Ex Titolare Di Agriturismo Con Debiti: Come Difendersi

Hai gestito un agriturismo e ora ti ritrovi con debiti fiscali, previdenziali o bancari?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, avvisi di accertamento o richieste di pagamento anche dopo aver cessato l’attività? In questi casi è fondamentale capire se sei ancora responsabile, quali strumenti puoi utilizzare per difenderti e come tutelare il tuo patrimonio personale.

Quando un ex titolare di agriturismo può essere chiamato a rispondere dei debiti?
– Quando l’agriturismo era intestato a una ditta individuale e i debiti sono rimasti insoluti
– Quando eri amministratore o socio di società agricole (es. società semplici, snc, sas) con pendenze fiscali o previdenziali
– Quando hai interrotto l’attività senza chiudere formalmente la posizione fiscale o previdenziale
– Quando hai firmato come coobbligato, fideiussore o garante per finanziamenti, leasing o mutui aziendali
– Quando hai ceduto l’attività, ma senza liberarti dalle responsabilità pregresse o senza opportuna documentazione

Cosa può arrivarti anche dopo la chiusura dell’agriturismo?
– Cartelle esattoriali per IVA, IRPEF, IMU, contributi INPS o INAIL non versati
– Avvisi di accertamento per ricavi non dichiarati o indebite detrazioni
– Atti di recupero per aiuti agricoli o fondi pubblici percepiti senza i requisiti
– Pignoramenti, iscrizioni ipotecarie, fermi su mezzi agricoli o notifiche di iscrizione a ruolo
– Richieste da parte di banche o fornitori per debiti rimasti in sospeso

Come puoi difenderti se sei ex titolare di un agriturismo con debiti?
– Verifica se sei ancora legittimamente obbligato al pagamento o se l’attività è stata chiusa correttamente
– Controlla se i debiti sono prescritti o notificati in modo irregolare
– Se eri socio, verifica se i debiti sono successivi alla tua uscita dalla società o se hai già versato quanto dovuto
– Se ci sono errori, impugna gli atti con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
– Se i debiti sono certi ma non pagabili, valuta l’accesso a rateizzazioni, saldo e stralcio, rottamazione o sovraindebitamento
– Se sei in una situazione economica fragile, puoi chiedere la sospensione degli atti esecutivi e l’esdebitazione, anche come ex imprenditore agricolo

Cosa puoi ottenere con la giusta difesa?
– L’annullamento dell’atto se non sei più responsabile o ci sono vizi di forma
– La riduzione del carico fiscale, se accedi a strumenti agevolativi o se dimostri parziali responsabilità
– La tutela dei tuoi beni personali, evitando pignoramenti o iscrizioni ipotecarie
– La possibilità di rateizzare il debito, rendendolo sostenibile
– La chiusura definitiva della tua esposizione debitoria e il recupero della tua serenità

Attenzione: molti ex titolari di agriturismi ricevono richieste di pagamento anche anni dopo la chiusura dell’attività. Ma non tutte le pretese sono legittime: con l’assistenza giusta puoi difenderti, ridurre o eliminare il debito e proteggere il tuo patrimonio.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa del contribuente, contenzioso tributario e responsabilità d’impresa agricola ti spiega come affrontare i debiti legati a un agriturismo cessato, quando puoi opporti e come costruire una strategia legale efficace.

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Introduzione

Essere ex titolare di un agriturismo con debiti significa trovarsi ad affrontare obbligazioni finanziarie (verso banche, fornitori, Fisco, ecc.) senza più l’attività operativa in grado di generare reddito sufficiente. Questa guida offre un quadro completo e aggiornato al luglio 2025 delle strategie di difesa a disposizione del debitore in Italia, con un taglio tecnico-legale ma accessibile. Illustriamo le normative vigenti, incluse le ultime riforme e sentenze di Cassazione, per aiutare imprenditori agricoli, avvocati e consulenti a capire come gestire i debiti di un agriturismo cessato. Troverete: un’analisi normativa aggiornata (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza 2022-2025), commenti a sentenze recenti, tabelle comparative dei vari strumenti (requisiti, effetti, durata, competenza), una sezione FAQ con domande e risposte pratiche, oltre a simulazioni di casi reali per illustrare concretamente l’applicazione degli strumenti. Il tutto dal punto di vista del debitore (ex imprenditore agrituristico), per capire come difendersi dai creditori, evitare l’aggravarsi della situazione e avviarsi verso il risanamento o l’esdebitazione finale.

Quadro Normativo Aggiornato al 2025

Per contestualizzare le soluzioni, è importante capire il quadro giuridico attuale. Tradizionalmente, gli imprenditori agricoli (compresi i gestori di agriturismo) hanno goduto di una “esenzione” dalle procedure fallimentari: per decenni l’imprenditore agricolo non era soggetto né a fallimento né a concordato preventivo ordinario. Ciò derivava dalla volontà del legislatore di tenere conto delle specificità del settore primario (rischio di calamità naturali, stagionalità dei raccolti, ecc.), ma di fatto lasciava l’agricoltore in crisi senza strumenti giuridici efficaci per risolvere i debiti. Fino al 2022, dunque, un agriturismo insolvente non poteva essere dichiarato fallito ma neppure accedere a procedure concorsuali ordinarie, restando in una sorta di “terra di nessuno” normativa.

La svolta è arrivata col nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), entrato in vigore il 15 luglio 2022 (D.lgs. 14/2019). Il CCII ha abrogato la vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942) e la Legge 3/2012 sul sovraindebitamento, integrando tutte le procedure in un testo unico. Importante: il CCII ha incluso espressamente l’imprenditore agricolo tra i soggetti destinatari delle nuove procedure concorsuali. In altre parole, oggi anche le imprese agricole e gli agriturismi rientrano nell’ambito delle procedure di composizione della crisi previste dal Codice (pur restando escluse dalle sole procedure “maggiori” riservate ai grandi debitori, come la liquidazione giudiziale ex fallimento e il concordato preventivo ordinario). Contestualmente, la vecchia “Legge 3/2012” – detta anche legge “salva suicidi”, che dal 2012 consentiva a consumatori e piccoli imprenditori di accedere a procedure di sovraindebitamento – è stata abrogata e sostituita dal CCII. Gli strumenti della L.3/2012 (piano del consumatore, accordo di composizione, liquidazione del patrimonio, ecc.) sono stati riadattati e rinominati nel CCII, come vedremo a breve.

Il legislatore, già con il D.L. 118/2021 (Decreto “Liquidità” conv. L. 147/2021), aveva anticipato alcune novità della riforma, equiparando l’imprenditore agricolo a quello commerciale per l’accesso agli strumenti di allerta e composizione stragiudiziale. Dal 2021 anche le imprese agricole possono infatti accedere alla nuova Composizione Negoziata della Crisi, prima loro preclusa. Inoltre, è stato chiarito che un’azienda agricola di grandi dimensioni (pur non fallibile) può utilizzare le procedure di sovraindebitamento senza limiti di grandezza: un agriturismo molto grande per fatturato o debiti non è più “abbandonato a sé stesso”, ma può proporre un concordato minore o altra procedura minore anche se supera le soglie dimensionali che avrebbero imposto il concordato preventivo (da cui però, essendo agricolo, resta escluso). In sintesi, anche l’agriturismo di qualunque dimensione oggi può accedere alle procedure concorsuali minori riservate ai debitori “non fallibili”.

La riforma italiana ha recepito i principi della Direttiva UE 2019/1023 in tema di ristrutturazioni e seconda opportunità, introducendo un favor verso il “fresh start” del debitore onesto ma sfortunato. Si sono quindi attenuati alcuni requisiti di meritevolezza in ingresso e eliminati ostacoli all’esdebitazione (ad esempio, nel nuovo sistema non è più richiesto che i creditori vengano soddisfatti almeno in parte per poter accedere al beneficio di liberazione dai debiti). La Cassazione, con sentenza n. 27562/2024, ha confermato infatti che ai fini dell’esdebitazione “non è richiesta una soglia minima di soddisfacimento dei creditori”, spostando l’attenzione dal dato quantitativo alla condotta del debitore e ai principi di favore verso il debitore meritevole sanciti dal CCII e dal diritto UE. Si tratta di un cambio di filosofia importante: il sistema attuale privilegia la seconda chance per chi agisce in buona fede, anche a costo di lasciare i creditori parzialmente insoddisfatti.

Ulteriori ritocchi normativi sono stati apportati con i decreti correttivi del CCII. In particolare il D.lgs. 83/2022 (in vigore dal luglio 2022) e il D.lgs. 136/2024 (cosiddetto “correttivo ter”, in vigore da fine 2024) hanno introdotto modifiche puntuali. Tra le novità rilevanti per gli agriturismi indebitati segnaliamo: (a) una definizione più restrittiva di “consumatore” – oggi l’art. 2 co.1 lett. e) CCII esclude che un ex imprenditore con debiti d’impresa possa qualificarsi come consumatore; (b) l’obbligo di presentare l’istanza di liquidazione controllata entro 1 anno dalla cessazione dell’attività – regola estesa anche al concordato minore dopo il 2024; (c) la conferma che anche le start-up innovative (pur società di capitali) possono accedere su base volontaria alle procedure da sovraindebitamento; (d) un potenziamento degli OCC (Organismi di Composizione della Crisi) con maggiori accessi alle banche dati, per supportare meglio i debitori.

Imprenditore agricolo = debitore “non fallibile”

Ricordiamo dunque che l’imprenditore agricolo – figura giuridica entro cui rientra il titolare di agriturismo, che per legge deve essere anche imprenditore agricolo – è considerato dal CCII un “debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale”. L’art. 2 co.1 lett. c) CCII definisce il sovraindebitamento come lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo o di altri debitori non fallibili. Dunque, anche l’ex titolare di agriturismo rientra a pieno titolo tra i soggetti sovraindebitati che possono accedere alle procedure dedicate. In sostanza, un agriturismo insolvente oggi non può essere portato in fallimento (liquidazione giudiziale), ma può e deve affrontare la crisi attraverso le procedure di sovraindebitamento previste dal CCII. La Cassazione ha ribadito che la protezione dall’istanza di fallimento vale solo per chi esercita realmente attività agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c.; se sotto la veste di azienda agricola si svolge invece attività commerciale prevalente, l’esenzione non opera. Ad esempio, Cass. civ. sez. I n.32977/2023 ha confermato che una società formalmente “agricola” ma dedita in prevalenza alla trasformazione/vendita commerciale non gode dell’esenzione e può essere dichiarata fallibile. Per gli agriturismi genuini (legati alla coltivazione e ospitalità connessa), resta invece la non fallibilità, con obbligo di passare dalle procedure minori.

Soggetti ammessi e requisiti di accesso

Possono accedere alle procedure di sovraindebitamento tutti i debitori “non fallibili”: consumatori, professionisti, imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up innovative, enti non commerciali, ecc.. Nel nostro caso, l’ex titolare di agriturismo rientra come imprenditore agricolo (persona fisica o società agricola). Non rileva la forma giuridica: può essere un coltivatore diretto individuale, una società semplice o SRL agricola, purché svolga attività agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c.. Questi soggetti devono trovarsi in uno stato di crisi o insolvenza, ossia nell’impossibilità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni finanziarie. È richiesta in sostanza una situazione di sovraindebitamento conclamato o rischio di insolvenza.

Oltre al presupposto oggettivo (crisi/insolvenza), il CCII prevede alcuni requisiti soggettivi di accesso e cause di esclusione, volti ad evitare abusi:

  • Meritevolezza – Il debitore non deve aver causato il proprio sovraindebitamento con dolo o colpa grave, né aver commesso atti in frode ai creditori nei 5 anni precedenti. Comportamenti gravemente scorretti (es. dissipazione intenzionale del patrimonio, frodi ai danni dei creditori) possono precludere l’accesso o portare al diniego dell’esdebitazione. In particolare, chi ha tenuto comportamenti fraudolenti (es. distrazione di beni, documenti falsi, ecc.) o violato gravemente i doveri di correttezza potrebbe vedersi rigettare l’istanza. Viceversa, errori gestionali anche gravi non precludono l’accesso in sé – nel concordato minore ad esempio non è richiesto un giudizio stringente di meritevolezza ex ante – ma potranno influire sulla fiducia dei creditori (che potrebbero votare contro il piano se ritengono l’ex imprenditore inaffidabile). Il requisito di meritevolezza diventa invece cruciale quando si chiede l’esdebitazione “gratuita” da incapiente: in quel caso il giudice valuta attentamente onestà e trasparenza del debitore prima di concedere il beneficio.
  • Assenza di condanne rilevanti – Il debitore non deve aver riportato condanne penali per reati gravi di natura economica o finanziaria (es. bancarotta fraudolenta, riciclaggio, usura, reati fiscali fraudolenti). Tali condanne spesso implicano anche comportamenti dolosi verso i creditori, e costituiscono cause ostative (soprattutto all’esdebitazione finale).
  • No procedure recenti o abusi – Non deve aver già beneficiato di un’esdebitazione negli ultimi 5 anni, né aver presentato una domanda di sovraindebitamento poi rigettata per propria colpa. L’ordinamento impedisce “sovraindebitamenti seriali” a breve distanza: se ad esempio l’ex titolare di agriturismo ha già ottenuto una cancellazione dei debiti qualche anno prima, non potrà ri-accedere subito a una nuova procedura. Inoltre, se in passato una sua richiesta è stata dichiarata inammissibile per frode o malafede, ciò potrebbe precludere ulteriori tentativi.
  • Tempestività rispetto alla cessazione dell’attività – Questo punto è fondamentale per un ex imprenditore: se l’attività è cessata da oltre 12 mesi, l’accesso alle procedure concorsuali minori è precluso. L’art. 33 CCII (come modificato dal correttivo 2024) stabilisce che l’imprenditore cancellato dal Registro Imprese da più di un anno non può essere ammesso al concordato minore né alla liquidazione controllata. Il principio, mutuato dal vecchio art. 10 legge fall., è stato confermato da Cass. civ. n.22699/2023. Ciò significa che un ex titolare di agriturismo deve attivarsi entro un anno dalla chiusura dell’azienda per utilizzare strumenti concorsuali di regolazione del debito. Scaduto l’anno, rimarranno pochissime opzioni (come vedremo, essenzialmente la sola esdebitazione “a zero”). Nota bene: questa regola sprona il debitore a non attendere troppo: se hai cessato l’agriturismo perché andava male, non aspettare oltre 12 mesi per cercare soluzioni legali, altrimenti potresti perdere l’ombrello concorsuale e restare esposto alle azioni esecutive individuali dei creditori.

In sintesi, oggi l’ex imprenditore agrituristico insolvente è un debitore non fallibile che può accedere alle procedure da sovraindebitamento, a condizione di essere onesto e di muoversi con tempismo. Chi sono i protagonisti che intervengono in queste procedure? Oltre al debitore stesso, vi è di norma un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) con un gestore nominato che assiste nella redazione del piano e certifica i dati, e il Tribunale competente che apre la procedura e la sovraintende (nominando se del caso un commissario o liquidatore). I creditori vengono coinvolti a seconda della procedura (voto nei concordati, insinuazione nel passivo in liquidazione, ecc.), ma – come vedremo – nelle soluzioni minori il loro potere è limitato o guidato dal giudice, soprattutto se il debitore è meritevole. Infine, precisiamo che è possibile anche presentare procedure familiari congiunte: il CCII consente, ad esempio, a membri della stessa famiglia indebitati per le medesime cause di proporre un piano unitario (utile se, poniamo, l’agriturismo era gestito dal marito e i debiti fiscali sono anche a nome della moglie garante). Questo consente di coordinare meglio la soluzione se ci sono più coobbligati nel nucleo familiare.

Tipologie di Debito e Strategie di Gestione

Un ex titolare di agriturismo può trovarsi con diversi tipi di debiti: mutui bancari, fornitori non pagati, cartelle fiscali, contributi arretrati, ecc. Analizzare la natura di ogni debito è importante, perché alcune soluzioni si adattano meglio a certi debiti. Ad esempio, i debiti fiscali possono beneficiare di definizioni agevolate (rottamazioni), i debiti bancari di moratorie o piani di rientro, i debiti chirografari (fornitori) di falcidie concordatarie, e così via. Vediamo le principali categorie di debito e come possono essere trattate (in via di fatto o di diritto):

  • Debiti bancari e finanziari – Tipicamente mutui agrari, finanziamenti per ristrutturare il casale, leasing di macchinari agricoli, scoperti di conto, ecc. Spesso assistiti da garanzie reali (ipoteca su terreni, pegno su attrezzature o prodotti agricoli) o da privilegi speciali (es. privilegio agrario su bestiame e raccolti). In caso di insolvenza, la banca ha diritto di escutere la garanzia: ad esempio può pignorare e far vendere all’asta il terreno ipotecato per soddisfarsi. Strategie: Stragiudizialmente, si può tentare una rinegoziazione del mutuo (allungare il piano di ammortamento, ridurre temporaneamente il tasso, ottenere qualche mese di moratoria) oppure un accordo di moratoria generale se esistono protocolli (ad es. l’Accordo ABI per il Credito che consente alle PMI, agriturismi inclusi, di sospendere le rate in certi casi). Se la situazione è grave, la banca potrebbe accettare un saldo e stralcio: il debitore paga subito una parte (p.es. il 50%) e la banca rinuncia al resto, preferendo incassare qualcosa immediatamente piuttosto che rischiare di recuperare meno dopo lunga esecuzione. Nei piani concorsuali, i crediti bancari garantiti da ipoteca o pegno vanno soddisfatti almeno per il valore della garanzia (la parte eccedente diventa chirografaria): ad es., se resta un mutuo da €200.000 ma l’immobile ipotecato vale €150.000, nei piani questa differenza di €50.000 può essere trattata come debito chirografario e quindi falcidiata (ridotta) come gli altri debiti non garantiti. Il debitore può scegliere se liquidare il bene ipotecato (vendendolo e pagando integralmente la banca col ricavato) oppure, se vuole tenere il bene, continuare a pagare regolarmente le rate del mutuo nel piano di ristrutturazione (ciò di solito rende la banca neutrale o favorevole, perché non perde nulla). In liquidazione controllata, invece, il bene verrà venduto dal liquidatore e la banca prenderà il ricavato fino a concorrenza del credito; l’eventuale parte di credito non coperta diverrà chirografaria e potrà essere esdebitata (cancellata) a fine procedura.
  • Debiti verso fornitori e altri chirografari – Si tratta di debiti commerciali: fatture di fornitori (mangimi, sementi, forniture alimentari per l’agriturismo), bollette utenze, affitti di terreni, consulenze, ecc. Questi crediti non hanno garanzie speciali, quindi sono chirografari (ordinari) e in caso di insolvenza vengono soddisfatti per ultimi, spesso solo in minima percentuale. Strategie: Stragiudizialmente, è possibile negoziare con i singoli fornitori un piano di rientro rateale (ad esempio, pagare il dovuto a rate mensili, magari offrendo in garanzia una cambiale o fideiussione) oppure un saldo e stralcio (il fornitore accetta il pagamento immediato di una parte, p.es. 30-50%, e rinuncia al resto). I fornitori spesso sono disponibili a trattare se vogliono mantenere rapporti commerciali futuri. Tuttavia, se i fornitori sono numerosi, ottenere l’accordo di tutti è difficile; in tal caso diventano utili le soluzioni concorsuali: nel concordato minore, si può proporre ai fornitori chirografari di accettare una percentuale ridotta (es. “vi pagherò il 30% del credito in 4 anni”). Se la maggioranza accetta (60% dei crediti votanti), la proposta diventa vincolante anche per gli eventuali dissenzienti – i creditori chirografari che non votano o votano contro saranno comunque obbligati ad accontentarsi di quella percentuale, e il resto del loro credito sarà cancellato con l’esdebitazione finale. In liquidazione controllata, i fornitori chirografari normalmente incassano solo una piccola quota proporzionale sul ricavato dei beni venduti e poi il debitore persona fisica viene esdebitato del restante insoluto.
  • Debiti tributari verso l’Erario – Comprendono imposte non pagate (IVA, imposte sui redditi IRPEF/IRES, IRAP) e le relative cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia). Una parte di questi debiti gode di privilegi: ad esempio l’IVA e le ritenute non versate hanno privilegio speciale sui beni del debitore, altre imposte privilegio generale; al contrario sanzioni e interessi sono debiti chirografari (ordinari). Un agriturismo può accumulare debiti fiscali rilevanti, ad es. IVA non versata sulle attività agrituristiche, IRPEF su redditi agrari non pagati, IMU su terreni, contributi previdenziali assimilati a tributi, ecc.. Strategie: Amministrative, esistono misure come la rateizzazione ordinaria delle cartelle (fino a 72 rate mensili automatiche per importi sotto soglia, o fino a 120 rate in casi di comprovata difficoltà). Negli ultimi anni il legislatore ha varato varie “rottamazioni” delle cartelle (definizioni agevolate): ad esempio la rottamazione-quater 2023 ha permesso di pagare i ruoli affidati dal 2000-2017 senza sanzioni né interessi di mora, dilazionando in 18 rate fino al 2027. Chi ha aderito deve rispettare il piano di pagamenti (al 31 maggio 2025 scadeva una rata importante); sono state introdotte proroghe (es. dal decreto Milleproroghe 2024) segno dell’attenzione del legislatore nel dare respiro fiscale alle imprese in crisi. Un ex titolare di agriturismo sovraindebitato dovrebbe verificare se può accedere a queste sanatorie fiscali per ridurre il carico (verificando sul sito Agenzia Entrate Riscossione le campagne di definizione agevolata vigenti). In ambito concorsuale, il CCII consente una transazione fiscale all’interno di concordati o accordi: in pratica si può proporre al Fisco di accettare un pagamento parziale delle imposte dovute. In passato la legge vietava di falcidiare IVA e ritenute (dovevano essere pagate integralmente), ma una sentenza della Corte Costituzionale n.245/2019 ha aperto alla possibilità di stralciare anche l’IVA nelle procedure di sovraindebitamento. Oggi, dunque, un tribunale può omologare un concordato minore che preveda il pagamento parziale dell’IVA, a condizione che il piano offra all’Erario almeno quanto otterrebbe in una liquidazione forzata. Attenzione: restano comunque non esdebitabili (cioè non cancellabili nemmeno dopo la procedura) le sanzioni amministrative/penali e i debiti fiscali derivanti da violazioni fraudolente (es. imposte evase con frode). In liquidazione controllata, i crediti tributari privilegiati partecipano al riparto come tali; se a fine procedura resta impagata una parte (specie sanzioni), il debitore persona fisica può ottenerne l’esdebitazione finale, salvo appunto i casi esclusi per legge.
  • Debiti contributivi previdenziali – Riguardano i contributi obbligatori non versati all’INPS o altri enti: ad es. contributi per lavoratori agricoli dipendenti, contributi IVS del coltivatore diretto, premi assicurativi INAIL, ecc.. Questi debiti sono assimilabili ai tributari: godono di privilegio generale sui beni del debitore (parigrado con le imposte). Inoltre, il mancato versamento di contributi può integrare reato (es. omesso versamento di ritenute previdenziali sopra una certa soglia) – ulteriore motivo per affrontarli in una soluzione globale onde evitare strascichi penali. Strategie: anche l’INPS offre dilazioni amministrative (in genere piani fino a 24 mesi ex art. 2, co.11, D.L. 338/1989, prorogabili in casi eccezionali). Alcune pace fiscali includono i contributi (ad es. le rottamazioni cartelle riguardano anche contributi affidati all’Agente della Riscossione). In sede concorsuale, i crediti contributivi possono rientrare nella transazione fiscale/contributiva insieme alle imposte: si può proporre di pagare solo una parte dei contributi dovuti, subordinando l’efficacia all’accettazione da parte degli enti previdenziali (che voteranno nel concordato per la quota di loro competenza). Occorre notare che, a tutela dei lavoratori, i debiti per contributi trattenuti in busta ai dipendenti ma non versati sono considerati al pari di quelli tributari per ritenute: vanno trattati con massima attenzione. In liquidazione, i contributi privilegiati verranno pagati in prededuzione come le imposte; se rimangono scoperti, il debitore persona fisica può cercare l’esdebitazione finale (salvo sanzioni penali in caso di reato, che ovviamente restano personali).
  • Debiti verso i dipendenti – Se l’agriturismo aveva dipendenti o collaboratori, potrebbe aver contratto debiti per retribuzioni non pagate, TFR, ferie maturate, indennità varie. I lavoratori subordinati sono creditori privilegiati di grado elevatissimo: i salari degli ultimi 3 mesi e il TFR godono di super-privilegio ex art. 2751-bis c.c., prevalente su quasi tutti gli altri crediti (vengono subito dopo le spese di procedura). Inoltre, esiste il Fondo di Garanzia INPS che – in caso di insolvenza del datore – interviene a pagare TFR e ultime mensilità dovute ai dipendenti. Strategie: in un concordato minore o accordo, di norma i debiti verso dipendenti vanno previsti in pagamento integrale (100%) e preferibilmente in tempi brevi dopo l’omologazione. Ciò sia per obbligo di legge (i lavoratori sono protetti) sia perché un piano che falcidi stipendi o TFR difficilmente verrebbe omologato: i tribunali richiedono di regola la soddisfazione integrale o quantomeno molto alta (es. ≥80%) dei dipendenti, e subito. In liquidazione controllata, il liquidatore distribuirà innanzitutto le somme ai dipendenti privilegiati. Se l’attivo non basta, i lavoratori potranno attivare il Fondo di Garanzia INPS per ottenere TFR e ultime tre mensilità. Qui però emerge un problema: la normativa INPS attuale non include espressamente il concordato minore o la liquidazione controllata tra le procedure concorsuali che attivano automaticamente il Fondo (menziona fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo ordinario e concordato “semplificato”). Quindi, se un agriturismo è in liquidazione controllata, formalmente i dipendenti non avrebbero accesso automatico al Fondo. In pratica però, essendo il datore “non fallibile”, i lavoratori possono dimostrare l’insolvenza e la infruttuosa escussione (come da art. 2 L.297/1982) per ottenere lo stesso l’intervento del Fondo. Molti tribunali, inoltre, pretendono nei concordati minori che i dipendenti vengano comunque soddisfatti integralmente, proprio per evitare questo limbo. In sintesi, gli stipendi e il TFR vanno tutelati prioritariamente: o li paga l’azienda nel piano, oppure interviene il Fondo (previa procedura idonea), ma non possono essere ignorati. (Nota: una Circolare INPS del 26/07/2023 n.70 ha elencato le procedure concorsuali che attivano il Fondo, escludendo concordato minore e liquidazione controllata; tuttavia prevede l’intervento per datori “non assoggettabili” su presentazione di decreto tribunale che attesta lo stato di insolvenza, a conferma che una soluzione per i dipendenti esiste comunque).
  • Debiti per sanzioni, multe e illeciti – Sono debiti derivanti da sanzioni amministrative (es. multe stradali, sanzioni per violazioni ambientali o igienico-sanitarie in azienda), ammende penali, oppure obblighi risarcitori per fatti illeciti (ad es. danni ambientali o infortuni sul lavoro causati dall’azienda per colpa grave/dolo). Questi crediti in genere sono chirografari (lo Stato per le multe non ha garanzie speciali, il privato danneggiato ha solo un credito risarcitorio). Il trattamento è peculiare: per espresso dettato normativo, le sanzioni amministrative e penali non sono mai esdebitabili – restano dunque dovute anche dopo la chiusura della procedura concorsuale, salvo eventuali condoni legislativi. Nei piani, tuttavia, spesso si prevede di pagarle almeno in parte, per convincere l’ente creditore a non opporsi (anche se formalmente il residuo non verrà cancellato). Similmente, i debiti da risarcimento di danni causati con dolo o colpa grave non vengono cancellati dall’esdebitazione (sono esclusi ex art. 282 CCII). Ad esempio, se l’agriturismo deve un risarcimento per un incendio doloso che ha provocato danni ambientali, quel debito sopravviverà comunque. Strategie: questi creditori particolari vanno trattati con cura, magari con transazioni extra-procedurali parallele. Ad esempio, si potrà concordare con il Comune una rateazione di una multa urbanistica, oppure con il privato danneggiato un accordo di risarcimento parziale, in modo da chiudere la questione fuori dalla procedura (perché dentro, anche se vengono inseriti, il loro credito residuo non si estingue). Nel concordato, si dovrebbe prevedere il loro trattamento separatamente, senza falcidie arbitrarie se la legge lo vieta. In liquidazione, il liquidatore li ammetterà al passivo; se rimangono insoddisfatti, non verranno cancellati per il debitore persona fisica, il quale dopo l’esdebitazione rimarrà ancora obbligato verso di essi. In pratica, per questi debiti “indelebili” la strategia del debitore è cercare di eliminarli pagandoli almeno in parte, perché altrimenti, finita la procedura, potranno tornare a perseguitarlo (pur tenendo conto che se il debitore è nullatenente, di fatto l’ente creditore potrebbe non attivarsi più, ma formalmente il debito rimane).

Tabella riepilogativa – Trattamento dei diversi debiti e possibili soluzioni:

Tipo di debitoCaratteristicheSoluzioni possibili (sintesi)
Bancari/Finanziari(mutui, prestiti)Garantiti da ipoteche su immobili o da privilegi agrari su beni (colture, bestiame). In insolvenza, rischio immediato di esecuzione sui beni ipotecati o pignoramento dei conti.Moratoria/rinegoziazione del mutuo (accordi ABI, sospensione rate, allungamento durata).– Saldo e stralcio stragiudiziale (pagamento parziale immediato in cambio dell’esdebitazione del residuo).– Concordato: pagare interamente la parte garantita (tramite vendita bene o mantenimento ipoteca) e falcidiare la parte chirografaria eccedente. In continuità, possibile continuare a servire regolarmente il debito (per non liquidare i beni).– Liquidazione: bene ipotecato venduto dal liquidatore, banca soddisfatta col ricavato; eventuale residuo chirografario esdebitato a fine procedura.
Fornitori/Chirografari(merci, servizi, utenze)Nessuna garanzia; credito esigibile a breve termine. In insolvenza, recupero solo parziale e tardivo (dopo privilegi).Piani di rientro informali (rate mensili con eventuale garanzia personale).– Transazione saldo e stralcio (sconto sul dovuto in cambio di pagamento immediato).– Concordato: proposta di pagamento parziale (es. 20-40%) in uno/due anni dall’omologazione; vincolante per tutti se approvata a maggioranza.– Liquidazione: incasso pro-quota (spesso modesto) sul ricavato e esdebitazione del residuo insoluto per il debitore.
Fiscali/Tributari(Erario: IVA, imposte, tasse)Imposte non versate (IVA, imposta reddito, IMU, etc.). Hanno privilegio generale (imposte dirette) o speciale (IVA su beni ex art.2752 c.c.). Sanzioni e interessi sono chirografari.Rateazione amministrativa (fino 6-10 anni ex art.19 DPR 602/73) per cartelle esattoriali.– Definizioni agevolate (rottamazioni): pagamento senza sanzioni/interessi se previsto da legge (es. rottamazione-quater 2023).– Transazione fiscale nei piani: proposta di pagamento parziale di imposte, interessi e sanzioni. Possibile falcidiare anche IVA e ritenute se il piano è conveniente per il Fisco (dopo Corte Cost. 245/2019).– Esdebitazione finale: non cancella sanzioni amministrative né debiti fiscali da frodi (questi restano comunque dovuti).
Contributivi/Previdenziali(INPS, casse)Contributi obbligatori non pagati (dipendenti o autonomi). Privilegio generale di pari grado al Fisco. L’omesso versamento oltre soglia può costituire reato.Rateazione INPS (fino 24 mesi, estensibile in casi speciali) per debiti correnti.– Rottamazioni/condoni: se previsti, possono includere contributi affidati ad Agente Riscossione.– Transazione contributiva nei piani: proposta di pagamento parziale dei contributi e sanzioni, soggetta a voto degli enti previdenziali (analoga alla fiscale).– Esdebitazione: come per i tributi, non copre eventuali sanzioni penali per omessi versamenti fraudolenti (che restano personali).
Dipendenti(salari, TFR)Privilegio di massimo grado (art.2751-bis c.c.) su TFR e ultime retribuzioni; Fondo di Garanzia INPS tutela tali crediti se l’azienda è insolvente.Pagamento integrale preferenziale: in concordato si prevede di soddisfare al 100% i dipendenti, preferibilmente subito dopo l’omologazione (spesso il tribunale lo richiede come condizione).– Fondo di Garanzia INPS: interviene per TFR e ultime 3 mensilità in caso di fallimento/concordato preventivo; per concordato minore/liquidazione controllata, occorre attestare l’insolvenza del datore non fallibile (via decreto tribunale) per attivarlo.– Liquidazione: il liquidatore paga prioritariamente i dipendenti con l’attivo disponibile; se non basta, dipendenti attivano il Fondo INPS (con le modalità di legge per datori non fallibili).
Sanzioni e illeciti(multe, ammende, risarcimenti)Multe stradali, sanzioni amministrative (es. ambientali), ammende penali; debiti risarcitori per danni da reati o illeciti gravi/dolosi. In genere crediti chirografari.Sanzioni amm.ve: non cancellabili dall’esdebitazione ex art. 282 CCII. Nel piano si può proporre di pagarne una parte, ma il residuo resterà dovuto. Spesso l’ente pubblico accetta un parziale recupero e non vota contro.– Danni da reato doloso/colpa grave: non esdebitabili. Occorre trattare fuori procedura col danneggiato (accordo transattivo) oppure sapere che, finita la procedura, quel credito resterà interamente esigibile.– Concordato: prevedere trattamento separato di questi crediti, senza falcidia se la legge la vieta (es. non dare per scontato di annullare una multa).– Liquidazione: i creditori per sanzioni o risarcimenti vengono ammessi al passivo; se non ricevono nulla o poco, il debitore persona fisica ne risponderà ancora dopo la procedura (nessuna liberazione per questi).

Legenda: falcidia = pagamento parziale di un credito privilegiato, degradando la parte restante a chirografaria; prededuzione = spese e compensi della procedura pagati prima dei creditori; continuità = prosecuzione dell’attività durante la procedura; OCC = Organismo di Composizione della Crisi.

Come si vede, ogni tipologia di debito ha peculiarità nel modo in cui può essere trattata. Una buona strategia di risanamento combina più strumenti: ad esempio, negoziare miratamente con banche e fornitori, aderire a sanatorie fiscali se disponibili, e se necessario utilizzare un “ombrello” concorsuale (come il concordato minore) per imporre un accordo ai creditori dissenzienti e ottenere l’esdebitazione finale. Nel prossimo capitolo esploriamo in dettaglio le soluzioni stragiudiziali (accordi senza tribunale) e poi le procedure giudiziali disponibili, evidenziandone il funzionamento, i vantaggi e i limiti per un ex titolare di agriturismo indebitato.

Soluzioni Stragiudiziali (accordi senza tribunale)

Prima di ricorrere a procedure giudiziarie, un imprenditore agrituristico indebitato dovrebbe valutare le possibili soluzioni stragiudiziali, cioè accordi e strumenti attuabili fuori da un procedimento concorsuale formale. Queste soluzioni presentano il vantaggio di essere più rapide, riservate e flessibili, evitando il “marchio” di una procedura concorsuale e i relativi costi. Tuttavia richiedono, di norma, la collaborazione (o almeno il consenso della maggior parte) dei creditori, poiché non possono imporre coattivamente un sacrificio a un creditore dissenziente. Se c’è un solo grande creditore (es. la banca) o pochi creditori principali ragionevoli, le strade stragiudiziali possono risolvere la crisi. Se invece i creditori sono molti e non coordinati, potrebbe essere necessario il passaggio dal tribunale.

Di seguito analizziamo le principali opzioni stragiudiziali:

1. Negoziazione diretta con i creditori

La via più immediata consiste nel trattare individualmente con ciascun creditore per ristrutturare il debito. Il debitore, magari assistito dal proprio legale o consulente, espone la situazione di difficoltà al creditore e cerca un accordo bonario: ad esempio un piano di rientro rateale, una riduzione dell’importo o una moratoria. Questa strategia è indicata quando i creditori sono pochi e la crisi è temporanea o comunque superabile con un po’ di respiro finanziario. Esempi:

  • Con la banca: chiedere la sospensione delle rate per 6-12 mesi (se non già prevista da moratorie di sistema), o l’allungamento del mutuo per abbassare l’importo mensile, magari approfittando di accordi-quadro ABI per le PMI agricole. In alcuni casi, se l’agriturismo ha prospettive di ripresa limitate, si può proporre saldo e stralcio: ad es. offrire una somma immediata (raccolta magari vendendo un macchinario non essenziale o con l’aiuto di parenti) pari al, poniamo, 30% del debito residuo, a fronte della cancellazione del restante 70%. Le banche valutano il saldo e stralcio confrontando l’offerta con quanto otterrebbero da un pignoramento: se l’agriturismo non ha beni aggredibili o la via giudiziale sarebbe lunga e incerta, possono accettare.
  • Con i fornitori: proporre un pagamento parziale immediato (es. 30-50%) con rinuncia al saldo, oppure un pagamento integrale ma dilazionato (es. rate mensili per 12-24 mesi). I fornitori, specie se interessati a mantenere il cliente, spesso preferiscono recuperare qualcosa piuttosto che rischiare zero in caso di fallimento dell’azienda. Spesso si accompagna la trattativa con l’offerta di una minima garanzia, ad esempio delle cambiali a garanzia delle rate, o la firma di un familiare garante.
  • Con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione: valutare se si può rientrare nei piani di rateizzazione standard (presentando domanda prima che le cartelle diventino irreparabili) o se è in corso una rottamazione aderire versando le rate. Talvolta è possibile anche chiedere all’ADER una proroga o nuova dilazione se si decade da una precedente, mostrando che ora c’è la possibilità di riprendere i pagamenti.

Vantaggi: la trattativa privata è rapida, discreta e personalizzata. Non si attiva alcuna procedura pubblica, evitando pubblicità negativa. Si mantengono i rapporti con i creditori “di buona volontà”. Svantaggi: non offre protezione contro i creditori che non vogliono aderire – basta un creditore che agisca per vanificare gli sforzi. Inoltre, accordi isolati con alcuni creditori possono essere resi vani dall’azione di altri (es. pago solo alcuni fornitori ma un altro mi pignora il conto nel frattempo). Per questo, se i creditori sono numerosi o litigiosi, conviene considerare strumenti più strutturati (con il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria).

2. Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il Piano attestato di risanamento è uno strumento previsto dal CCII (riprendendo l’art. 67 co.3 lett. d) della vecchia legge fallimentare). Esso consiste in un piano di risanamento aziendale redatto dal debitore e “asseverato” (attestato) da un professionista indipendente che ne certifica la fattibilità. Il piano deve mirare a riequilibrare la posizione finanziaria dell’impresa e assicurare il pagamento dei creditori strategici. È un accordo essenzialmente contrattuale: il debitore elabora un piano e lo negozia con i creditori (non c’è voto formale né omologazione). Ciò che lo distingue da una semplice trattativa privata è l’attestazione: un esperto (commercialista o consulente esperto in crisi, indipendente) redige una relazione in cui dichiara che il piano è idoneo a risanare l’impresa e garantirne l’equilibrio finanziario. Il piano può prevedere qualunque misura: ristrutturazione dei debiti, dilazioni, nuovi finanziamenti, aumenti di capitale, cessioni di beni non strategici, conversione di debiti in partecipazioni, ecc. L’obiettivo è evitare l’insolvenza riportando l’azienda in bonis.

Questo strumento è tipicamente usato da imprese medio-grandi perché non offre protezione giudiziaria (nessun automatismo di blocco delle azioni esecutive) e richiede l’accordo effettivo di tutti i creditori rilevanti. Tuttavia, presenta un vantaggio: gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato non possono essere revocati in caso di successivo fallimento (cioè godono di esenzione dall’azione revocatoria fallimentare). Ciò incentiva le banche a fidarsi: se collaborano nel piano e poi l’azienda fallisce comunque, i pagamenti o le garanzie ricevute non verranno toccati. Per un agriturismo, il piano attestato potrebbe essere usato se c’è la possibilità concreta di un risanamento (es. un nuovo investitore che vuole rilevare l’azienda, o un’evoluzione di mercato positiva) e se i debiti sono concentrati su pochi creditori cruciali. Ad esempio, se c’è una sola banca e pochi fornitori chiave, si può costruire un piano di rilancio (magari convertendo i debiti in quote di una nuova società o vendendo una parte dei terreni) e farlo attestare. Tuttavia, bisogna tenere conto che il piano attestato non impone ai creditori dissenzienti di aderire, quindi o si trova un consenso sostanziale oppure conviene un’altra via. Per questo, nel mondo agricolo è stato raramente utilizzato, se non in realtà di dimensioni elevate.

(Nota: Il piano attestato di risanamento è considerato uno strumento “paraconcorsuale”, perché pur non essendo una procedura concorsuale vera e propria, è disciplinato all’art. 56 CCII e gode di alcune tutele di sistema. Resta però un accordo privato in cui il tribunale non interviene se non a posteriori, in caso di contestazioni.)

3. Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) – art. 57 CCII

L’Accordo di ristrutturazione dei debiti è un istituto a metà tra l’accordo privato e la procedura concorsuale. In sostanza, il debitore propone un accordo a tutti i creditori, e se ottiene l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali, può chiedere al tribunale di omologarlo rendendolo vincolante anche per i creditori non aderenti. È previsto dall’art. 57 CCII (riprende l’art. 182-bis l. fall.). Rispetto al concordato minore, l’ARD non comporta una vera procedura concorsuale aperta: durante le trattative si può chiedere al tribunale solo una breve sospensione delle azioni esecutive (fino a 4 mesi), e una volta raggiunto l’accordo con il 60% dei creditori lo si sottopone all’omologazione giudiziale. Se omologato, l’accordo diviene efficace erga omnes: i creditori minoritari rimasti fuori non possono agire contro il debitore, ma devono essere soddisfatti integralmente secondo l’accordo (o in misura non inferiore a quella che avrebbero ottenuto in un fallimento simulato). Spesso il debitore nell’accordo paga cash i creditori non aderenti così da non avere opposizioni in omologa.

Per un ex titolare di agriturismo, l’ARD potrebbe teoricamente essere utilizzato ad esempio se c’è un pool di banche e fornitori disposti a firmare una ristrutturazione (magari perché un investitore offre capitale fresco per pagare parzialmente i debiti). Tuttavia, bisogna considerare che i debiti fiscali e previdenziali in un ARD hanno regole specifiche: l’accordo può includerli solo se si paga almeno il 30% del loro importo (salvo diversa autorizzazione dall’Erario) e se l’Agenzia Entrate aderisce (c.d. transazione fiscale integrata nell’accordo). Questa rigidità spesso rende complicato inserire cartelle esattoriali nell’ARD. Inoltre, se i creditori sono frammentati (molti piccoli fornitori, varie cartelle), raggiungere il quorum del 60% può essere difficile. Dunque, l’ARD si presta più ad aziende con pochi creditori importanti. Se l’agriturismo avesse ad esempio 3 creditori (banca, fisco, un grande fornitore) e due di essi rappresentanti oltre il 60% del debito accettano, l’accordo può essere omologato e il terzo sarebbe obbligato a rispettarlo. Viceversa, con decine di creditori l’ARD rischia di non raggiungere il quorum o di avere opposizioni.

(Vantaggi: soluzione relativamente veloce e meno costosa di un concordato, con flessibilità negoziale; Svantaggi: richiede consenso qualificato dei creditori, non protegge a lungo durante le trattative, richiede liquidità per pagare eventualmente i dissenzienti fuori accordo.)

4. Convenzione di moratoria (art. 62 CCII)

La convenzione di moratoria è uno strumento introdotto dal CCII per ottenere, con l’accordo della maggioranza dei creditori di una certa categoria, una sospensione temporanea dei pagamenti verso tutti i creditori di quella categoria. In pratica, se ad esempio un agriturismo ha debiti con 5 banche, riuscendo a far firmare a 4 su 5 (rappresentanti almeno il 75% del totale crediti bancari) una convenzione di moratoria, anche la quinta banca viene vincolata alla sospensione (postergazione) dei pagamenti per la durata convenuta. È uno strumento pensato soprattutto per guadagnare tempo ed evitare che un creditore isolato rovini le trattative. Può durare al massimo 6 mesi (prorogabili di altri 6). Nella pratica, la convenzione di moratoria è utile se l’imprenditore ha necessità di sospendere temporaneamente le uscite finanziarie – ad esempio congelare le rate dei mutui – mentre elabora un piano più strutturato. Difficilmente un agriturismo piccolo ne farà uso isolato; più probabile che entri come accordo preparatorio prima di un concordato o vendita aziendale. Per attuarla serve comunque un accordo iniziale con gran parte dei creditori interessati. Ad esempio, l’ex titolare di agriturismo con più finanziamenti bancari potrebbe riunirli in un tavolo e proporre: “fermatevi 6 mesi con i pagamenti e le azioni, intanto vi preparo un piano di rientro o trovo un acquirente per l’azienda”. Se le banche maggioritarie ci stanno, la moratoria viene estesa a tutte, dando respiro al debitore.

5. Composizione Negoziata della Crisi (D.L. 118/2021, artt. 23-25 quinquies CCII)

La Composizione Negoziata è una delle novità più importanti degli ultimi anni nel diritto della crisi. Si tratta di un percorso extragiudiziale assistito in cui l’imprenditore in difficoltà, con l’ausilio di un Esperto indipendente nominato da un’apposita commissione (di solito tramite la Camera di Commercio), cerca di negoziare con tutti i creditori una soluzione concordata. È volontaria e riservata: l’apertura non viene pubblicata sui registri, e l’esperto ha il compito di facilitare le trattative, valutare le proposte del debitore e suggerire modifiche. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive temporanee (fino a 4 mesi, prorogabili 12) per bloccare azioni esecutive dei creditori, così da negoziare in pace.

Per un ex titolare di agriturismo, la Composizione Negoziata ha senso se l’azienda è ancora attiva o può riprendere l’attività (es. si è chiuso temporaneamente ma c’è margine di ripresa con un accordo). Nel nostro caso parliamo di “ex titolare”, quindi presumibilmente l’attività è cessata; la composizione negoziata è meno utile se non c’è più un’azienda da salvare, ed è pensata proprio per evitare la chiusura. Se però l’agriturismo è ancora formalmente esistente ma in crisi profonda, la negoziazione assistita può aiutare: l’esperto analizzerà la situazione e potrà proporre soluzioni (ad es. la vendita del compendio aziendale a un investitore, con soddisfazione parziale dei creditori, o la predisposizione di un concordato minore semplificato). In caso di esito positivo, la negoziazione si conclude con un accordo stragiudiziale (piano di ristrutturazione, convenzione moratoria, accordo di ristrutturazione, ecc.) oppure con l’accesso diretto ad una procedura concorsuale semplificata. Se le trattative falliscono, l’esperto lo dichiara; a quel punto, il debitore può comunque chiedere al tribunale di essere ammesso ad una procedura concorsuale semplificata di liquidazione (il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, art. 25-sexies CCII).

Vantaggi: la composizione negoziata è flessibile, non vincolante e protetta dalla riservatezza. Permette di coinvolgere i creditori in un dialogo guidato da un esperto super partes, spesso evitando l’attrito emotivo diretto tra debitore e creditore. Le misure protettive ottenibili (sospensione dei pignoramenti, degli interessi di mora, ecc.) forniscono un po’ di tregua. Inoltre, se c’è prospettiva di continuare l’attività agrituristica, l’esperto può aiutare a redigere un piano di risanamento credibile. Svantaggi: non c’è garanzia di accordo – i creditori non sono obbligati ad accettare nulla. Se uno o più grandi creditori non collaborano, la composizione può concludersi con un nulla di fatto (sebbene l’esperto tenterà in ogni modo di trovare compromessi). Inoltre, le misure protettive vanno richieste al giudice e non sono automatiche; e trascorso il periodo di negoziazione, se non c’è accordo, il rischio di azioni esecutive riprende.

Quando usarla: la Composizione Negoziata è indicata se l’ex titolare dell’agriturismo intravede una possibilità di salvataggio dell’azienda (o di parte di essa) ma ha bisogno di congelare i creditori nel frattempo e di un aiuto nell’elaborare la soluzione. Se invece l’azienda è già decotta e destinata a liquidazione, conviene andare direttamente verso una procedura liquidatoria concorsuale. Va ricordato che l’accesso alla composizione negoziata è consentito anche alle imprese agricole grazie alla normativa del 2021.


In sintesi sulle soluzioni stragiudiziali: sono opzioni da valutare prima di imboccare la via giudiziale. Offrono agilità e minori costi, ma richiedono che il debitore sia proattivo e che i creditori cooperino. Un ex imprenditore agrituristico in genere tenterà accordi privati all’inizio; se però le negoziazioni falliscono o la situazione è troppo complessa (molti creditori, necessità di tagliare i debiti in misura significativa), si dovrà fare ricorso alle procedure concorsuali di sovraindebitamento di cui al CCII, che vediamo nella prossima sezione.

Procedure Concorsuali e di Sovraindebitamento (giudiziali)

Passiamo ora alle soluzioni giudiziali, ovvero le procedure formalizzate innanzi al Tribunale, specificamente pensate per i debitori sovraindebitati non fallibili (come il nostro ex agriturista). Queste procedure offrono un quadro legale protetto entro cui gestire la crisi: una volta aperta la procedura, scattano misure automatiche di sospensione delle azioni esecutive individuali e si aprono scenari di pagamento parziale dei creditori con l’intervento finale del giudice. Il rovescio della medaglia sono tempi e costi maggiori rispetto alle soluzioni stragiudiziali, nonché la pubblicità (il nome del debitore comparirà nei registri delle procedure). Tuttavia, quando i debiti sono ingenti e i creditori non collaborano spontaneamente, queste procedure spesso rappresentano l’unica via ordinata per evitare il collasso e liberarsi dai debiti residui.

Le procedure concorsuali minori previste oggi dal CCII, derivanti dalla vecchia Legge 3/2012, sono quattro:

  1. Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore),
  2. Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi),
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio),
  4. Esdebitazione del debitore incapiente (procedura di “fresh start” per chi non ha nulla).

Di queste, nel caso di un ex titolare di agriturismo non più in attività, assumono rilievo soprattutto le ultime tre. Infatti, la ristrutturazione dei debiti del consumatore è riservata alle persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale (il classico privato cittadino). Un imprenditore agricolo non può accedere a questa procedura per i debiti dell’agriturismo, poiché tali debiti sono di natura imprenditoriale (anche se l’attività è cessata, l’origine rimane commerciale). L’unico caso in cui potrebbe rilevare è se l’ex titolare avesse anche debiti personali estranei all’azienda (es. debiti familiari, finanziamenti al consumo): in tal caso, parallelamente ai debiti d’impresa, potrebbe valutare un piano del consumatore per i soli debiti personali. Ma in generale, il fulcro per l’ex imprenditore agrituristico saranno il concordato minore o la liquidazione controllata, con la possibile ancora finale dell’esdebitazione da incapienza.

Esaminiamole in dettaglio:

Ristrutturazione dei debiti del consumatore (solo per debiti personali, non d’impresa)

Questa procedura, disciplinata dagli artt. 67-73 CCII, sostituisce il vecchio “piano del consumatore” della L.3/2012. È rivolta esclusivamente al consumatore, definito come la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale o professionale. In pratica, un ex imprenditore può usarla solo per eventuali debiti che nulla hanno a che fare con l’agriturismo (es. scoperto su conto personale, finanziamento per acquisto auto privata, debiti di famiglia). La caratteristica di questa procedura è che il piano di pagamento dei debiti viene proposto dal debitore e valutato/omologato dal giudice senza necessità di voto da parte dei creditori, purché il debitore sia meritevole (ossia non abbia assunto i debiti con colpa grave o frode). Tuttavia, proprio perché un ex imprenditore con debiti d’impresa non è un consumatore, non potrà includere in questa procedura i debiti derivanti dall’attività agrituristica (debiti verso fornitori, banche dell’azienda, Fisco per IVA aziendale, ecc.). Un caso particolare potrebbe essere: Tizio ha chiuso l’agriturismo ma ha anche, poniamo, un prestito personale per l’auto e bollette domestiche arretrate – per questi potrebbe fare una ristrutturazione da consumatore, mentre per i debiti d’impresa deve fare un concordato minore o liquidazione. In generale, quindi, rimandiamo la trattazione dettagliata di questa procedura ai casi in cui il debitore sia un consumatore puro. Ci limitiamo a ricordare che: la ristrutturazione del consumatore richiede che i debiti totali non superino €500.000 (per come definito dall’art. 2 lett. m CCII; soglia originariamente prevista dall’art. 7 L.3/2012, soggetta ad aggiornamenti); il debitore deve offrire un pagamento almeno parziale di ciascun debito, in proporzione alle proprie capacità (in alcuni orientamenti si parla di almeno il 20-30% di soddisfacimento, ma il dato è in evoluzione normativa); il giudice verifica la meritevolezza e omologa il piano anche senza consenso dei creditori, salvo che questi presentino reclamo. Cassazione recente ha precisato aspetti procedurali di questa omologazione: ad es. Cass. 34158/2024 ha stabilito che se il decreto di omologa non viene notificato ai creditori, il termine per proporre reclamo è di 6 mesi dalla pubblicazione, mentre Cass. 5157/2025 ha chiarito che solo i creditori che hanno partecipato al giudizio possono proporre reclamo, salvo quelli pretermessi per errore. In ogni caso, per il nostro tema centrale (debiti ex agriturismo) rimandiamo all’uso delle procedure seguenti, poiché il titolare di agriturismo è considerato imprenditore e non consumer.

Concordato Minore (artt. 74-83 CCII)

Il concordato minore è la procedura “regina” per il debitore non fallibile che voglia ristrutturare i debiti evitando la liquidazione integrale e possibilmente proseguire l’attività. È l’equivalente aggiornato dell’“accordo di composizione della crisi” della L.3/2012, con importanti novità. Possono accedervi tutti i debitori sovraindebitati che esercitano attività d’impresa o professionale, quindi inclusi gli imprenditori agricoli (sono esclusi invece i consumatori puri, i quali hanno la loro procedura come visto). Ciò significa che l’ex titolare di agriturismo, anche se ha chiuso l’attività da meno di un anno, può proporre un concordato minore per sistemare i debiti residui dell’impresa agricola. Importante: a differenza delle imprese commerciali, per l’imprenditore agricolo non esistono limiti dimensionali: anche un’azienda agricola molto grande, che non può accedere al concordato preventivo ordinario, può utilizzare il concordato minore senza problemi di soglie. Questa è una differenza frutto delle normative recenti (DL 118/2021) che hanno dato piena dignità concorsuale alle imprese agricole senza restrizioni di grandezza.

Come funziona il concordato minore? In sintesi: il debitore (assistito dall’OCC) predispone un piano che indica in modo dettagliato come intende superare la crisi, con quali risorse pagherà i creditori e in che percentuale, e in che tempi. Il piano può prevedere le soluzioni più varie: dalla continuazione dell’attività (con utili futuri destinati ai creditori) alla cessione di beni non strategici o dell’intera azienda (liquidazione parziale), alla ricerca di nuova finanza o interventi di terzi, ecc. Può essere “in continuità” se l’azienda prosegue durante e dopo la procedura, oppure “liquidatorio” se prevede la cessazione dell’attività e la vendita dell’intero patrimonio ma con un minimo di struttura concordataria (quest’ultimo caso è però raro per i sovraindebitati, poiché se si vuole liquidare tutto conviene la liquidazione controllata). Requisiti per proporlo: il debitore deve allegare una serie di documenti (elenco creditori, inventario beni, ultime dichiarazioni fiscali, stato di famiglia, certificati dei carichi pendenti, ecc.) e soprattutto una relazione di un OCC che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. L’assistenza di un OCC è obbligatoria; inoltre il debitore deve farsi assistere da un avvocato (nel concordato minore, a differenza delle procedure minori pre-2022, è prevista la necessaria presenza di un difensore per via della complessità).

Apertura della procedura: il tribunale, valutati i requisiti di ammissibilità (assenza di cause ostative come atti in frode recenti, condotte penalmente rilevanti, ecc. – una verifica sommaria della meritevolezza macroscopica), dichiara aperto il concordato minore con decreto. Con lo stesso decreto nomina un Commissario Giudiziale (spesso lo stesso gestore OCC viene confermato commissario) e dispone le misure protettive sui beni (sospende i pignoramenti in corso, ecc.). Da quel momento nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive individuali: il patrimonio del debitore è protetto dalla par condicio concorsuale. Il commissario verifica il piano, comunica ai creditori la proposta e li invita ad esprimere voto.

Voto dei creditori: a differenza del piano del consumatore, qui i creditori hanno voce in capitolo. Votano in percentuale di credito; il concordato è approvato se raggiunge almeno il 60% dei consensi sui crediti ammessi al voto. Il voto può avvenire per scritto o in adunanza. Il debitore può suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica o interessi economici (es. classe banche, classe fornitori, classe chirografari piccoli, ecc.), ma ai fini dell’approvazione si sommano comunque tutti i crediti votanti. I creditori privilegiati (es. banca ipotecaria) di norma non votano se vengono soddisfatti integralmente; se invece il piano prevede di soddisfarli solo in parte (il che è possibile solo se la parte non pagata risulta incapiente rispetto al bene dato in garanzia), allora partecipano al voto per la parte degradabile a chirografo. I creditori interessati da eventuali transazioni fiscali votano come chirografari per la parte falcidiata. I piccoli creditori con crediti molto modesti possono essere considerati non pregiudicati (se pagati al 100%) e quindi esclusi dal voto. Nel nostro esempio pratico più avanti, vedremo come i creditori di un agriturismo hanno votato e con quale maggioranza.

Omologazione: se c’è l’approvazione del 60%, il tribunale fissa un’udienza e, verificato che il piano è conforme alla legge e che i creditori hanno ricevuto quanto minimo spettante, omologa il concordato rendendolo vincolante per tutti. Da quel momento il debitore deve eseguire il piano sotto la vigilanza del commissario (che spesso diventa liquidatore per vendere eventuali beni). Se invece i creditori bocciano la proposta (non si raggiunge la maggioranza richiesta), il tribunale dichiara improcedibile il concordato. Ma attenzione: ciò non significa che “finisce tutto” – di solito, contestualmente, il giudice apre la liquidazione controllata d’ufficio (specialmente se il debitore l’ha chiesta in subordine). Infatti l’art. 82 CCII prevede che, in caso di mancata omologazione del concordato per difetto di consensi, il tribunale possa (su istanza del debitore o d’ufficio) convertire la procedura in liquidazione controllata. In pratica, il debitore non viene lasciato senza tutela: se il concordato minore fallisce per voto contrario, si passa alla liquidazione concorsuale, mantenendo comunque la protezione dai singoli creditori e avviando la strada dell’esdebitazione finale. Perciò, il debitore deve sempre prevedere un “Piano B”: concordato se approvato, altrimenti liquidazione. (Anzi, alcuni debitori depositano direttamente la domanda di concordato con riserva di conversione in liquidazione in caso di esito negativo, per risparmiare tempo e costi). In ogni caso, se il concordato non passa ma la situazione rimane di insolvenza, sarà interesse dello stesso tribunale aprire la liquidazione d’ufficio, per evitare che i creditori si precipitino in azioni disordinate.

Vantaggi del concordato minore: consente al debitore di ristrutturare i debiti tagliandoli parzialmente e dilazionandoli, e se il piano è in continuità permette di salvare l’azienda (o parte di essa). È una procedura molto flessibile: il piano può contemplare ogni sorta di soluzione, dal mantenere i beni chiave (come la casa o il podere storico) vendendone altri, al far entrare soci nuovi, ecc. Inoltre, una volta omologato e completato, il concordato porta all’esdebitazione: tutti i debiti concorsuali residui vengono cancellati, liberando il debitore. Il concordato minore ha poi il pregio di essere un’iniziativa volontaria del debitore (a differenza della liquidazione controllata che può anche essere subita su istanza altrui): consente quindi al debitore di prendere in mano la situazione prima che degeneri (come consigliato: meglio muoversi prima che i creditori ottengano decreti ingiuntivi). Infine, durante la procedura il debitore (se rimane in continuità) conserva l’amministrazione ordinaria dell’azienda, sebbene sotto vigilanza.

Svantaggi/limiti: il concordato minore richiede comunque di destinare risorse almeno parziali ai creditori. Non è ottenibile se il debitore proprio non ha alcuna capacità di pagamento (in tal caso si andrebbe direttamente in liquidazione o esdebitazione incapiente). Inoltre c’è l’incognita del voto dei creditori: se uno o due grossi creditori sono ostili, possono bloccare l’approvazione. Occorre quindi costruire un piano che sia conveniente per la maggioranza dei creditori, così da ottenere i voti necessari. In proposito, è bene coinvolgere attivamente i creditori nelle trattative pre-concordato: spesso, aggiustamenti dell’ultimo minuto (offrire un paio di punti percentuali in più a un creditore strategico, far intervenire un garante esterno, ecc.) possono trasformare un “no” in un “sì”. La giurisprudenza ammette anche che, se al voto manca poco per la maggioranza, il debitore possa presentare modifiche migliorative al piano dopo il voto per convincere i contrari e rifare la conta (ad esempio lo ha fatto il Tribunale di Avellino con decreto 28/02/2025, ammettendo un supplemento di votazione su un piano riveduto). In generale, però, se si prevede che il piano non piacerà ai creditori (es. propone tagli molto drastici), il debitore può optare direttamente per la liquidazione controllata, saltando il tentativo di concordato e risparmiando tempo e costi.

Liquidazione Controllata del Sovraindebitato (artt. 268-277 CCII)

La liquidazione controllata è la procedura destinata a chiudere in modo ordinato l’attività del debitore sovraindebitato tramite la liquidazione di tutto il patrimonio, corrispondente al vecchio istituto della liquidazione dei beni ex L.3/2012. In pratica, è l’equivalente del fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale) ma in scala ridotta, applicabile ai debitori non fallibili come l’imprenditore agricolo. Si ricorre alla liquidazione controllata quando non vi sono prospettive concrete di risanamento o quando il debitore (o i creditori) preferisce liquidare i beni per poi chiudere la partita debitoria.

Chi può attivarla: può essere richiesta sia dal debitore stesso sia dai creditori o dall’OCC. Se la chiede il debitore, è una scelta volontaria di aprire la procedura. Se la chiedono uno o più creditori, devono dimostrare che il debitore è in stato di insolvenza e che i crediti scaduti superano una certa soglia (attualmente €50.000). Per un ex titolare di agriturismo, è fondamentale sapere che anche i creditori possono “forzare” l’apertura della liquidazione controllata: ad esempio, una banca stanca di inseguire il debitore può presentare istanza al tribunale per far dichiarare la liquidazione (similmente a come farebbe per farlo fallire, se potesse). Questo conferma l’importanza di attivarsi per tempo: se i debiti sono molti e oltre 50mila euro, e il debitore non fa nulla, i creditori potrebbero anticiparlo chiedendo essi la liquidazione (purché entro l’anno dalla cessazione dell’attività, dopo il quale neppure loro possono, come visto).

Effetti dell’apertura: il tribunale, verificati i presupposti, dichiara aperta la liquidazione controllata con sentenza (o decreto) e nomina un Liquidatore giudiziale. Da quel momento il debitore perde la gestione e disponibilità dei suoi beni: il Liquidatore subentra nell’amministrazione del patrimonio, con il compito di vendere i beni, riscuotere crediti e distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole della par condicio. Vengono sospese tutte le azioni esecutive individuali (pignoramenti) in corso e i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo entro i termini stabiliti (il liquidatore forma l’elenco dei debiti ammessi). Il procedimento ricalca in piccolo quello di un fallimento: si vendono i beni all’asta (o anche tramite trattativa privata autorizzata, se conviene), si ripartiscono le somme in base ai privilegi, e si chiude la procedura con un decreto di riparto finale.

Cosa succede ai beni specifici: tutti i beni di proprietà del debitore al momento dell’apertura entrano nella liquidazione, eccetto quelli impignorabili per legge (es. abiti, oggetti sacri, stipendi entro i limiti di legge, etc.). Anche la casa di abitazione dell’ex titolare di agriturismo rientra se è di sua proprietà – non esiste nel nostro ordinamento una esenzione automatica per la prima casa nelle procedure concorsuali minori (sebbene si sia dibattuto di introdurla). Quindi, in liquidazione controllata la casa di famiglia può essere venduta dal liquidatore per soddisfare i creditori, se ha un valore e se i creditori non vengono soddisfatti altrimenti. L’unico caso in cui il liquidatore potrebbe astenersi è se la casa è già ipotecata e vale meno del debito garantito (in tal caso, potrebbe concordare con la banca di lasciargliela o evitare la vendita per inutilità), ma non vi è garanzia. Pertanto, chi tiene a salvare la casa dovrebbe preferire un concordato minore, dove è possibile negoziare la non vendita offrendo ai creditori un’alternativa (ad es. continuare a pagare il mutuo e dare qualcos’altro ai chirografari). In liquidazione pura, invece, il liquidatore tende a liquidare tutto il liquidabile per massimizzare il ricavato a favore dei creditori.

Svolgimento: il liquidatore procede a vendere i beni: immobili all’asta o per trattativa autorizzata, beni mobili anche tramite commissionari. I creditori presentano le loro pretese e il giudice le esamina formando lo stato passivo. Eventuali contestazioni tra creditori o del debitore vengono risolte dal giudice della procedura. Nel frattempo, il debitore ha l’obbligo di cooperare e fornire tutte le informazioni e documenti richiesti; non può nascondere beni o porre in essere atti dispositivi (sarebbero revocati e integrerebbero reati). L’ex imprenditore, salvo casi di particolare gravità, non subisce interdizioni personali (a differenza del fallimento, qui non c’è il concetto di “fallito” con incapacità personali, trattandosi di procedure civili minori). Tuttavia, se ha compiuto reati come bancarotta fraudolenta prima, potrebbe rispondere penalmente a parte. La liquidazione controllata è dunque un processo prevalentemente tecnico: il liquidatore trasforma l’attivo in denaro e poi fa i riparti ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (prima i creditori prededucibili e privilegiati, poi eventualmente qualcosa ai chirografari).

Chiusura ed esdebitazione: una volta venduto tutto e distribuito il possibile, il liquidatore presenta il rendiconto finale. A quel punto, se il debitore è una persona fisica, può chiedere di essere esdebitato per i debiti rimasti insoddisfatti. Il tribunale verifica la sua condotta: se ha collaborato lealmente e non ha ostacoli di meritevolezza, emette un decreto che cancella tutti i debiti residui non pagati nella procedura. Questo è il grande beneficio finale: il debitore persona fisica torna “pulito” dai debiti (tranne quelli non esdebitabili visti prima, come eventuali debiti per multe, alimenti, illeciti dolosi). Se invece il debitore è una società (es. una SRL agricola), la società verrà cancellata e i debiti rimasti si estinguono solo in quanto la società non esiste più (i creditori non soddisfatti non hanno altri beni su cui rifarsi, ma attenzione: potrebbero rifarsi su eventuali fideiussori personali come soci garanti, come illustrato oltre). L’esdebitazione per la persona fisica è un atto quasi dovuto nel nuovo CCII – a differenza del passato dove c’era discrezionalità, oggi l’art. 280 CCII stabilisce che il debitore meritevole ha diritto all’esdebitazione dopo la liquidazione, e non è richiesto che abbia pagato una parte minima dei debiti. La Cassazione (sent. n. 27562/2024 cit.) ha confermato infatti che si può concedere l’esdebitazione anche se la soddisfazione dei creditori è stata bassissima (purché non nulla assoluta), valutando tutte le circostanze con un prudente apprezzamento. In un caso pratico (che vedremo nell’Esempio 2), due soci garanti, dopo la liquidazione dei beni sociali, hanno ottenuto l’esdebitazione nonostante i creditori chirografari avessero preso solo il 10% circa.

Vantaggi della liquidazione controllata: permette di gestire in modo ordinato la fine dell’impresa, affidando a un professionista il compito di liquidare al meglio i beni (spesso si ottiene un valore di mercato più equo rispetto ad esecuzioni frammentarie). Tutte le azioni individuali cessano, evitando una corsa frenetica dei creditori e garantendo la parità di trattamento (par condicio). Per il debitore persona fisica, è la via per ottenere la liberazione definitiva dai debiti (fresh start) al termine, cosa che fuori da una procedura non accadrebbe (i debiti resterebbero vita natural durante, salvo prescrizione molto lunga). In un certo senso lo Stato “sacrifica” l’interesse dei creditori a inseguire a vita il debitore insolvente, a favore di dargli una possibilità di ripartire, ovviamente se ha agito onestamente.

Svantaggi: il debitore perde il controllo sui suoi beni e sulla sua azienda – la liquidazione è spesso la fine dell’attività. Se aspirava a continuare l’azienda agrituristica, qui ciò non è possibile (salvo casi di esercizio provvisorio su autorizzazione per vendere meglio, ma l’attività alla fine cesserà). Inoltre, come visto, non offre margini di salvaguardia per beni cari come la casa: tutto viene liquidato, il debitore deve sacrificare il patrimonio per poter poi essere liberato dai debiti. È quindi una soluzione drastica ma necessaria quando non vi sono alternative di concordato credibili. Va anche detto che i garanti e coobbligati non sono protetti: se un parente aveva garantito un debito, il creditore può ugualmente escuterlo anche durante o dopo la liquidazione (la procedura libera solo il debitore principale). Ne parleremo a parte (FAQ). Infine, c’è un limite temporale: come ripetuto, se l’attività è cessata da oltre 12 mesi, nemmeno la liquidazione controllata è più accessibile – il debitore in ritardo rischia di restare senza procedure concorsuali utilizzabili. In tali casi estremi, l’unica àncora potrebbe essere la prossima procedura.

Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII)

L’esdebitazione del debitore incapiente è uno strumento del tutto innovativo introdotto nel CCII (in attuazione della direttiva UE sul fresh start), che consente al debitore persona fisica, totalmente privo di capacità di rimborso, di ottenere la cancellazione dei debiti senza dover liquidare alcun patrimonio. È la cosiddetta “esdebitazione a zero”, perché il debitore ottiene il beneficio pur non offrendo nulla ai creditori. Chiaramente è previsto solo in casi particolari e con cautele, data la portata eccezionale di condonare tutti i debiti senza contropartita.

Chi può accedervi: solo il debitore persona fisica (no società) che:

  • Non possiede alcun patrimonio liquidabile né capacità di pagare i creditori in misura apprezzabile. Se anche ha pochi beni, normalmente sarebbe tenuto a fare una liquidazione controllata; la legge riserva l’esdebitazione “gratuita” a chi è davvero nullatenente o quasi. È prevista la possibilità che il tribunale richieda una relazione dell’OCC per confermare lo stato di incapienza totale.
  • È meritevole: qui torna con forza il tema della meritevolezza, perché concedere l’esdebitazione senza pagamenti è un enorme beneficio. L’art. 283 CCII richiede che il debitore non abbia commesso atti in frode o tenuto comportamenti gravemente colposi all’origine del sovraindebitamento. In pratica, solo l’ex imprenditore onesto e sfortunato potrà accedere. Ad esempio, chi ha accumulato debiti per mala gestione ma in buona fede, ed è rimasto senza nulla, potrà chiedere l’esdebitazione incapiente; chi invece ha dissipato volontariamente i beni per non pagarli, no.
  • Non ha già ottenuto altra esdebitazione in passato (almeno per i 5 anni precedenti, come regola generale). E naturalmente non deve esserci la possibilità di attivare altre procedure: l’esdebitazione incapiente è vista come ultima risorsa. Spesso infatti viene concessa dopo una liquidazione controllata andata deserta (senza attivo) o chiusa con realizzo simbolico: invece di fare la procedura “vuota” si può andare direttamente a esdebitazione.

Procedura: il debitore presenta ricorso al tribunale chiedendo l’esdebitazione incapiente e allegando tutta la documentazione sui propri debiti e sulla propria nullatenenza (dichiarazioni dei redditi, stato civile, ecc.). Vanno specificati i creditori e le cause dell’insolvenza. Il tribunale nomina di solito un OCC per fare delle verifiche (anche se non c’è patrimonio da gestire, serve un minimo controllo). I creditori vengono avvisati e possono eventualmente opporsi indicando ragioni per negare il beneficio (es. contestando la meritevolezza). Tuttavia non c’è un voto dei creditori: la decisione spetta al giudice. Se il tribunale ritiene il debitore meritevole e realmente incapiente, emette decreto di esdebitazione che libera il debitore da tutti i debiti anteriori. Attenzione: questo decreto può essere revocato entro 4 anni se emerge che il debitore ha fornito informazioni false o ha migliorato significativamente la propria situazione economica senza far partecipare i creditori. La legge infatti prevede che, se nei 4 anni successivi all’esdebitazione a zero il debitore ottiene sopravvenienze di reddito rilevanti (ad es. un’eredità sostanziosa, una vincita, o ricomincia a guadagnare bene), egli è tenuto a pagare comunque i creditori in misura fino al 50% di tali sopravvenienze. Questo meccanismo serve per evitare furbizie e bilanciare i diritti: il debitore viene liberato subito per ripartire, ma se per caso la sua fortuna cambia in meglio poco dopo, i creditori non restano del tutto a mani vuote.

Effetti: l’esdebitazione incapiente, una volta definitiva, cancella tutti i debiti chirografari e le eventuali parti residuo di debiti privilegiati non pagati. Restano esclusi solo i soliti debiti non esdebitabili per legge (alimenti, risarcimenti da dolo, multe). Per il debitore è una rinascita totale: decade lo status di indebitato e potrà tornare a svolgere attività economiche senza quei fardelli. Chiaramente, dopo aver usufruito di un’esdebitazione incapiente, se malauguratamente contrae nuovi debiti e ricade in insolvenza, difficilmente gliene verrà concessa un’altra a breve. È un “colpo solo” da giocarsi.

Esempio tipico: l’ex titolare di agriturismo che ha chiuso due anni fa, non ha più beni (magari li ha già persi con pignoramenti o li aveva venduti per sopravvivere) e gli rimangono €200.000 di debiti con banche e Fisco. Ormai fa il disoccupato o un lavoretto modesto, vive in affitto e non possiede nulla. Ha provato a trattare coi creditori ma non aveva niente da offrire. In questo caso, può chiedere direttamente al giudice l’esdebitazione da incapiente, allegando ISEE, documenti di nullatenenza, ecc. Se risulta che effettivamente non ha nascosto patrimoni (magari perché li ha persi durante la crisi) e che la sua insolvenza è dovuta a cause sfortunate (es. calamità naturali sulle coltivazioni, pandemia da Covid che ha azzerato il turismo e lo ha costretto a chiudere, ecc.), il giudice – sentiti i creditori – potrà concedergli la cancellazione dei debiti. I creditori resteranno insoddisfatti, ma del resto lo sarebbero comunque perché il debitore non ha nulla; così almeno c’è una chiusura formale del caso, e il debitore può rifarsi una vita. (Da notare: il legislatore era consapevole che questa è una soluzione “estrema” e poteva creare un buco normativo: si voleva evitare che uno chiuda l’attività, aspetti più di un anno e poi si faccia esdebitare gratis. Tuttavia, se veramente non c’è nulla da dare ai creditori, l’esdebitazione incapiente realizza comunque la finalità di consentire una seconda chance onesta. L’importante è, di nuovo, la buona fede del debitore).

In sintesi sulle procedure giudiziali: il concordato minore è lo strumento per ristrutturare e possibilmente proseguire l’attività (o comunque evitare la liquidazione completa), mentre la liquidazione controllata è la soluzione per chiudere l’impresa liquidando i beni ma ottenendo la liberazione dai debiti. L’esdebitazione incapiente è il paracadute finale per chi è rimasto con niente. Tutti e tre garantiscono al debitore persona fisica un esito di fresh start se svolti correttamente: nel concordato c’è esdebitazione dopo l’esecuzione del piano, in liquidazione dopo la chiusura, e nell’esdebitazione incapiente immediatamente. Dal punto di vista del debitore, dunque, la strategia ideale è: se ho ancora chance di salvare qualcosa (l’azienda o la casa), tento un concordato; se non ho chance o i creditori non collaborano, vado in liquidazione controllata ma con la prospettiva di liberarmi dei debiti; se addirittura non ho nulla da liquidare, chiedo direttamente l’esdebitazione incapiente evitando procedure lunghe inutili. Nei prossimi capitoli risponderemo ad alcune domande frequenti dal punto di vista dell’ex imprenditore indebitato, e poi illustreremo due casi pratici per comprendere meglio l’applicazione concreta di concordato e liquidazione nel contesto di un agriturismo.

Domande Frequenti (FAQ)

Di seguito una serie di domande e risposte comuni dal punto di vista del debitore (ex imprenditore agrituristico o suo garante) che si trova ad affrontare situazioni di sovraindebitamento:

D: La mia azienda agrituristica ha debiti con fornitori, banche e Fisco. Posso evitare il fallimento?
R: Sì. Come spiegato, un agriturismo non è soggetto a fallimento o liquidazione giudiziale ordinaria, quindi i creditori non possono chiederne il fallimento. Ciò non significa però stare tranquilli: oggi i creditori possono chiedere l’apertura della liquidazione controllata se i debiti superano €50.000 e l’azienda è insolvente. In pratica, non “fallirai” formalmente, ma rischi comunque una procedura concorsuale (la liquidazione) molto simile ad un fallimento per effetti. Per evitarla, la cosa migliore è giocare d’anticipo: ad esempio presentare tu stesso un concordato minore prima che i creditori si muovano. Così prendi in mano la situazione e blocchi subito pignoramenti e ipoteche, proponendo tu una soluzione ai creditori (ristrutturazione o liquidazione parziale) più vantaggiosa per tutti rispetto ad una liquidazione forzata. Se invece non fai nulla e lasci che siano i creditori ad agire, potresti subire la liquidazione controllata d’ufficio (imposta dal tribunale su istanza loro). Quindi, per difenderti attivamente: consulta subito un OCC o un avvocato esperto e valuta un concordato minore o un piano di composizione negoziata. Eviterai di subire passivamente la procedura e magari salverai l’azienda.

D: Posso salvare la casa di abitazione della mia famiglia dalla procedura?
R: In via extragiudiziale, sì – se riesci a trovare un accordo con i creditori che eviti di aggredirla. Ad esempio, potresti rinegoziare il mutuo con la banca in modo da non incorrere in decadenze, o far rilevare l’immobile da un parente che poi te lo affitta (soluzione estrema), così da togliere la casa dal tuo patrimonio prima che venga pignorata (occhio però a farlo prima della procedura, perché dopo sarebbe atto in frode). Nel momento in cui entri in una procedura concorsuale, invece, occorre distinguere: attualmente la legge italiana non prevede alcuna esenzione automatica per la prima casa nelle procedure di sovraindebitamento (a differenza di altri paesi, dove talvolta la casa di famiglia è protetta). Dunque, se entri in liquidazione controllata, la casa di abitazione verrà inclusa tra i beni da liquidare dal Liquidatore, se ha valore ed è capiente per i creditori. Non c’è una salvaguardia di legge. Il liquidatore potrà valutare soluzioni solo se la vendita non conviene affatto (es. casa ipotecata la cui vendita non coprirebbe nemmeno il mutuo residuo – in tal caso potrebbe concordare con la banca di lasciar perdere), ma in linea generale la casa è considerata parte dell’attivo da liquidare. Al contrario, nel concordato minore c’è margine per salvarla: puoi proporre nel piano di non liquidare la casa. Ad esempio, puoi proporre di continuare a pagare regolarmente il mutuo alla banca (così la banca è soddisfatta fuori dal piano e non avrà interesse a far vendere la casa) e di soddisfare gli altri creditori chirografari con altre risorse (vendendo beni diversi, oppure con l’aiuto finanziario di familiari). Se i creditori chirografari ritengono che lasciandoti la casa comunque ottengono più di quanto ricaverebbero vendendola all’asta (dove magari la casa vale poco o è invenduta), potrebbero accettare il piano. Nei fatti, salvare la casa è uno dei motivi principali per cui molti debitori tentano un concordato o un piano del consumatore invece di lasciar andare tutto in liquidazione. In sintesi: in liquidazione pura la casa si perde, in un concordato c’è margine per salvarla se riesci a compensare i creditori con altro e li convinci. Se hai un mutuo in corso, proponi di onorarlo integralmente; se la casa ha poco valore di mercato e i creditori ci ricaverebbero briciole, evidenzialo nel piano per dissuaderli dal pretenderne la vendita. (Nota: in passato si ipotizzavano norme per proteggere la prima casa nei fallimenti minori, ma ad oggi – luglio 2025 – non sono state introdotte e la casa non ha tutela speciale nelle nostre procedure concorsuali minori).

D: Quali debiti non si cancellano nemmeno con queste procedure (c’è qualche debito “non esdebitabile”)?
R: Sì, ci sono alcune categorie di debiti che per legge non possono essere cancellati neanche dopo l’esdebitazione finale. L’art. 282 CCII elenca in particolare:

  • le obbligazioni alimentari dovute per legge – ad es. gli assegni di mantenimento a coniuge o figli, e relativi arretrati. Sono debiti di natura familiare che restano sempre dovuti, non c’è procedura che tenga; il legislatore vuole tutelare il diritto di mantenimento dei familiari.
  • le obbligazioni risarcitorie per fatti illeciti commessi con dolo o colpa grave – se devi un risarcimento perché hai causato volontariamente un danno o commesso un illecito grave, quel debito non viene perdonato. Analogamente, i danni da reati gravi restano (ad es. se sei stato condannato a risarcire una vittima di reato doloso, quel debito non si estingue).
  • le multe, ammende e sanzioni amministrative (pecuniarie) non pagate – lo Stato non rinuncia a quei crediti: formalmente restano dovuti anche dopo la procedura. Va detto che c’è dibattito se nelle procedure si possano falcidiare le sanzioni: alcuni giudici di merito hanno ammesso di includerle nei piani per pagarle in parte, ma l’esdebitazione finale non copre le multe, quindi dopo risorgerebbero come crediti non più concorsuali. In pratica, conviene comunque pagarle in parte per far contento l’ente creditore, ma la parte non pagata formalmente resta (poi, se il debitore è nullatenente, è probabile che l’ente non la esigerà comunque, ma giuridicamente il debito sopravvive).
  • i debiti fiscali derivanti da comportamenti fraudolenti – se hai commesso un reato tributario (es. frode fiscale, emissione di fatture false, occultamento di ricavi) i relativi debiti (imposte evase con dolo, sanzioni penali) non vengono perdonati. C’è sovrapposizione col punto dei risarcimenti da illecito: la regola generale è che se il debito deriva da tuo comportamento fraudolento o gravemente colposo, non sei meritevole di esserne liberato. In più, se hai condanne per reati tributari probabilmente non saresti ammesso neppure alla procedura.

A parte questi, la maggior parte dei debiti finanziari, commerciali e fiscali ordinari è invece esdebitabile. I debiti verso fornitori, banche, il fisco per imposte non fraudolente, i contributi previdenziali, ecc., vengono cancellati con l’esdebitazione finale (salvo ovviamente la parte che eventualmente era privilegiata e che hai pagato nel piano, ma ciò che resta impagato va via). Quindi l’ex imprenditore agrituristico sovraindebitato può liberarsi quasi di tutto, tranne i debiti di natura personale/familiare o derivanti da illeciti dolosi. Ad esempio: il debito per un finanziamento in banca o per le forniture di concime sparisce con l’esdebitazione; il debito per una multa ambientale no, resta (anche se magari, se sei nullatenente, l’ente non potrà più recuperare comunque, ma giuridicamente rimane).

D: Ho chiuso l’azienda agrituristica un anno e mezzo fa perché andava male, ma mi sono rimasti debiti con le banche e il consorzio agrario. Posso ancora fare qualcosa tipo concordato o liquidazione?
R: Purtroppo, se la cessazione risale a più di 12 mesi, la legge (art. 33 CCII modificato dal correttivo 2024) dice che non puoi accedere né al concordato minore né alla liquidazione controllata. Il legislatore vuole evitare concordati “tardivi” a distanza di anni dalla chiusura dell’attività: se hai chiuso da oltre un anno, ormai è considerato troppo tardi per attivare procedure concorsuali sui debiti pregressi. Avresti dovuto muoverti entro un anno dalla cancellazione al Registro Imprese. Questo principio, già presente nella legge fallimentare (art. 10 L.F.), è oggi esteso anche alle nostre procedure minori. Né tu né i creditori potete ora aprire concordato minore o liquidazione controllata. (Nota: c’è dibattito se i creditori potrebbero chiedere la liquidazione oltre l’anno, ma tendenzialmente no: la ratio è la stessa, e Cass. 22699/2023 l’ha confermato).* Che fare allora?* Due possibilità:

  • Se hai comunque qualche bene liquidabile e vuoi sistemare la posizione, potresti provare lo stesso a presentare un’istanza di liquidazione controllata “fuori termine” spiegando al giudice perché non hai agito prima. Qualche tribunale potrebbe accogliere, valutando la situazione concreta, ma non è garantito – molti applicano la regola rigida dell’anno e dichiarerebbero inammissibile. In alternativa, potresti solo accordarti informalmente con i creditori per liquidare i beni rimasti e stralciare i debiti. Questa via extragiudiziale, però, ti espone: se anche un solo creditore non collabora, può aggredire i tuoi beni.
  • Se invece non hai beni e sei rimasto con tanti debiti personali, puoi valutare di chiedere l’esdebitazione del debitore incapiente. Questa procedura, come visto, non richiede che l’attività sia in corso – è irrilevante per lei, perché riguarda te come persona fisica. Devi dimostrare di essere nullatenente e meritevole: se la tua impresa è fallita per cause oneste (es. calamità, mercato sfavorevole) e tu ora sei al verde, il giudice potrebbe concedertela, cancellando i debiti residui. Resta però un fatto: situazioni come la tua sono un po’ un “buco normativo” – la legge vorrebbe evitare che uno chiuda e dopo anni si faccia esdebitare senza far recuperare nulla ai creditori, ma se davvero non c’è nulla da dare (lo prova l’assenza di patrimonio, e il tempo trascorso lo conferma), l’esdebitazione incapiente è comunque l’unico modo per chiudere la vicenda. Attenzione che, se invece possiedi ancora qualche bene, i creditori possono tentare azioni esecutive individuali (non hai più protezione concorsuale) e a quel punto dovresti difenderti caso per caso. Quindi valuta bene: se hai ancora un immobile o altro, magari vendilo tu e usa il ricavato per trattare un saldo e stralcio, perché non hai la protezione del tribunale e un pignoramento potrebbe essere dietro l’angolo.

In sintesi, trascorso oltre un anno dalla chiusura, non hai più accesso agli strumenti ordinari di composizione. È una situazione scomoda e la regola può sembrare dura, ma è fatta per evitare abusi di ex imprenditori che, dopo anni di inattività, si svegliano chiedendo concordati tardivi. Se sei completamente nullatenente, per fortuna l’ordinamento ti dà comunque una chance con l’esdebitazione incapiente; altrimenti, rimane solo la via degli accordi privati o della difesa in extremis dai singoli pignoramenti.

D: E se i creditori non approvano la proposta di concordato minore? Finisce tutto?
R: Non necessariamente. Come spiegato, se i creditori bocciano il concordato (non si raggiunge il 60% di voti favorevoli), il tribunale dichiara improcedibile quel concordato. Ma subito dopo può aprire d’ufficio la liquidazione controllata dei beni. L’art. 82 CCII infatti prevede che, su istanza del debitore (che di solito si fa furbo e la chiede in subordine) o anche solo preso atto del fallimento del concordato, il giudice conversione in liquidazione. In pratica: se tu debitore l’avevi chiesto come opzione secondaria nel ricorso, quasi sicuramente la otterrai; se anche non l’avevi chiesto, il giudice valuterà se ci sono i presupposti (di solito sì, perché se eri insolvente per il concordato lo sei anche per la liquidazione) e aprirà la liquidazione per non lasciare tutti senza regole. Quindi non “finisce tutto”: si passa alla liquidazione, che almeno blocca comunque i creditori (che altrimenti, libero dal concordato, si avventerebbero sui tuoi beni residui uno per uno). E tu, come persona fisica, potrai poi ottenere l’esdebitazione a fine liquidazione. Certo, dal tuo punto di vista può essere deludente perché speravi in una soluzione concordataria magari conservativa; ma almeno mantieni il vantaggio di risolvere la situazione in sede concorsuale (cioè con ordine e tempi certi). Nota: se pensi già in anticipo che i creditori non approveranno il tuo piano, puoi anche rinunciare al concordato prima del voto e chiedere subito la liquidazione controllata, per risparmiare tempo e costi. Molti debitori fanno così, soprattutto se vedono opposizione forte (es. la banca principale ha già dichiarato che voterà no). Tra il portare testardamente a voto un concordato destinato al rigetto e passare subito a liquidazione, meglio la seconda: riduci i costi del commissario e i mesi persi. Dipende dalla probabilità di successo stimata. A volte si può però anche convincere i pochi dissenzienti con aggiustamenti “al volo”: il giudice può ammettere modifiche migliorative al piano dopo il voto se c’è margine per cambiare le maggioranze (es. un tribunale ha permesso di migliorare l’offerta e far votare di nuovo nel 2025). Dunque, c’è un piccolo margine di manovra anche se inizialmente manca qualche punto percentuale di consenso – si può trattare con i creditori contrari per convincerli e ribaltare l’esito. In generale però, prevedi sempre un piano B: proponi il concordato se pensi di farcela, altrimenti preparati alla conversione in liquidazione.

D: Quali sono i costi da affrontare per queste procedure?
R: I costi si possono dividere in:

  • Compenso dell’OCC/gestore: è stabilito per legge su parametri (D.M. 202/2014) ed è in parte proporzionato all’attivo e al numero di creditori. Per piccole masse debitorie può essere contenuto (qualche migliaio di euro); se ci sono beni rilevanti da liquidare, il compenso è una percentuale sul ricavato. In genere, il tribunale può liquidare un compenso finale al gestore/commissario e al liquidatore. Spesso all’inizio l’OCC chiede un piccolo fondo spese (ad es. 2-3mila euro) per coprire le attività iniziali e le spese vive (bollati, visure, notifiche). Se il debitore non ha nulla, alcuni OCC accettano di essere pagati solo a fine procedura coi realizzi (ma dipende).
  • Spese di procedura: bolli, contributo unificato (attenzione: per il concordato minore e liquidazione controllata il contributo unificato è di €(?) – di solito allineato al fallimento, intorno a €732 – occorre verificarlo; per il piano del consumatore era esiguo), spese di pubblicazione (es. iscrizione al registro delle imprese della procedura, avvisi ai creditori). Queste voci non sono molto alte, diciamo qualche centinaio di euro complessivi.
  • Compenso dei professionisti del debitore: l’avvocato che ti assiste e l’eventuale commercialista che aiuta a redigere il piano. Questi non sono coperti dalla procedura (cioè li paghi tu a parte, salvo diverso accordo). Alcuni professionisti applicano tariffe agevolate sapendo che il debitore è in crisi; altri chiedono un anticipo. È importante chiarire fin dall’inizio come verranno pagati. Talvolta si può concordare che il legale venga soddisfatto in prededuzione in caso di concordato (cioè il suo compenso è considerato costo della procedura e pagato con priorità).
  • Altre spese eventuali: se c’è da stimare un immobile, può servire una perizia (costo da 500 a 1500 €); se c’è da pubblicare un annuncio su un quotidiano (in qualche liquidazione può succedere), ulteriore costo; se c’è da mantenere l’azienda in esercizio provvisorio qualche mese, bisogna prevedere le spese correnti (ma quelle dovrebbero venire dall’incasso dell’attività stessa).

In generale, le procedure minori hanno costi inferiori rispetto a un fallimento tradizionale, ma non sono a costo zero. Un ex imprenditore deve mettere in conto almeno qualche migliaio di euro di costi procedurali e professionali. Tuttavia, questi costi spesso si “ripagano” con il vantaggio ottenuto: ad esempio, spendere 10 mila euro tra OCC e avvocato per liberarsi da 300 mila euro di debiti è comunque un ottimo affare, se visto così. Inoltre certi costi (OCC, liquidatore) verranno prelevati dall’attivo liquidato e non dalle tue tasche direttamente, se hai beni. Se invece non hai beni né entrate, l’ostacolo può essere trovare un professionista disposto ad aiutarti confidando solo nell’eventuale esdebitazione (qui può venire in aiuto lo Stato con il Patrocinio a spese dello Stato, se ne hai i requisiti, per le parcelle legali). In conclusione, informati bene in anticipo sui costi: qualunque OCC è tenuto a darti un’idea del suo compenso e l’avvocato deve presentarti un preventivo di massima.

D: Cosa succede ai fideiussori e coobbligati (es. mio padre garante del mutuo) se io faccio il concordato o altra procedura?
R: Le procedure di sovraindebitamento non estendono i loro effetti ai coobbligati e garanti che non siano anch’essi parte della procedura. In altre parole, se tu fai un concordato minore e paghi ad esempio il 50% ai creditori, tu sarai liberato del restante 50% grazie all’esdebitazione finale, ma il tuo garante (che so, tuo padre che ha firmato fideiussione o avallo) rimane obbligato in solido per quella parte residua. Il creditore può quindi rivalersi su di lui per recuperare la differenza. Questo è un punto cruciale da capire: la tua procedura protegge solo te. Se vuoi tutelare anche i garanti, occorre trovare soluzioni ad hoc. Alcune possibili:

  • Far sì che il garante partecipi anche lui alla procedura. Ad esempio, se tuo padre garante è a sua volta sovraindebitato, potrebbe presentare un piano del consumatore suo per gestire il debito derivante dall’escussione, o addirittura (se è coinvolto nell’attività) potreste proporre un concordato congiunto familiare. Il CCII prevede procedure familiari unificate se c’è intreccio di debiti. Ad esempio, se l’agriturismo era un’impresa familiare e tuo padre era coobbligato, potreste proporre insieme un concordato minore che includa i debiti di entrambi, in modo che anche il garante sia liberato (la fattibilità tecnica va valutata caso per caso con l’OCC). In mancanza di ciò, la regola è: il concordato libera solo te, i garanti restano obbligati. Nessuna esdebitazione per loro a meno che non facciano anche loro una procedura propria.
  • Convincere il creditore a rinunciare all’azione di regresso verso il garante come parte dell’accordo. In alcuni casi, si può negoziare con la banca: “vi pago il 40% in concordato, e voi liberate la fideiussione di mio padre”. Non è automatico ma se il garante ha poche risorse o minaccia a sua volta procedure, la banca potrebbe accettare. Tuttavia, se il garante è solvibile e ha patrimonio, la banca sarà poco propensa a rinunciare. Anzi, alcuni creditori, sapendo di avere un garante solido, potrebbero astenersi dall’aderire al tuo piano, preferendo rifarsi sul garante. Ad es. se tuo padre possiede vari immobili, la banca magari vota contro il concordato così da poter agire direttamente su di lui. Purtroppo, non puoi impedirlo legalmente.
  • Coinvolgere proattivamente i garanti nella soluzione: se un familiare ti ha garantito, conviene sedersi anche con lui al tavolo e vedere se può contribuire economicamente per chiudere la posizione. Ad esempio, tuo padre potrebbe offrirsi di pagare una parte del debito garantito all’interno del concordato, evitando di essere escusso totalmente dopo. In alcune esperienze si è visto che i garanti presentano impegni unilaterali per agevolare l’omologazione: ad esempio, il garante dichiara che rinuncia a rivalersi su di te per ciò che pagherà, o addirittura versa una somma nel piano a beneficio dei creditori (questo convince i creditori ad accettare di più). Se il garante è disponibile, potete anche formalizzare un accordo separato: ad es. la banca accetta il concordato e in cambio il garante le paga un extra fuori procedura. Bisogna muoversi con trasparenza ma è fattibile.

In sintesi, se hai garanti o coobbligati, non dimenticartene: la tua procedura non li salva automaticamente. Valuta se è il caso di includerli (procedura familiare o parallela) o di raggiungere accordi specifici. Ricorda anche che, se il garante viene escusso e paga al tuo posto, diventa lui creditore nei tuoi confronti (salvo rinuncia). Quindi, tecnicamente potrebbe insinuarsi nella tua procedura come creditore surrogato. Ma se la sua pretesa nasce dopo l’apertura, resterà un credito post-concorsuale non toccato dall’esdebitazione… insomma, meglio prevenire coinvolgendolo prima. Nel caso concreto dell’agriturismo, è molto comune che i genitori o coniugi abbiano garantito mutui: bisogna quindi far squadra familiare per uscire insieme dalla crisi, se possibile.

(Ad esempio, nell’Esempio 2 più avanti vedremo che due soci-garanti di un mutuo bancario, dopo la liquidazione della società, sono stati comunque inseguiti dalla banca per il residuo; hanno però ottenuto la propria esdebitazione incapiente, risolvendo anche la loro posizione personale).

D: Posso accedere di nuovo a una procedura se in futuro torno in difficoltà?
R: La legge pone dei limiti temporali per accedere più volte ai benefici di esdebitazione. Se hai già ottenuto un’esdebitazione (o anche solo omologato un piano) in passato, devi aspettare almeno 4-5 anni per poterne usufruire di nuovo. Nello specifico: non si può ottenere una seconda esdebitazione prima di 5 anni dall’altra (art. 280 CCII per liquidazione, analogamente art. 283 per incapienti); inoltre, se hai presentato una domanda di sovraindebitamento che è stata rigettata o revocata per tue inadempienze o frodi, ciò sarà ostativo a ripresentarla per un certo periodo. L’idea è evitare che un debitore abusi regolarmente di queste procedure per ripulirsi e indebitarsi di nuovo. In più, considera che il fattore meritevolezza verrebbe meno se uno ricade spesso: il giudice potrebbe dire “non hai imparato la lezione, eri già stato esdebitato, ora arrangiati”. Dunque, è un’opportunità da giocarsi una volta sola, o comunque da non ripetere se non in casi eccezionali. L’obiettivo del legislatore è che, una volta risanato o liberato dai debiti, il debitore non torni a indebitarsi irresponsabilmente; perciò, se succede nuovamente, sarà più difficile ottenere clemenza. Quindi, la risposta è: formalmente puoi accedere di nuovo dopo un certo numero di anni, ma praticamente speriamo non ce ne sia bisogno. Fai tesoro della seconda chance e cerca di gestire prudentemente le finanze in futuro.


Esempi pratici e simulazioni

Vediamo ora due casi ipotetici che illustrano come le soluzioni descritte possono applicarsi a situazioni reali di ex titolari di agriturismo indebitati:

Esempio 1: Concordato Minore in Continuità Aziendale

Scenario: L’Azienda Agricola Rossi è un’impresa familiare toscana che coltiva ortaggi biologici e gestisce un piccolo agriturismo nel casale di famiglia. Negli ultimi anni ha accumulato €400.000 di debiti: €150.000 con una banca locale (mutuo ipotecario sul casale e sui terreni), €50.000 con fornitori di sementi e fertilizzanti, €80.000 di debiti fiscali (IVA non versata e contributi INPS arretrati), €20.000 di bollette luce/gas non pagate e €100.000 di prestiti ricevuti da parenti durante la crisi. Le cause della crisi sono state due annate di maltempo che hanno distrutto i raccolti e la pandemia Covid-19 che ha azzerato le prenotazioni dell’agriturismo. Di recente, però, l’azienda ha ottenuto un contratto importante per fornire i suoi prodotti a una catena di supermercati bio, che potrebbe riportarla in utile se riesce a riorganizzare i pagamenti. I fornitori però sono in pressing (alcuni hanno già ottenuto decreti ingiuntivi) e la banca minaccia di escutere l’ipoteca sul casale. La famiglia Rossi vuole disperatamente evitare di chiudere l’agriturismo e perdere la terra di famiglia.

Soluzione scelta: Concordato Minore in continuità aziendale. Decidono di rivolgersi a un OCC e avviare un concordato, per bloccare le azioni legali e proporre una ristrutturazione sostenibile.

Azione: Con l’aiuto del gestore OCC e del loro avvocato, i titolari predispongono un piano di concordato che prevede di: mantenere attiva l’azienda (agriturismo e coltivazione proseguono), vendere un terreno secondario (non essenziale, stimato €80.000) per ricavare liquidità, e sfruttare i futuri utili dell’attività per pagare gradualmente i creditori chirografari. In dettaglio, la proposta è: la banca ipotecaria sarà soddisfatta integralmente, utilizzando il ricavato della vendita del terreno (€80k) più rate annuali per i restanti €70k nei successivi 3 anni. (La banca ha ipoteca sia sul terreno secondario sia sul casale principale: pagando tutto, si liberano entrambe le ipoteche, salvando il casale). I fornitori e altri chirografari (totale ~€70k) riceveranno il 40% dei loro crediti, quindi circa €28k, dilazionati in 4 rate semestrali (€7k ogni 6 mesi) attingendo dai profitti dell’agriturismo. I prestiti dei parenti (€100k) verranno postergati volontariamente: i parenti, consapevoli della situazione, accettano di essere pagati solo dopo gli altri creditori, e forse di convertire parte del credito in quote societarie in futuro (di fatto rinunciano a rivalersi). I debiti fiscali (€80k, di cui €50k IVA e €30k contributi) verranno stralciati di sanzioni e interessi e pagati al 60% (€48k) in 5 anni. Questa percentuale è stata scelta per ottenere il voto favorevole dell’Erario offrendo qualcosa in più del minimo (si è stimato che in una liquidazione i creditori fiscali avrebbero forse preso il 40-50%, quindi offrendo 60% si rende il piano conveniente per loro). Le bollette (€20k) saranno pagate al 100% ma dilazionate in 2 anni, poiché le utility (luce/gas) di solito pretendono l’integrale per non cessare le forniture, ma accettano rate. Il piano ha una durata complessiva di 5 anni. Il flusso di cassa previsionale, considerando il nuovo contratto con i supermercati e un taglio di costi, mostra che l’azienda può generare circa €15k annui di surplus, sufficienti a coprire le rate previste.

Esecuzione: Il tribunale apre la procedura, nomina un commissario giudiziale e sospende le azioni esecutive in corso (i decreti ingiuntivi dei fornitori vengono congelati). Si procede alla vendita del terreno secondario: poiché in concordato è possibile vendere senza asta con autorizzazione del giudice, la famiglia trova un acquirente privato a €85k (leggermente sopra la stima) e il giudice approva la vendita. Ciò libera l’ipoteca su quel terreno e fornisce liquidità immediata. Si passa al voto:

  • La banca vota favorevole (ottiene il 100% del suo credito, solo un po’ dilazionato, e evita anni di cause).
  • Il Fisco (Agenzia Entrate e INPS) esprime voto favorevole: accetta il 60%, valutando che in una liquidazione forse avrebbe preso meno e apprezzando che l’azienda resti viva (così potrà pagare imposte future).
  • I fornitori (che rappresentano l’80% dei crediti chirografari) votano : preferiscono incassare il 40% piuttosto che rischiare zero, e molti sono interessati a continuare a vendere all’azienda in futuro (quindi vogliono che resti attiva).
  • I piccoli creditori come le utility, essendo pagati integralmente, non hanno diritto di voto (non sono “incisi” dal piano).

Si raggiunge così circa l’85% di adesioni, ben sopra il 60% richiesto. Il concordato viene approvato e omologato dal giudice.

Risultato: L’azienda prosegue l’attività. Nei 5 anni successivi, segue fedelmente il piano: versa puntualmente le rate ai creditori alle scadenze previste, sotto la vigilanza del commissario (che resta in funzione di monitoraggio). L’andamento migliora: le stagioni agrituristiche sono buone, il contratto con i supermercati viene rispettato e genera il flusso di cassa sperato. Dopo 5 anni, tutti i creditori concorsuali hanno ricevuto quanto previsto: la banca 100%, i fornitori 40%, il Fisco 60%, ecc.. Il tribunale a questo punto dichiara eseguito il concordato. Conseguenza: i debiti residui vengono cancellati per effetto dell’esdebitazione del debitore. Ad esempio, il restante 60% dei crediti fornitori (€42k) e il restante 40% del debito fiscale (€32k), nonché i €100k verso i parenti (che erano stati postergati integralmente), sono tutti azzerati. L’azienda agricola Rossi si ritrova con zero debiti pregressi e ha mantenuto il casale di famiglia, l’agriturismo e il terreno principale. I parenti che formalmente hanno perso €100k se ne fanno una ragione (erano soldi prestati per aiutare e accettano di non rivederli). L’Agenzia delle Entrate ha incassato €48k dilazionati e ora l’azienda è di nuovo in regola col Fisco; i fornitori, pur avendo preso solo il 40%, hanno potuto compensare in parte con nuovi ordini negli anni e comunque preferiscono aver mantenuto un cliente piuttosto che vederlo fallire. Tutti gli stakeholders concordano che questo esito è molto migliore rispetto a un fallimento, dove probabilmente l’azienda avrebbe chiuso e i creditori sarebbero rimasti quasi a bocca asciutta.

Commento: Questo esempio mostra un concordato minore “misto” (un po’ di liquidazione di beni, un po’ di continuità), cucito sulle esigenze dell’azienda agricola. È stato fondamentale ottenere la collaborazione dei creditori: il successo è dipeso dal fatto che la proposta era credibile e conveniente per loro. La banca, ad esempio, ha evitato anni di causa esecutiva ed ha recuperato tutto; il Fisco ha incassato qualcosa in tempi certi e ha un contribuente ancora vivo per il futuro. Il debitore ha dovuto sacrificare un terreno, ma ha salvato il cuore dell’azienda (casale e terreno principale). Dopo 5 anni di sacrifici, la famiglia Rossi può dirsi risanata: ha ancora un agriturismo funzionante e nessun debito pregresso. Questo caso concreto dimostra il potere del concordato minore quando ben utilizzato.

Esempio 2: Liquidazione Controllata ed Esdebitazione

Scenario: La Società Agricola Verde è una S.r.l. semplificata vitivinicola a conduzione familiare. Purtroppo è ormai decotta: aveva investito molto in un nuovo impianto di vigneto, ma una malattia delle viti ha distrutto il raccolto per due anni di fila. Ha €600.000 di debiti: €300.000 con una banca (mutuo ipotecario su terreni e cantina), €100.000 con fornitori vari (bottiglie, concimi, energia), €150.000 di debiti con l’Erario (IVA di 3 anni non versata e avvisi di accertamento) e €50.000 con altri creditori vari. Il patrimonio consiste in 5 ettari di vigneto (valore stimato €250k, ma ipotecati per il mutuo) e alcune attrezzature vecchie (valore modesto). Non ci sono acquirenti interessati all’azienda “in blocco” perché i vigneti sono malati e andrebbero espiantati a caro costo. I soci hanno deciso di cessare l’attività: troppo oneroso proseguire in perdita.

Soluzione: Liquidazione Controllata su istanza dei creditori, seguita da esdebitazione. Qui i soci non sono riusciti ad anticipare una soluzione (anche perché poco fattibile un concordato: l’azienda non è salvabile). Sono i creditori a muoversi per primi.

Azione dei creditori: La banca, vedendo l’inazione dei debitori, notifica un decreto ingiuntivo e iscrive ipoteca giudiziale su un altro piccolo terreno di proprietà della società (non ipotecato prima). Poi, stanca di aspettare, presenta un’istanza di liquidazione controllata al tribunale, allegando prova dell’insolvenza e dell’esposizione > €50k. I fornitori principali appoggiano l’istanza depositando anche loro i crediti. Il tribunale, verificati i requisiti, dichiara aperta la liquidazione controllata della Società Verde. Nomina un liquidatore giudiziale e spoglia gli amministratori (i soci) della gestione.

Svolgimento: Il liquidatore prende in mano i beni. Constatato che i vigneti sono in cattivo stato, invece di tentare inutilmente di vendere l’azienda intera, decide di vendere i terreni come terreni agricoli liberi da coltura. Riesce a trovare un acquirente (un fondo d’investimento) disposto a pagare €200.000 per tutti e 5 gli ettari, valutando di riconvertirli ad altra coltura. La cantina (un piccolo fabbricato rurale) e i macchinari vengono venduti all’asta per altri €30.000. In totale il liquidatore incassa circa €230.000 lordi. Nel frattempo tutti i creditori presentano insinuazione al passivo, e il giudice forma lo stato passivo con €600k di debiti ammessi. Seguendo l’ordine dei privilegi: la banca ha ipoteca sui terreni, quindi su €230k incassati, diciamo che dopo spese procedurali restano €180k da distribuirle (valore ipoteche). Rimane per la banca un insoluto di €120k (aveva 300k). I fornitori e altri chirografari ricevono un piccolo riparto con quel poco rimasto dopo i privilegi: circa un 10% dei loro crediti (ogni €100 di credito, ne prendono €10). Anche il Fisco, che aveva privilegio generale e su beni mobili, prende qualcosa in concorso con gli altri chirografari (forse pure intorno al 10%). Insomma, di €600k di debiti, se ne pagano all’incirca €200k, il resto rimane insoluto. Dopo aver liquidato tutto, il liquidatore chiede la chiusura della procedura, avendo esaurito l’attivo disponibile.

Esdebitazione: La società essendo una S.r.l. verrà cancellata dal registro imprese; in quanto tale, non beneficia di esdebitazione (solo le persone fisiche possono). I debiti sociali residui (circa €400k) restano inesigibili verso la società, perché cessata – ma ciò non protegge eventuali garanti personali. Infatti, in questo caso i due soci avevano dato fideiussione personale per metà del mutuo bancario (cioè garantivano €150k). La banca, dopo aver recuperato €180k dalla procedura, rimane creditrice di €120k e può legittimamente escuterli dai garanti, pro quota. I due soci, persone fisiche, a questo punto sono anch’essi di fatto insolventi e nullatenenti: la società era tutto il loro patrimonio (hanno perso i terreni), a parte la casa in cui vivono che però è in affitto; risparmi non ne hanno. Decidono quindi di chiedere anch’essi l’esdebitazione personale come incapienti. Il tribunale, verificato che non hanno beni e che sono meritevoli (hanno cooperato col liquidatore, non hanno nascosto nulla, la loro rovina è dovuta alla malattia delle piante, non a colpa grave), concede l’esdebitazione del debitore incapiente a entrambi per i debiti sociali rimasti che essi garantivano. Ciò li tutela da qualunque azione futura della banca o di altri creditori che volessero rifarsi su di loro come garanti: in virtù del decreto di esdebitazione, anche i loro obblighi di garanzia vengono meno (la banca non potrà chiedere loro quei €120k).

Risultato: La Società Verde è stata liquidata e cessata. Il patrimonio è stato interamente distribuito ai creditori secondo par condicio; la maggioranza dei creditori è rimasta insoddisfatta (ha avuto briciole, ~10%), ma almeno la vicenda si è chiusa in modo trasparente. I creditori non soddisfatti non potranno più rivalersi sui soci, perché questi hanno ottenuto l’esdebitazione in quanto incapienti onesti. La banca ha dovuto accettare la perdita, ma almeno ha chiuso la partita e potrà dedurre fiscalmente il credito inesigibile; i fornitori hanno perso quasi tutto, ma sanno che quello era il massimo ricavabile vendendo i beni (spesso i fornitori agricoli sono consapevoli dei rischi quando continuano a dare merce a chi è in difficoltà). I soci, dopo anni di angosce, si ritrovano senza azienda né beni, ma anche senza debiti: potranno cercare un impiego come enologi per terzi, o magari tra qualche anno avviare una nuova attività (con prudenza e diversificando i rischi) senza la spada di Damocle dei vecchi debiti. Nessuno potrà più domandare loro un euro su quel passato. Si è evitata la loro “morte civile” e hanno ottenuto una seconda chance.

Commento: Questo caso illustra la liquidazione controllata pura. L’iniziativa è venuta dai creditori, ma avrebbe potuto benissimo venire anche dal debitore (se i soci avessero agito per primi). È stato cruciale vendere i terreni al loro reale valore di mercato in tempi ragionevoli, cosa che la procedura concorsuale ha facilitato: il liquidatore ha accettato un’offerta adeguata, evitando aste infinite e svalutazioni eccessive. I soci sono stati protetti dalla rovina perpetua grazie all’esdebitazione personale: lo Stato ha privilegiato il principio della seconda opportunità rispetto alla pretesa dei creditori di inseguirli vita natural durante. Ovviamente, i creditori insoddisfatti se la prendono con la sfortuna (malattia delle viti) e forse con sé stessi per aver continuato a fare credito nonostante segnali negativi. Ma almeno tutto si è risolto in tempi relativamente brevi e con esiti chiari, evitando strascichi indefiniti. Questo esempio, comparato col precedente, evidenzia come – a seconda delle circostanze – il ventaglio di soluzioni può portare a esiti diversi: nel primo caso la continuità aziendale e il rimborso parziale dei crediti, nel secondo la cessazione dell’attività ma con “pulizia” totale del pregresso. L’importante è che oggi l’imprenditore agricolo indebitato non è più da solo di fronte ai debiti: il sistema legale offre strumenti strutturati per gestirli e superarli, a patto di attivarsi per tempo, con trasparenza e con piani realistici.

Fonti e Riferimenti Normativi

  1. D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – Disposizioni generali e procedure di sovraindebitamento: art. 2 (definizioni di sovraindebitamento, consumatore, imprenditore minore, ecc.), art. 12 (accesso imprenditori agricoli alla composizione negoziata), art. 33 (preclusione procedure concorsuali se cessazione attività > 1 anno), artt. 67-73 (ristrutturazione dei debiti del consumatore), artt. 74-83 (concordato minore), artt. 268-277 (liquidazione controllata), art. 282 (debiti non esdebitabili), art. 283 (esdebitazione del debitore incapiente). (G.U. 14 feb 2019 n.38, in vigore dal 15 luglio 2022; modifiche integrative D.Lgs. 147/2020, 83/2022, 136/2024).
  2. Cass. civ. Sez. I, 28/11/2023 n. 32977 – Pronuncia che conferma l’esenzione dal fallimento per gli imprenditori agricoli anche sotto il CCII. Ribadito che la qualifica di impresa agricola va determinata in base all’attività effettivamente svolta (art. 2135 c.c.), non su etichette formali; se un’azienda “agricola” svolge prevalentemente attività commerciale (oltre i limiti di marginalità agraria), può perdere lo status agricolo ed essere dichiarata fallibile. (Vedi anche Cass. 7/2/2023 n. 3715: caso di società vitivinicola considerata fallibile perché eccedeva i limiti delle attività connesse).
  3. Cass. civ. Sez. I, 26/07/2023 n. 22699 – Sentenza che sancisce l’inaccessibilità delle procedure concorsuali minori per l’imprenditore (anche agricolo) che abbia cessato l’attività da oltre 12 mesi. Estende il principio dell’art. 10 L.F. (che riguardava il fallimento) al concordato semplificato e, dopo il correttivo 2024, esplicitamente anche al concordato minore e alla liquidazione controllata.
  4. D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 – Normativa che ha introdotto in via anticipata la Composizione Negoziata della Crisi. Ha esteso l’accesso anche agli imprenditori agricoli, equiparandoli ai commerciali per gli strumenti di allerta e composizione stragiudiziale. Ha inoltre introdotto il Concordato Semplificato post-composizione (oggi art. 25-sexies CCII).
  5. Circolare INPS 26/07/2023 n. 70 – Adeguamento del Fondo di Garanzia TFR e ultime retribuzioni alle nuove procedure introdotte dal CCII. Elenca le procedure concorsuali che attivano il Fondo: include il concordato semplificato, esclude espressamente concordato minore e liquidazione controllata (quindi per queste i dipendenti devono richiedere l’intervento come da art. 2 L.297/1982 per datore non soggetto a fallimento). Fornisce istruzioni su come i lavoratori di datori “non fallibili” possono ottenere il TFR dal Fondo presentando il decreto di non assoggettabilità o bilanci sotto soglia.
  6. Codice Civile – art. 2135 – Definizione di imprenditore agricolo (coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento, attività connesse). Rilevante per determinare la natura agricola dell’attività e quindi la fallibilità. Cass. 32977/2023 richiama l’interpretazione estensiva moderna (inclusione attività connesse, ma esclusione di attività non ricomprese).
  7. Direttiva (UE) 2019/1023 (Insolvency Directive) e Principio della “seconda chance” – Norma europea recepita che sancisce il favor verso la liberazione dai debiti degli imprenditori onesti entro 3 anni. Il CCII ha attuato questo principio riducendo requisiti e prevedendo l’esdebitazione dell’incapiente. Corte Cost. 245/2019 – Sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità del divieto di falcidia dell’IVA nelle procedure di sovraindebitamento, affermando il principio di proporzionalità e adeguatezza nel trattamento del debitore civile, poi recepito dal legislatore.
  8. Cass. civ. Sez. I, 24/10/2024 n. 27562 – Sentenza innovativa in tema di esdebitazione (pubblicata 6/11/2024). Ha chiarito che nel regime del CCII non è più richiesto un soddisfacimento “minimo” dei creditori per accedere al beneficio. Il giudice deve valutare con prudente apprezzamento la parzialità del soddisfacimento, considerando tutte le circostanze; una percentuale anche bassissima (nel caso >1%) non preclude l’esdebitazione se non è meramente simbolica in rapporto alle possibilità reali del debitore. Ribadito il focus sul requisito soggettivo della condotta del debitore (meritevolezza) invece che su criteri rigidi quantitativi.
  9. Cass. civ. Sez. I, 22/02/2025 n. 5157 – Ordinanza sulla legittimazione al reclamo nelle omologhe di piani del consumatore. Ha precisato che solo i creditori che hanno partecipato formalmente al giudizio di omologa possono proporre reclamo avverso l’omologazione, salvo il caso di creditori pretermessi per errore di notifica. Chiarisce quindi che un creditore non compare nel procedimento non può impugnare l’omologa decorso il termine. (Si collega a Cass. 34158/2024 che ha disciplinato i termini di reclamo in assenza di notifica del decreto).

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Conclusione

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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