Hai ricevuto una lettera di compliance per differenze tra incassi tramite POS e corrispettivi telematici?
L’Agenzia delle Entrate ti contesta che gli importi incassati con carte di credito o bancomat risultano superiori rispetto ai corrispettivi giornalieri trasmessi? In questi casi è fondamentale capire la natura dell’anomalia, come vengono ricostruiti i dati e come difendersi correttamente per evitare accertamenti, sanzioni o iscrizioni a ruolo.
Quando arriva una lettera di compliance per incongruenze tra POS e corrispettivi?
– Quando gli incassi registrati tramite POS superano i corrispettivi dichiarati nel registratore telematico
– Quando ci sono differenze rilevanti e ripetute tra i flussi bancari e i dati trasmessi giornalmente
– Quando il contribuente non ha correttamente associato i pagamenti elettronici ai corrispettivi fiscali
– Quando l’Agenzia incrocia i dati dei provider POS (es. Nexi, SumUp, banche) con le dichiarazioni trasmesse
– Quando vi sono movimentazioni POS senza alcuna corrispondente emissione fiscale
Cosa contiene la lettera di compliance?
– L’elenco delle giornate con incongruenze tra POS e corrispettivi telematici
– Il dettaglio degli importi incassati con strumenti elettronici rispetto ai corrispettivi dichiarati
– L’indicazione delle possibili violazioni rilevate: omessa memorizzazione, omessa trasmissione, mancata emissione dello scontrino
– L’invito a verificare e regolarizzare, anche tramite dichiarazione integrativa e ravvedimento operoso
– L’avvertimento che, in caso di mancata risposta, potrà essere avviato un accertamento formale
Come puoi difenderti da una lettera di compliance per incongruenze POS/corrispettivi?
– Verifica se le operazioni contestate sono state effettivamente registrate in ritardo o in giornate differenti
– Controlla se gli incassi POS si riferiscono a acconti, caparre, rimborsi o operazioni non imponibili
– Verifica se ci sono doppie contabilizzazioni o importi transitori (es. preautorizzazioni, storni)
– Se l’errore è formale, valuta di correggere la dichiarazione con ravvedimento operoso
– Prepara una risposta documentata, allegando estratti POS, Z giornalieri e giustificativi
– Se i dati sono errati o le presunzioni infondate, richiedi l’archiviazione della segnalazione
Cosa puoi ottenere con una risposta tecnica e tempestiva?
– L’archiviazione della comunicazione, se le differenze sono solo apparenti o giustificate
– La correzione con sanzioni ridotte, se regolarizzi prima dell’avvio dell’accertamento
– La tutela della tua posizione fiscale, evitando contestazioni per omessa emissione o evasione
– L’esclusione da controlli più approfonditi, se collabori in modo proattivo
– La chiusura della pratica con minimo impatto economico e reputazionale
Attenzione: sempre più controlli si basano sul confronto automatizzato tra flussi POS e corrispettivi telematici. Anche se si tratta di differenze formali o contabili, una risposta errata o mancata può far partire un accertamento con sanzioni fino al 100% dell’imposta non dichiarata.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in compliance fiscale, accertamenti automatizzati e difesa tributaria ti spiega come affrontare una segnalazione per incongruenze tra incassi POS e corrispettivi, quando correggere, quando opporsi e come tutelare la tua attività.
Hai ricevuto una lettera per difformità tra incassi elettronici e corrispettivi trasmessi?
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Introduzione
Nell’ambito della lotta all’evasione fiscale, il Fisco italiano ha introdotto sistemi telematici di controllo incrociato tra i pagamenti elettronici incassati dagli esercenti (tramite POS, carte di credito/debito) e i corrispettivi telematici o le fatture elettroniche da essi dichiarati. In pratica, ogni commerciante o professionista che accetta pagamenti con carta deve trasmettere telematicamente all’Agenzia delle Entrate gli scontrini fiscali (documenti commerciali) relativi alle vendite, oppure emettere fattura elettronica; l’Agenzia, a sua volta, riceve dalle banche e dai circuiti di pagamento l’ammontare delle transazioni effettuate via POS. Quando l’ammontare mensile dei pagamenti elettronici risulta superiore al totale delle operazioni certificate tramite scontrini e fatture, scatta un’anomalia. A partire dal 2023, tali anomalie vengono segnalate ai contribuenti mediante lettere di compliance, ovvero comunicazioni preventive che invitano a verificare e correggere eventuali irregolarità prima che scattino accertamenti formali.
Aggiornata a luglio 2025, questa guida offre un’analisi avanzata – ma dal taglio pratico e divulgativo – di come affrontare tali comunicazioni e più in generale la mancata corrispondenza tra incassi POS e corrispettivi dichiarati. Esamineremo il contesto normativo italiano, i profili sanzionatori (amministrativi e penali), le possibili cause dei disallineamenti e le strategie difensive a disposizione di imprenditori, commercianti, artigiani e professionisti. Il tutto arricchito da sentenze aggiornate, riferimenti a provvedimenti ufficiali, tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni. L’obiettivo è fornire una panoramica completa dal punto di vista del contribuente (debitore) che si trova a dover giustificare o sanare queste discrepanze, così da poter reagire consapevolmente e tutelare al meglio i propri diritti.
Quadro normativo e obblighi di tracciabilità fiscale
Negli ultimi anni, la legislazione italiana ha introdotto numerosi obblighi volti a tracciare digitalmente le transazioni e contrastare il sommerso. Di seguito richiameremo brevemente le norme chiave che fanno da sfondo al tema in esame:
- Corrispettivi telematici: dal 1° gennaio 2020 vige per la generalità degli esercenti al dettaglio l’obbligo di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri (scontrini) in luogo della vecchia ricevuta cartacea, come previsto dal D.Lgs. 127/2015, art. 2. Questo impone l’uso di registratori di cassa telematici che inviano i dati delle vendite quotidiane all’Agenzia delle Entrate. La norma mira a far emergere in tempo reale i ricavi, impedendone l’occultamento “a monte”.
- Fatturazione elettronica: già obbligatoria dal 2019 tra soggetti IVA residenti (art. 1 D.Lgs. 127/2015) e verso le Pubbliche Amministrazioni, l’e-fattura è stata estesa gradualmente anche a professionisti e piccoli operatori. Dal 1° luglio 2022 l’obbligo ha incluso i forfettari con ricavi oltre €25.000, e dal 1° gennaio 2024 tutte le partite IVA (salvo rare eccezioni) devono emettere fatture solo in formato elettronico tramite Sistema di Interscambio. Ciò significa che anche i compensi dei professionisti e le vendite degli artigiani sono sempre più tracciati nei database fiscali. Fino al 2023 i più “piccoli” forfettari (ricavi < €25.000) potevano ancora emettere fatture cartacee, creando un potenziale “buco” informativo; ma dal 2024 questo varco è stato chiuso.
- Obbligo di accettare pagamenti elettronici (POS): dal 30 giugno 2022 sono scattate sanzioni per commercianti e professionisti che rifiutano pagamenti con carta senza giustificato motivo tecnico. La sanzione amministrativa prevista è di €30, aumentata del 4% del valore della transazione rifiutata. Pur non riguardando direttamente la corrispondenza tra incassi e corrispettivi, questa norma (art. 15, c.4-bis DL 179/2012 come mod. dal DL 36/2022) ha incentivato l’uso delle carte, producendo un maggior volume di dati tracciati. In parallelo, lo Stato ha introdotto incentivi e crediti d’imposta sulle commissioni POS per favorire la diffusione della moneta elettronica.
- Trasmissione dei dati POS all’Anagrafe Tributaria: il tassello fondamentale per il nostro tema è l’art. 22, comma 5, del DL 124/2019. Questa disposizione impone agli operatori finanziari (banche, società di gestione dei pagamenti elettronici) di trasmettere telematicamente all’Agenzia delle Entrate i dati identificativi dei terminali POS installati presso ciascun esercente, nonché l’importo complessivo giornaliero di tutte le transazioni effettuate per il suo tramite. In pratica, ogni giorno gli acquirer bancari comunicano per ciascuna partita IVA quanto è stato incassato tramite carte e bancomat. Tali flussi informativi, inizialmente pensati anche per altre finalità (ad es. alimentare la “lotteria degli scontrini” e monitorare il comportamento dei consumatori), costituiscono ora la base per il confronto con i corrispettivi dichiarati.
- Legge di Bilancio 2015 (L. 190/2014): ha introdotto il principio di compliance fiscale preventiva. In particolare, il comma 636 dell’art.1 prevede che l’Agenzia delle Entrate, con provvedimenti ad hoc, metta a disposizione di contribuenti e Guardia di Finanza le informazioni derivanti dal confronto incrociato tra diversi dataset (in questo caso pagamenti elettronici vs. corrispettivi/fatture), al fine di segnalare anomalie e stimolare la regolarizzazione spontanea. Questo è il fondamento legislativo delle comunicazioni che analizzeremo.
In sintesi, a partire dal 2019-2020 il sistema fiscale italiano dispone di banche dati incrociate: da un lato i dati delle vendite dichiarate (via scontrini telematici e fatture elettroniche), dall’altro i dati dei pagamenti elettronici effettivamente incassati. Il mismatch tra questi due insiemi di informazioni fa scattare l’allarme. Di seguito vedremo come tale anomalia viene gestita in via amministrativa (compliance) e quali sono le conseguenze se non viene risolta.
La comunicazione di anomalie: lettera di compliance dell’Agenzia delle Entrate
Con Provvedimento del 3 ottobre 2023 (Prot. n. 352652/2023), l’Agenzia delle Entrate ha dato attuazione operativa al dettato normativo, predisponendo una specifica “comunicazione per la promozione dell’adempimento spontaneo” destinata ai titolari di partita IVA per i quali risultino differenze significative tra incassi da pagamenti elettronici e vendite dichiarate. Si tratta, in pratica, della lettera di compliance inviata in caso di presunta omessa certificazione di corrispettivi relativi a transazioni con carta.
Contenuto della comunicazione e dati forniti
La lettera di compliance (trasmessa al domicilio digitale del contribuente, di regola la PEC, e contestualmente resa disponibile nell’area riservata del portale Fatture e Corrispettivi) contiene una serie di informazioni utili a mettere a fuoco l’anomalia riscontrata. In particolare, vi sono indicati:
- Anagrafica e riferimenti: il codice fiscale e la denominazione dell’operatore, il periodo d’imposta oggetto di verifica, nonché un numero identificativo della comunicazione e un codice atto da utilizzare in caso di versamenti con modello F24 relativi all’anomalia.
- Descrizione dell’anomalia: la comunicazione spiega che è stata rilevata una discrepanza mensile tra l’ammontare dei pagamenti elettronici incassati e l’imponibile + IVA risultante dai corrispettivi/fatture dichiarati nello stesso periodo. Viene precisato che l’importo dei pagamenti elettronici considerato è al netto di eventuali storni (rimborsi) effettuati, così da non conteggiare i rimborsi doppio.
- Dettaglio dei dati: allegato alla lettera (o consultabile online) vi è l’elenco dei mesi dell’anno in cui si è verificata l’anomalia, con per ciascun mese indicazione sintetica della differenza tra incassi elettronici e vendite dichiarate. Inoltre, nell’area riservata è possibile visualizzare il dettaglio giornaliero: per ogni data sono riportati l’ammontare totale dei pagamenti elettronici ricevuti (netti di storni) e il corrispondente importo di corrispettivi/fatture trasmessi, evidenziando lo scostamento. Sono anche forniti il codice ABI o codice fiscale dell’operatore finanziario che ha trasmesso i dati dei pagamenti e gli identificativi dei terminali POS coinvolti. Queste informazioni di dettaglio aiutano il contribuente a comprendere se l’anomalia riguarda tutti i punti vendita o solo alcuni POS specifici, nonché a incrociare i dati con i propri registri interni.
- Istruzioni per regolarizzare o chiarire: la comunicazione indica esplicitamente le modalità per consultare i dati di dettaglio (come visto sopra) e fornisce istruzioni sulle opzioni a disposizione del contribuente. In particolare, sottolinea che è possibile: (a) richiedere informazioni o segnalare elementi e circostanze non conosciuti al Fisco (qualora si ritenga che i dati presentino errori o giustificazioni); (b) regolarizzare eventuali errori od omissioni attraverso il ravvedimento operoso, beneficiando della riduzione delle sanzioni.
In buona sostanza, siamo di fronte a un invito bonario al contraddittorio. L’Agenzia, prima di procedere con misure accertative più incisive, avvisa il contribuente dell’anomalia riscontrata “a tavolino” e gli offre l’opportunità sia di spiegare le ragioni di tale scostamento, sia di porvi rimedio spontaneamente. È un approccio coerente con la filosofia della compliance: collaborazione preventiva invece che repressione immediata. Va ricordato che comunicazioni analoghe vengono inviate anche per altre tipologie di anomalie (es. omessa presentazione di dichiarazioni, incoerenze negli indici ISA, ecc.), tutte basate sull’art. 1, c. 634-636 L. 190/2014, che incoraggia l’adempimento spontaneo.
Importante: la lettera di compliance non è un avviso di accertamento né un atto impositivo. Non determina, nell’immediato, né il pagamento di somme né l’irrogazione di sanzioni. Se però il contribuente ignora la comunicazione, l’anomalia segnalata potrà portare successivamente all’emissione di un avviso di accertamento vero e proprio, con recupero dell’imposta ritenuta evasa e applicazione di sanzioni piene. Pertanto, dal punto di vista del contribuente, è altamente consigliabile non trascurare questi avvisi, ma analizzarli e reagire nei tempi indicati.
Errori nelle prime comunicazioni e rettifiche dell’Agenzia (ottobre 2023)
Va segnalato che la prima ondata di lettere inviate nell’autunno 2023 ha evidenziato alcune criticità. In particolare, diversi contribuenti hanno ricevuto segnalazioni di anomalie inesistenti o sovrastimate, a causa di errori nella base dati dei pagamenti elettronici. Come ammesso dalla stessa Agenzia delle Entrate in un comunicato stampa dell’11 ottobre 2023, è emerso che alcuni operatori finanziari (banche/acquirer) tenuti per legge all’invio dei dati POS avevano commesso errori sulle informazioni trasmesse. Tali errori (ad esempio doppie o triple contabilizzazioni della medesima transazione PagoBancomat) hanno falsato il confronto, generando l’apparenza di incassi non dichiarati molto superiori al reale.
Non appena la problematica è stata individuata, l’Agenzia si è attivata con i gestori di pagamento per circoscrivere gli errori e ha annunciato che avrebbe annullato d’ufficio le lettere di compliance contenenti dati sbagliati, inviando ai contribuenti coinvolti una comunicazione di annullamento. In altri termini, il Fisco ha fatto marcia indietro sui casi clamorosamente errati, riconoscendo che le discrepanze segnalate dipendevano da duplicazioni nei dati bancari e non da omissioni del commerciante.
Questa vicenda evidenzia due aspetti: da un lato la complessità tecnica dell’incrocio di banche dati diverse (non sempre esenti da errori); dall’altro la necessità per il contribuente di verificare attentamente i dati segnalati nella lettera prima di procedere alla regolarizzazione. Se i numeri riportati paiono anomali (ad es. incassi elettronici doppi rispetto all’effettivo), è opportuno segnalare subito la cosa all’Agenzia o al proprio intermediario fiscale, evitando magari pagamenti non dovuti. Nel caso di ottobre 2023, molti intermediari (commercialisti, associazioni di categoria) hanno segnalato tempestivamente gli errori, contribuendo a far sì che l’Agenzia sospendesse in autotutela le comunicazioni infondate.
In pratica, come difendersi da possibili errori: qualora si riceva una lettera di compliance, è buona prassi accedere al portale Fatture e Corrispettivi e scaricare il dettaglio delle transazioni contestate. Se si individuano evidenti incongruenze (es. transazioni duplicate), conviene contattare l’Ufficio comunicando tali elementi. L’Agenzia può riesaminare la posizione ed eventualmente annullare o rettificare la comunicazione. Ricordiamo infatti che, in ottica collaborativa, il contribuente può sempre far presente elementi e circostanze a sua difesa anche dopo aver ricevuto l’avviso bonario. Nel caso in cui, invece, dall’analisi dettagliata emerga che l’anomalia segnalata è fondata, occorrerà passare alla fase di regolarizzazione, di cui parliamo oltre.
Possibili cause di disallineamento tra incassi POS e corrispettivi dichiarati
Dal punto di vista dell’esercente o professionista, è fondamentale comprendere perché i dati in suo possesso potrebbero risultare difformi rispetto a quelli incrociati dal Fisco. Elenchiamo di seguito le cause più comuni di disallineamento (alcune del tutto legittime, altre frutto di errori o omissioni), insieme alle relative implicazioni difensive:
- Differenze di timing (competenza temporale): può accadere che il pagamento elettronico avvenga in un certo mese ma il corrispettivo venga contabilizzato nel mese successivo. Ad esempio, se una transazione POS avviene a fine mese (es. il 31 dicembre) ma la trasmissione telematica dello scontrino (o l’emissione della fattura) avviene il 1° gennaio, l’algoritmo mensile dell’Agenzia segnalerà un’anomalia per dicembre (incassi POS > corrispettivi) e forse un’anomalia inversa a gennaio (corrispettivi senza incasso corrispondente). In casi simili – spesso dovuti a differenze di fuso orario della contabilizzazione bancaria, o a consegne differite – il contribuente può difendersi dimostrando la correlazione tra gli importi: ad esempio esibendo lo scontrino/fattura emesso il giorno successivo relativo proprio a quel pagamento. Poiché il controllo dell’Agenzia è su base mensile, può non cogliere il riallineamento avvenuto a cavallo di due periodi. Sarà onere dell’esercente spiegare e documentare questi slittamenti temporali. È buona norma, inoltre, evitare per quanto possibile di ritardare la memorizzazione di un corrispettivo rispetto all’incasso: anche se la merce viene consegnata successivamente, lo scontrino va emesso al momento del pagamento (lo ha ribadito la stessa Cassazione), eventualmente come “acconto” o “anticipo”.
- Errori od omissioni nella certificazione dei corrispettivi: purtroppo, la causa più frequente delle differenze risiede nel fatto che alcuni incassi elettronici non sono stati accompagnati dall’emissione di scontrino o fattura. Questo può avvenire per semplice dimenticanza, per malfunzionamento del registratore telematico, oppure (nei casi peggiori) per scelta deliberata di non “battere” lo scontrino confidando magari che i pagamenti elettronici, essendo tracciati, non necessitino di ulteriore documentazione fiscale. Tale ultimo ragionamento è completamente errato in diritto: la Cassazione ha affermato che la tracciabilità della moneta elettronica non esclude affatto l’evasione, se il corrispondente documento fiscale non è emesso. Al contrario, il fisco presume l’esistenza di ricavi non dichiarati quando i pagamenti con carte superano gli scontrini emessi, e spetta al contribuente provare che non vi sia stata omessa registrazione. Pertanto, se dall’analisi dei dati interni l’operatore riscontra di aver effettivamente mancato di emettere documenti per alcuni incassi POS (ad esempio perché il registratore di cassa non funzionava e non si è proceduto a una certificazione alternativa), l’unica difesa efficace è sanare l’irregolarità prima possibile tramite ravvedimento operoso, come illustrato oltre. Nel rispondere all’Agenzia, in tal caso, difficilmente potrà essere addotta una giustificazione valida diversa dalla regolarizzazione (se l’omissione è palese). Notare che anche errori di importo (scontrino emesso per un importo inferiore a quello pagato) rientrano in questa categoria: si tratta di dati “incompleti o non veritieri” trasmessi, anch’essi sanzionabili ex art. 6, c.2-bis D.Lgs. 471/97.
- Utilizzo di metodi di certificazione diversi: alcune categorie potrebbero aver incassato via POS somme che non richiedevano l’emissione di scontrino/fattura elettronica secondo la normativa del periodo. Ad esempio, fino al 2023 i contribuenti forfettari sotto €25.000 non erano tenuti all’e-fattura: un professionista in tale regime, pur avendo incassato pagamenti con carta, poteva aver emesso una fattura cartacea o ricevuta manuale. In questi casi, è evidente che l’incasso risulta nei dati bancari ma non compare tra le fatture elettroniche, generando un falso positivo. Come difendersi? È necessario fornire prova di aver comunque documentato il compenso tramite i canali previsti all’epoca: ad esempio esibendo copia della fattura emessa in formato analogico. L’Agenzia delle Entrate, nelle FAQ, ha riconosciuto che in tali ipotesi il contribuente dovrà semplicemente dimostrare l’avvenuta certificazione secondo le regole vigenti pro-tempore. Un altro esempio: un artigiano che opera con ricevute fiscali cartacee (ancora utilizzabili in casi particolari, es. soggetti esonerati) e che abbia incassato via POS vedrà l’incasso segnalato ma la ricevuta non risulta nel sistema. Anche qui, la ricevuta fiscale emessa dovrà essere mostrata come giustificazione. In sintesi, quando l’anomalia dipende non da evasione ma da un canale di certificazione alternativo, il contribuente dovrà comunicare all’Agenzia gli estremi dei documenti emessi (numero, data) che coprono quei corrispettivi. Potrebbe risultare utile allegare copia di tali documenti nella risposta all’Ufficio.
- Dati comunicati errati o riferiti a operazioni particolari: oltre ai già citati casi di duplicazione di transazioni per errore bancario, possono verificarsi altri scenari. Ad esempio, se un esercente cambia banca o POS durante l’anno, è possibile che vi sia una sovrapposizione o errata attribuzione dei codici: transazioni effettuate con il nuovo POS potrebbero essere state temporaneamente attribuite al vecchio (o viceversa), producendo incongruenze. Oppure l’esercente potrebbe aver incorporato un’altra attività: immaginiamo una fusione di due negozi, con due diversi registratori e POS – la riconciliazione dei dati potrebbe essere imperfetta nei primi mesi. In queste situazioni tecnico-operative, il contribuente dovrà spiegare il contesto all’Agenzia, fornendo la chiave di lettura per ricondurre i dati alla normalità. Ancora: incassi mediante POS possono talvolta includere operazioni escluse dall’IVA o non imponibili (es. vendite verso l’estero con pagamento tramite carta, che non generano corrispettivi IVA ma solo fatture non imponibili). Se tali fatture non imponibili non vengono “viste” nel calcolo (perché l’Agenzia confronta imponibili IVA), potrebbe apparire un incasso non corrispondente. In realtà la fattura c’è ed è stata inviata (magari allo SDI con codice natura IVA N3.4 ecc.): sarà opportuno far notare che quell’importo era un’operazione non soggetta a IVA e dunque correttamente non appare come imponibile. Questo per dire che ogni posizione va analizzata caso per caso: a volte bastano piccole spiegazioni contabili per chiarire un’anomalia.
In generale, davanti a una difformità segnalata, il contribuente diligente dovrebbe procedere così: 1) riconciliare i dati con la propria contabilità (verificando incassi POS giorno per giorno e relativi scontrini/fatture); 2) individuare per ogni scostamento la possibile causa (mancata emissione, emissione tardiva, errore di importo, dato duplicato, ecc.); 3) decidere se ci sono elementi giustificativi da fornire o se occorre corrigere l’errore sostanziale (emissione mancata) mediante regolarizzazione. Nel dubbio, è possibile anche interpellare il proprio consulente fiscale o direttamente l’Agenzia (agli indirizzi indicati nella lettera) per ottenere chiarimenti sul calcolo effettuato.
Va ricordato che l’onere della prova, in caso di eventuale contenzioso, tende a gravare sul contribuente: la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che, in tema di accertamento, il Fisco può basarsi su presunzioni semplici purché qualificate e concordanti, come il confronto tra incassi bancari e ricavi dichiarati. Di fronte a tali presunzioni, spetta al contribuente dimostrare documentalmente la regolarità del proprio operato e l’assenza di ricavi in nero. Pertanto, è nell’interesse dell’esercente raccogliere fin da subito tutta la documentazione utile a giustificare eventuali differenze (ricevute fiscali, copie di fatture, registri di prima nota, estratti conto POS, ecc.), sia per rispondere adeguatamente alla lettera di compliance, sia in un’ottica difensiva più ampia qualora la vicenda evolva in accertamento formale.
Come regolarizzare le difformità: il ravvedimento operoso
Quando dall’analisi emerge che la difformità segnalata corrisponde effettivamente a vendite/compensi non fiscalmente documentati, la via maestra per “mettersi in regola” è ricorrere al ravvedimento operoso, ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 472/1997. Il ravvedimento operoso è lo strumento che consente al contribuente di sanare spontaneamente violazioni tributarie commesse, beneficiando di sanzioni ridotte, purché la regolarizzazione avvenga prima di essere raggiunti da contestazioni formali o controlli fiscali (ispezioni, verifiche) di cui si abbia formale conoscenza.
Regolarizzazione degli omessi corrispettivi (vendite non scontrinate)
Nel caso specifico di mancata emissione di scontrini/fatture per incassi POS, la violazione ha una doppia valenza: da un lato violazione formale dell’obbligo di certificazione dei corrispettivi (art. 6 D.Lgs. 471/97), dall’altro violazione sostanziale di omessa dichiarazione ai fini IVA e delle imposte sui redditi di quei ricavi. Attraverso il ravvedimento si andranno a sanare entrambi i profili, mediante:
- Emissione (se possibile) dei documenti mancanti: se ci si accorge di non aver emesso uno scontrino elettronico, tecnicamente non è possibile “emettere ora per allora” un documento commerciale tardivo per quella data passata. Tuttavia, a fini interni, l’esercente potrà registrare il ricavo mancante nelle proprie scritture e considerarlo in una dichiarazione integrativa. In alcuni casi, si può emettere una fattura tardiva al cliente (ad esempio se ancora rintracciabile) per regolarizzare la cessione di beni/servizi non scontrinata: la fattura conterrà l’IVA dovuta e verrà annotata nei registri. Anche se fiscalmente tardiva, serve a documentare ex post l’operazione. In alternativa, si può redigere una sorta di autofattura interna per regolarizzare l’operazione omessa (prassi talvolta suggerita per regolarizzare corrispettivi non documentati, sebbene non formalmente prevista da norme, ma utile ad avere un pezzo giustificativo).
- Versamento dell’imposta evasa più interessi: il cuore del ravvedimento è il pagamento del tributo dovuto che non era stato versato. Nel nostro caso, occorrerà calcolare l’IVA relativa ai corrispettivi non registrati (ad es. incassi 10.000 € non scontrinati con IVA al 22% ⇒ IVA evasa €2.200) e versarla tramite modello F24 con i relativi codici tributo (es. 6001/6002… per IVA periodica, o codici appositi se trattasi di IVA annuale). Analogamente, se i ricavi omessi hanno inciso sull’imponibile dei redditi, andrebbe calcolata anche l’IRPEF/IRES aggiuntiva dovuta su quei maggiori ricavi e versata (oltre addizionali, IRAP se dovuta, etc.). Spesso, tuttavia, l’Agenzia nelle comunicazioni di questo tipo si focalizza sull’IVA, demandando l’eventuale recupero delle imposte dirette a una fase successiva. Un ravvedimento prudenziale dovrebbe coprire anche le imposte dirette, magari presentando una dichiarazione integrativa.
- Pagamento delle sanzioni ridotte: alla violazione in esame corrispondono potenzialmente due sanzioni amministrative distinte: quella proporzionale sul tributo evaso (per infedele o omessa dichiarazione IVA, in genere il 90% dell’imposta dovuta) e quella fissa per la mancata emissione dello scontrino (100% del valore non documentato, minimo €500, secondo l’art. 6, c.3 D.Lgs. 471/97, oggi ridotto al 90% e minimo €500 dopo la riforma del 2015). Fortunatamente, regolarizzando spontaneamente si evita il cumulo eccessivo: l’Agenzia in sede di ravvedimento di solito richiede il pagamento della sanzione sul tributo evaso, ridotta in base al tempo trascorso. La misura della riduzione segue le regole generali dell’art. 13 D.Lgs. 472/97: ad esempio, se il ravvedimento avviene oltre 1 anno dall’omissione ma entro 2 anni, la sanzione minima applicabile è pari a 1/7 della sanzione ordinaria; oltre 2 anni, 1/6 della sanzione. Tradotto: se la sanzione base è il 90% dell’IVA, si pagherà il 90% ridotto a 1/7 (≈12,86%) o 1/6 (≈15%) a seconda dei casi. In aggiunta vanno calcolati gli interessi legali giornalieri sul tributo versato in ritardo (interessi generalmente esigui, trattandosi di uno o due anni di ritardo).
Esempio: supponiamo un’anomalia riferita all’anno d’imposta 2022 scoperta nel 2023: €10.000 di ricavi non scontrinati con IVA 22% = €2.200 di IVA evasa. Se il contribuente ravvede a novembre 2023, quindi a circa 1 anno dall’omissione (oltre il termine di presentazione della dichiarazione annuale IVA 2023 avvenuto a febbraio 2023), si applica la sanzione ridotta a 1/7: il 90% di 2.200 è 1.980 €, ridotto a 1/7 ≈ 282 €. Dovrà quindi versare: IVA €2.200 + sanzione €282 + interessi (diciamo €50 circa) = totale ~€2.532. Se aspettasse oltre 2 anni (diciamo fine 2024), la sanzione sarebbe a 1/6 = 330 €, poco più alta. Come si vede, il ravvedimento permette un enorme risparmio rispetto a ciò che si pagherebbe in caso di accertamento: in sede di accertamento, infatti, la sanzione sarebbe piena (90% = €1.980 solo sanzione, eventualmente cumulabile con altra sanzione) e non vi sarebbe alcuno sconto di interessi.
Va sottolineato che l’Agenzia delle Entrate incoraggia espressamente questa via: nella lettera di compliance vengono fornite istruzioni per avvalersi del ravvedimento e ottenere la riduzione delle sanzioni. Anche il legislatore, con provvedimenti ad hoc, ha previsto misure di favore per chi si ravvede in tali casi:
La “sanatoria scontrini” del 2023 (DL 131/2023)
Per i disallineamenti relativi ai primi periodi di introduzione degli obblighi telematici, il Governo ha varato una norma speciale: l’art. 4 del DL 29 settembre 2023 n. 131 (decreto “Energia”) ha incoraggiato la regolarizzazione delle violazioni di mancata emissione scontrini commesse dal 1° gennaio 2022 al 30 giugno 2023. In particolare, si è previsto che i contribuenti che in tale periodo hanno omesso uno o più corrispettivi (violando l’art. 6, commi 2-bis o 3, D.Lgs. 471/97):
- possano ravvedersi anche se le violazioni sono già state constatate (ad esempio già verbalizzate dalla Guardia di Finanza) purché tale constatazione sia avvenuta entro il 31 ottobre 2023 e purché non sia ancora stata notificata una formale contestazione o accertamento alla data del ravvedimento;
- debbano eseguire il ravvedimento entro e non oltre il 15 dicembre 2023】, versando imposte e sanzioni ridotte dovute.
Chi ha colto questa opportunità entro la scadenza ha ottenuto, oltre ai consueti benefici sulle sanzioni ridotte, un ulteriore vantaggio: le violazioni così sanate non rilevano ai fini dell’applicazione della sanzione accessoria della sospensione dell’attività. In altre parole, gli omessi scontrini ravveduti non vengono conteggiati tra le 4 violazioni che possono far scattare la chiusura temporanea dell’esercizio (art. 12, c.2 D.Lgs. 471/97). Questo ha tutelato i contribuenti pentiti da conseguenze potenzialmente molto gravose sul piano operativo.
Questa finestra di sanatoria concentrata (settembre-dicembre 2023) è nata proprio in parallelo all’invio delle prime lettere di compliance: molti esercenti che si sono visti recapitare l’anomalia riferita al 2022 hanno potuto regolarizzare entro il 15/12/2023 beneficiando di tale quadro di favore. Chi non lo ha fatto entro quella data potrà comunque ravvedersi successivamente, ma senza più la garanzia di evitare il conteggio ai fini di future sospensioni (e ovviamente esponendosi al rischio che, trascorso quel termine, l’Agenzia abbia già emesso un atto impositivo che “blocca” la possibilità di ravvedimento).
Da sapere: il ravvedimento operoso è precluso se, prima di effettuarlo, si è già attivato un controllo fiscale sul punto. Ad esempio, se l’Agenzia o la Finanza hanno già effettuato accessi, ispezioni o verifiche in azienda oppure notificato un atto di contestazione o accertamento relativo a quei corrispettivi, non sarà ammessa la regolarizzazione postuma. La lettera di compliance non costituisce ancora un atto formale preclusivo: quindi finché si è in questa fase bonaria, il ravvedimento è ammesso. Se però si attendesse troppo e arrivasse un avviso bonario da controllo automatico o un PVC (processo verbale di constatazione) della Guardia di Finanza relativo proprio a quegli omessi ricavi, sarebbe troppo tardi per ravvedersi. Ecco perché, dal punto di vista prudenziale, conviene attivarsi per tempo non appena si viene a conoscenza dell’irregolarità.
Di seguito una tabella riepilogativa delle riduzioni sanzionatorie previste in sede di ravvedimento operoso (caso generale), utile per capire l’importanza di ravvedersi tempestivamente:
Tempo trascorso dalla violazione | Riduzione sanzione (rispetto al minimo edittale) | Dettagli |
---|---|---|
Ravvedimento entro 15 giorni dalla violazione | Sanzione ridotta a 1/10 del minimo (c.d. ravvedimento sprint) | Per lievi ritardi (entro 15 gg). Es: omesso versamento sanzione base 30% → 3%. |
Ravvedimento dal 16º al 30º giorno | Sanzione ridotta a 1/9 del minimo | Entro 30 giorni dall’omissione/ritardo. |
Ravvedimento entro 90 giorni | Sanzione ridotta a 1/8 del minimo | Tipicamente entro 90 gg dalla scadenza, o entro il termine di presentazione della dichiarazione (se più ampio). |
Ravvedimento entro 1 anno dall’omissione (termine dichiarazione successiva) | Sanzione ridotta a 1/7 del minimo | Nel caso di violazioni emerse dopo la presentazione della dichiarazione annuale ma ravvedute entro l’anno seguente. |
Ravvedimento oltre l’anno ma entro 2 anni | Sanzione ridotta a 1/6 del minimo | Ad es. violazione 2022 ravveduta nel 2024 (oltre anno ma entro secondo anno). Dal 1/01/2023, l’1/6 è la frazione per ravvedimenti ultrannuali. |
Ravvedimento oltre 2 anni (ed entro termini accertamento) | Sanzione ridotta a 1/5 del minimo (solo se previsto) | NB: Attualmente l’1/5 si applica solo ad alcune violazioni speciali ravvedibili dopo constatazione (es. ravvedimento operoso speciale di cui a L. 197/2022). Normalmente oltre i 2 anni resta 1/6 finché non interviene accertamento. |
Dopo notifica di atto di accertamento o altro atto impositivo | NON ammesso | La sanzione è irrogata in misura piena (salvo riduzioni per definizione agevolata, vedi oltre). |
(Fonte: art. 13 D.Lgs. 472/1997 e succ. mod.; Circ. AE 2/E/2011)
Come si evince, il ravvedimento premia la tempestività. Nel contesto delle nostre comunicazioni di compliance, spesso ci si colloca nella fascia “oltre l’anno” (poiché i controlli arrivano dopo la chiusura dell’anno fiscale): ad esempio a fine 2023 si ravvede il 2022 → riduzione 1/7 o 1/6 a seconda dei casi.
Ravvedimento e accertamento: diverse strade
Una domanda che sorge spontanea: cosa succede se ignoro la lettera di compliance e aspetto l’accertamento? Potrò pagare con sanzioni ridotte allora? In caso di accertamento vero e proprio, non si parla più di ravvedimento operoso ma di definizione agevolata dell’avviso di accertamento (ex art. 15 D.Lgs. 218/1997, cosiddetto “accordo in adesione” o acquiescenza). In quel caso la sanzione, inizialmente piena, viene ridotta di 1/3 se si accetta e paga senza litigio. Tuttavia, tale riduzione (1/3) è molto meno vantaggiosa di quella ottenibile col ravvedimento (di solito 1/6 o 1/7, come visto). Inoltre il ravvedimento evita anche il pagamento delle spese di notifica, interessi di mora successivi, etc. Senza contare che, una volta emesso l’accertamento, potrebbero scattare in parallelo le sanzioni accessorie (es. sospensione licenza se erano 4 violazioni). Dunque, dal punto di vista del contribuente conviene quasi sempre ravvedersi prima, piuttosto che affrontare un accertamento. Solo se si è convinti che la segnalazione sia errata e di poterlo dimostrare in sede di contraddittorio, ha senso non ravvedersi e attendere la fase successiva (vedi capitolo Difesa in contenzioso). Ma occorre una certa dose di sicurezza e prove solide.
Profili sanzionatori e conseguenze (amministrative e penali)
Vediamo ora in dettaglio quali sanzioni si rischiano in caso di incassi non dichiarati, sia sul piano amministrativo (multe, ammende, provvedimenti fiscali) sia su quello penale (reati tributari), con riferimenti alle soglie normative e alla giurisprudenza.
Sanzioni amministrative tributarie
Le violazioni relative alla mancata corrispondenza tra incassi e corrispettivi implicano principalmente due fattispecie sanzionatorie, previste dal D.Lgs. 18/12/1997 n. 471:
- Omessa memorizzazione o trasmissione telematica dei corrispettivi (art. 6, comma 2-bis D.Lgs. 471/97): introdotta con l’avvento dei registratori telematici, punisce il caso in cui l’esercente non memorizza o non trasmette i dati dei corrispettivi, oppure li memorizza/trasmette in modo incompleto o non veritiero. La sanzione prevista è pari al 90% dell’imposta corrispondente all’importo non memorizzato/trasmesso, con un minimo di €500 per ciascun periodo d’imposta. In pratica ricalca la vecchia sanzione per omesso scontrino (che era 100% dell’IVA con minimo 516 € prima della riforma). Questa sanzione si applica tipicamente ai casi di omessa trasmissione dei dati che abbiano comportato evasione d’imposta.
- Omessa emissione della ricevuta o scontrino fiscale (art. 6, comma 3 D.Lgs. 471/97): norma storica, ancora in vigore per sanzionare chi non emette affatto il documento fiscale obbligatorio (ricevuta o scontrino, oggi “documento commerciale”) o lo emette per importi inferiori al reale. Anche qui la sanzione è pari al 90% dell’IVA corrispondente all’importo non documentato, con minimo €500. Spesso, nei casi concreti di incassi non dichiarati, la violazione di cui al comma 2-bis e quella di cui al comma 3 tendono a sovrapporsi (mancata memorizzazione = mancata emissione). Di solito si contesta l’una o l’altra a seconda delle circostanze, ma l’entità della sanzione è analoga.
- Violazioni meramente formali sul flusso telematico: se i dati vengono memorizzati ed emessi correttamente ma non trasmessi tempestivamente per problemi tecnici, oppure trasmessi con lievi inesattezze che non incidono sulla corretta liquidazione del tributo, la legge prevede una sanzione fissa minore: €100 per ogni trasmissione omessa o errata, fino a un massimo di €1.000 per trimestre. Questa sanzione, introdotta anch’essa con la normativa sugli scontrini elettronici, mira a colpire il mero inadempimento formale. Ad esempio, se un registratore rimane offline e i dati di un’intera giornata non vengono inviati ma l’IVA è stata liquidata correttamente, si applica €100 di multa (in luogo del 90%). Dal 2024, questa sanzione fissa è stata estesa espressamente anche ai dati sui pagamenti elettronici: ciò significa che se un POS integrato non dovesse inviare i totalizzatori giornalieri ma i corrispettivi fossero comunque registrati, la violazione ricadrebbe qui. Si tratta però di ipotesi particolari, perché nella maggior parte dei casi l’omessa trasmissione di incassi elettronici sottende anche un mancato scontrino (e quindi imposta non dichiarata).
- Sanzione accessoria della sospensione dell’attività: l’art. 12, comma 2 del D.Lgs. 471/97 prevede che, qualora un esercente commetta quattro violazioni di omessa emissione di scontrino in giorni diversi nell’arco di un quinquennio, venga disposta la sospensione della licenza o dell’attività per un periodo da 3 giorni fino a 1 mese. Questa è una misura afflittiva molto temuta: già dopo 4 mancati scontrini (non necessariamente consecutivi, basta che siano contestati separatamente in giorni differenti), il contribuente recidivo può vedersi chiudere temporaneamente il negozio. Se poi le violazioni superano le quattro, da cinque in su, la sospensione può essere aumentata da 1 mese fino a 6 mesi (nei casi più gravi può essere proposta addirittura la revoca della licenza, se previsto da normative di settore). Su questo punto la Cassazione è intervenuta più volte a chiarire come si applica la regola: ad esempio, con l’ordinanza n. 23700/2020, ha stabilito che la sospensione è legittima anche se le quattro violazioni vengono accertate tutte insieme in un unico provvedimento, non essendo necessaria la “definitività” di ciascuna contestazione separata. In pratica, se in sede di verifica fiscale si scoprono, poniamo, 10 mancati scontrini negli ultimi anni, l’Ufficio può contestarli cumulativamente e applicare comunque la chiusura per recidiva (purché le date siano differenti). Questo per evitare che il contribuente si sottragga alla sospensione solo perché non era stato colto sul fatto dalle prime volte. È bene inoltre ricordare che il pagamento immediato della sanzione pecuniaria per i singoli illeciti non evita la sospensione: anche definendo con adesione o pagando in misura ridotta le multe, la sanzione accessoria resta applicabile. L’unico modo per sfuggire alla sospensione, in caso di più violazioni pregresse, è sperare nella clemenza dell’ufficio (che ha discrezionalità nel quantificare i giorni) oppure – come abbiamo visto – aver regolarizzato in tempo col ravvedimento, beneficiando della non applicazione per le violazioni sanate.
Riassumendo in una tabella semplificata:
Violazione riscontrata | Sanzione amministrativa | Note |
---|---|---|
Omessa/infedele memorizzazione o trasmissione dei corrispettivi (art. 6 c.2-bis D.Lgs. 471/97) | 90% dell’imposta corrispondente all’importo non documentato (min €500) | Si riferisce a dati non inviati o alterati che comportano evasione d’imposta. |
Mancata emissione di scontrino/ricevuta (art. 6 c.3 D.Lgs. 471/97) | 90% dell’IVA relativa all’importo non documentato (min €500) | Classica omissione del documento fiscale obbligatorio (o importo inferiore al reale). |
Omessa/tardiva trasmissione senza impatto sull’imposta (art. 2 c.6 DL 127/2015) | €100 per ciascuna comunicazione omessa o errata (max €1.000 a trimestre) | Caso di mancato invio ma operazione comunque registrata e tassata regolarmente. |
Mancato collegamento tra POS e registratore telematico (dal 2026) | Da €1.000 a €4.000 per ciascuna violazione; in caso di recidiva, sospensione attività 3 gg fino a 1 mese | Introdotta dalla L. di Bilancio 2024/25 (decorrenza 1/1/2026) – v. infra “Nuove tecnologie”. |
Recidiva: ≥4 violazioni art. 6 c.3 in 5 anni | Sospensione attività da 3 giorni a 1 mese (fino a 6 mesi se recidiva reiterata) | Scatta su provvedimento dell’AE/Guardia di Finanza, anche se violazioni accertate contestualmente. |
Nota: Le sanzioni pecuniarie sopra indicate possono essere ridotte tramite ravvedimento operoso (ove consentito). Ad esempio, una sanzione del 90% può scendere al 15% o meno se ci si ravvede tardivamente, come visto in precedenza. Se invece la violazione viene accertata dall’ufficio, la sanzione è applicata in misura piena, salvo riduzione 1/3 per definizione agevolata in adesione (se ammessa).
Da questo quadro emerge chiaramente l’interesse a prevenire e correggere per tempo le violazioni: poche centinaia di euro pagate subito in ravvedimento possono evitare migliaia di euro tra sanzioni e spese dopo, e soprattutto scongiurare la ben più dannosa chiusura forzata dell’attività in caso di reiterazione.
Profili penali: quando scatta il reato di evasione
Oltre alle sanzioni amministrative, bisogna considerare se la condotta in questione possa assumere rilevanza penale, configurando uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000. La semplice mancata emissione di uno scontrino, di per sé, non è reato: essa viene punita solo con la sanzione amministrativa come visto. Tuttavia, se l’omissione di corrispettivi si traduce in una dichiarazione annuale fraudolenta o infedele, allora si può sconfinare nel penale.
In particolare, il reato che potrebbe rilevare è quello di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000). Questo delitto si configura quando un contribuente, al fine di evadere le imposte, indica nella dichiarazione annuale elementi attivi inferiori a quelli reali (ossia, dichiara meno ricavi di quelli effettivi) oppure indica elementi passivi fittizi, e supera determinate soglie di rilevanza penale. Le soglie previste (aggiornate alle modifiche più recenti) sono le seguenti:
- Imposta evasa superiore a €100.000 per ciascun periodo d’imposta (sommando eventualmente IVA e imposte dirette, ma la soglia si considera separatamente per tipologia di imposta);
- Ammontare degli elementi attivi sottratti a tassazione superiore al 10% dei ricavi dichiarati oppure superiore a €2.000.000 in valore assoluto.
Entrambe le condizioni devono concorrere. In altri termini, perché l’omessa dichiarazione di corrispettivi diventi reato di dichiarazione infedele, occorre che il totale delle vendite non fatturate sia molto consistente: ad esempio, un commerciante che abbia sottratto al fisco €2,5 milioni di incassi in un anno (non scontrinati), evadendo magari €550.000 di IVA, ricade certamente nel penale (imposta evasa > 100k e importo > 2 mln); al contrario, un dettagliante che abbia omesso €50.000 di ricavi (IVA evasa ~ €11.000) resta sotto soglia (pur subendo sanzioni amministrative).
Se il reato di dichiarazione infedele è configurabile, la pena prevista è la reclusione da 2 anni a 4 anni e 6 mesi. È un reato a dolo specifico, per cui occorre la volontà di evasione; se l’omissione di ricavi fosse dovuta a mera negligenza senza intento evasivo (ipotesi teorica piuttosto rara da sostenere, ma possibile in astratto), non vi sarebbe punibilità penale, ma comunque rimarrebbe la sanzione amministrativa.
Un’altra ipotesi di reato che potrebbe lambire casi estremi è la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. 74/2000): si tratta di un reato più grave (punito con reclusione 3-8 anni) che richiede l’uso di mezzi fraudolenti per ostacolare l’accertamento. Ad esempio, se un commerciante adotta un software “zapper” per cancellare sistematicamente dal registratore una parte degli incassi (alterando i dati contabili), potrebbe profilarsi il dolo di frode fiscale. Tuttavia, queste situazioni esulano dal tipico caso di lettera di compliance (che presuppone che i dati del registratore ci siano, altrimenti non comparirebbero affatto corrispettivi). È più un caso da indagine della Guardia di Finanza che da controllo incrociato. In genere, quindi, il profilo penale più pertinente rimane la dichiarazione infedele.
Da notare: e se uno non presenta proprio la dichiarazione IVA o dei redditi? In quel caso, se l’imposta evasa supera €50.000, scatta il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000), punito con reclusione 2-5 anni. Non è il caso tipico di chi emette qualche scontrino in meno (costui di solito la dichiarazione la presenta, anche se incompleta), ma più di chi nasconde del tutto un’attività al Fisco. Ciononostante, se la scelta di non emettere scontrini fosse sistematica e massiccia, di fatto portando a dichiarare quasi nulla, in teoria si potrebbe sforare anche questo confine. Ad esempio, un esercente che dichiara zero ricavi ma ha incassato 100k via POS e non li dichiara, formalmente presenta una dichiarazione infedele (non omessa, perché la presenta a zero; se addirittura non la presentasse avrebbe l’art. 5). Le linee di confine sono tecniche, ma grosso modo: dichiarazione infedele copre il caso di ricavi in parte non dichiarati (sottostimati), omessa dichiarazione il caso di intero periodo non dichiarato.
Fortunatamente, nella maggioranza delle situazioni di difformità POS-corrispettivi riscontrate finora, i valori non dichiarati non raggiungono i livelli per il penale. Sono spesso migliaia o decine di migliaia di euro, non milioni. Ciò non toglie che l’Agenzia delle Entrate trasmette alla Procura gli atti qualora ravvisi un superamento delle soglie di punibilità. Quindi, se un contribuente ignorasse gli avvisi e venisse poi accertato con, poniamo, €300.000 di IVA evasa su corrispettivi non fatturati, oltre alle sanzioni pecuniarie si troverebbe imputato penalmente, con tutto ciò che comporta in termini di processo, spese legali, rischio di confisca dei beni equivalente all’imposta evasa, ecc..
Difendersi sul piano penale: il miglior modo per evitare il penale è non superare le soglie, quindi eventualmente ravvedersi in tempo riducendo l’evasione (il ravvedimento post factum però non estingue il reato, ma può incidere come attenuante se il pagamento avviene prima del dibattimento). Se il procedimento penale parte, la difesa consisterà nel dimostrare l’assenza del dolo intenzionale (magari provando che c’erano errori scusabili) o nel far rientrare la pretesa sotto soglia (contestando le quantificazioni del Fisco). Non è oggetto centrale di questa guida, ma è bene che il contribuente sappia che ignorare sistematicamente l’obbligo di scontrino può, in scenari estremi, portare fino al penale. A quel punto sarà cruciale farsi assistere da un legale esperto in reati tributari, che valuti ad esempio se sia possibile riqualificare la condotta come semplice illecito amministrativo.
In definitiva, dal punto di vista del debitore che riceve una comunicazione di anomalia POS/corrispettivi, il messaggio è chiaro: intervenire subito per regolarizzare significa limitare il danno alle sole sanzioni ridotte; ignorare può voler dire trovarsi a pagare molto di più dopo, con in più la spada di Damocle di possibili sospensioni dell’attività e, se le cifre sono ingenti, conseguenze penali. Nel prossimo capitolo vedremo come procedere operativamente alla difesa, sia in fase pre-contenziosa (compliance e accertamento con adesione) sia, se necessario, di fronte al giudice tributario.
Difendersi in sede di accertamento e contenzioso
Se il contribuente ritiene di essere in regola o di avere valide giustificazioni per le anomalie contestate, può scegliere di non ravvedersi e di spiegare la propria posizione all’Agenzia. In base all’esperienza pratica, l’Agenzia delle Entrate potrebbe a quel punto:
- Accettare le spiegazioni e archiviare la posizione (se il contribuente fornisce elementi convincenti, ad esempio dimostra che gli incassi POS “in più” erano già documentati da fatture cartacee, o erano dovuti a errori poi corretti, ecc.). Questo esito è possibile nella fase di compliance: l’ufficio prende atto delle prove inviate e decide di non procedere oltre. È fondamentale, in tal caso, fornire una risposta dettagliata alla comunicazione, allegando tutta la documentazione probatoria (copia di fatture, ricevute fiscali, estratti conto, ecc.) che provi l’assenza di irregolarità. Come suggerito dalla stessa Agenzia, qualora il contribuente segnali elementi o circostanze non conosciuti, l’Ufficio li valuterà e potrà anche annullare la comunicazione di anomalia se risultata infondata.
- Invitare ad un contraddittorio formale: se le spiegazioni fornite non sono completamente soddisfacenti ma neppure da scartare, l’Agenzia potrebbe attivare un contraddittorio in presenza (o da remoto) con il contribuente o il suo professionista, per approfondire. Questa fase di solito precede un eventuale accertamento con adesione.
- Procedere all’emissione di un avviso di accertamento (o atto di contestazione sanzioni): se invece l’Ufficio ritiene che permanga una quota di incassi non giustificata, trascorso un po’ di tempo invierà un avviso bonario (nel caso di controllo automatico ex art. 54-bis DPR 633/72) o direttamente un avviso di accertamento per i maggiori ricavi. L’accertamento tipicamente sarà di tipo analitico-induttivo ex art. 39 DPR 600/73: l’ufficio, prendendo atto delle prove presuntive (incassi da POS non coperti da scontrini), rettificherà il reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato aggiungendo i ricavi in nero individuati. Allo stesso tempo recupererà l’IVA relativa a tali ricavi (emettendo magari un atto contestuale IVA e redditi). La giurisprudenza ha convalidato tale metodologia accertativa: “Il dato oggettivo di pagamenti tramite POS in numero superiore agli scontrini emessi costituisce un fatto noto che legittima la presunzione di maggiori ricavi”. Quindi un eventuale ricorso in Commissione Tributaria dovrà concentrarsi non tanto sul principio (difficilmente contestabile), quanto sul merito dei calcoli o su eventuali errori procedurali.
Vediamo alcune strategie difensive che il contribuente può adottare se si arriva alla fase accertativa o contenziosa:
- Contraddittorio preventivo: prima che l’accertamento diventi definitivo, il contribuente ha diritto a interloquire. Nelle materie IVA e redditi, specialmente se l’accertamento è basato su presunzioni, la prassi vuole che venga inviato un invito al contraddittorio (obbligatorio in alcuni casi, specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 132/2020 in tema di contraddittorio endoprocedimentale per i tributi “non armonizzati”: per l’IVA è obbligatorio in virtù del diritto UE). In sede di contraddittorio, il contribuente può far valere le proprie ragioni: ad esempio, può portare prospetti riconciliativi mostrando che parte degli incassi POS contestati erano stati fatturati su un’altra società (capita, ad esempio, in negozi affiliati con più partite IVA che condividono un unico POS: l’anomalia potrebbe essere frutto di un’errata attribuzione del volume ad un soggetto anziché all’altro). O può esibire registri alternativi. Ogni elemento va giocato qui, perché una volta emesso l’avviso, lo spazio per negoziare si riduce.
- Accertamento con adesione: una volta ricevuto il P.V.C. o l’avviso, il contribuente può chiedere l’adesione (art. 6 D.Lgs. 218/97). È un confronto diretto con l’ufficio per cercare un accordo sull’ammontare dell’imposta evasa e delle sanzioni. Se ad esempio la contabilità presentava qualche margine di incertezza, si potrebbe negoziare una riduzione dei maggiori ricavi presunti. Oppure, se il contribuente ha parzialmente ragione (alcuni incassi erano giustificati, altri no), si può trovare un punto d’incontro. Con l’adesione la sanzione viene ridotta a 1/3 e si possono rateizzare le somme. Questa via può essere vantaggiosa se la pretesa originaria dell’ufficio è alta e discutibile: ad esempio l’ufficio magari, oltre ai ricavi POS mancanti, ha fatto un ricalcolo induttivo di tutti i ricavi annuali applicando percentuali di ricarico eccessive. In adesione si può ridimensionare il tutto.
- Impugnazione in Commissione Tributaria: qualora non ci si accordi, resta la strada del ricorso al giudice tributario. Davanti alla Commissione, la chiave sarà dimostrare che l’accertamento è infondato o erroneo. Dati i precedenti giurisprudenziali, difficilmente si potrà contestare in toto la legittimità del metodo (che come visto Cassazione ritiene legittimo). Si dovrà piuttosto puntare su argomenti come: il calcolo dell’ufficio include transazioni già tassate (magari perché poi sono state fatturate l’anno successivo); le presunzioni non sono gravi e precise, perché la differenza è minima e può avere spiegazioni plausibili; violazione di procedure (ad es. mancata attivazione del contraddittorio, se dovuto, oppure nullità della notifica). Un elemento che potrebbe giocare a favore è la modestia della divergenza: se l’ufficio ha accertato, poniamo, €5.000 di ricavi in più su €200.000 dichiarati, pari al 2,5%, qualche Commissione potrebbe ritenere che non vi fosse una grave incongruenza tale da giustificare l’accertamento (ci sono state sentenze in passato che annullavano accertamenti per scostamenti esigui, in nome del principio di capacità contributiva e ragionevolezza). Tuttavia, non c’è garanzia: altre Commissioni potrebbero invece affermare che anche 1€ evaso va perseguito. La difesa dovrà eventualmente supportarsi con perizie o analisi tecniche: ad esempio, se l’attività era un bar e contestano incassi non scontrinati, si potrebbe produrre un’analisi della merce acquistata e venduta per dimostrare che il volume di vendite non può eccedere un certo limite (per confutare l’ipotesi di ulteriori ricavi). Insomma, sarà un contenzioso di merito, dove il contribuente deve portare quanta più documentazione possibile per giustificare i dati dichiarati.
- Attenuazione sanzioni in giudizio: qualora si arrivi a una sentenza, il giudice tributario ha la facoltà (in caso di soccombenza del contribuente) di applicare le sanzioni nella misura minima edittale se ritiene vi fossero “obiettive condizioni di incertezza” o altri elementi equitativi. Ad esempio, se la questione verteva su un dettaglio tecnico, la Commissione potrebbe condannare il contribuente a pagare le maggiori imposte ma ridurre le sanzioni al minimo (90% → 90% stesso perché già minimo, ma se fossero stati contestati altri aspetti sanzionatori potrebbe ridurli). Questo non elimina l’esborso, ma evita aggravi.
- Nessun cumulo giuridico: attenzione, ogni scontrino omesso è teoricamente una violazione autonoma. Tuttavia, in sede di accertamento spesso l’ufficio cumula tutti i ricavi omessi in un’unica violazione sostanziale (dichiarazione infedele) per quell’anno. Se invece facesse contestazioni separate per ogni giorno, si potrebbe invocare il cumulo giuridico (art. 12 D.Lgs. 472/97) in giudizio per far applicare una sanzione unica pari alla più grave aumentata (in caso di pluralità di violazioni collegate). Questo è un tecnicismo da verificare caso per caso con l’aiuto di un tributarista, ma è bene saperlo: talvolta l’Agenzia sbaglia nell’irrogare le sanzioni e il giudice può ricalcolarle correttamente, con notevole vantaggio per il contribuente.
In definitiva, come difendersi efficacemente? Il suggerimento principale è di giocare d’anticipo in fase di compliance: fornire subito spiegazioni e documenti all’Agenzia può evitare di arrivare allo scontro. Se si arriva comunque all’accertamento, valutare l’adesione per chiudere a sanzioni ridotte. E solo se si è convinti di un errore dell’ufficio o di avere buone possibilità, affrontare il contenzioso armati di prove. Dal punto di vista psicologico e finanziario, evitare il contenzioso tributario quando l’irregolarità effettivamente c’è conviene, perché le commissioni tendono (giustamente) a dare ragione al Fisco se l’evasione è palese e provata.
Al contrario, abbiamo visto che se il contribuente ha ragioni valide (es. incassi in realtà dichiarati altrove, errori bancari, ecc.), già in sede di lettera può farle valere e spesso l’ufficio accoglie. D’altronde, l’obiettivo della compliance non è fare cassa ingiustamente, ma far emergere basi imponibili occultate: se queste basi erano già emerse, l’Agenzia non ha interesse ad accanirsi.
Le nuove tecnologie di tracciamento fiscale e gli sviluppi futuri
All’orizzonte si profilano importanti novità destinate a eliminare a monte il problema della discrepanza tra incassi e corrispettivi. Il legislatore sta infatti introducendo strumenti tecnologici per rendere automatico l’abbinamento tra il pagamento elettronico e la registrazione dello scontrino.
La Legge di Bilancio 2025 (L. 205/2023) ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2026, l’obbligo di interconnessione tra i sistemi di pagamento elettronico e i registratori telematici. In pratica, ogni POS dovrà essere collegato in tempo reale al registratore di cassa: quando avverrà un pagamento con carta, il registratore lo rileverà e memorizzerà automaticamente l’incasso, trasmettendo poi all’Agenzia delle Entrate l’importo totale dei pagamenti elettronici giornalieri incassati. Ciò anche indipendentemente dalla registrazione dei corrispettivi, il che significa che il registratore invierà comunque a fine giornata il totale delle carte incassate, evitando che un commerciante possa incassare digitalmente senza “battere” lo scontrino. È una sorta di “doppio binario” incrociato: i dati dei corrispettivi e quelli dei pagamenti elettronici confluiranno insieme al Fisco, rendendo immediato evidenziare qualsiasi discordanza.
Per garantire ciò, la norma richiede che lo strumento di accettazione dei pagamenti (hardware o software POS) sia sempre collegato allo strumento di memorizzazione dei corrispettivi. Tecnicamente si dovranno adottare POS integrati con i registratori di cassa o soluzioni in cloud che interagiscano in tempo reale. Verranno adeguati i registratori telematici esistenti con aggiornamenti software, e i produttori di sistemi di cassa dovranno certificare l’inalterabilità e la sicurezza di questi flussi integrati.
Contestualmente, la legge ha introdotto specifiche sanzioni per chi non si adegua: multa da €1.000 a €4.000 per la mancata interconnessione del POS col registratore (importo uguale alla sanzione già prevista per mancata installazione del registratore di cassa). Inoltre, viene estesa anche a questa fattispecie la sanzione accessoria della sospensione dell’attività in caso di recidiva: quindi se un esercente non collega gli apparecchi e viene colto più volte in fallo, potrà subire la chiusura temporanea del negozio. Anche le sanzioni per omessa trasmissione di dati sono coordinate: la sanzione fissa di €100 per ritardo nei corrispettivi ora si applicherà pure al ritardo nei dati dei pagamenti elettronici. La decorrenza di tutte queste misure è fissata al 1° gennaio 2026, per dare tempo agli operatori di adeguarsi.
In pratica, dal 2026 il fenomeno delle “discrepanze tra POS e corrispettivi” dovrebbe ridursi drasticamente, perché il sistema stesso impedirà (o almeno renderà immediatamente visibile) l’omissione: non sarà più possibile incassare con carta senza che il registratore se ne accorga. Si tratta di un passo importante verso la digitalizzazione totale dei processi di pagamento e fatturazione. Certo, bisognerà vedere come verrà gestita l’interconnessione per categorie particolari (professionisti che emettono fattura differita, ambulanti, ecc.), ma la direzione è tracciata.
Va detto che già oggi molti sistemi gestionali consentono volontariamente il collegamento tra POS e cassa: diversi esercenti hanno casse smart dove, una volta selezionati i prodotti e l’importo, il terminale POS riceve automaticamente il totale da pagare e, a transazione avvenuta, registra lo scontrino. Questo elimina l’errore umano (dimenticanza di battere lo scontrino) e velocizza le operazioni. La novità del 2026 renderà questa procedura obbligatoria per tutti.
Dal punto di vista dell’amministrazione finanziaria, questo arricchimento dei dati significarà controlli ancora più puntuali: il Fisco riceverà non solo i totali, ma potenzialmente ogni singola transazione allineata col suo scontrino. Potrà così implementare algoritmi per scovare non solo chi omette completamente gli scontrini, ma anche chi magari “modifica” a ribasso gli importi (se mai capitasse che l’importo pagato differisca da quello scontrinato, anomalia che il sistema potrebbe segnalare subito).
Inoltre, l’interconnessione potrebbe facilitare l’integrazione con la “Lotteria degli Scontrini”: oggi per partecipare alla lotteria il cliente deve esibire un codice e l’esercente deve abbinarlo allo scontrino. In futuro, essendo il pagamento e lo scontrino un unico flusso, magari la partecipazione sarà automatica per ogni transazione cashless, aumentando la compliance anche su quel fronte.
Per completare il quadro delle tecnologie di tracciamento già operative, ricordiamo che il Fisco incrocia regolarmente:
- l’Anagrafe dei conti bancari (per controllare i movimenti finanziari sospetti, in primis prelievi e versamenti ingiustificati sui conti degli imprenditori – strumento ex art. 32 DPR 600/73 già usato in moltissimi accertamenti);
- il Sistema Tessera Sanitaria (che traccia i corrispettivi inviati da farmacie, medici e cliniche, usati anche per le precompilate – dal 2024 quei dati confluiscono pure nei corrispettivi telematici per evitare doppi binari);
- gli Indici di affidabilità fiscale (ISA), che attraverso dati di bilancio e contabili segnalano incongruenze (ad esempio margini troppo bassi rispetto a transazioni POS elevate potrebbero abbassare il punteggio ISA e far scattare controlli);
- le banche dati anti-frode IVA comunitarie (VIES, ecc.) per chi effettua vendite estere.
Tutto ciò per dire che il processo di data matching è in continua evoluzione. Dal punto di vista del contribuente, la strada migliore è adattarsi a questi cambiamenti con sistemi contabili aggiornati e procedure interne rigorose, in modo da evitare di incorrere in queste situazioni.
Una menzione particolare va fatta per i professionisti e artigiani che tradizionalmente non utilizzavano il registratore di cassa: anche per loro, l’obbligo di fatturazione elettronica e l’uso diffuso del POS hanno alzato il livello di tracciabilità. Se un idraulico incassa con POS e poi non fattura il lavoro, sarà soggetto agli stessi controlli di un negoziante. Quindi anche i piccoli studi e le attività artigianali devono attrezzarsi: esistono oramai POS portatili integrati con software di fatturazione che emettono subito fattura elettronica al cliente via email. Queste soluzioni tecnologiche, se adottate, mettono al riparo da dimenticanze e contestazioni.
In conclusione, il futuro prossimo vede un fisco sempre più digitale e interconnesso. Le “vecchie” discrepanze tra incasso e dichiarato avranno vita difficile. Ma finché esisteranno (e per i periodi pre-2026 ancora da controllare), valgono tutte le considerazioni esposte in questa guida: attenzione ai propri dati, collaborazione nelle fasi di compliance, e tempestività nelle regolarizzazioni sono le armi migliori per difendersi e mantenere la propria posizione fiscale in ordine.
Domande frequenti (FAQ)
D: Ho ricevuto una lettera di compliance per incassi POS non corrispondenti ai corrispettivi: è una multa?
R: No, la comunicazione di compliance non è una sanzione, ma un avviso bonario. Significa che l’Agenzia delle Entrate ha riscontrato un’anomalia nei tuoi dati (incassi elettronici più alti delle vendite dichiarate in uno o più mesi) e ti invita a verificarla. Non devi pagare nulla immediatamente. È l’occasione per correggere errori (tramite ravvedimento) o per fornire spiegazioni se ritieni di essere in regola. Se ignori l’avviso, però, l’Agenzia potrebbe successivamente emettere un accertamento con richieste di pagamento (imposte e sanzioni). Conviene quindi dare seguito alla lettera.
D: Cosa devo fare esattamente dopo aver ricevuto la lettera?
R: Per prima cosa, accedi al tuo cassetto fiscale o portale “Fatture e Corrispettivi” e consulta il dettaglio dell’anomalia (troverai l’elenco dei mesi e degli importi in questione). Poi confronta quei dati con la tua contabilità: verifica giorno per giorno gli incassi POS e i relativi scontrini o fatture che hai emesso. Individua quali incassi risultano non coperti da documenti. A questo punto hai due possibilità:
- Se trovi una spiegazione lecita per le differenze (es. errori tecnici, operazioni già fatturate con altro sistema, ecc.), prepara una relazione scritta da inviare all’Agenzia (anche via PEC o tramite il tuo commercialista) in cui spieghi dettagliatamente i motivi dello scostamento e alleghi la documentazione di prova (copia di fatture, ricevute, estratti conto) utile a dimostrare che non c’è stata evasione.
- Se invece ti accorgi che effettivamente hai omesso di emettere alcuni documenti (quindi hai incassato in nero), allora dovresti procedere a regolarizzare con ravvedimento operoso. Significa calcolare le imposte dovute su quei ricavi, più sanzioni ridotte e interessi, e versarle con F24. Contestualmente (o subito dopo il pagamento), comunichi all’Agenzia di aver effettuato il ravvedimento per sanare le irregolarità segnalate. In genere si allegano le ricevute dei versamenti F24 e si specifica che, ad esempio, “si è proceduto ad integrare la dichiarazione annuale dei redditi/IVA includendo i maggiori ricavi di € X, con versamento di € Y di imposta e € Z di sanzioni ridotte ai sensi dell’art.13 D.Lgs.472/97”. L’Agenzia a quel punto chiuderà la faccenda (potrebbero seguire controlli formali per verificare il corretto ravvedimento, ma se hai pagato giusto, non avrai ulteriori problemi).
In ogni caso, non lasciare passare troppo tempo: nella comunicazione l’Agenzia solitamente concede 30 giorni (o 60 giorni) per fornire riscontro. È bene rispettare tali termini per dare un segnale di collaborazione ed evitare che avviino iter di accertamento.
D: Come si effettua in concreto il ravvedimento operoso?
R: Il ravvedimento consiste essenzialmente nel presentare eventuali dichiarazioni integrative e nel versare le somme dovute. Se hai omesso ricavi in un anno passato, dovresti:
- Calcolare le imposte dovute su quei ricavi. In primis l’IVA: determina l’IVA che avresti dovuto versare (aliquota sul ricavo omesso). Poi calcola le imposte sui redditi (IRPEF o IRES) aggiuntive: queste dipendono dal tuo scaglione di reddito, potrebbe essere utile farti aiutare dal commercialista.
- Calcolare le sanzioni ridotte: la sanzione base per IVA non versata in dichiarazione è 90% dell’imposta; per IRPEF/IRES infedele è 90% della maggiore imposta. Applicando le riduzioni da ravvedimento (vedi tabella sopra), se sei oltre l’anno ma entro due, sarà 1/7 o 1/6 di 90%. Quindi ~15% dell’imposta evasa come sanzione.
- Calcolare interessi: dal momento in cui l’imposta era dovuta (di solito dal saldo annuale o acconto) fino al giorno di ravvedimento, al tasso legale (ad es. 1,25% annuo nel 2022, 5% nel 2023, 2024…). Gli interessi si calcolano giorno per giorno sull’imposta.
- Compilare modelli F24: vanno usati i codici tributo appropriati. Ad esempio, per sanare IVA 2022 non versata si può usare il codice tributo del periodo (e.g. 6099 per saldo annuale IVA) indicando anno di riferimento. Per le sanzioni IVA c’è un codice tributo specifico (che è 8904 per sanzioni IVA da ravvedimento). Analogamente per IRPEF/IRES (sanzione codice 8911). Spesso la stessa Agenzia, nella lettera, può aver indicato un “codice atto” da usare in F24: se lo hai, compilalo, perché così associano automaticamente il pagamento alla comunicazione di anomalia. Altrimenti, compila come ravvedimento generico. Attenzione a barrare la sezione “ravvedimento” sul modello (in genere bisogna indicare “RV”).
- Presentare eventuali dichiarazioni integrative: se i ricavi omessi sono rilevanti, sarebbe corretto presentare una dichiarazione integrativa (ad esempio Redditi 2023 integrativa per anno 2022) includendo quel maggior reddito. Questo a volte non viene fatto se le somme sono modeste e il ravvedimento riguarda soprattutto IVA. Tuttavia, per completezza, è opportuno farlo entro il termine di decadenza (entro il 31/12 del quinto anno successivo). La presentazione dell’integrativa ti mette al riparo anche su imposte dirette. In alternativa, se ti consulti con un esperto e valuti che è sufficiente il ravvedimento dell’IVA (perché magari sei in perdita fiscale e quei ricavi non cambiavano l’IRPEF), allora puoi limitarti a quello.
- Comunicare all’Agenzia di esserti ravveduto: non è strettamente obbligatorio scrivere all’ufficio, perché se paghi con F24 loro lo vedono. Ma è buona pratica rispondere alla PEC della comunicazione dicendo ad esempio: “In riferimento alla Vs comunicazione prot. XX, il sottoscritto conferma che alcuni corrispettivi non risultavano trasmessi per mero errore, e comunica di aver provveduto a regolarizzare la propria posizione mediante ravvedimento operoso in data …, come da F24 allegati. Si resta a disposizione per eventuali chiarimenti”. Allegare le contabili di pagamento F24 e, volendo, copia delle integrative trasmesse. Così si chiude il cerchio.
D: In caso di ravvedimento, pagherò anche la sanzione per i mancati scontrini?
R: Effettuando il ravvedimento operoso paghi in forma ridotta le sanzioni tributarie, che di fatto coprono la violazione. L’Agenzia, quando accetta il ravvedimento, di solito non procede a contestarti ulteriormente la mancata emissione come violazione a sé stante. In altri termini, se versi l’IVA evasa con sanzione ridotta, non ti faranno anche la multa di €500 per ogni scontrino mancante: quella è assorbita. Diverso è se la GdF ti avesse già verbalizzato le mancate emissioni prima che tu ravvedessi – in quel caso quel verbale resta valido, ma grazie al DL 131/2023 potevi ravvederti comunque e in tal caso il verbale viene archiviato senza sanzioni. Se invece fai tutto spontaneamente, l’ufficio chiuderà l’anomalia senza ulteriori atti. Quindi, la risposta è: no, non paghi due volte, il ravvedimento sistematicamente “sostituisce” le eventuali altre sanzioni collegate. L’importante è che il ravvedimento sia completo (imposta + sanzioni + interessi).
D: La lettera è arrivata, ma io sono convinto di aver emesso tutti gli scontrini. E se i dati dell’Agenzia fossero sbagliati?
R: È possibile, come abbiamo visto: ci sono stati casi di errori nei dati comunicati dagli operatori finanziari. Il primo passo è comunque verificare di persona: scarica l’elenco dettagliato delle transazioni contestate dal portale Fatture e Corrispettivi. Controlla se riconosci tutte le operazioni e cerca nel tuo registratore di cassa (o nel gestionale) gli scontrini corrispondenti a quelle date e importi. Se trovi gli scontrini, probabilmente l’Agenzia non li ha abbinati: forse perché in quell’aggregazione mensile non tornavano i totali, magari per un decimale o un arrotondamento. In questo caso, rispondi all’Agenzia allegando la copia degli scontrini o il registro corrispettivi dove risultano registrate quelle vendite. Spiega che i corrispettivi risultano regolarmente certificati e che a tuo avviso l’anomalia può essere frutto di duplicazioni o disallineamenti. L’Agenzia prenderà atto: se effettivamente fornisci prove solide, annullerà la segnalazione. Se invece dalla tua verifica risulta che mancano effettivamente dei pezzi (ad esempio: incasso carta di €100 il 10 marzo, ma nessuno scontrino di pari importo quel giorno), allora vuol dire che l’anomalia è reale. In tal caso, meglio regolarizzare. Ricorda che in ottobre 2023 l’Agenzia ha ufficialmente riconosciuto di aver inviato lettere con dati errati e le ha ritirate, quindi gli uffici sono consapevoli che possano capitare errori. Se sei certo di essere nel giusto, insisti e porta evidenze.
D: Posso ignorare la comunicazione e fare finta di nulla?
R: Tecnicamente non c’è un obbligo legale di risposta: non è una convocazione formale. Tuttavia, ignorarla è altamente sconsigliato. Se non rispondi né regolarizzi, l’Agenzia presumibilmente passerà il caso agli uffici accertatori, i quali emetteranno un avviso di accertamento per i maggiori ricavi non giustificati. A quel punto dovrai pagare imposte e sanzioni ben più elevate di quelle che avresti pagato ravvedendoti. Inoltre, potresti perdere la chance di ottenere riduzioni. Quindi ignorare la lettera conviene solo se sei assolutamente certo che sia infondata e, per qualche motivo, non vuoi neanche spiegare (ma non si vede perché). In tutti gli altri casi, meglio agire: rispondere o ravvedersi. Pensala così: la compliance è un “paracadute” che ti viene offerto prima della tempesta. Se non lo usi, poi arriva la tempesta (accertamento) e sarà peggio.
D: Sono un contribuente forfettario e nel 2022 non ero obbligato a fattura elettronica. Ho incassato alcuni pagamenti POS e ho fatto ricevute cartacee. Perché mi contestano che non ho fatture elettroniche?
R: Il sistema dell’Agenzia, nel confrontare i dati, non “vede” le ricevute cartacee perché non sono trasmesse telematicamente. Dunque risulta che hai incassato, ad esempio, 5.000 € in un mese con POS ma non hai né fatture elettroniche né corrispettivi telematici per quell’importo. È un tipico caso in cui l’anomalia è solo apparente: la normativa ti consentiva di emettere ricevute non elettroniche. Quello che devi fare è inviare all’Agenzia la documentazione che provi la regolarità: ad esempio, allega copia delle ricevute fiscali o delle fatture in formato analogico che hai rilasciato ai clienti per quelle transazioni. Spiega nella risposta che essendo forfettario (regime di vantaggio) sotto soglia, non eri tenuto all’obbligo di fatturazione elettronica nel 2022, e che comunque hai dichiarato quei compensi nella tua dichiarazione dei redditi. Magari allega anche stralcio del registro incassi o della tua dichiarazione dove i ricavi in questione compaiono. L’Agenzia in situazioni del genere dovrebbe prendere atto e archiviare la segnalazione. Tieni presente che dal 2024 tutti i forfettari emettono fatture elettroniche, quindi questo tipo di problema sarà transitorio. Ma per le annualità pregresse può succedere, e la soluzione è fornire le prove cartacee.
D: L’importo contestato è molto piccolo (poche centinaia di euro). Possono farmi un accertamento per così poco?
R: In linea di principio sì: anche 100 € non dichiarati costituiscono violazione. Tuttavia, l’Agenzia adotta criteri di economicità: difficilmente intraprende un accertamento lungo e costoso per recuperare poche decine di euro. Di solito c’è una soglia minima per far scattare le comunicazioni di compliance (spesso, differenze sopra alcune migliaia di euro o sopra una percentuale del volume d’affari). Se hai ricevuto la lettera, presumibilmente l’importo non è proprio irrisorio per loro standard. Ad ogni modo, conviene comunque sistemare: se è davvero piccolo, puoi ravvederti pagando magari 20-30 € di IVA e pochi euro di sanzione. Chiudere la questione ti eviterà noie future. Se invece sei convinto che non ci sia nulla di irregolare, rispondi come detto sopra. Ignorare confidando che “per poco non faranno nulla” è un rischio: magari non faranno subito un accertamento, ma quella anomalia rimane nei loro archivi e potrebbe contribuire a farti selezionare per un controllo più esteso negli anni successivi. Meglio sempre chiarire o regolarizzare, anche piccole cifre, per avere un profilo di rischio basso.
D: Ho effettuato il ravvedimento pagando tutto. Posso subire comunque la sospensione della licenza per i mancati scontrini?
R: No, se hai sanato le violazioni, non dovresti subire la sospensione. In particolare, se hai ravveduto le omissioni del 2022-2023 entro il 15/12/2023, la legge speciale ti tutela chiaramente: quelle violazioni non conteranno ai fini del computo delle 4 violazioni per la sospensione. Se invece ravvedi fuori da quella finestra speciale, in teoria l’ufficio potrebbe ancora considerare che in passato ci sono state omissioni (anche se sanate). Tuttavia, va detto che la sospensione viene applicata quando contestano quattro violazioni. Nel tuo caso, se ti sei ravveduto, non c’è stata contestazione formale di quelle omissioni. Quindi non hai precedenti ai sensi dell’art. 12, c.2 D.Lgs. 471/97. In pratica, se anche un domani ti beccassero a non fare uno scontrino, quello sarebbe il primo, non il quarto. Quindi ravvedendoti azzeri il contatore (almeno per quei casi). Difficilmente la Guardia di Finanza proporrebbe una sospensione basandosi su violazioni che l’Agenzia ha considerato regolarizzate. Quindi possiamo dire che, soprattutto se hai colto la sanatoria entro fine 2023, sei al sicuro. Se hai ravveduto dopo, sei comunque al riparo per il passato: ovviamente se in futuro ricominci a non fare scontrini e ti beccano più volte, tornerai a rischio sospensione, ma questo attiene a nuove violazioni.
D: Quanto tempo ha l’Agenzia per farmi un eventuale accertamento?
R: I termini di accertamento per il periodo d’imposta 2022 (ad esempio) scadono al 31 dicembre 2027 (sono 5 anni successivi a quello di presentazione della dichiarazione, che per il 2022 è stata presentata nel 2023, quindi 5 anni dal 2023). Se però c’è omessa dichiarazione, i termini diventano 7 anni. Nel nostro caso, tu probabilmente hai presentato la dichiarazione (anche se infedele), quindi 5 anni. Ciò significa che l’Agenzia potrebbe, teoricamente, notificare un avviso anche fra qualche anno relativo a queste difformità, se nel frattempo non risolte. In pratica però, avendoti già inviato la lettera di compliance nel 2023, è probabile che intervenga entro 1-2 anni successivi con un eventuale avviso, se intende farlo. Spesso gli avvisi bonari scaturiscono entro l’anno seguente alla comunicazione. Quindi, per esempio, se la lettera era di settembre 2023 e non hai fatto nulla, potresti aspettarti nel 2024 o 2025 un avviso di accertamento. Va anche detto che se hai risposto fornendo spiegazioni e l’ufficio non le ha ritenute valide, in alcuni casi ti inviano una seconda comunicazione in cui ribadiscono le somme dovute (una sorta di “avviso bonario” con importi) prima di emettere l’atto. Non sempre, ma capita. In ogni caso, la tua posizione resterà pendente finché non si chiude con ravvedimento, adesione o avviso definitivo.
D: Sono un commercialista/consulente: come devo assistere il cliente che riceve questa lettera?
R: In gran parte come descritto sopra: per prima cosa recupera i dati dettagliati dal portale Fatture e Corrispettivi (se hai delega), poi fai una verifica incrociata con la contabilità del cliente. Se il cliente ha un software gestionale, potrebbe esserci un report degli incassi POS vs scontrini: alcuni registratori generano già un alert se il cassiere ha incassato con POS ma non ha emesso scontrino, quindi guarda se risultano discrepanze lì. Dopo la verifica:
- Se la difformità è “fisiologica” (tipo il cliente era un forfettario con ricevute cartacee, o incassi di fine mese contabilizzati nel mese successivo, o errori di duplicazione noti), prepara una memoria difensiva. Nella memoria, sii sintetico ma preciso: indica per ogni importo contestato qual è la spiegazione (es: “nel mese di luglio 2022 risultano €5.000 di pagamenti elettronici non fatturati; in realtà €3.000 si riferiscono a fattura n.10 del 5/8/2022 emessa a cliente estero (operazione non imponibile, motivo per cui non appare tra corrispettivi IVA di luglio), e i restanti €2.000 sono dovuti a un errore di contabilizzazione bancaria già segnalato dall’istituto, come da documentazione allegata”). Allegare sempre i documenti chiave. Invia la memoria via PEC all’indirizzo indicato nella comunicazione (o tramite il cassetto fiscale se c’è funzione di risposta).
- Se invece la difformità deriva da omessa certificazione, quantifica insieme al cliente i ricavi non documentati e procedi al ravvedimento. Calcola con attenzione imposte e sanzioni. Se hai dubbi sui calcoli, puoi contattare l’ufficio per un confronto informale: a volte sono disponibili a dare riscontro su quanto si aspettano. Dopo il ravvedimento, prepara comunque una breve risposta comunicando che il cliente ha sanato il tutto (allega gli F24).
In entrambi i casi, aggiorna il cliente sulle possibili evoluzioni (che abbiamo discusso) e incoraggialo vivamente a migliorare la tenuta dei suoi adempimenti per il futuro: a volte queste lettere sono un salutare campanello d’allarme per correggere prassi scorrette. Il cliente andrà sensibilizzato sul fatto che oggi l’incrocio dei dati rende quasi certa la scoperta di eventuali vendite in nero, specie se transitano su circuiti tracciati. Meglio quindi evitare del tutto comportamenti irregolari che confidare di farla franca.
D: In futuro queste lettere di compliance arriveranno ogni anno?
R: È possibile. Il Provvedimento del 3/10/2023 ha istituito la procedura, che verosimilmente diventerà a regime. Ciò significa che per ogni anno d’imposta l’Agenzia confronterà i dati e, se emergono scostamenti significativi, invierà le comunicazioni di anomalia. Quindi, potenzialmente, potresti riceverne ogni anno finché persiste il problema. L’obiettivo è chiaramente far sì che, ricevendola una volta, il contribuente corra ai ripari e non commetta più le stesse violazioni negli anni seguenti. Se però dovesse rifarle, c’è da aspettarsi un nuovo avviso. Peraltro, le lettere potrebbero diventare via via più mirate e tempestive man mano che i sistemi informativi migliorano. Con l’interconnessione POS-registratore dal 2026, forse non serviranno più perché l’Agenzia avrà già i dati allineati; nel frattempo però (2023-2025) ci saranno sicuramente controlli analoghi. Insomma, preparati all’idea che questa è la “nuova normalità”: ogni anno, entro un paio d’anni dalla chiusura, incassi vs vendite saranno vagliati. Se sei in regola, non avrai nulla da temere e non riceverai nulla; se qualcosa sfugge, probabilmente ti verrà contestato.
D: Quali sono le fonti ufficiali di cui fidarsi per approfondire questo tema?
R: Segnaliamo alcuni riferimenti utili:
- Il Provvedimento AE 3/10/2023 n.352652 (lo trovi sul sito dell’Agenzia Entrate) – contiene le disposizioni attuative della comunicazione di anomalia.
- Il Comunicato Stampa AE 11/10/2023 – dove l’Agenzia spiega l’errore nelle prime lettere e l’iniziativa di annullamento.
- La Circolare SEAC n.59 del 17/10/2023 – commenta il provvedimento e la sanatoria (molti contenuti li abbiamo citati in questa guida).
- Articoli di stampa specializzata su Il Sole 24 Ore, FiscoOggi, FiscoeTasse tra ottobre e novembre 2023 – hanno trattato l’argomento con esempi.
- Sul fronte giurisprudenza: la Cassazione ord. 15586/2020 (presunzioni da POS non fatturati), la Cass. ord. 23700/2020 (sospensione licenza e accertamenti simultanei) e la Cass. ord. 24371/2022 (utilizzo risultanze POS per accertamento induttivo) sono pronunce chiave. Anche la Cass. pen. n. 5185/2020 ha chiarito aspetti sulle soglie penali e sospensione (in ambito scontrini).
- La Normativa di riferimento: D.Lgs. 471/97 (art.6 commi 2-bis, 3 e art.12), D.Lgs. 74/2000 (artt.4 e 5 per il penale), DL 124/2019 (art.22 c.5), DL 36/2022 (obbligo POS), DL 131/2023 (art.4 sanatoria), Legge 205/2023 (commi interconnessione POS).
Leggere direttamente le fonti normative è sempre utile per chi ha formazione giuridica.
Conclusioni
La mancata corrispondenza tra incassi da POS e corrispettivi telematici rappresenta un tipico esempio di come l’evoluzione digitale abbia cambiato il lavoro di controllo fiscale: ciò che un tempo richiedeva complesse verifiche (incrociare manualmente conti correnti e scontrini), oggi avviene in modo automatico e sistematico. Dal punto di vista dell’imprenditore o professionista, questo significa che qualsiasi scostamento lascia traccia e può venire alla luce con rapidità. Non esistono più “zone grigie” in cui far sparire ricavi se si utilizzano strumenti tracciati.
Tuttavia, il sistema offre anche opportunità di ravvedimento e collaborazione che, se colte per tempo, permettono di rimediare senza conseguenze irreparabili. Abbiamo visto come difendersi e come sfruttare a proprio vantaggio la fase di compliance: presentando le proprie ragioni quando si è nel giusto, o regolarizzando gli errori quando si è in torto. L’importante, dal punto di vista di chi riceve queste comunicazioni, è non sottovalutarle e adottare un atteggiamento proattivo. Ignorare l’avviso o procrastinare l’azione è la scelta peggiore, perché spiana la strada a sanzioni ben più pesanti in seguito.
In un’ottica preventiva, la vera difesa del contribuente consisterà nell’adeguarsi ai nuovi strumenti: formare il personale sull’uso corretto dei registratori telematici, integrare già ora (se possibile) i sistemi POS con la cassa, controllare quotidianamente la quadratura incassi vs scontrini, e in generale instaurare un ciclo di controllo interno che riduca al minimo le discrepanze. Così facendo, non solo si eviteranno lettere e accertamenti, ma si gestirà meglio l’attività (perché, spesso, dove ci sono differenze nei dati fiscali ci sono anche errori gestionali o perdite economiche non individuate).
Per i casi già emersi e non sanabili (perché magari scoperti dall’Autorità prima del ravvedimento), resta la via del contenzioso, dove comunque il contribuente ha diritti e possibilità di difesa che abbiamo illustrato, specie se le pretese fiscali sono eccessive o infondate. In queste sedi, l’assistenza di un professionista esperto (tributarista) è imprescindibile per far valere al meglio le proprie ragioni, eventualmente supportate da consulenze tecniche.
In conclusione, “come difendersi” da queste situazioni significa, in primo luogo, prevenire – con adempimenti corretti e tempestivi – e, in secondo luogo, affrontare con trasparenza e tempestività ogni rilievo del Fisco. Le normative attuali, pur severe, offrono strumenti di dialogo e soluzioni meno punitive per chi collabora. Il debitore intelligente lo capisce e ne fa uso, trasformando una potenziale crisi (una lettera di anomalia) in un momento per regolarizzare la propria posizione ed evitare guai futuri.
Come recita un noto adagio: “prevenire è meglio che curare”. Nel campo fiscale, prevenire significa emettere sempre lo scontrino o la fattura per ogni incasso, e curare significa ravvedersi subito se qualcosa è sfuggito. Con questa guida, speriamo di aver fornito ai contribuenti – imprenditori, professionisti e consulenti – gli strumenti conoscitivi per fare entrambe le cose con consapevolezza e successo.
Fonti e riferimenti (normativa, prassi e giurisprudenza)
- Agenzia delle Entrate – Provvedimento 3 ottobre 2023, Prot. n. 352652/2023 – “Modalità di comunicazione delle informazioni derivanti dal confronto tra pagamenti elettronici e fatture elettroniche/corrispettivi”.
- Agenzia delle Entrate – Comunicato Stampa 11 ottobre 2023 – “Errori commessi dagli operatori finanziari nelle comunicazioni dei pagamenti Pos. Informativa per le partite IVA che hanno ricevuto una lettera di compliance”.
- Art. 1, commi 634-636, Legge 190/2014 – Istituzione delle comunicazioni di compliance e utilizzo delle informazioni per favorire l’adempimento spontaneo.
- Art. 22, comma 5, DL 124/2019 (conv. L.157/2019) – Obbligo per banche e intermediari di comunicare all’AE i dati dei pagamenti elettronici giornalieri degli esercenti.
- Art. 6, commi 2-bis e 3, D.Lgs. 471/1997 – Sanzioni per omessa memorizzazione/trasmissione corrispettivi e omessa emissione di documenti fiscali (90% imposta, min €500).
- Art. 12, comma 2, D.Lgs. 471/1997 – Sanzione accessoria sospensione attività in caso di 4 violazioni di scontrino in 5 anni.
- Art. 13, D.Lgs. 472/1997 – Ravvedimento operoso (riduzione sanzioni a 1/9, 1/8, … 1/6 del minimo in base al tempo).
- Art. 4, DL 131/2023 (conv. L. 112/2023) – Sanatoria corrispettivi 2022-23: ravvedimento anche se violazioni constatate, entro 15/12/2023, con esclusione sospensione licenza.
- Legge di Bilancio 2024 (L. 197/2022) e 2025 (L. 205/2023) – Disposizioni sull’interconnessione obbligatoria POS-registratore telematico dal 2026 e relative sanzioni.
- Cassazione Civile, Sez. Tributaria – Ordinanza n. 15586 del 22/07/2020 – Legittimità di accertamento analitico-induttivo basato su POS > scontrini; presunzione di ricavi non dichiarati e onere della prova a carico del contribuente.
- Cassazione Civile, Sez. Trib. – Ordinanza n. 23700 del 28/10/2020 – Sospensione attività per omessi scontrini: applicabilità anche se violazioni contestate con unico atto; il favor rei sulla modifica normativa del 2007.
- Cassazione Civile, Sez. Trib. – Ordinanza n. 24371 del 05/08/2022 – Accertamento analitico-induttivo: l’uso di lavoratori in nero e risultanze POS come elementi per dichiarare inattendibile la contabilità e ricostruire i ricavi.
- Cassazione Penale, Sez. III – sent. n. 5185 del 26/02/2020 – In tema di scontrini omessi, conferma che la soglia penale (art.4 D.Lgs.74/2000) scatta solo oltre €100.000 imposta evasa e >10% ricavi sottratti, altrimenti resta illecito amministrativo.
- SEAC/ConsulenzaAgricola – circolari ottobre 2023 – Commenti al Provv. AE 3/10/2023 e istruzioni ravvedimento (Centro Studi SEAC).
Compliance per Mancata Corrispondenza tra Incassi mediante POS e Corrispettivi Telematici: Come Difendersi Con Studio Monardo
Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate perché risulta una differenza tra gli incassi registrati tramite POS e i corrispettivi telematici trasmessi?
Negli ultimi anni, il Fisco confronta in automatico i dati provenienti dai pagamenti elettronici (POS, carte, bancomat) con quelli trasmessi tramite i registratori telematici. Se emergono incongruenze, il contribuente riceve una comunicazione di anomalia. Ma non sempre l’errore è tuo e puoi difenderti con gli strumenti giusti.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la lettera ricevuta e i dati trasmessi da banche, gestori POS e registratori telematici
- 📌 Verifica se l’incongruenza è reale o frutto di duplicazioni, errori tecnici o scostamenti fisiologici
- ✍️ Redige una risposta formale e motivata all’Agenzia delle Entrate per chiarire la tua posizione
- ⚖️ Ti difende nel caso in cui venga avviato un accertamento fiscale basato sull’anomalia riscontrata
- 🔁 Ti assiste in eventuali definizioni agevolate, ravvedimenti o opposizioni a sanzioni
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso da anomalia nei corrispettivi
- ✔️ Specializzato nella tutela di commercianti, artigiani e liberi professionisti contro accertamenti automatizzati
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Una discrepanza tra incassi POS e corrispettivi trasmessi può essere spiegata e contestata. Ignorare la lettera può portare a sanzioni o accertamenti, ma una risposta tecnica può evitarli.
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