Avviso Di Accertamento A Gamer E Streamer: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate come gamer o streamer?
Ti contestano redditi non dichiarati derivanti da donazioni, abbonamenti, sponsorizzazioni o proventi da piattaforme come Twitch, YouTube, Kick o OnlyFans? In questi casi è fondamentale capire se le entrate contestate sono tassabili, come sono stati ricostruiti i guadagni e come difenderti per evitare imposte elevate, sanzioni e interessi.

Quando arriva un avviso di accertamento a gamer, streamer o content creator?
– Quando l’Agenzia incrocia i dati fiscali con entrate bancarie, PayPal o altri sistemi di pagamento digitali
– Quando i guadagni derivano da donazioni, affiliazioni, AdSense, abbonamenti o collaborazioni sponsorizzate
– Quando il contenuto è prodotto in modo continuativo e organizzato, anche senza partita IVA
– Quando ricevi pagamenti dall’estero non dichiarati nel quadro RW o non indicati come reddito imponibile
– Quando ci sono segnalazioni, anomalie nei redditi dichiarati o controlli automatizzati su attività online

Cosa può contenere un avviso di accertamento per gamer o streamer?
– L’elenco delle entrate ritenute imponibili e l’anno d’imposta di riferimento
– Il dettaglio dei flussi bancari, PayPal, Stripe, Amazon, Twitch, YouTube, Patreon, ecc.
– L’inquadramento fiscale proposto dall’Agenzia: reddito d’impresa, di lavoro autonomo o reddito diverso
– Il calcolo delle imposte evase, con relative sanzioni e interessi
– L’invito ad aderire o presentare osservazioni, con termine di 60 giorni

Come puoi difenderti da un accertamento fiscale su attività da gamer o streamer?
– Verifica se i redditi contestati sono realmente imponibili, o se si tratta di regali occasionali o importi già tassati
– Dimostra che l’attività non ha carattere abituale, organizzato o professionale, se hai operato in modo occasionale
– Se i proventi derivano da piattaforme estere, controlla gli accordi fiscali internazionali e l’eventuale credito d’imposta estero
– Se ci sono stati errori formali (omessa dichiarazione, quadro RW non compilato), valuta una dichiarazione integrativa con ravvedimento operoso
– Prepara una memoria difensiva tecnica, con il supporto di un commercialista o avvocato tributarista, per documentare la reale natura delle entrate
– Se l’Agenzia emette un avviso definitivo, puoi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria

Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– L’annullamento dell’accertamento, se i redditi non sono imponibili o sono stati tassati all’estero
– La riclassificazione dei redditi, con tassazione più favorevole (es. regime forfettario se hai aperto partita IVA)
– La riduzione delle sanzioni, se aderisci tempestivamente o dimostri buona fede
– La rateizzazione dell’importo richiesto, per evitare blocchi sui conti o iscrizioni a ruolo
– La tutela della tua posizione fiscale e digitale, evitando segnalazioni, controlli futuri o danni reputazionali

Attenzione: molti gamer e streamer vengono accertati anche se non hanno partita IVA, sulla base di movimenti sui conti o di attività svolta online in modo continuativo. Ma non tutte le contestazioni sono corrette: spesso si possono ridurre o annullare le imposte richieste dimostrando la vera natura dei proventi o correggendo errori formali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità digitale, contenzioso tributario e difesa del contribuente online ti spiega come difenderti in caso di accertamento fiscale su attività da streamer o gamer, come rispondere all’Agenzia delle Entrate e come tutelare i tuoi proventi legittimi.

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Introduzione

Negli ultimi anni i gamer e gli streamer (creator di contenuti su piattaforme come Twitch, YouTube, ecc.) sono finiti sotto la lente del Fisco italiano. In particolare, a partire da fine 2021 – dopo il leak dei guadagni di Twitch – l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno intensificato i controlli sui redditi percepiti online. Dai dati trapelati risultavano infatti incassi di streamer italiani per centinaia di migliaia di dollari (anche oltre il milione in due anni) solo da Twitch, senza contare sponsorizzazioni e merchandising. Queste cifre hanno spinto il Fisco ad utilizzare strumenti sempre più efficaci per individuare redditi prodotti all’estero da residenti italiani e accertare eventuali omissioni dichiarative o evasione fiscale internazionale. L’operazione nota come “attacco a Twitch” ne è un esempio: sfruttando accordi di cooperazione internazionale e scambio di informazioni (es. FATCA con gli USA), l’Agenzia delle Entrate può oggi scoprire tutto sui ricavi esteri dei contribuenti italiani.

Il Fisco sta intensificando i controlli sui guadagni online: gamer e streamer con redditi elevati sono nel mirino di Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza.

A conferma di ciò, all’inizio del 2024 la Guardia di Finanza ha condotto verifiche mirate su alcuni dei più noti content creator italiani. Ad aprile 2024 è emerso che quattro celebri streamer (MikeShowSha, Pow3r, ZanoXVII e Homyatol) avrebbero omesso di pagare al fisco circa 4,5 milioni di euro nel periodo 2019-2022. Per due di loro (MikeShowSha e Pow3r) si ipotizza un’evasione di imposte di ~2 milioni di euro ciascuno. Un altro caso clamoroso ha riguardato lo youtuber CiccioGamer89: secondo gli inquirenti, avrebbe “dimenticato” di dichiarare oltre 1 milione di euro di ricavi da YouTube, con conseguente imposta evasa di ~400.000 € e persino IVA evasa per 160.000 €. CiccioGamer ha respinto le accuse, fornendo immediatamente tutta la documentazione per dimostrare di aver operato secondo le regole; grazie a ciò, dopo l’accertamento la Finanza non gli ha inflitto alcuna multa. Questo episodio dimostra quanto sia importante collaborare attivamente e predisporre una difesa documentale efficace, potendo talvolta evitare le pesanti sanzioni.

Parallelamente, il Fisco sta affinando le metodologie di indagine: non solo controlli sui flussi finanziari, ma anche strumenti innovativi come software che incrociano il numero di follower di un influencer con i ricavi dichiarati. L’idea è semplice: profili con moltissimi seguaci dovrebbero generare un certo volume di introiti; se dichiarano poco o nulla, scatta il sospetto di “guadagni sommersi”. Questo approccio non è infallibile (i follower possono essere gonfiati o distribuiti su più account), ma indica chiaramente la tendenza: monitorare l’economia digitale per far emergere basi imponibili finora trascurate.

In questo scenario, molti gamer e streamer – spesso giovani – si trovano impreparati ad affrontare un avviso di accertamento fiscale. Questa guida, aggiornata a luglio 2025, fornisce un quadro avanzato e completo di come difendersi da un avviso di accertamento riguardante i redditi da attività online. Adotteremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, rivolgendoci sia a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia ai debitori-contribuenti direttamente coinvolti (privati o piccole imprese digitali). Verranno richiamate le principali norme italiane in materia tributaria, con riferimenti a sentenze aggiornate e casi pratici, e inserite tabelle riepilogative, domande e risposte e simulazioni basate su situazioni reali. Il punto di vista adottato è quello del contribuente (debitore) che riceve l’atto impositivo: vedremo quali diritti ha, quali strumenti di difesa può attivare e quali strategie adottare per ottenere la migliore soluzione possibile – dalla correzione spontanea alle vie giudiziarie, passando per gli istituti deflattivi (accertamento con adesione, conciliazione, ecc.).

Cos’è un avviso di accertamento tributario

Un avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Amministrazione Finanziaria (solitamente l’Agenzia delle Entrate) comunica al contribuente un maggiore imponibile accertato e le relative maggiori imposte dovute, a seguito di controlli sulle dichiarazioni o di verifiche fiscali. In altre parole, l’avviso di accertamento contesta al contribuente di aver pagato meno tasse di quanto dovuto e quantifica la pretesa fiscale in termini di imposta, sanzioni e interessi. Si tratta di un provvedimento autoritativo che chiude la fase di controllo e avvia quella della riscossione, salvo impugnazione.

Dal punto di vista normativo, le regole generali sull’accertamento delle imposte sui redditi sono dettate dal D.P.R. 600/1973, mentre per l’IVA valgono le disposizioni del D.P.R. 633/1972. L’avviso di accertamento deve contenere per legge una motivazione chiara, indicando i presupposti di fatto (es. i redditi non dichiarati o le incongruenze riscontrate) e gli elementi di diritto (norme violate, criteri di calcolo) su cui si fonda la maggiore imposta pretesa. Inoltre, deve riportare l’ammontare delle imposte recuperate (IRPEF, addizionali, IVA, ecc.), delle sanzioni amministrative applicate e degli interessi dovuti, con specificazione delle eventuali riduzioni sanzionatorie in caso di pagamento entro termini prestabiliti (v. infra acquiescenza).

L’avviso viene emesso a seguito di varie tipologie di controllo fiscale, ad esempio:

  • Controlli automatici o formali sulle dichiarazioni (ex artt. 36-bis e 36-ter DPR 600/73), che evidenziano omissioni di redditi o errori;
  • Verifiche mirate su determinate categorie (come i guadagni online) condotte dall’Agenzia o dalla Guardia di Finanza;
  • Segnalazioni e incrocio banche dati (es. segnalazioni UIF di movimenti finanziari anomali, dati forniti da autorità estere, analisi social media come detto).

Nel caso di gamer/streamer, l’avviso di accertamento più comune riguarda redditi non dichiarati derivanti dall’attività online. Spesso tali soggetti – soprattutto in passato – non presentavano alcuna dichiarazione dei redditi, ritenendo (erroneamente) che i compensi da piattaforme estere fossero “invisibili” al Fisco italiano o che l’attività potesse rientrare tra i hobby occasionali esenti da obblighi. In altri casi, veniva presentata la dichiarazione ma omettendo di indicare i proventi da streaming, oppure indicando importi inferiori (dichiarazione infedele). Un avviso di accertamento, pertanto, contesta queste omissioni e ridetermina il reddito imponibile aggiungendo i compensi non dichiarati.

Da quel momento, il contribuente ha un termine (generalmente 60 giorni) per reagire, altrimenti l’accertamento diventa definitivo e il debito fiscale viene iscritto a ruolo per la riscossione coattiva. Prima di addentrarci nelle strategie difensive, però, occorre inquadrare correttamente quali obblighi fiscali avevano (o hanno) i gamer/streamer e come si qualificano i loro redditi secondo la normativa italiana. Ciò sarà utile anche per capire su quali basi impostare una difesa: ad esempio, se puntare sul fatto che l’attività era occasionale, oppure regolarizzabile in via agevolata, ecc.

Obblighi fiscali di gamer e streamer: quando serve la Partita IVA

Una delle questioni chiave è stabilire se e quando l’attività di uno streamer configuri un lavoro abituale (richiedendo l’apertura di Partita IVA) oppure un’attività occasionale. In Italia la differenza è fondamentale:

  • Se l’attività è abituale, professionale e organizzata (anche in minima parte), i redditi che ne derivano sono qualificati come redditi di lavoro autonomo o redditi d’impresa (a seconda dei casi) e va aperta una Partita IVA. Ciò comporta l’obbligo di emettere fattura (o documentazione equivalente) per i compensi, di tenuta delle scritture contabili e di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi e IVA.
  • Se invece l’attività è svolta in modo sporadico, saltuario, senza organizzazione di mezzi, i proventi possono essere dichiarati come redditi diversi occasionali, senza necessità di P. IVA. In tal caso la tassazione avviene nella dichiarazione dei redditi (quadro RL) e non si applica l’IVA sulle somme percepite.

In pratica, la discriminante è il requisito dell’abitualità/professionalità. Nel caso di influencer, youtuber, streamer, la prassi e la dottrina sono concordi: difficilmente queste attività possono qualificarsi come meramente occasionali. Infatti, per costruire e mantenere nel tempo un pubblico di follower e produrre contenuti regolari occorrono continuità e mezzi (computer, connessione, attrezzature, tempo dedicato, strategie di crescita, ecc.). Uno streaming remunerativo non nasce da un singolo episodio isolato, ma richiede tipicamente attività protratta e pianificata. Come osservato anche dalla giurisprudenza tributaria, perfino un singolo affare o evento può configurare attività d’impresa se richiede una serie coordinata di atti economici per la sua realizzazione. Nel contesto del content creation, è intrinseco alla figura dello streamer/influencer il ripetere continuamente le prestazioni (stream quotidiani o periodici, post, interazioni) per mantenere e monetizzare il proprio seguito. Pertanto, nella quasi totalità dei casi i redditi generati dagli streamer vanno considerati frutto di attività esercitata in maniera abituale e professionale, e il soggetto avrebbe dovuto dotarsi di Partita IVA sin dall’inizio dei primi incassi significativi.

Rischio dell’approccio “occasionalità”. Molti giovani creator, soprattutto agli esordi, confidano nell’“occasionalità” per evitare gli adempimenti fiscali. È importante chiarire che la legge non fissa una soglia rigida di compensi oltre la quale scatta automaticamente l’obbligo di P. IVA: conta la natura dell’attività più che l’importo. Ad esempio, se nel 2025 un singolo streamer incassasse anche solo €2.000, ma frutto di decine di live durante l’anno e con strategie di crescita, tecnicamente quell’attività è continuativa (non un colpo isolato di fortuna) e dunque in teoria servirebbe la P. IVA. Viceversa, ipotizziamo un privato che occasionalmente venga invitato a partecipare come ospite retribuito ad una sola live streaming: quel compenso isolato potrebbe essere dichiarato come reddito diverso da attività occasionale. In sintesi, non esiste un “minimo di esenzione” generale per i redditi online; la soglia di €5.000 spesso citata riguarda semmai gli aspetti previdenziali (oltre 5k € annui da lavoro autonomo occasionale scatta l’iscrizione alla Gestione Separata INPS) ma non esenta certo dal dichiarare il reddito fiscale. Anzi, formalmente anche pochi euro guadagnati andrebbero dichiarati, a meno che non ricadano in specifiche esenzioni (ad esempio, redditi < €4.800 annui se unico reddito potrebbero non comportare obbligo di presentare il 730, ma il principio della tassazione worldwide resta, v. oltre).

Lavoro autonomo o impresa? Stabilito che serve P. IVA, resta da chiarire se l’attività di streamer configuri reddito di lavoro autonomo (arte o professione ex art. 53 TUIR) oppure reddito d’impresa commerciale (art. 55 TUIR). La distinzione dipende dal tipo di attività svolta e dal grado di organizzazione. La prassi recente dell’Agenzia delle Entrate tende a ricondurre i creator nell’alveo del lavoro autonomo abituale: ad esempio ha qualificato come redditi di lavoro autonomo i compensi per servizi fotografici svolti da celebrità influencer, ritenendoli accessori alla loro attività professionale principale. In molti casi, infatti, lo streamer/influencer monetizza la propria prestazione personale (intrattenere, recensire prodotti, fare video) analogamente a un libero professionista, e pur potendo avere collaboratori, il fulcro è la persona stessa. Tuttavia, non è escluso che in certe situazioni il Fisco qualifichi l’attività come impresa: ad esempio se il creator gestisce un canale con forte struttura organizzativa (dipendenti o collaboratori fissi, un business di merchandising, ecc.), oppure se la sua attività è assimilabile alla vendita di spazi pubblicitari (es. incassi derivanti dall’inserimento di banner pubblicitari nei video). In tali frangenti si potrebbe propendere per la natura di impresa commerciale (reddito ex art. 55 TUIR).

In ogni caso, per il singolo contribuente poco cambia sul piano pratico immediato: sia il lavoratore autonomo individuale che l’imprenditore individuale devono aprire P. IVA e possono aderire al regime forfettario se ne hanno i requisiti, oppure al regime ordinario. La differenza emergerà sul piano previdenziale:

  • se qualificato come autonomo professionale, lo streamer verserà contributi alla Gestione Separata INPS (aliquota 26,23% circa nel 2025);
  • se qualificato come impresa commerciale, dovrà iscriversi alla Gestione Commercianti (INPS) con contributi fissi trimestrali più percentuali (a meno che costituisca una società).

Ai fini IRPEF, invece, entrambe le categorie sarebbero tassate in modo analogo (salvo optare per la tassa piatta forfettaria). Notiamo infine che un influencer/streamer potrebbe in teoria produrre redditi di diverse categorie contemporaneamente, ma non con riferimento alla stessa prestazione. Ad esempio, se Tizio è un dipendente di un’azienda ma fuori dall’orario di lavoro svolge anche attività da streamer con P.IVA, avrà reddito di lavoro dipendente per lo stipendio (art.49 TUIR) e reddito di lavoro autonomo per lo streaming (art.53), distinti. Oppure un calciatore professionista che monetizza la propria immagine come influencer potrebbe avere parte dei compensi in busta paga (dipendente) e parte come autonomo o diritti d’immagine (che se non riconducibili né a lavoro né a impresa, rientrerebbero tra i redditi diversi da sfruttamento dell’immagine). Ma casi così complessi esulano dalla situazione tipica del singolo streamer indipendente.

Conclusione operativa: chiunque tragga reddito significativo e ricorrente dall’attività di gamer/streamer deve dotarsi di Partita IVA ed emettere documenti fiscali per i propri incassi. Questa è la regola da tenere a mente per il futuro. Se ciò non è stato fatto in passato e arriva un accertamento, è inutile cercare di sostenere che un’attività continuativa su Twitch o YouTube fosse un hobby estemporaneo: l’Agenzia delle Entrate molto probabilmente riclassificherà retroattivamente i compensi come redditi di lavoro autonomo o d’impresa abituale, con tutte le conseguenze del caso (imposte, IVA, sanzioni). Tale posizione è ormai consolidata: “è molto probabile che i redditi prodotti in questa professione non potranno ritenersi derivanti da attività esercitata soltanto occasionalmente”; l’influencer/streamer, se trae un reddito dalla sua attività, deve aprire partita IVA e scegliere un regime fiscale idoneo.

Regime fiscale: forfettario, IVA e altre particolarità

Chi apre una Partita IVA per attività di streaming/influencer può in genere accedere (se ne ha i requisiti) al regime forfettario, che è spesso la scelta ottimale per i piccoli imprenditori digitali. Vediamo le opzioni:

Regime forfettario

Il regime forfettario (L. 190/2014 e successive modifiche) è un regime fiscale agevolato riservato alle persone fisiche con attività d’impresa o lavoro autonomo di dimensioni ridotte. Dal 2023, il limite di ricavi/compensi per potervi accedere è stato elevato a 85.000 € annui (prima era 65.000). I vantaggi principali del forfettario sono:

  • Tassazione sostitutiva IRPEF (e relative addizionali) con aliquota fissa al 15% sul reddito imponibile calcolato in modo forfettario (ridotta al 5% per i primi 5 anni di nuova attività, se in possesso di specifici requisiti). Il reddito imponibile non è il profitto reale ma quello calcolato forfettariamente applicando un coefficiente di redditività ai ricavi. Ad esempio, per attività di servizi di intrattenimento il coefficiente potrebbe essere 67% (significa che il 67% dei ricavi è tassato come reddito, il resto è forfettariamente considerato costo deducibile). Il coefficiente dipende dal codice ATECO dell’attività.
  • Esenzione IVA: i forfettari non addebitano l’IVA sulle fatture emesse ai clienti e sono esonerati da gran parte degli obblighi IVA (liquidazioni, dichiarazione annuale). In fattura si inserisce l’annotazione di esclusione IVA ai sensi di legge. Questo semplifica molto la gestione, specie per chi ha clienti esteri (non deve gestire il meccanismo dell’inversione contabile, v. oltre).
  • Contabilità semplificata al massimo: niente registri IVA, niente obbligo di tenuta scritture contabili ordinarie; basta conservare fatture e ricevute. Dal 2024 però anche i forfettari devono emettere fattura elettronica (obbligo esteso praticamente a tutti salvo rare eccezioni).
  • Contributi INPS ridotti: se l’attività è di impresa e ci si iscrive alla Gestione Commercianti, in regime forfettario si può richiedere una riduzione del 35% dei contributi previdenziali dovuti. (Attenzione: questa riduzione non vale per la Gestione Separata, che ha aliquota fissa). In ogni caso i contributi restano dovuti, forfettario o no.

Il regime forfettario non impone alcun limite di spese deducibili perché tanto queste non si deducono analiticamente (sono forfettizzate nel coefficiente). Ci sono però altre condizioni per poterlo usare: non bisogna aver avuto nell’anno precedente redditi di lavoro dipendente superiori a 30.000€ (se si vuole mantenere anche la posizione autonoma), non si devono superare 20.000€ lordi di spese per eventuali dipendenti/collaboratori, e non si può aderire se si esercitano attività particolari (es. regimi speciali IVA) o se si partecipa a società di persone, ecc. Insomma, la maggior parte dei giovani streamer indipendenti rientra nei requisiti (a meno che guadagnino più di 85k/anno, caso in cui escono dal regime nell’anno successivo a quello del superamento).

Perché è rilevante ai fini difensivi? Perché molti streamer avrebbero potuto pagare imposte molto ridotte aderendo al forfettario, ma non avendo aperto P.IVA si trovano a subire accertamenti con tassazione ordinaria piena e IVA. Ad esempio, se Caio nel 2022 ha incassato 50.000 € da YouTube non dichiarati: se fosse stato forfettario avrebbe pagato circa 7.500 € di imposta sostitutiva (15%) e zero IVA; l’Agenzia invece potrebbe chiedergli oggi ~13.000 € di IRPEF (aliquote progressive su 50k come persona fisica, presumendo nessun costo dedotto) più IVA 22% su quei compensi (11.000 €) – importo quest’ultimo eventualmente riducibile se si dimostra che erano operazioni non imponibili verso estero, ma intanto viene contestato – il tutto con sanzioni salate sopra. Morale: l’omessa apertura della P.IVA comporta un aggravio enorme. In sede di difesa, però, conoscere il regime forfettario è utile perché si può tentare di ridimensionare la pretesa mostrando quali sarebbero state le imposte dovute in regime agevolato e chiedendo magari il riesame per equità. Va detto che legalmente l’ufficio è legittimato a pretendere le imposte ordinarie se non si è aderito al regime (non esiste un “ravvedimento” che permetta di applicare retroattivamente il forfettario), ma in sede di accertamento con adesione si può far presente che il contribuente era di fatto nelle condizioni soggettive per stare in forfettario e magari ottenere la riduzione di sanzioni e una trattativa sull’imponibile più favorevole.

Regime ordinario e IVA

Se il forfettario non è applicabile (es. perché i ricavi annui superano 85k, o si perdono i requisiti), allora lo streamer ricadrà nel regime ordinario. Ciò comporta:

  • Tassazione IRPEF progressiva sul reddito netto (ricavi meno costi deducibili). Le aliquote IRPEF italiane vanno dal 23% al 43% a scaglioni; per redditi medio-alti l’incidenza supera di norma il 35-40%. Inoltre ci sono addizionali regionali e comunali.
  • IVA da addebitare sui compensi se imponibili. L’aliquota IVA standard è 22%. Bisogna aprire posizione IVA, effettuare liquidazioni periodiche, versare l’eventuale IVA a debito, presentare dichiarazione annuale, etc.
  • Contabilità semplificata o ordinaria a seconda di ricavi (< o > 500k € se impresa, < o > 400k € se servizi, limiti 2025).

Un punto delicato per gli streamer ordinari è proprio la gestione dell’IVA sui compensi online. Spesso infatti i loro “clienti” sono piattaforme estere (Twitch LLC USA, Google Ireland per YouTube/AdSense, società estere per donazioni ecc.) oppure pubblico generico (es. donazioni da utenti privati di varie nazionalità). Occorre distinguere:

  • Se lo streamer fattura le proprie prestazioni a una piattaforma/azienda estera, si applicano le norme territoriali IVA: tipicamente, la prestazione di servizi verso un committente soggetto passivo estero (B2B) non è imponibile IVA in Italia (ricade nel regime di reverse charge nel paese del committente, art. 7-ter DPR 633/72). Ad esempio, un creatore italiano che presta servizi pubblicitari a Google Ireland: fatturerà senza IVA con dicitura “inversione contabile – art.7-ter, D.P.R.633/72”. Quindi non c’è IVA da versare in Italia su quel compenso. Attenzione però: per poter emettere quella fattura senza IVA, bisogna essere soggetto passivo IVA. Chi non ha P.IVA e riceve pagamenti da Google, tecnicamente sta operando fuori regola; l’Agenzia in accertamento potrebbe sostenere che andava aperta IVA e – in teoria – sanzionare per omessa fatturazione (anche se l’imposta finale sarebbe comunque non dovuta per territorio, la violazione formale rimane). Nel caso di CiccioGamer, il Fisco contestò 160k di IVA evasa riferita ai compensi da YouTube ads. Probabilmente l’ufficio riteneva che tali introiti fossero operazioni imponibili; è più verosimile però che fossero operazioni verso estero (Irlanda) e quindi non soggette a IVA italiana. Se lo youtuber non aveva P.IVA, non aveva nemmeno presentato il Modello INTRA/esterometro per comunicare le operazioni con l’estero. La sua difesa potrebbe aver mostrato che quell’IVA non era dovuta (reverse charge) e quindi la sanzione è decaduta. Ciò evidenzia che un profilo di difesa è anche contestare l’eventuale imponibilità IVA dei compensi: in molti casi l’Agenzia parte dall’idea che l’attività è imponibile, ma se i clienti erano tutti fuori Italia, si può eccepire che l’IVA non era dovuta ex lege. Resta comunque la violazione per non aver aperto la posizione IVA e comunicato le operazioni.
  • Se lo streamer svolge prestazioni verso committenti italiani (es. una società italiana lo paga per sponsorizzare un prodotto), allora la IVA è dovuta al 22% su quella prestazione, con obbligo di fatturazione. In caso di mancata fatturazione, l’accertamento chiederà l’IVA evasa più sanzioni (di regola, sanzione dal 90% al 180% dell’IVA non versata).
  • Se i pagatori sono privati consumatori esteri (B2C, es. donazioni di utenti stranieri): qui la territorialità IVA è complessa, in linea di principio la prestazione di servizi elettronici B2C verso soggetti UE potrebbe essere rilevante ai fini IVA nello Stato del consumatore (regole MOSS/OSS per servizi digitali). In pratica però, micro-pagamenti da tanti utenti sarebbero difficili da gestire IVA e infatti piattaforme come Twitch trattengono loro eventuale IVA sugli abbonamenti ecc. Per semplicità, la maggior parte degli streamer opera tramite la piattaforma che funge da intermediatore: es. Twitch gestisce le iscrizioni degli utenti (applicando l’IVA locale dove dovuta) e poi gira all’influencer la sua quota al netto. Quindi lo streamer fattura a Twitch (B2B estero, non IVA). Per le donazioni dirette (es. tramite PayPal) non c’è un vero contratto di prestazione, formalmente sono atti di liberalità: il Fisco però potrebbe ritenere che siano comunque corrispettivi legati all’attività (propina volontaria per il servizio di intrattenimento) e includerli nei ricavi. Fortunatamente non c’è al momento un meccanismo chiaro per applicare l’IVA sulle mance volontarie – di solito queste sfuggono all’IVA perché non c’è obbligo di corrispettivo. Una difesa possibile per le donazioni ricevute potrebbe essere sostenere che si trattava di elargizioni spontanee prive di controprestazione e quindi non soggette a IVA (né a IRPEF se veramente donazioni liberali occasionali). Tuttavia, convincere il Fisco che migliaia di euro di “donations” durante le live siano semplici regali disinteressati è arduo: la controparte obietterà che senza la prestazione dello streaming il fan non avrebbe donato, quindi c’è un nesso causa-effetto assimilabile a un servizio. Anche su questo aspetto, la linea di confine è labile.

Quadro RW – monitoraggio estero. Un altro obbligo spesso ignorato riguarda il Quadro RW della dichiarazione, relativo al monitoraggio di attività estere e investimenti. Se lo streamer detiene attività finanziarie all’estero (per esempio un conto corrente estero su cui riceve i pagamenti, oppure criptovalute su exchange esteri, ecc.), deve dichiararle nel quadro RW, anche se i redditi sono già tassati. In generale: i redditi di fonte estera imponibili in Italia e le attività finanziarie estere vanno indicati nel dichiarativo annuale, compilando appunto il quadro RW per il monitoraggio fiscale e l’eventuale pagamento dell’IVAFE (imposta patrimoniale sulle attività finanziarie estere). Ci sono soglie sotto le quali l’obbligo non sussiste: ad esempio, non va dichiarato il conto estero se il saldo massimo annuo non supera €15.000 (salvo che sia dovuta IVAFE, che scatta solo oltre €5.000 di giacenza media). Molti streamer utilizzano conti PayPal o simili: va verificato se tali conti siano giuridicamente esteri (spesso sì, PayPal ha sede estera) e se superano le soglie: in tal caso, l’omessa compilazione di RW può portare a sanzioni specifiche (dal 3% al 15% degli importi non dichiarati, fino al 30% se in paesi black-list). Difficile che l’Agenzia delle Entrate contesti il quadro RW in un avviso rivolto a recuperare imposte; tuttavia, in un contraddittorio potrebbe emergere anche questo profilo e generare sanzioni aggiuntive. Dal punto di vista del contribuente, mostrare collaborazione anche su RW (magari presentando ora una dichiarazione integrativa) può essere un segnale positivo per ridurre il contendere.

Riassumendo i punti chiave in una tabella, ecco le differenze tra non dichiarare nulla, dichiarare con P.IVA forfettaria e dichiarare in ordinario:

Scenario fiscaleObblighi e tasseVantaggiSvantaggi
Nessuna P.IVA, nulla dichiarato– Nessun adempimento iniziale.– Illegale: in caso di controllo, recupero IRPEF intera, IVA, sanzioni 120-240% imposta evasa, interessi.– Rischio penale se evasi > soglia (v. oltre).Nessuno (se scoperto). L’unico “vantaggio” è non pagare nell’immediato (ma poi si pagherà con aggravio).– Violazione grave, sanzioni elevate.– Possibile denuncia penale (omessa dichiarazione >€50k imposta).– Niente deduzione costi, tassazione piena su ricavi lordi.– Esempio: Incassi €50k→ accertati €15k IRPEF + €11k IVA + sanzioni (€25k) = debito oltre €50k.
P.IVA regime forfettario– Imposta sostitutiva 15% (o 5% startup) sul reddito forfettario.– No IVA da addebitare o versare.– Fatturazione elettronica obbligatoria.– Contabilità semplicissima (conservare fatture).– Contributi INPS gestione separata (26%) sul reddito, oppure commercianti (24% riducibile 35%).– Aliquota bassa e fissa, spesso inferiore al regime ordinario.– Adempimenti ridotti e niente IVA (niente versamenti né problemi su estero).– Contributi INPS ridotti se commercianti (-35%).– Limite ricavi €85k: se lo superi esci dal regime anno successivo.– Niente deduzione analitica dei costi (forfait possibile sfavorevole se hai molti costi reali).– Incompatibile con alcune situazioni (es. soci di SRL con controllo).
P.IVA regime ordinario– IRPEF progressiva su utile netto (23%–43% + addizionali).– IVA 22% sulle operazioni imponibili (da incassare dai clienti e versare).– Contabilità semplificata o ordinaria (registri IVA, libri).– Deduzione costi effettivi di attività.– Contributi INPS dovuti (aliquota piena).– Possibilità di dedurre tutti i costi inerenti (strumentazione, utenze proporzionali, consulenze, viaggi per eventi, provvigioni a eventuali agenti, ecc.), riducendo il reddito tassabile.– Nessun tetto ricavi: attività scalabile senza perdere il regime.– Pressione fiscale elevata per chi ha margini alti (aliquote IRPEF e INPS cumulate possono superare 50%).– Adempimenti IVA e contabili onerosi (registrazioni, dichiarazioni).– Gestione complessa di IVA con estero (necessario saper applicare esenzioni, reverse charge, OSS se dovuto).

NB: La situazione “nessuna dichiarazione” è riportata a scopo illustrativo degli effetti di un accertamento, ma non è ovviamente un regime fiscale legale. Come vedremo oltre, è quella che porta alle conseguenze più gravose e difficili da gestire.

Redditi esteri: tassazione mondiale e crediti d’imposta

Un gamer/streamer residente in Italia che guadagna tramite piattaforme estere a volte cade nell’errata convinzione che, trattandosi di redditi dall’estero, non vadano dichiarati nel nostro Paese. Ciò è falso. L’Italia adotta il principio della tassazione mondiale (worldwide taxation): i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti a dichiarare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, salvo quanto previsto da convenzioni internazionali per evitare doppie imposizioni. Il concetto di residenza fiscale (art. 2 TUIR) fa riferimento all’iscrizione all’anagrafe, al domicilio o alla dimora per la maggior parte del periodo d’imposta. Dunque, se uno streamer vive in Italia (anche se i pagatori sono stranieri), il Fisco lo considera residente e tassabile su tutti i suoi redditi, esteri compresi.

Questo implica che i ricavi da Twitch, YouTube, contratti con sponsor esteri, donazioni da utenti esteri, etc., devono essere dichiarati in Italia come parte del reddito complessivo. Vanno indicati nel quadro RL/RE (secondo la categoria di reddito) della dichiarazione dei redditi e concorrere all’IRPEF. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito più volte che i redditi percepiti all’estero da un residente non sfuggono: tramite strumenti di cooperazione internazionale, accordi come il FATCA con gli USA o lo scambio automatico CRS a livello OCSE, il Fisco italiano riceve ogni anno informazioni su conti esteri intestati a italiani e flussi finanziari rilevanti. Anche piattaforme come Twitch e YouTube, essendo imprese estere, possono essere oggetto di richieste di informazioni nell’ambito di verifiche fiscali internazionali. Insomma, non dichiarare “perché tanto sono pagato dagli USA” è una strategia destinata a fallire e anzi ad aggravare le sanzioni (come visto, per redditi esteri omessi la sanzione è aumentata di 1/3).

Credito per le imposte estere. Se il reddito prodotto all’estero ha già scontato una tassazione nel paese fonte, l’Italia evita la doppia imposizione concedendo un credito d’imposta (art. 165 TUIR) fino a concorrenza dell’IRPEF italiana relativa a quel reddito. Ad esempio, i pagamenti da YouTube (Google): Google Ireland tipicamente non applica ritenute fiscali sui compensi verso l’Italia (essendo transazione intra-UE B2B), quindi non c’è imposta estera da accreditare. Twitch (Amazon US) invece, per i creatori non statunitensi, può applicare una withholding tax USA sui redditi di fonte USA (tipicamente le donazioni o abbonamenti pagati da utenti USA) se lo streamer non ha fornito un modulo fiscale (W-8BEN). L’Italia e gli USA hanno una Convenzione contro le doppie imposizioni che limita tale ritenuta al 0% o 5% a seconda dei casi; molti streamer si sono visti trattenere il 30% dai pagamenti USA fino a quando non hanno inviato i moduli fiscali per certificare la residenza in Italia. Ebbene, qualora sia stata effettivamente pagata un’imposta estera (come questa ritenuta USA) su redditi poi tassati in Italia, il contribuente ha diritto a scomputarla dall’IRPEF italiana dovuta su quegli stessi redditi. Però deve indicarlo in dichiarazione dei redditi (quadro CE). Se non ha dichiarato affatto il reddito, in sede di accertamento inizialmente l’Agenzia chiederà l’imposta lorda piena; starà al contribuente, eventualmente in sede di difesa, documentare l’avvenuta trattenuta estera e chiedere il riconoscimento del credito d’imposta corrispondente. È importante raccogliere la documentazione (ricevute di withholding, certficati fiscali forniti dalla piattaforma) da esibire. Ciò non elimina l’evasione, ma evita almeno la duplicazione delle imposte. Ad esempio: Tizio ha incassato $10.000 da Twitch di cui $1.500 trattenuti da IRS USA; se l’IRPEF italiana sul totale fosse €2.000, può chiedere che i $1.500 già pagati siano scalati (convertiti in €): pagherà la differenza e relative sanzioni solo su quella.

Rientro dei capitali e scudi fiscali? Una domanda frequente: “ho i soldi parcheggiati su un conto estero non dichiarato, mi conviene rimpatriarli?”. Non esistono più scudi fiscali generalizzati; tuttavia, riportare i fondi in Italia dichiarandoli (anche tardivamente) con ravvedimento operoso può essere visto di buon occhio rispetto a tenerli nascosti. In caso di accertamento, comunque, l’Agenzia può ricostruire i movimenti finanziari e presumere che accrediti importanti su conti esteri non dichiarati siano redditi evasi. Dunque, meglio prevenire dichiarando spontaneamente. Nel 2023 il Governo ha lanciato alcune misure di “tregua fiscale” (stralcio di sanzioni su alcune violazioni, definizione agevolata liti, ecc.), ma si tratta di casi specifici. La regola base rimane: se sei residente e fai soldi online, dichiarali in Italia, poi eventualmente fruisci dei crediti d’imposta o delle agevolazioni per nuovi residenti (es. il regime impatriati se rientri in Italia con certe caratteristiche, o la flat tax da €100k per high net worth individuals che trasferiscono la residenza – quest’ultima però non aiuta per redditi italiani come lo streaming svolto qui).

Caso particolare: residenza estera. Alcuni top streamer hanno deciso di trasferirsi all’estero per sfuggire alla pressione fiscale italiana. Ad esempio Pow3r (Giorgio Calandrelli) ha dichiarato di essere fuggito dall’Italia ~6 anni fa proprio per la “mentalità e le tasse”. Se un creator diventa residente fiscale all’estero (iscrizione AIRE, >183 giorni fuori dall’Italia, centro interessi spostato) e non ha fonti di reddito in Italia, allora effettivamente i suoi redditi da streaming non vanno dichiarati in Italia ma solo nel nuovo paese di residenza. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può contestare i trasferimenti fittizi di residenza (es. chi si iscrive a San Marino o a Dubai ma in realtà continua a vivere in Italia). Bisogna davvero tagliare i ponti per non essere più considerato residente ai fini fiscali in Italia. Nei casi come Pow3r, occorre vedere fino a che anno era residente in Italia: l’accertamento 2019-2022 su di lui probabilmente riguarda anni in cui formalmente risultava ancora residente (forse non si era iscritto AIRE subito). La difesa in quei casi consisterà nel dimostrare di aver cambiato residenza regolarmente prima del periodo contestato. È un tema complesso che esula dalla guida, ma è bene menzionarlo: se effettivamente non si era residenti in Italia in un certo anno, l’avviso di accertamento potrebbe essere infondato ratione personae – però bisogna avere prove solide del trasferimento (contratti abitazione estera, bollette, iscrizione AIRE, ecc.).

Quando arriva un avviso di accertamento: come reagire (tempistiche e prime mosse)

Ricevere un avviso di accertamento non è piacevole, ma è importante non farsi prendere dal panico e agire entro i tempi previsti. Qui illustriamo il “percorso” tipico di un avviso e le opzioni che il contribuente (assistito dal suo consulente o legale) ha a disposizione.

Notifica e decorrenza dei termini. L’avviso viene notificato ufficialmente (generalmente via PEC per chi ce l’ha, altrimenti raccomandata AR o messo comunale). Dal giorno della notifica iniziano a decorrere i 60 giorni entro cui il contribuente può presentare ricorso alla Commissione Tributaria (ora rinominata Corte di Giustizia Tributaria) oppure può definire in acquiescenza (pagamento). È fondamentale annotare la data precisa di ricezione. Entro quello stesso termine, se si vuole, si può attivare la procedura di accertamento con adesione (che sospende i termini di ricorso, vedi oltre). Se non si fa nulla entro 60 giorni, l’atto diventa definitivo.

Verificare l’atto. Appena ricevuto l’avviso, occorre leggerlo attentamente e verificare alcuni elementi chiave:

  • Anno d’imposta a cui si riferisce (es. “periodo d’imposta 2020”).
  • Importi contestati: quant’è il maggior reddito accertato, quanta imposta in più viene richiesta (IRPEF, IVA, addizionali…), a quanto ammontano le sanzioni e gli interessi. Le sanzioni sono di solito espresse sia in percentuale sia in cifra. Es: “sanzione 150% dell’imposta evasa, pari a €10.000”.
  • Motivazioni: quali sono le ragioni dell’accertamento. Ci sarà un paragrafo dedicato dove l’ufficio spiega, ad esempio, “dall’analisi del conto corrente è emerso che…”, oppure “dai dati forniti dalla Guardia di Finanza risulta che il contribuente ha percepito redditi da… non dichiarati” ecc. Questa parte è cruciale per preparare la difesa: capire da dove arrivano i numeri (es. hanno le informazioni di PayPal? Hanno stimato dai follower? Hanno un elenco bonifici?).
  • Firma e ufficio competente: chi ha emesso l’atto (Direzione Provinciale XY) e nome del funzionario firmatario (dirigente o delegato). In passato si contestavano avvisi firmati da funzionari non delegati, ma oggi è raro trovare vizi di firma.
  • Indicazione della possibilità di adesione: spesso l’avviso contiene l’invito a presentarsi per valutare l’accertamento con adesione, con indicata la riduzione a 1/3 delle sanzioni in caso di definizione. Se manca, si può comunque richiederla.
  • Calcolo interessi: di solito è allegato o richiamato. Non è centrale, ma va controllato che non abbiano applicato interessi eccessivi (tassi legali per ogni anno).
  • Istruttoria: se dall’atto si evince che c’è stato un Processo Verbale di Constatazione (PVC) della Guardia di Finanza o un questionario a cui non si è risposto, considerare che esiste un fascicolo con dettagli (da richiedere se non li avete).
  • Soggetti coinvolti: se è un accertamento IRPEF personale o IVA personale, siete voi il destinatario. Talvolta però l’atto può riguardare una società (se uno streamer avesse una società) e lui come socio. Ma nel nostro caso assumiamo persona fisica.

Scadenza dell’accertamento: Verificare se l’avviso è stato emesso entro i termini di decadenza previsti. Per le imposte sui redditi, il Fisco ha tempo fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (ad es. redditi 2020, dichiarazione presentata nel 2021, l’accertamento può arrivare fino al 31/12/2026). Se la dichiarazione era omessa, il termine si allunga al 31 dicembre del settimo anno successivo al fatto (quindi redditi 2020 non dichiarati, termine 31/12/2027). Ci sono state sospensioni COVID che hanno allungato di qualche mese gli accertamenti 2015-2018. In genere l’Agenzia tende a utilizzare tutto il tempo a disposizione: se arriva un avviso per il 2017 nel 2025, può essere legittimo se quel termine era prorogato. Controllare questo con un esperto, perché se fosse notificato oltre termine, è nullo (evenienza rara ormai, ma da non trascurare).

Valutare la situazione: A questo punto, con l’atto in mano, il contribuente deve fare insieme al consulente una valutazione iniziale:

  • L’accertamento è fondato (cioè effettivamente quei redditi non erano stati dichiarati)? Oppure contiene errori palesi (ad es. include somme già tassate, o scambia una cifra lorda per netta)?
  • L’importo preteso è sostenibile o devastante?
  • Ci sono giustificazioni e prove difensive già pronte (es. documenti che mostrano che quell’importo non era reddito imponibile)?
  • C’è margine per una trattativa o conviene direttamente ricorrere?
  • Il contribuente ha liquidità per eventualmente pagare subito se conviene?

Da queste risposte dipende la scelta tra le strategie difensive possibili: adesione, acquiescenza oppure ricorso. Analizziamole nel dettaglio.

Strategie difensive: adesione, acquiescenza, ricorso

Di fronte a un avviso di accertamento, il contribuente ha principalmente tre strade:

  1. Accertamento con adesione (artt. 6 e 7 D.Lgs. 218/1997): aprire un confronto con l’ufficio per trovare un accordo sull’importo dovuto.
  2. Acquiescenza all’accertamento (art. 15 D.Lgs. 218/97): accettare l’atto così com’è, pagando (magari in parte rateizzando) entro i termini, beneficiando della riduzione sanzioni.
  3. Ricorso tributario (D.Lgs. 546/1992 e succ. modd.): impugnare l’atto davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria), avviando un contenzioso.

Vediamo vantaggi, condizioni e implicazioni di ciascuna opzione, anche con riferimento ai casi tipici di gamer/streamer.

Accertamento con adesione

L’adesione è uno strumento deflattivo che consente di negoziare con l’ufficio un abbattimento dell’imponibile e/o delle sanzioni, evitando il giudizio. In pratica il contribuente, entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso, può presentare un’istanza all’Agenzia delle Entrate (Direzione che ha emesso l’atto) chiedendo di instaurare la procedura di accertamento con adesione. Da quando presenta l’istanza, i 60 giorni per ricorrere si sospendono per 90 giorni, dando tempo alle parti di discutere. L’ufficio convocherà il contribuente (o il suo professionista delegato) per un incontro, durante il quale si esamineranno le prove, si potranno fornire documenti, chiarimenti e si proverà a concordare un nuovo importo di reddito imponibile più congruo e quindi una nuova imposta. Se si trova l’accordo, viene redatto un atto di adesione con i nuovi importi. Benefici: le **sanzioni amministrative vengono ridotte a 1/3 del minimo previsto per legge. Ad esempio, se inizialmente era il 150% dell’imposta evasa, il minimo edittale è 90%; un terzo di 90% è 30%. Dunque si paga una sanzione pari al 30% dell’imposta (invece del 150%). Questo rende spesso conveniente aderire. Inoltre, nessun interesse di mora sul periodo di sospensione. Si può anche chiedere la rateazione delle somme concordate (di solito fino a 8 rate trimestrali se importo >€50.000). L’atto di adesione va perfezionato versando quanto dovuto (o prima rata) entro 20 giorni dalla firma.

Quando conviene l’adesione?

  • Quando l’accertamento ha basi solide e contestarlo in giudizio porterebbe probabilmente a perdere, ma al contempo l’importo è troppo alto per accettarlo interamente: tramite adesione si spera di ottenere uno sconto sul quantum. Nel caso di redditi online, ad esempio, si può far valere qualche costo deducibile in più (che l’ufficio non aveva riconosciuto), o si può dimostrare che un certo importo non era reddito (es. era un prestito tra amici, una cifra già tassata altrove, ecc.) convincendo l’ufficio a togliere quella parte.
  • Quando il contribuente riconosce l’errore (effettivamente non ha dichiarato quei redditi) ed è disposto a pagare il dovuto, ma vuole ottenere il massimo sconto sulle sanzioni senza andare in causa. Con l’adesione c’è la riduzione ad 1/3 delle sanzioni, che è la stessa prevista per l’acquiescenza, ma con l’adesione c’è margine di trattativa anche sull’imponibile (con l’acquiescenza no, accetti tutto e basta).
  • Quando ci sono elementi complessi da spiegare: il contraddittorio orale dell’adesione permette di spiegare a voce al funzionario situazioni particolari e trovare una soluzione di buon senso, cosa che in tribunale sarebbe più rigida.

Quando NON conviene o non è possibile?

  • Se l’accertamento presenta errori di diritto macroscopici e si ha un’alta chance di vittoria piena in giudizio, aderire significherebbe rinunciare a far valere le proprie ragioni.
  • Se l’ufficio non intende cedere su nulla e propone l’adesione pari all’integrale avviso (succede raramente, ma se l’atto è blindato da superiori istruzioni, il margine è poco).
  • Se non si dispone delle risorse finanziarie nemmeno per pagare quanto verrebbe concordato: l’adesione richiede di pagare rapidamente (anche se a rate). Se non si paga, l’adesione decade e l’originario accertamento resta valido (con aggravio).
  • Se l’accertamento riguarda sanzioni penali: formalmente l’adesione riguarda aspetti tributari, il procedimento penale (se già avviato) segue per conto suo. Tuttavia pagare colpevolmente un’evasione può aiutare a evitare pene (art. 13 D.Lgs.74/2000) – vedi oltre.

Procedura pratica: L’istanza di adesione va redatta in carta libera indicando gli estremi dell’atto e la volontà di aderire. Può contenere anche osservazioni difensive scritte e documenti allegati fin da subito, per orientare l’ufficio. Si presenta alla Direzione Provinciale competente (PEC o a mano). L’Agenzia deve sospendere la riscossione nel frattempo. Si verrà chiamati per una discussione (anche telefonica o via Teams, sempre più spesso post-Covid). Se non si trova un accordo, o non ci si presenta, l’ufficio redige verbale di mancato accordo e i 60 giorni di ricorso ripartono (con aggiunta dei giorni trascorsi prima della sospensione).

Effetti finali: Con la firma dell’atto di adesione e il pagamento, la questione per quell’anno si chiude in via definitiva e non è più impugnabile. L’adesione ha efficacia tombale sul periodo d’imposta accertato: il contribuente rinuncia al ricorso e l’Amministrazione rinuncia a future pretese oltre quelle concordate.

Acquiescenza (definizione agevolata in assenza di impugnazione)

L’acquiescenza consiste nel accettare integralmente l’avviso di accertamento così com’è, rinunciando a contestarlo e pagando entro 60 giorni quanto dovuto. In cambio, la legge prevede la riduzione delle sanzioni ad 1/3 del minimo edittale (coincidente con la stessa misura dell’adesione). Questo strumento è disciplinato sempre dal D.Lgs. 218/97 (art. 15) ed è chiamato anche “definizione agevolata delle sanzioni”. Per ottenere lo sconto, il contribuente deve pagare tutto l’importo (imposte + interessi + sanzioni ridotte a un terzo) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. In alternativa è ammessa la rateazione (fino a 8 rate se importo < €50k, o 16 rate oltre €50k, simile a cartelle) ma va versata la prima rata entro 60 giorni.

Quando conviene l’acquiescenza?

  • Quando si riconosce la totalità della pretesa come corretta e non si hanno elementi per contestarla. In tal caso fare ricorso sarebbe solo aggravio di spese.
  • Quando l’importo non è eccessivamente alto e si preferisce chiudere subito la vicenda evitando burocrazia ulteriore.
  • Ad esempio, se un piccolo streamer riceve un avviso per €3.000 di imposte evase e €2.700 di sanzioni (150%), pagando in acquiescenza avrebbe le sanzioni ridotte a 1/3 di 90% = 30% quindi €900, per totale €3.900. Valutando costi di un ricorso, stress, ecc., potrebbe decidere di pagare e finire lì.

Differenza rispetto all’adesione: Nell’acquiescenza non c’è contraddittorio né modifica dell’atto: si prende il contenuto dell’avviso per buono al 100%. L’unico beneficio è lo sconto di 2/3 sulle sanzioni (paghi un terzo). Anche qui, come per adesione, la riduzione non si applica se l’atto è già oggetto di ricorso. Inoltre l’acquiescenza non è ammessa se nell’avviso sono contestate violazioni punibili penalmente (es. dichiarazione fraudolenta): in tal caso bisogna procedere col giudizio, non ci sono sconti amministrativi standard.

Procedura pratica: Per fare acquiescenza non serve un’istanza formale: basta pagare nei 60 giorni l’importo con F24 usando i codici tributo corretti per “definizione avviso”. È tuttavia buona norma comunicare all’ufficio che si è effettuato il pagamento per definire l’atto. Se si opta per rate, la prima rata entro 60 giorni e poi seguire il piano indicato nell’avviso (spesso allegano già un prospetto rate). Attenzione: la rateazione da accertamento prevede interessi di rateazione, e se si salta una rata decade la riduzione sanzioni.

Effetti finali: L’atto diventa definitivo come concordato e non impugnabile (si considera che il contribuente vi ha acquiescito). Il caso è chiuso e non si può tornare indietro, salvo rari casi di nullità originaria.

In sostanza, acquiescenza e adesione offrono lo stesso sconto sanzioni (1/3), ma l’adesione dà chance di rivedere la base imponibile mentre l’acquiescenza no. Quindi in un accertamento complesso come quelli da attività online, l’acquiescenza pura conviene solo se l’ufficio “ci ha visto giusto” al centesimo e non c’è nulla da eccepire.

Ricorso al giudice tributario

Se non si vuole o non si può aderire né pagare, l’unica via è impugnare l’avviso presentando ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (CGT, ex Commissione Tributaria Provinciale) competente per territorio. Il ricorso va notificato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (estesi di eventuali 90 gg di sospensione se si è fatto prima adesione senza esito) e poi depositato entro 30 giorni dalla notifica. Deve contenere i motivi di fatto e di diritto su cui si basa la contestazione dell’accertamento.

Motivi di ricorso più comuni (nel caso di streamer):

  • Contestazione della qualifica di alcuni redditi: es. sostenere che certe somme non erano redditi tassabili (donazioni liberali, rimborsi spese, premi esenti, ecc.).
  • Errori di calcolo o duplicazioni: correggere importi sbagliati.
  • Contestazione delle sanzioni per esimente: ad es. invocare la non punibilità per obiettiva incertezza normativa (nei primi anni non era chiaro il trattamento dei nuovi lavori digitali, ma attenzione, è difficile vincere su questo dato che già dal 2016-2017 c’erano circolari su affitti turistici, ecc. L’incertezza vera c’era solo forse su come inquadrare esattamente l’attività, non sull’obbligo di dichiarare i redditi).
  • Vizi procedurali: l’accertamento è nullo se emesso prima di 60 gg dal PVC della Guardia di Finanza (violazione art. 12 Statuto contribuente) salvo urgenza; oppure difetto di motivazione, notifica invalida, firma non autorizzata. Questi sono aspetti tecnici che il legale valuterà.
  • Prescrizione/decadenza: se l’atto è fuori termine (raro ma da controllare).
  • Doppia imposizione: se le stesse somme fossero già state tassate in capo ad altro soggetto o altra categoria (non comune in questo ambito).

Nel ricorso si possono chiedere anche sanzioni ridotte per buona fede o proporre al giudice di applicare il principio del favor rei (sanzione minima se ci sono attenuanti). Inoltre, dal 2023, con la riforma del processo tributario, è ammesso anche fornire prove testimoniali scritte in giudizio (novità L. 130/2022) – benché il nostro caso sia più documentale.

Iter del giudizio: Una volta presentato ricorso (ricordarsi il contributo unificato da pagare, variabile con valore della lite: per controversie fino a €3.000 non serve nemmeno l’avvocato né contributo), l’esecuzione dell’accertamento è sospesa solo per 1/3 delle imposte. In pratica, decorso il termine di 60 giorni senza pagamento, l’Agenzia iscrive a ruolo provvisoriamente un terzo del tributo (senza sanzioni) – questo 1/3 potrebbe diventare cartella di pagamento esecutiva anche se la causa è pendente, a meno che il contribuente non richieda e ottenga la sospensione dal giudice. Infatti è possibile, con ricorso o separatamente, presentare istanza di sospensione dell’esecuzione al giudice, dimostrando sia il fumus boni iuris (ragioni fondate del ricorso) sia il periculum (che pagare creerebbe un danno grave). Se accolta, non si paga nulla finché non c’è sentenza. Se non si ottiene, può arrivare una cartella per il 1/3: quella va pagata (o rateata) altrimenti si rischiano fermi e ipoteche, anche con causa in corso.

La CGT di primo grado emetterà poi la sentenza. Se la causa è vinta totalmente, l’atto è annullato; se vinta parzialmente, verranno rideterminati importi dovuti; se persa, bisognerà pagare il dovuto (a quel punto per intero, tenendo conto che durante il giudizio maturano interessi). La parte soccombente potrebbe anche essere condannata a rifondere le spese di lite (oggi i giudici tendono a compensarle se c’è minima incertezza, ma se il ricorso era pretestuoso possono addebitare spese).

Conciliazione giudiziale: Anche durante il processo rimane la possibilità di trovare un accordo con l’ente, con la cosiddetta conciliazione in udienza o fuori udienza (art. 48 D.Lgs. 546/92). La riforma 2022 ha reso questo strumento più appetibile, prevedendo sanzioni ridotte al 40% del minimo se si concilia in primo grado (in pratica sconto 60%, leggermente minore dell’adesione che era 66% di sconto). In appello lo sconto scende al 50%. Quindi, se durante il giudizio l’ufficio capisce che può perdere, potrebbe offrire una conciliazione: ad esempio ridurre imponibile e applicare 40% sanzioni. Si formalizza con un accordo davanti al giudice. È un’opzione da tenere in considerazione: in mancanza di adesione preventiva, spesso le parti conciliano dopo la prima udienza, specie su questioni quantitative.

Vantaggi del ricorso: si ha la chance di far valere integralmente le proprie ragioni davanti a un giudice terzo, e in caso di esito positivo si può annullare o ridurre sensibilmente il debito. Inoltre, il ricorso può essere calibrato per prendere tempo: i tempi della giustizia tributaria (anche se accelerati di recente) fanno sì che una sentenza di primo grado arrivi dopo 1-2 anni; nel frattempo il contribuente può organizzarsi finanziariamente. Se poi dovesse perdere, potrebbe sempre a quel punto conciliare (in appello) o pagare.

Svantaggi: costo (onorari dell’avvocato tributarista, contributo unificato), incertezza sull’esito, tempi più lunghi, e comunque almeno 1/3 delle imposte potrebbe dover essere anticipato. Anche in caso di vittoria, se l’Agenzia facesse appello, la vicenda prosegue. Solo dal passaggio in giudicato si avrà certezza.

Profilo penale: La presentazione del ricorso non blocca l’eventuale procedimento penale, ma una sentenza tributaria favorevole può influire positivamente su quello (se stabilisce, ad esempio, che l’imposta evasa è inferiore alle soglie di reato, la rilevanza penale cade). Viceversa, fare ricorso temerario non ferma la denuncia se i numeri la integrano. Ci torneremo a breve.

Riepilogo – Uno schema delle opzioni difensive e relative caratteristiche:

OpzioneTermine (dalla notifica)Benefici per il contribuenteControindicazioni
Accertamento con adesioneEntro 60 gg presentare istanza (sospende termini per 90 gg). Incontro e definizione entro detto periodo.– Possibile riduzione imponibile (trattativa sull’accertato).– Sanzioni ridotte 1/3 del minimo.– Rateazione importi concordati.– Niente spese processuali, atto concordato definitivo.– Occorre versare rapidamente quanto concordato (20 gg dalla firma).– Se fallisce, si è solo guadagnato tempo (90 gg) ma poi bisogna pagare 1/3 provvisorio o ricorrere.– Rinuncia a eventuale completa esenzione se si aveva ragione (ci si “accontenta” di un compromesso).
Acquiescenza (pagamento con sconto)Entro 60 gg pagamento integrale (o prima rata).Sanzioni ridotte 1/3 del minimo (come adesione).– Chiude subito la vicenda, niente cause né ulteriori atti.– Possibile rateazione (fino a 8 o 16 rate).Nessuna riduzione dell’imponibile o dell’imposta: si paga tutto quanto richiesto (sanzioni escluse in parte).– Impegno finanziario immediato (60 gg sono pochi, anche se con rate si può diluire).– Preclusa se violazioni penali rilevanti.
Ricorso (causa)Entro 60 gg proposizione ricorso (salvo sospensioni).– Possibilità di annullare o ridurre di molto la pretesa se si vince.– Tempo per reperire fondi (la lite può durare anni).– Ulteriore possibilità di conciliare in corso di giudizio (sanzioni 40-50%).– In caso di soccombenza, a volte giudici applicano sanzioni minime o compensano spese se questione dubbia.Incerto esito: si rischia di dover poi pagare tutto con interessi di mora se si perde.– Almeno 1/3 imposte da versare provvisoriamente (salvo sospensiva) dopo 60 gg.– Costi legali e tecnici da anticipare.– Tempi lunghi e stress, pubblicità (udienze ora pubbliche).– Se ricorso è infondato, condanna a pagare spese di giudizio all’ente.

Va sottolineato che queste opzioni non si escludono rigidamente a vicenda: ad esempio si può presentare istanza di adesione (guadagnare tempo e tentare accordo) e, se salta, comunque proporre ricorso; oppure si può depositare ricorso e poi in udienza conciliare. Non si può invece, ovviamente, fare acquiescenza e insieme ricorrere (sono scelte alternative: o paghi con sconto o litighi).

Difese e argomentazioni specifiche per redditi da gaming/streaming

Affrontiamo ora le possibili linee difensive di merito che un gamer/streamer può adottare per contestare (in tutto o in parte) l’accertamento. Queste vanno adattate al caso concreto, ma genericamente le principali sono:

1. Attività occasionali vs abituali: come discusso, sostenere che la propria attività fosse non professionale e che i compensi vadano trattati come redditi diversi occasionali (art. 67 TUIR) quindi tassati separatamente, senza IVA. Questa difesa potrebbe ridurre il profilo sanzionatorio legato all’omessa apertura di P.IVA e all’IVA evasa (perché se passa la tesi dell’occasionalità, nessuna IVA era dovuta per definizione). Tuttavia, come abbiamo visto, è difficile convincere il Fisco su questo punto per un creator attivo e con alti incassi: la costanza di produzione di contenuti, i numerosi pagamenti ricevuti, magari la presenza di un canale con migliaia di follower, contraddicono l’idea di occasionalità. Si rischia anzi che un’ostinata difesa su questo punto venga giudicata infondata dal giudice, con condanna alle spese. La si può tentare solo se davvero i fatti lo consentono: es. uno streamer che ha trasmesso solo poche volte nell’anno, ricavando importi modesti (sotto poche migliaia di euro), potrebbe appellarsi alla natura episodica. Anche sentenze di merito hanno ribadito che per configurare l’impresa basta anche una sola operazione economicamente rilevante inserita in un’attività, quindi figurarsi tante micro-operazioni coordinate. Più prudente magari è limitarsi a chiedere l’esclusione dell’IVA su alcune entrate (v. punto 3 seguente) riconoscendo però l’abitualità ai fini reddito.

2. Rideterminazione del reddito imponibile: in accertamento spesso l’Agenzia ricostruisce i ricavi lordi ma non tiene conto dei costi che il contribuente avrebbe potuto dedurre. Ad esempio: Caio incassa 100.000 €, ma spende 20.000 € in attrezzature, consulenze e viaggi per eventi gaming – se avesse dichiarato regolarmente avrebbe dedotto quei costi (in regime ordinario). Se l’accertamento gli tassa 100.000 interamente, Caio può eccepire che il reddito effettivo era inferiore. Qui dipende dallo scenario:

  • Se Caio era teoricamente obbligato ad avere P.IVA ma non l’ha fatto, l’ufficio potrebbe dire: “Hai operato fuori regola, niente costi deducibili perché non avevi contabilità né fatture d’acquisto intestate a P.IVA”. In effetti, formalmente se non sei imprenditore non puoi dedurre costi di impresa. Tuttavia, a volte in giudizio si può far valere il principio di capacità contributiva: tassare l’intero lordo senza considerare alcun costo potrebbe risultare esorbitante e non equo. Si può presentare comunque la documentazione di spese inerenti sostenute (scontrini di hardware, ecc.) e chiedere una riduzione per forfetto di costi. Ad esempio, la Rivista Trimestrale di Diritto Tributario segnalava che “tali redditi sono tassati al netto di una deduzione forfettaria delle spese pari al 25%” o 40% in certi casi. In assenza di contabilità ufficiale, si può provare a ottenere almeno il riconoscimento del 25% forfettario di costi (che per redditi diversi ex art. 71 TUIR è previsto per alcuni redditi di spettacolo).
  • Se Caio era un forfettario che ha solo sforato qualche regola, si può argomentare che comunque il suo reddito imponibile andrebbe determinato col coefficiente ridotto (questo è difficile da far passare legalmente, ma in adesione magari l’ufficio potrebbe acconsentire).
  • In generale, portare un conto economico realistico dell’attività (entrate meno uscite) può persuadere l’ufficio o il giudice a non infierire oltre la giusta tassa. È bene allegare scontrini, fatture intestate al contribuente (anche se senza P.IVA, avrà fatto acquisti personali di PC, webcam, ecc.), estratti conto che mostrano pagamenti a terzi per servizi (es. moderatori, grafici, editor video pagati magari via PayPal).

3. Esclusione/non imponibilità IVA su alcune operazioni: come detto, se l’atto chiede IVA su tutti i ricavi, occorre verificare quali ricavi erano effettivamente soggetti a IVA. Ad esempio:

  • Compensi da YouTube/Google Ireland: sono servizi resi a soggetto passivo UE, non imponibili IVA in Italia (operazione con inversione contabile in capo a Google in Irlanda). Se l’Agenzia li ha considerati imponibili e calcolato IVA evasa, si contesta fornendo il contratto AdSense, la natura B2B, ecc., richiedendo lo stralcio di quell’IVA.
  • Compensi da Twitch USA: servizi resi a soggetto extra-UE, fuori campo IVA in Italia (anche qui per territorialità, art.7-ter). Stesso discorso: mostrare accordo di affiliazione Twitch che indica pagatore estero. Eventualmente eccepire che se anche c’era IVA, spettava al committente estero tramite meccanismi USA (che però non hanno VAT, infatti di solito è non soggetto).
  • Donazioni dirette: sostenere che non erano corrispettivo di servizio, quindi non c’è cessione di servizi rilevante ai fini IVA.
  • Merchandising e altre vendite: se uno streamer vendeva gadget e l’Agenzia lo scopre, lì invece l’IVA sarebbe dovuta (cessioni beni in Italia, salvo fosse tutto tramite print-on-demand estero). Ma in genere i casi noti riguardano sponsorizzazioni e pubblicità.
  • Piattaforme particolari (OnlyFans): OnlyFans UK, per esempio, applica l’IVA sugli abbonamenti dei fan e poi paga il creator al netto. In quei casi l’IVA è già assolta via MOSS in Europa: il reddito del creator è al netto, e quell’IVA non va versata di nuovo. Occorre spiegarlo: nel caso citato di Giulia Ottorini (creator OF) che fu controllata nel 2024, immagino avranno dovuto chiarire il meccanismo.

Far valere queste argomentazioni può ridurre significativamente l’importo di IVA evasa contestata, e quindi abbattere anche le relative sanzioni (che sono proporzionali). Ricordiamo che la sanzione per omessa fatturazione/versamento IVA è tipicamente il 90% (minimo) dell’imposta non versata; quindi togliere dall’imponibile IVA 100k di operazioni estere significa togliere 22k di IVA e risparmiare tra 19,8k e 39,6k di sanzioni. Non poco.

4. Invocare cause di non punibilità o attenuanti: Sul piano penale, se l’accertamento riguarda somme ingenti, bisogna stare all’erta. I reati ipotizzabili sono:

  • Omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 D.Lgs. 74/2000): scatta se l’imposta evasa (IRPEF + eventuale IVA) supera €50.000 per anno. Pena: reclusione 2 a 5 anni. Esempio: Tizio non ha presentato UNICO 2021 e ha evaso €60k di IRPEF, commesso reato.
  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): se la dichiarazione è presentata ma con dati falsi e l’imposta evasa > €100.000 oppure elementi attivi sottratti >10% del totale e >2 milioni. Pena: reclusione 2 a 4 anni e 6 mesi.
  • (Altri reati meno probabili: dichiarazione fraudolenta se hanno usato fatture false, improbabile per streamer; emissione fatture false no; omesso versamento IVA se >€250k IVA non versata, può capitare se fatturavano e non pagavano, ma se nemmeno avevano P.IVA di solito è omessa dichiarazione.)

Come difendersi? In ambito tributario (non penale direttamente) si può far leva sull’art. 6 comma 5-bis D.Lgs. 472/97: niente sanzioni amministrative se violazione dovuta a obiettiva incertezza su interpretazione delle norme. Si potrebbe sostenere che fino a pochi anni fa non era chiaro il trattamento fiscale degli influencer, non c’erano riferimenti normativi specifici, ecc. Tuttavia, la controparte dirà che i principi generali c’erano e che l’incertezza non esimeva dal dichiarare i redditi. È difficile vincere sull’incertezza, ma lo si può portare come attenuante per chiedere sanzioni al minimo. Magari citando che solo di recente il legislatore ha iniziato a occuparsi del settore (nel 2022-2023 si è discusso di inquadramento sportivo per e-sports, ecc.). In alcune vicende mediatiche, i creator si sono detti “vittime di equivoci” (es. Gianluca Vacchi ha parlato di «grande equivoco», avendo lui ricevuto una contestazione di 7 milioni poi risolta con il pagamento di soli 6mila € per un errore di deduzione costi viaggi). Ciò dimostra che spesso le cose non sono nette, e un professionista abile può convincere che l’intento evasivo non era così doloso.

Sul piano penale, è utile ricordare che se il contribuente paga integralmente i debiti tributari, sanzioni e interessi prima della dichiarazione dibattimentale (comunque prima della sentenza definitiva), può beneficiare della causa di non punibilità per alcuni reati tributari (tra cui omessa dichiarazione e infedele) prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000. Questo vuol dire: se arriva la Guardia di Finanza con un’indagine penale parallela, collaborare pagando il dovuto al fisco è la migliore strategia difensiva penale, perché si evita la condanna. Quindi, paradossalmente, conviene più pagare il fisco che spendere soldi in avvocati penali: estingui il reato. Nella nostra sede tributaria, possiamo far presente all’Agenzia l’intenzione di pagare e regolarizzare, così magari segnalano al penale che tutto è in via di sistemazione.

5. Vizi formali dell’atto: Questi li lasciamo ai tecnicismi, ma qualora vi siano (notifica nulla, motivazione mancante, ecc.), vanno dedotti in ricorso. Un esempio specifico: se prima dell’avviso c’è stata una verifica della Guardia di Finanza in sede, l’art. 12 L.212/2000 impone di attendere 60 giorni dal rilascio del PVC al contribuente per eventuali controdeduzioni. Se l’Agenzia ha notificato l’avviso prima di tale termine senza urgenza motivata, l’atto è nullo. Questo potrebbe capitare se l’ufficio aveva fretta (magari a fine anno). Oppure: se l’accertamento deriva da indagini finanziarie, deve essere indicato di aver avuto l’autorizzazione a farle. Insomma, un avvocato tributarista controllerà questi dettagli.

6. Interpelli e documenti ufficiali: Se un creator in buona fede avesse fatto un interpello all’Agenzia chiedendo come comportarsi e avesse ricevuto una risposta magari poco chiara, può usarla a suo favore. Pochi lo fanno in realtà. Esiste una risposta ad interpello della AdE del 2023 sui giocatori professionisti di poker online, dove l’Agenzia dice che anche se giocano occasionalmente, se lo fanno professionalmente restano soggetti passivi IVA. Quella era negativa per i contribuenti. Però conoscere questi documenti aiuta a impostare la linea: la dottrina (Seminara, 2024) commenta che “pare evidente che l’ammontare delle somme guadagnate non sia l’unico elemento da valutare, ma contino professionalità e mezzi. L’occasionalità con esclusione IVA si ha quando l’attività è davvero accidentale e senza organizzazione”. Tradotto: se uno streamer ha anche solo predisposto un canale, attrezzature, una schedule, già è organizzazione.

Simulazione pratica di difesa: Poniamo il caso di Mario, streamer italiano, che riceve un avviso per il 2021 con queste contestazioni:

  • Redditi non dichiarati per €80.000 (da Twitch, YouTube, sponsor vari).
  • IRPEF evasa calcolata ~€25.000.
  • IVA evasa su tali operazioni ~€17.600 (22% di 80k).
  • Sanzione infedele dichiarazione al 150% su IRPEF evasa = €37.500 (minimo 90% sarebbe 22.500, ma spesso applicano 150% se omissione grave).
  • Sanzione omesso versamento IVA al 100% = €17.600.
    Totale richiesto ~€25.000+€17.600+€37.500+€17.600 = €97.700 (più interessi).

Mario aveva però sostenuto costi per ~€15.000 (PC gaming, console, viaggi, provvigioni a manager) e parte dei 80k era da Google Ireland (€30k) e parte Twitch US (€50k). Strategia:

  • In adesione (o ricorso) mostra che €30k erano con Google: propone di escludere IVA su quelli (riducendo IVA evasa di €6.600 e relativa sanzione di €6.600).
  • Propone di riconoscere costi €15k: reddito imponibile scende a €65k. IRPEF evasa rifatta ~€20k. Sanzione infedele su €20k al 100% (ad esempio ridotta per adesione) = €18k.
  • Totale rideterminato sarebbe: IRPEF €20k + IVA (solo su Twitch €50k -> €11k) + sanzioni: infedele ridotta 1/3 di 90% (adesione) su 20k = €6k, IVA sanzione ridotta 1/3 di 90% su 11k = €3.3k. Totale ~€20k+€11k+€6k+€3.3k = €40.3k.
  • Mario aderisce e paga magari in 6 rate ~€6.7k l’una. Risolve anche il penale (evasi <50k ora per IRPEF e IVA separate, e paga prima di eventuale processo).

Questa simulazione fa capire come, partendo da quasi 100k pretesi, con la difesa attiva si possa arrivare a meno della metà. Ogni caso ovviamente varia.

Domande frequenti (FAQ) su avvisi fiscali a streamer

D: Se guadagno cifre modeste con lo streaming (es. sotto 5.000 € l’anno), devo aprire la Partita IVA?
R: La legge non prevede una soglia di esenzione assoluta: in teoria, anche 1.000 € ottenuti con attività non occasionale richiederebbero P. IVA. Tuttavia, se l’attività è effettivamente occasionale (pochi streaming senza continuatività) e i compensi annui sono inferiori a ~5.000 €, si può ricadere nei redditi diversi e non aprire P. IVA. Attenzione: <€5.000 è anche il limite oltre cui nell’autonomo occasionale scatta l’obbligo contributivo INPS (gestione separata) a carico del committente. Nel caso di piattaforme estere non c’è un committente italiano che paga contributi, quindi quel meccanismo salta. In generale, per pochi spiccioli l’apertura P. IVA può non valere la pena, ma bisogna essere consapevoli che l’Agenzia potrebbe comunque considerare l’attività abituale se protratta ogni anno. Una guida di massima: se fai streaming regolarmente (es. tot ore al mese) e prevedi incassi non puramente simbolici, è prudente aprire P. IVA. Se invece fai due live l’anno per hobby e ti arrivano 100 €, dichiari quelli come “redditi diversi” e stop.

D: Cos’ho da perdere se decido di non dichiarare nulla e incassare in nero finché non mi scoprono?
R: Molto. Come visto, quando ti scoprono (oggi o fra qualche anno), dovrai pagare tutte le imposte evase + interessi + sanzioni elevatissime (dal 120% al 240% dell’imposta evasa per omessa dichiarazione). Inoltre, superate certe soglie, rischi processi penali per evasione con possibili condanne e precedenti penali. Il Fisco ha affinato i controlli e, se hai costruito un profilo pubblico con migliaia di follower e guadagni, prima o poi incrocerà i dati. È decisamente preferibile mettersi in regola spontaneamente (magari usufruendo del regime forfettario al 15%) piuttosto che attendere l’accertamento. Tieni anche presente che l’Agenzia può controllare fino a 5-7 anni indietro: più aspetti, più anni evasi cumuli e più grossa sarà la batosta.

D: Ricevo i pagamenti sul conto PayPal o su conti esteri: il Fisco italiano lo verrà a sapere?
R: Sì, molto probabilmente. L’Italia partecipa allo scambio internazionale automatico di informazioni finanziarie (CRS, Common Reporting Standard) e ha accordi specifici (FATCA con USA). Banche estere, istituti finanziari e provider di pagamento (come PayPal) segnalano annualmente alle autorità fiscali i saldi e i movimenti dei conti intestati a soggetti italiani. Queste informazioni arrivano all’Agenzia delle Entrate, che le confronta con le dichiarazioni. Già oggi chi ha conti svizzeri o di San Marino si è visto recapitare lettere di compliance. Inoltre, in sede di verifica su singoli contribuenti, la Guardia di Finanza può ottenere autorizzazione per controllare anche conti esteri. Quindi non fare affidamento sul segreto bancario estero: nell’era digitale è quasi scomparso. È meglio dichiarare i conti esteri (quadro RW, se dovuto) e i relativi redditi, piuttosto che confidare che PayPal o simili non parlino: parlano.

D: Ho già pagato delle tasse all’estero sui miei compensi (es. ritenute USA su Twitch). Devo pagare di nuovo in Italia sullo stesso reddito?
R: Devi comunque dichiarare il reddito in Italia, ma potrai usufruire di un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, evitando la doppia tassazione. In pratica pagherai la differenza se la tassa italiana è più alta. Ad esempio, se su $1.000 di compensi USA ti hanno trattenuto $300 (30%) e in Italia su quei €1.000 dovresti pagare chessò €250 di IRPEF, avrai diritto a detrarre l’equivalente di $300 (che sono ~€270) dal tuo debito IRPEF: quindi in Italia non pagherai nulla (anzi avresti pagato più negli USA, ma non c’è rimborso eccedente). L’importante è documentare la ritenuta estera (certificato, modulo 1042-S di Twitch, ecc.) e compilare l’apposito quadro del modello Redditi (quadro CE). Se non lo hai fatto perché non hai proprio dichiarato, in sede di accertamento dovrai presentare quei documenti. L’Agenzia tende a calcolare l’imposta italiana lorda e aggiungere sanzioni; spetta a te far valere il credito estero per abbattere la parte di imposta duplicata.

D: Posso giustificare i depositi sul mio conto come “donazioni” da parte di fan? Le donazioni tra privati non sono esenti?
R: Le donazioni tra persone fisiche non sono reddito per chi le riceve, ma questa giustificazione regge solo se si tratta di vere liberalità occasionali, scollegate da una prestazione. Nel contesto dello streaming, se i fan ti donano denaro mentre tu stai intrattenendo, l’Agenzia lo considera corrispettivo sia pure spontaneo per la tua attività. Di donativo “puro” c’è poco, perché c’è un rapporto causa (lo show) – effetto (la tip) abbastanza diretto. Per capirci: se un parente ti regala 5.000 € sul conto, puoi dire che è una donazione e non è reddito tassabile (semmai sarebbe soggetta all’imposta di donazione oltre certe soglie). Ma se 100 sconosciuti ti “regalano” 50 € ciascuno dopo che hai fatto una maratona streaming, è difficile sostenere che non siano redditi da lavoro. In teoria si potrebbe fare leva sul concetto di streaming gratuiti con offerte volontarie, ma non risulta alcuna prassi o sentenza che esenti queste somme. Quindi prudenza: meglio considerarli redditi. Al limite, in difesa potresti ottenere che vengano trattati come redditi diversi (se tu non eri imprenditore), ma sempre tassabili IRPEF. Esenti del tutto è improbabile.

D: Se apro la P.IVA adesso e inizio a dichiarare dal 2025, risolvo i problemi per gli anni passati?
R: Aprire adesso è un’ottima cosa per il futuro, ma non sana il pregresso. Per gli anni passati in cui non hai dichiarato, rimani esposto ad accertamento per i termini di legge (5 o 7 anni). Per sanare il passato dovresti fare un ravvedimento operoso, cioè presentare dichiarazioni tardive per quegli anni e pagare spontaneamente imposte + piccole sanzioni ridotte. Il ravvedimento oltre l’anno ti riduce la sanzione a 1/7 o 1/6 del minimo, quindi conveniente rispetto al 120%-150% che pagheresti se scoperto. Tuttavia, ravvedersi dopo che hai già ricevuto qualche contestazione o sei stato messo a verifica potrebbe non essere ammesso (il ravvedimento è precluso se sono iniziati accessi o notifiche per quell’anno). Quindi la strategia ideale sarebbe: subito, senza attendere l’avviso, far emergere i redditi passati con dichiarazioni integrative e ravvedimento. Pagheresti comunque le imposte dovute ma con sanzione minima (nel caso di omessa dichiarazione, 120% ridotto a 1/6 = 20% circa dell’imposta per ciascun anno, se ravvedi prima di accertamento). Bisogna fare bene i conti e valutare se hai liquidità per farlo. Se hai già un avviso, il ravvedimento non è più applicabile per quell’anno – devi usare gli strumenti difensivi descritti.

D: Ho ricevuto un avviso molto alto e non ho i soldi per pagare nemmeno una parte. Cosa posso fare per non subire pignoramenti immediati?
R: In ordine di urgenza: 1) presenta un’istanza di accertamento con adesione entro 60 gg, così blocchi tutto per 90 giorni e guadagni tempo. 2) usa quel tempo per cercare un accordo con l’ufficio per ridurre importi (come spiegato) e magari ottenere una rateazione lunga. 3) Se devi per forza ricorrere, contestualmente deposita istanza cautelare chiedendo la sospensione dell’atto al giudice, dimostrando che pagarne anche solo un terzo ti manderebbe all’aria (documenta la tua situazione economica). 4) In parallelo, valuta con un professionista di rivolgerti all’Agente della Riscossione per un piano di rateazione del debito provvisorio (se arriva cartella sul 1/3, puoi chiedere fino a 72 rate). L’importante è non restare paralizzato: se non fai niente, dopo 60 giorni l’Agenzia può iscrivere ipoteca sulla casa o bloccare il conto per garantirsi il credito (anche se in parte). Comunicare con l’ufficio e far vedere che vuoi risolvere può portare anche a evitare misure aggressive (possono astenersi dal fare provvedimenti cautelari se vedono buona fede). Nei casi estremi, c’è la legge sul sovraindebitamento per chi proprio non può pagare, ma è una via complessa. Di solito per debiti fiscali alti l’accordo dilatorio (pagare a rate in 5-6 anni) è la soluzione.

D: È vero che ora i giudici tributari sono più indipendenti e c’è parità di armi col Fisco?
R: Sì, con la riforma della giustizia tributaria (L. 130/2022) sono stati introdotti giudici tributari professionali a tempo pieno, possibilità di prova testimoniale scritta, e il principio del “più probabile che non” per decidere (non più il favor fiscale predefinito). Questo significa che se hai buone prove a tuo favore, hai concrete possibilità di vittoria. Ad esempio, se tu dimostri con estratti conto e contratti esattamente quanto hai guadagnato (diverso dal calcolo presuntivo del Fisco) e il giudice lo ritiene più credibile, puoi spuntarla. Prima i giudici spesso erano accusati di essere troppo allineati col fisco; ora dovrebbero essere terzi. Inoltre, se vinci, hai diritto al rimborso delle spese legali (che il Fisco dovrà pagarti, salvo casi di soccombenza reciproca). Quindi fare ricorso quando si ha ragione diventa meno svantaggioso. Detto ciò, il consiglio è sempre: tenta prima la via dell’accordo (meno costosa e più rapida); se non va, vai in giudizio ben preparato.

D: In che modo casi famosi come quello di CiccioGamer o Pow3r possono aiutare la mia difesa?
R: Non direttamente – ogni caso è a sé e il fatto che CiccioGamer sia stato “perdonato” dipende dalle sue carte. Però possiamo trarre spunti: CiccioGamer ha dimostrato di aver agito secondo le regole e non è stato multato, il che fa pensare che avesse forse già una Partita IVA o regime adeguato, e inizialmente c’è stato solo un misunderstanding. Questo insegna che fornire subito tutte le prove e spiegazioni al Fisco può risolvere. Nel caso di Pow3r & co., sembra che contestino importi enormi anche perché alcuni di loro avevano società all’estero o non erano più residenti. Quindi se, ad esempio, tu nel periodo contestato eri residente estero (in buona fede), puoi citare la tua situazione come analoga e far valere la non debenza per difetto di residenza. Insomma, conosciamo l’orientamento: la GdF considera evasori questi influencer, ma diversi di loro si difenderanno sostenendo di aver pagato altrove o di non dover pagare qui. Seguire l’evoluzione di quelle indagini (esito, eventuali archiviazioni) potrebbe fornire argomenti giuridici. Ad esempio, se dovesse emergere da quelle che sponsorizzazioni e introiti OnlyFans vanno inquadrati come redditi di lavoro autonomo, sarà un precedente utile. Un difensore può allegare articoli di stampa sulle dichiarazioni pubbliche di quei vip (“l’Agenzia ha sbagliato i calcoli, in realtà era meno, ecc.”) come suggestione di approccio bonario.

D: Che normative devo conoscere se voglio capire le basi legali della mia difesa?
R: Ti elenco le principali:

  • TUIR (DPR 917/1986): art. 2 (residenza fiscale), art. 3 (worldwide taxation), art. 53 (redditi lavoro autonomo), art. 55 (redditi d’impresa), art. 67 (redditi diversi).
  • DPR 633/1972 (IVA): art. 1 (presupposto IVA: attività d’impresa o lav. autonomo abituale), art. 5 (soggetto passivo chi esercita impresa), art. 7-ter (territorialità servizi B2B e B2C).
  • Statuto del Contribuente (L. 212/2000): art. 12 (diritti durante le verifiche, 60 gg per controdedurre PVC).
  • D.Lgs. 471/1997 (sanzioni tributarie): art. 1 (dichiarazione infedele: sanz. 90-180%), art. 5 (omessa dichiarazione: sanz. 120-240%), art. 6 (omesso versamento IVA).
  • D.Lgs. 74/2000 (reati fiscali): art. 4 (dichiarazione infedele: soglia 100k), art. 5 (omessa dich.: soglia 50k), art. 13 (causa non punibilità con integrale pagamento).
  • D.Lgs. 218/1997: disciplina adesione e acquiescenza (sconti sanzioni 1/3).
  • D.Lgs. 546/1992: processo tributario (termini ricorso 60 gg, conciliazione 48, ecc.). E le modifiche di L.130/2022 per la riforma.
  • Circolari e interpelli: ad es. Circ. AE 19/E/2002 (ravvedimento su omessa dichiarazione), Ris. AE su influencer (ce n’è una del 2018 su web influencer mi pare, andrebbe cercata).

Conoscere queste norme ti aiuta a capire su cosa si basa l’ufficio e su cosa appoggiare la difesa (per questo è cruciale farsi assistere da un professionista aggiornato).

D: Dopo aver sistemato tutto, come posso evitare problemi in futuro?
R: Prevenzione fiscale:

  • Apri la Partita IVA se continui l’attività; scegli il regime forfettario se rientri, altrimenti gestisciti con un commercialista per l’ordinario.
  • Dichiara ogni anno tutti i tuoi ricavi, anche quelli esteri, e compila il quadro RW se hai soldi su piattaforme estere a fine anno sopra soglia.
  • Conserva la documentazione di ogni entrata (report mensili di Twitch/YouTube, contratti con sponsor, screenshot se serve) e di ogni uscita (spese) in modo da poter esibire tutto in caso di controlli.
  • Se hai dubbi sulla tassazione di qualcosa di nuovo (es. NFT, criptovalute donate, ecc.), valuta di presentare un interpello all’Agenzia per avere risposta ufficiale.
  • Tieniti aggiornato: la fiscalità evolve e potrebbero uscire normative specifiche per content creator (es. l’idea di inquadrarli come “agenti di commercio digitali” o cose simili è stata discussa, così come obblighi su pubblicità occulta – che non sono fiscali ma di regolazione).
  • Infine, se un anno dovessi percepire cifre enormi tali da valutare di trasferirti all’estero, fallo in modo legale e trasparente: prendi residenza fuori, iscriviti AIRE, chiudi posizioni in Italia. Così dal momento che sei non residente puoi aderire a regimi fiscali esteri. Ma attenzione: se resti cittadino italiano con interessi qui, il Fisco tende a controllare (vedi casi Vip vari).

In breve, gioca d’anticipo sul Fisco: è la strada meno costosa alla fine.


Tabelle riepilogative finali

Per consolidare i punti principali, ecco alcune tabelle riepilogative.

Tabella 1 – Inquadramento fiscale dei redditi da streamer/gamer

QualificazioneQuando si applicaTrattamento fiscaleEsempi pratici
Lavoro autonomo abituale (art. 53 TUIR)– Attività intellettuale o artistica svolta abitualmente, principalmente personalistica.– Non organizzata in forma d’impresa (niente struttura aziendale significativa).– Richiede P.IVA individuale.– Reddito tassato come lavoro autonomo: ricavi – costi = imponibile IRPEF.– Possibile regime forfettario (15% imposta) se requisiti.– IVA: operazioni rilevanti IVA, ma molte prestazioni verso estero non imponibili.– INPS: Gestione Separata (26%).Youtuber singolo che offre servizi di intrattenimento online, senza dipendenti né vendita di beni, guadagni da sponsor e AdSense.
Impresa individuale (art. 55 TUIR)– Attività esercitata con organizzazione di mezzi e scopo commerciale (es. vendita pubblicità, merchandising, team di collaboratori).– Oppure attività non rientrante tra arti e professioni (promozione pubblicitaria spesso vista come commerciale).– Richiede P.IVA individuale.– Reddito d’impresa: tassato IRPEF su utile contabile.– Può rientrare in forfettario (15%) se piccolo.– IVA: tutte le cessioni di beni e servizi imponibili, salvo export.– INPS: Gestione Commercianti (aliquota ~24%, contributo fisso), riducibile se forfettario.Streamer che gestisce un canale come business: assume un editor, vende abbonamenti a un suo sito, merchandising, accordi commerciali come un’agenzia.
Lavoro dipendente (art. 49 TUIR)– Caso raro: quando lo streamer opera sotto contratto di lavoro subordinato per una società (es. una webTV lo assume come dipendente).– Oppure prestazione resa in rapporto assimilabile a dipendenza (ma in genere influencer no).– Reddito da lavoro dipendente, tassato in busta paga con ritenute IRPEF.– IVA: non si applica (il dipendente non fattura).– INPS: gestioni previdenziali da dipendente (es. commercio/spettacolo).Uno streamer assunto a tempo pieno da un’azienda di esports per streammare sul loro canale, stipendio fisso + bonus.
Reddito diverso occasionale (art. 67 c.1 lett. l TUIR)– Attività svolta in modo saltuario, episodico, senza professionalità né mezzi predisposti.– Ricavi entro limiti modesti, prestazioni non ripetute periodicamente.– Reddito tassato in dichiarazione tra “redditi diversi”, senza P.IVA.– Deduzione forfettaria 5% (in assenza di diverse previsioni).– IVA: non dovuta (fuori campo per mancanza presupposto soggettivo).– INPS: se >€5.000, committente avrebbe obbligo contributivo gestione separata su eccedenza (ma con piattaforme estere non attuato).Un gamer che una tantum fa 2-3 live sponsorizzate e incassa 2.000 € complessivi in un anno, poi smette. Oppure un ragazzo che vince un torneo e monetizza il video ma non continua l’attività.

Tabella 2 – Sanzioni amministrative e penali rilevanti

ViolazioneSanzione amministrativaSoglia penalità e reatoNote
Omessa dichiarazione (redditi o IVA)120% – 240% imposta dovuta, min €250 (se imposta dovuta).Se nessuna imposta dovuta: €250 – €1.000 fisso.Riducibile a 60%–120% se si presenta dichiarazione entro anno successivo (ravvedimento entro tale termine).Art.5 D.Lgs.74/2000: Reato se imposta evasa > €50.000.Pena 2 – 5 anni reclusione.(No soglia di ricavi prevista, conta imposta)– Omessa dichiarazione IRPEF comprende anche mancata dichiarazione redditi esteri.– Omessa dichiarazione annuale IVA analoga soglia €50k.
Dichiarazione infedele (dati incompleti/errati)90% – 180% della maggiore imposta o minor credito. Minimo €250 se nessuna imposta dovuta.Sanzione aumentata di 1/3 se riguardante redditi esteri omessi.Art.4 D.Lgs.74/2000: Reato se imposta evasa > €100.000 e supera 10% del dichiarato, oppure elementi non dichiarati > €2.000.000.Pena 2 – 4 anni e 6 mesi reclusione.– Non si applica se errore ≤10% imposta.– Esempio: dichiarato €0, doveva €30k, evasi €30k -> reato omessa, non infedele (perché zero dich. = omessa).– Spesso contestano omessa se proprio nessuna dichiarazione; infedele se presentata ma mancano pezzi.
Omesso versamento IVA (dichiarata ma non pagata)30% dell’IVA non versata (violazione liquidazione), ma se entro annuale diventa dichiarazione infedele. In accertamento, se non c’è dichiarazione proprio, applicano sanz. omessa dichiarazione + quella generale omesso versamento su importi dichiarati tardivamente.Art.10-ter D.Lgs.74/2000: Reato se IVA dovuta e non versata > €250.000 annui.Pena 6 mesi – 2 anni reclusione.– Nel caso streamer, di solito non presentando dichiarazione IVA ricade tutto in omessa dichiarazione. Se invece aveva dichiarato IVA ma non l’ha pagata, e >250k, scatta questo reato.
Omessa fatturazione/registrazione operazioni (chi non ha emesso fatture per ricavi)90% – 180% dell’IVA relativa all’operazione non fatturata (se determinabile) o del corrispettivo non registrato. Minimo €500 per ciascuna operazione.(Rilevante ai fini penali più che altro come prova di frode se accompagnato da altri artifizi, altrimenti sanzione amministrativa).– Esempio: streaming sponsorizzato non fatturato per €10.000 + IVA: sanzione 90% di €2.200 = €1.980. Spesso però queste confluiscono nelle sanzioni su dichiarazione.
Violazioni quadro RW (monitoraggio estero)3% – 15% degli importi non dichiarati (saldo o valore attività estera); raddoppiato 6% – 30% se Paese black-list.Non penale (sanzione amministrativa finanziaria).– Esempio: saldo PayPal estero €20k non dichiarato: sanzione tra €600 e €3.000. Ravvedibile ridotto a 0,5% annuo circa se fai integrativa.

Tabella 3 – Cronologia tipica di un accertamento e difese

FaseTempisticaCosa accadeDifese/azioni del contribuente
Verifica/GdF (eventuale)Anno X+1…X+5– Guardia di Finanza svolge controlli, accertamenti incrociati su conti, piattaforme.– Al termine rilascia PVC (Processo Verbale di Constatazione).– Durante la verifica: collaborare, fornire documenti, farsi assistere da professionista.– Dopo PVC: contribuente ha 60 giorni per presentare memorie difensive all’Agenzia (art.12 L.212/2000).
Avvio accertamento AdE (senza GdF)Anno X+1…X+4– Agenzia può inviare questionario o invito a comparire.– Oppure lettere di compliance (invito bonario a ravvedersi su anomalie).– Rispondere al questionario spiegando redditi e allegando prove.– Se lettera compliance: fare ravvedimento operoso (riduce sanzioni a 1/6 o 1/5).
Notifica Avviso AccertamentoFino al 31/12 X+5 (dich. infedele) o X+7 (omessa) normalmente– Recapito via PEC o raccomandata dell’atto, con dettagli delle maggiori imposte e sanzioni.– Segnare data notifica (da cui decorrono 60 gg).– Analizzare atto, errori, motivi.– Valutare opzione adesione o acquiescenza.
Accertamento con adesione (opzionale)Entro 60 gg da notifica istanza; sospensione 90 gg– Si invia istanza, l’ufficio convoca.– Discussione e eventuale accordo con firma atto adesione.– Preparare dossier difensivo (documenti, calcoli).– Negoziare riduzione imponibili e sanzioni.– Se accordo: firmare e pagare 1° rata entro 20 gg.– Se no accordo: riprende iter; resta 60 – giorni già trascorsi.
Pagamento in acquiescenzaEntro 60 gg da notifica (se niente adesione)– Contribuente versa importi dovuti con sanzioni ridotte (1/3 del minimo).– Effettuare pagamento totale o prima rata entro 60 gg.– Comunicare all’AdE l’avvenuta definizione. (Dopo, fine procedura)
Ricorso in Commissione (CGT)Entro 60 gg (se adesione saltata, dalla fine sospensione)– Deposito ricorso presso CGT competente.– Agenzia si costituisce con controdeduzioni. Udienza, sentenza.– Presentare ricorso con motivi e prove.– Richiedere eventualmente sospensiva (per evitare esecuzione 1/3).– Partecipare udienza, possibilità di conciliare prima della decisione (sanz. 40% minimo).
Esito e oltre6 mesi – 2 anni (primo grado)– Sentenza: accoglie, respinge o parziale.– Parti possono appellare entro 60 gg dalla notifica sentenza.– Se vittoria: chiedere rimborso somme eventualmente già versate in eccesso e spese.– Se sconfitta: valutare appello (CGT secondo grado) entro 60 gg o conciliazione in appello (sanz. 50%).– Attenzione a pagamento 2/3 dopo sentenza I grado se si vuole appellare (serve pagare per evitare esecuzione forzata di 2/3).

Conclusione

Difendersi da un avviso di accertamento richiede tempestività, competenza tecnica e una buona dose di sangue freddo. Il settore dei gamer e streamer è relativamente nuovo per il fisco italiano, ma non per questo privo di regole: come abbiamo visto, si applicano le norme generali tributarie adattandole alle specificità digitali. Chi opera in questo campo deve prendere coscienza di essere, a tutti gli effetti, un soggetto d’imposta come qualsiasi altro professionista o imprenditore.

Dal punto di vista del debitore che riceve l’accertamento, è essenziale:

  • Analizzare a fondo le contestazioni, magari con l’aiuto di un esperto tributario, per individuare errori o spazi di manovra.
  • Interagire con l’Amministrazione cercando, se possibile, un accordo (adesione) che limiti l’esborso e chiuda in fretta la pendenza – ricordando che l’ufficio stesso ha interesse a riscuotere in tempi rapidi invece di avviare un lungo contenzioso.
  • Se l’accordo non è praticabile, esercitare i propri diritti in giudizio, portando tutte le prove e argomenti che possano convincere i giudici della propria posizione (o almeno ottenere una forte riduzione delle sanzioni in sede di conciliazione).
  • Nel frattempo, mettersi in regola per il futuro: spesso un accertamento su anni passati porta l’ufficio, implicitamente, a tenere d’occhio anche gli anni successivi. Quindi aprire la P.IVA, iniziare a dichiarare correttamente i nuovi redditi, è sia un obbligo sia una carta a proprio favore (mostra ravvedimento operoso per il domani, il che può influire positivamente sul trattamento).

Ricordiamo che in materia tributaria esiste il principio del favor rei: se durante il procedimento (anche giudiziale) entrano in vigore norme più favorevoli (ad esempio una riduzione di sanzioni per legge, o una definizione agevolata speciale), il contribuente ne beneficia. Dunque conviene seguire anche eventuali evoluzioni normative. Ad esempio, il Governo sta attuando la Delega Fiscale 2023, che potrebbe introdurre un concordato preventivo biennale per le partite IVA (tassazione concordata dei due anni futuri in cambio di chiusura del pregresso): chissà che qualche opportunità non arrivi.

In conclusione, “come difendersi” efficacemente significa conoscere le proprie responsabilità ma anche i propri diritti. Il Fisco può sembrare un boss di fine livello invincibile, ma in realtà le leggi fissano regole del gioco che anche l’Agenzia deve rispettare. Con la giusta strategia (un mix di collaborazione e fermezza nel far valere le proprie ragioni) è possibile ridurre l’impatto di un accertamento e tornare in game più forti di prima, con l’esperienza per non commettere più gli stessi errori.


Fonti e riferimenti normativi

  • D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), artt. 2 (residenza fiscale), 3 (tassazione mondiale), 53 (redditi di lavoro autonomo), 55 (redditi d’impresa), 67 e 71 (redditi diversi).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – Istituzione e disciplina dell’IVA, in particolare art. 5 (soggetto passivo IVA), 7-ter (territorialità servizi internazionali).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 – Sanzioni tributarie non penali: art. 1 (dichiarazione infedele, 90-180%), art. 5 (omessa dichiarazione, 120-240%), art. 6 (omessa fatturazione IVA, 90-180%).
  • D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – Reati tributari: art. 4 (dichiarazione infedele, soglia €100k), art. 5 (omessa dichiarazione, soglia €50k), art. 10-ter (omesso versamento IVA, soglia €250k), art. 13 (causa di non punibilità per pagamento integrale).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 – Statuto dei diritti del contribuente: art. 12 (garanzie in caso di verifiche fiscali: termine 60 gg PVC).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 – Accertamento con adesione e conciliazione: art. 2-7 (procedura adesione, sospensione termini 90 gg), art. 3 (riduzione sanzioni 1/3), art. 15 (acquiescenza, sanzioni 1/3).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – Processo tributario (come modif. da L.130/2022): termini ricorso 60 gg, strumenti deflativi in giudizio (conciliazione con sanzioni 40% in primo grado).
  • L. 130/2022 – Riforma giustizia tributaria (giudici professionali, prova testimoniale scritta, principio “oltre ogni ragionevole dubbio” sostituito da “probabile”).
  • Circolare AE 54/E del 19/06/2002 – Chiarimenti su ravvedimento per dichiarazione omessa e integrativa.
  • Risoluzione AE n. 360/E del 2007 – (Indicazioni sulla qualificazione redditi da diritto d’immagine, assimilabili a lavoro autonomo accessorio).
  • Interpello AE n. 416/2023 – (Giocatori professionisti e occasionalità: resa noto in ).
  • Giurisprudenza di Cassazione: es. Cass. 15021/2020 e precedenti citati sul concetto che anche un singolo affare può costituire impresa se inserito in attività; Cass. 27113/2022 su definizioni impresa commerciale (non coincide con nozione civilistica); Cass. 1593/2021 sul singolo affare organizzato.
  • Sentenza CGT II grado Piemonte n. 219/2/2023 – Caso “Ronaldo” su diritti d’immagine: redditi da sfruttamento immagine qualificati come redditi italiani non coperti da flat tax estera; pronuncia che cita espressamente influencer.

Avviso di Accertamento a Gamer e Streamer: Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per attività svolte online come gamer o streamer? Ti contestano redditi non dichiarati derivanti da Twitch, YouTube, donazioni, sponsorizzazioni o piattaforme di gaming?

Negli ultimi anni il Fisco ha intensificato i controlli sui creatori di contenuti digitali, anche grazie ai tracciamenti automatici dei movimenti bancari e delle entrate generate online. Ma non sempre gli accertamenti sono corretti: puoi difenderti e chiarire la tua posizione fiscale.

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  • 📂 Analizza l’avviso di accertamento e i dati reddituali contestati (donazioni, iscrizioni, pubblicità, affiliazioni, ecc.)
  • 📌 Verifica la correttezza delle contestazioni, la qualificazione fiscale dei redditi e la tua eventuale posizione IVA
  • ✍️ Redige memorie difensive, istanze di autotutela o ricorsi per annullare o ridurre l’accertamento
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contenzioso con l’Agenzia delle Entrate davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
  • 🔁 Ti assiste nella regolarizzazione spontanea o nell’accesso a regimi fiscali agevolati, se ne hai diritto

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e fiscalità dell’economia digitale
  • ✔️ Specializzato nella difesa di streamer, gamer, influencer e content creator contro accertamenti fiscali
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Se sei un gamer o uno streamer e hai ricevuto un avviso di accertamento, non sottovalutare la situazione. Anche se lavori online, hai diritti fiscali precisi e puoi difenderti da contestazioni e sanzioni.

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