene degli Alimenti, spesso congiuntamente alla Polizia Locale. Verificano, ad esempio, che il venditore abbia notificato l’attività all’Autorità sanitaria (registrazione/SCIA sanitaria), che vengano rispettate le norme HACCP, le temperature di conservazione, la pulizia dei mezzi e contenitori, ecc. La mancanza di registrazione sanitaria obbligatoria o gravi carenze igieniche comporta sanzioni amministrative anche elevate (nell’ordine di alcune migliaia di euro) e, nei casi più gravi, provvedimenti cautelari come la sospensione dell’attività o il sequestro dei prodotti alimentari per tutelare la salute pubblica. Ad esempio, chi inizia a vendere alimenti senza aver presentato la notifica sanitaria all’ASL competente rischia una sanzione da €1.500 a €9.000 ai sensi del D.Lgs. 193/2007.
  • Accertamenti in materia di occupazione del suolo pubblico: i venditori ambulanti operano spesso su strade, piazze o mercati che sono beni pubblici. L’occupazione di suolo pubblico è regolamentata: occorre una concessione o autorizzazione comunale e sono dovuti tributi o canoni per l’occupazione del suolo. Chi occupa spazi pubblici senza titolo (ad esempio un ambulante itinerante che si posiziona in un luogo non consentito, o un venditore in sede fissa che estende il banco oltre il posteggio assegnato) commette un illecito. Le conseguenze possono essere doppie: una sanzione amministrativa immediata per la violazione (spesso applicata ai sensi del Codice della Strada, art. 20, se l’occupazione riguarda aree di viabilità pubblica, con multa da circa €168 a €674) e l’obbligo di pagare gli oneri dovuti per il periodo di occupazione abusiva. Inoltre il Comune, se si tratta di un concessionario di posteggio in mercato, potrebbe avviare un procedimento di revoca della concessione in caso di gravi e reiterati inadempimenti (ad esempio morosità nel pagamento del canone dovuto per l’occupazione del posto).
  • Accertamenti della Guardia di Finanza e altre forze di polizia: la Guardia di Finanza interviene sia come polizia tributaria (in ausilio all’Agenzia Entrate per accertamenti fiscali) sia come polizia giudiziaria in caso di reati. Ad esempio, oltre a verificare l’emissione dello scontrino fiscale, la GdF può controllare se la merce venduta è legittima: in caso di merce contraffatta o di prodotti il cui commercio è vietato, scatta un sequestro penale e una denuncia (vendere prodotti con marchi falsi è reato ai sensi dell’art. 474 c.p.). In questa guida tuttavia ci concentreremo principalmente sugli aspetti fiscali e amministrativi non penali, dal punto di vista del venditore ambulante che voglia difendersi da pretese pecuniarie o provvedimenti sanzionatori.

Come si vede, “avviso di accertamento” può riferirsi in senso lato a varie situazioni: dal classico avviso fiscale dell’Agenzia delle Entrate, fino ai verbali e alle ordinanze di enti locali. In ogni caso, è fondamentale non sottovalutare questi atti: ciascuno di essi dà avvio a un procedimento che può portare a dover pagare somme ingenti o subire misure restrittive. Nei paragrafi seguenti analizzeremo separatamente le principali macro-aree – fisco da un lato e violazioni amministrative dall’altro – evidenziando per ognuna le norme di riferimento, le sanzioni previste e le possibili strategie difensive.

Normativa di riferimento per il commercio ambulante

Prima di entrare nel vivo delle singole contestazioni, è utile richiamare sinteticamente il quadro normativo di riferimento che disciplina il commercio ambulante e le relative sanzioni in Italia (livello avanzato):

  • Autorizzazione al commercio su aree pubbliche: è disciplinata dal D.Lgs. 31/03/1998 n.114 (c.d. Riforma Bersani del commercio). Questo decreto prevede due tipi di autorizzazioni: di tipo A per posteggi fissi nei mercati, e di tipo B per il commercio itinerante. L’art.28 del D.Lgs. 114/1998 stabilisce che per esercitare il commercio sulle aree pubbliche è necessaria apposita autorizzazione rilasciata dal Comune competente. La mancanza di autorizzazione configura un illecito amministrativo punito molto severamente: l’art.29, comma 1, del decreto prevede una sanzione da €2.582 a €15.493 oltre alla confisca delle attrezzature e della merce. Tale sanzione si applica sia a chi vende completamente privo di licenza, sia (come chiarito dalla norma) a chi opera fuori dal territorio previsto dall’autorizzazione stessa (es. un ambulante con licenza valida in un certo Comune che vende in un altro Comune senza autorizzazione itinerante regionale). In caso di particolare gravità o recidiva, è prevista anche la sospensione dell’attività fino a 20 giorni disposta dal Sindaco.
  • Occupazione del suolo pubblico: l’utilizzo di suolo pubblico per l’attività di vendita richiede, oltre alla licenza commerciale, anche il rispetto delle norme sul suolo pubblico. Tradizionalmente erano previsti tributi locali (TOSAP/COSAP) ora sostituiti dal Canone patrimoniale di concessione (introdotto dalla L.160/2019). L’occupazione abusiva di suolo pubblico rileva anche come violazione del Codice della Strada se interessa spazi destinati alla circolazione: l’art. 20 C.d.S. vieta l’occupazione della strada senza autorizzazione e prevede una sanzione pecuniaria (oggi circa €173 come minimo) e la rimozione coattiva di oggetti e strutture. Inoltre, l’art. 20 dispone che “chiunque occupa abusivamente il suolo stradale è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 a euro 674”, con eventuali sanzioni accessorie (obbligo di sgombero, ripristino, ecc.). Le normative comunali spesso integrano queste previsioni: ad esempio stabiliscono che il titolare di posteggio che non paga il canone o lascia incustodito il banco possa decadere dalla concessione dopo diffida.
  • Disciplina igienico-sanitaria: il Regolamento CE 852/2004 impone agli Operatori del Settore Alimentare (OSA) di notificare all’autorità competente (ASL) ogni stabilimento o unità locale in cui si manipolano o vendono alimenti. In Italia, il D.Lgs. 6/11/2007 n.193 dà attuazione a tali obblighi e prevede sanzioni amministrative per le violazioni. In particolare, “chiunque, essendovi tenuto, non effettua la notifica all’Autorità competente di ogni stabilimento… è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da €1.500 a €9.000”, salvo che il fatto costituisca reato. Inoltre, la mancanza di requisiti igienici (es. mancato rispetto norme HACCP) comporta sanzioni da €500 a €3.000 per gli ambulanti non del settore primario. Parallelamente, permane la normativa nazionale di settore (es. la legge 283/1962 sugli alimenti, che in parte è stata depenalizzata dal D.Lgs. 190/2006). È importante notare che le sanzioni sanitarie non vanno pagate subito: seguono il procedimento della L.689/81 (verbale, eventuale ordinanza-ingiunzione) e in caso di opposizione la competenza è del Tribunale (non del Giudice di Pace) trattandosi di materie di igiene degli alimenti.
  • Obblighi fiscali (contabilità e corrispettivi): i venditori ambulanti, pur operando spesso in forme semplificate, sono soggetti alle norme fiscali generali. Devono presentare la dichiarazione dei redditi annuale (salvo che rientrino in fattispecie di esenzione totale, evenienza rara per chi svolge commercio in modo professionale) e, se in regime IVA, liquidare e versare l’IVA incassata sulle vendite. Inoltre vige l’obbligo di certificazione dei corrispettivi: fino a qualche anno fa ciò significava dover emettere uno scontrino fiscale o una ricevuta fiscale per ogni vendita. Oggi, dopo la dematerializzazione degli scontrini (obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi, introdotto dal 2019), anche gli ambulanti rientrano nel perimetro dell’obbligo, con alcune eccezioni. In generale tutti i commercianti, compresi gli ambulanti, devono emettere regolare scontrino o ricevuta fiscale. Esistono però esoneri specifici: il DM 10/05/2019 ha confermato che sono esonerate dall’obbligo di scontrino elettronico alcune operazioni marginali o categorie storicamente escluse. Ad esempio, tabaccai, giornalai, taxi, venditori ambulanti e alcune attività artigianali minori non erano tenuti all’invio telematico dei corrispettivi. Più in dettaglio, per gli ambulanti il legislatore ha mantenuto l’esonero dall’obbligo di certificazione per chi vende beni di modico valore senza attrezzature motorizzate: classico il caso dei venditori di palloncini, piccola oggettistica, dolciumi, castagne, ecc., operanti senza mezzi a motore e al di fuori dei mercati rionali. In tali ipotesi possono non dotarsi di registratore telematico, ma devono comunque annotare i corrispettivi su apposito registro e rilasciare ricevuta cartacea su richiesta. Per la generalità dei venditori ambulanti (es. chi vende abbigliamento, casalinghi, alimentari in forma itinerante), invece, l’obbligo di scontrino elettronico si applica: possono assolverlo dotandosi di un registratore di cassa portatile connesso o, se emettono pochi documenti, usando la procedura web dell’Agenzia Entrate anche via smartphone. Si noti che in passato vi era confusione sull’obbligo di misuratore fiscale per gli ambulanti: un decreto del 1992 esentava quelli senza mezzi motorizzati. La Corte di Cassazione ha chiarito già nel 2010 che tale esenzione va interpretata rigorosamente: solo chi opera completamente senza veicoli a motore (né furgoni né auto come banco mobile) ne beneficia; in caso contrario l’obbligo di dotarsi di registratore/fatture sussiste. Oggi la questione è in gran parte superata dall’obbligo generalizzato dello scontrino telematico, ma resta valida la distinzione per le micro-attività ambulanti non motorizzate.
  • Procedura sanzionatoria amministrativa (L. 689/1981): le violazioni amministrative contestate al venditore ambulante (mancanza di licenza, occupazione abusiva, violazioni sanitarie, ecc.) seguono il procedimento generale previsto dalla Legge 689/81. Ciò significa che dopo il verbale di accertamento/contestazione redatto dagli agenti, il trasgressore ha 30 giorni di tempo per presentare scritti difensivi e documenti all’autorità competente (di solito il Sindaco o altro ufficio designato dal Comune) e per chiedere eventualmente di essere sentito. Decorso tale termine, l’autorità emette l’ordinanza-ingiunzione motivata con cui ingiunge il pagamento della sanzione (o dispone l’archiviazione). L’ordinanza deve essere notificata al trasgressore e può essere impugnata in sede giudiziaria. Dal 2011, il rito delle opposizioni è regolato dal D.Lgs. 150/2011, art. 6: l’opposizione si propone normalmente al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza (60 giorni se il ricorrente risiede all’estero). Fanno eccezione le sanzioni di importo molto elevato (oltre €15.493) o relative a materie tassative (lavoro, ambiente, alimenti, ecc.), che vanno proposte al Tribunale. Per il commercio ambulante, casi di competenza del Tribunale possono essere ad esempio: una sanzione sanitaria elevata (materia di igiene alimenti) oppure una multa per vendita senza licenza di importo massimo superiore a €15.493 – ipotesi teorica in realtà, perché il massimo edittale per tale violazione è esattamente €15.493, rientrando quindi nella competenza del Giudice di Pace per valore. L’opposizione si svolge col rito civile del lavoro (quindi abbastanza rapido); in quella sede il giudice può annullare, ridurre o confermare la sanzione, tenendo conto anche di eventuali vizi procedurali (ad esempio errori nel verbale, difetto di notifiche, omessa convocazione a audizione – anche se, va detto, secondo le Sezioni Unite della Cassazione la mancata audizione su richiesta non comporta più l’automatica nullità dell’ordinanza-ingiunzione, essendo il giudizio di opposizione un riesame completo nel merito).

Chiarito il contesto normativo, passiamo ora ad analizzare nel concreto come difendersi, distinguendo le due macro-aree: la difesa in ambito fiscale e la difesa in ambito amministrativo. Ognuna presenta peculiarità quanto a motivi opponibili e procedura di impugnazione.

Accertamenti fiscali: violazioni tipiche e difesa nel merito

Le contestazioni fiscali verso i venditori ambulanti possono riguardare vari obblighi tributari. Di solito emergono a seguito di controlli della Guardia di Finanza (per esempio, controlli “a sorpresa” sul rilascio degli scontrini nei mercati, oppure verifiche più approfondite sulla contabilità e sul tenore di vita del venditore) oppure mediante accertamenti d’ufficio dell’Agenzia delle Entrate basati su dati dichiarativi anomali. Esaminiamo le violazioni fiscali più frequenti e come impostare una difesa efficace:

Mancata emissione di scontrini o ricevute fiscali

Un fenomeno classico è la mancata emissione dello scontrino fiscale (o della ricevuta fiscale) per le vendite effettuate. Prima dell’era digitale, la GdF svolgeva controlli anche in borghese acquistando merce e verificando se il venditore rilasciava lo scontrino. Oggi l’obbligo è in gran parte “telematico”, ma il principio non cambia: ogni operazione di vendita al dettaglio deve essere certificata. Cosa succede se l’ambulante non fa lo scontrino?

Si applicano le sanzioni dell’art.6, comma 3 D.Lgs.471/1997: per ogni mancata memorizzazione/trasmissione (cioè per ogni scontrino non emesso) la sanzione è pari al 90% dell’imposta corrispondente all’importo non documentato, con un minimo di €500 per ciascuna operazione. In pratica, se non è possibile determinare l’IVA evasa sulla singola vendita, viene comunque irrogata la sanzione fissa minima di 500 euro. Le stesse sanzioni si applicano in caso di omessa o tardiva trasmissione telematica dei corrispettivi o per invii con dati incompleti/non veritieri. Attenzione: queste sanzioni sono cumulative, ossia ogni omissione fa storia a sé.

Inoltre, il sistema prevede sanzioni accessorie in caso di violazioni ripetute: se vengono constatate quattro mancate emissioni in giorni diversi nell’arco di 5 anni, l’Agenzia delle Entrate può disporre la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio per un periodo da 15 giorni a 2 mesi, e in caso di recidiva ulteriore da 2 a 6 mesi. Per l’ambulante ciò significa il divieto di esercitare l’attività (nel caso di ambulante itinerante, il divieto di partecipare a mercati o fiere in tutta la regione) per il periodo stabilito nell’atto di sospensione. Questo provvedimento è molto gravoso, soprattutto se il commercio ambulante costituisce l’unica fonte di reddito; di conseguenza è fondamentale prevenirlo contestando tempestivamente le eventuali violazioni singole prima che si cumulino.

Come difendersi nel merito da una contestazione di mancato scontrino? In sede amministrativa (quando arriva il processo verbale di constatazione della GdF o un avviso di irrogazione sanzioni da parte dell’Agenzia Entrate) le possibilità di giustificazione sono limitate, poiché la violazione è “oggettiva”: o lo scontrino c’è, o non c’è. Talvolta i verbalizzanti commettono errori di identificazione (ad esempio attribuiscono al venditore la mancata emissione riferita ad un altro banco) – casi rari ma che se accadono vanno evidenziati subito, presentando memorie difensive all’Ufficio. Più frequenti le situazioni borderline: ad esempio il venditore può sostenere di aver regolarmente emesso ricevuta fiscale cartacea (se autorizzato a usarla) e che l’agente non l’ha vista; oppure di aver emesso lo scontrino ma di averlo finito di compilare con qualche ritardo. In tali casi la linea difensiva punta su eventuali prove contrarie (esibire il bollettario madre/figlia delle ricevute rilasciate, in cui magari compare l’annotazione della vendita contestata, con data e ora) oppure su vizi formali (il verbale GdF deve riportare l’ora esatta e la descrizione dell’operazione, se ci sono discrepanze su questi dettagli potrebbero insinuare il dubbio sull’effettivo mancato rilascio).

Se viene emanato l’avviso di irrogazione della sanzione, il venditore ambulante ha gli strumenti deflattivi e contenziosi tipici: può chiedere un riesame in autotutela all’Agenzia, oppure proporre ricorso alla Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) entro 60 giorni. Importante: le sanzioni per mancato scontrino, pur riguardando importi spesso modesti, seguono le regole del contenzioso tributario, perché sono sanzioni fiscali. Ciò significa, ad esempio, che non è ammesso il pagamento in misura ridotta del 30% (quello previsto per le multe stradali pagate entro 5 giorni, per intenderci), ma si possono ottenere riduzioni solo tramite gli istituti previsti dal diritto tributario (es. definizione agevolata se prevista da norme temporanee, o adesione se contestata assieme alle imposte evase). In Commissione, il giudice potrà valutare eventuali cause di non punibilità: per esempio, se il registratore era guasto e il venditore ha annotato le vendite manualmente sul registro corrispettivi (come consentito in caso di emergenza) e ha chiamato l’assistenza tecnica, potrebbe sostenere che non c’è stata volontà di evadere ma un problema tecnico (in astratto la sanzione resterebbe, ma si potrebbe chiedere clemenza o far valere l’assenza di evasione d’imposta).

Da notare che la sanzione accessoria della sospensione dell’attività non è immediatamente esecutiva: di solito scatta dopo la definitività di almeno quattro violazioni. In ogni caso, se l’ufficio irroga la sospensione, è possibile fare ricorso d’urgenza al giudice tributario chiedendo la sospensione cautelare del provvedimento, evidenziando il danno grave e irreparabile (perdita di reddito, deterioramento merci, ecc.).

Ricavi non dichiarati e accertamenti induttivi

Il fisco spesso contesta ai venditori ambulanti ricavi superiori a quelli dichiarati, ossia presume che abbiano guadagnato e nascosto al fisco più di quanto risulta dalle loro dichiarazioni. Come fa l’Agenzia delle Entrate a formulare queste accuse? Ci sono vari metodi:

  • Studi di settore e ISA: Fino al periodo d’imposta 2017 erano in vigore gli studi di settore, strumenti statistico-contabili che stimavano un ricavo atteso dato il tipo di attività, l’area geografica, i costi, ecc. Se un venditore ambulante dichiarava molto meno del ricavo “congruo” secondo lo studio di settore, l’ufficio poteva avviare un accertamento. Dal 2018 gli studi sono stati sostituiti dagli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), che attribuiscono un punteggio al contribuente; punteggi molto bassi possono far scattare controlli. Tuttavia, è importante chiarire che lo scostamento dagli studi di settore/ISA, di per sé, non basta a determinare un reddito occulto: serve comunque un contraddittorio col contribuente e ulteriori indizi. La giurisprudenza tributaria ha affermato che i risultati degli studi di settore sono presunzioni semplici, utilizzabili dall’ufficio ma pur sempre contestabili dal contribuente con prove contrarie. Ad esempio, in un caso che ha riguardato proprio un venditore ambulante, la Cassazione ha confermato l’annullamento di un accertamento perché il contribuente era riuscito a dimostrare che i propri ricavi, seppur inferiori allo standard, erano giustificati e comunque coerenti con i dati di settore disponibili. In particolare, la Commissione Tributaria aveva rilevato che l’ufficio aveva basato l’accertamento solo su una percentuale di ricarico medio calcolata su un campione di prodotti, senza individuare irregolarità contabili, mentre i ricavi dichiarati risultavano congrui applicando gli studi di settore: la Cassazione ha ritenuto legittimo il giudizio dei giudici di merito e ha respinto il ricorso dell’Agenzia. Morale: se il venditore ambulante ha dichiarato un reddito modesto ma in linea con le caratteristiche della sua attività (giorni di mercato effettuati, merce trattata, costi sostenuti), può far leva su questo aspetto difensivo. Ad esempio, esibendo documentazione che prova perché il fatturato è stato basso (mercato chiuso per maltempo molti giorni, concorrenza agguerrita, merce deperita invenduta, etc.), e mettendo in evidenza la congruità con eventuali indici di settore.
  • Ricostruzione induttiva delle vendite: la Guardia di Finanza e l’Agenzia possono procedere, in caso di sospetto di omessa registrazione di vendite, a una ricostruzione dei ricavi tramite metodi induttivi. Ad esempio, possono controllare le fatture di acquisto di merce del venditore ambulante e applicare un coefficiente di ricarico (mark-up) per stimare il fatturato. Oppure, se il venditore partecipa a fiere o mercati noti, possono stimare un incasso medio giornaliero e moltiplicarlo per i giorni di attività. Questi metodi sono legittimi, ma anch’essi devono basarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti. Un errore comune che può essere contestato è l’uso di campioni di merce non rappresentativi: ad esempio, l’ufficio calcola che il venditore ricarica del 100% alcuni articoli e assume quello come margine su tutto, senza considerare che altri articoli hanno margini più bassi o restano invenduti. Come evidenziato in una vicenda giunta fino in Cassazione, il calcolo di ricarico va fatto su un campione significativo di merci: se il campione è inadeguato, la presunzione fiscale può cadere. Nella sentenza in questione, l’ufficio aveva preso 80 articoli raggruppati in 10 categorie per stimare il margine, ma i giudici hanno ritenuto che non fossero rappresentativi di tutte le giacenze, e quindi l’accertamento era infondato.
  • Accertamento sintetico (redditometro): se il venditore ambulante (persona fisica) conduce uno stile di vita o ha incrementi patrimoniali incompatibili col reddito dichiarato, il Fisco può ricorrere al cosiddetto redditometro. Ad esempio, se Tizio dichiara 10.000 € annui dall’attività ambulante ma acquista un appartamento e un’auto di lusso, scatta l’accertamento sintetico ex art.38 DPR 600/1973, che prescinde dalle scritture contabili e inferisce il reddito in base alla spesa sostenuta. Per difendersi in tal caso, Tizio dovrà provare che i beni sono stati acquistati con risparmi precedenti, o donazioni, o redditi esenti, etc. – insomma fornire prova contraria alla presunzione di maggior reddito.

In generale, quando arriva un avviso di accertamento per maggiori ricavi/volumi d’affari, il venditore ambulante dovrà esaminare attentamente le motivazioni: su cosa si basa la pretesa fiscale? Presunzioni da studi di settore? Differenze inventariali riscontrate in un controllo (merce non giustificata)? Versamenti su conto corrente non spiegati? Ogni tipologia di contestazione suggerisce diverse linee di difesa:

  • Difesa documentale: presentare tutta la documentazione contabile e extracontabile che possa giustificare i dati dichiarati. Ad esempio, se l’ufficio contesta ricavi bassi, esibire ricevute, bolle, agende giornaliere dalle quali risulta che in molti giorni di mercato si è incassato poco (magari per scarsa affluenza, maltempo); oppure se contestano versamenti bancari non dichiarati, dimostrare che erano finanziamenti personali o prestiti di parenti e non ricavi di vendita.
  • Contraddittorio e spiegazioni logiche: è fondamentale partecipare (personalmente o tramite il proprio consulente) al contraddittorio con l’ufficio – se offerto – prima dell’emissione dell’avviso. In tale sede il venditore può fornire spiegazioni sulle anomalie riscontrate. Ad esempio: “ho margini più bassi dello standard perché vendo merce di fine stock a prezzi ribassati”, oppure “quella merce invenduta l’ho dovuta svendere sotto costo”, oppure ancora “nel 2023 ho partecipato solo a 10 mercati su 30 per malattia, ecco i certificati medici/permessi comunali”. Tutte queste circostanze, se provate, possono convincere l’ufficio a ridurre o annullare l’accertamento. In caso contrario, torneranno utili in giudizio, dove il giudice valuterà se la presunzione fiscale regge o viene smentita dalle spiegazioni del contribuente.
  • Vizi formali e procedurali: oltre al merito, non trascurare i possibili vizi di forma dell’accertamento. Ad esempio, se la verifica della Guardia di Finanza si è svolta presso il domicilio del venditore (magari per controllare documenti) ed è durata più di un certo periodo, doveva rispettare lo Statuto del Contribuente (L.212/2000) che prevede un termine massimo di permanenza presso la sede del contribuente e la consegna di un verbale di chiusura indagini, dopo il quale l’ufficio deve attendere 60 giorni prima di emettere l’accertamento (salvo casi di particolare urgenza). Se l’Agenzia non ha rispettato questo termine di garanzia del contraddittorio, l’atto può essere viziato (specialmente per tributi “armonizzati” come l’IVA, in cui la giurisprudenza UE esige il contraddittorio anticipato). Altri vizi possibili: notifica dell’avviso non regolare, motivazione carente o contraddittoria (ad esempio un avviso fotocopia che non considera le specifiche difese presentate dal contribuente in sede di contraddittorio). Tali vizi vanno evidenziati nel ricorso, in aggiunta alle ragioni di merito.

In caso di accertamento fiscale misto (imposte + sanzioni), in genere conviene proporre ricorso tributario chiedendo sia l’annullamento delle maggiori imposte che delle sanzioni collegate. Se però ci sono situazioni di parziale irregolarità che si preferisce sanare, si può valutare una definizione agevolata delle sole sanzioni: ad esempio l’istituto dell’acquiescenza (art.15 D.Lgs.218/1997) consente, pagando interamente le imposte accertate entro 60 giorni, di ottenere una riduzione delle sanzioni a 1/3. Oppure, prima dell’emissione dell’avviso, si può avviare un accertamento con adesione: nel caso di ambulanti, spesso l’ufficio è disponibile a transigere riducendo le pretese, specie se l’alternativa è un contenzioso su presunzioni non granitiche. L’accertamento con adesione sospende i termini di ricorso e, se si raggiunge un accordo, comporta il pagamento delle somme concordate con ulteriori sconti sulle sanzioni (1/3 del minimo). È uno strumento utile quando il venditore riconosce almeno in parte le irregolarità e vuole chiudere la questione rapidamente evitando il contenzioso.

Omessa dichiarazione o omessi versamenti

Un caso particolare ma non raro: il venditore ambulante non presenta proprio le dichiarazioni dei redditi e IVA, magari perché lavorava in modo informale. Oppure, pur dichiarando le imposte, non le versa (omesso versamento IVA). In tali frangenti le conseguenze sono molto serie:

  • Omessa dichiarazione: l’Agenzia può emettere accertamenti d’ufficio per ogni anno non dichiarato, presumendo il reddito in base ai dati disponibili (es. studi settore, ricostruzioni, movimenti bancari) con sanzioni maggiorate. La sanzione per omessa dichiarazione è pari al 120% – 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250. Se poi l’imposta evasa supera certe soglie penal-tributarie (es. oltre €50.000 di imposte dirette o IVA evase), scatta anche la denuncia penale per il reato di omessa dichiarazione (punibile con reclusione 2–5 anni). Difendersi: spesso chi non ha dichiarato nulla può puntare su una strategia transattiva (adesione) per ridurre il danno, oppure, se non aveva ricavi così alti, contestare il quantum. Fondamentale eventualmente dimostrare che non si raggiungono le soglie penali o che c’erano cause di forza maggiore.
  • Omesso versamento IVA: se l’ambulante ha presentato la liquidazione IVA ma non l’ha pagata, l’Agenzia iscrive a ruolo il dovuto e irroga sanzione del 30% degli importi non versati. Anche qui, oltre i €250.000 di IVA non versata per anno scatta il reato di omesso versamento IVA. La difesa in sede amministrativa può consistere in richieste di rateazione (che evitano la punibilità penale se saldi prima del dibattimento) o nel far valere eventuali crediti in compensazione (a volte l’Agenzia contesta omessi versamenti perché non riconosce crediti IVA detraibili; dimostrare la spettanza di quei crediti annulla la sanzione).

In tutti questi casi, non bisogna mai ignorare gli atti sperando che tutto cada in prescrizione. L’inosservanza fiscale alimenta cartelle esattoriali, interessi e aggrava la posizione. Meglio utilizzare gli strumenti difensivi e, se proprio il debito è incontestabile, valutare istituti come la rateazione o (per situazioni di grave insolvenza) le procedure “salva-suicidi” di esdebitazione. Una particolare menzione: recentemente (Legge di Bilancio 2023) sono state introdotte alcune definizioni agevolate dei carichi fiscali e l’annullamento automatico dei debiti minori pre-2015 sotto €1.000. Il venditore ambulante con debiti fiscali pregressi dovrebbe verificare se può usufruirne (questo esula dall’accertamento in sé, ma attiene alla fase di riscossione).

Passiamo ora al fronte amministrativo delle violazioni tipiche per il commerciante ambulante e a come difendersi, passo per passo, dalle multe e dai provvedimenti degli enti locali.

Accertamenti amministrativi: difendersi da multe e provvedimenti del Comune

In quest’area rientrano tutte le contestazioni non tributarie che il venditore ambulante può subire nello svolgimento dell’attività. Si tratta, come visto, principalmente di violazioni relative a: titoli autorizzativi (licenza), concessioni di posteggio o suolo pubblico, norme sanitarie, regolamenti di polizia locale sul commercio. La differenza fondamentale rispetto agli accertamenti fiscali è che qui parliamo di illeciti amministrativi, perseguiti con sanzioni pecuniarie amministrative, la cui gestione segue la L.689/81. Vediamo caso per caso le situazioni più tipiche e come impostare la difesa.

Vendita senza autorizzazione o fuori dai limiti della licenza

Scenario: Tizio svolge commercio ambulante senza aver mai ottenuto la licenza dal Comune, oppure al di fuori dell’ambito territoriale consentito (es. ha licenza itinerante valida per una regione, ma viene trovato a vendere in altra regione dove non è abilitato). In tali casi, gli agenti (vigili urbani, etc.) redigono un verbale di accertamento per “esercizio del commercio su area pubblica senza la prescritta autorizzazione”. Come abbiamo ricordato, la sanzione prevista dall’art.29 D.Lgs.114/1998 è molto pesante: pagamento di una somma da €2.582 a €15.493 e confisca della merce. Quindi sul posto già avviene il sequestro delle merci esposte e dell’eventuale attrezzatura (banchetto, ombrellone, ecc.).

Il verbale viene consegnato (o notificato) all’interessato. A questo punto, come può difendersi il venditore? Ci sono due livelli di difesa: uno amministrativo in via preliminare, e uno giurisdizionale eventuale.

  1. Fase amministrativa (ricorso al Sindaco entro 30 giorni): È fondamentale non ignorare il verbale pensando che la multa arriverà e poi si vedrà. La L.689/81 offre al presunto trasgressore la possibilità di presentare scritti difensivi all’autorità che dovrà emettere l’ordinanza-ingiunzione (nella maggior parte dei casi, per le violazioni sul commercio su area pubblica è il Sindaco o un dirigente da lui delegato). Entro 30 giorni dalla contestazione/notifica del verbale, il venditore ambulante può dunque inviare un ricorso amministrativo al Sindaco. Questo non è un ricorso giurisdizionale, ma un’istanza di riesame in autotutela: va redatta in carta semplice (non servono formalità, può farla anche senza avvocato) e serve a chiedere che il procedimento sanzionatorio venga archiviato o la sanzione venga annullata. Nel ricorso bisogna esporre le proprie giustificazioni e sollevare eventuali eccezioni sul verbale. Esempi di argomenti difensivi in questa fase:
    • Errori o vizi nel verbale: conviene esaminare con attenzione tutto ciò che è stato scritto dagli agenti. Se ci sono errori evidenti (nome sbagliato, luogo o data errati, descrizione dei fatti inesatta) vanno segnalati. Ad esempio, se il verbale riporta un luogo di accertamento diverso da dove effettivamente si era, oppure indica un’attività (merce venduta) che non corrisponde al vero, si può eccepire che c’è “incertezza su fatti e violazione” e chiedere l’annullamento. Un vizio più formale potrebbe essere la mancata indicazione dell’autorità competente o dei termini di ricorso: anche questi difetti, sebbene sanabili, possono essere segnalati.
    • Motivazioni sullo stato di necessità o scusanti: molti venditori ambulanti senza licenza operano per necessità economica estrema. Nel ricorso al Sindaco si può far presente la propria situazione sociale (disoccupazione, mancanza di reddito, famiglia a carico) chiedendo clemenza. Tecnicamente lo stato di bisogno non è una causa di annullamento della multa, ma potrebbe indurre l’autorità a minimalizzare la sanzione (ad esempio applicando il minimo edittale o valutando soluzioni alternative).
    • Richiesta di audizione personale: è molto importante ricordare che nel ricorso si può chiedere di essere sentiti di persona. La legge obbliga l’autorità a convocare il ricorrente se questi ne fa richiesta. Questo dà un duplice vantaggio: (a) poter spiegare a voce le proprie ragioni di fronte a chi deciderà (spesso può suscitare più comprensione una persona in carne ed ossa che una lettera); (b) creare un vincolo procedurale per cui, se l’autorità omette di convocare il richiedente prima di decidere, l’eventuale ordinanza-ingiunzione sarà viziata e potrà essere annullata in giudizio. Infatti l’art.18 L.689/81 tutela il diritto di audizione su richiesta e la giurisprudenza – sebbene altalenante – ha spesso considerato illegittima l’ordinanza emessa senza sentire il trasgressore richiedente (quantomeno fino alla citata sentenza Cass. SU 1786/2010, che però non impedisce ai giudici di merito di continuare ad accogliere opposizioni in caso di evidente lesione del diritto di difesa in fase amministrativa).
    Dopo l’invio del ricorso amministrativo, possono accadere due cose: l’autorità archivia il procedimento (ad esempio ritenendo che effettivamente c’è un errore di persona, o magari nell’ambito di politiche conciliative per primi offenders) oppure emette comunque l’ordinanza-ingiunzione applicando la sanzione. Spesso i Comuni, soprattutto se la violazione c’è stata, procedono comunque a sanzionare (magari limitandosi al minimo edittale se hanno motivi di considerare parzialmente scusabile l’infrazione: in molti casi viene infatti inflitta la sanzione minima €2.582, ridotta del 50% per pagamento entro 60 giorni, quindi €1.291 – come accennato nel documento informativo consultato). Va precisato: il pagamento in misura ridotta per le violazioni di commercio su aree pubbliche non è la regola generale (vige infatti la procedura ordinaria con ordinanza-ingiunzione), ma talvolta i verbali stessi indicano la possibilità di pagare entro un termine una cifra ridotta. Se il venditore paga subito il minimo, spesso il procedimento si estingue lì. Tuttavia, molti ambulanti colpiti da queste multe non possono permettersi di pagare nemmeno la somma minima entro 60 giorni, e lasciano decorrere il termine.
  2. Fase giurisdizionale (opposizione all’ordinanza-ingiunzione): Se viene emessa l’ordinanza-ingiunzione di pagamento (ad esempio il Comune invia a Tizio un’ordinanza che ingiunge €5.164 di sanzione, ossia due volte il minimo, disponendo contestualmente la confisca definitiva della merce sequestrata e la distruzione di essa), a questo punto l’unica via di difesa è fare ricorso al giudice. Come spiegato, la competenza per questo tipo di sanzioni è del Giudice di Pace (territorialmente, quello del luogo dell’illecito) e il termine è 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza. Il ricorso in opposizione è un atto introduttivo di un procedimento civile: conviene farsi assistere da un avvocato, anche se per valore inferiore a €1.100 sarebbe teoricamente possibile stare in giudizio personalmente (ma qui le sanzioni superano tale soglia). Nel ricorso si possono riproporre sia le eccezioni già fatte in sede amministrativa (errori nel verbale, vizi procedurali, ecc.) sia ulteriori motivi di merito e legittimità. In giudizio, la strategia difensiva può articolarsi su più fronti:
    • Impugnare la legittimità dell’accertamento: ad esempio, contestare che effettivamente l’attività svolta rientrasse nella previsione di “commercio su aree pubbliche”. Ci sono casi limite: per esempio, vendite fatte una tantum da un privato (non imprenditore) potrebbero non integrare esercizio di commercio abituale; oppure si può sostenere che la zona dove è avvenuto il sequestro fosse area privata e non pubblica (se così fosse, non si applicherebbe la disciplina ambulante, ma attenzione: servirebbe comunque autorizzazione di commercio in sede fissa). Se il verbale non descrive bene il fatto, si può sfruttare questo per instillare dubbi.
    • Chiedere la proporzionalità della sanzione: la legge dà un range ampio (€2.582 – €15.493). Il giudice, se ritiene valida la contestazione ma troppo alta la sanzione fissata in ordinanza, può rideterminare l’importo anche al minimo edittale (non può scendere sotto il minimo di legge però). Quindi la difesa, pur ammettendo la violazione, può puntare a ottenere dal giudice la riduzione al minimo, magari evidenziando che era la prima infrazione per l’ambulante (incensuratezza amministrativa) e le difficoltà economiche.
    • Questionare sulla confisca: la confisca della merce è obbligatoria per legge in caso di vendita senza licenza. Tuttavia, se vi fossero irregolarità formali (es. verbale notificato oltre i 90 giorni previsti dal codice strada, nel caso si applichino analogicamente termini, o autorità incompetente) si può addirittura ottenere l’annullamento dell’intera ordinanza e conseguentemente la restituzione dei beni (se non ancora distrutti). Va detto: nella prassi la merce deperibile viene distrutta quasi subito, mentre per altri beni (vestiario, accessori) alcuni comuni attendono la definitività della confisca prima di alienare/distruggere. Comunque, il ricorrente può chiedere al GdP una sospensione dell’esecuzione per evitare che la merce sia eliminata prima della sentenza.
    • Difesa d’ufficio: in sede di opposizione, se il Comune (o l’ente che ha emesso la sanzione) non deposita in giudizio gli atti entro 10 giorni dall’udienza, o se la Polizia non trasmette il rapporto, il giudice può accogliere il ricorso per difetto di prova da parte dell’amministrazione. Non è infrequente che per carenze burocratiche l’ente non invii tutto; l’avvocato del ricorrente dovrebbe controllare il fascicolo e, se mancano documenti essenziali, sottolinearlo al giudice chiedendo l’annullamento per difetto probatorio (“mancano prove sufficienti della responsabilità dell’opponente” è il criterio per accogliere l’opposizione).
    • Cercare una conciliazione: in alcuni casi, benché formalmente non prevista una “mediazione”, il ricorrente tramite il suo legale può contattare l’ufficio legale del Comune prima dell’udienza e vedere se c’è margine per transigere (ad esempio, accettando di pagare una parte della multa in cambio del ritiro dell’ordinanza impugnata). Alcuni comuni preferiscono evitare spese legali e, se percepiscono che l’opponente è in buona fede, potrebbero ridurre l’importo o convertire la sanzione in una diffida. Questo ovviamente è aleatorio e dipende dalle politiche locali.

In definitiva, per la mancanza di licenza, la difesa migliore è prevenire: regolarizzare la propria posizione. Da notare che oggi in molte regioni ottenere l’autorizzazione ambulante di tipo B (itinerante) non è difficilissimo, soprattutto se si è cittadini UE o extracomunitari con permesso di soggiorno idoneo. Spesso chi opera senza licenza lo fa perché la licenza è stata revocata o perché è subentrato in modo informale. Dopo aver subito un accertamento, mettersi in regola (se possibile) è utile anche in ottica difensiva: si può presentare al giudice documentazione che l’attività ora è autorizzata, come indice della volontà di rispettare la legge in futuro, magari ottenendo indulgenza (quantomeno sulla quantificazione della pena pecuniaria).

Occupazione abusiva di suolo pubblico e violazioni connesse

Il venditore ambulante spesso utilizza uno spazio pubblico per posizionare il proprio banco o il veicolo. Ogni Comune regolamenta questi aspetti con dettagli: dimensioni massime del banco, area assegnata nel mercato settimanale, eventuali estensioni con sedie e tavolini (per chi somministra cibi), ecc. Le infrazioni comuni sono:

  • Sforamento del posteggio assegnato: ad esempio, l’ambulante occupa più metri di quelli autorizzati o invade la corsia di passaggio. In genere su questo interviene la Polizia Locale con sanzioni da regolamento comunale (spesso rientranti nella categoria “violazione dei divieti stabiliti dal Comune per il commercio su aree pubbliche”) punite con multa da €516 a €3.098. Anche qui, recidive gravi possono portare a sospensione dell’attività fino a 20 giorni.
  • Occupazione fuori orario o fuori luogo: il venditore si ferma in area pubblica in un giorno/luogo non consentito (es. si piazza col furgone in una via qualsiasi fuori dal mercato). Questa condotta integra sia la violazione commerciale (se sta vendendo) sia la violazione del Codice della Strada per occupazione suolo. Talvolta i vigili contestano entrambi gli illeciti: la multa CdS art.20 (~€170) e il verbale ex art.29 D.Lgs.114/98 per mancanza di concessione commerciale in quel luogo. L’orientamento però è a non duplicare le sanzioni: se si procede con la maxi-sanzione commercio su area pubblica, la questione suolo è assorbita. Viceversa, se il soggetto era autorizzato come ambulante itinerante ma solo non aveva il permesso di fermarsi lì, si tende ad applicare la sanzione “minore” del Codice della Strada.
  • Omessa richiesta del canone e morosità: chi è autorizzato deve pagare il canone per l’occupazione di suolo pubblico (COSAP, ora Canone Unico). Se non lo paga, il Comune può: (a) chiedere il pagamento con un proprio avviso di accertamento tributario (essendo un’entrata para-tributaria, l’atto di accertamento del canone si impugna davanti alla giustizia tributaria, non al GdP); (b) dopo reiterata morosità, avviare un procedimento di revoca della concessione per posteggio. Diversi regolamenti comunali prevedono che se un ambulante accumula, ad esempio, 2 anni di canone non pagato, venga avvisato e poi dichiarato decaduto dal posteggio. I tribunali amministrativi hanno giudicato legittime tali revoche se precedute da regolare procedimento con diffida e termine per mettersi in regola. Dunque, in caso di morosità, è consigliabile cercare di sanare il debito (magari con una rateazione) prima che si arrivi alla revoca.

Difendersi dalle sanzioni di occupazione abusiva:

  • Se viene contestata la violazione del Codice della Strada (verbale ex art.20), si può fare ricorso amministrativo entro 30 giorni al Prefetto oppure entro 30 giorni (dalla notifica) al Giudice di Pace, a scelta. Il Prefetto tende spesso a confermare le sanzioni (emettendo un’ordinanza-ingiunzione) salvo errori macroscopici, quindi molti preferiscono ricorrere direttamente al Giudice di Pace entro 30 giorni. Le modalità difensive sono quelle tipiche per i verbali CdS: vizi di forma (es. mancata indicazione dei motivi per cui non è stato contestato immediatamente, se del caso), contestazione della qualifica della strada come pubblica (talvolta aree private aperte al pubblico non ricadono nel CdS), errori nella notifica (superamento dei 90 giorni per notificare). Se il ricorso è al Prefetto e viene rigettato, la sanzione viene raddoppiata nell’ordinanza-ingiunzione (fino a €674 raddoppiati), contro cui poi si può ricorrere al GdP.
  • Se viene elevata sanzione ai sensi dei regolamenti comunali/D.Lgs.114 (es. occupazione fuori mercato), il procedimento è quello della L.689/81. Si può agire come spiegato: scritti difensivi al Comune, poi eventuale opposizione GdP. In tale sede la difesa può puntare a dimostrare che tecnicamente l’occupazione non c’era oppure era minima e scusabile (magari ci si è spostati di pochi metri per evitare un ostacolo), oppure che la segnaletica o i limiti non erano chiari (talora le aree mercatali non sono ben definite sul suolo).
  • Se viene notificato un avviso di pagamento canone non versato, quello è assimilabile a un atto di accertamento tributario locale: occorre controllare la legittimità (rispetto dei termini – i canoni hanno decadenza di 5 anni –, corretta quantificazione dei giorni e metri quadrati occupati, ecc.). La difesa possibile è presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, eventualmente chiedendo la sospensione (specie se nel frattempo il Comune minaccia revoca licenza in base a quell’accertamento).
  • In caso di revoca del posteggio per morosità o per abusi, l’atto è un provvedimento amministrativo vero e proprio. Prima viene in genere comunicato l’avvio del procedimento ex L.241/90: il venditore deve subito presentare memorie e magari chiedere un’audizione all’ufficio commercio per convincerli a non revocare (ad esempio proponendosi di saldare il debito o adducendo ragioni di salute che hanno impedito il pagamento, ecc.). Se poi esce la revoca, l’unica via è il ricorso al TAR competente entro 60 giorni (o in alternativa un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni). Davanti al TAR i motivi saranno: eccesso di potere per sproporzione (ad esempio revoca inflitta nonostante la morosità fosse minima e già sanata), violazione di legge se il Comune non ha seguito l’iter previsto (mancata diffida, ecc.), o errata applicazione delle norme. Il TAR in genere valuta se l’interesse pubblico (liberare il posteggio da un concessionario inadempiente) prevale sulle giustificazioni del privato.

In sintesi, per le occupazioni abusive occasionali (fuori posto, ecc.) conviene utilizzare i rimedi agili (ricorso GdP, ecc.) sperando nell’annullamento o quantomeno nel pagamento in misura ridotta. Per le questioni di concessione (posteggio fisso) la partita si gioca più sul dialogo col Comune o, se inevitabile, al TAR, ma lì è bene arrivare con argomenti solidi e possibilmente avendo già rimediato alle inadempienze (pagare il dovuto, promettere di rispettare le regole in futuro).

Violazioni igienico-sanitarie e di sicurezza alimentare

Quando un venditore ambulante tratta generi alimentari (banco di frutta, furgone street food, vendita di formaggi, ecc.), entra in campo la fitta normativa sulla sicurezza alimentare. Gli aspetti da tenere in regola sono: la registrazione sanitaria dell’attività, l’adozione del manuale HACCP, le condizioni igieniche del mezzo e delle attrezzature, la provenienza tracciabile dei prodotti, il rispetto della catena del freddo, l’uso di guanti, ecc.

Le infrazioni possono essere riscontrate sia dalla Polizia Municipale che, soprattutto, dai NAS dei Carabinieri o dagli ispettori delle ASL. Normalmente, in caso di irregolarità:

  • Si redige un verbale di contestazione amministrativa ai sensi del D.Lgs.193/2007 (che ha depenalizzato molte violazioni alimentari). Nel verbale vengono elencate le non conformità (es: “mancata attuazione di procedure HACCP”, “assenza di idonea fonte di acqua potabile sul banco”, “omessa notifica sanitaria”).
  • Possono essere impartite prescrizioni con termine (es: dotarsi entro 10 giorni di contenitori termici conformi, frequentare corso HACCP, ecc.) e, nei casi più gravi, viene disposta la sospensione immediata dell’attività (specie se c’è pericolo per la salute: es. cibi avariati in vendita, infestazione di insetti nel mezzo, ecc.). La sospensione in genere è un atto contingibile firmato dall’ASL o dal Sindaco, efficace da subito.
  • Segue poi il consueto iter: il trasgressore può presentare scritti difensivi entro 30 giorni all’autorità competente (spesso il Dipartimento di Prevenzione dell’ASL), dopodiché viene emanata l’ordinanza-ingiunzione con la sanzione pecuniaria.

Difesa: nella fase iniziale, se le contestazioni riguardano mancanze sanabili, conviene attivarsi immediatamente per regolarizzare tutto: fare la notifica sanitaria se non fatta, buttare le merci non idonee, pulire e predisporre quanto richiesto, e documentare queste azioni. Spesso l’ASL in sede di emissione della sanzione terrà conto della condotta successiva: se l’ambulante ha eliminato le carenze, potrebbe limitarsi a un minimo edittale o revocare la sospensione. Anche nel ricorso amministrativo, allegare certificati di avvenuta sanificazione o acquisto di attrezzature nuove aiuta a dimostrare serietà.

Se tuttavia viene confermata la sanzione e magari una chiusura temporanea, si può fare opposizione. Qui occorre attenzione: come anticipato, le sanzioni in materia di igiene alimentare rientrano tra quelle la cui opposizione va proposta al Tribunale in composizione monocratica (e non al GdP). Il termine è sempre 30 giorni dall’ordinanza. Davanti al Tribunale (sezione civile) il procedimento è analogo al rito del lavoro. La difesa verterà sugli aspetti tecnici: si può far testimoniare che le condizioni igieniche non erano così pessime come descritte (magari la merce contestata era ancora entro i limiti, o la temperatura di un freezer sballata era dovuta a un momentaneo black-out), oppure contestare la proporzionalità delle misure (ad esempio, sospendere l’intera attività per un piccolo inadempimento può apparire eccessivo: si chiederà al giudice di ridurre il periodo di sospensione o di annullarlo se nel frattempo si è regolarizzato tutto).

In parallelo, bisogna verificare se la violazione configurasse anche reato. Ad esempio, vendere cibo in cattivo stato di conservazione è reato (art.5 lett.b L.283/1962, contravvenzione) ancora oggi, punito penalmente. In tal caso ci si troverebbe sia con il procedimento amministrativo sia con quello penale. La difesa dovrà coordinarsi per evitare autogol (quanto detto in un ambito può riflettersi sull’altro). Nei reati minori alimentari spesso si opta per l’oblazione se possibile o per dimostrare l’assenza di dolo.

Ulteriori violazioni e casi particolari

Oltre a quanto sopra, il venditore ambulante può incorrere in altre contestazioni:

  • Violazioni del regolamento comunale di polizia urbana: alcuni Comuni vietano, ad esempio, l’uso di altoparlanti per richiamare clienti, oppure l’abbandono di rifiuti a fine mercato, o ancora disciplinano l’occupazione temporanea (tipo l’ambulante che sosta troppo a lungo nello stesso punto viene sanzionato). Queste violazioni di solito comportano piccole sanzioni (50-200 euro) e rientrano nella competenza del GdP. La difesa è simile: controllare i dettagli, a volte i Comuni sbagliano a contestare (es. applicano norma inesistente).
  • Vendita di prodotti proibiti: ad esempio, la vendita ambulante di alcolici senza licenza UTIF, o vendita di oggetti pericolosi. Ci sono normative speciali (TULPS – Testo Unico Pubblica Sicurezza) e il D.Lgs.114/98 all’art.29 comma 2 elenca alcune di queste: chi vende in forma ambulante armi, oggetti da punta e taglio senza licenze specifiche commette reato o comunque un illecito grave. In tali casi la difesa è complessa e va valutata caso per caso (es. se è reato serve difesa penale).
  • Misure di ordine pubblico – DASPO urbano: recentemente, la lotta all’ambulantato abusivo ha incluso strumenti come il Daspo urbano: l’ordine di allontanamento immediato da certe aree emesso da agenti, con divieto di ritorno per 48 ore, e in caso di reiterazione la possibilità che il Questore emetta un divieto di accesso prolungato. Questo può capitare in città turistiche (es. venditori abusivi nei centri storici). La violazione del Daspo urbano è essa stessa sanzionata. La difesa qui esula un po’ dall’ambito commerciale classico ed entra nel diritto amministrativo di pubblica sicurezza: l’interessato può fare ricorso gerarchico al Prefetto contro il provvedimento del Questore o eventualmente ricorso al TAR per annullamento, invocando ad esempio violazione di diritti fondamentali se il provvedimento appare discriminatorio. Si tratta però di situazioni minoritarie e molto specifiche.

Strumenti di impugnazione e tutela: sintesi procedurale

Dopo aver analizzato le principali contestazioni nel merito, riepiloghiamo i percorsi difensivi disponibili al venditore ambulante, distinguendo tra la sede tributaria e la sede amministrativa, che hanno regole e autorità diverse.

Impugnare un avviso di accertamento fiscale

Quando si riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate (tributi) o un atto di irrogazione di sanzioni fiscali, il contribuente (in questo caso il venditore ambulante) ha a disposizione i rimedi previsti dal D.Lgs.546/92 sul processo tributario e dal D.Lgs.218/97 sugli istituti deflattivi:

  • Istanza di autotutela: non è un vero ricorso, ma una richiesta all’ufficio emittente di riesaminare l’atto in via amministrativa per annullarlo o rettificarlo. Può essere utile presentarla subito se si riscontra un errore palese (ad es. doppia imposizione, scambio di persona, calcolo aritmetico sbagliato). L’Agenzia non è obbligata ad annullare in autotutela, ma se il motivo è evidente spesso lo fa, per evitare il contenzioso.
  • Accertamento con adesione: entro il termine per impugnare (60 giorni dalla notifica dell’avviso) il contribuente può presentare istanza di adesione, chiedendo un contraddittorio. Ciò sospende i termini per il ricorso per 90 giorni. Durante l’incontro, contribuente e ufficio discutono e possono accordarsi su un importo concordato di maggiori imposte e sanzioni (di solito sanzioni ridotte a 1/3). Se l’adesione si perfeziona (firma del verbale e pagamento della prima rata entro 20 giorni), l’accertamento si “definisce” e non si fa ricorso. L’adesione conviene quando l’ufficio mostra apertura a riconoscere le ragioni del contribuente riducendo sensibilmente la pretesa.
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale): è il rimedio giurisdizionale. Va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, salvo che si sia presentata istanza di adesione (in tal caso i 60 gg iniziano a decorrere di nuovo dopo i 90 giorni sospensivi, o dalla comunicazione di esito negativo prima). Il ricorso tributario oggi può essere presentato telematicamente tramite PEC o il portale SIGIT; va inserita la relata di notifica e pagato il contributo unificato in base al valore della lite. Nel ricorso si devono indicare i motivi di impugnazione, sia di merito che di legittimità, e le eventuali richieste istruttorie (prova testimoniale in tributario è rarissima, più comune chiedere CTU contabile se servono calcoli). Una volta instaurato il giudizio, il contribuente può anche chiedere la sospensione provvisoria degli effetti dell’atto se dal pagamento immediato deriverebbe un danno grave (ad esempio, un ambulante monoreddito che dovrebbe pagare 50.000 € rischiando di fallire). La sospensione, se concessa, blocca la riscossione fino alla sentenza di primo grado.
  • Mediazione/reclamo: fino a fine 2022, per le liti di valore fino a €50.000 era obbligatorio presentare un reclamo-mediazione prima del ricorso. Dal 2023 questa procedura è stata assorbita nel ricorso stesso (che vale come reclamo). In pratica, per importi fino a €50.000, il ricorso presentato funge anche da proposta di mediazione: l’Agenzia ha 90 giorni per eventualmente accogliere (in tutto o in parte) il reclamo. Se trascorrono 90 giorni senza esito o con esito negativo, il processo tributario prosegue. Nella difesa di un ambulante, spesso i valori in gioco (sanzioni per scontrini, piccoli ricavi) rientrano in questa soglia, quindi c’è speranza che l’ufficio stesso in sede di reclamo riveda le proprie pretese (ad es. annullando le sanzioni minori per concentrarsi su quelle più fondate).
  • Gradi successivi: se la sentenza di primo grado è sfavorevole, si può appellare alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Infine, è possibile ricorrere in Cassazione (solo per motivi di legittimità) contro la sentenza d’appello. Per importi modesti forse non conviene proseguire oltre il primo grado, valutando costi e benefici.
  • Definizioni agevolate in corso di causa: il legislatore talvolta offre sanatorie delle liti pendenti (è avvenuto ad esempio con la pace fiscale 2019, e di nuovo con la legge di bilancio 2023 che consente di definire le liti tributarie pendenti pagando percentuali ridotte se si rinuncia alla causa). Il venditore ambulante con processi in corso dovrebbe sempre informarsi se vi sono norme del genere, perché potrebbe chiudere il contenzioso con un esborso inferiore al rischio di soccombenza.

In tutto ciò, un fattore pratico: pagare o non pagare nel frattempo? Per gli avvisi di accertamento emessi negli ultimi anni, vige la regola del “pagamento frazionato”: alla notifica dell’avviso, il contribuente deve versare entro 60 giorni le somme accertate per evitare aggravi. Se fa ricorso, normalmente può astenersi dal pagare, ma l’Agenzia, decorso il termine, può comunque iscrivere a ruolo 1/3 delle imposte contestate (oltre interessi) e affidarle all’agente della riscossione, a meno che il contribuente non abbia ottenuto la sospensione dal giudice. Questo significa che, pur impugnando, l’ambulante potrebbe ricevere una cartella per una parte del dovuto prima della sentenza. È importante essere consapevoli di ciò e, se necessario, chiedere subito la sospensione al giudice tributario. In alternativa, in alcuni casi si valuta di pagare quel 1/3 per evitare problemi, continuando la causa per il resto (in caso di vittoria, l’importo pagato verrebbe rimborsato).

Impugnare una sanzione amministrativa del Comune o di altro ente

Il percorso per opporsi alle sanzioni amministrative (multe per licenza, occupazione, igiene, ecc.) è stato già delineato, ma qui lo schematizziamo in generale:

  • Fase pre-giudiziale (facoltativa): invio di scritti difensivi all’autorità entro 30 gg dalla contestazione. È facoltativo ma consigliato quasi sempre, poiché offre una chance (anche se piccola) di fermare la sanzione e serve a creare un record delle nostre obiezioni fin da subito.
  • Ricezione dell’ordinanza-ingiunzione: è il provvedimento con cui l’autorità ingiunge di pagare la somma X. Contiene un dispositivo e una motivazione. Può disporre anche sanzioni accessorie (confisca, sospensione licenza). Va notificato, e la notifica fa decorrere i termini di opposizione.
  • Ricorso in opposizione: va proposto entro 30 giorni. Giudice competente: di regola il Giudice di Pace, tranne i casi previsti dall’art.6 D.Lgs.150/2011 (che abbiamo citato: violazioni in materia di lavoro, previdenza, ambiente, alimenti, e quelle con sanzioni > €15.493) in cui va al Tribunale. Nota: se per esempio un’ordinanza combinasse una multa di €16.000 (superiore al limite) per una violazione commerciale atipica, l’opposizione andrebbe al Tribunale. Di solito nel nostro ambito rimane al GdP perché le sanzioni top (15.493) non lo superano.
  • Svolgimento del giudizio: è un giudizio civile a tutti gli effetti ma con alcune regole particolari. L’autorità che ha emesso l’ordinanza è parte resistente (di solito è rappresentata da avvocatura comunale o da funzionario delegato). Il giudice può ammettere prove (anche testimonianze, sebbene raramente servano; spesso tutto è documentale). Non si paga il contributo unificato (atti e decisione esenti da bollo e spese di registro), quindi fare opposizione non comporta costi vivi elevati, salvo l’eventuale compenso dell’avvocato. La sentenza può annullare totalmente la sanzione (magari per vizi procedurali) oppure parzialmente (ridurre l’importo). Non può scendere sotto il minimo legale però (se il minimo è 2.582, non potrà metterla 500 euro per dire, a meno di riconoscere che proprio non sussiste violazione e annulla tutto).
  • Appello e ultimo grado: la sentenza del GdP è appellabile in Tribunale (se il GdP era competente). La sentenza del Tribunale in appello va in Cassazione eventualmente. C’è però un caso: se l’opposizione era finita di competenza del Tribunale in primo grado (es. materia alimenti), allora l’appello va in Corte d’Appello e poi Cassazione. In pratica, il percorso può arrivare fino in Cassazione anche per multe, ma bisogna valutare la convenienza (spesso i costi di appello superano l’importo sanzione a meno che non vi siano interessi principi di diritto da chiarire).
  • Pagamento della sanzione: presentare l’opposizione sospende l’obbligo di pagare? Sì, l’art.22 L.689/81 stabilisce che se fai ricorso, l’ordinanza-ingiunzione non diventa definitiva finché c’è giudizio in corso. Non occorre una sospensione espressa (diversamente dal processo tributario). L’autorità non può riscuotere coattivamente finché la causa non è definita (salvo chiedere al giudice di rigettare e rendere esecutivo). Tuttavia, se l’opposizione è rigettata, la sanzione diventa esigibile con interessi e spese. Attenzione: se uno non fa opposizione, deve pagare entro 30 giorni dall’ordinanza altrimenti l’importo sarà iscritto a ruolo e diventerà cartella (con aggiunta di maggiorazioni per ritardato pagamento). Il mancato pagamento entro 30 gg di un’ordinanza definitiva fa sì che la sanzione raddoppi come sovrattassa ex art.27 L.689/81 (applicazione di un aumento per ritardato pagamento, oltre interessi legali). Quindi è bene, se si perde il ricorso o se non lo si è fatto, pagare tempestivamente per non aggravare il debito.
  • Conversione della sanzione in lavori o rateizzazione: per completezza, segnaliamo che la L.689/81 prevede la possibile conversione della pena pecuniaria in lavoro sostitutivo solo per alcune violazioni e previa richiesta (per multe di competenza prefetto e in caso di insolvenza, art. 108 e seguenti L.689, poco utilizzati). Più pratico: la rateizzazione. Alcuni enti concedono rate se l’importo è alto. Ad esempio, Agenzia Entrate-Riscossione concede dilazione standard fino a 72 rate anche sulle sanzioni amministrative una volta divenute cartelle. Quindi un ambulante multato di €5.000 potrebbe, a conti fatti, pagare ~€100 al mese per qualche anno tramite rateazione della cartella. Non è un rimedio in senso stretto, ma allevia l’impatto.

Riassumendo, il venditore ambulante destinatario di un’accertamento/multa deve:

  1. Leggere bene l’atto e capire chi è l’autorità e i termini di ricorso (spesso indicati).
  2. Valutare se fare ricorso amministrativo interno (sempre consigliato nei 30 gg).
  3. Decidere se fare ricorso al giudice (di solito sì, se la somma è alta o la questione di principio; se è minima magari no per ragioni economiche).
  4. Nel ricorso, far valere ogni elemento a favore (fatti, errori procedurali, diritto).
  5. Seguire il processo oppure considerare accordi se possibili.
  6. In ogni caso, evitare l’inerzia: come ripetuto, ignorare gli atti porta a ingiunzioni, cartelle esattoriali e possibili pignoramenti (conto corrente, furgone, ecc.).

Domande e Risposte Frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende esattamente per “avviso di accertamento” per un venditore ambulante?
R: In senso stretto, l’avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta maggiori imposte o sanzioni fiscali al contribuente (nel nostro caso, il venditore ambulante). Tuttavia, nel linguaggio comune, quando un ambulante dice di aver ricevuto un “avviso di accertamento” può riferirsi anche ad atti di natura diversa ma simili nell’effetto: ad esempio una multa/ordinanza del Comune per mancanza di licenza o un avviso di pagamento del canone suolo pubblico. In questa guida abbiamo distinto le diverse tipologie: avviso di accertamento tributario (fiscale) vs verbale di accertamento/ordinanza (amministrativo). Entrambi sono “atti di accertamento” nel senso che contestano ufficialmente un’irregolarità e chiedono un pagamento o impongono una sanzione.

D: Ho preso una multa dai vigili perché vendevo senza licenza su una spiaggia: devo pagare subito €5.000?
R: No, non immediatamente. Se i vigili urbani hanno redatto un verbale di contestazione, quello non è ancora una richiesta di pagamento determinata: è l’inizio del procedimento. Come visto, hai 30 giorni per presentare difese al Comune. Solo successivamente (probabilmente qualche mese dopo) il Comune emetterà un’ordinanza-ingiunzione indicando l’importo finale da pagare (che, per vendita senza licenza, può essere fino a €5.164 ridotto se prima violazione). A quel punto, se ritieni la sanzione ingiusta o eccessiva, puoi fare opposizione entro 30 giorni al Giudice di Pace e far valere le tue ragioni. Durante il ricorso, la sanzione di norma non va pagata. Se invece decidi di non impugnare l’ordinanza, ti converrà pagare entro 30 giorni dalla notifica di quest’ultima, usufruendo magari della riduzione del 50% se prevista (spesso per la prima violazione viene applicato il minimo edittale dimezzato in misura ridotta). In sintesi: non ignorare il verbale; puoi tentare difesa in autotutela e successivamente valutare il ricorso al giudice. Pagare subito €5.000 senza attendere l’ordinanza non è consigliabile (anche perché l’ordinanza potrebbe applicare un importo minore o potresti vincere il ricorso e non dover pagare nulla).

D: Mi hanno sequestrato la merce, posso riaverla indietro?
R: Dipende dal caso e dall’esito del procedimento. Se la merce è stata sequestrata perché eri senza autorizzazione, la legge prevede la confisca definitiva con l’ordinanza-ingiunzione. Ciò significa che, salvo sviluppi favorevoli, quella merce diventerà proprietà dell’ente che potrà distruggerla o destinarla come per legge. Puoi però riaverla se ottieni l’annullamento del verbale o dell’ordinanza in giudizio (perché ad esempio il giudice ti dà ragione sul fatto che non c’era violazione). In tal caso, verrà disposta la restituzione dei beni confiscati. Nella pratica, purtroppo, spesso la merce (specie alimentare o oggetti di poco valore) viene distrutta rapidamente. Per questo, nei motivi di opposizione, il tuo avvocato può chiedere al giudice una sospensione dell’esecuzione della confisca in attesa della sentenza, onde evitare il danno irreversibile (perdita dei beni) prima di aver avuto un giudizio. Se la merce sequestrata invece è risultata contraffatta o pericolosa, anche vincendo sul profilo amministrativo è difficile che venga restituita, perché intervengono normative penali (in genere la si distrugge indipendentemente dal resto). In conclusione: in teoria sì, puoi riaverla se vinci il ricorso; in pratica devi agire in fretta e chiedere sospensiva, altrimenti rischi che non ci sia più nulla da restituire.

D: Quali sono i termini di prescrizione per queste sanzioni?
R: Per i tributi, la legge fissa termini di decadenza entro cui l’Agenzia deve notificare gli avvisi di accertamento (di solito il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di imposta, salvo casi di omessa dichiarazione che estendono a sette). Ad esempio, l’anno d’imposta 2020 è accertabile fino al 31/12/2025. Dopo la notifica, se l’atto diviene definitivo, l’ente ha 2 anni per iscrivere a ruolo. Per i crediti da sanzioni amministrative, la prescrizione ordinaria è 5 anni dal giorno in cui l’ordinanza ingiunzione è divenuta definitiva (o, se non opposta, dalla scadenza del termine per il pagamento). Diverso dalla decadenza (che riguarda l’azione iniziale): ad esempio, il Comune deve emettere l’ordinanza entro 5 anni dal verbale (questo è un termine di decadenza previsto anch’esso dalla L.689/81), e una volta emessa ha 5 anni per eseguirla. Quindi se hai una multa del 2015 mai notificata come ordinanza entro il 2020, è decaduta; se hai un’ordinanza notificata nel 2016 e mai pagata né riscossa entro il 2021, è prescritta (salvo atti interruttivi come solleciti o cartelle). In ogni caso, è bene saperlo: se ti arrivano cartelle esattoriali per vecchie multe o accertamenti, controlla sempre la data del provvedimento originario e delle notifiche: spesso succede che siano prescritte e puoi fare opposizione alle cartelle per far valere la prescrizione.

D: Posso finire in carcere per queste violazioni?
R: Per le violazioni amministrative (licenze, suolo pubblico, mancato scontrino) no, non esiste arresto o detenzione: vige il principio che nessuno può essere privato della libertà personale per debiti o per sanzioni amministrative (art. 13 Cost., art. 6 L.689/81). Al massimo rischi sanzioni accessorie come la sospensione dell’attività, ma non il carcere. Discorso diverso per eventuali reati: se, ad esempio, vendi merce contraffatta o evadi somme ingenti di imposte, quelle condotte integrano reati (penali) e in teoria potrebbero portare a pene detentive in caso di condanna. Ma sono casi specifici: la vendita abusiva in sé è depenalizzata (una volta, decenni fa, era reato di contravvenzione, oggi non più). Anche l’evasione fiscale, perché porti al carcere, deve superare soglie elevate (es: oltre 100k € di imposta evasa o dichiarazione fraudolenta). Un venditore ambulante di piccole dimensioni raramente incappa in situazioni del genere. Esempio concreto: quattro scontrini non emessi in un biennio portano alla chiusura temporanea dell’esercizio, non a imputazioni penali. Se però frodi il fisco per centinaia di migliaia di euro, allora potresti essere perseguito per omessa dichiarazione o dichiarazione infedele con conseguenze penali. Ma, ripetiamo, per le normali vicende di ambulantato (multa, cartella esattoriale, debito) non c’è mai il carcere per debiti – semmai ci possono essere pignoramenti di beni.

D: Devo assumere per forza un avvocato per fare ricorso?
R: Nel processo tributario, per valori superiori a €3.000 di imposte contestate sì, è obbligatorio farsi assistere da un difensore abilitato (avvocato, commercialista o esperto tributarista iscritto albo). Sotto €3.000 potresti stare in giudizio da solo, ma non è consigliabile perché le regole processuali sono tecniche. Nel processo di opposizione a sanzioni amministrative, puoi stare senza avvocato se la sanzione è di competenza del Giudice di Pace e il valore non supera circa €1.100 (limite previsto dall’art.82 c.p.c.); sopra tale soglia, serve l’avvocato. Anche dove non fosse strettamente obbligatorio, avere un legale è altamente consigliato, perché saprà impostare correttamente i motivi di ricorso e rispettare le formalità (notifiche, termini, ecc.). L’unico caso in cui potresti valutare di fare da te è per ricorsi semplicissimi (es: multa stradale di piccola entità, chiarissimo errore documentale) – ma anche lì, se sbagli una notifica, butti via il ricorso. Quindi, specie se sei un venditore ambulante con già altri debiti o procedimenti in corso, coinvolgere un avvocato ti consente magari di coordinare la strategia complessiva (magari l’avvocato può consigliarti di definire stragiudizialmente alcune pendenze e concentrarti su quelle con chance di vittoria). Da notare: esistono associazioni di categoria, come le associazioni ambulanti o sindacati commercianti (es. ANVA-Confesercenti, FIVA-Confcommercio), che offrono assistenza legale ai propri iscritti a costi convenzionati – potrebbe essere utile aderire per avere supporto continuativo.

D: Ho ricevuto una cartella esattoriale da Agenzia Entrate-Riscossione per una multa del Comune che non sapevo di avere. Cosa devo fare?
R: Una cartella esattoriale in questo contesto significa che c’è un credito ormai definitivo verso di te, iscritto a ruolo e affidato all’esattore (Agenzia Entrate-Riscossione). Se “non sapevi di avere” la multa, potrebbero esserci stati problemi di notifica dell’atto originario (verbale o ordinanza non ricevuti). Hai due strade:

  1. Chiedere informazioni/documenti: puoi rivolgerti sia all’ente creditore (il Comune) sia all’Agente della Riscossione, per ottenere copia dell’ordinanza ingiunzione e delle relate di notifica. Verifica quando e come sarebbero stati notificati il verbale e l’ordinanza. Se scopri che, ad esempio, l’ordinanza è stata notificata ad un vecchio indirizzo o mai notificata correttamente, puoi far valere ciò.
  2. Impugnare la cartella: hai 30 giorni (se ritieni vizi di forma sostanziali) o 60 giorni (se eccepisci vizi di merito o notificatori) per fare ricorso al Giudice di Pace contro la cartella, per contestare il fatto che manca un presupposto valido (ovvero non hai mai ricevuto l’ordinanza, quindi la cartella sarebbe nulla per difetto di notifica del titolo). Se il GdP accerta che effettivamente la notifica dell’atto presupposto era nulla, annullerà la cartella. Attenzione però: se la notifica era semplicemente irregolare ma tu hai comunque avuto conoscenza dell’atto (cosa difficile se “non sapevi nulla”), il giudice potrebbe solo riaprire i termini per opposizione all’ordinanza stessa. In casi simili spesso i giudici consentono di recuperare il giudizio di merito sull’ordinanza non conosciuta.
    In pratica, non ignorare la cartella! O la paghi (se riscontri che effettivamente la multa c’era ed è tua responsabilità per dimenticanza) oppure la impugni per far valere i tuoi diritti. Inoltre, valuta la prescrizione: se dall’anno della multa sono passati più di 5 anni senza atti interruttivi regolari, puoi eccepire la prescrizione come motivo di opposizione. In ultima analisi, con la cartella in mano, meglio farsi assistere (da un avvocato o da un’associazione consumatori) per capire se c’è spazio di annullamento.

D: In caso di accertamento fiscale, conviene fare subito ricorso o cercare un accordo con l’Agenzia?
R: Dipende molto dalla situazione. Se ritieni l’accertamento totalmente infondato e hai prove solide, presentare ricorso e andare davanti al giudice può portare all’annullamento completo senza dover nulla (se vinci, magari anche con condanna alle spese a tuo favore). Tuttavia, considera costi e tempi: un ricorso tributario può durare anni e devi pagare un professionista. Se l’importo in ballo non è enorme, a volte può convenire tentare prima un accordo con l’Agenzia. L’istituto da utilizzare è l’accertamento con adesione: presenti istanza, vai all’ufficio a discutere. Se l’ufficio capisce che hai argomentazioni, potrebbe proporti una riduzione delle imposte accertate e soprattutto delle sanzioni (per legge ridotte a 1/3). Ad esempio, se ti contestano €10.000 di imponibile non dichiarato, con sanzione 90% = €9.000, in adesione potrebbero accordarsi per tassare €5.000 di imponibile con sanzione al 30% = €1.500. Pagheresti l’imposta su 5.000 (diciamo ~€1.100) + €1.500 = €2.600 invece dei €9.000 originari di sanzione + imposte. In più potresti chiedere rateazione fino a 8 rate trimestrali. Quindi l’adesione a volte è vantaggiosa economicamente. Se però l’ufficio non si smuove dalle sue pretese o offre uno sconto irrisorio, allora conviene fare ricorso. Va detto: se la pretesa è manifestamente sproporzionata o illegittima, spesso già in contraddittorio l’Agenzia rivede alcune cose. In generale, la strategia consigliata: presentare istanza di adesione (così prendi tempo, 90 gg, e capisci l’atteggiamento dell’ufficio) – nel frattempo raccogli documenti per il ricorso; se la trattativa va in porto con un importo accettabile, chiudi la partita; se no, hai ancora tempo per depositare il ricorso. Non precluderti dunque la via dell’accordo: l’adesione sospende anche le sanzioni riducendole e ti fa evitare il rischio del contenzioso. Ovviamente, se sei convinto di avere ragione e l’ufficio fa orecchie da mercante, allora il ricorso diventa necessario.

D: Ho paura che con tutte queste multe e tasse non pagate mi pignorino il conto o il furgone: è possibile?
R: Sì, è possibile se i debiti entrano nella fase esecutiva. Ad esempio, una volta che un avviso di accertamento fiscale diventa definitivo, se non paghi, l’Agente della Riscossione può procedere con atti esecutivi: iscrivere fermo amministrativo sul furgone, pignorare somme sul conto corrente, pignorare un quinto dello stipendio/pensione (se ne hai), o ipotecare beni immobili (se possiedi casa). Analogamente, per le multe del Comune non pagate, si va in riscossione coattiva e valgono gli stessi strumenti. Ci sono però tutele:

  • Ci sono beni impignorabili: ad esempio, gli strumenti di lavoro indispensabili non possono essere pignorati (quindi se hai un solo furgone usato per lavoro, teoricamente non dovrebbero metterlo all’asta; però possono iscrivere un fermo amministrativo che ti impedisce di circolare finché non paghi, di fatto bloccandoti l’utilizzo del mezzo). Anche i beni di modesto valore in casa non si pignorano più. Il conto corrente possono bloccartelo in parte, ma lasciano almeno l’ultimo stipendio accreditato.
  • Prima del pignoramento, in genere, puoi ancora negoziare una rateazione con l’agente della riscossione: ad esempio, se ti è arrivata una cartella da €10.000 e non puoi pagarla subito, presentando istanza di rateazione eviti le azioni esecutive, perché finché paghi le rate il Fisco non procede oltre.
  • Puoi anche valutare soluzioni di sovraindebitamento se i debiti complessivi (fiscali e non) superano la tua capacità di rimborso: la legge (oggi Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, ex L.3/2012) permette, al debitore non fallibile come un ambulante, di chiedere al Tribunale un piano di ristrutturazione o anche l’esdebitazione totale se proprio nullatenente. È una strada ultima ratio, ma esiste.
    In conclusione, sì il rischio di pignoramenti c’è, ma non è immediato: prima devono formarsi i titoli esecutivi (cartelle, ingiunzioni) e notificarli. Prevenire è meglio: appena ricevi atti della riscossione, muoviti per rateizzare o contestare. Non aspettare che arrivino l’ufficiale giudiziario o il fermo al PRA. Nel frattempo, se temi per il conto, puoi ritirare le somme eccedenti le esigenze immediate e tenerle altrove (legalmente, intendo in un altro conto familiare o in contanti, perché se arriva il pignoramento sul conto prende ciò che trova lì in quel momento). Ma soprattutto, cerca di ridurre il monte debiti usando gli strumenti di difesa spiegati in questa guida, in modo da non arrivare alla fase esecutiva.

Tabelle riepilogative finali

Di seguito, alcune tabelle di riepilogo con informazioni chiave già discusse, utili per una consultazione rapida:

Tabella 1 – Tipologie di accertamento e modalità di ricorso

Tipo di accertamento/sanzioneAutorità emittenteTermine per ricorsoGiudice competente
Avviso di accertamento fiscale (Irpef, IVA, etc.)Agenzia delle Entrate (o Ente locale per tributi)60 giorni dalla notificaCorte Giustizia Tributaria (Provinciale)
Rigetto istanza/reclamo in materia fiscaleAgenzia Entrate (silenzio 90 gg)30 giorni (se atto interno impugnabile)Corte Giustizia Tributaria
Ordinanza-ingiunzione sanzione amm.va (commercio, licenza)Comune (Sindaco o dirigente delegato)30 giorni dalla notificaGiudice di Pace (salvo eccezioni)
Verbale violazione Codice della Strada (occupazione suolo)Organo accertatore (Polizia Locale)30 gg GdP o 60 gg PrefettoGdP o Prefetto (alternativa a scelta)
Ordinanza Prefetto (esito ricorso CdS negativo)Prefetto30 giorni dalla notificaGiudice di Pace
Provvedimento di revoca concessione posteggioComune (Dirigente SUAP)60 giorni dalla notificaTAR (Tribunale Amm.vo Reg.le)
Cartella esattoriale da multa non pagataAgenzia Entrate-Riscossione30 gg (vizi formali) / 40 gg (merito, L.546/92 art.21 c.2)Giudice di Pace (oppure Tribunale se materia lavoro/igiene)

Note: In materia di sanzioni amministrative, se il fatto riguarda lavoro, previdenza, igiene alimenti o importi > €15.493, l’opposizione va proposta al Tribunale in prima istanza. I termini indicati sono ordinari; possono essere sospesi in caso di istanza di adesione (per i tributi) o altri eventi particolari.

Tabella 2 – Principali violazioni e sanzioni per venditori ambulanti

ViolazioneNorma violataSanzione pecuniariaSanzioni accessorie
Commercio ambulante senza licenza (prima volta)Art.28 c.2 e 4 D.Lgs.114/98 – esercizio non autorizzatoDa €2.582 a €15.493 + confisca merce.Spesso applicato min. €5.164 rid. del 50% se pagato entro termini.Confisca attrezzature e merce (definitiva).In caso di recidiva o gravità, sospensione attività fino 20 gg.
Vendita fuori territorio o posto assegnatoArt.29 c.1 lett.a D.Lgs.114/98 (equiparato a senza licenza)Stessa sanzione di cui sopra (equiparata).Stesse (confisca, possibile sospensione).
Violazione disposizioni comunali (es. vendita oltre orario, in area vietata)Art.29 c.2 D.Lgs.114/98 – violazione limiti esercizioDa €516 a €3.098. Comune di solito fissa importo in ordinanza (spesso min €516).Possibile sospensione fino 20 gg se recidiva grave.
Occupazione abusiva di suolo pubblico (strada)Art.20 Codice Strada (D.Lgs.285/92)Da €168 a €674 circa (aggiornato). Raddoppiabile se Prefetto rigetta ricorso.Rimozione coatta ostacoli; obbligo ripristino area. Daspo urbano (48 ore) se previsto da DL 14/2017 in zone sensibili.
Omessa esposizione prezzi, altre infrazioni minoriD.Lgs.114/98 (artt.14-15) – es: mancato prezzarioDa €516 a €3.098 (come sopra, trattato come art.29 c.2).Nessuna, salvo eventuale sequestro merce se serve a prova.
Mancata emissione scontrino/ricevuta fiscaleArt.6 D.Lgs.471/97 (omessa certificazione corrispettivi)90% dell’IVA evasa per operazione, minimo €500 per ciascuna mancata emissione.Se 4 violazioni in 5 anni: sospensione licenza 3-30 gg (15 gg – 2 mesi se recidiva).
Omessa installazione registratore telematicoArt.11 c.2-quater D.Lgs.471/97 (come modif. dal 2019)Da €1.000 a €4.000.— (sanzione amministrativa pecuniaria).
Mancata notifica sanitaria (vendita alimenti)Art.6 comma 3 D.Lgs.193/2007 (Reg. CE 852/04)Da €1.500 a €9.000 (se omessa registrazione iniziale).Eventuale sospensione attività finché non regolarizza (disposta da ASL); se reiterato, possibile chiusura per ordinanza contingibile.
Violazione requisiti igienici HACCPArt.6 comma 5 D.Lgs.193/2007Da €500 a €3.000 (requisiti generali non rispettati); da €1.000 a €6.000 se mancato piano HACCP.Ingiunzione di adeguamento a tempo; sospensione attività in caso di pericolo grave imminente (es. focolaio tossinfezione) finché non rimediato.
Vendita di merce contraffatta (reato)Art.474 Codice Penale (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi)Reato penale: reclusione fino a 4 anni e multa fino €35.000. Procede il tribunale penale.Sequestro penale e confisca merce contraffatta obbligatoria. Eventuale sospensione licenza se complicità accertata.

Legenda: Le sanzioni pecuniarie riportate sono quelle previste dalla legge al luglio 2025 (soggette a eventuali aggiornamenti ISTAT se disposti per legge). Le sanzioni accessorie si aggiungono a quelle pecuniarie in casi di particolare gravità o recidiva, come indicato.

Ricordiamo che il pagamento entro i termini dell’ordinanza, se previsto espressamente, può comportare la riduzione del 50% dell’importo (in molte leggi speciali è così, es. art.16 L.689/81 e prassi comuni). In tabella abbiamo indicato la sanzione intera ed evidenziato dove si applicano riduzioni standard.

Conclusione

Affrontare un accertamento o una sanzione in qualità di venditore ambulante può sembrare un compito schiacciante, ma l’ordinamento italiano offre strumenti di tutela sia in sede amministrativa che in sede giudiziaria. Il punto di vista del debitore-venditore che abbiamo adottato in questa guida ci ha permesso di esaminare, passo dopo passo, cosa fare in concreto: dall’analisi attenta del verbale o dell’avviso ricevuto, alla predisposizione di memorie difensive efficaci, fino all’eventuale battaglia in tribunale per far valere le proprie ragioni.

Alcuni concetti chiave emersi sono:

  • La tempestività nell’agire: muoversi entro i termini (30 o 60 giorni a seconda dei casi) è fondamentale per non perdere diritti. Un solo giorno di ritardo può precludere la possibilità di ricorso.
  • La forma scritta e la documentazione: ogni eccezione o giustificazione va formulata per iscritto e, se possibile, supportata da prove (ricevute, foto del banco, documenti di spesa, normative). Ciò dà forza alle proprie argomentazioni di fronte all’autorità o al giudice.
  • La proporzionalità e l’umanizzazione: far emergere l’aspetto umano (es. la propria buona fede, lo stato di bisogno, l’impatto che avrebbe la sanzione sulla propria famiglia) può non essere previsto dai codici, ma incide nella discrezionalità con cui un organo può applicare sanzioni al minimo edittale o concedere sospensioni. Mai dimenticare di comunicare la propria situazione a chi deve decidere.
  • L’importanza di regolarizzare e prevenire: se dall’accertamento emergono mancanze (assenza di licenza, mancata notifica sanitaria, ecc.), è saggio provvedere quanto prima a mettersi in regola. Ciò non solo migliora la posizione nel caso specifico (mostrando ravvedimento operoso), ma previene future sanzioni. Il costo di una licenza o di una bilancia a norma è infinitamente minore di quello di continue multe.
  • Il bilanciamento tra accordo e contenzioso: a volte “fare causa” conviene, altre volte è meglio transare. Il venditore ambulante deve, insieme al proprio consulente, valutare i pro e contro di ciascuna opzione, anche tenendo conto dello stress e del tempo che un contenzioso comporta. L’obiettivo non è una vittoria morale, ma la soluzione più conveniente e rapida per poter proseguire il proprio lavoro serenamente.

Ricordiamo che le normative possono cambiare e nuove sentenze possono intervenire a modificare l’interpretazione delle leggi. Mantenerci aggiornati (come abbiamo fatto qui fino a luglio 2025, citando le fonti più autorevoli e recenti) è essenziale. Per esempio, eventuali riforme annunciate (come la disciplina delle concessioni mercatali in discussione nel DDL Concorrenza 2024) potrebbero in futuro incidere sulla posizione degli ambulanti.

In conclusione, il venditore ambulante – pur essendo spesso una figura economicamente debole e in prima linea di fronte ai controlli – ha dalla sua parte un ventaglio di diritti e garanzie che non deve esitare ad esercitare. Difendersi da un avviso di accertamento o da una sanzione non è solo possibile, ma in molti casi porta a risultati concreti: cartelle annullate, multe ridotte, attività salvate. L’importante è non lasciarsi sopraffare dalla paura o dall’incertezza giuridica: rivolgersi a professionisti competenti, seguire guide come questa, usare le opportunità di legge. Il sistema giuridico, per quanto complesso, riconosce che dietro ogni “trasgressore” c’è una persona e spesso un lavoratore che cerca di guadagnarsi da vivere. Fare valere le proprie ragioni significa contribuire ad un equilibrio più giusto tra le esigenze dell’erario/pubblica amministrazione e i diritti degli individui e micro-imprenditori come i venditori ambulanti.

Fonti e riferimenti

  • D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 – Riforma della disciplina del commercio su aree pubbliche. In particolare, art. 28 (obbligo di autorizzazione per il commercio ambulante) e art. 29 (sanzioni per commercio senza autorizzazione: ammenda da €2.582 a €15.493, confisca attrezzature e merce).
  • Codice della Strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) – Art. 20 (Divieto di occupazione della sede stradale senza autorizzazione, sanzione amministrativa €168-€674). Art. 7 (Misure su aree urbane, es. c.15-bis per parcheggiatori abusivi richiamato in DL 14/2017).
  • Legge 24 novembre 1981, n. 689 – Modifiche al sistema penale (disciplina generale delle sanzioni amministrative). Artt. 18 (scritti difensivi e audizione personale in procedimento sanzionatorio); art. 22 (opposizione a ordinanza-ingiunzione entro 30 gg); art. 26 (notifica atti); art. 27 (soprattassa per ritardato pagamento); art. 28 (esecuzione forzata); art. 30 (prescrizione 5 anni sanzioni).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 – Sanzioni in materia tributaria. Art. 6 (Violazioni in materia di ricevute e scontrini fiscali: mancata emissione – sanzione 90% imposta con minimo €500; reiterazione – sospensione licenza).
  • D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193 – Disciplina sanzionatoria per violazioni dei regolamenti CE 852/2004 e 853/2004 (igiene alimenti). Art. 6 comma 3 (omessa registrazione/notifica sanitaria – sanzione €1.500-€9.000); comma 5 (carenze igiene generali – €500-€3.000); comma 6 (mancato piano HACCP – €1.000-€6.000).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – Contenzioso tributario. Art. 21 (60 gg per ricorso avverso atti impugnabili); Art. 17-bis (reclamo-mediazione liti minori, come modif. da DL 130/2022); Art. 15 (spese di giudizio); Art. 52 (assistenza tecnica obbligatoria oltre €3.000).
  • D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 – Riduzione dei riti civili, Art. 6 (rito delle opposizioni a sanzioni amm.ve). Conferma opposizione 30 gg; GdP competente salvo materie speciali (lavoro, previdenza, ambiente, alimenti, >€15.493 – Tribunale); ricorso sospende esecutività provvedimento; giudice può accogliere e annullare/modificare sanzione (ma non sotto minimo edittale).
  • Cassazione Civile, Sez. Trib., ord. n. 9576 del 22/04/2010 – Obbligo di misuratore fiscale per venditori ambulanti. La Corte ha chiarito che l’esonero dall’emissione di scontrino previsto per ambulanti “non muniti di attrezzature motorizzate” va interpretato restringendolo ai soli casi senza l’ausilio di mezzi a motore: l’uso di un qualsiasi veicolo motorizzato per spostare il banco esclude l’esonero, rendendo dovuta la certificazione dei corrispettivi. Ricorso dell’Agenzia accolto e sanzione per omesso scontrino confermata.
  • Cassazione Civile, Sez. V, sent. n. 33578 del 28/12/2018 – Accertamento induttivo e studi di settore: la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia confermando l’annullamento di un avviso di accertamento verso un commerciante (analogo a un ambulante nel caso di specie) poiché “applicando la metodologia degli studi di settore, i ricavi dichiarati risultavano congrui” e i criteri adottati dall’ufficio (calcolo percentuale di ricarico su campione limitato) erano metodologicamente errati. Principio: le presunzioni da studi di settore vanno supportate da contraddittorio e da campioni rappresentativi; in mancanza, se il contribuente dimostra coerenza dei suoi ricavi col settore, l’accertamento è illegittimo.

Avviso di Accertamento a Venditore Ambulante: Come Difendersi Con Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate in quanto venditore ambulante? Ti contestano ricavi non dichiarati, omessi versamenti IVA o incongruenze tra acquisti e vendite?

Negli ultimi anni, i controlli fiscali su mercati, fiere e attività ambulanti si sono intensificati. Il Fisco utilizza metodi induttivi o presuntivi, spesso senza tenere conto delle reali condizioni lavorative. Ma puoi difenderti e tutelare la tua attività.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’avviso di accertamento e i dati contestati (ricavi, costi, IVA, contributi)
  • 📌 Verifica la correttezza del metodo usato per la ricostruzione del reddito (induttivo, analitico-induttivo, ecc.)
  • ✍️ Redige memorie difensive o istanze di autotutela per annullare o ridurre l’atto
  • ⚖️ Ti rappresenta nel ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
  • 🔁 Ti assiste anche nella rateizzazione, definizione agevolata o chiusura del contenzioso

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e accertamenti fiscali nel commercio al dettaglio
  • ✔️ Specializzato nella difesa di venditori ambulanti e piccole attività soggette a ricostruzioni presuntive
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Un accertamento fiscale può mettere in crisi la tua attività ambulante, ma non tutto è perduto. Con una difesa competente puoi contestare le irregolarità, far valere la tua posizione e limitare i danni.

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