Hai ricevuto un avviso di accertamento per immobili esteri non dichiarati?
L’Agenzia delle Entrate ti contesta la mancata indicazione di case, terreni o fabbricati detenuti all’estero nel quadro RW della dichiarazione dei redditi? In questi casi è fondamentale capire se l’obbligo dichiarativo sussisteva davvero, se l’avviso è legittimo e come difendersi per evitare sanzioni pesanti, imposte sostitutive e accertamenti patrimoniali più invasivi.
Quando può arrivare un avviso di accertamento per immobili esteri non dichiarati?
– Se sei residente fiscalmente in Italia e possiedi immobili all’estero, anche se non produttivi di reddito
– Se non hai compilato il quadro RW del Modello Redditi, obbligatorio per il monitoraggio fiscale
– Se l’immobile è stato acquistato, ereditato, ricevuto in donazione o intestato a società estere
– Se l’Agenzia rileva la proprietà tramite scambio automatico di informazioni (CRS), segnalazioni da notai esteri o controlli incrociati con catasti esteri
– Se hai affittato l’immobile all’estero e non hai dichiarato il reddito in Italia
Cosa contiene un avviso di accertamento per immobili esteri?
– L’indicazione del bene non dichiarato: ubicazione, valore presunto, fonte della segnalazione
– Il calcolo delle imposte evase: IVIE (imposta sul valore degli immobili esteri), Irpef su eventuali redditi da locazione, sanzioni e interessi
– L’accusa di omesso monitoraggio fiscale, con applicazione delle relative sanzioni (dal 3% al 15% del valore dell’immobile, fino al 30% se in Paesi black list)
– L’invito a fornire chiarimenti o aderire all’accertamento entro 60 giorni
– L’avvertimento che, in caso di mancata risposta, l’accertamento diventerà definitivo
Come puoi difenderti da un avviso di accertamento per immobili esteri non dichiarati?
– Verifica se eri effettivamente obbligato a dichiarare l’immobile nel quadro RW (es. non residenti, soggetti non fiscalmente obbligati)
– Controlla se l’immobile era già stato indicato in anni precedenti o se il dato è errato
– Se si tratta di un errore formale o una dimenticanza, valuta una dichiarazione integrativa con ravvedimento operoso
– Dimostra se l’immobile era detenuto pro quota, in usufrutto, in multiproprietà o tramite soggetti esteri, con documentazione a supporto
– Se ritieni l’accertamento infondato, prepara una memoria difensiva o presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
– Se il debito è elevato, puoi valutare una rateizzazione o una transazione con l’Agenzia
Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– L’annullamento dell’accertamento, se l’obbligo dichiarativo non sussisteva
– La riduzione delle sanzioni, se regolarizzi con ravvedimento operoso o aderisci all’accertamento
– La tutela della tua posizione fiscale e patrimoniale, evitando ulteriori controlli
– La rateizzazione delle somme dovute, per evitare blocchi su conti o iscrizioni ipotecarie
– La prevenzione di nuovi accertamenti, se sistemi anche le annualità precedenti
Attenzione: il mancato monitoraggio di immobili esteri può comportare gravi conseguenze fiscali, anche in assenza di redditi. Tuttavia, non tutti i casi contestati sono fondati: spesso si tratta di errori, dati incompleti o presunzioni. Agire subito è fondamentale per limitare i danni.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale, monitoraggio RW e contenzioso tributario ti spiega come difenderti in caso di accertamento per immobili esteri, quando aderire, quando opporsi e come tutelare il tuo patrimonio.
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Introduzione
Nel sistema tributario italiano vige il principio del reddito mondiale: i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tassati su tutti i redditi e patrimoni ovunque prodotti o detenuti. Ciò comporta obblighi stringenti di dichiarazione e monitoraggio fiscale per chi possiede beni o investimenti all’estero. In particolare, il Quadro RW della dichiarazione dei redditi è il riquadro dedicato a indicare gli investimenti e le attività estere (inclusi conti correnti, partecipazioni, immobili e altri cespiti) suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. L’omessa compilazione di tale quadro – anche se commessa in buona fede o in assenza di un effettivo danno erariale – è considerata una violazione sostanziale delle norme fiscali.
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui patrimoni esteri non dichiarati, grazie anche allo scambio automatico di informazioni tra Stati (Common Reporting Standard). Ciò significa che dati relativi a conti bancari, immobili situati all’estero, partecipazioni in società estere, redditi di fonte estera, ecc., vengono condivisi con il Fisco italiano. Queste informazioni vengono incrociate con le dichiarazioni presentate e, se emergono discrepanze o omissioni, l’Agenzia può avviare verifiche e accertamenti. Possedere un immobile all’estero non dichiarato espone dunque il contribuente al rischio di un avviso di accertamento, con conseguenze fiscali significative e, nei casi più gravi, anche penali.
L’avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente le violazioni commesse (nel nostro caso la mancata dichiarazione di immobili esteri) e ridetermina le imposte dovute, applicando le relative sanzioni. Dal punto di vista di chi riceve l’atto – il debitore d’imposta – è fondamentale conoscere i propri diritti e obblighi: quali sono le norme vigenti in materia di monitoraggio fiscale internazionale, quali sanzioni sono previste per l’omessa dichiarazione, come vengono calcolate le imposte come l’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili all’Estero), entro quali termini il Fisco può agire e quali strumenti di difesa e regolarizzazione sono disponibili.
In questa guida, rivolta a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) ma anche a privati cittadini e imprenditori con un livello avanzato di conoscenza giuridico-fiscale, analizzeremo dettagliatamente la disciplina italiana sugli immobili esteri non dichiarati. Il taglio sarà tecnico ma con finalità divulgative, privilegiando un linguaggio chiaro e ricorrendo a fonti normative aggiornate, giurisprudenza recente (sentenze di Cassazione e prassi amministrativa), nonché a tabelle riepilogative e casi pratici per facilitare la comprensione. Il focus sarà sempre dal punto di vista del contribuente (debitore) che si trovi ad affrontare un accertamento: forniremo quindi indicazioni sulle strategie difensive, sui possibili percorsi di regolarizzazione e sulle tutele a disposizione di chi voglia sistemare la propria posizione fiscale. Infine, una sezione di Domande e Risposte affronterà i quesiti più frequenti in materia, per chiarire i dubbi più comuni.
Obbligo di monitoraggio fiscale e Quadro RW
Chi deve dichiarare gli immobili esteri: tutti i contribuenti fiscalmente residenti in Italia che detengono immobili all’estero (a titolo di proprietà o altro diritto reale) sono tenuti a indicarli nel Quadro RW della propria dichiarazione annuale dei redditi. L’obbligo riguarda sia le persone fisiche sia alcuni enti o società “trasparenti” come le società semplici e gli enti non commerciali residenti (dal 2020 anche questi ultimi sono stati inclusi tra i soggetti passivi dell’IVIE/IVAFE, come vedremo). In pratica, il titolare italiano di un immobile situato all’estero deve compilare il Quadro RW ogni anno, riportando i dati identificativi dell’immobile e il relativo valore di riferimento. Questo adempimento rientra nel cosiddetto “monitoraggio fiscale”, introdotto dal D.L. 167/1990 e successive modifiche, finalizzato a consentire al Fisco di conoscere le consistenze patrimoniali estere dei residenti.
Eccezioni ed esoneri: la regola generale è che tutte le attività estere vanno dichiarate, indipendentemente dal loro ammontare. Una limitata eccezione riguarda i conti correnti esteri con giacenze modeste: se nel corso dell’anno il saldo massimo complessivo dei conti non supera €15.000, il contribuente è esonerato dall’indicazione nel Quadro RW di tali conti. Tale soglia però non si applica agli immobili: anche il possesso di un piccolo immobile fuori dall’Italia comporta l’obbligo dichiarativo, non essendo previsto un valore minimo di esenzione per gli immobili. Ulteriori esoneri riguardano i beni esteri affidati in gestione a intermediari finanziari italiani (caso delle gestioni patrimoniali “amministrate”), poiché in tal caso gli obblighi di monitoraggio sono assolti dall’intermediario stesso. Invece rimane sempre obbligatoria la dichiarazione degli immobili esteri, anche se da essi non derivano redditi imponibili nell’anno o se eventuali redditi siano esenti o già tassati alla fonte. Pertanto, ad esempio, una seconda casa all’estero inutilizzata va comunque segnalata in RW, così come va segnalato un immobile estero dato in affitto (a prescindere dal fatto che il reddito locativo sia tassato all’estero).
Valore da indicare in Quadro RW: per gli immobili, il valore normalmente da indicare è il costO di acquisto risultante dall’atto di compravendita o, in mancanza, il valore di mercato al termine del periodo d’imposta. Tuttavia, se l’immobile è situato in un Paese dell’Unione Europea (o SEE con adeguato scambio di informazioni), è possibile utilizzare il valore catastale come determinato e rivalutato secondo le regole fiscali di quel Paese. Ciò è in linea con la logica di equiparare, per quanto possibile, il trattamento degli immobili esteri a quello degli immobili italiani (che ai fini fiscali utilizzano valori catastali). In qualunque caso, il valore va indicato in euro; se espresso in valuta estera, occorre convertirlo al cambio medio dell’anno di riferimento. Il Quadro RW richiede di riportare anche la quota di possesso (ad es. 100% proprietà, oppure 50% se in comunione, ecc.) e il periodo di detenzione nell’anno (mesi di possesso). Questi elementi servono sia per il monitoraggio sia per il calcolo proporzionale dell’IVIE dovuta, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Titolare effettivo e detenzione indiretta: la normativa sul monitoraggio fiscale è stata ampliata per ricomprendere non solo gli intestatari formali delle attività estere, ma anche i soggetti che ne hanno disponibilità o potere di movimentazione a qualsiasi titolo. In altre parole, non è possibile eludere l’obbligo di Quadro RW interponendo schermi formali. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo di dichiarazione sussiste non solo in capo ai proprietari registrati, ma anche a coloro che di fatto dispongono dei beni esteri. Ad esempio, se un immobile all’estero è intestato a una società estera ma un contribuente residente ha il pieno controllo di tale società (e quindi dell’immobile), egli dovrà comunque darne evidenza in RW, in qualità di titolare effettivo del bene. Allo stesso modo, se i beni esteri sono schermati tramite un trust o altra entità, occorre individuare la persona fisica che ne è il beneficiario effettivo o che comunque dispone del patrimonio, poiché sarà quest’ultima tenuta al monitoraggio (su questi casi particolari – trust, società interposte, fondi – torneremo dettagliatamente più avanti). Di converso, viene escluso un obbligo dichiarativo autonomo per chi detiene mere deleghe o poteri di firma senza effettiva disponibilità economica: ad esempio, l’amministratore di una società estera con facoltà di movimentare il conto della società non è tenuto a dichiarare quel conto in RW, poiché opera su mandato e non nel proprio interesse. In sintesi, deve compilare il Quadro RW chiunque abbia una relazione giuridica o di fatto con l’attività estera tale da configurarne il possesso o la disponibilità economica.
L’IVIE: imposta sul valore degli immobili esteri
Nel 2011, con il decreto “Salva-Italia” (D.L. 201/2011, convertito in L. 214/2011), è stata introdotta un’imposta patrimoniale specifica sugli immobili detenuti all’estero da soggetti residenti in Italia, denominata IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili situati all’Estero). L’IVIE si affianca all’IMU (che colpisce gli immobili siti in Italia) e nasce con la finalità di parificare il carico fiscale tra chi investe nel mattone in Italia e chi possiede case all’estero. Vediamo i punti principali di questa imposta:
- Soggetti passivi: persone fisiche residenti in Italia titolari di immobili esteri a titolo di proprietà o altro diritto reale (usufrutto, ecc.). Dal periodo d’imposta 2020, la legge ha esteso l’IVIE anche a taluni soggetti “non individuali”: in particolare enti non commerciali e società semplici residenti, nonché ai trust fiscalmente residenti in Italia. Ciò significa, ad esempio, che un trust residente che possiede uno o più immobili esteri propri deve versare IVIE su tali immobili (prima del 2020 vi era incertezza sul punto, in quanto l’obbligo pareva gravare solo sulle persone fisiche beneficiarie). Resta fermo che, se il bene estero è posseduto attraverso soggetti interposti (es. trust esterovestiti, società di comodo estere controllate da persone fisiche italiane), l’IVIE in sostanza ricade sul contribuente italiano per il tramite dell’obbligo dichiarativo come titolare effettivo – pena altrimenti configurare un’omissione del monitoraggio.
- Aliquota e base imponibile: l’IVIE si calcola applicando ai valori dell’immobile l’aliquota prevista. Attualmente l’aliquota ordinaria è 0,76% annuo del valore dell’immobile (la stessa aliquota base dell’IMU sugli immobili diversi dall’abitazione principale). Il valore da considerare, come anticipato, è in genere il prezzo di acquisto risultante dall’atto o, se non disponibile, il valore di mercato al 31 dicembre di ciascun anno. In alternativa, per gli immobili in UE/SEE, si può utilizzare il valore catastale locale (ad esempio in Francia la valeur cadastrale, nel Regno Unito il council tax value, ecc.) se ufficialmente determinato ai fini fiscali in quel Paese. L’imposta è dovuta in proporzione alla quota di possesso e ai mesi di possesso nell’anno: quindi se ad esempio si è proprietari al 50% di un immobile estero, ognuno dei due comproprietari calcolerà l’IVIE sul 50% del valore; se l’immobile è stato posseduto solo per 6 mesi nell’anno (perché acquistato a metà anno), l’imposta sarà calcolata proporzionalmente a metà anno. È prevista inoltre una franchigia di €200: in pratica, dall’imposta calcolata si detrae un importo fino a €200, che rende non dovuta l’IVIE qualora l’ammontare annuale risulti pari o inferiore a tale soglia. Questa franchigia funziona similmente alla detrazione prevista un tempo per l’IMU sull’abitazione principale.
- Abitazione principale estera: in parallelo a quanto avviene per l’IMU, anche l’IVIE prevede un trattamento agevolato per l’immobile estero adibito ad abitazione principale del contribuente. In particolare, dal 2016 è stata introdotta l’esenzione dall’IVIE per l’immobile estero ad uso abitazione principale (non di lusso) del residente. Ciò significa che se un contribuente italiano ha la propria dimora principale all’estero (caso non frequente ma possibile, ad es. per lavoratori transfrontalieri o espatriati che però mantengono residenza fiscale in Italia), quella casa non sconta l’IVIE, a condizione che non sia accatastata in categorie di lusso equivalenti (A/1, A/8, A/9). Per le abitazioni principali “di lusso”, invece, non c’è esenzione ma si applica un’aliquota ridotta dello 0,4% e una detrazione di €200, analogamente all’IMU prima casa di lusso. L’esenzione (o aliquota ridotta) si estende anche alle pertinenze dell’abitazione (es. box, cantina) entro i limiti di legge.
- Crediti per imposte estere: per evitare fenomeni di doppia imposizione economica, la normativa prevede che dall’IVIE dovuta si possa detrarre, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’eventuale imposta patrimoniale estera pagata nello Stato in cui è situato l’immobile. In altri termini, se il Paese estero preleva anch’esso un tributo sul patrimonio immobiliare (ad esempio la Francia applica l’IFI – impôt sur la fortune immobilière – sui beni immobili), il contribuente potrà sottrarre quanto pagato all’estero dall’IVIE dovuta in Italia, evitando un doppio prelievo sullo stesso presupposto. Attenzione però: il credito spetta solo per imposte di natura patrimoniale sul valore dell’immobile versate all’estero. Non sono invece accreditabili tasse estere di altra natura (ad esempio l’eventuale imposta sul reddito locativo o imposte di registro sugli acquisti). Inoltre, se l’imposta patrimoniale estera eccede l’IVIE calcolata in Italia, l’eccedenza non è rimborsabile né utilizzabile: il credito è limitato a compensare l’IVIE dovuta. Va notato che molti Paesi non prevedono affatto una patrimoniale immobiliare annuale (limitandosi a tassare gli immobili con imposte municipali o tasse di possesso non assimilabili a un’imposta patrimoniale pura); in tali casi il problema del credito potrebbe non porsi, ma il contribuente italiano pagherà interamente l’IVIE.
- Versamento dell’IVIE: l’IVIE deve essere liquidata nella dichiarazione dei redditi annuale (Modello Redditi PF, quadro RW sezione XVIII) relativa all’anno di riferimento, ed è versata con le stesse scadenze dell’IRPEF (saldo entro il 30 giugno dell’anno successivo e acconto per l’anno in corso, se dovuto). In caso di omesso versamento, si applicano le ordinarie sanzioni per omesso pagamento d’imposta (30% dell’importo non versato, riducibile con ravvedimento operoso) oltre agli interessi di mora. Tuttavia, spesso l’omesso versamento dell’IVIE si accompagna all’omessa indicazione del bene in Quadro RW: ciò comporta che l’ufficio contesterà sia la violazione formale di monitoraggio (sanzione proporzionale sul valore) sia la violazione sostanziale di mancato pagamento dell’imposta (sanzione sul tributo evaso), come dettagliato oltre.
Riassumendo le principali caratteristiche dell’IVIE in una tabella:
Oggetto | Descrizione |
---|---|
Aliquota ordinaria IVIE | 0,76% annuo del valore dell’immobile (pro rata per quota e mesi di possesso). |
Abitazione principale estera | Esente se non di lusso (dal 2016); se di lusso, aliquota ridotta 0,4% + detrazione €200. |
Franchigia generale | Detrazione di €200 dall’imposta annua dovuta (annulla l’IVIE se importo a debito ≤ €200). |
Valore imponibile | Costo d’acquisto o valore di mercato; per immobili in UE/SEE utilizzo del valore catastale locale se disponibile. |
Credito per imposte estere | Detraibile dall’IVIE l’importo di eventuali imposte patrimoniali pagate all’estero sul medesimo immobile (fino concorrenza). |
Dichiarazione e versamento | Quadro RW del Mod. Redditi PF; pagamento insieme a saldo IRPEF annuale (con eventuali acconti). |
Sanzioni per omessa dichiarazione di immobili esteri
La mancata indicazione di un immobile estero in dichiarazione determina una duplice categoria di violazioni: da un lato, la violazione dell’obbligo di monitoraggio fiscale (omesso Quadro RW) e, dall’altro, l’eventuale violazione di omesso versamento di imposte correlate (in primis l’IVIE, ma anche IRPEF su eventuali redditi esteri non dichiarati). Vediamo separatamente le conseguenze sanzionatorie amministrative, tenendo presente che nei casi più gravi possono sorgere anche profili penali, di cui ci occuperemo in seguito.
Sanzioni amministrative per omessa compilazione del Quadro RW
L’omessa (o infedele) compilazione del Quadro RW è punita con una sanzione proporzionale calcolata sul valore dell’attività non dichiarata, per ciascun periodo d’imposta oggetto di violazione. Le percentuali applicabili sono stabilite dall’art. 5, comma 2, D.L. 167/1990 e differenziate a seconda della collaborazione del Paese estero in materia fiscale. In particolare:
- Attività estere in Paesi collaborativi (White list): sanzione dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato. Sono considerati “collaborativi” gli Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni con l’Italia (in genere quelli inclusi nelle white list OCSE). Esempio: per un immobile in Francia non dichiarato, l’Agenzia applicherà, per ciascun anno, una sanzione compresa tra il 3% e il 15% del valore dell’immobile non indicato.
- Attività estere in Paesi a fiscalità privilegiata (Black list): sanzione dal 6% al 30% del valore non dichiarato. La misura raddoppiata si applica se l’immobile è situato in un Paese considerato non collaborativo o a regime fiscale privilegiato. Ad esempio, un immobile posseduto a titolo personale in un cosiddetto “paradiso fiscale” (assenza di scambio info) non indicato in RW espone a una sanzione annuale fra il 6% e il 30% del suo valore.
Queste sanzioni si cumulano per ogni anno di omessa dichiarazione. Dunque, se un contribuente non ha dichiarato un immobile estero per, ad esempio, quattro anni, il Fisco potrebbe contestare quattro distinte violazioni RW (una per anno) ciascuna con sanzione tra il 3-15% (o 6-30%) del valore annualmente non monitorato. Ciò può portare a importi sanzionatori molto elevati (fino al 60% o 120% del valore sommando più annualità). Tali importi sono stati oggetto di critiche per possibile eccesso sanzionatorio. Si segnala che la Corte di Giustizia UE, con sentenza del 27/01/2022 (causa C-788/19), ha ritenuto sproporzionato il regime sanzionatorio spagnolo analogo al quadro RW italiano – che prevedeva persino una sanzione del 150% e l’indefinita proroga dei termini di accertamento – in violazione della libera circolazione dei capitali. La normativa italiana, pur severa (fino al 15-30% per anno), è meno draconiana di quella spagnola censurata, ma l’alert europeo resta significativo. In ogni caso, ad oggi le sanzioni indicate sono pienamente operative in Italia.
Oltre all’omessa dichiarazione, la legge punisce anche l’infedele dichiarazione in RW (dichiarazione compilata ma con dati incompleti o inesatti) con le medesime percentuali ma ridotte alla metà. Ad esempio, se un immobile estero viene dichiarato ma per un valore inferiore a quello reale, la sanzione va dall’1,5% al 7,5% (raddoppiando in caso di Paese black list, quindi 3-15%). Va evidenziato che, secondo la prassi, l’indicazione in RW di un valore significativamente inferiore al reale può essere equiparata a omessa dichiarazione se l’omissione è pressoché totale (ad es. dichiarare un valore simbolico irrisorio).
Di seguito uno schema riassuntivo delle sanzioni per monitoraggio fiscale:
Violazione Quadro RW | Sanzione amministrativa (per anno) |
---|---|
Omessa indicazione di asset esteri white list | dal 3% al 15% dell’intero valore non dichiarato |
Omessa indicazione di asset esteri black list | dal 6% al 30% del valore non dichiarato |
Infedele indicazione (dati incompleti/errati) | 50% della sanzione applicabile (quindi 1,5%-7,5% oppure 3%-15%) |
Nota: In caso di ritardo lieve nella presentazione del Quadro RW, sono previste riduzioni. Se il contribuente presenta una dichiarazione integrativa entro 90 giorni dalla scadenza originaria, l’omissione RW è sanabile con la sanzione fissa minima (da €250 a €1.000) invece delle sanzioni proporzionali. Inoltre, tramite ravvedimento operoso (trattato più avanti) è possibile beneficiare di riduzioni delle suddette sanzioni, proporzionali alla tempestività della regolarizzazione.
Sanzioni per imposte non pagate (IVIE e redditi esteri)
Oltre alla violazione formale di monitoraggio, il mancato adempimento comporta spesso anche una violazione sostanziale: il contribuente che non dichiara un immobile estero, infatti, tipicamente non versa l’IVIE dovuta su tale immobile e potrebbe non dichiarare eventuali redditi prodotti (ad esempio canoni di locazione esteri). L’Agenzia delle Entrate, dunque, nell’avviso di accertamento contesterà anche l’omesso pagamento di imposte.
- Omesso versamento dell’IVIE: l’IVIE non pagata viene recuperata dal Fisco con l’avviso di accertamento, unitamente agli interessi moratori calcolati dal giorno in cui l’imposta era dovuta. Si applica inoltre la sanzione per omesso versamento d’imposta, pari al 30% dell’imposta non versata (art. 13 D.Lgs. 471/1997). Se però l’omissione dell’IVIE si configura nell’ambito di una dichiarazione infedele o omessa, può trovare applicazione la sanzione per dichiarazione infedele più grave (pari al 90% dell’imposta evasa, ex art. 1 comma 2 D.Lgs. 471/1997). In pratica, l’ufficio valuterà se qualificare la condotta come dichiarazione infedele: ad esempio, se il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi omettendo completamente il Quadro RW e senza indicare l’IVIE, potrebbe configurarsi dichiarazione infedele relativa all’imposta patrimoniale, con sanzione base del 90% dell’IVIE evasa (aumentabile fino a 180% in caso di accertamento e mancata definizione agevolata). Nel caso estremo in cui non sia stata presentata alcuna dichiarazione, l’omissione assume rilievo di dichiarazione omessa, punita con sanzione dal 120% al 240% delle imposte dovute, con minimo €250 (art. 1 comma 1 D.Lgs. 471/1997). Fortunatamente, la maggior parte dei casi di “immobili esteri non dichiarati” riguarda contribuenti che hanno presentato la dichiarazione omettendo solo il quadro RW e l’IVIE, configurando quindi una dichiarazione infedele limitata, piuttosto che un’omessa dichiarazione integrale.
- Omessa dichiarazione di redditi esteri dell’immobile: se l’immobile generava redditi imponibili (ad esempio affitto, oppure plusvalenza da vendita non esente), l’accertamento includerà anche tali profili. I redditi immobiliari esteri (locazioni) vanno dichiarati in Italia ai sensi dell’art. 70 TUIR e tassati in base alla rendita catastale estera (o al reddito effettivo se più favorevole grazie alle convenzioni, come vedremo). La mancata dichiarazione è sanzionata anch’essa come dichiarazione infedele sui redditi: sanzione ordinaria 90% dell’imposta evasa su detti redditi, aumentabile in caso di imponibile estero non dichiarato superiore al 10% del reddito o superiore a €2 milioni (circostanze che aggravano la penalità sino al 180%). In casi di importi evasi molto elevati, peraltro, scattano anche i profili penali (dichiarazione infedele è reato se l’imposta evasa supera €100.000, come si dirà più avanti). Si noti che, qualora il contribuente possa vantare un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero su quei redditi (es. ha già pagato tasse nello Stato dove l’immobile è situato), la legge prevede il diritto a detrarre tali imposte estere dall’IRPEF italiana dovuta (art. 165 TUIR). Tuttavia, la Corte di Cassazione ha stabilito che se il contribuente non dichiara affatto il reddito estero, perde il diritto al credito per le imposte estere pagate. Solo aderendo a una procedura di regolarizzazione (es. voluntary disclosure) il credito d’imposta può essere recuperato in sede di ricalcolo. Dunque, nell’ambito dell’accertamento, l’Agenzia tende a negare lo scomputo delle imposte estere se il reddito non era stato dichiarato nei tempi dovuti, a meno che il contribuente dimostri di aver attivato strumenti di collaborazione volontaria.
Termini di accertamento e raddoppio: generalmente l’Amministrazione finanziaria può notificare avvisi di accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (termine di decadenza ordinario). In caso di dichiarazione omessa, il termine diventa il 31 dicembre del settimo anno successivo. Tuttavia, per gli investimenti esteri non dichiarati, il legislatore ha previsto un’estensione dei termini, il cosiddetto “raddoppio dei termini”. La base normativa è l’art. 12 commi 2-bis e 2-ter del D.L. 78/2009, che stabilisce che, in presenza di attività estere non dichiarate in Paesi black list, i termini per l’accertamento raddoppiano. Ciò porta il termine da 5 a 10 anni (o da 7 a 12 anni in caso di omessa dichiarazione), concedendo al Fisco un periodo più lungo per accertare violazioni connesse a patrimoni esteri occultati. La Cassazione ha chiarito che tale raddoppio ha natura procedurale e si applica anche retroattivamente per annualità precedenti al 2009 (anno di entrata in vigore della norma). In pratica, ad esempio un immobile estero non dichiarato nel 2014 potrebbe essere ancora accertabile fino al 31/12/2025 grazie al raddoppio (mentre un’omissione “domestica” 2014 sarebbe decaduta a fine 2019).
È importante segnalare che l’art. 12 citato contiene anche una presunzione legale di evasione: gli investimenti esteri in paradisi fiscali si presumono costituiti con redditi sottratti a tassazione salvo prova contraria. Questa presunzione consente al Fisco di imputare al contribuente, oltre alle sanzioni patrimoniali, anche un reddito imponibile fittizio corrispondente al valore trasferito all’estero, a meno che il contribuente non dimostri che i fondi utilizzati per l’acquisto dell’immobile erano già tassati o di provenienza lecita. Si tratta di una presunzione molto insidiosa: in pratica, trovare un immobile estero non dichiarato in un Paese black list autorizza l’ufficio a presumere che il contribuente abbia evaso redditi per un ammontare pari al valore di quell’immobile e a tassarlo di conseguenza (oltre a richiedere l’IVIE). La Cassazione ha però escluso la retroattività di questa presunzione sostanziale: essa vale solo per investimenti effettuati dal 2009 in poi, non potendo incidere su annualità precedenti. Inoltre, la giurisprudenza ha messo in guardia sull’uso di tale strumento, che deve comunque rispettare i principi di proporzionalità e difesa: un’applicazione troppo estesa potrebbe porsi in contrasto con i principi costituzionali e comunitari. Dal punto di vista pratico, in sede di difesa, il contribuente potrà vincere la presunzione fornendo prova documentale sull’origine delle somme usate per acquistare o detenere l’immobile (es. denaro già tassato o frutto di redditi esenti, risparmi leciti, eredità, ecc.).
Profili penali (reati tributari)
La mera omessa dichiarazione di un immobile estero, di per sé, non costituisce reato. Si tratta infatti di una violazione amministrativa. Tuttavia, se dall’omissione derivano imposte evase di ammontare rilevante, può scattare la configurazione di reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000. I possibili reati in questo contesto sono essenzialmente due:
- Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): è il reato che ricorre quando il contribuente, al fine di evadere le imposte, indica elementi attivi per un ammontare inferiore al reale ovvero elementi passivi fittizi, e l’imposta evasa supera €100.000 (nonché gli elementi sottratti a imposizione superano il 10% del reddito dichiarato o €2 milioni). Nel caso di immobili esteri non dichiarati, la situazione tipica è l’omessa indicazione di redditi (affitti, plusvalenze) derivanti da tali immobili, oppure la mancata indicazione dell’IVIE dovuta: se l’ammontare di imposta evasa su questi elementi supera la soglia penalmente rilevante, il contribuente rischia l’incriminazione per dichiarazione infedele. La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni (nel regime attuale, aumentata dopo la riforma del 2015). Ad esempio, un contribuente che ometta di dichiarare canoni di locazione esteri per 300.000 € annui (evadendo circa 130.000 € di IRPEF) potrebbe essere perseguibile per questo reato.
- Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): se il contribuente non presenta affatto la dichiarazione dei redditi pur essendovi obbligato, e l’imposta evasa supera €50.000, scatta il reato di omessa dichiarazione, punito con reclusione da 2 a 5 anni. Questo potrebbe riguardare casi estremi in cui il possessore di immobili esteri non abbia presentato alcuna dichiarazione in Italia (magari ritenendo erroneamente di essere residente all’estero, mentre per il Fisco risulta residente in Italia). Se però il contribuente ha presentato la dichiarazione ma ha omesso solo il Quadro RW e i redditi esteri, si configura semmai dichiarazione infedele, non dichiarazione omessa.
Va sottolineato che l’omessa compilazione del Quadro RW in sé non integra reato, neppure se gli importi non dichiarati sono ingenti. La Cassazione ha escluso la rilevanza penale dell’omissione RW isolatamente considerata, in quanto tale condotta riguarda un obbligo dichiarativo a fini patrimoniali e di monitoraggio, ma non rappresenta di per sé evasione d’imposta su redditi. Anche il sequestro penale finalizzato alla confisca non può essere giustificato dal solo mancato monitoraggio di capitali all’estero, in assenza di un’imposta evasa sui redditi. In linea con ciò, una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen. sez. III n.20649 del 4 giugno 2025) ha affermato un principio importante: il trasferimento di beni operato al fine di sottrarsi al pagamento delle sole sanzioni Quadro RW non configura il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) se non è contestata anche un’evasione sulle imposte dovute (es. IRPEF). In altre parole, cercare di evitare le sanzioni amministrative RW (ad esempio spostando patrimoni per non pagarle) non fa scattare automaticamente reati penali, a meno che parallelamente non vi sia un debito per imposte evase. Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte richiede infatti che vi sia un debito per imposte (o interessi, sanzioni collegate a imposte) già accertato e che il contribuente compia atti dispositivi simulati sui propri beni per renderli indisponibili al Fisco. Nel caso specifico deciso nel 2025, un contribuente aveva trasferito beni dopo aver ricevuto un avviso di irrogazione di sole sanzioni RW per circa €1,75 milioni, senza contestazioni di imposte evase: la Cassazione ha annullato il sequestro preventivo, chiarendo che senza un’evasione di IRPEF o IVA non c’è reato ex art.11.
Rimane comunque possibile che, nei casi di patrimoni esteri non dichiarati, vi siano reati collegati all’evasione di imposte sui redditi. Ad esempio, se un immobile estero era schermato da società o trust e produceva proventi occulti, può entrare in gioco anche il reato di omessa fatturazione o dichiarazione fraudolenta qualora si tratti di redditi d’impresa o IVA. Ma ciò esula dal caso tipico del privato proprietario di immobili. Per le persone fisiche, i reati connessi saranno in genere quelli di cui sopra (infedele o omessa dichiarazione).
In definitiva, dal punto di vista del contribuente è importante sapere che l’aspetto penale subentra solo in presenza di evasione fiscale significativa. La sola esistenza di immobili all’estero non dichiarati comporta sanzioni pecuniarie molto elevate ma non la reclusione, salvo che tali immobili siano il mezzo per occultare redditi imponibili cospicui. In sede di difesa penale, inoltre, va ricordato che l’omessa dichiarazione RW non può essere usata come scorciatoia dall’accusa: serve la prova (o quantomeno una forte presunzione) di un’evasione d’imposta. In assenza di ciò, come visto, la Cassazione esclude misure ablative e condanne penali solo per il monitoraggio omesso.
Procedura di accertamento e difesa del contribuente
Esaminiamo ora come si svolge, in concreto, il procedimento di accertamento per immobili esteri non dichiarati e quali sono gli strumenti difensivi a disposizione del contribuente (il debitore dell’imposta accertata).
Avvio del controllo e richiesta di informazioni
Spesso l’iter prende avvio con l’arrivo al contribuente di una comunicazione o questionario dall’Agenzia delle Entrate, in cui si segnalano anomalie emerse dai controlli incrociati (ad esempio, informazioni pervenute via scambio di dati CRS su un immobile posseduto all’estero non rinvenuto in dichiarazione) e si chiede al contribuente di fornire chiarimenti o documentazione. Questa fase, precedente all’emissione formale di un avviso, è un momento cruciale in cui il contribuente può, se possibile, regolarizzare spontaneamente o comunque fornire spiegazioni. Ad esempio, potrebbe emergere che l’immobile era stato venduto prima dell’anno di segnalazione, o che si trattava di un bene ereditato da un soggetto non residente (quindi non soggetto a RW). Fornire risposte accurate al questionario può talvolta evitare l’accertamento, se si dimostra che non vi era obbligo di dichiarazione o se l’anomalia è frutto di un errore scusabile poi sanato con ravvedimento.
Notifica dell’Avviso di Accertamento
Se i chiarimenti non vengono ritenuti sufficienti, oppure se il controllo parte direttamente (ad esempio nell’ambito di un’indagine più ampia), l’ufficio emette l’avviso di accertamento. Si tratta di un atto amministrativo motivato, notificato al contribuente (anche presso la residenza estera se nota, secondo le modalità di notifica internazionale previste), che dettaglia le violazioni riscontrate, il quantum di imposte dovute (IVIE arretrate, IRPEF su eventuali redditi non dichiarati) e le sanzioni applicate, oltre agli interessi maturati. Nell’avviso vengono citate le fonti normative (ad es. art. 5 D.L.167/90 per le sanzioni RW, art.13 D.Lgs.471/97 per l’omesso versamento, art.1 D.Lgs.471/97 per la dichiarazione infedele, ecc.) e vengono illustrati sinteticamente i fatti (es: “il contribuente risultava proprietario di immobile sito in ___ dal ___ non dichiarato nei Quadri RW 2016-2019, per un valore di €; si recupera IVIE per € oltre sanzioni…”).
L’avviso indica anche le modalità e i termini per impugnare l’atto o per definire la pendenza. In genere entro 60 giorni dalla notifica il contribuente può proporre ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali) competente. Alternativamente, entro lo stesso termine, è possibile presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio, una procedura di confronto che sospende i termini di impugnazione e mira a trovare un accordo transattivo.
Accertamento con adesione
L’adesione (disciplinata dal D.Lgs. 218/1997) è uno strumento che consente di evitare il contenzioso raggiungendo un compromesso col Fisco. Il contribuente che riceve l’accertamento può chiedere un colloquio all’ufficio per discutere il caso. Nel contesto di immobili esteri, l’adesione può essere utile per ridurre alcune pretese: ad esempio, si potrebbe ottenere un ricalcolo del valore dell’immobile (se si dimostra che l’ufficio ha sovrastimato), oppure la non applicazione della presunzione di evasione ex art.12 D.L.78/2009 se si provano i movimenti finanziari, o ancora la rideterminazione delle sanzioni al minimo edittale. Se l’accordo si trova, viene redatto un atto di adesione con le nuove somme concordate. I vantaggi dell’adesione per il contribuente sono: una riduzione delle sanzioni amministrative ad 1/3 del minimo (in luogo delle più alte del caso di rigetto), la possibilità di pagare il dovuto in forma dilazionata (fino a 8 rate trimestrali, o 16 rate se importi oltre 50 mila €) e soprattutto il chiudersi della vicenda senza contenzioso. Nel nostro caso, ad esempio, se l’avviso contesta sanzioni RW al 10% annuo, in sede di adesione si potrebbe ottenere la riduzione al 3% minimo per anno (e poi a 1/3 di tale minimo, ossia 1% per anno) in presenza di collaborazione. Oppure, se l’immobile era in trust ma il contribuente fornisce i documenti sul trust, l’ufficio potrebbe rinunciare a contestare la sanzione a più soggetti e limitarsi al beneficiario effettivo.
Acquiescenza e definizione agevolata
Se il contribuente ritiene fondato (o inevitabile) l’accertamento e non intende fare ricorso, può scegliere di prestare acquiescenza all’atto. Ciò comporta l’accettazione integrale delle somme accertate e il pagamento entro il termine per il ricorso (60 giorni), beneficiando di una riduzione delle sanzioni del 1/3 (art. 15 D.Lgs. 218/97). Ad esempio, una sanzione RW del 15% verrebbe ridotta al 10%. L’acquiescenza esclude il ricorso e rende definitiva la pretesa, ma evita l’aumento delle sanzioni in caso di soccombenza in giudizio. In alternativa, qualora la legge di bilancio o norme speciali prevedano definizioni agevolate (talvolta il legislatore introduce sanatorie sulle liti pendenti o sugli avvisi non impugnati), il contribuente potrebbe valutare di aderire a tali misure se applicabili.
Ricorso e contenzioso tributario
Nel caso in cui non si aderisca né si accetti, l’unica via è presentare ricorso entro 60 giorni dalla notifica (prorogati di 90 giorni se si è fatta istanza di adesione nel frattempo). Nel ricorso il contribuente può far valere vizi formali dell’avviso (es. notifica inesistente o carenza di motivazione) e contestazioni di merito. Dal punto di vista del merito, le possibili linee difensive includono:
- Contestare la residenza fiscale italiana: se il contribuente sostiene di non essere residente in Italia in quegli anni (magari perché iscritto all’AIRE e stabilito all’estero), può eccepire l’assenza di obbligo dichiarativo. Occorre però fornire prova di aver effettivamente trasferito all’estero il proprio domicilio stabile. La Cassazione richiede elementi “gravi, precisi e concordanti” per contestare la residenza estera dichiarata dal contribuente. In assenza, l’iscrizione all’AIRE non basta a negare la residenza fiscale in Italia. Questa difesa va quindi usata solo se realmente supportata dai fatti.
- Prova contraria sulla presunzione di evasione: se l’avviso applica la presunzione di cui all’art. 12 D.L.78/09 (asset estero = redditi evasi), il contribuente può vincerla mostrando che i fondi utilizzati per acquistare l’immobile erano leciti e già tassati. Documenti bancari, tracciabilità di bonifici, atti di successione o donazione sono prove tipiche per dimostrare la provenienza non occultata del denaro.
- Doppia imposizione e convenzioni: qualora l’immobile abbia prodotto redditi tassati all’estero o sia stato già colpito da imposte estere, il contribuente può rivendicare il credito d’imposta ex art.165 TUIR o l’applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni. Ad esempio, se l’immobile in Francia ha prodotto un affitto tassato al 20% in Francia, in base alla convenzione Italia-Francia quei redditi andavano dichiarati in Italia ma con credito per l’imposta francese pagata. Se il Fisco non avesse riconosciuto il credito (per via della mancata dichiarazione originaria), lo si può invocare in sede contenziosa, magari chiedendo la disapplicazione della decadenza dal credito per cause di forza maggiore o buona fede.
- Calcolo sanzioni e cumulo: si possono contestare errori nel calcolo delle sanzioni (ad es. sanzioni duplicate o cumulate oltre il dovuto, mancata applicazione del cumulo giuridico se applicabile, ecc.). Talvolta è possibile invocare l’art. 12 D.Lgs. 472/1997 sul cumulo giuridico, sostenendo che omissioni pluriennali frutto di un medesimo disegno configurino una continuazione e meritino un’unica sanzione (tesi difficile da far valere, ma tentata in alcuni casi per ridurre il carico sanzionatorio). Inoltre, nel caso di sanzioni molto elevate, si può invocare il principio di proporzionalità (anche alla luce della sentenza UE sul modello spagnolo), chiedendo al giudice di ridurre la sanzione entro limiti non eccessivi rispetto alla gravità concreta.
- Questioni procedurali: verifica dei termini di notifica (se l’avviso è stato notificato oltre i termini decadenziali tenendo conto o meno del raddoppio); verifica delle autorizzazioni (per indagini finanziarie internazionali serve un apposito provvedimento); correttezza della notifica all’estero (va rispettata la Convenzione postale o consolare, eventuali nullità di notifica possono invalidare l’atto).
Nel giudizio tributario, il contribuente può chiedere la sospensione dell’atto se dal pagamento deriverebbe un danno grave e irreparabile. Infatti, dopo la notifica dell’avviso, trascorsi 60 giorni senza pagamento o ricorso, l’atto diviene definitivo e le somme possono essere iscritte a ruolo per la riscossione coattiva. Se invece si presenta ricorso, il pagamento è sospeso ipso iure per 1/3 delle imposte accertate fino alla sentenza di primo grado (l’eventuale 2/3 residuo viene comunque iscritto a titolo provvisorio). In caso di esito sfavorevole, il contribuente potrà appellare alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) e poi eventualmente in Cassazione.
Punto di vista del debitore: affrontare un accertamento per immobili esteri non dichiarati richiede una strategia multidisciplinare. Dal punto di vista pratico, il contribuente dovrebbe: i) reperire tutta la documentazione estera relativa all’immobile (atti di acquisto, pagamenti effettuati, eventuali dichiarazioni estere, bollette di tasse locali) per supportare la propria posizione; ii) valutare con professionisti la convenienza di una definizione immediata (se le violazioni sono palesi) rispetto alla lite; iii) se si prosegue nel contenzioso, preparare perizie o pareri che attestino il valore reale dell’immobile (spesso il Fisco adotta valori OMI italiani che possono non tener conto di condizioni particolari); iv) considerare possibili profili transnazionali, ad esempio se l’immobile è in comproprietà con soggetti esteri, o se la tassazione estera copre già parte dell’imposizione (coordinamento tra sistemi fiscali). In ogni caso, il debitore ha diritto a far valere le proprie ragioni e a una rideterminazione equa del dovuto: le commissioni tributarie in questi anni hanno talora ridotto sanzioni ritenute sproporzionate o annullato atti non adeguatamente motivati, fornendo un importante contrappeso alle pretese erariali su questa materia complessa.
Casi particolari: trust, società estere e altri enti interposti
Un capitolo delicato riguarda gli immobili esteri che non risultano intestati direttamente alla persona fisica residente, bensì schermati tramite enti giuridici: tipicamente trust, società estere, fondazioni o altri veicoli. Il Fisco italiano, supportato anche da una copiosa giurisprudenza, adotta un approccio “look-through” in molti di questi casi, mirando a colpire il titolare effettivo dell’immobile più che la struttura interposta. Analizziamo i principali scenari:
Immobili esteri intestati a società estere
Spesso chi detiene beni immobili in Paesi stranieri costituisce una società estera (per esempio una holding immobiliare) di cui detiene il 100% delle quote, e intesta formalmente l’immobile alla società invece che a sé stesso. L’obiettivo può essere di natura gestionale, ma talvolta anche di riservatezza fiscale. Ai fini del monitoraggio italiano, occorre distinguere:
- Il contribuente, in quanto proprietario delle partecipazioni estere, deve comunque dichiarare nel Quadro RW il possesso di tali azioni o quote della società estera. Le partecipazioni in società estere sono esse stesse un investimento estero da monitorare, a prescindere dagli asset posseduti dalla società. Pertanto, almeno sotto questo profilo, l’obbligo RW permane (e la sanzione per mancata dichiarazione di partecipazioni estere è la medesima del 3-15% o 6-30% sul valore della partecipazione).
- Resta il fatto che l’immobile è intestato alla società e non direttamente alla persona. Se la società estera è una società “commerciale” reale, con autonoma personalità e attività, il Fisco non può pretendere che l’individuo dichiari anche l’immobile, oltre alle quote. Tuttavia, se la società estera è solo uno schermo (società di comodo o “esterovestita”) utilizzato per celare l’effettiva titolarità dell’immobile, l’Amministrazione finanziaria può invocare il principio dell’interposizione. In base all’art. 37, comma 3, DPR 600/1973, infatti, si disregarda l’interposta persona giuridica attribuendo la titolarità sostanziale al contribuente, quando quest’ultimo conserva disponibilità piena del bene e la società funge da mero schermo. La Cassazione ha più volte confermato questo approccio: ad esempio, ha stabilito che se un immobile estero è detenuto tramite una società residente in un paradiso fiscale ma di fatto utilizzato dal socio italiano, le utilità e i redditi connessi a detto immobile vanno imputati al socio e l’immobile va considerato come a lui appartenente ai fini fiscali. In un caso recente (Cass. n. 9096/2025), la Suprema Corte ha rilevato che il trasferimento di azioni a un trust estero, mantenendone però il controllo, configurava un’operazione fittizia e che i redditi andavano imputati al disponente. Per analogia, ciò vale anche per società estere: se l’azionista residente mantiene il controllo e l’utilizzo dei beni sociali (l’immobile), il Fisco può sostenere che la società è interposta.
- Implicazione pratica: se viene riconosciuta l’interposizione, il contribuente risponde come se fosse diretto proprietario dell’immobile. Quindi, l’immobile andava indicato in Quadro RW (non basta aver indicato le quote societarie), l’IVIE andava pagata sul valore dell’immobile (nonostante formalmente il soggetto passivo dell’IVIE fosse la società, magari non tenuta perché non residente – lacuna che il legislatore ha colmato nel 2020 includendo anche le società semplici e trust residenti, ma non le società di capitali estere), ed eventuali redditi dell’immobile andavano dichiarati dal socio come redditi propri (dividendi figurativi o redditi fondiari esteri). È chiaro che, da un punto di vista difensivo, il contribuente cercherà di dimostrare che la società estera non era affatto un semplice schermo ma un soggetto reale con sostanza economica (es. svolgeva attività, aveva altri soci, etc.). Se però gli indizi di esterovestizione (società localizzata all’estero ma di fatto gestita dall’Italia per fini personali) sono molti – ad esempio società in un paradiso fiscale amministrata dal contribuente stesso e proprietaria esclusivamente della villa da lui utilizzata – allora in sede di accertamento il contribuente verrà trattato come proprietario sostanziale. In sintesi, costituire una società estera per detenere l’immobile non esonera dal monitoraggio, anzi rischia di aggiungere un ulteriore profilo sanzionatorio (mancata indicazione delle quote, sanzione 3-15% su di esse) oltre a quello sull’immobile.
Immobili esteri detenuti per il tramite di un trust
Il trust è un istituto giuridico di origine anglosassone, riconosciuto anche in Italia per effetto della Convenzione dell’Aja 1985. Molti contribuenti, per ragioni patrimoniali o successorie, hanno costituito trust all’estero (ad esempio nei Paesi anglofoni o in Svizzera) conferendovi immobili. La questione è: un immobile estero intestato a un trust deve essere dichiarato in RW dal disponente o dal beneficiario italiano?
Occorre distinguere la tipologia di trust e il ruolo del soggetto residente:
- Trust opaco vs trasparente: un trust è detto trasparente quando i beneficiari di reddito sono individuati e hanno diritto ai redditi prodotti, che infatti vengono tassati direttamente in capo ai beneficiari per trasparenza. È opaco quando i beneficiari non hanno diritto ai redditi durante la vita del trust (ad es. beneficiari solo del capitale finale, mentre i redditi restano accantonati nel trust). Ai fini IRPEF, i trust opachi vengono tassati come soggetti IRES autonomi (se residenti) o non tassati in Italia (se esteri) finché non distribuiscono.
- Obblighi RW per il trust: se il trust è fiscalmente residente in Italia (ad esempio un trust con trustee italiano, o che rientra nelle presunzioni di residenza di cui all’art.73 TUIR, come trust estero con disponente e beneficiario italiani in Paese black list), allora il trust stesso deve dichiarare l’immobile estero in RW (dal 2020 i trust residenti rientrano tra i soggetti passivi di IVIE e IVAFE). Se invece il trust è non residente, formalmente non ha obblighi dichiarativi in Italia. Tuttavia, la normativa sul titolare effettivo impone che i soggetti residenti che siano titolari effettivi di attività estere tramite trust le dichiarino. Secondo l’art. 4 D.L. 167/90 come modificato, sono obbligati al RW i trust e anche le persone fisiche che risultano essere titolari effettivi di investimenti esteri tramite strutture fiduciarie.
- Chi è il titolare effettivo nel trust: in base alle regole antiriciclaggio recepite nel monitoraggio fiscale, per trust si intendono per titolari effettivi: il disponente, il trustee, l’eventuale guardiano e i beneficiari (determinati o determinabili), oppure – se i beneficiari non sono ancora determinati – la categoria di persone nel cui interesse principale il trust è istituito. Ciò significa che un beneficiario “individuato” di un trust estero potrebbe essere tenuto a dichiarare in RW la quota di patrimonio estero del trust di sua spettanza. Tuttavia, c’è dibattito sul caso dei beneficiari meramente potenziali di trust discrezionale (dove il trustee ha discrezionalità su se e quanto distribuire): tali beneficiari “non individuati” non hanno certezza di ottenere il patrimonio, quindi alcuni ritengono non debbano dichiarare nulla fino a quando non ricevano effettivamente i beni. Una dottrina recente sostiene appunto che le sanzioni non dovrebbero applicarsi a beneficiari non individuati che non abbiano adempiuto al monitoraggio, vista la loro posizione incerta. La linea prudente dell’Agenzia, però, è di considerare obbligato il beneficiario residente quando questi sia identificabile, anche se la sua spettanza sia differita.
- Orientamenti della Cassazione e dell’Agenzia: la Corte di Cassazione ha affermato in più pronunce che l’obbligo di Quadro RW ricade non solo sui formali intestatari (trustee), ma su chi ha la disponibilità effettiva dei beni. In caso di trust simulato o interposto, dove il disponente controlla di fatto il trust (es. coincide col trustee, o impartisce istruzioni), la Cassazione qualifica il trust come fittizio e considera il patrimonio come ancora appartenente al disponente, con conseguente obbligo in capo a quest’ultimo di dichiarare i beni e i relativi redditi. Emblematica è Cass. n. 9445/2025, la quale ha ribadito che in materia di trust conta la “situazione di fatto” del possesso del reddito/patrimonio: se il disponente o un altro soggetto di fatto dispone dei beni, va considerato il titolare ai fini fiscali. Dunque un trust esterovestito viene ignorato ai fini fiscali, e il contribuente sanzionato come se avesse detenuto direttamente l’immobile estero. Di recente, l’Agenzia delle Entrate ha recepito nelle proprie circolari queste indicazioni: nella Circolare 34/E del 20.10.2022 è stato chiarito che i beneficiari residenti di trust esteri devono assolvere il monitoraggio, e che se ciò avviene il trust è esonerato per evitare duplicazioni. In pratica, se il beneficiario dichiara la sua quota di patrimonio estero del trust, il trustee non deve farlo; ma se il beneficiario non adempie, l’assenza di monitoraggio ricade sui soggetti coinvolti (trustee/disponente) a seconda dei casi.
- Esempio pratico: Tizio, residente in Italia, istituisce un trust a Jersey trasferendovi un immobile a Londra. Tizio è disponente e beneficiario finale, il trustee è una società di Jersey. Formalmente, il trust è estero e opaco durante la vita di Tizio. Tizio dovrà indicare in RW il fatto di essere disponente di un trust estero e – secondo l’Agenzia – anche il valore dell’immobile in quanto titolare effettivo. Se Tizio omette di farlo e l’Agenzia lo scopre (magari tramite notifica del trust registrata in Italia o info bancarie), potrà contestare a Tizio le sanzioni RW sul valore dell’immobile (6-30% annuo, essendo Jersey black list). Inoltre, se il trust non è considerato interposto ma solo opaco, l’IVIE sarebbe dovuta dal trust (che però essendo non residente non la paga): l’Agenzia potrebbe allora rivalersi su Tizio come beneficiario effettivo per il pagamento dell’IVIE arretrata (questo punto è meno chiaro normativamente, ma dal 2020 se il trust fosse considerato residente di diritto, dovrebbe pagare lo 0,76% annuo). Se invece il trust è considerato fittizio, allora sin dall’origine Tizio doveva pagare l’IVIE come proprietario. In entrambi i casi Tizio si troverebbe con un avviso di accertamento consistente.
- Difesa nei casi di trust: il contribuente coinvolto può difendersi sostenendo la genuinità del trust e la propria mancanza di disponibilità sui beni. Ad esempio, un beneficiario può argomentare di non avere alcun diritto acquisito fino all’eventuale erogazione, e che quindi non poteva dichiarare perché non “deteneva” nulla. Può citare a sostegno l’orientamento che i beneficiari non certi non siano sanzionabili. Un disponente può dire di aver completamente perduto il controllo dei beni affidati al trustee indipendente (se vero). Le difese in quest’area sono complesse e richiedono anche competenze civilistiche sulle clausole del trust. In giudizio spesso si valutano i poteri effettivi esercitati: se emergono ingerenze del disponente, la fittizietà viene dichiarata (e quindi sanzioni confermate). Se invece il trust appare solido, il giudice potrebbe anche annullare o ridurre la pretesa sanzionatoria (in passato, su annualità antecedenti le modifiche normative, vi è stato contenzioso sull’effettiva sussistenza di obblighi RW per beneficiari potenziali, con esiti talora favorevoli ai contribuenti).
Fondazioni, holding e altri enti
Altri veicoli possibili includono le fondazioni di famiglia estere o altri enti analoghi. Il trattamento è simile a quello dei trust: se l’ente è interposto (schermo sotto controllo del disponente), verrà ignorato. Se è autonomo, bisogna valutare se il residente ha poteri di disposizione sul patrimonio. La circolare 38/E/2013 ha escluso l’obbligo RW per i soggetti che esercitano solo poteri di amministrazione per conto di enti esteri (es. il direttore di una fondazione estera che non è beneficiario). Quindi, un amministratore italiano di una fondazione estera non deve dichiarare i beni della fondazione, purché egli non ne sia anche beneficiario o disponente. Se però l’unico fondatore della fondazione estera è il contribuente stesso e ne è pure beneficiario, è plausibile che il Fisco tratti la fondazione come interposta e applichi le stesse regole dei trust interposti.
In conclusione, trust e società estere non garantiscono anonimato fiscale: la normativa attuale impone ai contribuenti di guardare alla sostanza e di dichiarare comunque le proprie posizioni estere indirette. Come affermato dalla Cassazione, conta la disponibilità effettiva: “anche a livello indiziario” si può desumere chi è il vero titolare. Nel dubbio, conviene dichiarare e semmai spiegare nella nota integrativa la natura mediata del possesso, piuttosto che rischiare sanzioni molto alte per omessa dichiarazione.
Convenzioni internazionali e doppia imposizione
Le convenzioni contro le doppie imposizioni (stipulate dall’Italia con numerosi Stati esteri) svolgono un ruolo importante nel coordinare la tassazione degli immobili esteri, ma non eliminano gli obblighi dichiarativi né le imposte patrimoniali italiane. È fondamentale per il contribuente capire cosa può – e cosa non può – invocare da tali convenzioni quando riceve un accertamento.
In genere le convenzioni (basate sul Modello OCSE) prevedono all’art. 6 che i redditi immobiliari siano tassabili sia nello Stato della fonte (dove è sito l’immobile) che nello Stato di residenza del proprietario, con preferenza però per la tassazione nello Stato della fonte. L’Italia, come Stato di residenza, concede poi un credito d’imposta per le eventuali imposte pagate all’estero su quei redditi (art. 23 delle convenzioni, in combinato con l’art.165 TUIR nel nostro ordinamento interno). Ad esempio, un affitto percepito in Francia da residente italiano può essere tassato in Francia secondo la convenzione Italia-Francia, e l’Italia darà un credito per la tassazione francese, evitando doppio prelievo. Tuttavia, ciò non significa che il reddito non vada dichiarato in Italia: va comunque inserito nel quadro dei redditi esteri, per attivare il meccanismo del credito.
Quanto ai redditi da alienazione di immobili (plusvalenze), solitamente le convenzioni (art. 13 par.1 Modello OCSE) attribuiscono la tassazione in via primaria allo Stato in cui è situato l’immobile. Se uno vende una casa in Spagna con plusvalenza, la Spagna può tassarla; l’Italia in teoria potrebbe anch’essa tassarla essendo reddito di un residente, ma spesso l’imposta italiana (es. quella sulle plusvalenze immobiliari) viene azzerata dal credito per la tassazione spagnola, o addirittura la convenzione può prevedere l’esenzione in Italia. Dipende dai singoli trattati. In ogni caso, anche le plusvalenze vanno segnalate in dichiarazione (quadro RL/RM a seconda dei casi) e poi semmai escluse per effetto convenzionale o con credito.
Le convenzioni tradizionali non coprono però le imposte patrimoniali come l’IVIE, a meno che nel titolo della convenzione non si menzionino anche “imposte sul patrimonio” (pochi trattati italiani lo fanno esplicitamente; ad es. la convenzione con la Svizzera copre solo imposte sul reddito). Quindi, l’IVIE è generalmente una imposta nazionale non soggetta a ripartizione convenzionale. Il possesso dell’immobile può essere soggetto a tassazione italiana (IVIE) e contestualmente a tassazione estera (es. council tax, property tax locale) senza che la convenzione risolva il conflitto, che viene invece risolto unilateralmente dall’Italia tramite il meccanismo di credito d’imposta interno menzionato prima. Per esempio, non esiste un articolo del trattato Italia-USA che dica quale paese tassa il patrimonio immobiliare: semplicemente l’Italia tassa con IVIE e gli USA con property tax, e l’Italia concede il credito per la property tax (se considerata imposta patrimoniale comparabile) fino a concorrenza dell’IVIE.
In sede di accertamento, dunque, il contribuente può invocare la convenzione per evitare la doppia imposizione giuridica sui redditi. Se l’Agenzia gli richiede IRPEF su un affitto già tassato all’estero, il contribuente ha diritto al credito per l’imposta estera pagata (presentando documentazione, es. modelli fiscali esteri o attestati di versamento). Se l’Agenzia gli richiede IRPEF su una plusvalenza che la convenzione riserva solo allo Stato estero, egli può eccepire l’inesistenza del presupposto in Italia (perché la convenzione funge da limite al potere impositivo italiano). È importante evidenziare che le convenzioni, una volta ratificate, prevalgono sulla legge interna: quindi, se un reddito non è tassabile in Italia per convenzione, l’accertamento deve decadere in quella parte.
Tuttavia, la convenzione non protegge dalla sanzione RW. L’obbligo di dichiarare l’attività estera sussiste a prescindere dal fatto che il relativo reddito sia tassato solo all’estero per convenzione. Ad esempio, un appartamento in Germania affittato a canone che, ipotizziamo, secondo convenzione venga tassato esclusivamente in Germania (caso non reale, ma poniamo per ipotesi), comunque doveva essere indicato in RW. La sanzione del 3-15% colpirebbe il valore non dichiarato, anche se poi l’IRPEF italiana non era dovuta su quei redditi per via del trattato. Ciò perché il monitoraggio ha finalità autonome: far emergere ricchezza detenuta all’estero. Lo stesso dicasi per l’IVIE: nessuna convenzione impedisce all’Italia di applicare l’IVIE anche se l’immobile è tassato all’estero; al più, il contribuente chiederà credito per l’eventuale imposta patrimoniale straniera come già spiegato.
Un tema spesso discusso è quello della doppia imposizione sanzionatoria o interesse del Fisco estero vs italiano. Ad esempio, se il contribuente è stato già sanzionato o perseguito all’estero per violazioni su quell’immobile, può chiedere clemenza in Italia? Purtroppo, le sanzioni amministrative italiane operano indipendentemente da eventuali sanzioni estere: non esiste un principio di “ne bis in idem” internazionale per le sanzioni tributarie amministrative. Solo a livello penale, se un soggetto fosse giudicato per reati fiscali in due Paesi, si porrebbe il problema del bis in idem (coperto però principalmente da accordi UE, non applicabili se uno dei due è extra-UE).
In sintesi, le convenzioni internazionali garantiscono al contribuente che i redditi dell’immobile non vengano tassati due volte integralmente – potendo sfruttare crediti d’imposta – ma non lo esimono dall’obbligo di dichiarare l’immobile (Quadro RW) né dal pagare l’IVIE italiana. Unici correttivi all’IVIE sono il credito per imposte patrimoniali estere e l’eventuale esenzione per abitazione principale se applicabile. Dunque, in un accertamento l’argomento convenzionale servirà principalmente a ridurre l’IRPEF accertata (richiedendo il riconoscimento dei crediti) ma non potrà eliminare le sanzioni da monitoraggio.
Regolarizzazione spontanea: ravvedimento operoso e voluntary disclosure
Un contribuente che si accorge di non aver dichiarato in passato uno o più immobili esteri ha interesse a regolarizzare spontaneamente la propria posizione, se possibile prima che inizi un’attività di accertamento formale. Gli strumenti principali a disposizione sono il ravvedimento operoso ordinario (sempre utilizzabile) e le eventuali procedure straordinarie di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) che il legislatore ha attivato in passato e potrebbe attivare nuovamente.
Ravvedimento operoso
Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997) consente al contribuente di sanare spontaneamente omissioni o infrazioni, beneficiando di sanzioni ridotte in misura crescente col ritardo. Questa procedura può essere utilizzata finché non intervenga una formale contestazione o verifica da parte dell’Amministrazione (in pratica, se non è stato notificato ancora nulla riguardo all’omissione).
Per regolarizzare un immobile estero non dichiarato, il contribuente dovrà presentare una dichiarazione integrativa per le annualità in cui l’immobile era omesso (nei limiti del periodo ammesso – attualmente si possono integrare dichiarazioni fino al quinto anno precedente, salvo casi di omissione totale) e pagare: a) l’IVIE dovuta per quegli anni (ed eventuali imposte sui redditi esteri omessi) con interessi; b) le sanzioni ridotte.
Le sanzioni applicabili in ravvedimento sarebbero: per l’omessa indicazione RW, il minimo edittale (3% o 6% annuo) ridotto secondo il tempo trascorso. Ad esempio, se sono trascorsi più di 2 anni, si applica 1/6 del minimo. Quindi invece del 3% annuo si pagherebbe lo 0,5% annuo circa per ogni anno di ritardo (1/6 di 3%). Per l’IVIE non versata, la sanzione del 30% verrebbe ridotta anch’essa: se si paga spontaneamente con oltre 90 giorni di ritardo ma entro il termine per presentare ricorso dopo un avviso, la riduzione è a 1/5 (quindi 6%). Se prima (a seconda del momento, la riduzione può essere 1/8, 1/10, ecc.). In caso di ravvedimento entro 90 giorni dalla scadenza originaria, addirittura si evita la sanzione proporzionale RW e si applica solo la sanzione fissa da €250 a 500 ridotta a 1/9 (€27 circa), trattando il quadro RW come “tardivo ma entro 90 giorni”. Questo è un forte incentivo a regolarizzare immediatamente in caso di dimenticanza recente.
Il ravvedimento operoso è dunque molto conveniente rispetto alle sanzioni piene. Ad esempio, se un contribuente omette di dichiarare per errore un appartamento in Austria nel 2024 e se ne accorge nel 2025 prima di controlli: può ravvedersi presentando integrativa, pagando l’IVIE 2024 dello 0,76%, più una sanzione RW ridotta all’1/8 del 3% (ossia 0,375% del valore) data la brevissima decorrenza, e una piccola sanzione su IVIE (3% del tributo magari). In totale forse intorno all’1% del valore come costo di regolarizzazione, contro il rischio di un 15% annuo se scoperto più tardi.
È importante sottolineare che il ravvedimento è possibile anche dopo 90 giorni, per annualità pregresse, finché l’accertamento non arrivi. Ad esempio, oggi (2025) un contribuente può ravvedere l’anno d’imposta 2019 (dichiarazione 2020) presentando integrativa e pagando sanzioni ridotte a 1/6 del minimo. Man mano che il tempo passa, la riduzione del ravvedimento diminuisce, ma resta sempre molto più favorevole di un accertamento. Inoltre, il ravvedimento blocca il raddoppio dei termini: se l’errore è sanato, quell’anno non è più un’omissione che consente al Fisco di estendere i termini.
Voluntary disclosure
La collaborazione volontaria è stata una misura straordinaria prevista con la Legge 186/2014 (Voluntary Disclosure I) e riaperta nel 2017 (Voluntary Disclosure II) per incentivare l’emersione di capitali esteri non dichiarati. In cambio della spontaneità, lo Stato offriva: l’non punibilità per alcuni reati tributari (dich. infedele, omessa dichiarazione, false fatture) e una riduzione di alcune sanzioni amministrative (in particolare le sanzioni RW erano ridotte alla metà del minimo). Moltissimi contribuenti aderirono: oltre 129.000 domande nella prima edizione, per oltre 60 miliardi di attività emerse, con incasso per l’Erario di circa 4 miliardi di euro.
La voluntary disclosure era ideale per chi aveva patrimoni esteri occulti da molti anni: consentiva di regolarizzare tutte le annualità ancora accertabili in un colpo solo, con sanzioni dimezzate e pagamento frazionato. Ad esempio, un contribuente con immobili in Svizzera non dichiarati per 10 anni poteva sanare pagando tutte le IVIE arretrate più sanzioni RW al 1,5% annuo (metà del 3%) invece che rischiare 6-30% per anno, ed evitando qualsiasi incriminazione penale.
Al momento (luglio 2025) non è attiva una voluntary disclosure generalizzata. Dopo la chiusura della VD bis nel 2017, il legislatore non ha più riaperto il programma per capitali esteri (fatta eccezione per una “mini-disclosure” nel 2019 limitata alle attività detenute in Italia non dichiarate in alcuni casi). Tuttavia, c’è stato un recente utilizzo dell’istituto per le cripto-attività (Legge di Bilancio 2023 ha previsto una sanatoria per cripto non dichiarate). Alcune voci parlano di possibili nuove edizioni di voluntary per contanti o capitali esteri, ma nulla di concreto ad oggi.
In assenza di una VD attiva, chi oggi volesse “autodenunciarsi” per immobili esteri non dichiarati deve usare il ravvedimento operoso ordinario come sopra descritto. Va detto che la voluntary aveva vantaggi soprattutto penali: se uno teme di aver superato soglie di punibilità penale negli anni passati, oggi il ravvedimento non estingue il reato (mentre la VD lo faceva). Questo è un punto critico: se ad esempio un soggetto negli anni 2015-2018 ha evaso 300k € di IRPEF su affitti esteri, avrebbe tecnicamente commesso dichiarazione infedele pluriennale; ravvedendosi oggi paga le sanzioni ridotte ma i reati resterebbero astrattamente configurabili (anche se difficili da perseguire se lui poi dichiara e paga). La voluntary invece garantiva scudo penale totale. Non esistendo questa opzione oggi, chi si trova in situazioni del genere dovrebbe valutare il rischio penale residuo (spesso basso se paga tutto ora, perché la volontarietà e l’assenza di danno attuale tendono a disincentivare l’azione penale, oltre al fatto che la soglia va valutata per singolo anno, ecc.).
In sintesi, la miglior strategia per chi non ha dichiarato immobili esteri è anticipare il Fisco: regolarizzare prima che l’ufficio avvii controlli. Ciò consente di evitare le sanzioni più gravose e di mettersi in regola limitando i costi. L’esperienza mostra che l’Agenzia delle Entrate è ormai in possesso di un volume crescente di informazioni sui beni esteri dei residenti (grazie a scambi automatici, accordi con stati prima non collaborativi – v. Svizzera post-2018 – e indagini mirate). Pertanto, confidare di restare nascosti a tempo indefinito è rischioso. Meglio un ravvedimento tardivo che un accertamento con megasanzioni.
Per completezza, ricordiamo che esiste anche l’istanza di autotutela: se un contribuente si accorge di errori nell’accertamento (ad esempio doppia imposizione già sanata o errori evidenti di persona), può chiedere all’ufficio, anche dopo la notifica, di annullare o correggere in autotutela. Ciò non sospende i termini di ricorso, ma a volte l’ufficio rivede parzialmente l’atto se vengono portate prove nuove. È sempre bene, in fase pre-contenziosa, instaurare un dialogo con l’Agenzia portando gli elementi a proprio favore: ad esempio, se con l’avviso sono stati negati crediti esteri per mancanza di prove, presentare ora le ricevute può indurre l’ufficio a ridurre le pretese (magari in sede di adesione).
Domande Frequenti (FAQ)
Domanda: Che cos’è esattamente un “avviso di accertamento per immobili esteri non dichiarati”?
Risposta: È l’atto formale con cui il Fisco contesta a un contribuente di aver omesso di dichiarare nella propria dichiarazione fiscale il possesso di immobili all’estero (quadro RW non compilato) e di non aver versato le imposte correlate (in primis l’IVIE e/o l’IRPEF su eventuali redditi esteri). In tale avviso l’Agenzia ridetermina il dovuto, richiedendo l’imposta evasa per le annualità accertabili, applicando le sanzioni amministrative previste (sanzione fino al 15% annuo del valore dell’immobile non monitorato, più eventuale 30% sulle imposte non versate) e aggiungendo gli interessi legali. L’atto contiene anche le motivazioni (es. “da scambio informazioni CRS risulta l’immobile X non dichiarato”) e le indicazioni su come pagare o impugnare. In sostanza, è la “cartella” che quantifica tutto ciò che il contribuente deve per regolarizzare quella omissione.
Domanda: Quali obblighi ho se possiedo un immobile all’estero?
Risposta: Devi dichiararlo ogni anno nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi, indicando gli elementi identificativi e il valore, e contestualmente devi calcolare e pagare l’IVIE dovuta (lo 0,76% annuo del valore, salvo esenzioni per prima casa). Inoltre, se l’immobile genera redditi imponibili (es. affitto, plusvalenza da cessione non esente), devi dichiarare anche tali redditi nel Modello Redditi (quadro RL o RT secondo i casi) e pagarci le relative imposte, beneficiando dei crediti d’imposta esteri se spettanti. In breve: l’immobile va monitorato in RW e i redditi/valori ad esso legati vanno assoggettati a tassazione italiana, fatte salve convenzioni che evitino doppie imposizioni.
Domanda: Cos’è l’IVIE e come si calcola per un immobile estero?
Risposta: L’IVIE è un’imposta patrimoniale annuale sul valore degli immobili detenuti all’estero da residenti in Italia, paragonabile all’IMU per gli immobili in Italia. Si calcola applicando l’aliquota dello 0,76% al valore dell’immobile (di regola il costo di acquisto o il valore di mercato), proporzionalmente alla percentuale e ai mesi di possesso. Ad esempio, un immobile posseduto al 100% per tutto l’anno, valore €200.000, genera un’IVIE di €1.520 annui. È prevista una detrazione fissa fino €200 (che azzera l’imposta per valori modesti). Se l’immobile è abitazione principale non di lusso del contribuente, è esente IVIE (come da Legge 208/2015). Se hai pagato un’imposta patrimoniale simile all’estero, puoi detrarla dall’IVIE dovuta in Italia. Il pagamento dell’IVIE avviene con il modello F24 nei termini del saldo IRPEF annuale.
Domanda: Cosa rischio se non dichiaro un immobile estero?
Risposta: In caso di rilevazione da parte del Fisco, rischi sanzioni molto elevate. In particolare, per l’omessa dichiarazione in Quadro RW la legge prevede una sanzione dal 3% al 15% annuo del valore dell’immobile (raddoppiata al 6%-30% se l’immobile è in un Paese black list). Inoltre dovrai pagare tutte le IVIE arretrate con interessi, e su ciascuna annualità di IVIE evasa si applica la sanzione per omesso versamento (30% di ogni importo). Se l’immobile ha prodotto redditi non dichiarati (affitti, plusvalenze tassabili), dovrai l’IRPEF evasa più la sanzione del 90% su ciascun importo evasO. Sommando il tutto, la pretesa può arrivare a decine di migliaia di euro per ogni €100.000 di valore non dichiarato (sanzioni pluriennali). Nei casi più seri, se le imposte evase superano soglie penali, potresti essere denunciato per reati tributari (dichiarazione infedele od omessa). In sintesi: il rischio è sia economico (imposte + sanzioni che possono anche superare il valore stesso del bene in casi estremi) sia, eventualmente, penale se c’è stata una grossa evasione di imposte.
Domanda: L’omessa dichiarazione di un immobile estero è un reato?
Risposta: Di per sé no. La mancata compilazione del Quadro RW e il mancato pagamento dell’IVIE sono violazioni amministrative punite con sanzioni pecuniarie, ma non costituiscono automaticamente un reato. Diventa reato solo se si configura una dichiarazione infedele o omessa in termini di imposte evase oltre soglia. In pratica, se il tuo non aver dichiarato l’immobile ha comportato anche un’evasione d’imposta significativa (oltre €100.000 di IRPEF evasa annua, oppure dichiarazione omessa con oltre €50.000 evasi), allora puoi essere perseguito penalmente secondo il D.Lgs.74/2000. Ma l’omissione del solo Quadro RW su patrimoni “dormienti” non genera reato. Ad esempio, se hai una casa estera inutilizzata del valore di 1 milione non dichiarata: pagherai multe salate, ma non è reato perché non c’è imposta evasa (l’IVIE evasa è sotto soglia penale e non esiste reato specifico per l’omissione RW). Anche Cassazione e Agenzia Entrate confermano che l’omessa compilazione RW in sé non è fonte di imputazione penale. Diverso sarebbe se quell’immobile produceva redditi neri consistenti, allora l’evasione di quei redditi potrebbe farti superare le soglie di punibilità.
Domanda: Il Fisco come può scoprire che ho un immobile all’estero?
Risposta: Oggi gli strumenti di controllo sono numerosi. Grazie allo scambio automatico di informazioni finanziarie (CRS), molti Paesi comunicano all’Italia dati sui beni dei residenti italiani, inclusi conti correnti ma anche talvolta informazioni catastali. In ambito UE si sta potenziando lo scambio di informazioni sui beni immobili (DAC 7 e 8 prevedono banche dati condivise). Inoltre, se paghi tasse locali all’estero su un immobile, quel dato potrebbe emergere da accordi bilaterali. Spesso l’Agenzia scopre immobili esteri durante verifiche su trasferimenti di denaro: ad es. movimenti bancari per pagare mutui, utenze o ristrutturazioni all’estero possono insospettire e portare a chiedere spiegazioni. Non di rado, il Fisco riceve liste o comunicazioni da Paesi esteri (si pensi alla Svizzera post-scambio, al catasto di San Marino, ecc.). Infine, in caso di procedimenti giudiziari (es. in sede di separazioni, fallimenti) i beni esteri possono emergere e l’informazione arriva al Fisco. In sintesi: con l’era della trasparenza finanziaria globale, è diventato difficile nascondere un immobile: prima o poi qualche traccia (una compravendita registrata, un bonifico di affitto, un registro immobili estero aperto) viene incrociata.
Domanda: Se l’immobile è intestato a una società estera o a un trust, devo dichiararlo comunque?
Risposta: Nella maggior parte dei casi, sì, indirettamente. Se possiedi una società estera che ha un immobile, devi dichiarare in Quadro RW le tue quote di partecipazione in quella società. Inoltre, se la società è sostanzialmente una tua emanazione (usata solo per quel bene), il Fisco potrebbe considerarti titolare effettivo dell’immobile e pretendere che lo dichiarassi come tuo. Analogamente per un trust: se sei disponente o beneficiario di un trust estero con un immobile, secondo l’Agenzia dovresti indicare in RW la tua posizione (ad esempio, come beneficiario, la quota di patrimonio a te riferibile). Se il trust è opaco e tu beneficiario futuro, la questione è dibattuta – ma per prudenza molti consigliano di dichiarare ugualmente l’immobile con nota “posseduto via trust”. Sicuramente, se il trust o la società sono interposti (schermi fittizi), la legge ti considera proprietario sostanziale, dunque l’obbligo dichiarativo era pieno a tuo carico. Quindi, anche se il bene non risulta formalmente a tuo nome, devi verificare se ricadi nella definizione di “titolare effettivo” o controllante: in tal caso, sì, devi dichiarare l’immobile (o almeno dichiarare il veicolo estero e fornire informazioni in grado di far capire che c’è quell’asset). Non dichiarare nulla pensando di ripararti dietro una società/trust può portare a sanzioni se l’Agenzia scopre la struttura (e oggigiorno queste strutture opache sono bersaglio primario dei controlli internazionali).
Domanda: Ho ricevuto un avviso di accertamento per un immobile estero: cosa posso fare ora?
Risposta: Hai essenzialmente due strade: aderire (o pagare) oppure contestare. Entro 60 giorni dalla notifica, puoi presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio: così avvii un dialogo per provare a ottenere uno sconto su sanzioni o riconoscimento di crediti (sospendendo intanto i 60 gg). Se trovi un accordo, paghi quanto concordato con sanzioni ridotte e chiudi la vicenda. In alternativa, puoi decidere di impugnare l’avviso presentando ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione) competente, sempre entro 60 giorni (o 150 se hai tentato l’adesione). Nel frattempo puoi anche valutare l’acquiescenza: se l’ufficio ha già applicato il minimo di legge e le contestazioni sono fondate, pagando entro 60 gg usufruisci della riduzione di 1/3 sulle sanzioni. Se fai ricorso, preparati a motivare bene le tue ragioni (vizi formali, errori di calcolo, non residenza, prescrizione, ecc.). Puoi anche chiedere al giudice di sospendere la riscossione se l’importo è esoso e hai buone argomentazioni. Importante: non ignorare l’atto, perché dopo 60 giorni diventa definitivo e arriva la cartella esattoriale. Quindi valuta con un esperto la via migliore: a volte conviene trattare (se le prove sono contro di te, meglio aderire e ridurre il danno), altre volte conviene combattere (se hai elementi per far annullare o ridurre sostanzialmente l’atto).
Domanda: Posso ancora regolarizzare spontaneamente un immobile estero non dichiarato?
Risposta: Sì, finché non ti viene contestato formalmente nulla, puoi fare un ravvedimento operoso. Questo comporta presentare una dichiarazione integrativa per gli anni omessi, indicando l’immobile, e pagare le imposte dovute con sanzioni ridotte (molto ridotte rispetto a quelle in accertamento). Ad esempio, se regolarizzi volontariamente, la sanzione RW scende dal 3-15% al 0,5%-2,5% circa (a seconda di quando ravvedi) per ciascun anno. L’IVIE la paghi con interesse e la sanzione sul mancato versamento scende dal 30% al 5% o meno. Quindi è altamente consigliabile agire prima che il Fisco ti scopra. Purtroppo le voluntary disclosure specifiche (procedure straordinarie) al momento non sono aperte, quindi devi usare il ravvedimento “ordinario”. In ogni caso, se temi di essere a rischio accertamento, meglio autodenunciarsi e pagare ora poco, che aspettare la multa salata dopo. Se invece hai già ricevuto un questionario o sai di un’indagine in corso sul tema, la possibilità di ravvedimento potrebbe essere preclusa – ma valuta comunque se inviare un’integrativa, potrebbe mitigare sanzioni future dimostrando la tua buona fede (talvolta l’ufficio applica sanzioni minori se il contribuente collabora attivamente).
Domanda: Le convenzioni contro le doppie imposizioni mi proteggono da questi accertamenti?
Risposta: Le convenzioni ti evitano di pagare due volte le imposte sul reddito, ma non ti esonerano dagli obblighi dichiarativi verso l’Italia né dal pagare l’IVIE. In pratica, se l’immobile produce redditi tassati anche all’estero, grazie alla convenzione potrai detrarre le imposte estere dall’IRPEF italiana dovuta su quei redditi. Quindi eviterai una doppia tassazione economica. Ma se non hai dichiarato nulla, l’Italia può comunque accertarti il reddito estero non dichiarato: la convenzione non impedisce all’Italia di tassare, prevede solo che poi ti dia credito per le imposte estere pagate. Diverso è se la convenzione stabilisce che un certo reddito immobiliare è tassabile solo all’estero: in tal caso l’Italia non dovrebbe chiederti IRPEF su quel reddito (es. plusvalenze immobiliari spesso sono esclusiva dello Stato dove l’immobile è). Tuttavia, l’IVIE non rientra nei trattati (sono trattati sull’imposta sul reddito, non sui patrimoni in genere), quindi l’Italia può chiedere l’IVIE indipendentemente. E soprattutto, la convenzione non ha alcun effetto sulle sanzioni RW: se non hai dichiarato l’attività, hai violato la legge italiana a prescindere che il reddito fosse tassato fuori. Insomma, le convenzioni ti aiutano a non pagare due volte le tasse sul reddito, ma non ti schermano dalle sanzioni per monitoraggio e dal dover pagare l’IVIE italiana (salvo credito per eventuale patrimoniale estera). Quindi non pensare di poter dire “ma io ho già pagato tasse all’estero, quindi in Italia non devo dichiarare”: questo è un fraintendimento comune. Dovevi dichiarare e poi semmai detrarre quanto pagato fuori.
Domanda: Quali sono i termini entro cui l’Agenzia delle Entrate può notificarmi un accertamento per un immobile estero non dichiarato?
Risposta: Grazie al meccanismo del raddoppio dei termini, il Fisco ha fino a 10 anni di tempo (dalla fine dell’anno in cui hai presentato dichiarazione) per contestare omesse dichiarazioni relative ad attività estere. Ad esempio, per un’omissione del 2016 (dichiarazione 2017) il termine ordinario sarebbe fine 2022, ma raddoppiando diventa fine 2024 (8 anni) o addirittura fine 2026 se considerato omessa dichiarazione (10 anni). In generale, se tu hai presentato la dichiarazione ma senza il quadro RW, l’ultimo anno accertabile al 2025 potrebbe risalire al 2015 (dichiarazione 2016) grazie al raddoppio retroattivo. Se non hai presentato proprio la dichiarazione, possono andare ancora più indietro (12 anni). Quindi i termini sono molto lunghi. Fai conto che finché non cade il decimo anno, potresti ricevere sorprese per omissioni lontane nel tempo. Va detto che se l’attività era in un Paese collaborativo, formalmente il raddoppio automatico si applica solo se c’è la presunzione di evasione (che però per i Paesi white list non opera). Tuttavia, la Cassazione ha considerato il raddoppio come procedurale in sé, quindi di fatto lo applicano anche in molti casi white list. In conclusione, non c’è una risposta semplicissima, ma in linea di massima fino a 8-10 anni indietro sei a rischio accertamento per monitoraggio non fatto. Ad esempio nel 2025 possono arrivare avvisi fino al 2015 compreso (e qualche sentenza ha detto pure prima, retroattivamente). Dopo quei termini scatta la decadenza e l’anno vecchio non è più accertabile (salvo che tu abbia commesso reati: in tal caso in passato c’era ulteriore proroga, ma oggi non più per il monitoraggio in sé).
Domanda: Se pago subito quanto richiesto, ho diritto a qualche sconto?
Risposta: Sì. Se decidi di non fare ricorso e pagare l’avviso entro 60 giorni, hai diritto alla riduzione delle sanzioni amministrative a 2/3 (ossia uno sconto del 33%). Questo beneficio si chiama acquiescenza. Lo trovi scritto nell’avviso stesso di solito. Esempio: ti contestano €10.000 di sanzioni RW; se paghi subito senza litigare, diventano €6.667 (1/3 di sconto). Attenzione: devi pagare l’intero ammontare (imposte + interessi + sanzioni ridotte) entro 60 giorni. Puoi farlo in unica soluzione o chiedere eventualmente un piano di rate (ma se rateizzi perdi il beneficio di riduzione normalmente). Se hai chiesto adesione e poi paghi quanto concordato, anche lì le sanzioni sono già ridotte a 1/3 del minimo. Quindi sì, c’è questa forma di “premio” per chi chiude la partita subito. Valuta però se l’atto è corretto: pagare con sconto ma su un importo magari erroneo potrebbe essere comunque sfavorevole.
Domanda: Puoi fare un esempio pratico di calcolo delle sanzioni in caso di immobili esteri non dichiarati?
Risposta: Certo. Esempio: Contribuente residente possiede dal 2018 una casa in Svizzera (Paese black list fino al 2018, white list dal 2020 per scambio automatico). Valore d’acquisto €300.000. Non l’ha mai dichiarata in RW né pagato IVIE. Nel 2025 il Fisco lo scopre e accerta 2018-2019 (considerati black list) e 2020-2021-2022 (white list). Supponiamo nessun reddito da affitto, solo patrimonio. Ecco cosa subisce:
- IVIE dovuta: 0,76% di 300k = €2.280 annui. Per 5 anni = €11.400 di imposta evasa.
- Interessi: circa 1% annuo medio, su importi via via decrescenti (calcolo complesso, diciamo ~ €1.000 totali).
- Sanzione IVIE omessa: formalmente 90% dell’imposta evasa per infedele (essendo omessa in dichiarazione) = 90% di 11.400 = €10.260 (potrebbe essere ridotta al minimo edittale 90% se no aggravanti).
- Sanzioni RW:
- per il 2018-2019 (black list): 2 annualità con sanzione base 6-30%. L’ufficio di solito applica il minimo edittale se non ci sono aggravi, quindi 6% per ciascun anno. 6% di €300.000 = €18.000 per anno. Totale 2018+2019 = €36.000.
- per il 2020-2021-2022 (white list): 3 annualità al 3% minimo per anno. 3% di 300.000 = €9.000 annui. Totale = €27.000.
- Complessivo sanzioni RW = €63.000.
- Totale accertato: IVIE €11.400 + interessi €1.000 + san.IVIE €10.260 + san.RW €63.000 = ~€85.660.
Questo a livello di atto iniziale. Se il contribuente aderisce, le sanzioni potrebbero ridursi: ad esempio l’Agenzia potrebbe scendere a metà edittale su RW (portando da 63k a 31.5k) e poi applicare 1/3 adesione (scendendo a ~10k), e ridurre la san.IVIE al 45% (da 10.260 a 5.130). In tal caso pagherebbe: imposte €12.400 + sanzioni totali diciamo 15.000 = €27.400. Si capisce l’enorme differenza tra contestazione piena (85k) e definizione agevolata (27k). Questo esempio mostra perché conviene evitare di arrivare a questo punto: se avesse ravveduto prima, magari avrebbe pagato solo €11.400 imposte + €3-4k tra interessi e mini-multe, sui 5 anni.
Fonti
Agenzia delle Entrate – Circolare 38/E del 2013. (Fornisce chiarimenti su nozione di “detenzione” estera e obblighi di monitoraggio per delegati, amministratori, ecc., escludendo obbligo RW per meri poteri di firma senza disponibilità).
Agenzia delle Entrate – Circolare 34/E del 20/10/2022. (Aggiornamenti sulla fiscalità dei trust: conferma obbligo RW per beneficiari italiani e coordinamento dichiarativo per evitare duplicazioni tra trust e beneficiari).
Corte di Cassazione – Sez. V civ. – Sent. n.9445/2025. (Ha sancito che conta la situazione di fatto nella titolarità di trust: se disponente/trustee coincidono o c’è controllo, il trust è interposto e l’obbligo RW resta al disponente).
Corte di Cassazione – Sez. V civ. – Sent. n.9096/2025. (Caso di azioni trasferite in trust estero ma con controllo mantenuto: Cassazione conferma tassazione in capo al disponente per interposizione fittizia).
Corte di Cassazione – Sent. n.8653/2022. (Ha statuito la retroattività del raddoppio dei termini di accertamento per omesso RW, in quanto norma procedurale, distinguendola dalla presunzione di evasione che è sostanziale e non retroattiva).
Corte di Giustizia UE. Sentenza 27/01/2022, C-788/19 (Commissione vs Spagna). (Ha dichiarato incompatibile col diritto UE la normativa spagnola sul “Modelo 720” per eccesso di sanzioni – 150% – e termini illimitati, segnando un principio di proporzionalità rilevante anche per l’Italia).
Avviso di Accertamento per Immobili Esteri Non Dichiarati: Come Difendersi Con Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento perché non hai dichiarato uno o più immobili detenuti all’estero? L’Agenzia delle Entrate ti contesta l’omessa compilazione del Quadro RW o il mancato pagamento dell’IVIE?
Negli ultimi anni, grazie allo scambio automatico di informazioni internazionali (CRS), il Fisco italiano ha potuto rilevare la presenza di case, appartamenti, terreni e proprietà immobiliari fuori dall’Italia. Se non hai dichiarato correttamente questi beni, rischi sanzioni pesanti, ma puoi difenderti e, in molti casi, regolarizzare la tua posizione.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza l’avviso di accertamento ricevuto e le contestazioni relative al Quadro RW e all’IVIE
- 📌 Verifica se la proprietà dell’immobile comportava realmente obblighi fiscali in Italia
- ✍️ Redige memorie difensive o istanze in autotutela per ridurre o annullare le sanzioni
- ⚖️ Ti rappresenta nel contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, anche per annullare l’atto
- 🔁 Ti assiste nella regolarizzazione spontanea (ravvedimento operoso) o in eventuali definizioni agevolate
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e fiscalità internazionale
- ✔️ Specializzato nella difesa da accertamenti su immobili detenuti all’estero e Quadro RW
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Se hai ricevuto un accertamento per immobili esteri non dichiarati, non ignorarlo. Con la giusta assistenza puoi difenderti, dimostrare la tua buona fede o regolarizzare senza compromettere il tuo patrimonio.
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