Donna Vittima Di Violenza Con Debiti: Come Difendersi

Hai subito violenza e ora ti ritrovi anche con debiti?
Sei una donna vittima di maltrattamenti, abusi o violenza economica e ti ritrovi con cartelle esattoriali, richieste di pagamento, pignoramenti o segnalazioni da parte di finanziarie o Agenzia delle Entrate? In questi casi è fondamentale sapere che esistono strumenti legali per difendersi, tutelare il tuo patrimonio e ricostruire la tua indipendenza economica.

Quando una donna vittima di violenza può trovarsi con debiti non sostenibili?
– Quando il partner violento ti ha intestato finanziamenti, mutui o contratti a tua insaputa o sotto minaccia
– Quando sei stata coinvolta in attività economiche o fiscali gestite da altri, ma a tuo nome
– Quando, dopo la separazione o la fuga, ti ritrovi con debiti non gestiti o lasciati dal compagno
– Quando sei socio o coobbligata in società familiari o attività con il tuo ex
– Quando, per anni, sei stata isolata o privata della possibilità di gestire i tuoi soldi

Cosa può arrivarti come conseguenza?
– Cartelle esattoriali per debiti fiscali o contributivi
– Atti di recupero coattivo da parte dell’Agenzia delle Entrate o INPS
– Decreti ingiuntivi per prestiti, carte di credito, mutui intestati
– Iscrizioni a ruolo, fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti
– Notifiche di responsabilità solidale in imprese gestite dal partner

Come puoi difenderti se sei vittima di violenza e hai debiti?
Raccogli tutte le prove della situazione di violenza (denunce, referti, verbali, relazioni dei centri antiviolenza)
– Dimostra che la firma su contratti, fideiussioni o finanziamenti è avvenuta sotto costrizione o senza consapevolezza
– Valuta la nullità o annullabilità degli atti sottoscritti in condizione di dipendenza o minaccia
– Se hai debiti fiscali, puoi accedere a strumenti di definizione agevolata, rateizzazione o transazione fiscale
– Se sei in grave difficoltà economica, valuta l’accesso alla procedura da sovraindebitamento: puoi ottenere l’esdebitazione
– Con il supporto di un legale, puoi chiedere la sospensione o la revoca degli atti esecutivi ingiusti
– Se necessario, puoi intraprendere azioni di responsabilità contro chi ha abusato della tua identità economica

Cosa puoi ottenere con la giusta assistenza legale?
– L’annullamento o la sospensione dei debiti contratti in contesto di violenza o abuso
– La possibilità di rateizzare o azzerare i debiti, grazie a strumenti di legge e alle condizioni soggettive
– La tutela del tuo patrimonio personale, soprattutto in fase di ricostruzione della vita autonoma
– La protezione legale contro banche, finanziarie e Agenzia delle Entrate, se hanno agito senza tenere conto del tuo stato
– Il recupero della tua dignità e libertà economica, passo indispensabile per ripartire

Attenzione: se sei vittima di violenza e ti trovi schiacciata dai debiti, non sei sola e non sei senza difesa. L’ordinamento italiano riconosce strumenti specifici per proteggere chi ha subito violenza, anche sul piano economico e fiscale. Agire subito è fondamentale per evitare danni irreparabili.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti nella tutela legale delle donne vittime di violenza, contenzioso tributario e difesa patrimoniale ti spiega come affrontare una situazione debitoria ingiusta, difenderti in modo efficace e riprendere il controllo della tua vita.

Se sei una donna vittima di violenza e ti ritrovi con debiti che non riesci a gestire:
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Introduzione

Una donna che subisce violenza domestica ed economica spesso si ritrova intrappolata non solo in una situazione di paura e sopraffazione, ma anche in una spirale di debiti accumulati a causa degli abusi. L’abusante può averle impedito di lavorare, controllato ogni spesa, contratto prestiti a suo nome o prosciugato i suoi risparmi – forme di violenza economica riconosciute oggi come parte integrante dei maltrattamenti familiari. Le conseguenze per la vittima possono essere devastanti: perdita di autonomia, impossibilità di far fronte alle spese quotidiane e sovraindebitamento crescente.

Negli ultimi anni il legislatore e la giurisprudenza in Italia hanno preso coscienza di questa realtà, introducendo strumenti giuridici e misure di sostegno specifiche. Importanti riforme della normativa sulla crisi da sovraindebitamento – in particolare il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e le sue modifiche più recenti – mirano a agevolare l’accesso delle persone sovraindebitate (come le vittime di violenza) a procedure di ristrutturazione o cancellazione dei debiti. Ad esempio, il “Correttivo Ter” del 2024 (D.Lgs. 136/2024) ha reso queste procedure più snelle e flessibili, prevedendo anche la possibilità di presentare procedure familiari unitarie per i membri di uno stesso nucleo indebitati insieme. Parallelamente, l’Unione Europea ha emanato la Direttiva (UE) 2024/1385 sulla violenza contro le donne, che invita gli Stati ad adottare misure di prevenzione, protezione e sostegno economico per le vittime, riconoscendo esplicitamente il “controllo economico” come forma di violenza domestica da contrastare.

Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un approfondimento avanzato sugli strumenti legali e sulle tutele disponibili in Italia per una donna vittima di violenza alle prese con debiti. Adottando il punto di vista del debitore, forniremo consigli pratici su come difendersi dai creditori, come accedere alle procedure di sovraindebitamento ed esdebitazione, come ottenere la sospensione di pignoramenti, nonché informazioni su gratuito patrocinio e misure di sostegno sociale disponibili. Il taglio è giuridico ma divulgativo: i riferimenti normativi e giurisprudenziali saranno accompagnati da spiegazioni chiare, esempi concreti, domande e risposte frequenti, oltre a tabelle riepilogative per facilitare la comprensione. L’obiettivo è fornire uno strumento utile sia alle vittime e ai loro consulenti (avvocati, operatori sociali), sia a professionisti e imprenditori interessati a comprendere le tutele previste dall’ordinamento italiano in situazioni di indebitamento legate a contesti di violenza.

Violenza economica e sovraindebitamento

Che cos’è la violenza economica? Si tratta di una forma di abuso mirata a limitare o controllare l’accesso di una persona alle proprie risorse finanziarie. All’interno di una relazione violenta, il partner abusante può mettere in atto diverse condotte di violenza economica, ad esempio: occultare debiti o attivare finanziamenti a nome della vittima (la cosiddetta “infedeltà finanziaria”), impedire alla donna di lavorare o costringerla a lasciare il lavoro, imporre un controllo totale sulle spese e sui conti bancari, fino a minacciare ritorsioni se la vittima prende decisioni economiche autonome. Tutto ciò rende la donna economicamente dipendente dall’abusante e incapace di costruire una propria sicurezza finanziaria.

Le conseguenze di queste dinamiche sono gravi. Spesso la vittima, priva di reddito indipendente e costretta magari a firmare prestiti o usare denaro per ripianare i debiti del partner, finisce per accumulare debiti insostenibili, entrando in una situazione di sovraindebitamento (incapacità cronica di pagare ciò che deve con le proprie risorse). Si crea così un circolo vizioso: la dipendenza economica alimenta la permanenza nella relazione abusante, mentre l’indebitamento crescente rende ancora più difficile per la donna allontanarsi dall’abusatore, per paura delle ripercussioni finanziarie.

Dal punto di vista giuridico, la violenza economica non costituisce in sé un reato autonomo, ma la giurisprudenza la inquadra come parte dei maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) quando si accompagna a minacce, coercizioni e soprusi tali da annullare l’autonomia della vittima. Ad esempio, la Corte di Cassazione con sentenza n. 1268/2025 ha richiamato la Convenzione di Istanbul (ratificata dall’Italia con L. 77/2013) per affermare che privare deliberatamente la partner dei mezzi finanziari e ridurla in stato di soggezione economica costituisce una forma di maltrattamento punibile penalmente. Questo significa che, in un eventuale processo penale, gli episodi di violenza economica (come il controllo totale dello stipendio della moglie, l’imposizione di debiti, ecc.) possono essere valutati dal giudice per integrare gli estremi del reato di maltrattamenti.

È importante che la vittima documenti tutte le forme di abuso economico subite: ad esempio, conservando estratti conto, contratti di finanziamento firmati sotto minaccia, email o messaggi in cui l’abusante ammette di aver contratto debiti a nome suo, ecc. Tali prove saranno utili sia nell’eventuale denuncia penale (per corroborare il racconto degli abusi), sia nelle sedi civili o fallimentari per dimostrare la propria buona fede e ottenere le tutele previste per i debitori onesti ma sfortunati. Denunciare il partner violento alle autorità può inoltre attivare misure di protezione (ordine di allontanamento, etc.) e consentire l’accesso al gratuito patrocinio, come vedremo più avanti.

In sintesi, la violenza economica è un abuso subdolo e distruttivo che priva la donna della libertà finanziaria e la espone al rischio di fallimento personale. Riconoscerne i segni è il primo passo per uscirne: una volta interrotta la relazione violenta, occorre poi affrontare il nodo dei debiti accumulati, sapendo che l’ordinamento mette a disposizione una serie di strumenti per aiutare chi si trova in queste condizioni a ripartire.

Tipologie di debiti frequenti e rischi per la vittima

Una donna vittima di violenza può trovarsi con debiti di varia natura, contratti durante la convivenza con l’abusante o a seguito della separazione. Vediamo quali sono le tipologie di debito più frequenti in questi casi e quali rischi comportano:

  • Debiti bancari e finanziari: prestiti personali, finanziamenti al consumo, carte di credito revolving, scoperti di conto corrente. Spesso il partner potrebbe aver persuaso o costretto la donna a firmare tali prestiti (magari intestandoli a lei perché lui aveva una cattiva reputazione creditizia), oppure aver utilizzato carte di credito a suo nome. Questi debiti, se non rimborsati regolarmente, generano interessi di mora elevati e commissioni. La banca o finanziaria può segnalare la persona come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie e, dopo alcune rate non pagate, inviare la pratica a recupero crediti o avviare un decreto ingiuntivo. In caso di sentenza favorevole, il creditore può procedere con azioni esecutive (pignoramento) sui beni della debitrice.
  • Mutuo ipotecario sulla casa familiare: se la coppia aveva acceso un mutuo per l’abitazione, è comune che la violenza economica porti l’abusante a smettere di contribuire alle rate, lasciando la donna (spesso coobbligata come cointestataria) a farvi fronte da sola. Il mancato pagamento di un certo numero di rate (di solito 6 o più, secondo le clausole contrattuali) dà diritto alla banca di risolvere il contratto di mutuo e pretendere l’immediato rientro dell’intero debito residuo. In mancanza, la banca può agire in via esecutiva, chiedendo il pignoramento e la vendita all’asta della casa. Questo scenario è particolarmente critico se l’abitazione pignorata è la prima casa della debitrice: la legge pone alcuni limiti al pignoramento dell’unico immobile di residenza da parte dei creditori pubblici (Agenzia Entrate Riscossione), ma non vi è un divieto assoluto per i creditori privati (come le banche). Approfondiremo oltre le tutele sulla prima casa.
  • Debiti verso il fisco e gli enti previdenziali: l’abusante può aver lasciato alla donna debiti con Agenzia delle Entrate (ad esempio cartelle esattoriali per tasse non pagate, multe, bollo auto, IMU, ecc.) oppure debiti con l’INPS (mancati contributi di colf/babysitter se formalmente era lei il datore di lavoro) o col Comune (rette scolastiche, asilo nido non pagato, etc.). Questi debiti sono riscossi dall’ente pubblico (oggi Agenzia Entrate Riscossione) tramite cartelle di pagamento. Se la vittima non paga entro i termini, l’Agente della riscossione può iscrivere ipoteca sui suoi immobili e successivamente procedere con pignoramenti (sia immobiliari che su stipendi/pensioni o conti correnti). La normativa attuale vieta però ad Agenzia Entrate Riscossione di pignorare la prima casa del debitore se questa è l’unico immobile di proprietà, in cui egli risiede anagraficamente, e il debito totale è inferiore a 120.000 €. In altri termini, il fisco non può mettere all’asta la prima casa per debiti sotto 120.000 €, anche se può comunque ipotecarla come garanzia. Se il debito fiscale supera 120.000 €, invece, il pignoramento dell’immobile è possibile (previa iscrizione di ipoteca da almeno 6 mesi). Inoltre, per debiti erariali sopra i 20.000 € il concessionario può iscrivere ipoteca (pur senza pignorare immediatamente). Quindi la vittima deve prestare attenzione alla posta: se riceve cartelle esattoriali, è bene attivarsi subito per trovare soluzioni (come chiedere una rateizzazione oppure valutare le procedure di sovraindebitamento di cui diremo).
  • Debiti verso fornitori e privati: bollette di luce, gas, telefono non pagate, canoni di affitto arretrati, spese condominiali insolute, prestiti tra privati (magari denaro prestato da amici o parenti per aiutare la donna a superare un momento difficile). Queste esposizioni, se non saldate, possono anch’esse portare a decreti ingiuntivi e pignoramenti. Ad esempio, il condominio può ottenere un decreto ingiuntivo per le quote non pagate e, se la donna è proprietaria dell’appartamento, pignorarlo (le spese condominiali godono anche di una sorta di prelazione sull’immobile). Il locatore può sfrattare per morosità e chiedere i canoni a mezzo di ingiunzione. I fornitori di servizi essenziali possono sospendere l’utenza (luce, gas) e incaricare società di recupero crediti per il dovuto.

Di fronte a questo panorama di debiti diversificati, la donna vittima si sente comprensibilmente sopraffatta. È importante però sapere che ogni tipo di debito ha possibili soluzioni o attenuanti legali. Ad esempio, alcuni debiti con lo Stato possono essere “rottamati” o stralciati per legge (come i condoni o le definizioni agevolate delle cartelle, periodicamente introdotti), oppure rateizzati fino a 6 anni (72 rate) o 10 anni (120 rate, in casi di grave e comprovata difficoltà) presso Agenzia Entrate Riscossione. I debiti bancari e finanziari possono essere rinegoziati privatamente (chiedendo una moratoria, un abbassamento della rata, un saldo e stralcio) oppure affrontati tramite le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, ove un giudice può omologare un piano per pagarli parzialmente o dilazionarli. Prima di esaminare questi strumenti, è fondamentale avere un quadro chiaro dei propri debiti (tipologia, importi, creditori, eventuali procedure legali già avviate) possibilmente con l’assistenza di un consulente legale o finanziario. Nel prossimo paragrafo vedremo in dettaglio le soluzioni legali disponibili per chi si trova in uno stato di sovraindebitamento, in particolare alla luce delle ultime riforme normative.

Strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento

Quando i debiti accumulati sono oggettivamente superiori alle capacità di rimborso della vittima, la strada più efficace per ottenere sollievo è quella di ricorrere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Si tratta di procedure concorsuali (ossia davanti a un giudice) pensate per i debitori “non fallibili”: consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, start-up agricole, enti non commerciali, ecc., cioè tutti quei soggetti che non possono accedere alle normali procedure fallimentari. L’obiettivo è offrire al debitore meritevole una via d’uscita dai debiti, attraverso la ristrutturazione dei pagamenti o la liberazione integrale dalle obbligazioni residue (la cosiddetta esdebitazione). Di seguito elenchiamo i principali strumenti a disposizione, aggiornati alle modifiche introdotte dal Correttivo Ter del 2024:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: è l’evoluzione del precedente “piano del consumatore” (introdotto con la L.3/2012). È riservato a chi ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale – tipicamente, le persone fisiche consumatrici. Permette di presentare al giudice un piano di pagamento dei debiti, anche parziale, dilazionato nel tempo in base alle proprie disponibilità. Non richiede il voto dei creditori: è il giudice a valutare la fattibilità e soprattutto la meritevolezza del debitore. Se il piano offre ai creditori almeno quanto otterrebbero liquidando i beni del debitore, e se questi ha tenuto un comportamento onesto e diligente, il giudice può omologarlo anche senza l’accordo dei creditori. Durante l’esecuzione del piano il debitore paga secondo le modalità stabilite (ad esempio cede il quinto dello stipendio per X anni, o vende spontaneamente un bene) e al termine ottiene l’esdebitazione dei debiti residui. Il piano può prevedere anche una moratoria fino a 2 anni sui crediti privilegiati (come mutui ipotecari), ossia un differimento temporaneo del pagamento di quelle rate, per dare respiro al debitore nella fase iniziale.
  • Concordato minore: sostituisce il vecchio “accordo di ristrutturazione” della L.3/2012. Si applica quando il debitore non è un semplice consumatore, ad esempio ha debiti derivanti anche da un’attività professionale o d’impresa di piccole dimensioni (incluse imprese cessate di recente). In pratica copre il piccolo imprenditore sotto soglia fallimentare, l’artigiano, il professionista con partita IVA, ecc., ma può essere utilizzato anche da un consumatore che ha qualche debito d’impresa congiuntamente (in tal caso si preferisce il concordato se deve coinvolgere anche eventuali coobbligati non consumatori, come vedremo per le procedure familiari). A differenza del piano del consumatore, il concordato richiede il voto dei creditori: il debitore propone un accordo (che può includere sia pagamento parziale dei debiti che eventuali apporti di risorse esterne, specie se il piano è in prevalenza liquidatorio) e se ottiene la maggioranza (per valore) dei crediti votanti favorevoli, allora il tribunale omologa l’accordo. Se i creditori bocciano la proposta, la procedura di concordato minore non va a buon fine (salvo eventuale conversione in liquidazione controllata). È dunque una soluzione dove è importante il dialogo con i creditori. Il vantaggio, rispetto al fallimento, è che il debitore può mantenere la continuità aziendale se l’accordo lo prevede (ad es. continuare la piccola attività pagando i debiti in percentuale col ricavato futuro). Anche qui, dopo l’esecuzione dell’accordo approvato, il debitore onesto viene liberato dai debiti residui.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: è analoga alla vecchia “liquidazione del patrimonio” ex L.3/2012. In questa procedura si procede a liquidare (vendere) tutti i beni del debitore per distribuire il ricavato ai creditori. È la soluzione tipica quando il debitore non ha una capacità di generare reddito sufficiente per sostenere un piano di pagamenti, oppure quando il suo indebitamento è così elevato da rendere impraticabile un piano di rientro, e preferisce mettere a disposizione ciò che ha subito per chiudere la vicenda. Viene nominato un liquidatore (spesso lo stesso Gestore nominato dall’OCC – Organismo di Composizione della Crisi) che vende i beni non impignorabili e ripartisce il ricavato. Il debitore, se dichiarato meritevole, otterrà dal giudice l’esdebitazione: la cancellazione di tutti i debiti rimasti insoddisfatti con la liquidazione. La liquidazione controllata non richiede il voto dei creditori (è simile a un fallimento semplificato), quindi può essere avviata anche senza il loro consenso. Importante: il Correttivo Ter ha chiarito che vi possono accedere anche ex imprenditori già cancellati dal Registro Imprese (che prima erano in forse). In pratica, se la nostra vittima aveva un’attività commerciale poi cessata, e non è fallibile, può comunque utilizzare la liquidazione controllata per liberarsi dei debiti aziendali residui. Nella liquidazione, il debitore deve collaborare e ha alcuni doveri (dichiarare tutti i beni, consegnarli, evitare di aggravare il passivo); tipicamente durerà qualche anno (dipende dal tempo di vendita dei beni). Al termine, se tutto è andato regolarmente, vi sarà esdebitazione. Questa procedura è spesso consigliabile quando il debitore possiede ancora beni pignorabili (es. una casa, un’auto di valore, ecc.) e la somma ricavabile dalla loro vendita è inferiore al debito totale: accettando di liquidare i propri beni sotto controllo del tribunale, può poi cancellare l’eventuale debito residuo non coperto.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: rappresenta una novità rivoluzionaria introdotta dal Codice della crisi (art. 283 CCII) per dare una seconda chance a chi non ha nulla da offrire ai creditori. In passato chi non aveva beni né reddito non poteva accedere utilmente alle procedure di sovraindebitamento (non potendo proporre né un piano né offrire qualcosa in liquidazione); oggi invece, se una persona fisica si trova in completa indigenza economica, può chiedere al tribunale l’esdebitazione totale dei propri debiti una tantum. I requisiti sono rigorosi: il debitore deve essere meritevole (nessun comportamento fraudolento o gravemente colposo all’origine dei debiti), nullatenente e senza prevedibili miglioramenti futuri di reddito, non deve aver già usufruito di questa procedura in passato, né avere altre procedure concorsuali in corso. In pratica viene dichiarato dall’autorità giudiziaria esdebitato subito, liberando i crediti insoddisfatti. È una forma di “fresh start” immediato per i casi più disperati, bilanciata però da alcune cautele: ad esempio, se nei 4 anni successivi l’esdebitato incapiente dovesse arricchirsi (poniamo vincesse alla lotteria, ereditasse un immobile, ottenesse un impiego ad alto reddito), è previsto che i creditori originari possano chiedere di essere pagati fino a concorrenza della nuova disponibilità finanziaria (al netto di quanto serve al sostentamento dignitoso del debitore). Ciò evita abusi. L’esdebitazione dell’incapiente non richiede il consenso dei creditori e gli eventuali costi di procedura sono ridotti (ad esempio il compenso dell’OCC è dimezzato per legge). Questo strumento è fondamentale per molte vittime di violenza che, uscite dalla relazione, si ritrovano senza lavoro, senza beni e con debiti: invece di restare schiacciate a vita dai debiti impossibili, possono ottenere un colpo di spugna e ripartire da zero, almeno sul piano finanziario. Si noti che è un beneficio utilizzabile solo una volta nella vita, quindi va ponderato bene il momento in cui attivarlo.

Nota sulla “meritevolezza”: tutte le procedure sopra descritte presuppongono che il debitore sia esente da colpe gravi o frodi. La legge (art. 69 CCII e, prima, L.3/2012) elenca alcune cause di esclusione, ad esempio l’aver dissipato il patrimonio con dolo o colpa grave, l’aver fatto ricorso al credito in modo irresponsabile, l’aver omesso di dichiarare certi debiti, ecc. In generale, si considera meritevole quel debitore che ha contratto i propri debiti pensando ragionevolmente di poterli pagare e che non è riuscito a farvi fronte a causa di eventi imprevedibili e a lui non imputabili. Un importante precedente della Cassazione (sent. civ. 27843/2022) ha chiarito che, nel piano del consumatore, spetta al debitore provare di aver assunto obbligazioni proporzionate alle sue capacità patrimoniali e di essere poi caduto in insolvenza per circostanze sopravvenute fuori dal suo controllo. Esempi tipici di eventi scusanti sono: la perdita del lavoro, una malattia grave, la crisi economica generale, ma anche – possiamo senz’altro includerlo – il subire violenza domestica ed economica. Una donna costretta dal marito a indebitarsi (magari sotto minaccia o inganno) o che si ritrova insolvente perché il partner violento le ha impedito di lavorare o l’ha spogliata delle sue risorse, difficilmente potrà essere ritenuta “gravemente colpevole” del proprio indebitamento. Anzi, come visto, certi comportamenti dell’abusante integrano reati (estorsione, maltrattamenti). Dunque, in sede di procedura di sovraindebitamento, mettere in luce con adeguata documentazione il contesto di violenza subito aiuterà a convincere il giudice della propria meritevolezza e buona fede, facilitando l’omologazione del piano o la concessione dell’esdebitazione.

Tabella riepilogativa – Principali procedure di sovraindebitamento

ProceduraA chi si rivolgeCaratteristiche principaliEsito finale
Piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti)Consumatori (debiti personali, non professionali).– Proposta di pagamento parziale/dilazionato ai creditori.– Non richiede voto dei creditori, ma valutazione positiva del giudice sulla fattibilità e meritevolezza.– Possibile moratoria fino 2 anni sui debiti con garanzie (es. mutuo).Se omologato e adempiuto, cancella i debiti residui non pagati (esdebitazione).
Concordato minorePiccoli imprenditori, professionisti, start-up o consumatori con debiti misti (anche da attività).– Proposta di accordo ai creditori (pagamento integrale o parziale con eventuali risorse esterne).– Richiede il voto favorevole di oltre il 50% dei crediti votanti.– Può prevedere la continuità dell’attività economica (se il debitore intende proseguire la sua impresa o lavoro).Se approvato dai creditori e omologato, il debitore paga quanto concordato e ottiene l’esdebitazione del resto. Se bocciato, si può convertire in liquidazione controllata.
Liquidazione controllataQualunque debitore “non fallibile” insolvente (consumatore o imprenditore minore, anche cessato).– Si liquidano (vendono) i beni del debitore (tranne quelli impignorabili) sotto la guida di un liquidatore nominato dal tribunale.– Non richiede consenso dei creditori.– Il debitore deve collaborare e può trattenere solo il minimo vitale e i beni non pignorabili.– Correttivo 2024: accessibile anche ad ex imprenditori cancellati dal Registro Imprese.Al termine, se il debitore è meritevole, il giudice concede l’esdebitazione: tutti i debiti non soddisfatti dalla liquidazione vengono cancellati. (In caso di comportamento fraudolento, l’esdebitazione può essere negata.)
Esdebitazione del debitore incapientePersone fisiche nullatenenti e senza reddito (consumatori o piccoli imprenditori non fallibili). Una sola volta.– Procedura semplificata: il debitore chiede di essere liberato dai debiti pur non offrendo nulla ai creditori.– Ammessa solo se il debitore è meritevole, non ha attualmente beni né prospettive di pagare in futuro, e non ha già beneficiato di esdebitazione simile in passato.– Non serve il voto dei creditori; interviene comunque l’OCC per relazione e controllo.Il tribunale emette decreto che cancella tutti i debiti immediatamente (salvo quelli esclusi per legge, es. debiti alimentari, risarcimenti da illecito penale e obblighi di mantenimento non sono esdebitabili). Clausola di ripresa: se entro 4 anni l’ex debitore ottiene risorse rilevanti, deve pagarle (in tutto o in parte) ai vecchi creditori.

(Nota: restano esclusi da esdebitazione alcuni debiti per legge, ad esempio le obbligazioni alimentari verso i figli o il coniuge, i debiti da sanzioni penali o per danni da reato, le multe penali e poche altre categorie. Tali debiti “inesdebitabili” permangono anche dopo le procedure.)

Come si vede dalla tabella, esistono soluzioni adatte a varie situazioni. Ad esempio, se Paola, vittima di maltrattamenti economici, ha ancora un lavoro stabile e vuole cercare di pagare almeno in parte i propri creditori, potrà proporre un piano del consumatore sostenibile per la sua capacità di reddito, ottenendo magari di congelare le rate del mutuo per un paio d’anni e pagando solo una quota dei debiti chirografari; se invece Maria è stata costretta dall’ex marito a indebitarsi per la sua azienda ora fallita e non ha alcuna possibilità di pagare 200.000 € di debiti, potrebbe optare per la liquidazione controllata, offrendo magari ai creditori quel poco (es. la vendita dell’auto e dei mobili) e venendo esdebitata del grosso; infine, se Anna è disoccupata, senza beni e piena di finanziamenti che il compagno violento le ha fatto intestare, l’unica via sarà probabilmente l’esdebitazione dell’incapiente, liberandola dai debiti immediatamente e permettendole di riprendere in mano la propria vita economica.

Nel prosieguo, analizzeremo anche alcune case history reali di donne vittime di violenza che hanno utilizzato con successo queste procedure per azzerare i loro debiti (v. sezione Esempi pratici). Prima, però, esaminiamo due aspetti collegati di grande rilievo pratico: la procedura familiare (che può facilitare la soluzione congiunta dei debiti quando essi coinvolgono più membri della famiglia) e le modalità per bloccare le azioni esecutive in corso (sospensione dei pignoramenti e limiti legali alla pignorabilità dei beni).

Procedure familiari: affrontare i debiti insieme ai familiari

Le ultime riforme hanno introdotto nel CCII la possibilità di avviare una procedura unitaria per l’intero nucleo familiare sovraindebitato (art. 66 CCII). Ciò significa che, se più componenti di una stessa famiglia convivente sono tutti indebitati – magari perché hanno fatto da garanti l’uno per l’altro o contratto mutui cointestati – essi possono presentare un’unica domanda congiunta di sovraindebitamento.

Questa procedura familiare è particolarmente utile nel contesto di violenza domestica quando, ad esempio, la vittima è coobbligata su prestiti contratti dal partner abusante. Si pensi al caso di un mutuo cointestato tra marito e moglie: se lui smette di pagare dopo la separazione, entrambi risultano inadempienti e la banca agirà contro entrambi. Invece di attivare due procedure separate (una per lui e una per lei), con la procedura familiare si può presentare un’unica procedura di sovraindebitamento che coinvolga entrambi i coniugi. Ovviamente, questa opzione richiede cooperazione fra i familiari coinvolti – il che può essere problematico se i rapporti sono conflittuali. Nella pratica, spesso la vittima non avrà interesse a coinvolgere l’abusante (che potrebbe essere reticente o agire in malafede); tuttavia, può capitare che la vittima trovi alleati in famiglia (ad es. un genitore o un fratello che hanno garantito per lei o contratto debiti comuni) con cui affrontare insieme la crisi.

Caratteristiche della procedura familiare: i debiti di ciascun membro restano distinti, ma la procedura è unica – stesso OCC, stesso tribunale, istruttoria coordinata. Ogni familiare presenta la propria documentazione patrimoniale e una proposta, ma il giudice le esamina congiuntamente per avere un quadro completo. Se tutti i debitori familiari sono consumatori, si può optare per un piano del consumatore familiare; se invece c’è anche un soggetto non consumatore (es. uno è un piccolo imprenditore), allora l’intera famiglia deve procedere con un concordato minore o con la liquidazione controllata. Il vantaggio è di evitare soluzioni scoordinate: ad esempio, marito e moglie entrambi indebitati possono proporre un’unica soluzione che tenga conto dei redditi di entrambi e dell’intero patrimonio comune, evitando duplicazioni di spese e contraddizioni.

Di contro, vi sono anche criticità: se la procedura familiare è impostata come concordato minore, serve comunque la maggioranza dei crediti di tutti per essere approvata; se questa manca (ipotesi frequente quando c’è un singolo grande creditore ostile), fallisce l’omologazione per tutti i membri della famiglia coinvolti. La Cassazione ha rilevato che ciò può essere penalizzante, ad esempio, per il familiare consumatore che, se avesse agito da solo col piano del consumatore, non avrebbe avuto bisogno del voto dei creditori. Insomma, la procedura familiare è un’arma a doppio taglio: ottima per semplificare e risolvere insieme la crisi familiare, ma con rischi di insuccesso collettivo se usata in contesti sbagliati.

Nel contesto della violenza domestica, la procedura familiare potrebbe trovare applicazione se, poniamo, la donna e un figlio adulto risultano entrambi garanti di un debito acceso dall’ex marito violento: madre e figlio, insieme, potrebbero presentare un concordato minore familiare offrendo quello che possono, invece di due procedure separate. Ma se la controparte (es. la banca) non accetta la proposta e il concordato salta, entrambi rimarrebbero senza tutela immediata. In tal caso potrebbero comunque convertire in liquidazione controllata familiare. È evidente che ogni situazione va valutata strategicamente con l’aiuto di un legale esperto in crisi da sovraindebitamento: talvolta unire i procedimenti conviene, altre volte è meglio procedere da soli (ad esempio, la vittima potrebbe voler avviare subito un piano del consumatore senza aspettare le mosse dell’ex coniuge).

Conclusione: la procedura familiare è uno strumento innovativo, pensato soprattutto per gestire crisi di coppia o di nuclei conviventi, dove i destini finanziari sono intrecciati. Nel caso di vittime di violenza, può essere di ausilio se la crisi economica coinvolge anche altri membri non responsabili (es. nuovi partner della vittima che abbiano assunto debiti familiari, o figli grandi che l’hanno aiutata indebitandosi a loro volta). In ogni caso, rimane facoltativa: ciascun debitore può sempre scegliere di procedere individualmente se preferisce.

Sospensione delle azioni esecutive e limiti ai pignoramenti

Quando si è già in una fase in cui i creditori hanno avviato azioni esecutive (pignoramenti di stipendi, conti, immobili) o lo stanno per fare, è fondamentale sapere che esistono strumenti per fermare o attenuare queste azioni, quantomeno temporaneamente. Esaminiamo le varie possibilità dal punto di vista della debitrice:

1. Sospensione per avvio di una procedura di sovraindebitamento: presentando una domanda di ammissione a una delle procedure descritte (piano, concordato o liquidazione), la debitrice può chiedere al giudice la sospensione di tutte le azioni esecutive individuali dei creditori. Già la vecchia Legge 3/2012 prevedeva questa tutela, confermata dal nuovo CCII: in pratica, quando il tribunale dichiara ammissibile la procedura o fissa l’udienza di omologazione, dispone che i creditori non possano iniziare o proseguire pignoramenti individuali sui beni del debitore. Ad esempio, se era in corso un pignoramento immobiliare sulla casa, verrà sospeso in attesa dell’esito della procedura di composizione della crisi (che potrebbe prevedere una diversa soluzione per quel bene). La sospensione impedisce anche nuovi pignoramenti, congelando di fatto la situazione: i creditori dovranno partecipare solo alla procedura concorsuale. Questo “automatica stay” è uno degli incentivi ad utilizzare le procedure di sovraindebitamento: offre un po’ di respiro e accantona l’emergenza esecutiva mentre si cerca l’accordo o si liquida il patrimonio ordinatamente.

Occorre sottolineare che la sospensione non è illimitata: se poi la procedura di sovraindebitamento fallisce (es. il piano non viene omologato), i creditori riprendono piena libertà di esecuzione. Inoltre, alcuni atti cautelari possono proseguire (ad esempio, se c’è un sequestro conservativo già autorizzato o un’ipoteca già iscritta, quelli rimangono). Ma in sostanza, l’effetto “protettivo” c’è ed è molto utile per evitare la corsa disordinata dei creditori.

2. Opposizioni e sospensioni nelle procedure esecutive individuali: indipendentemente dal ricorso alle procedure concorsuali, la debitrice può valutare con l’avvocato se vi siano motivi di opposizione all’esecuzione o al titolo esecutivo (artt. 615 e 617 c.p.c.). Ad esempio, se un credito è contestato (perché magari il prestito fu stipulato con firme falsificate dall’abusante, o perché il decreto ingiuntivo non le è stato notificato correttamente), si può proporre opposizione davanti al giudice competente e, contestualmente, chiedere la sospensione dell’esecuzione per gravi motivi. Il giudice dell’esecuzione, valutati sommariamente i motivi (fumus) e il pregiudizio, può sospendere il pignoramento in attesa della definizione dell’opposizione. Questo però è uno strumento mirato: funziona solo se c’è un vizio specifico nella pretesa del creditore. Nel caso di debiti certi e non contestabili nel merito, l’opposizione strumentale sarebbe infondata e quindi non porterebbe a sospensione.

Un tipico scenario attinente alla violenza è quello della donna che ha firmato un finanziamento sotto minaccia o inganno da parte del partner. Giuridicamente, il contratto stipulato con violenza morale è annullabile (art. 1427 e 1434 c.c.). Se la vittima riesce a provarlo (ad es. il partner è stato condannato per estorsione relativa a quella firma), potrebbe chiedere la nullità/annullamento del contratto di prestito in sede giudiziale, sostenendo che è viziato nel consenso. La Cassazione ha peraltro oscillato su questi casi: tradizionalmente li considera annullabili, ma un orientamento più recente ritiene addirittura nullo il contratto frutto di reato di estorsione, per contrarietà all’ordine pubblico. In ogni caso, fare valere tali vizi richiede un giudizio civile (oppure eccepire la nullità come difesa se il creditore agisce). Ciò potrebbe non evitare intanto il pignoramento, se non ottenendo una sospensione dal giudice dell’esecuzione in attesa della causa civile. Si tratta di strategie complesse, da valutare caso per caso con un legale.

3. Impignorabilità di beni essenziali: la legge italiana prevede che taluni beni o somme non possano essere pignorati, o lo siano solo parzialmente, a tutela della dignità e del minimo vitale del debitore. È fondamentale che la debitrice ne sia a conoscenza, per evitare indebite pretese da parte di recuperatori o per far valere i propri diritti davanti al giudice. I principali limiti di pignorabilità sono:

  • Stipendi e pensioni: il salario percepito come lavoratrice dipendente può essere pignorato entro il limite di 1/5 dell’importo netto (20%) per ciascuna procedura, salvo concorso di più cause (in generale non si supera la metà dello stipendio sommando più pignoramenti, e quelli per alimenti hanno priorità). Se la donna ha uno stipendio modesto, il quinto pignorato deve comunque lasciare una parte libera pari all’assegno sociale aumentato della metà (circa 750 € mensili come intoccabile). Le pensioni godono di una franchigia impignorabile pari all’ammontare dell’assegno sociale aumentato della metà: solo la parte eccedente tale soglia può essere pignorata, e sempre nel limite del quinto. Ad esempio, se una pensione è di 800 €, la parte pignorabile è piccolissima (800-750=50 €, di cui al massimo un quinto, cioè 10 €). Queste regole (art. 545 c.p.c.) garantiscono che la vittima non resti del tutto senza mezzi di sostentamento a causa dei creditori.
  • Sussidi e aiuti sociali: somme come il Reddito di cittadinanza (ormai abrogato e sostituito da altri strumenti nel 2024), l’Assegno di inclusione dal 2024, il Reddito di libertà per le vittime, e in generale i contributi assistenziali pubblici non sono pignorabili. Se vengono accreditati su conto corrente, bisogna tenere traccia della provenienza per opporsi ad eventuali pignoramenti bancari su di essi. Ad esempio, l’art. 545 c.p.c. vieta di pignorare sussidi di sostentamento e assegni di famiglia. Dunque, se la donna riceve il Reddito di libertà (vedi oltre) su un conto dedicato, quelle somme non possono essere toccate dai creditori.
  • Beni di prima necessità: i mobili e gli oggetti presenti nell’abitazione sono in parte protetti. Non si possono pignorare letti, tavoli da pranzo con sedie, armadi, frigorifero, fornelli, lavatrice, utensili di cucina, abbigliamento, e in generale gli oggetti indispensabili al debitore e alla sua famiglia (art. 514 c.p.c.). Nemmeno le eventuali fedi nuziali possono essere pignorate. Questa tutela è importante per una vittima che magari vive con figli: il creditore non potrà portarle via gli arredi di base. Attenzione però: televisori, computer, smartphone, oggetti di valore (quadri, gioielli) invece possono essere pignorati, quindi conviene mettere al sicuro eventuali beni non essenziali ma di valore affettivo/economico prima che arrivi l’ufficiale giudiziario (fermo restando che occultare i beni dopo che è iniziata l’esecuzione può essere illecito, quindi meglio muoversi per tempo o avvalersi delle procedure concorsuali per congelare la situazione legalmente).
  • Prima casa e altri immobili: come già accennato, la prima casa non di lusso è impignorabile dall’Agenzia Entrate Riscossione per debiti fino a 120.000 €. Questa protezione però non vale per altri creditori (banche, privati) che, se muniti di titolo esecutivo, possono pignorare l’immobile anche per importi inferiori. Tuttavia, in sede di pignoramento immobiliare il giudice delle esecuzioni può valutare istanze di sospensione o rinvio della vendita se ricorrono circostanze umanitarie eccezionali (ad esempio una legge temporanea, come accaduto in pandemia, o la pendenza di una soluzione concordataria). Va ricordato che, se la vittima ha quote di proprietà in comune con l’ex (comunione dei beni o cointestazione), il creditore può pignorare l’intero immobile e poi la casa verrà divisa (il ricavato al 50% ciascuno). Questo scenario è complicato: a volte conviene cercare di liquidare la quota all’altro coniuge o vendere l’immobile volontariamente nell’ambito di un piano, piuttosto che subire un’asta giudiziaria.

In generale, la strategia vincente per proteggere i pochi beni fondamentali è combinare le norme di impignorabilità con le procedure concorsuali: ad esempio, se la casa rientra tra quelle che un creditore potrebbe pignorare, avviare per tempo un piano del consumatore e includere la gestione di quell’immobile (magari prevedendo di non venderlo e pagare al creditore il valore equivalente in rate) potrebbe evitare il pignoramento. Oppure, se l’auto è necessaria per il lavoro ma sarebbe pignorabile, a volte l’OCC può negoziare coi creditori di lasciarla al debitore per facilitare il rimborso, cose così.

Da ultimo, ricordiamo che la legge tutela sempre il debitore in buona fede da azioni esecutive abusive o scorrette. Se un creditore o una società di recupero crediti minacciano pignoramenti su beni impignorabili (es. “verremo a prenderle i mobili di casa, anche il letto dei suoi figli”), ciò è illecito: la vittima deve riferirlo immediatamente al proprio avvocato e, se necessario, sporgere denuncia per violenza privata o tentata estorsione. La presenza di un difensore legale fa spesso da scudo: una volta che i creditori sanno che la debitrice è assistita e magari sta intraprendendo un percorso di sovraindebitamento, saranno meno propensi a tentativi fuori dalle regole.

Gratuito patrocinio e assistenza legale

Affrontare una situazione di violenza e indebitamento richiede supporto legale, sia in ambito penale (per denunciare l’aggressore e ottenere protezione), sia in ambito civile/fallimentare (per gestire i debiti, le separazioni, etc.). Spesso però la vittima teme di non potersi permettere un avvocato. In Italia, fortunatamente, esiste l’istituto del gratuito patrocinio a spese dello Stato, che garantisce assistenza legale gratuita alle persone non abbienti e – in certi casi particolari – alle vittime di specifici reati a prescindere dal reddito.

Vediamo in dettaglio come funziona:

Gratuito patrocinio ordinario (in base al reddito): ogni cittadino che abbia un reddito annuo imponibile sotto una certa soglia ha diritto a farsi assistere gratis da un avvocato, sia in sede civile che penale o amministrativa. La soglia viene aggiornata periodicamente: dal 2025 è stata elevata a € 13.659,64 di reddito annuo (somma dei redditi del richiedente e dei familiari conviventi). Se la vittima guadagna meno di tale importo e non ha beni rilevanti, può presentare domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presso l’Ordine degli Avvocati competente, indicando il procedimento per cui chiede l’assistenza (es. causa civile di separazione, procedura di sovraindebitamento, etc.). Una volta ammessa, potrà scegliere un avvocato tra quelli iscritti negli elenchi del gratuito patrocinio, e sarà lo Stato a pagare le parcelle dell’avvocato (secondo i minimi tariffari) al posto suo. Nel calcolo del reddito si escludono eventuali somme ricevute come risarcimento alle vittime di reati; inoltre, se la controversia è contro un familiare convivente, il suo reddito non si cumula. Questo è importante: se la donna si separa e fa causa al marito, il reddito di lui non conta nel calcolo, anche se formalmente risultava nel nucleo familiare.

Gratuito patrocinio per vittime di violenza (“Codice Rosso”): c’è un’importante deroga introdotta prima con il D.L. 93/2013 e poi ampliata con la L. 69/2019 (c.d. Codice Rosso): le vittime di determinati reati di particolare gravità hanno sempre diritto al gratuito patrocinio, indipendentemente dal reddito. In particolare, la persona offesa (vittima) dei seguenti reati può accedere al patrocinio gratuito anche se ha un reddito superiore alla soglia: maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), violenza sessuale (609-bis e ter c.p.), atti sessuali con minorenne (609-quater), atti persecutori (stalking) (art. 612-bis), pratiche di mutilazione (583-bis), sequestro di persona a scopo sessuale (605 co. 2 c.p.), revenge porn (612-ter), violenza domestica in senso lato e altri reati indicati dalla legge. In questi casi, l’art. 76 comma 4-ter del DPR 115/2002 stabilisce che la vittima “può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito”. Ciò significa che, ad esempio, una donna agiata che subisce violenza sessuale può comunque ottenere un avvocato gratis per costituirsi parte civile contro il suo aggressore. Nel nostro contesto, la vittima di maltrattamenti familiari rientra nella deroga: il fatto di aver subito violenza dal partner permette l’accesso automatico al patrocinio per difendersi penalmente. Non è nemmeno necessario presentare l’ISEE o documenti reddituali per queste istanze, perché la legge presume il diritto a prescindere dalla ricchezza della persona offesa (proprio per incoraggiare le denunce senza la paura dei costi). La Cassazione ha confermato che gli uffici non possono richiedere l’ISEE in tali casi, censurando provvedimenti contrari.

In pratica, quindi, per la causa penale contro l’abusante l’avvocato è gratis per la vittima, sempre. Questo copre tutta la fase processuale: dalla querela/denuncia, alle investigazioni, fino al dibattimento e all’eventuale appello, l’avvocato della vittima (che di solito è la parte civile nel processo penale) viene pagato dallo Stato. Ciò vale anche per ottenere misure cautelari (come l’ordine di allontanamento urgente).

Estensione alle procedure civili? Attenzione: la deroga di legge riguarda il procedimento penale in cui la persona è vittima di quei reati. Se però la donna ha bisogno di assistenza legale in ambito civile (ad esempio per la separazione, per la procedura di sovraindebitamento, per una causa di risarcimento danni contro l’ex), allora la gratuità automatica non opera – bisogna rientrare nei requisiti di reddito. Fortunatamente, molte vittime di violenza hanno redditi bassi o nulli (specie se l’abusante le privava di indipendenza economica), per cui spesso risultano comunque sotto la soglia dei €13.659. Dunque potranno ottenere il patrocinio gratuito anche per le cause civili, ma in questo caso presentando la documentazione reddituale e verificando di non superare il limite.

Facciamo un esempio: Maria ha subito maltrattamenti dal marito e ha un reddito zero perché casalinga – potrà accedere al gratuito patrocinio sia per difendersi nel processo penale (a prescindere dal reddito, ex art. 76 co. 4-ter DPR 115/02) sia per iniziare la procedura di sovraindebitamento o la causa di separazione (in questi casi perché il suo reddito è sotto soglia). Se invece Maria avesse un reddito di 20.000 € annui, per la causa penale rientra comunque (perché vittima di 572 c.p.), mentre per la pratica di sovraindebitamento supererebbe la soglia e non avrebbe diritto al gratuito patrocinio ordinario. Dovrebbe dunque pagare un avvocato di tasca propria per quella parte – oppure rivolgersi agli OCC, alcuni dei quali offrono convenzioni o tariffe calmierate.

Gratuito patrocinio e OCC: una particolarità da evidenziare è che nelle procedure di sovraindebitamento è obbligatorio coinvolgere un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), il quale nomina un gestore che redige la relazione e segue la procedura. L’OCC ha diritto a un compenso per l’attività svolta. Questo compenso, a differenza delle spese legali dell’avvocato, non rientra nel patrocinio statale. Tuttavia, alcuni tribunali prevedono che se il debitore è veramente nullatenente il compenso dell’OCC sia ridotto o postergato. Ad esempio, nel caso dell’“incapiente” la legge prevede la riduzione della metà. In altri casi, gli OCC istituiti presso enti pubblici (come gli Ordini professionali) applicano tariffe contenute e possono concordare pagamenti rateali. È opportuno che la vittima chieda preventivamente all’OCC se vi sono agevolazioni nel suo caso (alcuni OCC, ad esempio, ottengono fondi di assistenza per coprire in parte i costi per le vittime di usura o violenza).

Come richiedere il gratuito patrocinio: per il penale, la richiesta si può presentare già in fase di denuncia-querela tramite la Polizia/Gendarmeria che hanno moduli appositi, oppure direttamente all’ufficio del patrocinio a spese dello Stato presso il tribunale competente. Per il civile, va presentata domanda al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del luogo dove pende (o sarà introdotta) la causa. Nella domanda si autodichiarano i propri redditi e si indica il procedimento. L’ammissione di solito arriva in poche settimane. In emergenza (es. se bisogna depositare un ricorso d’urgenza per l’allontanamento), l’avvocato può comunque agire subito e poi integrare la domanda.

Diritti della vittima una volta ammessa: il gratuito patrocinio copre tutte le spese legali, incluse le consulenze tecniche d’ufficio, gli atti processuali, ecc. La vittima quindi non deve pagare nulla al proprio avvocato (e l’avvocato non può chiedere compensi extra, è vietato). Se l’avvocato rifiuta di prenderla gratis nonostante l’ammissione, commette un illecito deontologico. Se perde la causa, non pagherà le spese processuali (quelle eventualmente, se condannata, sono a carico dello Stato). In caso di vittoria in sede civile con condanna alle spese della controparte, queste andranno allo Stato.

Un problema segnalato: in passato è emerso che alcune cancellerie o forze dell’ordine non informavano adeguatamente le vittime di questa opportunità, oppure interpretavano restrittivamente la norma (“può essere ammessa” è stata letta da qualcuno come discrezionale, mentre è un diritto soggettivo). La Cassazione è intervenuta per chiarire che la volontà del legislatore è chiaramente di accordare il beneficio in automatico alle vittime dei reati elencati. Se quindi una vittima si vede negare indebitamente il gratuito patrocinio nonostante rientri nei requisiti, deve farlo impugnare al suo legale (es. ricorso in Corte d’Appello) perché ha buone chance di ottenerlo.

In sintesi: non bisogna rinunciare all’assistenza legale per motivi economici. Lo Stato offre strumenti per garantirla alle vittime di violenza senza oneri. Avvalersi di un avvocato consente alla donna di conoscere i propri diritti, fare le scelte migliori (denuncia penale, separazione, procedure concorsuali) e proteggersi anche sul fronte economico-legale. Nella prossima sezione vedremo quali aiuti finanziari concreti – oltre all’azzeramento dei debiti – sono previsti per sostenere il percorso di autonomia della vittima.

Misure di sostegno economico e sociale per le vittime indebitate

Oltre agli strumenti prettamente giuridici per gestire e cancellare i debiti, una donna vittima di violenza può accedere a varie misure di sostegno economico messe a disposizione dallo Stato e da enti privati per favorirne l’emancipazione e la ripresa della vita autonoma. Questi aiuti possono rivelarsi cruciali sia per prevenire l’aggravarsi della situazione debitoria (fornendo liquidità per pagare spese urgenti), sia per affiancare le soluzioni legali (ad esempio fornendo un reddito di base mentre la vittima ristruttura i suoi debiti).

Di seguito elenchiamo le principali misure di protezione sociale attive al 2025 in Italia rivolte a donne vittime di violenza, con indicazione di come funzionano:

  • Reddito di Libertà: è un contributo statale dedicato esclusivamente alle donne vittime di violenza, istituito in via sperimentale nel 2020 e reso strutturale nel 2024. Consiste in un sostegno economico fino a 500 euro mensili per massimo 12 mesi (quindi fino a 6.000 € totali), erogato in un’unica soluzione o in più soluzioni dall’INPS. Può beneficiarne la donna (italiana o straniera con permesso) priva di mezzi sufficienti che sia inserita in un percorso di protezione certificato dai servizi sociali o da un centro antiviolenza riconosciuto. Lo scopo è aiutare a coprire spese necessarie per l’autonomia abitativa, il mantenimento dei figli minori e, in generale, per allontanarsi definitivamente dalla situazione di soggezione. Per ottenerlo occorre presentare domanda al Comune di residenza (di solito tramite i servizi sociali, su modulistica INPS) allegando l’attestazione del centro antiviolenza che segue la donna. Dal 2025, come accennato, l’importo è stato incrementato a 500 €/mese (inizialmente era 400 €) e la misura è finanziata con un fondo dedicato di 30 milioni annui, segno che il Governo italiano punta molto su questo strumento, tanto da portarlo come esempio di “best practice” a livello internazionale. Compatibilità: il Reddito di Libertà è cumulabile con altri sussidi (es. Reddito di Cittadinanza fino al 2023, ora Assegno di inclusione dal 2024), quindi la vittima può percepirlo come integrazione. Inoltre, trattandosi di contributo di scopo, non è pignorabile dai creditori, come detto prima. Questo aiuto può rivelarsi prezioso, ad esempio, per pagare le prime mensilità di affitto di una casa sicura, per sostenere le bollette, o per acquisire formazione professionale. Esempio: Anna, scappata di casa con i figli, senza lavoro, ottiene 500 €/mese di Reddito di Libertà per un anno: può usarlo per la caparra e l’affitto di un piccolo appartamento, evitando di contrarre altri debiti per soddisfare bisogni primari in quella fase critica.
  • Microcredito di libertà: accanto al reddito diretto, esiste un programma di microcredito agevolato dedicato alle donne vittime, nato da un Protocollo d’intesa del 3/12/2020 tra Dipartimento Pari Opportunità, ABI (Associazione Bancaria Italiana), Federcasse (banche di credito cooperativo), Ente Nazionale per il Microcredito e Caritas. È stato creato un apposito Fondo per il microcredito di libertà presso la Presidenza del Consiglio. In pratica, il Fondo interviene in due modalità:
    1. per il microcredito d’impresa concesso alla donna vittima che vuole avviare una micro-attività imprenditoriale: il Fondo copre parte degli interessi (abbattimento TAEG);
    2. per il microcredito sociale (prestiti personali piccoli): il Fondo sia abbassa gli interessi sia funge da garanzia per la banca in caso di mancato rimborso.
    Questo significa che una donna, seguita da un centro antiviolenza e magari aiutata dalla Caritas (anch’essa partner del progetto, con operatori che assistono sul territorio), può richiedere un microprestito – tipicamente fino a 10.000 € circa – a condizioni molto agevolate, per esempio per comprare un’auto usata per andare al lavoro, o per un corso di formazione, o per avviare una piccola impresa (artigianato, commercio online, ecc.). Il microcredito viene erogato da banche aderenti all’iniziativa e grazie al Fondo statale i tassi sono bassissimi e la donna non deve fornire garanzie reali (che spesso non ha). Ovviamente il prestito va poi restituito secondo il piano concordato, ma l’idea è di dare una spinta finanziaria iniziale verso l’indipendenza. Ad esempio, Giulia, vittima di violenza, vorrebbe aprire un salone di estetista: tramite il microcredito di libertà ottiene un finanziamento di 8.000 € dalla banca cooperativa locale, con tasso quasi zero e 5 anni di tempo per restituirlo; la Caritas l’affianca come tutor e il Fondo garantisce la banca che il prestito verrà onorato. In questo modo Giulia può comprare l’attrezzatura e avviare l’attività, creando reddito per sé e uscendo dalla precarietà.
  • Sospensione delle rate di mutui e prestiti (Protocollo ABI 2023): una misura molto concreta, rivolta a chi ha finanziamenti in corso, è la possibilità di ottenere una moratoria fino a 18 mesi sui pagamenti. In occasione del 25 novembre 2023 il Ministero per le Pari Opportunità e l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) hanno firmato un nuovo Protocollo d’intesa 2023-2026 cui molte banche hanno aderito. Tale protocollo prevede che le donne vittime di violenza, inserite in percorsi di protezione certificati (dai servizi sociali, centri antiviolenza o case rifugio), possano chiedere alla propria banca la sospensione del pagamento della quota capitale delle rate di mutui ipotecari e finanziamenti chirografari. In pratica, per un periodo massimo corrispondente alla durata del percorso di protezione e comunque non oltre 18 mesi, la donna pagherà solo gli interessi sulle rate e non la quota capitale. Le rate sospese in quota capitale verranno accodate, allungando la durata del finanziamento per un periodo uguale alla sospensione. Importante: durante la sospensione non maturano interessi di mora né penali (gli interessi contrattuali sulle quote sospese però vanno pagati regolarmente). La banca non può considerarla in default né segnalare a sofferenza quel credito. Condizioni per aderire: il mutuo/prestito deve essere in regola (non già scaduto o con rate insolute significative) al momento della richiesta, e la richiesta va presentata entro il 25/11/2026 salvo proroghe, allegando un certificato che attesti l’inizio del percorso di protezione. Esempio pratico: Laura ha un mutuo casa con banca X, rata mensile €500. Nel 2024 si separa per violenza domestica ed entra in protezione. Può chiedere alla banca di aderire al Protocollo: la banca sospenderà i €300 circa di quota capitale di ogni rata, quindi Laura per 12 mesi pagherà solo €200 di interessi (o niente, se il tasso è molto basso) al mese. La durata del mutuo si allungherà di un anno, ma intanto Laura alleggerisce la sua uscita mensile, potendo far fronte ad altre spese urgenti (nido, affitto) senza accumulare ritardi sul mutuo. Dopo 12 mesi, tornata in una situazione più stabile, riprenderà a pagare la rata piena. Questo strumento è estremamente utile per evitare che la vittima perda la casa o entri in sofferenza bancaria proprio nel momento delicato della fuoriuscita dalla violenza. È però volontario per le banche aderire: fortunatamente, i maggiori gruppi (es. BNL come abbiamo visto, e altre banche) hanno aderito, spesso rinnovando precedenti accordi del 2020-2021. Conviene informarsi presso la propria banca o sul sito ABI se la banca aderisce. Alcune banche potrebbero avere moduli dedicati (come Fineco, Intesa etc. hanno pubblicato informative). Se la propria banca non aderisce, non c’è un obbligo legale per ora, ma nulla vieta di provare a negoziare direttamente una moratoria presentando documentazione della situazione: molte banche, per sensibilità, potrebbero concederla caso per caso.
  • Fondo di solidarietà per mutui prima casa (“Fondo Gasparrini”): a integrazione del protocollo volontario, ricordiamo che esiste un fondo pubblico (gestito da Consap) che consente a chi si trova in temporanea difficoltà di chiedere la sospensione fino a 18 mesi delle rate del mutuo prima casa. In origine era per disoccupazione, malattia, ecc., ma nel 2020 è stato esteso anche alle donne vittime di violenza (DL 9/2020). I requisiti prevedono che la richiedente abbia un ISEE sotto 30.000 € e un mutuo fino a 250.000 €, e ovviamente che sia riconosciuta come vittima in percorso di protezione (analogamente al protocollo ABI). La differenza è che qui interviene lo Stato a rimborsare alla banca la quota interessi del periodo di sospensione. In pratica la vittima può ottenere una sospensione totale (sia capitale che interessi) delle rate per max 18 mesi attraverso la presentazione della domanda al Fondo. Il Fondo pagherà alla banca gli interessi intercalari maturati nel periodo (ad esclusione della componente di spread). Questo strumento “pubblico” è un po’ meno conosciuto, ma è normato per legge. In alternativa, il protocollo ABI è più immediato da attivare se la banca aderisce.
  • Fondo di rotazione per le vittime di usura ed estorsione: questo non è specifico per violenza di genere, ma merita un cenno perché a volte la situazione di una vittima può comprendere anche violenza economica di tipo usurario. Se, ad esempio, il partner l’ha costretta a rivolgersi a uno strozzino o lei stessa lo ha fatto per disperazione, i tassi usurari la incastrano in debiti insostenibili. In questi casi, denunciando gli usurai, la donna può accedere al Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura (L. 108/1996): esso concede mutui senza interessi rimborsabili in 10 anni per pagare i debiti usurari e liberarsene. Analogamente, il Fondo per le vittime di estorsione (L. 44/1999) indennizza chi ha subito estorsioni. Queste misure richiedono denuncia e riconoscimento dello status di vittima di usura o racket da parte di una Commissione ministeriale. Non riguardano la maggior parte dei casi di violenza domestica, ma possono applicarsi se la violenza economica ha assunto le forme di un reato di usura (a volte i partner approfittatori applicano interessi esorbitanti sui soldi dati alla compagna, configurando usura).
  • Incentivi al reinserimento lavorativo: la stabilità economica passa anche dal trovare un lavoro. A tal fine, la legge di Bilancio 2024 ha previsto un esonero contributivo del 100% (fino a 8.000 € annui) per 36 mesi per i datori di lavoro privati che assumono donne vittime di violenza con contratti a tempo indeterminato (o determinato) nel triennio 2024-2026. Sono stati stanziati fondi appositi (12,5 milioni nel 2024, in crescita negli anni successivi). In pratica, se un’azienda assume la nostra Maria, non pagherà contributi per i primi 3 anni e questo incentivo fiscale può favorire l’assunzione. Inoltre, tramite programmi regionali o Avvisi pubblici (ad es. su incentivi.gov.it), vengono finanziati progetti per la formazione e l’inserimento lavorativo delle vittime. Per esempio, alcune regioni offrono bonus occupazionali alle imprese che assumono donne dai centri antiviolenza, oppure tirocini retribuiti per le donne stesse. Una vittima indebitata ha assoluto bisogno di un reddito per risollevarsi e onorare eventualmente un piano del consumatore: sapere che esistono agevolazioni per chi la assume può aiutarla durante i colloqui di lavoro (può informare il potenziale datore dell’incentivo, se se la sente di rivelare la sua condizione, oppure può farlo tramite il centro antiviolenza che spesso ha contatti con aziende socialmente responsabili).
  • Altre misure di welfare locale: molti comuni, anche grazie a fondi statali, offrono contributi una tantum alle vittime – per esempio il pagamento di alcune mensilità di affitto (cfr. Fondo di emergenza abitativa per vittime di violenza), contributi per le bollette, l’esenzione o riduzione di tariffe (mense scolastiche, trasporto). Anche l’assegno di mantenimento per i figli (che l’ex dovrebbe corrisponderle dopo la separazione) è una forma di entrata che il tribunale può quantificare tenendo conto anche dei debiti lasciati a suo carico. Se però l’ex non paga spontaneamente, la donna potrà agire con pignoramento diretto dello stipendio di lui (le somme dovute per alimenti a coniuge e figli hanno un canale preferenziale, pignorabili fino a metà dello stipendio del debitore). Purtroppo, se l’ex è nullatenente o in nero, quell’assegno resta sulla carta. In tali casi, alcune regioni hanno sperimentato il Fondo di solidarietà per il coniuge inadempiente: il pubblico anticipa alla vittima le somme di mantenimento non pagate dall’ex, rivalendosi poi su di lui (questo per non lasciare le donne e i figli senza mezzi). Ad esempio, la regione Lombardia ha in passato attivato questo fondo. Chi si trova in tali frangenti dovrebbe informarsi presso il proprio avvocato o i servizi sociali se esiste nel proprio territorio una misura simile.

In conclusione, la vittima di violenza con debiti non è sola: esistono reti di sostegno finanziario e sociale parallele all’iter giudiziario. Combinare la soluzione legale dei debiti (piani, esdebitazione) con l’accesso a contributi e facilitazioni economiche le dà la massima chance di riprendersi. Per esempio, una possibile “ricetta” per rinascere potrebbe essere: denunciare l’abusante (ottenendo gratuito patrocinio e protezione), attivare subito il Reddito di Libertà per un anno, avviare un piano di sovraindebitamento per congelare i debiti, trovare un impiego magari grazie agli incentivi per le aziende, usare il microcredito per comprare l’auto necessaria a lavorare, sospendere nel frattempo il mutuo, e al termine del piano uscire dai debiti residui con l’esdebitazione. Non è un percorso facile, richiede coraggio e assistenza competente, ma le norme ci sono e vanno fatte valere.

Di seguito, proponiamo alcune domande e risposte frequenti che una donna in queste condizioni potrebbe porsi, così da chiarire ulteriormente i dubbi più comuni. Seguiranno poi degli esempi pratici basati su casi reali, per mostrare come gli strumenti descritti si applicano concretamente.

Domande frequenti (FAQ)

Domanda: “Ho dovuto firmare dei prestiti perché il mio ex partner mi minacciava. Posso evitare di pagarli ora che mi sono separata?”

Risposta: Se puoi dimostrare che quei contratti di prestito furono sottoscritti da te sotto minaccia o violenza morale, in teoria essi sono annullabili per vizio del consenso (artt. 1427 e 1434 c.c.). Ad esempio, se il tuo ex è stato condannato per estorsione o maltrattamenti relativi a quelle condotte, hai una prova forte. Puoi dunque agire in giudizio per far dichiarare l’annullamento dei prestiti: il giudice, riconoscendo che non eri libera di esprimere un consenso valido, potrebbe liberarti dall’obbligo di rimborso. Alcune sentenze di Cassazione hanno addirittura ritenuto nullo (come mai avvenuto) un contratto frutto di estorsione. Tuttavia, nella pratica queste cause civili possono essere lunghe e complesse, e nel frattempo la finanziaria potrebbe agire comunque esecutivamente. Dovresti quindi, tramite il tuo avvocato, valutare di contestare il debito in via giudiziale e chiedere una sospensione di eventuali pignoramenti sino alla decisione (presentando la denuncia o sentenza penale come prova). In alternativa – o in aggiunta – potresti inserire quei debiti in una procedura di sovraindebitamento: il giudice concorsuale terrà conto delle circostanze coercitive e potrà comunque esdebitartene. In sintesi, sì, hai valide ragioni legali per non pagare debiti contratti sotto minaccia, ma devi farle valere formalmente; non smettere semplicemente di pagare senza intraprendere alcuna azione, altrimenti il creditore (ignaro delle tue ragioni) procederà.

Domanda: “I debiti intestati al mio ex marito ricadranno su di me dopo il divorzio? Mi stanno arrivando richieste di pagamento per bollette e mutuo a lui intestati.”

Risposta: In linea di principio, no: ognuno risponde solo dei propri debiti. Se un contratto (bolletta, finanziamento, ecc.) è intestato solo al tuo ex, il creditore potrà pretendere il pagamento solo da lui e non da te. Tuttavia, occorre fare attenzione a due situazioni:

  1. Se eravate in comunione dei beni, alcuni debiti contratti da uno dei coniugi durante il matrimonio per bisogni della famiglia possono coinvolgere anche i beni comuni. Ad esempio, le spese ordinarie per la casa o i figli rientrano nei pesi della comunione. Ciò significa che, prima dello scioglimento della comunione, un creditore potrebbe aggredire i beni della comunione (ad es. il conto cointestato) anche per un debito intestato a tuo marito ma fatto nell’interesse familiare. Dopo la separazione/divorzio, la comunione cessa, quindi i nuovi debiti di lui non ti riguardano.
  2. Se tu hai fatto da garante o coobbligata per un debito di lui, oppure se il debito è cointestato (es. mutuo cointestato, carta di credito aggiuntiva), allora legalmente sei obbligata in solido al pagamento tanto quanto lui. Il divorzio tra voi non modifica i rapporti col creditore: anche se, poniamo, in sede di separazione il giudice avesse stabilito che “il mutuo lo paga il marito”, agli occhi della banca restate entrambi debitori; se lui non paga, la banca potrà chiedere a te l’intera rata. In tal caso, la tua tutela sarà eventualmente rivalerti verso l’ex per quanto pagato in più (diritto di regresso), ma questo richiede di fargli causa se non paga spontaneamente quanto stabilito dal giudice civile. In pratica, purtroppo, la banca può continuare a perseguitare te se sei cointestataria o garante, indipendentemente dalla separazione.

Riassumendo: verifica la natura di ogni debito. Se ti chiedono il pagamento di bollette intestate a lui, rispondi comunicando copia del contratto a nome suo, chiarendo che non sei parte contrattuale. Se provano un pignoramento sul conto cointestato, sappi che teoricamente la metà delle giacenze sono tue e intoccabili per debiti di lui (dovresti fare opposizione per svincolare la tua quota). Se invece eri garante di un suo prestito, valuta di inserire quel debito in una procedura di sovraindebitamento tua, spiegando che il debitore principale (tuo ex) non paga. In un piano del consumatore, ad esempio, potresti proporre di pagare solo una percentuale di quella garanzia, evidenziando la tua buona fede e il comportamento scorretto di lui – molti giudici in tali casi mostrano comprensione verso l’ex moglie garante inconsapevole.

Domanda: “Ho un pignoramento sul quinto dello stipendio in corso (per un prestito personale). Posso fare qualcosa per ridurlo o sospenderlo? Mi lascia con pochi soldi al mese.”

Risposta: Se il pignoramento è già in atto in busta paga, significa che c’è stato un titolo esecutivo e un’ordinanza di assegnazione. Le vie possibili sono:

  • Includere il credito pignorante in un piano di sovraindebitamento: quando presenti la domanda al tribunale, puoi chiedere la sospensione di quella trattenuta. Il giudice, se ammette la procedura, comunicherà al datore di lavoro di sospendere i versamenti al creditore pignorante. Nel successivo piano concordato, potrai magari proporre di pagare una somma minore. Se il piano viene omologato, sostituisce il pignoramento (che viene revocato). Attenzione però: durante la sola fase di ammissione, qualche mensilità potrebbe comunque essere trattenuta finché non arriva il provvedimento di sospensione. Quindi muoviti rapidamente.
  • Trattativa col creditore: talvolta, dopo un periodo di pignoramento, il creditore potrebbe accettare un saldo e stralcio pur di chiudere la pratica (es. tu trovi un piccolo capitale – magari dalla famiglia o da un bonus – e offri di pagare subito il 50% del dovuto residuo, chiedendo la rinuncia al pignoramento per il resto). Se il creditore aderisce, formalizzate l’accordo in tribunale e interrompete la trattenuta. Questa opzione però richiede di avere una somma immediata da offrire, cosa non sempre fattibile.
  • Riduzione per concorso di cause: se per caso avessi più pignoramenti contemporanei (es. uno per prestito, uno per alimenti), la legge fissa un tetto del 50% sul totale. Non puoi però ridurre sotto 1/5 per singolo pignoramento ordinario. Dunque, salvo accordi o procedure concorsuali, il 20% è lo standard minimo per i debiti ordinari.

In definitiva, lo strumento più incisivo è avviare una procedura concorsuale (piano/accordo). Per esempio, se stai pagando un quinto su un debito di €10.000 e mancano 4 anni, potresti proporre nel piano di dimezzare l’importo e allungare il periodo: la differenza la otterresti come esdebitazione. Durante la procedura, come detto, il pignoramento verrebbe sospeso, dandoti sollievo immediato. Consulta un OCC per verificare la fattibilità.

Domanda: “Non ho né lavoro né beni, solo debiti per 50mila euro. Come posso permettermi una procedura di sovraindebitamento? Costa? E soprattutto, la posso fare anche se non ho nulla da offrire ai creditori?”

Risposta: Se davvero non hai nulla e le prospettive economiche sono desolanti, sei il caso tipico per l’esdebitazione del debitore incapiente (vedi sopra). Questa procedura ti permette di azzerare tutti i debiti senza pagare nulla, venendo liberata subito. La legge la consente proprio per chi, come te, non avrebbe senso che facesse una liquidazione (non hai beni) né un piano (non hai reddito). L’unica cosa di cui hai bisogno è dimostrare la tua meritevolezza (cioè che non hai colpe gravi o dolo: se i tuoi debiti derivano da spese normali e magari l’indebitamento è colpa di circostanze come la violenza subìta, sei a posto) e la tua effettiva insolvenza totale. Dovrai nominare un OCC (o rivolgerti ad uno di loro) che ti aiuterà a redigere l’istanza. I costi: il tuo avvocato può essere gratis se accedi al gratuito patrocinio (molto probabile, non avendo reddito). L’OCC ha, come detto, compensi dimezzati in questi casi e spesso chiede un contributo simbolico iniziale (qualche centinaio di euro) per le spese vive. So che sembra paradossale dover pagare qualcosa quando non hai nulla, ma considera che magari potresti farti aiutare da un familiare o da un’associazione: è un piccolo investimento per liberarti di 50mila € di debiti. Alcune associazioni antiusura/antidebito talvolta coprono loro questi costi per le persone vulnerabili. Informati se esistono sportelli nella tua città. In ogni caso, a parte i costi, sì, puoi fare la procedura anche se non offri nulla ai creditori. È una novità del Codice della crisi pensata proprio per non escludere chi è nullatenente. Se tutto va a buon fine, in pochi mesi otterrai un decreto di esdebitazione e potrai ricominciare da zero. (Ricorda solo che poi per 4 anni dovrai notificare al tribunale eventuali miglioramenti economici importanti, ma se resti nella precarietà non succede nulla).

Se invece speri in un lavoro prossimo e preferisci magari pagare qualcosa per senso etico o per salvare la reputazione, potresti considerare un piano del consumatore con una quota simbolica. Ma non è obbligatorio: la legge ti consente di voltare pagina.

Domanda: “Ho un mutuo cointestato con il mio ex sulla casa dove vivo coi bambini. Lui non paga più la sua metà. Posso evitare che la banca mi porti via casa?”

Risposta: Questa è una situazione difficile ma non insolubile. Se il mutuo è cointestato, siete entrambi obbligati in solido per l’intera rata: quindi se lui non paga, la banca può legittimamente chiedere a te l’intero importo. Prima di tutto, cerca di informare la banca della situazione (se già non la conoscono) e prova a rinegoziare la rata in base al tuo attuale reddito (ad es. un allungamento del piano di ammortamento per abbassare l’importo mensile). In parallelo, puoi attivare le misure di sospensione delle rate dedicate alle vittime di violenza: se sei in protezione certificata, la banca (se aderente al Protocollo ABI) ti farà pagare solo gli interessi fino a 18 mesi. Ciò ti dà respiro immediato. Dopodiché, trascorso il periodo di sospensione, se sei ancora da sola a pagare, valuta: riesci a sostenere la rata intera? In caso negativo, una soluzione potrebbe essere includere il debito residuo del mutuo in un piano del consumatore, proponendo che la casa non venga venduta ma tu continui a viverci pagando una cifra ragionevole. Ad esempio, potresti proporre di pagare alla banca il valore dell’immobile ma diluito in più anni, magari vendendo altre cose o ottenendo aiuti. Il giudice può approvare un piano che preveda che tu tenga la casa (specie se è l’abitazione dei figli minori, c’è un interesse familiare) e che la banca venga soddisfatta un po’ alla volta. La banca potrebbe opporsi, ma nel piano del consumatore conta la valutazione del giudice, non il voto del creditore. Ovviamente devi dimostrare che la somma offerta è almeno pari a quanto la banca ricaverebbe vendendo la casa all’asta. Se, nonostante ogni sforzo, risulta impossibile mantenere la proprietà, considera almeno di prendere tu il controllo della vendita: magari vendi privatamente la casa a prezzo di mercato, estingui il mutuo e con l’eventuale piccolo surplus ti sistemi in affitto. È meglio che subire un’esecuzione (dove spesso le case vanno all’asta a prezzi bassi e tu rischi di perdere tutto e rimanere pure debitrice della differenza).

In sintesi: sì, puoi evitare di perdere la casa se ti muovi strategicamente. Usa la sospensione di 18 mesi per guadagnare tempo; intanto cerca lavoro o altre entrate (magari l’assegno di mantenimento per i figli, se lui non paga fallo valere legalmente). Valuta di accollarti il mutuo diventando unica intestataria (la banca di solito lo consente se hai reddito sufficiente, liberando lui dall’obbligo; ma se non ce l’hai, difficile). E monitora che lui non faccia scherzi: essendo cointestatario, finché il mutuo è in essere, se lui fallisce o va in sovraindebitamento a sua volta potrebbero coinvolgere la casa. Dunque cercate di arrivare a una soluzione definitiva, fosse anche vendere e dividere il ricavato come da accordi di separazione. Coinvolgi il tuo legale della separazione: a volte nei patti di separazione si inseriscono clausole sul mutuo (tipo: la moglie paga e quando vende la casa, trattiene quanto pagato al posto del marito prima di dividere il resto – questo almeno ti tutela internamente). Ma per i creditori esterni, ciò che conta è che qualcuno paghi le rate.

Domanda: “Quanto tempo ci vuole per cancellare i debiti attraverso le procedure che avete descritto? Rischio di restare anni in ballo?”

Risposta: I tempi possono variare, ma cerchiamo di dare un’idea:

  • Per un piano del consumatore o un concordato minore, mediamente si va dai 6 mesi a 1 anno per ottenere l’omologazione (dipende dal tribunale e dalla complessità). Una volta omologato, dovrai poi eseguire il piano: la durata dipende da cosa prevede (ci sono piani di 4-5 anni, altri di 10 anni). Solo dopo averlo completato otterrai l’esdebitazione. Quindi l’intera operazione potrebbe durare diversi anni, ma con la differenza che durante quel periodo sarai protetta dai creditori e seguirai un percorso sostenibile (non subendo più assilli).
  • La liquidazione controllata è più rapida nell’avvio (spesso in 3-4 mesi viene aperta e nominato il liquidatore). Poi la durata dipende dalla difficoltà di vendere i beni: se hai una casa, potrebbero volerci 1-2 anni per venderla, se hai solo auto e mobili pochi mesi. Terminata la liquidazione dei beni, tu come debitore meritevole potrai chiedere l’esdebitazione: normalmente il tribunale la concede dopo aver verificato che hai collaborato e non ci sono atti in frode. Con la L.3/2012 c’era un periodo di prova di 4 anni dopo la chiusura, ma il CCII ha semplificato e ora l’esdebitazione è concessa subito a fine liquidazione (salvo revocarla se entro 1 anno emergono frodi). Quindi, direi che in 1-2 anni dal deposito dell’istanza potresti essere esdebitata.
  • L’esdebitazione dell’incapiente è la più veloce: tempi tecnici del tribunale, forse 3-6 mesi per avere il decreto di esdebitazione, dopodiché sei libera. C’è poi la finestra di 4 anni di “controllo” su eventuali sopravvenienze, ma non devi fare nulla tu in quel periodo se non comunicare eventuali variazioni rilevanti.
  • Tieni presente che molto dipende dall’efficienza dell’OCC e del tribunale: in alcuni tribunali hanno pochi casi e li sbrigano presto, in altri sono intasati. Scegliendo bene l’OCC (ce ne sono in ogni provincia, spesso più d’uno) a volte si accelera. Ad esempio, so di casi di piani del consumatore approvati in 4 mesi dalla presentazione perché era tutto chiaro e i giudici erano ben rodati.

In ogni caso, anche se la procedura dura qualche anno, considera che la semplice inerzia non risolve comunque nulla, anzi i debiti cresceranno. Meglio “congelare il problema” dentro una procedura e avere una luce in fondo al tunnel, piuttosto che subire pignoramenti per 20 anni senza mai uscirne. Quindi non temere la durata: con un buon supporto, passerà gestibile.

Domanda: “Ho paura di rivolgermi al tribunale, non ci capisco nulla di legge e temo di finire nei guai peggiori. Posso farmi aiutare da qualche sportello gratuito per queste cose?”

Risposta: Assolutamente sì. Ci sono diversi sportelli di aiuto sia pubblici che del privato sociale. Ad esempio:

  • Molti comuni hanno lo Sportello Antiviolenza o Centri antiviolenza convenzionati, dove spesso c’è anche consulenza legale gratuita per le vittime (almeno di primo livello, poi ti indirizzano a un avvocato del gratuito patrocinio). Lì puoi parlare sia degli aspetti penali che economici.
  • Esistono associazioni come Movimento Consumatori, ADUSBEF, Federconsumatori, Confconsumatori, che hanno sportelli sul sovraindebitamento. Alcune regioni (tipo la Lombardia, il Lazio) finanziavano sportelli anti-crisi dove i cittadini indebitati potevano ricevere orientamento e aiuto a predisporre le pratiche per l’OCC. Prova a chiedere al tuo Comune o cercare online “sportello sovraindebitamento [tuacittà]”.
  • Gli OCC stessi spesso offrono un colloquio preliminare gratuito: contattane uno, spiega la tua situazione e chiedi quali soluzioni vedono, oltre ad un preventivo dei costi. Anche se poi decidi di non procedere subito, almeno capirai meglio il percorso.
  • Ci sono clinic universitarie in qualche ateneo (es. alcune università hanno creato sportelli legali dove i laureandi, supervisionati dai docenti, aiutano in casi di sovraindebitamento reale – ad es. so di Torino e Napoli, ma varia).
  • Infine, un punto di riferimento possono essere le Caritas diocesane: molte Caritas gestiscono sia centri antiviolenza sia progetti antiusura e di educazione finanziaria. Loro possono metterti in contatto con professionisti volontari (avvocati, commercialisti) che aiutano a valutare le opzioni.

Non aver timore del tribunale: le procedure di cui parliamo si svolgono in modo abbastanza protetto, non c’è il pubblico di un processo penale, spesso tutto si riduce a depositare carte e magari a un’audizione informale davanti al giudice per raccontare la tua storia. I giudici fallimentari non sono lì per giudicarti moralmente, anzi tendono ad essere comprensivi verso chi chiede aiuto onestamente. Quindi fatti coraggio e cerca supporto: una volta incanalata la questione sul binario giusto, ti sentirai sollevata nel vedere un percorso di soluzione.

Domanda: “Dopo l’esdebitazione, potrò ottenere nuovi finanziamenti in futuro? O sarò segnata a vita nelle banche dati come cattiva pagatrice?”

Risposta: L’esdebitazione ti libera legalmente dai debiti, ma non cancella automaticamente le segnalazioni nelle banche dati creditizie private (CRIF, Experian, etc.) relative ai precedenti default. Tuttavia, c’è un aspetto positivo: molte sentenze ritengono che, una volta ottenuta l’esdebitazione, il nominativo del debitore vada cancellato dagli elenchi dei “cattivi pagatori” perché quei debiti non sono più esigibili. In particolare, le Centrali Rischi devono dare un’informazione corretta e aggiornata: se il debito è stato annullato per legge, non c’è più mora da segnalare. Potrebbe essere necessario fare un’istanza di cancellazione alle varie società, allegando il decreto di esdebitazione. In genere, entro 1-2 anni dalla fine della procedura, si riesce a riabilitare la propria posizione creditizia. Inoltre, va detto che il registro pubblico dei protesti (per assegni o cambiali non pagate) prevede la cancellazione dopo 5 anni o anche prima se regolarizzi. Quindi non sei marchiata a vita.

Certo, nell’immediato subito dopo l’esdebitazione, ottenere nuovi finanziamenti importanti (tipo un mutuo) sarà difficile, sia perché le banche vorranno vedere un periodo di stabilità reddituale da parte tua, sia perché potrebbero considerare l’esdebitazione passata come un campanello (un po’ come chi ha fatto fallimento aziendale: può accedere di nuovo al credito ma all’inizio con cautela). Però nessuna norma te lo vieta: tu sarai a tutti gli effetti debitoria libera e solvibile. Se costruisci un buon storico (ad es. apri un conto corrente, ottieni magari un piccolo prestito con microcredito e lo rimborsi puntuale, paghi le bollette regolarmente), col tempo il tuo merito di credito risalirà.

Ricorda anche che l’esdebitazione è un evento relativamente raro e molte banche ancora non sanno gestirlo in automatico. Dovrai tu assicurarti che i creditori chiusi dalla procedura non ti segnalino più come in sofferenza. In caso contrario, puoi rivolgerti all’Arbitro Bancario Finanziario o al Garante Privacy. Ma sono dettagli tecnici: l’importante è che, conclusa la procedura, nessuno potrà più legalmente esigere quei vecchi importi da te, e quindi sei libera di iniziare una nuova storia finanziaria. Considerala una sorta di “reset”: all’inizio parti da punteggio basso, ma con la condotta puoi ripristinare una buona reputazione. E se il tuo scopo non è indebitarti di nuovo ma vivere nei limiti delle tue possibilità, forse non avrai neanche bisogno di prestiti per un bel po’.

Domanda: “Se denuncio il mio compagno per violenza, i suoi debiti potranno essere coperti con un risarcimento a mio favore? Cioè, lui mi deve dei soldi per i danni, ma allo stesso tempo io e lui abbiamo debiti comuni.”

Risposta: In un eventuale processo penale a carico del tuo ex, tu puoi costituirti parte civile e chiedere un risarcimento danni per tutte le sofferenze (fisiche, morali, economiche) subite. Se il giudice penale lo condannerà, stabilirà una somma (o rinvierà al civile per quantificarla). Quella somma è un tuo credito nei confronti dell’ex. Teoricamente, potresti compensare quel credito con eventuali debiti che tu hai verso di lui – ma tu non hai debiti verso di lui personalmente, li avete verso terzi. Più concretamente: se il tuo ex viene condannato a risarcirti poniamo 20.000 €, e tu hai subito pagato 10.000 € di mutuo che spettava a lui, potrai chiedere al giudice civile di imputare parte del risarcimento a rimborsarti quelle uscite (cioè far valere il danno economico, oltre a quello morale). Difficilmente però il tribunale penale entra in questi dettagli contabili: in separata sede civile potrai agire per recuperare da lui quanto hai pagato in più di debiti comuni (azione di regresso o di arricchimento).

Se lui è nullatenente o non paga volontariamente, potrai pignorare i suoi beni o stipendio fino a soddisfarti di quel risarcimento. In concorrenza con altri suoi creditori, avrai un vantaggio: i crediti da risarcimento di reato hanno privilegio generale sui mobili (come i crediti alimentari). Ma se lui è inadempiente in generale, non è detto che tu riesca a ricavare qualcosa, purtroppo. In ultimo, esiste un Fondo statale per le vittime di reati violenti (D.Lgs. 204/2007) che, in mancanza di pagamento da parte del condannato, indennizza in parte le vittime di alcuni reati gravi (tipo violenza sessuale, omicidio del familiare, etc., ma include anche i maltrattamenti gravi). Gli importi però sono modesti (qualche migliaio di euro).

Insomma, non contare sul risarcimento penale come soluzione ai debiti: meglio affrontare i debiti con gli strumenti ad hoc (piani, esdebitazione). Se poi riuscirai a ottenere soldi da lui come risarcimento, saranno comunque benvenuti e potrai utilizzarli per pagare i creditori nel piano o per te stessa se sei già esdebitata. Tieni presente che se fossi in procedura di liquidazione e durante quella ricevi un risarcimento danni, quell’importo entra nell’attivo a beneficio dei creditori! (Perché è un tuo credito sopravvenuto di natura risarcitoria). Se invece lo ricevi dopo l’esdebitazione, resta a te (in quanto sopravvenienza successiva liberamente disponibile, salvo i 4 anni dell’incapiente, ma lì si parla di grosse cifre). Quindi la tempistica può incidere: una ragione in più per coordinare bene le azioni legali penali e concorsuali col tuo avvocato, per non rischiare che i soldi del risarcimento finiscano paradossalmente ai creditori che avevi già tolto di mezzo.

Esempi pratici: casi risolti di vittime indebitate

Per dare un’idea concreta di come le norme si applichino nella realtà, riportiamo di seguito alcuni casi reali (con nomi di fantasia) tratti dalla cronaca giudiziaria recente, in cui donne vittime di violenza domestica sono riuscite a uscire da situazioni debitorie apparentemente disperate grazie agli strumenti descritti. Si tratta di sentenze emesse da tribunali italiani ai sensi della legge sul sovraindebitamento (L.3/2012, ora integrata nel Codice della crisi):

Caso 1: “Maria” – Mutuo forzato e debiti del marito, risolti con liquidazione controllata
Maria è una donna di 55 anni che ha subito violenza economica dal marito per anni. Nel 2000 il marito la costrinse con minacce a stipulare un mutuo ipotecario sulla casa di sua proprietà, facendole usare l’intera somma ottenuta per pagare debiti che lui aveva accumulato. Cinque anni dopo, il marito l’abbandona improvvisamente e sparisce, lasciandole sia il peso del mutuo che nuove cartelle esattoriali a suo nome. Maria riesce con sacrifici a pagare le rate per un po’, ma col tempo entra in difficoltà. Nel 2010 il marito viene addirittura condannato penalmente per estorsione nei suoi confronti (a riprova delle coercizioni subite). Nonostante ciò, la banca e il fisco continuano a pretendere da Maria i rispettivi crediti. Nel 2023, sommando il mutuo residuo e alcune imposte non pagate, Maria ha circa € 270.000 di debiti e uno stipendio modesto. Grazie a un centro antiusura, Maria si rivolge all’Organismo di Composizione della Crisi di Monza, presentando una procedura di liquidazione controllata (ex L.3/2012). Propone di vendere alcuni beni e, non avendo molto patrimonio, di versare ai creditori solo una somma mensile di € 300 per 3 anni (totale € 10.800) come contributo minimo. La sua casa aveva già un’ipoteca e poco equity, quindi avrebbe coperto solo il mutuo in parte; lei però necessita di abitarci. Il Tribunale di Monza, con sentenza del 17.3.2023, accoglie la procedura di liquidazione controllata e – dato il comportamento meritevole di Maria – la ammette all’esdebitazione a termine della procedura. In sostanza, Maria dovrà pagare quei €300 al mese per 36 mesi al liquidatore (che li distribuirà ai creditori in proporzione), dopodiché otterrà la cancellazione di tutto il debito residuo. Il giudice ha riconosciuto che Maria era stata vittima delle malefatte economiche del marito e che aveva fatto il possibile per onorare gli impegni. Il risultato è che Maria salva la casa (nessun pignoramento ulteriore, continuando lei a pagare la quota mutuo con quei €300 destinati in parte alla banca) e potrà vivere serena senza debiti dopo i 3 anni. Questo caso dimostra come anche offrendo una cifra modesta ma ragionevole, e spiegando bene la situazione di violenza subìta, si possa ottenere l’esdebitazione di centinaia di migliaia di euro. Da notare: il marito, se ancora in vita, resterebbe obbligato verso la banca per la parte di mutuo non recuperata (ma presumibilmente è insolvibile pure lui). Maria in ogni caso ne esce pulita, e perfino la “cattiva fama” di cattivo pagatore sarà cancellata dopo 3 anni grazie all’esdebitazione (la sentenza specifica che sarà cancellata dalle centrali debitorie la sua posizione).

Caso 2: “Paola” – 315.000 € di debiti azzerati vendendo la casa all’asta (Tribunale di Como 2024)
Paola, 48 anni, divorziata, aveva subito violenze fisiche ed economiche dall’ex marito, cadendo in una grave depressione e perdendo il lavoro. Si trova con debiti verso banche (prestiti personali), l’Agenzia delle Entrate Riscossione (tasse non versate) e il condominio, per un totale di circa € 315.000. Tra questi debiti c’è un grosso arretrato fiscale perché l’ex non aveva pagato tasse a lei intestate. Paola decide di rivolgersi all’OCC di Como gestito da una nota associazione antiusura (Protezione Sociale Italiana). Viene individuata come soluzione la liquidazione controllata: Paola propone di mettere all’asta l’unico suo bene di valore, la casa di proprietà, stimata circa €120.000, e di dare tutto il ricavato ai creditori. Non avendo altre risorse, non offre ulteriori pagamenti (è un caso limite tra liquidazione e incapienza). Il Tribunale di Como con sentenza del 25.7.2024 approva la liquidazione controllata e dichiara che Paola potrà ottenere l’esdebitazione al termine. In pratica, Paola perderà la casa (che viene venduta per pagare in parte i debiti) ma in cambio uscirà libera da ogni debito residuo. Dai 315k€, i creditori riceveranno 120k (proporzionalmente: presumibilmente il fisco incasserà qualcosa, le banche il resto pro quota) e i rimanenti ~195k verranno cancellati. Paola potrà ricominciare da capo senza il fardello economico, anche se ha dovuto sacrificare l’immobile (probabilmente era comunque ipotecato e a rischio pignoramento, quindi ha anticipato gli eventi incanalandoli nella procedura concorsuale). Il giudice non ha richiesto il consenso dei creditori (in liquidazione non serve) e ha riconosciuto le circostanze eccezionali (violenza subita) che spiegavano l’indebitamento. Questo caso evidenzia che la liquidazione controllata è efficace quando c’è un immobile da monetizzare: meglio farlo in modo ordinato con l’assistenza dell’OCC, che subire l’asta dai creditori con rischio di restare debitori per la differenza. Paola ora vive in affitto, aiutata anche da reti sociali, ma senza più incubi di telefonate dei creditori o stipendi pignorati.

Caso 3: “Gianna” – Debiti da carte di credito e prestiti, risolti con piano del consumatore (Tribunale di Udine 2022)
Gianna, 40 anni, era vittima di violenza psicologica ed economica da parte del convivente. Lui la obbligava a contrarre piccoli prestiti e ad usare le carte di credito per comprargli cose e pagare sue spese voluttuarie. Dopo la rottura della relazione, Gianna si è ritrovata con 15 diverse posizioni debitorie (prestiti personali, revolving, bollette non pagate) per un totale di circa € 60.000, senza un reddito stabile (aveva lavoretti saltuari perché lui le impediva di cercare lavoro fisso). In più, era segnalata come cattiva pagatrice e tormentata dai recupero crediti. Nel 2022, grazie all’aiuto di un’associazione di volontariato, prepara un piano del consumatore ai sensi della L.3/2012. Il piano prevedeva: Gianna ha stimato di poter pagare mensilmente 200 € grazie a un nuovo lavoro part-time (trovato dopo essersi liberata di lui), per 5 anni, quindi offriva circa €12.000 in totale ai creditori, da distribuire in percentuale (circa il 20% del debito). Niente beni da vendere, solo questo impegno di reddito futuro. Il piano è stato omologato dal Tribunale (i creditori non potevano opporsi sulla convenienza, visto che lei non aveva patrimonio, e la percentuale offerta era ragionevole confrontata con una liquidazione dove avrebbero preso quasi zero). Il giudice ha ritenuto Gianna meritevole, sottolineando come la situazione di sovraindebitamento fosse derivata dalla “subdola violenza economica esercitata dal partner” (così nelle motivazioni). Gianna dunque sta eseguendo il piano (che finirà nel 2027) e finora è regolare con i pagamenti. In virtù dell’omologazione, le sono state bloccate tutte le azioni esecutive e le finanziarie hanno dovuto accettare i pagamenti ridotti. Al termine del piano, otterrà l’esdebitazione dei circa 48.000 € che non avrà potuto pagare. Nel frattempo, con l’aiuto di un consulente finanziario di un centro antiusura, ha potuto ottenere la cancellazione dalle centrali rischi, presentando l’omologa del piano e facendo valere la sua volontà di adempiere regolarmente all’accordo. Questo caso “minore” (importi più bassi) mostra come il piano del consumatore sia flessibile: anche tanti micro-debiti con finanziarie diverse possono essere accorpati in un’unica procedura, evitando alla vittima di dover rincorrere ogni creditore. Gianna di fatto ha consolidato i debiti in uno, con rate sostenibili, sotto l’egida del tribunale. Senza quella via, probabilmente sarebbe rimasta invischiata per decenni a pagare piccole somme a ciascuno senza mai liberarsi davvero.

Caso 4: “Lucia” – Esdebitazione immediata per la vittima nullatenente (Tribunale di Firenze 2023)
Lucia, 30 anni, ha vissuto un incubo di violenza domestica per 5 anni, durante i quali il marito la costringeva a non lavorare e a intestarsi tutti i contratti (utenze, affitto, finanziamenti per auto e moto che però usava lui). Quando finalmente riesce a scappare con l’aiuto di un centro antiviolenza, si trova con circa € 40.000 di debiti e insoluti: bollette arretrate, penali per recesso anticipato di contratti, rate di un’auto mai guidata da lei, perfino un prestito per l’acquisto di una moto di cui non sapeva nulla (firma falsificata, che sta contestando in denuncia). Lucia non ha lavoro, vive in una casa rifugio, niente beni intestati. Il suo avvocato le suggerisce di tentare l’esdebitazione da incapiente introdotta dal nuovo Codice della crisi. Presentano nel 2023 ricorso al Tribunale di Firenze evidenziando l’assenza totale di attivo e la situazione reddituale prossima alla soglia di povertà, allegando la documentazione del centro antiviolenza e la querela per la firma falsificata. Il gestore OCC nella relazione conferma che Lucia è priva di beni utilmente liquidabili e che i suoi debiti derivano in gran parte da abusi del marito. Il Tribunale accoglie il ricorso e nel settembre 2023 emette decreto di esdebitazione totale di Lucia, riconoscendone la meritevolezza (non aveva colpa nel sovraindebitamento) e l’incapienza. Da quel momento, Lucia è liberata da tutti i suoi debiti. I creditori sono stati avvisati e non possono più reclamarle nulla. Lucia sta seguendo un corso di formazione professionale e confida di trovare impiego; sa che, se nei prossimi 4 anni il suo reddito eccederà una certa soglia, dovrà comunicarlo (ma parliamo di redditi molto alti, improbabili nel breve termine). Questo caso dimostra l’efficacia dello strumento “fresh start” per chi esce da situazioni devastanti: in pochi mesi la donna ha ottenuto ciò che per via extragiudiziale sarebbe stato impossibile (nessun creditore le avrebbe mai spontaneamente abbonato 40.000 €). In un colpo solo, con un decreto, è tornata a zero debiti. Certo, c’è voluto un intervento professionale per predisporre bene la pratica, ma i costi sono stati coperti dal gratuito patrocinio e da un fondo regionale a supporto delle vittime. Lucia ora può concentrarsi sulla ricostruzione della sua vita senza l’angoscia dei creditori alla porta.

Caso 5: “Chiara” – Imprenditrice in crisi per violenza del socio/marito, utilizza il concordato minore
Chiara, 45 anni, era socia al 50% con il marito in una piccola impresa commerciale (negozio di abbigliamento). Purtroppo subiva da anni anche violenza fisica ed economica da parte del marito, il quale dissipava denaro aziendale per spese personali e aveva contratto debiti verso fornitori e banche a nome della società senza dirle nulla. Quando Chiara decide di lasciarlo, scopre che l’azienda è indebitata per oltre € 200.000, è insolvente e il marito ha fatto fallire di proposito ogni trattativa, arrivando anche a minacciare i fornitori per tenerli a bada. Chiara chiude il negozio (impresa cessata) e si ritrova anche fideiussora su alcuni debiti bancari. In teoria la sua azienda sarebbe fallibile, ma i parametri dimensionali la qualificano “piccola” (sotto le soglie di fallibilità). Inoltre lei come persona ha anche debiti personali (carta di credito, leasing auto). Decide allora, con il nuovo avvocato, di percorrere il concordato minore. Presenta un’unica procedura che comprende sia i debiti dell’ex impresa (come concordato) sia i propri personali consumer. Propone di vendere i macchinari e le rimanenze del negozio (ottenendo circa € 50k) e aggiunge un apporto esterno: suo fratello le presta € 20k da mettere nel piano. Totale € 70k da distribuire, su 200k di debiti (pari al 35%). Il piano prevede di liquidare tutto subito (concordato liquidatorio) e chiudere. I creditori vengono chiamati a votare: molti fornitori, informati della sua situazione di vittima (che in parte conoscevano, avendo visto il comportamento del marito in negozio), votano a favore dell’accordo perché preferiscono ottenere il 35% subito e darle un’occasione di rifarsi. La banca (creditore ipotecario su arredi) si astiene ma tanto raggiungono la maggioranza. Il Tribunale omologa il concordato minore. Chiara cede i beni, paga i €70k complessivi e ottiene l’esdebitazione per sé e per la sua quota dei debiti sociali. Anche la società viene definitivamente liquidata senza bisogno di fallimento. Questo caso – un po’ più tecnico – fa capire che anche quando la vittima aveva un ruolo imprenditoriale, può usare gli strumenti di sovraindebitamento (qui il concordato minore era d’obbligo perché c’era di mezzo un ex socio non consumatore, il marito, sebbene assente). E la meritevolezza in tal caso ha coinciso col far capire ai creditori che lei era stata anch’essa vittima del dissesto aziendale causato dal marito. In altre parole, quando c’è fiducia nella persona, persino i creditori commerciali mostrano maggiore disponibilità a un accordo. Ora Chiara, liberata dai debiti, ha aperto (con un nuovo socio) un piccolo laboratorio artigianale di sartoria: ha imparato la lezione, tiene i conti sotto controllo e non accetta più soci prepotenti.


Questi esempi, pur diversi tra loro, hanno un filo conduttore: la condizione di violenza subita è stata presa in considerazione dal sistema giudiziario come elemento essenziale per concedere alla debittrice una via d’uscita. Le storie di “Paola”, “Maria”, “Gianna”, “Lucia”, “Chiara” mostrano che la legge può dare una seconda possibilità quando i debiti sono frutto di situazioni sfortunate o abusive. Nessuno di questi risultati sarebbe stato possibile senza l’intervento di professionisti (avvocati, OCC) e senza il coraggio delle donne di affrontare il problema di petto anziché nasconderlo. Il messaggio dunque è: non vergognatevi dei debiti accumulati a causa di una violenza subita. Avete diritto, anzi più che mai meritate, di accedere agli strumenti di sollievo previsti dall’ordinamento.

Conclusioni

La condizione della donna vittima di violenza con debiti è una delle più difficili, perché intreccia aspetti emotivi, fisici ed economici in un nodo che sembra indistricabile. Uscire dalla violenza richiede già uno sforzo immenso; dover poi affrontare i creditori, le banche, le carte bollate, può sembrare oltremodo gravoso. Tuttavia, come abbiamo illustrato in questa guida, il diritto italiano offre una serie di strumenti di difesa efficaci. Dal patrocinio legale gratuito per perseguire l’abusante, alle procedure di sovraindebitamento per congelare e ridurre i debiti; dalla sospensione delle rate dei mutui, ai contributi statali come il Reddito di Libertà, tutto converge verso un obiettivo: restituire autonomia e dignità alla donna, sia sul piano personale che finanziario.

È fondamentale che le vittime non si sentano sole in questo percorso. Avvocati, commercialisti, giudici, assistenti sociali, volontari dei centri antiviolenza, istituzioni: esiste una rete che può e vuole aiutare. Spesso, la parte più difficile per la donna è il primo passo, ovvero rivelare la propria situazione di indebitamento. C’è ancora un ingiustificato stigma sociale verso chi ha debiti, come se fosse sempre indice di colpa o irresponsabilità. In realtà, come abbiamo visto, i debiti possono essere la cicatrice economica di una violenza subita. E come tali vanno trattati: con comprensione e volontà di guarigione.

Dal punto di vista normativo, l’Italia è all’avanguardia su alcuni fronti (ad esempio l’ammissione automatica al patrocinio a spese dello Stato per le vittime di violenza, o l’introduzione dell’esdebitazione dell’incapiente). Su altri margini di miglioramento restano, ma la direzione è quella giusta: la recente direttiva UE 2024/1385 ci sprona a rafforzare ulteriormente i meccanismi di tutela economica per le donne maltrattate. Ciò potrebbe tradursi in futuro in strumenti ancora più agili (ad es. procedure semplificate dedicate, maggiori fondi di sostegno, ecc.).

Per ora, quello che conta è far conoscere alle potenziali beneficiarie le opzioni esistenti. Questa guida spera di aver contribuito a diffondere tale consapevolezza. Ogni caso è a sé stante, e va analizzato da professionisti: invitiamo chiunque si riconosca in queste problematiche a rivolgersi con fiducia alle strutture competenti (tribunali, OCC, consultori legali). Spesso si rimane stupiti di quanto le persone, una volta informate dei loro diritti, riescano a trasformare la propria vita.

In conclusione, una donna che è riuscita a liberarsi dalla morsa della violenza merita di liberarsi anche dalle catene dei debiti ingiusti. Il diritto le fornisce la chiave: piani del consumatore, concordati, esdebitazioni, fondi di aiuto. Con la chiave giusta, anche la porta apparentemente più blindata – quella dei debiti che opprimono – può essere aperta. Oltre quella porta c’è una nuova vita, in cui la paura e la vergogna lasciano spazio alla ricostruzione e alla speranza.

Fonti e riferimenti

  • Codice Civile, artt. 1427-1434 (vizi del consenso nei contratti, inclusa violenza morale).
  • Codice Penale, art. 572 (Maltrattamenti in famiglia) e art. 612-bis (Atti persecutori – stalking).
  • D.P.R. 30 maggio 2002 n.115, art. 76 co. 4-ter: Gratuito patrocinio per le vittime di determinati reati (introdotto da L.119/2013 e L.69/2019).
  • Decreto Lgs. 14/2019 e successive modifiche (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – CCII), in particolare: artt. 65-83 (procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento: piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata), art. 66 (procedura familiare), art. 282-283 (esdebitazione del sovraindebitato meritevole e del debitore incapiente). D.Lgs. 136/2024 (“Correttivo Ter” al CCII) che ha semplificato l’accesso per ex imprenditori e procedure familiari.
  • Legge 27 gennaio 2012 n.3 (“legge salva-suicidi”) abrogata e confluita nel CCII dal 2022, ma rilevante per la giurisprudenza formatasi (piani del consumatore, accordi, liquidazione).
  • Direttiva (UE) 2024/1385 del Parlamento Europeo e Consiglio, relativa alla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – riconosce la violenza economica nel contesto domestico e invita gli Stati a predisporre misure di tutela.
  • Convenzione di Istanbul (Consiglio d’Europa, 2011) – art. 3 include la violenza economica nella definizione di violenza domestica; ratificata dall’Italia con L.77/2013.
  • Cassazione Civile, sez. VI, 22/09/2022 n. 27843 – in tema di sovraindebitamento, onere del debitore di provare la propria meritevolezza (ragionevole proporzionalità del debito alle capacità e sopravvenienza di eventi negativi).
  • Cassazione Penale, sez. V, 26/01/2025 n. 1268 – riconosce la violenza economica come forma di maltrattamenti ex art.572 c.p., richiamando la Convenzione di Istanbul.
  • Cassazione Civile, 27/08/2020 n. 17959 – ha statuito la nullità ex art.1418 c.c. dei contratti conclusi come effetto di reato di estorsione (orientamento innovativo rispetto alla mera annullabilità per violenza).
  • Tribunale di Catanzaro, sent. 24/03/2022 – (confermato da Cass., v. Diritto.it 10/5/22) – ha ribadito che le vittime di maltrattamenti hanno diritto al patrocinio a spese Stato senza bisogno di ISEE, censurando decisioni contrarie.
  • Tribunale di Monza, sent. 17/03/2023 (proc. 21/2023) – Liquidazione controllata ex L.3/2012 di “Maria”, vittima di violenza economica: debiti €269.695 azzerati dopo pagamento parziale di €300/mese per 36 mesi.
  • Tribunale di Como, sent. 25/07/2024 (proc.122/2024) – Liquidazione controllata di “Paola”, vittima di maltrattamenti: €315.000 di debiti azzerati conferendo ricavato di vendita casa (€120.000).
  • Tribunale di Pavia, sent. 20/11/2023 – Piano di ristrutturazione dei debiti omologato per vittima di violenza con debiti verso Agenzia Entrate Riscossione, azzerati per €101.500 (fonte: protezione-sociale.it).

Donna Vittima di Violenza con Debiti: Come Difendersi Con Studio Monardo

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  • ✍️ Predispone istanze per la sospensione delle procedure esecutive e delle azioni di recupero
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e crisi da sovraindebitamento
  • ✔️ Specializzato nella tutela di soggetti fragili, vittime di abusi e violenza domestica
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Conclusione

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