Quanto Tempo Passa Da Avviso Bonario a Cartella Esattoriale?

Hai ricevuto un avviso bonario dall’Agenzia delle Entrate e ti stai chiedendo quanto tempo hai per pagare prima che venga emessa una cartella esattoriale? Comprendere bene le scadenze è fondamentale per evitare sanzioni più gravi, iscrizioni a ruolo, pignoramenti e aggravi di spesa.

Cos’è un avviso bonario?
È una comunicazione che l’Agenzia delle Entrate invia a seguito di controlli automatici o formali sulla dichiarazione dei redditi, IVA o IRAP, per segnalarti la presenza di un’imposta dovuta o di una differenza da versare. Non è ancora un atto esecutivo, ma è il primo passo prima dell’iscrizione a ruolo.

Quanto tempo passa tra l’avviso bonario e la cartella esattoriale?
– Hai 30 giorni di tempo dalla data di ricezione dell’avviso bonario per pagare (in un’unica soluzione o chiedere la rateazione)
– Se non paghi o paghi solo in parte, trascorsi i 30 giorni, l’Agenzia delle Entrate può emettere la cartella esattoriale
– In pratica, la cartella può arrivare già a partire dal 31° giorno, anche se nella prassi può passare qualche settimana o mese
– Se hai chiesto la rateazione, il processo si sospende finché rispetti i pagamenti

Cosa succede se ignori l’avviso bonario?
– L’importo dovuto viene iscritto a ruolo, con l’aggiunta dell’aggio di riscossione, degli interessi e delle sanzioni piene
– Ti verrà notificata una cartella esattoriale da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione
– In caso di mancato pagamento anche della cartella, partiranno le azioni esecutive: pignoramenti, fermi, ipoteche, blocchi conto

Come evitare la cartella?
– Se riconosci il debito, puoi pagare l’importo entro 30 giorni con sanzioni ridotte
– Puoi chiedere la rateizzazione direttamente all’Agenzia, se non riesci a pagare tutto subito
– Se ritieni l’avviso errato, puoi inviare una istanza di annullamento in autotutela, allegando la documentazione
– Se hai già pagato, ma non risulta, puoi provare l’avvenuto pagamento con quietanze e modelli F24

Perché è meglio intervenire prima della cartella?
– Pagare dopo la cartella comporta maggiori costi e meno possibilità di difesa
– Con l’avviso bonario puoi beneficiare di sanzioni ridotte fino a un terzo
– Puoi chiedere rate più facilmente e senza presentare garanzie
– Puoi evitare l’iscrizione a ruolo, che può danneggiare la tua affidabilità fiscale

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa da cartelle esattoriali ti spiega quanto tempo hai dopo un avviso bonario per intervenire, cosa succede se non agisci e come puoi evitare che la situazione peggiori.

Hai ricevuto un avviso bonario e vuoi sapere se puoi ancora evitare la cartella? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a verificare i termini, rispondere all’Agenzia e proteggere la tua posizione fiscale.

Introduzione

L’avviso bonario e la successiva cartella esattoriale (o cartella di pagamento) rappresentano due fasi chiave nel procedimento di riscossione coattiva dei tributi e contributi in Italia. Comprendere quanto tempo intercorre tra l’avviso bonario e la cartella esattoriale significa analizzare i termini previsti dalla normativa, le recenti modifiche legislative (aggiornate a luglio 2025), nonché le tutele e azioni a disposizione del contribuente (debitore) per gestire al meglio la propria posizione fiscale o contributiva. In questa guida avanzata, rivolta sia a professionisti (avvocati, commercialisti) sia a privati cittadini e imprenditori, esamineremo:

  • Le definizioni e differenze tra avviso bonario e cartella esattoriale, con riferimenti normativi italiani.
  • I termini temporali: dalla notifica dell’avviso bonario all’eventuale emissione della cartella, con le ultime novità (ad es. termini estesi a 60 giorni dal 2025).
  • Il punto di vista del debitore: cosa fare quando si riceve un avviso bonario, come reagire (pagamento, rateizzazione, contestazione), e come difendersi da una cartella (sospensione, ricorso, eccezioni procedurali).
  • Tabelle riepilogative dei termini e sanzioni applicabili nelle varie fasi, nonché delle tempistiche di decadenza e prescrizione dei debiti.
  • Domande e risposte frequenti, con esempi pratici interamente basati sul contesto italiano, per chiarire i dubbi più comuni (es. “Cosa succede se ignoro l’avviso bonario?” oppure “Quanti anni ha il Fisco per notificare la cartella?”).
  • Richiami a giurisprudenza aggiornata (sentenze di Corte di Cassazione) e circolari ufficiali, per un taglio tecnico-giuridico ma anche divulgativo.

Prima di addentrarci nei dettagli, è bene ricordare un principio generale: l’avviso bonario è concepito come un’opportunità per il contribuente di regolarizzare la propria posizione con sanzioni ridotte, evitando le conseguenze più gravose della riscossione forzata. La cartella esattoriale, invece, rappresenta già la fase di riscossione coattiva (affidata all’Agente della Riscossione) ed espone il debitore a sanzioni piene e possibili azioni esecutive (pignoramenti, fermi, ipoteche). Tenere a mente questo rapporto di progressività aiuta a capire perché è fondamentale non sottovalutare l’avviso bonario e agire tempestivamente, come vedremo nei prossimi paragrafi.

(N.B.: Tutti i riferimenti normativi e giurisprudenziali sono aggiornati a luglio 2025. Le fonti utilizzate sono elencate in una sezione dedicata alla fine della guida.)

Cos’è un avviso bonario?

L’avviso bonario – noto anche come comunicazione di irregolarità – è una comunicazione inviata dall’Agenzia delle Entrate (o da enti previdenziali come INPS) per informare il contribuente che, a seguito di controlli sulla sua dichiarazione o sulla sua posizione, sono emerse differenze o omissioni che comportano imposte/contributi non versati. Non si tratta di un atto impositivo definitivo, ma di un invito “amichevole” a regolarizzare prima che scatti la riscossione forzosa. In altre parole, è il “campanello d’allarme” che precede l’iscrizione a ruolo del debito e l’emissione della cartella esattoriale.

  • Base normativa (controlli automatici e formali): Gli avvisi bonari in ambito fiscale derivano principalmente da due tipi di controlli sulla dichiarazione dei redditi:
    • Il controllo automatizzato (ex art. 36-bis DPR 600/1973 per le imposte dirette, e art. 54-bis DPR 633/1972 per l’IVA), che verifica aritmeticamente la dichiarazione e i versamenti eseguiti. Se dal confronto tra il dichiarato e il versato emerge un importo a debito (ad es. perché il contribuente ha versato meno del dovuto), l’esito viene comunicato tramite avviso bonario. In questa fase le sanzioni amministrative per omesso versamento sono applicate in misura ridotta ad 1/3 (quindi 10% anziché 30% normalmente) qualora si paghi nei termini dell’avviso.
    • Il controllo formale (ex art. 36-ter DPR 600/1973), che è un esame più approfondito su determinati oneri detraibili/deducibili o dati della dichiarazione. In questo caso l’ufficio fiscale può chiedere documenti al contribuente e, se riscontra errori (es. detrazioni non spettanti, incongruenze), è tenuto a comunicare gli esiti prima di iscrivere a ruolo la maggiore imposta dovuta. In caso di controllo formale, le sanzioni sono ridotte a 2/3 di quelle ordinarie se si paga nei termini dell’avviso (ossia 20% invece di 30%).
  • Contenuto dell’avviso bonario: tipicamente indica le imposte o i contributi dovuti in più, gli interessi calcolati fino a quella data e le sanzioni ridotte applicate. Vi è allegato il modello di pagamento (es. mod. F24 già precompilato) per versare quanto richiesto. Spesso l’avviso bonario include anche informazioni sulla possibilità di chiedere rateizzazione del dovuto (vedi oltre) e le istruzioni per fornire chiarimenti se il contribuente ritiene vi sia un errore.
  • Differenza da un avviso di accertamento: è importante non confondere l’avviso bonario con l’avviso di accertamento. Quest’ultimo è un atto impositivo formale con cui l’ente (Agenzia Entrate o altro) accerta maggiori imposte spesso a seguito di verifiche o controlli sostanziali (oltre la dichiarazione presentata). L’avviso di accertamento, specie dopo la riforma del 2011, ha efficacia di titolo esecutivo trascorsi 60 giorni dalla notifica, senza necessità di cartella esattoriale. Invece, l’avviso bonario è solo una comunicazione interlocutoria: non è ancora esecutivo, ma il mancato riscontro porta all’iscrizione a ruolo e successiva cartella. In sintesi, l’avviso bonario segnala irregolarità su dichiarazioni presentate dallo stesso contribuente, mentre l’accertamento è un atto autoritativo anche in caso di mancata dichiarazione o di verifica esterna, e segue regole in parte diverse (ad esempio, l’avviso di accertamento non pagato nei 60 gg diventa esso stesso atto esecutivo per la riscossione).
  • Obbligatorietà dell’avviso bonario: La legge – e lo Statuto dei Diritti del Contribuente (L. 212/2000, art. 6, co.5) – prevede l’obbligo di comunicare al contribuente l’esito dei controlli automatici/formali prima di iscrivere a ruolo somme per differenze riscontrate. In altre parole, la cartella di pagamento successiva è nulla se l’avviso bonario non è stato preventivamente notificato nei casi in cui era dovuto. Questo principio è confermato da una giurisprudenza ormai consolidata: “Nulla la cartella di pagamento notificata a seguito di controllo formale se manca la preventiva comunicazione dell’esito (avviso bonario)” – cfr. Cass. n. 15311/2014. Tuttavia, occorre distinguere:
    • Se la difformità riguarda un mero omesso versamento di importi dichiarati (cioè il contribuente ha presentato la dichiarazione ma non ha pagato il dovuto), non vi sono “incertezze” da chiarire: in tal caso la Cassazione ha ritenuto che l’invio dell’avviso bonario non è strettamente obbligatorio e la sua omissione non comporta nullità della cartella. L’omissione è considerata una “mera irregolarità” sanabile, e semmai il contribuente conserva la possibilità di beneficiare della sanzione ridotta anche dopo, pagando appena riceve la cartella. Ciò in quanto, per omessi versamenti da dichiarazione, lo sconto sanzionatorio del 10% non sarebbe comunque spettato ex art. 2, c.2 D.Lgs. 462/1997.
    • Se invece emergono differenze sull’imposta dichiarata (es. errori di calcolo, disallineamenti, oneri non spettanti, ecc.), oppure nel controllo formale l’ufficio rettifica deduzioni/detrazioni, allora l’avviso bonario è procedimento obbligato. La mancata notifica preclude al contribuente la possibilità di chiarimento e pagamento agevolato, e la cartella è suscettibile di annullamento per violazione del contraddittorio. Ad es. Cassazione n. 28311/2021 ha ribadito che, in caso di controllo formale ex art. 36-ter, l’omessa comunicazione degli esiti comporta la nullità della cartella emessa successivamente. In definitiva, il preventivo avviso bonario è sempre dovuto qualora dal controllo risultino maggiori imposte o difformità rispetto al dichiarato, mentre non è preteso (dalla legge né dalla giurisprudenza più recente) se si tratta di semplice recupero di somme già auto-dichiarate ma non versate, non essendoci incertezza materiale su cui dialogare.
  • Finalità “collaborativa”: l’avviso bonario incarna il principio di collaborazione tra Fisco e contribuente. Esso permette di evitare la reiterazione di errori e di regolarizzare aspetti formali senza ricorrere subito a misure coercitive. In questa fase, come accennato, le sanzioni vengono ridotte (1/3 o 2/3 delle ordinarie a seconda del tipo di controllo) per incentivare il contribuente a pagare tempestivamente. Inoltre, l’avviso bonario non preclude il dialogo: il contribuente può chiedere un riesame o segnalare eventuali pagamenti effettuati, errori dell’ufficio, ecc., spesso tramite il canale telematico Civis messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate.
  • Termini per rispondere e pagare: Tradizionalmente l’avviso bonario richiedeva risposta/pagamento entro 30 giorni dal ricevimento. Tuttavia, con le novità normative del 2024 (Decreto Legislativo 5 agosto 2024, n. 108), dal 1° gennaio 2025 il termine è stato esteso a 60 giorni. Questa modifica consente più tempo al contribuente per valutare e attivarsi. Nota: per avvisi elaborati (emessi) fino al 31/12/2024 resta in vigore il vecchio termine di 30 giorni, anche se notificati nel 2025. Dunque è importante controllare la data di elaborazione dell’atto:
    • avviso bonario elaborato entro il 2024 → 30 giorni per pagare o iniziare il piano;
    • avviso bonario elaborato dal 2025 in poi → 60 giorni di tempo.
      Inoltre, per gli avvisi trasmessi tramite intermediari fiscali (es. al commercialista delegato), il nuovo termine è 90 giorni dalla comunicazione telematica all’intermediario, riconoscendo tempi più lunghi per gestire i casi intermediati.
  • Modalità di notifica e consultazione: l’avviso bonario viene notificato con lettera raccomandata A/R all’indirizzo del domicilio fiscale del contribuente (o PEC per aziende e professionisti dotati di domicilio digitale). Dal 2025, tutte le comunicazioni di irregolarità sono anche disponibili nel Cassetto Fiscale telematico in tempo reale. Questo significa che il contribuente può accedere online al proprio profilo fiscale e trovare copia dell’avviso, gli importi, le scadenze e persino monitorare gli esiti di eventuali richieste o impugnazioni. L’integrazione con il sistema Civis consente di inviare istanze di rettifica o chiedere rateazione direttamente online, migliorando efficienza e tracciabilità. In sintesi, la digitalizzazione (cassetto fiscale, Civis) rende più tempestiva e trasparente la gestione degli avvisi bonari dal 2025.

Riassumendo, l’avviso bonario è la fase preliminare (ma cruciale) attraverso cui il Fisco o l’ente previdenziale segnala un debito emergente, offrendo al contribuente una chance di rimediare prima della vera e propria cartella esattoriale. Di seguito vedremo come funzionano le cartelle e, soprattutto, quali sono i tempi e le interazioni tra questi due momenti.

Cos’è e come funziona la cartella esattoriale?

La cartella di pagamento (spesso chiamata comunemente cartella esattoriale) è l’atto attraverso cui l’Agente della Riscossione richiede formalmente al contribuente il pagamento di somme dovute e iscritte a ruolo dall’ente creditore (Agenzia Entrate, INPS, ente locale, etc.). In pratica, è il veicolo attraverso il quale il debito diventa esigibile coattivamente, costituendo titolo esecutivo per eventuali azioni forzate (pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche) se non pagata nei termini. Ecco le caratteristiche salienti:

  • Ruolo e Agente della riscossione: La cartella nasce dall’iscrizione a ruolo del credito. Il ruolo è un elenco/mandato che l’ente creditore (ad es. Agenzia delle Entrate per tributi, INPS per contributi) trasmette all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) con i dettagli dei debitori e importi da riscuotere. L’Agente, sulla base di tale ruolo, emette e notifica la cartella di pagamento a ciascun debitore. La cartella contiene quindi l’intimazione a pagare entro un certo termine (60 giorni) e il dettaglio delle somme iscritte a ruolo (imposte, interessi di mora, sanzioni, aggi della riscossione, spese di notifica).
  • Contenuto obbligatorio: La cartella deve indicare una serie di elementi essenziali a pena di nullità, tra cui: i dati del debitore, la causale del credito (es. imposta tal dei tali, anno d’imposta, numero atto, ecc.), la ripartizione tra imposta, interessi e sanzioni, l’Agente competente per territorio e la data di formazione del ruolo. Inoltre, deve recare l’intimazione ad adempiere entro 60 giorni dalla notifica, con avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata (pignoramento) senza ulteriore preavviso. La cartella riporta anche le istruzioni per il pagamento (tradizionalmente bollettini RAV, oggi spesso anche QR-code per pagamenti elettronici) e le indicazioni su come chiedere eventualmente rateazione o proporre ricorso.
  • Termine per il pagamento: 60 giorni dalla notifica. Questo termine è uniforme per tutte le cartelle (ed è stato preso a modello per estendere a 60 gg anche gli avvisi bonari dal 2025, proprio per uniformità). Entro questi 60 giorni il debitore può pagare l’intero importo (evitando l’aggravio di ulteriori interessi di mora e misure esecutive) oppure attivarsi per una dilazione (come vedremo). Decorso il termine, senza pagamento né sospensione, l’Agente della Riscossione può avviare le procedure esecutive e cautelari: pignoramenti di conto corrente, stipendio o pensione; iscrizione di ipoteca su immobili; fermo amministrativo su veicoli; fino alla vendita forzata dei beni pignorati. Da notare che non è più necessaria alcuna ulteriore comunicazione per iniziare l’esecuzione forzata: la cartella stessa vale come precetto. (Eccezione: di norma l’Agente invia comunque un preavviso di fermo o ipoteca prima di tali azioni e, se trascorre più di un anno dalla notifica della cartella senza che sia iniziata esecuzione, deve notificare un avviso di intimazione 5 giorni prima di procedere. Ma si tratta di avvisi successivi interni alla fase esecutiva).
  • Notifica della cartella: Deve avvenire secondo le modalità previste per gli atti tributari: tramite messi notificatori, raccomandata A/R, PEC (obbligatoria per imprese e professionisti), o soggetti abilitati. La notifica può essere diretta o a mezzo posta, e va effettuata nel rispetto delle tempistiche di legge (termini di decadenza, vedi oltre). Se la notifica non va a buon fine, l’Agente deve eseguire le formalità di compiuta giacenza o notificare per il tramite di pubblici proclami a seconda dei casi.
  • Decadenza: termine massimo per notificare la cartella – La legge impone che le cartelle di pagamento siano notificate entro determinati termini per non decadere dal diritto di riscuotere. Tali termini variano in funzione della natura del credito:
    • Per imposte da controllo automatizzato (ex 36-bis) relative a dichiarazioni presentate, la cartella deve essere notificata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Esempio: dichiarazione dei redditi 2022 (presentata nel 2023) → eventuale cartella da controllo automatizzato va notificata entro il 31/12/2026.
    • Per imposte da controllo formale (36-ter), c’è un anno in più: entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (dando più tempo all’ente per eseguire verifiche formali e inviare l’avviso bonario).
    • Per accertamenti d’ufficio o in rettifica (avvisi di accertamento non pagati né impugnati), la regola generale (valida per atti fino al 2010, prima dell’accertamento esecutivo) era la notifica della cartella entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’avviso di accertamento è divenuto definitivo. In pratica, se un avviso di accertamento (per es. notificato nel 2018) non veniva impugnato ed è divenuto definitivo nel 2019, la cartella su di esso andava notificata entro il 31/12/2021. (Nota: Dal 2011 in poi, per i tributi erariali l’avviso di accertamento è direttamente titolo esecutivo e non viene più emessa cartella; tuttavia il termine biennale resta concettualmente per l’affidamento al concessionario e l’eventuale intimazione di pagamento in caso di mancato versamento dell’accertamento esecutivo).
    • Per contributi previdenziali: oggi la riscossione avviene con avviso di addebito INPS (non cartella, vedi sezione successiva), notificato direttamente dall’INPS con valore esecutivo. Anche qui vige un termine di decadenza per l’emissione dell’avviso di addebito, che coincide col termine di prescrizione quinquennale dei contributi (5 anni dalla data in cui il contributo è dovuto, salvo atti interruttivi) – essendo i contributi soggetti a prescrizione breve ex L.335/1995. In altre parole, l’INPS deve notificare l’avviso di addebito (o almeno un atto interruttivo) entro 5 anni, altrimenti il credito contributivo si estingue per prescrizione.
    • Per tributi locali (IMU, TARI, ecc.): anch’essi soggetti a termini decadenziali specifici per la notifica degli atti di accertamento e delle ingiunzioni/cartelle. In genere, l’accertamento va notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo (ad es. IMU 2020 entro fine 2025) e, una volta definitivo, la cartella o ingiunzione deve rispettare la prescrizione quinquennale (trattandosi di entrate locali periodiche). Approfondiremo la prescrizione più avanti.
    In sintesi: la cartella esattoriale deve arrivare entro pochi anni dall’anno di imposta o dall’atto presupposto, a pena di decadenza. Ciò tutela il debitore dal vedersi recapitare pretese a distanza di tempi troppo lunghi. Ad esempio, un controllo automatizzato su una dichiarazione presentata nel 2019 non può trasformarsi in cartella dopo il 2022 (terzo anno successivo). Se ciò accade, il contribuente potrà eccepire la decadenza e far annullare la cartella. (Attenzione però: questi termini possono essere sospesi in caso di ricorsi pendenti o provvedimenti di sospensione generalizzata – si pensi alle sospensioni Covid nel 2020/21 – ma tali dettagli esulano da questa trattazione generale).
  • Importi indicati in cartella: rispetto all’avviso bonario, sulla cartella vengono normalmente iscritti:
    • L’imposta non versata (o la maggiore imposta risultante).
    • Gli interessi di mora calcolati dall’Agente dal giorno successivo alla scadenza dei 60 giorni dell’avviso bonario (o dalla scadenza originaria se non c’è stato bonario) fino alla data di formazione della cartella.
    • Le sanzioni in misura piena. Infatti, se si è arrivati alla cartella, significa che il contribuente non ha pagato l’avviso bonario nei termini: pertanto perde il beneficio della sanzione ridotta. Ad esempio, per controlli automatizzati la sanzione passa dal 10% (ridotto) al 30%. Nota: Recenti disposizioni hanno ridotto la sanzione piena per omesso versamento dal 30% al 25% (violazioni dal 1/9/2024), ma restano comunque più alte che in sede bonaria.
    • L’aggio della riscossione (compenso di legge per l’Agente, oggi a carico del debitore in misura percentuale sull’importo – attualmente intorno al 3% se si paga entro 60 gg, o aumentato al 6% oltre i 60 gg). Dal 2022 l’aggio è stato sostituito da una “quota a titolo di oneri di funzionamento” dell’ente riscossore, con percentuali analoghe che restano a carico del debitore.
    • Le spese di notifica della cartella e eventuali altri costi (es. spese per procedure cautelari se già avviate).

In sostanza, se il contribuente non ha approfittato dell’avviso bonario, la cartella presenterà il conto “aggravato”: più interessi, sanzione al 25-30% (anziché 10% o 20%), e aggiuntive spese. Inoltre attiva formalmente la fase di riscossione coattiva, con potere per l’esattore di procedere forzosamente. È chiaro quindi che conviene intervenire in sede di avviso bonario, se possibile. Ma quanti mesi o anni passano mediamente tra queste due fasi? Analizziamo ora le tempistiche.

Tempistiche: dall’avviso bonario alla cartella esattoriale

Quanto tempo trascorre tra la notifica di un avviso bonario e l’eventuale emissione di una cartella esattoriale? La risposta dipende da vari fattori: i termini concessi al contribuente per pagare, l’eventuale richiesta di rateizzazione, i carichi di lavoro dell’ente e soprattutto i termini di decadenza entro cui l’ente deve affidare il ruolo. Di seguito esaminiamo il percorso temporale tipico, distinguendo tra debiti tributari gestiti dall’Agenzia delle Entrate e debiti contributivi verso enti previdenziali (INPS/INAIL), tenendo presente le ultime novità normative.

1) Casi di tributi fiscali (Agenzia Entrate)

Quando l’Agenzia delle Entrate riscontra un’irregolarità su una dichiarazione, il flusso temporale standard è il seguente:

  • Notifica dell’avviso bonario: da parte dell’Agenzia Entrate, tramite PEC (se disponibile) o posta, contenente la comunicazione di irregolarità. Ciò in genere avviene entro l’anno o i due anni successivi alla presentazione della dichiarazione. Ad esempio, per dichiarazioni presentate nel 2023, è normale ricevere eventuali avvisi bonari tra fine 2023 e il 2024 (i controlli automatizzati vengono elaborati di solito entro l’anno successivo). La normativa impone che questi controlli siano effettuati tempestivamente, e infatti il termine ultimo per emettere (elaborare) l’avviso bonario del controllo automatizzato è la fine del secondo anno successivo alla dichiarazione. Esempio: Dichiarazione Redditi 2021 (presentata nel 2022) → controlli automatizzati devono concludersi entro il 31/12/2023 e l’eventuale avviso bonario spedito in tempo utile. Se così non fosse, l’ufficio non potrebbe più iscrivere a ruolo quell’eventuale imposta, decadendo dalla potestà di riscossione coattiva (salvo casi di dolo o dichiarazione infedele che seguirebbero procedure di accertamento). Dunque, il primo “termine” rilevante è che l’avviso bonario arrivi entro 2 anni circa dalla dichiarazione (per controlli automatizzati) o entro 3 anni per controlli formali.
  • Tempo a disposizione del contribuente sull’avviso bonario: come detto, attualmente 60 giorni (dal 2025) per pagare o contestare. Durante questo periodo, la riscossione resta sospesa: l’Agenzia Entrate non può iscrivere a ruolo le somme prima che scada il termine dell’avviso bonario, né ovviamente può farlo se il contribuente paga o sta interloquendo per un riesame. Se il contribuente fornisce chiarimenti (ad esempio tramite Civis) contestando in tutto o in parte l’irregolarità, l’ufficio esaminerà la risposta e potrà emettere un nuovo avviso bonario rettificativo o annullare la richiesta. Questo può estendere un po’ i tempi, perché l’interlocuzione sospende i termini finché non c’è un riscontro definitivo. In pratica, se si avvia un dialogo con l’ufficio entro i 60 gg, la pratica può protrarsi per qualche mese in attesa di definizione; solo dopo l’eventuale esito negativo l’ente passerà alla cartella.
  • Mancato pagamento nei termini: se il contribuente ignora l’avviso bonario (nessun pagamento e nessuna risposta), allo scadere dei 60 giorni l’importo diventa esigibile. A questo punto, l’Agenzia delle Entrate può procedere all’iscrizione a ruolo del debito. La norma (D.Lgs. 462/1997) prevedeva già in passato che, decorso il termine, le somme non pagate “sono iscritte a ruolo” con le sanzioni piene e interessi. Non c’è un ulteriore preavviso: semplicemente il fascicolo viene trasmesso all’Agente della Riscossione per l’emissione della cartella. In teoria, dunque, trascorsi i 60 giorni l’ente potrebbe immediatamente formare il ruolo e far partire la cartella. In pratica, tuttavia, passano alcuni mesi prima che la cartella venga effettivamente notificata. Ciò dipende dai flussi interni: spesso l’iscrizione a ruolo avviene in lotti periodici. Ad esempio, per i controlli dell’anno, l’Agenzia potrebbe emettere i ruoli a fine anno o in determinate finestre. Inoltre, la legge impone che la cartella sia emessa entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di scadenza dell’avviso bonario in molti casi, proprio per rispettare i termini di decadenza visti sopra. Ad esempio, se un avviso bonario (dich. 2021) scade a settembre 2023 senza pagamento, l’ufficio dovrà far emettere la cartella entro dicembre 2024 al più tardi (terzo anno dopo dichiarazione 2021). Sovente però la cartella arriva molto prima di quel limite finale, spesso entro pochi mesi dallo scadere del bonario. Esempio pratico: Un contribuente riceve un avviso bonario a giugno 2025 (per IRPEF 2023). Ha tempo fino a fine agosto 2025 per pagare. Se non fa nulla, presumibilmente tra fine 2025 e la prima metà del 2026 l’Agenzia Entrate-Riscossione notificherà la cartella di pagamento con le somme (ora comprensive di sanzione 30% e interessi). In ogni caso, entro il 31/12/2027 la cartella deve essere notificata (terzo anno dopo l’anno di presentazione 2024 della dichiarazione 2023), pena la decadenza.
  • Rateizzazione in corso: un altro elemento temporale è la dilazione di pagamento. Se il contribuente entro i 60 giorni aderisce chiedendo una rateizzazione dell’avviso bonario, i tempi di emissione di un’eventuale cartella si allungano o vengono congelati. Infatti, con la rateizzazione l’iscrizione a ruolo non avviene purché il piano sia rispettato. L’Agente della Riscossione entrerà in gioco solo se il contribuente decade dalla rateizzazione (ad esempio saltando 5 rate anche non consecutive, secondo le regole vigenti). In caso di decadenza, verrà iscritto a ruolo l’importo residuo non versato in unica soluzione, con possibilità per l’Agente di procedere cautelarmente (ipoteca). Ma fintanto che il piano a rate è attivo, il debitore non è considerato inadempiente e non subisce azioni esecutive. Quindi, qualora si sia optato per un pagamento dilazionato dell’avviso bonario:
    • La prima rata va pagata entro 60 giorni dall’avviso.
    • Le rate successive seguono la cadenza prevista (trimestrale, salvo nuove disposizioni, vedi sezione rateizzazione).
    • Se tutte le rate vengono pagate, nessuna cartella verrà mai emessa per quel debito (si chiude tutto in via amministrativa).
    • Se invece si interrompe il pagamento e si decade, allora solo dopo la decadenza l’ente iscriverà a ruolo il residuo. Ciò significa che la cartella arriverà solo successivamente, e comunque entro i termini di decadenza computati tenendo conto anche del periodo di rateazione (spesso c’è una normativa di sospensione della decadenza durante piani di rateazione in corso).
  • Impugnazione (ricorso) dell’avviso bonario: questa è una novità sostanziale degli ultimi tempi. Dal 2023-2025 si è affermata (prima in giurisprudenza, poi avallata dal D.Lgs. 108/2024) la possibilità per il contribuente di impugnare direttamente l’avviso bonario davanti al giudice tributario, senza attendere la cartella. Tradizionalmente, l’avviso bonario non era considerato atto impugnabile (non rientrava tra quelli elencati nell’art. 19 D.Lgs. 546/1992) e si riteneva che occorresse aspettare la cartella per fare ricorso. Tuttavia, la Cassazione n. 24390/2022 ha cambiato orientamento, qualificando l’avviso bonario come atto impositivo autonomamente impugnabile perché esprime già una pretesa definita. La riforma del 2024 di fatto ha preso atto di ciò: ora “il contribuente può proporre ricorso entro 60 giorni dalla comunicazione di irregolarità”. Che effetti ha il ricorso tempestivo? Se il contribuente notifica un ricorso contro l’avviso bonario entro 60 giorni, la riscossione viene sospesa sino alla decisione. In pratica si apre subito il contenzioso tributario e l’Agente della Riscossione non può emettere cartella nel frattempo. Questo naturalmente incide sui “tempi”: la questione potrà durare anche anni in tribunale (Commissione Tributaria di primo e secondo grado, ed eventualmente Cassazione). Solo dopo la definizione giudiziaria, se il contribuente risulta soccombente (perde il ricorso), l’ente potrà iscrivere a ruolo le somme confermate e far notificare la cartella. In tal caso i tempi si allungano di tutti gli anni del contenzioso, e la cartella dovrà comunque essere notificata entro termini specifici dal passaggio in giudicato (generalmente entro 2 anni dalla definitività della sentenza, in analogia con gli accertamenti definitivi). Se invece il contribuente vince in giudizio, ovviamente la cartella non verrà mai emessa (l’avviso bonario sarebbe annullato dal giudice). Esempio: avviso bonario ricevuto a luglio 2025, ricorso proposto a settembre 2025. L’udienza di primo grado si tiene nel 2026 e il contribuente perde; fa appello in CTR e nel 2028 viene confermato il debito. A questo punto l’Agenzia Entrate potrebbe emettere cartella tra il 2028 e il 2029. I termini di decadenza originari (che sarebbero scaduti nel frattempo) non impediscono la riscossione, perché il contenzioso li ha sospesi/fermati: la legge infatti considera che l’impugnazione dell’avviso bonario equivalga a impugnazione di un atto impositivo, quindi finché la sentenza non è definitiva i termini sono congelati. Il contribuente, a sua tutela, in genere chiederà anche la sospensione giudiziale dell’atto impugnato se reputa di aver ragione, ma nel caso degli avvisi bonari adesso la sospensione è perlopiù automatica fino a decisione (poiché l’atto non è esecutivo di suo, diversamente dagli avvisi di accertamento esecutivi che richiedono pagamento di 1/3 anche in pendenza di ricorso).

In conclusione per i tributi: dopo l’avviso bonario, la cartella esattoriale può arrivare in tempi relativamente brevi (pochi mesi oltre la scadenza dell’avviso) se il contribuente non reagisce, ma può anche non arrivare mai se il contribuente paga integralmente o se ha ragione nel contestare l’addebito. Il termine massimo per la notifica della cartella è fissato per legge (tipicamente il 31 dicembre del terzo anno successivo alla dichiarazione per controlli automatizzati, quarto anno per i formali). Nel frattempo, eventuali richieste di dilazione o ricorsi sospendono o differiscono l’emissione della cartella.

2) Casi di contributi previdenziali (INPS, INAIL)

Per i contributi previdenziali dovuti a enti come INPS e INAIL, il processo è analogo concettualmente ma presenta alcune differenze procedurali:

  • Anche l’INPS può inviare avvisi bonari contributivi. Ciò avviene ad esempio quando risultano omessi versamenti di contributi dichiarati (es. un datore di lavoro che non versa parte dei contributi dovuti, o discrepanze tra DM10/UniEmens inviati e pagamenti effettuati). L’INPS, prima di passare al recupero forzoso, spesso invia un “avviso di pagamento” bonario al contribuente, intimando di regolarizzare entro un certo termine (solitamente 30 giorni). Ad esempio, un’azienda potrebbe ricevere un avviso bonario INPS che le segnala mancati pagamenti per un determinato trimestre e le chiede di pagare entro 30 gg, avvisando che altrimenti seguirà l’emissione di un avviso di addebito.
  • Titolo esecutivo INPS (avviso di addebito): A partire dal 2011 la riscossione dei contributi INPS non avviene più tramite cartella Equitalia, bensì attraverso l’Avviso di Addebito con valore di titolo esecutivo (introdotto dal DL 78/2010, art.30). In pratica, l’INPS emette direttamente un atto (l’avviso di addebito) che contiene l’intimazione a pagare i contributi dovuti e, come una cartella, dà 60 giorni di tempo per il pagamento. Questo avviso viene poi affidato telematicamente all’Agente della Riscossione contestualmente, così che, se non pagato, l’Agente potrà procedere all’esecuzione forzata senza bisogno di ulteriori atti. Dunque, per i contributi, l’avviso di addebito INPS sostituisce la cartella esattoriale.
  • Tempistiche contributi: Nel caso di omissioni contributive:
    • L’INPS può inviare un avviso bonario contributivo con richiesta di pagamento entro ad es. 30 giorni (termine classico utilizzato nelle comunicazioni INPS). In alcuni casi particolari, se il contribuente è un’azienda con DURC irregolare, l’INPS potrebbe procedere direttamente all’avviso di addebito senza bonario, ma in generale tende a inviare prima un sollecito bonario.
    • Se il contribuente non paga l’avviso bonario INPS nei termini (né presenta documenti per rettificare eventuali errori), trascorsi i 30 giorni l’INPS procederà ad emettere l’avviso di addebito esecutivo, iscrivendo il debito a ruolo interno. L’avviso di addebito viene notificato (anche via PEC) e concede ulteriori 60 giorni per il pagamento, analogamente alla cartella esattoriale.
    • In pratica quindi, dal bonario INPS all’avviso di addebito passano il termine concesso (30 gg) più il tempo tecnico di predisposizione atto. Spesso l’avviso di addebito segue entro pochi mesi la scadenza del bonario. Esempio: avviso bonario INPS di aprile 2025 non pagato → a luglio/agosto 2025 emissione di avviso di addebito INPS per i medesimi importi.
    • L’avviso di addebito INPS ha valore di cartella: infatti contiene l’intimazione a pagare entro 60 gg e l’avviso che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata con gli stessi poteri e modalità della riscossione a mezzo ruolo. Dall’emissione, l’INPS affida l’avviso all’Agente della Riscossione (che gestirà l’incasso e l’eventuale forza). Dopo 60 giorni, se non pagato né contestato, l’agente può attivare pignoramenti ecc. senza bisogno di altro.
    • Impugnazione: l’avviso di addebito INPS è impugnabile davanti al giudice del lavoro entro 40 giorni dalla notifica (diversamente dai 60 gg del giudice tributario per i tributi). Se il contribuente fa ricorso al tribunale e chiede sospensiva, l’INPS/Agente dovranno attendere l’esito (nel frattempo l’avviso di addebito può essere sospeso dal giudice).
    • Decadenza e prescrizione: l’INPS deve emettere l’avviso di addebito nel rispetto della prescrizione quinquennale dei contributi. Ciò significa che, se sono trascorsi più di 5 anni dalla scadenza del contributo senza nessun avviso o atto interruttivo, il debitore può eccepire la prescrizione. Ad es., contributi di gennaio 2019 non pagati: l’INPS dovrebbe aver notificato avviso bonario o avviso di addebito entro gennaio 2024, altrimenti quel credito è prescritto. In pratica, l’avviso bonario INPS non interrompe la prescrizione (essendo atto non perentorio), mentre l’avviso di addebito sì, in quanto atto esecutivo. Quindi l’INPS solitamente si premura di emettere l’avviso di addebito (titolo) entro 5 anni, anche se poi accorda dilazioni.
  • Rateizzazione contributi: L’INPS consente la dilazione dei debiti contributivi, ma il procedimento è in parte diverso da quello fiscale. Esistono rateazioni amministrative con l’ente (prima che il debito passi all’Agente) e rateazioni con l’Agente se il debito è già iscritto a ruolo. Nel contesto considerato (prima dell’avviso di addebito), l’INPS può accordare piani fino a 24 rate mensili direttamente su avvisi bonari (spesso per importi modesti). In generale, anche dopo l’avviso di addebito, il contribuente può chiedere all’Agente della Riscossione la dilazione (analogamente alle cartelle, vedi oltre). Se una rateazione è concessa e rispettata, l’Agente non procede con esecuzioni e il DURC può risultare regolare (a patto di rispettare i piani).

Riassumendo per contributi INPS: dopo un avviso bonario (quando previsto), l’ente attende 30 giorni; in caso di mancato riscontro, emette l’avviso di addebito (titolo esecutivo) di norma entro pochi mesi. Quest’ultimo concede altri 60 giorni al debitore. Dunque, la finestra tra bonario e titolo esecutivo è relativamente breve. Ad esempio, in 2-3 mesi si può passare dal bonario alla notifica dell’avviso di addebito. A volte l’INPS può emettere direttamente l’avviso di addebito senza bonario (in situazioni di frode conclamata o urgenza, o per alcune gestioni), ma la prassi è comunque di inviare un sollecito iniziale. Dopo l’avviso di addebito, se non si paga nei 60 gg, l’Agente della Riscossione può avviare il pignoramento anche immediatamente (previa notifica di un’intimazione se sono trascorsi più di 1 anno, come per le cartelle). Anche qui, comunque, l’impugnazione dell’avviso di addebito (40 gg al giudice) sospende la possibilità di riscuotere fino alla decisione, e l’INPS dovrà attendere l’esito per eventualmente riprendere il recupero.

Tempistiche riassuntive in tabella

Per chiarezza, riportiamo una tabella di sintesi dei principali termini temporali dalla fase bonaria a quella esattoriale, distinguendo tributi erariali e contributi previdenziali:

FaseTributi (Agenzia Entrate)Contributi (INPS)
Invio avviso bonario (comunicazione di irregolarità)Entro 2 anni (36-bis) o 3 anni (36-ter) dalla dichiarazione. Notifica via PEC o raccomandata.Variabile, dopo accertamento omissione. Di solito entro pochi mesi dalla scadenza mancato pagamento. Lettera posta o PEC.
Tempo per rispondere/pagare l’avviso bonario60 giorni (atti dal 2025). (30 gg se elaborato fino al 2024). Sospensione feriale 1/8 – 4/9 per i pagamenti.Tipicamente 30 giorni indicati dall’INPS (salvo diversa indicazione nell’atto).
Rateizzazione avviso bonarioPossibile: fino a 20 rate trimestrali di pari importo (indipendentemente dall’importo, secondo L.197/2022). Prima rata entro 60 gg. Interessi dilazione 3,5% annuo sulle rate successive.Possibile chiedere dilazione amministrativa fino a max 24-36 rate mensili (a seconda dell’importo e regolamenti). Oppure attendere avviso di addebito e rateizzare con Agente riscossione.
Effetti se pagato nei terminiChiusura della pendenza. Sanzioni ridotte (1/3 o 2/3) applicate. Nessuna cartella verrà emessa.Chiusura pendenza. Se avviso bonario pagato, non seguirà avviso di addebito. Durc regolare dopo pagamento.
Effetti se ignorato (non pagato, nessuna risposta)Decorso il termine, l’importo è iscritto a ruolo con sanzioni piene. Cartella emessa dopo almeno 60 gg dal bonario (spesso 3-6 mesi dopo).Decorso il termine, emissione avviso di addebito INPS (titolo esecutivo) con sanzioni aggiuntive (somme aggiuntive) e interessi. Di norma entro 2-3 mesi.
Notifica cartella/avviso di addebito60 giorni di tempo per pagare dalla notifica della cartella. Termine notifica: entro 31/12 terzo anno succ. dichiarazione (auto) o quarto anno (formale).60 giorni di tempo per pagare dall’avviso di addebito. Termine emissione: entro 5 anni dalla scadenza contributo (prescrizione) salvo atti interruttivi.
Impugnazione (ricorso)Entro 60 giorni al Giudice Tributario. Sospende la riscossione fino a sentenza definitiva.Entro 40 giorni al Tribunale (Lavoro). Può ottenere sospensione giudiziale, altrimenti l’agente procede dopo 60 gg.
Rateizzazione post-cartellaPossibile con Agente Riscossione: piani ordinari fino 72/84 rate (6-7 anni) o straordinari 120 rate (10 anni) su richiesta, se requisiti – v. sezione dedicata.Possibile con Agente Riscossione (stesse modalità di cartella) una volta emesso avviso di addebito e passato all’Agente. In fase amministrativa, INPS ha proprie dilazioni (già indicate sopra).
Azioni esecutiveSe dopo 60 gg da cartella non c’è pagamento né ricorso/sospensione, Agente può avviare pignoramenti, fermi, ipoteche (previo avviso intimazione se >1 anno).Se dopo 60 gg da avviso addebito non c’è pagamento né sospensione, Agente Riscossione procede a esecuzione forzata come sopra.

(Legenda: “decorso il termine” significa scaduti i 30/60 gg dall’avviso bonario senza riscontro; DURC = Documento Unico Regolarità Contributiva.)

Come si evince, i tempi tecnici possono variare: il Fisco di solito “chiude” la partita entro l’anno successivo alla scadenza del bonario, mentre per l’INPS il processo è ancora più rapido, dato il ciclo mensile/trimestrale dei contributi. In ogni caso, esistono precisi limiti di legge che garantiscono che una cartella non possa spuntare a distanze di tempo indefinite dal fatto generatore. Vedremo tra poco anche la questione della prescrizione, distinta dalla decadenza, che pone un limite finale all’esigibilità del credito a prescindere dagli atti.

Dal punto di vista del debitore: come comportarsi e quali strumenti di difesa

Affrontiamo ora la questione dal punto di vista del contribuente/debitore. Ricevere un avviso bonario o una cartella esattoriale può destare preoccupazione, ma la legge offre diversi strumenti per tutelarsi, regolarizzare la situazione o contestare richieste indebite. Questa sezione è suddivisa in:

  • Cosa fare quando arriva un avviso bonario: opzioni di pagamento (anche parziale/rateale) oppure contestazione in autotutela o tramite ricorso.
  • Cosa fare quando arriva una cartella di pagamento: possibilità di pagamento/rateizzazione, sospensione, o impugnazione della cartella e dei vizi relativi.
  • Ulteriori tutele: sospensione della riscossione per cause particolari, termini di prescrizione, e procedure di sovraindebitamento per chi è in grave difficoltà economica.

L’obiettivo è fornire una sorta di vademecum per il debitore, con un linguaggio comprensibile ma preciso nei riferimenti legali, affinché possa orientarsi tra le scelte possibili. Vediamo in dettaglio.

A) Come gestire un avviso bonario

Ricevere un avviso bonario non è una condanna definitiva, ma un campanello d’allarme. Dal punto di vista del contribuente, occorre anzitutto non ignorarlo e valutare rapidamente il da farsi entro il termine di 30 o 60 giorni. Le possibili strade sono tre:

  1. Riconoscere la correttezza dell’avviso e procedere al pagamento (eventualmente a rate).
  2. Ritenere l’avviso errato o parzialmente infondato e attivarsi per contestarlo (fornendo chiarimenti all’ente o presentando ricorso).
  3. Non fare nulla (scenario sconsigliato): lasciar scadere i termini, il che equivale ad accettare tacitamente la pretesa – in tal caso l’importo verrà iscritto a ruolo con aggravio.

Vediamole singolarmente.

  • Pagamento integrale entro i termini: Se, dopo aver verificato l’avviso bonario, il contribuente concorda con gli importi richiesti (ad esempio si accorge di aver effettivamente commesso un errore in dichiarazione o omesso un versamento), la scelta più semplice è pagare quanto dovuto entro la scadenza indicata. I vantaggi di questa soluzione:
    • Si beneficia delle sanzioni ridotte: solitamente 10% per controlli automatici o 20% per controlli formali (anziché il 30%/25% pieno che si applicherebbe in cartella). In altri termini, si risparmia il 2/3 o 1/3 della sanzione amministrativa.
    • Si evita la cartella esattoriale e gli oneri di riscossione. La comunicazione bonaria, se definita con pagamento, esterna l’eventuale emissione di cartella. La posizione viene regolarizzata nell’ambito dell’Agenzia delle Entrate stessa.
    • Si evitano possibili successivi interessi di mora che maturerebbero dopo i 60 giorni della cartella. Pagando subito, ci si ferma agli interessi calcolati in sede bonaria (che sono solo interessi “da ritardata iscrizione a ruolo”, generalmente di entità limitata).
    • Nessuna iscrizione a ruolo: il contribuente non risulterà inadempiente nei registri di riscossione e non avrà problemi, ad esempio, con il DURC (per le imprese, un avviso bonario non pagato non influisce sul DURC finché non diventa un titolo esecutivo iscritto a ruolo).
    Come effettuare il pagamento: Insieme all’avviso solitamente c’è un modello F24 precompilato (per tributi) o indicazioni per pagare con bollettini analoghi (nel caso INPS, modello F24 con causali contributo specifiche). Si può pagare in banca, posta, online attraverso i servizi telematici (es. F24 via home banking). Importante è rispettare la scadenza precisa (tenendo conto che se cade di sabato/domenica, slitta al primo giorno lavorativo successivo, e che ad agosto c’è la sospensione – i 60 gg rimangono “congelati” dal 1° al 31 agosto, ripartendo poi al 1° settembre). Se si paga anche solo un giorno in ritardo, teoricamente non si ha più diritto allo sconto sanzionatorio e l’ente potrebbe iscrivere a ruolo la differenza di sanzione; conviene quindi non oltrepassare il termine. Rateizzazione: Se l’importo è elevato e non si riesce a pagare in un’unica soluzione, è possibile presentare istanza di rateazione all’interno dello stesso termine. Come visto, la normativa (art. 3-bis D.Lgs. 462/97) consente di dilazionare gli importi dell’avviso bonario:
    • Fino a 20 rate trimestrali (circa 5 anni) di pari importo per qualsiasi importo dovuto, dopo le modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2023. In passato il massimo di 20 rate era riservato ai debiti >5.000€, mentre fino a 5.000€ erano ammesse max 8 rate; ora il limite di 20 rate trimestrali è stato esteso a tutti, indipendentemente dall’ammontare. Ciò permette anche ai piccoli debiti di essere spalmati su un periodo più lungo (prima un debito di 3.000€ si rateizzava in max 8 trimestri = 2 anni; ora può, volendo, essere in 20 trimestri = 5 anni).
    • La prima rata va versata entro il medesimo termine di 60 giorni dall’avviso (quindi l’istanza di rateazione va presentata rapidamente, in modo da poter pagare la prima rata tempestivamente una volta avuta risposta positiva). Tutte le successive rate scadono ogni tre mesi.
    • Sulle rate successive alla prima si applicano interessi di dilazione (attualmente al tasso del 3,5% annuo) calcolati dal giorno successivo al termine dei 60 gg fino alla scadenza di ciascuna rata.
    • Il numero effettivo di rate può essere scelto dal contribuente fino al massimo consentito. Ad esempio, un debito di €10.000 potrebbe essere chiesto in 10 rate trimestrali da €1.000 ciascuna circa, oppure in 20 rate da €500 ciascuna.
    • Procedura: L’istanza di rateazione va presentata all’Agenzia delle Entrate (generalmente all’Ufficio o Direzione Provinciale che ha emesso l’avviso) anche tramite i servizi online (Civis). Non è richiesta alcuna garanzia per la rateazione dei soli avvisi bonari. Una volta accolta la domanda, l’ufficio comunica il piano con importi e scadenze.
    • Decadenza dalla rateazione: come per le cartelle, il mancato pagamento di 5 rate anche non consecutive fa decadere dal piano. In tal caso, l’intero residuo diviene immediatamente esigibile e sarà iscritto a ruolo in unica soluzione. È dunque fondamentale rispettare le scadenze delle rate per non perdere il beneficio.
    La rateizzazione dell’avviso bonario è estremamente utile per evitare di far lievitare il debito: infatti, a differenza di una cartella dilazionata, nelle rate del bonario la sanzione resta comunque quella ridotta originaria (non c’è aggravio ulteriore se si onora il piano). Si pagano solo interessi di rateazione moderati. Inoltre, come già evidenziato, attivare la rateazione blocca sul nascere la fase di riscossione coattiva: l’ente non iscrive a ruolo il debito rateizzato, e se il piano va a buon fine non vi sarà alcuna cartella o procedimento esecutivo.
  • Contestazione e richiesta di correzione (strumenti deflativi): Se il contribuente non è d’accordo con quanto richiesto nell’avviso bonario – ad esempio perché ritiene di aver pagato quelle somme, o che l’ufficio abbia commesso un errore di calcolo, o interpretato male i dati – è suo diritto attivarsi per far correggere l’errore. Gli strumenti principali, da esercitare entro il medesimo termine di 60 giorni, sono:
    • Chiarimenti tramite Civis o presso l’ufficio: Il sistema telematico Civis consente di inviare una richiesta di riesame, allegando magari documenti giustificativi (ricevute di versamenti effettuati, certificazioni, ecc.), oppure semplicemente segnalando l’errore. L’Agenzia delle Entrate esaminerà la pratica e, se riconosce l’errore, potrà annullare o rettificare in autotutela l’avviso bonario. Ad esempio, capita non di rado che un versamento F24 non sia stato abbinato correttamente: il contribuente può trasmettere la ricevuta e chiedere di sistemare. Oppure, in caso di controllo formale, se erano stati richiesti documenti e l’avviso bonario ignora alcuni giustificativi validi, si può farli rivalutare.
    • Istanza di autotutela: in forma libera o su modulistica, indirizzata all’ufficio competente (indicato nell’avviso), per segnalare l’errore e chiedere l’annullamento totale/parziale. L’autotutela non sospende formalmente i termini, ma in prassi l’ufficio risponde prima di procedere oltre. È opportuno presentarla entro i 60 giorni.
    • Dialogo con l’intermediario: se l’avviso è arrivato tramite il proprio commercialista/intermediario, questi ha 120 giorni di tempo (dal 2025) per fornire risposte per conto del cliente. Può quindi contattare l’ufficio, correggere eventuali errori materiali nella dichiarazione, o far valere deduzioni. Questo termine esteso per gli intermediari consente una gestione più accurata dei casi complessi.
    Durante questo processo di contestazione informale, la posizione è congelata: l’Agenzia delle Entrate tipicamente sospende la scadenza finché non fornisce un riscontro. Se l’ufficio accoglie le osservazioni, emetterà un nuovo esito (es. annullando l’avviso, o ricalcolando un importo minore da pagare). Se invece conferma la correttezza dell’avviso (respingendo i chiarimenti), spesso invia una risposta motivata. A quel punto il contribuente dovrà decidere se pagare (magari nel frattempo l’ufficio concede qualche ulteriore giorno) oppure passare al ricorso. È importante sottolineare che contestare l’avviso bonario in questa fase non comporta alcuna sanzione o peggioramento: esercitare il diritto di difesa e chiedere verifica non “irrita” l’amministrazione finanziaria. Al contrario, è nell’interesse di entrambe le parti chiarire le eventuali inesattezze prima di passare alla fase successiva.
  • Ricorso all’autorità giudiziaria (Corte di Giustizia Tributaria): Se l’esito del contraddittorio con l’ufficio non è soddisfacente, oppure se il contribuente è certo dell’erroneità dell’addebito, può scegliere la via formale del ricorso tributario, impugnando l’avviso bonario entro 60 giorni dalla notifica (o entro 60 giorni dall’eventuale riscontro negativo dell’ufficio, purché non oltre la decadenza). Come già spiegato, oggi l’avviso bonario è considerato atto impugnabile autonomamente – ciò è stato sancito espressamente dalla Cassazione e riflesso nelle istruzioni del 2024. Il ricorso tributario va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) competente per territorio, notificandolo all’Agenzia delle Entrate. Nel ricorso si dovranno indicare i motivi per cui si contesta l’avviso: errori di calcolo, pagamenti non considerati, violazioni di legge, etc.. Ad esempio, si può eccepire che la pretesa è infondata perché l’imposta era già stata versata, oppure che c’è un errore di persona, o una violazione procedurale (es. avviso bonario notificato oltre i termini di decadenza, oppure relativo a materia per cui non era dovuto). Effetti del ricorso: Con il deposito del ricorso, la riscossione è sospesa automaticamente (non essendo un atto esecutivo immediato) fino alla decisione. L’Agenzia non potrà iscrivere a ruolo l’importo contestato, a meno che il giudizio non termini confermando la pretesa. In sostanza, l’avviso bonario “esce” dal circuito amministrativo e diventa oggetto del giudizio. Se si ottiene una sentenza favorevole, l’avviso viene annullato (in tutto o in parte) e dunque non darà luogo a cartella. Se invece la sentenza (definitiva) dà ragione al Fisco, allora l’Agenzia iscriverà a ruolo le somme, e a quel punto si riceverà la cartella (o un intimazione di pagamento se l’atto impugnato aveva valore esecutivo, scenario non di questo caso). Va ricordato che, trattandosi di ricorso contro un atto non precedentemente definito, non è richiesto alcun pagamento frazionario nelle more (diversamente dagli accertamenti esecutivi dove bisogna versare 1/3 per evitare esecuzione immediata). Il contribuente però può valutare se pagare comunque la parte non controversa (ad esempio se solo una quota dell’avviso è errata) per ridurre eventualmente gli interessi su quella parte. Il ricorso contro l’avviso bonario va ponderato: conviene quando vi sono fondati motivi e prove che l’avviso è sbagliato. Bisogna anche tenere presente che se il ricorso viene respinto definitivamente, a quel punto non si avrà più diritto allo sconto sanzioni del 10%/20%; si finirà per pagare la sanzione intera del 30% (25% se violazione recente). Tuttavia, in giudizio si possono far valere anche vizi formali o eccezioni procedurali (ad esempio, si può eccepire la nullità dell’avviso se fosse emesso fuori termine o notificato invalidamente, oppure duplicazione di imposta già accertata altrove, etc.). In tal senso, il ricorso può portare all’annullamento totale anche per ragioni “tecniche” a prescindere dal merito fiscale.
  • Se il contribuente non fa nulla: In questo scenario, trascorsi i 60 giorni senza pagamento né ricorso, l’avviso bonario diventa di fatto incontrovertibile. L’Agenzia delle Entrate provvederà a iscrivere a ruolo le somme e, come detto, si arriverà alla cartella esattoriale con sanzioni piene. Il contribuente potrà ancora reagire a quel punto (impugnando la cartella), ma le possibilità di difesa saranno più limitate: non potrà più discutere nel merito l’an della pretesa, se non per questioni formali. In pratica avrà perso l’occasione di contestare l’erroneità sostanziale (perché la mancata impugnazione dell’avviso bonario potrebbe essere considerata acquiescenza, stante la sua impugnabilità), potendo al più eccepire vizi della cartella. Pertanto ignorare l’avviso bonario è quasi sempre la scelta peggiore: si rinuncia allo sconto sulla sanzione e ci si preclude alcune difese. È giustificabile solo se magari l’importo è minimo o l’ufficio ha già comunicato che lo annullerà (ma in tal caso conviene sempre avere qualcosa di scritto).

In sintesi, dal punto di vista del debitore l’avviso bonario va considerato un “bivio” cruciale: pagare con beneficio o contestare subito, ma in ogni caso agire entro la scadenza. Le nuove norme dal 2025, concedendo 60 giorni (o 90 tramite intermediario) e la facoltà di ricorrere immediatamente, potenziano i diritti del contribuente e gli danno più tempo e strumenti per far valere le proprie ragioni. Il consiglio è di usare questo tempo per consultarsi con un esperto (commercialista o avvocato tributarista), valutare la fondatezza della pretesa e poi decidere per la soluzione migliore (pagamento integrale, rateazione, autotutela o ricorso).

Va ricordato anche che, come ultima risorsa, se il contribuente è in gravissima difficoltà economica, può considerare gli istituti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) in materia di sovraindebitamento. Procedure come il piano del consumatore o la ristrutturazione dei debiti permettono – in alcuni casi – di bloccare le azioni esecutive e rinegoziare/abbattere i debiti fiscali e contributivi. Si tratta di soluzioni estreme da valutare con specialisti del settore, ma costituiscono un’ulteriore tutela per il debitore onesto ma impossibilitato a pagare, evitando conseguenze irreparabili.

B) Come gestire una cartella esattoriale

Se si è giunti alla fase della cartella di pagamento, significa che o l’avviso bonario è stato trascurato (o non era previsto), oppure che un accertamento è divenuto definitivo, o che si tratta di altre tipologie di debiti (ad esempio multe stradali, tributi locali, ecc.) confluiti in cartella. Dal punto di vista del debitore, la cartella esattoriale è un atto più “pericoloso” dell’avviso bonario, in quanto già idoneo all’esecuzione forzata. Pertanto vanno tenute a mente due scadenze fondamentali:

  • 60 giorni dalla notifica: termine per pagare o per impugnare la cartella. Entro questo periodo il debitore può attivare le procedure di tutela.
  • Dopo i 60 giorni: la cartella non pagata diventa esecutiva; l’Agente può procedere con misure cautelari/esecutive, a meno che intervenga una sospensione.

Le possibili azioni per il debitore quando riceve una cartella sono: pagare (anche qui, eventualmente a rate), oppure contestare la cartella tramite ricorso, oppure chiedere la sospensione se si ritiene non dovuta. Analizziamole:

  • Pagamento della cartella entro 60 giorni: È la via più semplice se il debito è dovuto e il contribuente ha la liquidità sufficiente. Pagando entro i 60 giorni:
    • Si evita l’inizio di procedure esecutive. L’Agente della Riscossione considererà il ruolo estinto.
    • Si evita l’ulteriore maturazione di interessi di mora, che scatterebbero dal 61° giorno in poi (il tasso di mora viene fissato annualmente, tipicamente intorno al 3-4% annuo).
    • Si estingue l’obbligazione tributaria, pur avendo dovuto pagare l’intero importo comprensivo di sanzioni e aggio.
    Il pagamento va effettuato seguendo le istruzioni in cartella: oggi è possibile pagare presso banche, poste, tabaccai, sportelli dell’Agente, oppure online sul portale dell’Agenzia Entrate-Riscossione (utilizzando il codice cartella). È importante che il pagamento copra integralmente tutti gli importi (compresi interessi di mora maturati eventualmente tra ruolo e notifica). Se per errore si paga un importo leggermente inferiore, resterà un residuo che, se non saldato, potrà causare problemi (il debito non risulterà chiuso del tutto). Qualora non sia possibile pagare in una soluzione (caso comune per somme elevate), si può:
    • Richiedere una rateizzazione della cartella: La normativa sulla riscossione prevede piani di dilazione fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi ordinari, e fino a 120 rate mensili (10 anni) in casi di comprovata grave difficoltà economica. Inoltre, in base a recenti novità (decreto riscossione in attuazione Legge 111/2023), dal 2025:
      • Per debiti fino a €120.000, il piano ordinario passa a 84 rate mensili (7 anni) per richieste nel 2025-2026, 96 rate per richieste 2027-2028, 108 rate dal 2029 in poi. Quindi un graduale ampliamento.
      • Per debiti superiori a €120.000 (o per chi chiede più di 84 rate), serve documentare lo stato di difficoltà e si possono ottenere fino a 120 rate anche per debiti sotto €120k in situazioni gravi.
      • La soglia per ottenere la dilazione senza bisogno di documentazione è stata confermata in €120.000 di debito (soglia elevata prima a 100k e poi a 120k con DL Aiuti 2022). Ciò significa che se il debito in cartella è ≤ 120mila, si può chiedere rate fino a 72 (84 dal 2025) mesi con semplice richiesta e autodichiarazione di temporanea difficoltà, senza dover produrre ISEE o bilanci. Sopra tale soglia (o per piani più lunghi di 72/84 rate) serve invece allegare documenti che provino la difficoltà (ad esempio indice di liquidità <1 per imprese, ISEE basso per persone fisiche, ecc., parametri che verranno stabiliti per legge).
      • La rata minima è €50. Si può scegliere un numero di rate inferiore al massimo se lo si desidera.
      • Come chiedere la rateazione: va presentata istanza all’Agente della Riscossione (anche tramite il servizio online “Rateizza Adesso” se in possesso di SPID/CIE). Se il debito è entro 120k, l’istanza è automaticamente accolta per il numero di rate richiesto (entro i limiti). Se debito >120k, l’Agente valuta la documentazione secondo parametri ministeriali e può concedere fino a 120 rate se emergono le condizioni di legge.
      • Una volta concessa la rateizzazione, decade il fermo amministrativo delle azioni esecutive: l’Agente non può procedere a pignoramenti finché il piano è in corso e rispettato. Inoltre il debitore riacquista regolarità: ad esempio può ottenere il DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva) anche se ha cartelle rateizzate, perché la legge considera il rateizzato alla pari del pagato ai fini della regolarità contributiva.
      • Se però decade dalla rateazione (mancato pagamento di 8 rate anche non consecutive, secondo le regole post-2020; prima erano 5, oggi la tolleranza è salita a 8 rate non pagate), allora l’intero debito residuo torna esigibile, senza possibilità di ulteriore dilazione, salvo riammissioni straordinarie (spesso la normativa di “pace fiscale” ha previsto la possibilità di riammettere piani decaduti pagando le rate arretrate).
    In definitiva, la rateizzazione della cartella è uno strumento fondamentale per alleggerire il carico e bloccare sul nascere le azioni esecutive. È sempre consigliabile richiederla se non si riesce a saldare subito il dovuto. Va ricordato che durante la rateizzazione decorre comunque la prescrizione ordinaria delle singole rate se il piano è molto lungo (ma ogni pagamento la interrompe), e che gli interessi di dilazione applicati dall’Agente sulle cartelle rateizzate sono di norma più alti di quelli del bonario (sono interessi di dilazione e di mora combinati, oggi aggirati intorno al 3-4% annuo).
  • Impugnazione della cartella: Il contribuente può proporre ricorso contro la cartella di pagamento entro 60 giorni dalla notifica (termini processuali tributari) se trattasi di tributi, o entro 40 giorni se la cartella riguarda contributi previdenziali (in tal caso il ricorso è al giudice ordinario). Ma su quali motivi si può impugnare una cartella? È cruciale comprenderlo:
    • La cartella esattoriale è spesso atto “derivato” da un atto precedente (avviso di accertamento, avviso bonario, verbale di multa, ecc.). Se quell’atto presupposto non è stato a suo tempo impugnato ed è definitivo, il contribuente non può rimettere in discussione nel merito la pretesa sostanziale tramite il ricorso contro la cartella. Ad esempio, se la cartella riscuote somme da un avviso di accertamento divenuto definitivo (per mancata impugnazione), non si potrà contestare l’esistenza del debito tributario: quel che è fatto è fatto. Oppure, se è frutto di un avviso bonario mai impugnato (caso che accadeva quando non era possibile impugnarlo, ma ora di meno), anche lì i margini sono ristretti.
    • I motivi di ricorso avverso cartella tipicamente ammessi sono:
      • Vizi propri della cartella: errore sul destinatario, importi sbagliati, mancata indicazione dell’ente impositore o del responsabile del procedimento, omessa notificazione regolare della cartella (notifica nulla), etc. Ad esempio, se la cartella non contiene la motivazione sufficiente o riferimenti all’atto presupposto, si può eccepirne la nullità per difetto di motivazione.
      • Mancata notifica dell’atto presupposto: se la cartella si basa su un avviso di accertamento o altro atto che il contribuente non ha mai ricevuto, allora la cartella è impugnabile sostenendo di non aver potuto impugnare l’atto a monte. In tal caso, il giudice valuterà se effettivamente l’atto precedente manca di notifica; se sì, la cartella verrà annullata per violazione del contraddittorio (o in qualche caso convertita in atto impugnabile come fosse l’accertamento stesso, ma è questione tecnica).
      • Prescrizione del credito: se il debito si è prescritto prima della notifica della cartella, o la cartella stessa è stata notificata ma poi il diritto si è prescritto perché l’Agente non ha fatto atti interruttivi per anni, il contribuente può far valere la prescrizione. Ad esempio, contributi INPS prescritti in 5 anni, oppure tributi locali prescritti in 5, o sanzioni amministrative prescritte in 5 anni dalla definitività. Anche le sanzioni tributarie e gli interessi seguono in parte una prescrizione quinquennale: la Cassazione ha infatti chiarito che sanzioni e interessi non accertati da sentenza si prescrivono in 5 anni. Quindi, se la cartella riscuote solo sanzioni o interessi di anni lontani, si può eccepire la prescrizione quinquennale.
      • Decadenza: un altro motivo è la violazione dei termini di decadenza per la notifica della cartella (discussi in sezioni precedenti). Ad esempio, cartella notificata oltre il 31/12 del terzo anno successivo alla dichiarazione (per controlli automatizzati). In tal caso, la cartella è nulla perché tardiva, e il contribuente può vincere il ricorso su tale base.
      • Pagamento già avvenuto o sgravio: se il contribuente ha in mano prova di aver già pagato quel debito (magari con ravvedimento operoso, o con compensazione) o di aver ottenuto un annullamento in autotutela dell’ente impositore, può opporre tale circostanza. In questi casi in genere si fa parallelamente istanza di sospensione all’Agente allegando le prove (vedi paragrafo successivo sulla sospensione legge 228/2012).
      • Vizi dell’atto presupposto che residuano: in alcuni casi particolari, la giurisprudenza ammette che se l’atto precedente, pur non impugnato, è affetto da nullità radicale, si possa far valere anche in sede di ricorso contro la cartella (ad es., accertamento emesso fuori termine di decadenza – se non impugnato era definitivo, ma c’è dibattito se la decadenza possa essere rilevata comunque successivamente). Su questo terreno però si entra in questioni complesse e molto tecniche.
    In ogni caso, impugnare la cartella è opportuno quando:
    • Si ritiene che non fosse dovuto inviare quella cartella (es: mancato avviso bonario dove obbligatorio, quindi cartella illegittima; oppure cartella relativa a importi per cui c’era un contenzioso in corso o definizione agevolata).
    • Ci sono errori evidenti (importi o persona sbagliata).
    • Si ravvisa prescrizione/decadenza.
    • Si vuole quantomeno guadagnare tempo: il ricorso blocca la possibilità di esecuzione (previa richiesta di sospensione al giudice se la cartella è esecutiva).
    Autorità competente: se la cartella contiene tributi erariali (es. IRPEF, IVA, IRAP), l’autorità è la Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria); se contiene contributi INPS/INAIL, competente è il Tribunale ordinario in funzione di giudice del lavoro; se contiene sanzioni amministrative (multe stradali) o tributi locali, la competenza può essere del Giudice di Pace (per multe) o ancora del giudice tributario (oggi IMU, TARI vanno in commissione tributaria). Spesso le cartelle sono “miste” con più voci: in tali casi, il contribuente deve impugnarle separatamente per le parti di competenza dei diversi giudici (situazione intricata, ma la legge lo prevede). Ad esempio, cartella con dentro IVA e sanzioni del Codice della Strada: per la parte IVA ricorso in Commissione Tributaria; per la multa ricorso al Giudice di Pace. Sospensione giudiziale: Poiché la cartella è atto esecutivo, presentare ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Occorre depositare una contestuale istanza di sospensione al giudice adito, indicando il periculum (cioè il rischio di danno grave in caso di pagamento immediato) e il fumus (motivi validi del ricorso). Il giudice, se concede la sospensione, ordinerà all’Agente di astenersi da atti di recupero fino all’esito della causa (o fino a revoca). È piuttosto comune che le Corti tributarie concedano sospensive quando il caso appare fondato o se l’importo è rilevante rapportato alle possibilità economiche del ricorrente.
  • Sospensione “amministrativa” o legale della cartella: Esiste anche una procedura extra-giudiziale di sospensione, introdotta dalla L. 228/2012 (Legge di Stabilità 2013). In base all’art. 1 commi 537-543 di tale legge, se il contribuente ritiene che la cartella (o altro atto della riscossione) sia stata emessa per errore, può presentare all’Agente della Riscossione un’istanza di sospensione allegando la documentazione che prova la sua tesi (ad es: ricevuta di pagamento già effettuato, copia di una sentenza di annullamento dell’atto presupposto, copia di un provvedimento di sgravio dell’ente creditore, o qualsiasi elemento che mostri l’inesistenza del debito). Tale istanza va inviata entro 60 giorni dalla notifica della cartella, e dichiara sotto firma la causa di non debenza. L’Agente della Riscossione, ricevuta la richiesta, sospende immediatamente le attività di recupero su quelle somme e inoltra la documentazione all’ente creditore competente. L’ente creditore (es. Agenzia Entrate, Comune, INPS) ha 220 giorni di tempo per rispondere: se riconosce l’errore, dispone l’annullamento (sgravio) del ruolo e quindi la cartella si annulla; se rigetta, comunica che il debito è dovuto e a quel punto la riscossione riprende; se non risponde affatto entro 220 giorni, la legge prevede l’annullamento automatico della cartella. Questa è una tutela forte per il contribuente, introdotta per evitare di dover ricorrere in giudizio in casi lampanti di errore. Ad esempio, se uno ha già pagato col ravvedimento un’imposta ma ugualmente arriva cartella, presentando la ricevuta via PEC all’Agente e chiedendo sospensione, si attiverà questa procedura. È bene sapere che la presentazione dell’istanza di sospensione amministrativa non interrompe né sospende i termini per fare ricorso: quindi, se si è in dubbio, conviene eventualmente presentare sia l’istanza di sospensione all’Agente, sia il ricorso al giudice per sicurezza. Se poi l’ente annulla in autotutela, si potrà rinunciare al ricorso. Inoltre, l’Agente può disporre sospensione amminstrativa d’ufficio se viene a conoscenza di cause di sgravio (ad esempio se l’ente gli comunica che la cartella è errata). Durante sospensione amministrativa, le azioni esecutive non proseguono.
  • Azioni cautelari tipiche sulle cartelle: Dopo 60 giorni, l’Agente può iscrivere:
    • Fermo amministrativo su un veicolo del debitore (previa notifica di preavviso di fermo). Ciò avviene di solito per debiti ≥ €1.000 e consiste nel blocco legale dell’utilizzo dell’auto (divieto di circolazione finché non salda).
    • Ipoteca su immobili di proprietà del debitore, per debiti totali ≥ €20.000. Anche qui è previsto preavviso e se non paghi entro 30 gg dal preavviso, possono iscrivere ipoteca (che non comporta esproprio immediato ma garantisce il credito su quell’immobile).
    • Pignoramento beni mobili, conti correnti, crediti verso terzi (stipendi) e beni immobili (quest’ultimo per debiti sopra €120.000) senza bisogno di passare dal tribunale (l’Agente ha titolo esecutivo e può procedere con atto di pignoramento notificato).
    Il debitore ha alcuni strumenti difensivi anche in questa fase:
    • Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (ex art. 57 DPR 602/73 e art. 615-617 c.p.c.), da proporre al giudice competente, se il pignoramento è illegittimo (ad esempio, su beni impignorabili o oltre i limiti di legge).
    • Conversione del pignoramento (art. 52 DPR 602/73): possibilità di chiedere di sostituire i beni pignorati con un pagamento dilazionato.
    • Verifica di eventuali vizi di notifica della cartella (che se scoperti in questa fase, si possono far valere come opposizione tardiva, anche se il termine di 60 gg è perso, magari come eccezione in sede di esecuzione).

Insomma, dal punto di vista del debitore la partita non è chiusa finché non è chiusa: anche una cartella esattoriale offre ancora spazi di manovra (rate, ricorsi, sospensioni). Tuttavia, man mano che si avanza nel procedimento, le opzioni si riducono e i costi aumentano. Ecco perché è fondamentale agire già nella fase bonaria se possibile, o comunque entro i 60 giorni dalla cartella, per esercitare appieno i propri diritti.

C) Prescrizione dei debiti iscritti a ruolo

Una difesa spesso vincente per il debitore è l’eccezione di prescrizione, ossia sostenere che il credito non può più essere riscosso per il trascorrere del tempo previsto dalla legge senza atti interruttivi validi. Occorre distinguere la prescrizione dalla decadenza: la decadenza (già trattata) concerne il termine entro cui l’ente deve compiere un atto (es: notificare la cartella) a pena di decadenza del potere; la prescrizione invece attiene al diritto sostanziale di credito, che si estingue se dopo l’ultimo atto notificato decorre un certo periodo senza solleciti.

I termini di prescrizione per i principali debiti oggetto di cartella sono:

  • Contributi previdenziali (INPS, INAIL): 5 anni. Stabilito dalla L. 335/1995 e confermato dalla Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 23397/2016). Anche dopo cartella o avviso di addebito, se per 5 anni non avviene alcuna notifica di atti (ad es. intimazione, pignoramento), il credito contributivo si prescrive.
  • Tributi erariali (es. IRPEF, IVA): qui c’è stato dibattito. In assenza di una norma specifica, tradizionalmente si applica la prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c., partendo dal principio che il ruolo ha efficacia di titolo con valore di sentenza (tesi sostenuta da Cass. SS.UU. 23397/2016). Dunque l’Agente avrebbe 10 anni di tempo per riscuotere. Tuttavia, la giurisprudenza recente ha spesso ricondotto molte di queste entrate a una prescrizione quinquennale, qualificandole come “obbligazioni periodiche” ex art. 2948 n.4 c.c. (che prevede 5 anni per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente anno per anno). Ad esempio, la Cassazione ha affermato la prescrizione quinquennale per l’IVA, l’IRAP e anche l’IRPEF in talune pronunce (trattandosi di tributi con cadenza annuale). Le sanzioni tributarie e gli interessi certamente seguono la prescrizione breve di 5 anni, salvo che siano stati cristallizzati in sentenza (in tal caso 10 anni dalla sentenza). Quindi, per prudenza:
    • Il tributo in sé dopo cartella è spesso considerato da Equitalia come prescrivibile in 10 anni, ma il contribuente può eccepire i 5 anni e alcuni giudici accolgono (non c’è unanimità su IRPEF/IVA, ma il trend è verso 5 anni post-cartella per equiparazione ad altri).
    • Le sanzioni amministrative tributarie (es. sanzione da infedele dichiarazione) se non confermate da giudice si prescrivono in 5 anni.
    • Interessi di mora e affini si prescrivono in 5 anni (essendo accessori periodici).
  • Tributi locali (IMU, TARI): 5 anni, poiché considerati anch’essi prestazioni periodiche a cadenza annuale. Inoltre per essi esisteva già una norma (art. 2948 c.c.) e orientamento consolidato.
  • Multe stradali (sanzioni CdS): 5 anni dalla notifica del verbale definitivo. La cartella per multe va quindi notificata entro 5 anni (decadenza) e comunque il diritto di procedere a esecuzione si prescrive in 5 anni senza atti.

È importante che il debitore sappia che anche dopo la cartella notificata, ogni atto dell’Agente (intimazione, pignoramento, sollecito) interrompe la prescrizione, facendola decorrere di nuovo da capo. Ad esempio, se uno riceve la cartella nel 2015 e poi nulla accade, dal 2021 in poi il debito è prescritto (salvo eventi sospensivi es. Covid). Ma se l’Agente nel 2018 invia una intimazione di pagamento, questo atto vale come interruttivo e sposta in avanti di altri 5 (o 10) anni la prescrizione. Perciò è bene conservare tutte le notifiche ricevute per ricostruire il computo.

L’eccezione di prescrizione va sollevata in giudizio o nelle opposizioni all’esecuzione. Non viene rilevata d’ufficio dal giudice tributario, dev’essere il contribuente a invocarla. Se accolta, porta all’annullamento del debito per intervenuta estinzione.

D) Altre tutele ed esempi pratici

Per completare la panoramica dal punto di vista del debitore, consideriamo alcune situazioni e domande frequenti:

  • “Ho un piano di rateizzazione in corso, l’Agenzia Entrate-Riscossione può iscrivere ipoteca o fermo?” – Finché il debitore paga regolarmente le rate, NO, l’Agente non può procedere con misure cautelari o esecutive. Il debitore in regola con la dilazione è considerato non inadempiente. Solo se si verifica la decadenza dal piano per morosità l’Agente potrà attivarsi, eventualmente anche riprendendo ipoteche su beni.
  • “Posso ottenere la cancellazione di ipoteca/fermo dopo aver pagato?” – Sì. Se la cartella è integralmente saldata (o il debito annullato), il contribuente può richiedere all’Agente la cancellazione dell’ipoteca o del fermo amministrativo. Normalmente il fermo viene revocato automaticamente entro 20 giorni dal saldo, comunicando al PRA; per l’ipoteca la cancellazione va a cura dell’Agente ma su istanza. In caso di rateizzazione, si può ottenere la sospensione del fermo (consentendo di utilizzare il veicolo) appena pagata la prima rata.
  • “Ho ricevuto una cartella per un tributo che avevo impugnato ed è ancora in causa; che faccio?” – Capita che, per errore o inerzia, l’ente iscriva a ruolo un importo mentre c’è un ricorso pendente (ad esempio, un accertamento è in appello, ma intanto hanno emesso cartella). In tal caso, il debitore deve immediatamente segnalare la cosa: presentare istanza di sospensione all’Agente allegando la ricevuta del ricorso e la prova che il giudizio è ancora in corso, chiedendo lo stop ai sensi dell’art. 39 D.Lgs. 112/1999. Se l’Agente non risponde, fare anche ricorso alla cartella per indebita iscrizione, esibendo al giudice la pendenza della lite. Generalmente, la cartella emessa in pendenza di giudizio viola il divieto di doppia riscossione e viene sospesa.
  • “Posso compensare il debito della cartella con crediti d’imposta che ho verso l’erario?” – Dal 2013 è possibile compensare, tramite mod. F24, cartelle esattoriali con crediti commerciali verso la PA o con crediti tributari certi, liquidi ed esigibili, se si rispettano specifiche procedure (richiesta di compensazione ai sensi dell’art. 28-quater DPR 602/73 per crediti PA; oppure usare il codice tributo “RUOL” per crediti fiscali di importo non superiore a €700k, compensando il debito iscritto a ruolo). È materia tecnica, ma in sostanza sì: se il contribuente vanta un rimborso IRPEF di 5.000€ e ha una cartella di 5.000€, può presentare richiesta di compensazione e azzerare il debito (le regole però richiedono la preventiva istanza all’Agente).
  • “Cos’è la rottamazione delle cartelle? Posso beneficiarne?” – Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto diverse definizioni agevolate dei ruoli (rottamazione ter, quater, stralcio mini-cartelle). Ad esempio, la “rottamazione-quater” del 2023 (art. 1, commi 231-252, L.197/2022) permette di pagare i ruoli 2000-2017 senza sanzioni né interessi di mora, in forma dilazionata fino a 18 rate, con termine per aderire (era 30/6/2023 poi prorogato al 31/10/2023 per le prime rate). Queste norme speciali sono finestra temporanee: se attive, il debitore può aderire presentando domanda e bloccando la riscossione, con vantaggi economici notevoli (nessuna sanzione). Al luglio 2025, la rottamazione-quater è in fase di pagamento rate per chi ha aderito; non è escluso che la “pace fiscale 2025” porti nuove opportunità (il governo ha delega per nuove definizioni). Il consiglio è: tenere d’occhio eventuali sanatorie fiscali e, se compatibili con la propria situazione, valutarne l’adesione per risparmiare su sanzioni/interessi. Ovviamente, durante una definizione agevolata, le azioni di riscossione sono sospese per legge.
  • “Sono nullatenente/disoccupato, cosa può farmi l’Agente Riscossione?” – Se il debitore non possiede beni intestati né redditi aggredibili, il rischio immediato è contenuto: l’Agente non potrà pignorare nulla (ad eccezione di pignoramento di cose modeste presso la residenza, che però è raro e antieconomico). Tuttavia, il debito rimane e vengono applicati interessi di mora; inoltre, se in futuro quel debitore avrà un lavoro o un conto con fondi, l’Agente potrà intervenire (entro i limiti di prescrizione). Quindi la “nullatenenza” non annulla il debito (a meno di prescrizione sopravvenuta). In questi casi potrebbe essere utile valutare le procedure da sovraindebitamento: se la persona è insolvente complessivamente, potrebbe proporre un piano al tribunale per esdebitarsi. Ad esempio, una persona senza patrimonio con molti debiti iscritti potrebbe tentare la liquidazione del patrimonio ex L.3/2012 (ora Codice crisi) per ottenere la cancellazione dei debiti a fronte di quel poco che ha. Sono rimedi estremi ma possibili.
  • “Cosa succede se non pago né impugno la cartella entro 60 gg?” – Trascorso il termine, il debito diventa definitivo e l’Agente può agire. Nei mesi o anni successivi potresti ricevere un’intimazione di pagamento (che è un ultimo sollecito con 5 giorni di tempo), e poi partirebbero i pignoramenti. Non pagando, ti esponi a queste azioni: es. prelievo forzoso dal conto corrente, blocco auto, pignoramento stipendio (se ne hai uno futuro). Inoltre, non potrai ottenere certificato di regolarità fiscale (importante per partecipare ad appalti o ottenere attestazioni). In pratica, il debito rimane come una spada di Damocle. Solo la prescrizione, dopo molti anni senza atti, potrebbe liberartene – ma è un’alea rischiosa, perché basta un atto ogni tanto per interrompere.

Infine, presentiamo due brevi simulazioni pratiche (casi di esempio) per illustrare i tempi e le azioni:

  • Caso 1: Irpef non versata e avviso bonario – Mario ha presentato la dichiarazione dei redditi 2023 con saldo Irpef €2.000, ma per difficoltà non l’ha versato. Nell’ottobre 2024 riceve un avviso bonario per “omesso versamento Irpef 2023” di €2.000 + €200 interessi + €200 sanzione ridotta (10%). Mario, riconoscendo il debito, chiede subito la rateizzazione in 20 rate. Paga la prima rata di circa €130 a novembre 2024. Prosegue nei pagamenti. Nel 2025 perde il lavoro e salta alcune rate: ne omette 5 entro il 2026, decadenza dal beneficio. Nel 2027 l’Agenzia iscrive a ruolo il residuo (€1.000 rimasti + sanzioni ora al 30% sulla quota non pagata). Nel marzo 2028 Mario riceve la cartella esattoriale per ~€1.200 (inclusi interessi e aggi). Mario a questo punto non ha ancora reddito, non paga né ricorre. L’Agente dopo 60 gg verifica che Mario è disoccupato e non possiede immobili, quindi non fa nulla. Nel 2033, Mario trova impiego e improvvisamente riceve (dopo 5 anni di silenzio) un atto di pignoramento del quinto dello stipendio su quella cartella, perché l’Agente nel 2032 gli aveva inviato (a vecchio indirizzo) un’intimazione riattivando il termine. Mario ora non può più contestare nulla nel merito (termine ricorso passato), può solo opporre la prescrizione se riuscisse a dimostrare di non aver ricevuto atti per oltre 5 anni (ma c’è quell’intimazione del 2032 che interrompe). Quindi dovrà subire il pignoramento. – Morale: se Mario avesse sistemato prima (pagando o appellandosi per tempo), avrebbe ridotto il danno; aver trascinato il debito gli costa poi sanzioni piene e recupero coattivo al momento meno opportuno.
  • Caso 2: Cartella per controllo formale senza avviso bonario – Anna nel 2019 presenta il 730 e indica oneri detraibili per €3.000. Nel 2021 l’Agenzia fa un controllo formale e non le riconosce €1.000 di detrazioni (perché la documentazione inviata era ritenuta insufficiente), ma – per un disguido – non le invia la comunicazione dell’esito. Nel 2022 Anna riceve direttamente una cartella di pagamento di €230 (imposta €1.000×23% + sanzioni 30% – detrazione negata). Anna, sorpresa, consulta un tributarista. Dato che la cartella deriva da un controllo formale ex art. 36-ter, e non c’è stato avviso bonario, Anna presenta ricorso in Commissione Tributaria eccependo la nullità della cartella per omissione dell’avviso bonario obbligatorio. Il giudice, rifacendosi alla giurisprudenza (sent. Cass. 15311/2014 sul punto), accoglie il ricorso e annulla la cartella. L’Agenzia dovrà quindi semmai riemettere un avviso bonario (ormai fuori termine) o più probabilmente rinunciare al recupero. – Morale: conoscere i propri diritti (in questo caso il diritto al contraddittorio preventivo nel controllo formale) ha permesso al contribuente di far valere un vizio e annullare un debito.

Domande frequenti (FAQ)

D: Quanto tempo ho per pagare un avviso bonario?
R: Se l’atto è stato elaborato dal 1° gennaio 2025 in poi, hai 60 giorni di tempo dalla data di notifica per pagare (o per la prima rata, se rateizzi). Per gli avvisi bonari elaborati fino al 2024 il termine resta di 30 giorni (anche se li ricevi nel 2025). Fai attenzione: per gli avvisi trasmessi al tuo intermediario (commercialista) e non direttamente a te, il termine è 90 giorni. Inoltre, i termini di pagamento sono sospesi dal 1° agosto al 4 settembre di ogni anno: questo significa che se, ad esempio, ricevi un avviso il 20 luglio, il countdown dei 60 giorni si ferma il 1° agosto e riprende il 5 settembre (dandoti circa un mese in più).

D: Cosa succede se ignoro un avviso bonario e non pago?
R: Trascorso il termine (30 o 60 gg) senza alcuna risposta, l’importo indicato nell’avviso bonario diventa definitivamente dovuto ed esigibile. L’Agenzia delle Entrate iscriverà a ruolo quel debito e lo affiderà all’Agente della Riscossione per la notifica della cartella di pagamento. Perderai il beneficio della sanzione ridotta: nella cartella ti verrà addebitata la sanzione intera (generalmente 30%, ridotta al 25% per omissioni dal 2024), oltre agli interessi di mora e agli oneri di riscossione. Inoltre, ignorando l’avviso rinunci anche alla possibilità di rateizzarlo facilmente presso l’Agenzia Entrate: potrai sì chiedere rate dopo, ma solo quando la cartella è emessa (con regole diverse). In sintesi, ignorare l’avviso bonario significa prepararsi a ricevere una cartella con importo più alto e a dover eventualmente gestire la situazione in fase coattiva, con rischi di pignoramento. È fortemente consigliato di non restare inerti: meglio pagare o almeno contestare se ritieni non dovuto.

D: Posso impugnare un avviso bonario senza aspettare la cartella?
R: Sì. Dal 2022-2023 la giurisprudenza (Cass. 24390/2022) e le nuove norme hanno chiarito che l’avviso bonario (comunicazione di irregolarità) è autonomamente impugnabile entro 60 giorni. Prima non era così (si doveva attendere la cartella), ma ora puoi presentare ricorso al giudice tributario direttamente contro l’avviso bonario, ad esempio se ritieni infondata la pretesa. Impugnandolo in tempo, blocchi la procedura di riscossione: l’Agenzia non può emettere cartella finché la causa non si conclude. Attenzione però: puoi impugnare l’avviso bonario solo per motivi di merito o di legittimità inerenti a esso (errori di calcolo, vizi procedurali, ecc.), non per contestare norme in generale. E sappi che se fai ricorso e lo perdi, poi dovrai pagare l’intero (con sanzioni piene). In caso di dubbi, valuta l’opportunità del ricorso con un esperto, ma sappi che la legge ora te lo consente espressamente.

D: Che differenza c’è tra avviso bonario e cartella esattoriale?
R: L’avviso bonario è una comunicazione “preventiva” inviata dall’ente impositore (es. Agenzia Entrate) per segnalarti un debito emerso da controlli, dandoti la chance di pagare con sanzioni ridotte o di correggere errori. Non è un atto esecutivo: se non paghi, ci vorrà un successivo atto (cartella) per la riscossione coattiva. La cartella esattoriale, invece, è emessa dall’Agente della Riscossione a seguito dell’iscrizione a ruolo del debito: è un titolo esecutivo che ti intima formalmente di pagare entro 60 giorni e, in difetto, consente l’avvio di pignoramenti, fermi amministrativi ecc.. In breve: l’avviso bonario è un avvertimento bonario (appunto) con opportunità di sistemare; la cartella è già un ordine di pagamento coercitivo. Va anche detto che se paghi l’avviso bonario nei termini, la cartella non verrà mai emessa (il debito si estingue lì).

D: Quante rate posso chiedere per un avviso bonario o per una cartella?
R: Per gli avvisi bonari, dopo le novità del 2023, puoi ottenere fino a 20 rate trimestrali (cioè 5 anni) indipendentemente dall’importo. Non c’è più distinzione tra debiti piccoli o grandi: qualsiasi importo, se vuoi, lo puoi diluire in massimo 20 trimestri (prima erano 8 trimestri fino a 5.000€ e 20 oltre). La prima rata va versata entro 60 gg dal ricevimento dell’avviso. Per le cartelle esattoriali, la rateazione standard prevede fino a 72 rate mensili (6 anni) senza dover dare prove (entro debiti di €120.000). Se hai bisogno di più tempo e sei in difficoltà economica, puoi chiedere un piano “straordinario” fino a 120 rate mensili (10 anni), ma devi documentare la tua situazione (ad esempio ISEE basso, indice di liquidità <1 per imprese) e serve approvazione. Novità: dal 2025 si amplia a 84 rate il piano ordinario per debiti ≤120k. In ogni caso la rata minima è €50. Quindi, ad esempio, un debito di €6.000 puoi: sul bonario spalmare in 20 trimestri da €300 ca.; sulla cartella in 72 mesi da €83 ca. (o 120 mesi da €50 ca. se ammesso al piano lungo).

D: Cosa posso fare se ritengo la cartella esattoriale sbagliata o se non mi è mai arrivato l’atto precedente?
R: Puoi contestare la cartella in due modi:

  1. presentando ricorso entro 60 giorni al giudice competente (commissione tributaria per tributi, giudice ordinario per contributi o multe a seconda dei casi);
  2. oppure, in alternativa o aggiunta, inviando una richiesta di sospensione all’Agenzia Entrate-Riscossione entro 60 giorni, ai sensi della L.228/2012. Nel ricorso farai valere i motivi: ad esempio cartella nulla perché l’atto presupposto (tipo l’accertamento) non ti è mai stato notificato; oppure importo già pagato in precedenza; o ancora decadenza dei termini, prescrizione, etc. Nel frattempo, con l’istanza di sospensione amministrativa all’Agente puoi allegare le prove (ricevute di pagamento, copia della sentenza che annulla l’atto presupposto, ecc.) e chiedere di sospendere la riscossione. Se l’ente creditore conferma l’errore o non risponde entro 220 giorni, la cartella viene annullata. Ricorda: se l’atto precedente non ti era stato notificato (es. un accertamento mai ricevuto), la cartella è impugnabile per far valere questa omissione. Il giudice in tali casi di norma annulla la cartella proprio perché ti ha privato della possibilità di difesa sull’atto principale.

D: Dopo quanti anni si prescrive una cartella esattoriale?
R: Dipende dal tipo di debito contenuto:

  • Contributi INPS/INAIL: 5 anni (dalla notifica dell’avviso di addebito/cartella se non ci sono altri atti in mezzo). Ogni atto interruttivo (intimazione, sollecito) fa ripartire 5 anni.
  • Tributi erariali (es. IRPEF, IVA): qui c’è dibattito. Per sicurezza, considera 10 anni come prescrizione ordinaria, ma sappi che molte sentenze recenti propendono per 5 anni applicando l’art. 2948 c.c. alle imposte periodiche. Esempio: la Cassazione ha più volte detto che sanzioni e interessi fiscali sono 5 anni, e anche alcune imposte dirette possono considerarsi quinquennali se non c’è titolo giudiziale. Quindi, prudentemente: il fisco ti dirà 10 anni, ma potresti far valere i 5.
  • Tributi locali (IMU, TARI): 5 anni, essendo pagamenti annuali (e comunque i comuni di solito decadono prima se non notificano atti).
  • Multe stradali: 5 anni dal momento in cui la multa è definitiva (quindi dalla notifica del verbale, se non opposto).

Questi termini decorrono dall’ultimo atto valido notificato. Se ricevi una cartella e poi nient’altro, trascorsi 5 anni (o 10 per taluni tributi) senza intimazioni o pignoramenti, quel debito è prescritto e non più esigibile. Ma attenzione: basta che l’Agenzia Entrate-Riscossione ti mandi un’intimazione di pagamento (un sollecito formale) per interrompere la prescrizione e farla ripartire. Dunque, verifica sempre nel tuo cassetto fiscale o con un estratto di ruolo se ci sono atti successivi. In sede di ricorso, devi eccepire tu la prescrizione: il giudice non la applica d’ufficio.

D: Ho delle cartelle vecchie di oltre 10 anni mai pagate, devo ancora pagarle?
R: Se in tutto questo tempo non ti hanno mai notificato null’altro (nessuna intimazione, nessun atto di pignoramento o lettera del concessionario), è molto probabile che tali cartelle siano prescritte. Ad esempio, cartella IRPEF del 2012: se dal 2012 ad oggi (2025) non hai avuto notifiche, ben oltre i 10 anni sono trascorsi, quindi il diritto alla riscossione si è estinto. In teoria potresti anche chiedere all’Agente di emettere uno sgravio per intervenuta prescrizione (non sempre lo fanno spontaneamente). Se però l’Agente tentasse ora un pignoramento, potresti difenderti in giudizio sollevando la prescrizione e vinceresti. Fai però attenzione: devi essere sicuro di non aver ricevuto atti interruttivi. A volte comunicazioni di intimazione vengono depositate presso l’albo pretorio se eri irreperibile: controlla gli estratti di ruolo o chiedi accesso agli atti per eventuali notifiche per compiuta giacenza. Se non risulta nulla, dopo 10 anni direi che puoi considerare quei debiti non più esigibili. In alcuni casi, per piccole cartelle (<€1.000, anni 2000-2015) c’è stata la cancellazione automatica per legge nel 2023 (lo “stralcio” previsto dalla Legge di Bilancio 2023): verifica se rientravano.

D: Ho bisogno del DURC ma ho delle cartelle non pagate: posso ottenerlo in qualche modo?
R: Il DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva) attesta che sei in regola con i versamenti INPS/INAIL ed eventualmente fiscali. Se hai cartelle per contributi previdenziali non pagate, normalmente il DURC risulta irregolare. Tuttavia, se hai rateizzato quelle cartelle, la normativa dice che sei considerato regolare e il DURC deve essere emesso regolarmente. Quindi, la strategia è: rateizza le cartelle contributive (o paga ciò che serve) prima di chiedere il DURC. Una volta ottenuta la dilazione e pagata almeno la prima rata, l’INPS ti rilascerà il DURC positivo, valido per partecipare a gare o ottenere pagamenti. Attenzione: basta saltare una rata e potresti perdere il DURC, quindi tieni il piano in ordine. Per cartelle puramente fiscali, il DURC in sé non ne tiene conto (il DURC riguarda contributi); però se partecipi a gare pubbliche, anche la regolarità fiscale viene considerata. In generale, avere un piano di rateazione attivo mette al riparo da molte certificazioni negative, perché risulti “in regola” a tutti gli effetti durante la dilazione.

D: Sono un privato cittadino sommerso dai debiti, incluse cartelle esattoriali, che non riuscirò mai a pagare. Ho qualche via d’uscita legale?
R: Sì, esistono le procedure di sovraindebitamento disciplinate dalla legge (oggi nel Codice della Crisi). Se sei una persona fisica non fallibile (consumatore o piccolo imprenditore) e hai debiti insostenibili, puoi rivolgerti a un OCC (Organismo Composizione Crisi) o al tribunale per avviare:

  • un Piano del Consumatore (se la tua insolvenza non è colposa), dove proponi di pagare in parte i tuoi debiti (anche tributari) in base a ciò che realisticamente puoi, ottenendo la cancellazione della parte restante con omologazione del giudice;
  • un Accordo di ristrutturazione (se hai attività d’impresa non fallibile) con i creditori, inclusi Fisco/INPS, che se approvano a maggioranza e il giudice omologa, diventa vincolante;
  • oppure, in casi estremi, la Liquidazione controllata del patrimonio: metti a disposizione tutto quel poco che hai per i creditori e, decorso un periodo, ottieni l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui).

Queste procedure bloccano le azioni esecutive (fermi, pignoramenti) durante il loro svolgimento e possono portare a uno stralcio definitivo dei debiti, cartelle comprese, su decisione del giudice. Sono però processi complessi, che richiedono l’assistenza di professionisti specializzati e il rispetto di vari requisiti (ad esempio, non devi aver agito con frode, devi offrire almeno quello che hai di disponibile, etc.). Diciamo che è l’ultima spiaggia, ma esiste: molti piccoli imprenditori o privati soffocati dai debiti, tra cui cartelle, hanno ottenuto dal giudice la cancellazione parziale dei debiti e un “fresh start”. In alternativa, puoi sperare nelle ricorrenti “rottamazioni” governative, ma non c’è garanzia se i debiti sono ingenti.


Conclusione

Abbiamo esaminato in modo approfondito il percorso che va dall’avviso bonario alla cartella esattoriale, mettendo in luce quanto tempo intercorre tra queste fasi e quali sono i diritti e doveri del contribuente in ciascuna tappa. In sintesi:

  • Tempistiche chiave: oggi l’avviso bonario concede 60 giorni per reagire; se disatteso, la cartella può arrivare pochi mesi dopo (comunque entro max 2-3 anni a seconda dei casi). Dal bonario alla cartella c’è dunque un periodo che varia, ma che il debitore deve sfruttare per mettersi in regola o far valere le proprie ragioni.
  • Novità recenti come l’estensione del termine a 60 gg e l’impugnabilità immediata dell’avviso bonario rafforzano la posizione del contribuente, in un’ottica di maggiore collaborazione e trasparenza.
  • Dal punto di vista del debitore, è fondamentale:
    • Agire tempestivamente (pagare o contestare entro i termini).
    • Conoscere e utilizzare gli strumenti di tutela: rateizzazioni (sia in fase bonaria che successiva), sospensioni, ricorsi, eccezioni procedurali (nullità, prescrizione).
    • Tenere traccia di tutte le comunicazioni ricevute e dei pagamenti effettuati, per potersi difendere efficacemente in caso di errori.
    • Valutare con professionalità (es. con un avvocato tributarista) le opzioni migliori caso per caso: a volte pagare subito è economicamente più vantaggioso, altre volte il ricorso è doveroso.
  • Prospettiva futura: La riforma fiscale in corso (2023-2025) mira a semplificare e migliorare il rapporto Fisco-contribuente. Ciò include procedure più rapide ma anche più garanzie (ad es. la graduale estensione del numero di rate, l’uso intensivo del cassetto fiscale, la spinta al contraddittorio preventivo). L’obiettivo è ridurre il contenzioso e favorire la compliance volontaria. Per il debitore virtuoso, queste sono opportunità da cogliere per evitare di arrivare allo scontro con l’esattore.

In ogni caso, il miglior alleato del contribuente è la conoscenza: sapere quanto tempo passa tra un atto e l’altro, conoscere i propri diritti e i termini da rispettare, consente di evitare passi falsi e di mantenere (per quanto possibile) sotto controllo la situazione debitoria. Questa guida ha cercato di fornire un quadro esaustivo e aggiornato a luglio 2025, con un linguaggio accessibile ma rigoroso, affinché sia il professionista sia il cittadino possano trovare risposta ai principali dubbi sul tema.

Ricorda: un avviso bonario non è la fine, ma un inizio di dialogo; una cartella non è una sentenza inappellabile, ma un atto che puoi ancora gestire. Tempestività, dialogo e, se serve, fermezza nel far valere i propri diritti, sono le chiavi per affrontare in modo efficace queste situazioni.

Fonti

Siti informativi vari: avvocato360.it, ilCommercialistaOnline.it, avvocaticartellesattoriali.com (guide divulgative su avvisi bonari e cartelle, utilizzate per confronto terminologico e casi pratici).

Agenzia Entrate – guida “Controllo automatizzato (art.36-bis) e formale (36-ter) delle dichiarazioni”

Agenzia delle Entrate-Riscossione – Vademecum “Rateizzazione delle cartelle di pagamento” (aggiornamenti 2025)

Corte di Cassazione – ordinanza n. 22061 del 12/07/2022 (omesso versamento e avviso bonario non obbligatorio se nessuna incertezza)

Corte di Cassazione – sentenza n. 15311/2014 (nullità cartella post-controllo formale senza avviso bonario)

Corte di Cassazione – sentenza n. 24390/2022 (avviso bonario atto impugnabile autonomo)

Corte di Cassazione – sentenza n. 2044/2023 (prescrizione quinquennale sanzioni tributarie non giudizialmente accertate)

Corte di Cassazione – SS.UU. sentenza n. 23397/2016 (prescrizioni tributi vs contributi; obblighi periodici)

Agenzia Entrate – Circolare n. 36/E del 29/05/2018 (gestione avvisi bonari tramite Civis)

Agenzia Entrate – Circolare n. 9/E del 05/04/2023 (istruzioni operative avvisi bonari, pre-riforma 2024)

INPS – Messaggio n. 1026 dell’11/02/2024 (campagna avvisi bonari contributivi 2024)

Leggi d’Italia – D.P.R. 600/1973, D.P.R. 602/1973, D.Lgs. 46/1999, D.Lgs. 462/1997 (norme su controlli, ruoli e riscossione)

Codice civile – Art. 2946, 2948 c.c. (termini prescrizione ordinaria e quinquennale)

Codice della Strada – Art. 206 (riscossione coattiva sanzioni amministrative, termini)

Codice Crisi d’Impresa (D.Lgs.14/2019) – Artt. 65-81 (procedure di sovraindebitamento del consumatore e accordi debitori)

Giurisprudenza tributaria di merito – Commissione Tributaria Regionale Lombardia, sent. 310/2021 (IRPEF prescrizione quinquennale come tributo periodico)

Hai ricevuto un avviso bonario dall’Agenzia delle Entrate e temi che si trasformi presto in una cartella esattoriale? Fatti Guidare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso bonario dall’Agenzia delle Entrate e temi che si trasformi presto in una cartella esattoriale?
Non sai quanto tempo hai a disposizione per evitare sanzioni e iscrizioni a ruolo?

L’avviso bonario è una comunicazione preventiva che consente al contribuente di pagare entro termini ridotti, con sanzioni minime. Ma se non si regolarizza nei tempi previsti, l’importo viene iscritto a ruolo e l’Agenzia delle Entrate Riscossione può notificare la cartella.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’avviso bonario ricevuto e verifica l’origine dell’irregolarità
  • 📌 Calcola i tempi esatti entro cui è possibile evitare la cartella esattoriale
  • ✍️ Predispone istanze di autotutela, correzioni o ricorsi se l’avviso è infondato
  • ⚖️ Ti assiste in caso di ritardi, pagamenti non registrati o comunicazioni errate
  • 🔁 Ti aiuta a valutare la convenienza del pagamento agevolato o la possibilità di rateizzazione

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e riscossione fiscale
  • ✔️ Specializzato in difesa da avvisi bonari, cartelle esattoriali e fermi amministrativi
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Dall’avviso bonario alla cartella passano normalmente 30 giorni lavorativi, ma ogni caso ha le sue particolarità.
Con una consulenza tempestiva puoi evitare la riscossione forzata e risolvere il problema in modo rapido e sicuro.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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