Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate per redditi da affitto, quote societarie o partecipazioni non dichiarati? Ti contestano omissioni nella dichiarazione dei redditi, magari derivanti da immobili locati, dividendi percepiti o quote in società detenute in Italia o all’estero? In questi casi è fondamentale capire l’origine della segnalazione, cosa ti viene contestato e come difenderti per evitare accertamenti, sanzioni e iscrizioni a ruolo.
Quando arriva una segnalazione per redditi non dichiarati?
– Se risulti titolare di immobili affittati ma non hai dichiarato i relativi canoni
– Se l’Agenzia ha incrociato dati catastali, registrazioni di contratti, bonifici o certificazioni CU
– Se hai ricevuto dividendi o utili da partecipazioni societarie non riportati nel Modello Redditi
– Se possiedi quote di società italiane o estere non dichiarate nel quadro RW
– Se sono emerse anomalie nei dati trasmessi da banche, notai, intermediari o registri pubblici
Cosa può contenere la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate?
– L’indicazione del reddito ritenuto non dichiarato e la relativa annualità
– I riferimenti ai dati incrociati da fonti esterne (CU, atti notarili, anagrafe tributaria)
– L’invito a regolarizzare la posizione con ravvedimento operoso
– Il termine entro cui fornire chiarimenti o documentazione
– L’avviso che, in caso di inerzia, seguirà un accertamento con sanzioni e interessi
Come puoi difenderti o regolarizzare la situazione?
– Verifica se effettivamente hai percepito i redditi contestati e in che misura
– Controlla se il contratto di affitto è stato registrato e con quale importo
– Se il reddito è stato percepito ma omesso per errore, valuta un ravvedimento operoso per ridurre sanzioni
– Se il reddito non ti spettava (es. provento intestato a più soggetti, utili non distribuiti, affitti non riscossi), prepara una memoria difensiva documentata
– Se si tratta di una quota societaria o partecipazione detenuta all’estero, verifica gli obblighi di monitoraggio fiscale (quadro RW)
– Se l’Agenzia ha avviato l’accertamento, valuta con il tuo consulente l’opportunità di aderire o fare ricorso
Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– L’annullamento totale o parziale della contestazione, se i dati sono errati
– La regolarizzazione agevolata con ravvedimento operoso, se hai omesso in buona fede
– La riduzione delle sanzioni, in caso di adesione o accordo
– L’esclusione da accertamenti più gravi, se agisci in tempi rapidi
– La tutela della tua posizione fiscale e la prevenzione di segnalazioni future
Attenzione: molte contestazioni si basano su dati raccolti automaticamente, che possono essere imprecisi o incompleti. Ma anche se c’è stato un errore reale, intervenire subito ti consente di risparmiare su sanzioni e interessi ed evitare l’avvio di procedure esecutive.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, redditi da locazione e fiscalità delle partecipazioni societarie ti spiega come affrontare una segnalazione per redditi non dichiarati, quando pagare, quando opporsi e come tutelarti in modo efficace.
Hai ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate per affitti, dividendi o partecipazioni non dichiarate?
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Introduzione
Se l’Agenzia delle Entrate ti ha segnalato dei redditi non dichiarati – ad esempio canoni di affitto “in nero” o partecipazioni estere occultate – è fondamentale capire cosa sta contestando il Fisco, quali rischi corri e come puoi difenderti. Negli ultimi anni il Fisco italiano ha intensificato i controlli incrociati su locazioni immobiliari, investimenti esteri, trust e altre fonti di reddito, grazie a nuove banche dati e cooperazione internazionale. Tuttavia, non ogni accertamento è fondato: il contribuente (in quanto “debitore” d’imposta) ha a disposizione una serie di strumenti difensivi, sia in via amministrativa sia in via giudiziale, per far valere le proprie ragioni e – se del caso – regolarizzare spontaneamente la propria posizione. Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – fornisce un’analisi avanzata dal punto di vista del contribuente, combinando rigore giuridico e stile divulgativo. Approfondiremo la normativa italiana vigente (comprese le novità introdotte fino al 2025), le contestazioni tipiche su redditi da affitto, partecipazioni in società estere, trust e simili, e le strategie difensive più efficaci (dall’autotutela all’accertamento con adesione fino al contenzioso). Troverai inoltre esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi frequenti.
Nota: Ci concentreremo sugli aspetti fiscali amministrativi (imposte e sanzioni), senza addentrarci nei profili di reato tributario, se non per cenni. In molti casi, violazioni che un tempo avevano rilievo penale oggi sono depenalizzate o gestibili con strumenti deflativi; tuttavia, gravi evasioni possono comunque sfociare in procedimenti penali (si pensi all’omessa dichiarazione oltre soglia). L’obiettivo primario resta evitare o annullare l’accertamento tributario e le relative somme dovute.
Redditi da affitto non dichiarati: normativa e contestazioni
I redditi da locazione immobiliare devono essere dichiarati annualmente dal proprietario (locatore) nel quadro dedicato della dichiarazione dei redditi. In Italia le locazioni abitative private godono di un regime fiscale agevolato (la cedolare secca) e presentano alcune particolarità, mentre le locazioni commerciali seguono regole leggermente diverse. Vediamo le principali categorie di affitti e cosa succede se non vengono dichiarati al Fisco.
Affitti brevi (locazioni turistiche)
Le locazioni brevi a fini turistici – affitti di case o stanze per periodi fino a 30 giorni, spesso tramite piattaforme online come Airbnb o Booking – sono da tempo sotto la lente del Fisco. Dal 2017, la legge ha introdotto obblighi specifici sia per i locatori privati sia per gli intermediari (agenzie e portali online). In sintesi:
- Opzione Cedolare secca: Il locatore privato può optare per la cedolare secca sugli affitti brevi, un’imposta sostitutiva a aliquota fissa. Fino al 2023 l’aliquota era 21% per tutti; la Legge di Bilancio 2024 (L. 197/2022) ha introdotto un’aliquota differenziata: 26% sui redditi da affitti brevi, ridotta al 21% solo se riferiti ad una sola unità immobiliare affittata nel corso dell’anno. In pratica, dal 2024 chi affitta più di un immobile per brevi periodi può applicare la cedolare 21% solo su uno di essi (scelto dal contribuente), mentre gli altri redditi da locazioni brevi saranno tassati al 26%. Se non si opta per la cedolare, i canoni percepiti vanno dichiarati come reddito fondiario IRPEF ordinario (sul 95% dell’importo, essendo immobili abitativi). La cedolare, quando applicabile, è spesso conveniente perché evita addizionali e imposte di registro/bollo, ma non consente deduzioni specifiche di costi (l’imposta si paga anche se l’affitto è in perdita).
- Soglia dei 4 immobili – attività d’impresa: La normativa presume che l’attività di locazione breve diventi attività d’impresa se un privato affitta più di 4 unità immobiliari nella stessa annualità. Dal 5° immobile affittato, il locatore viene trattato come imprenditore: niente cedolare secca, obbligo di aprire partita IVA, tenuta di contabilità e dichiarazione dei redditi d’impresa. I proventi saranno tassati come reddito d’impresa (aliquote IRPEF progressive, con possibilità però di dedurre i costi inerenti), e si applicano i relativi adempimenti (es. fatturazione elettronica, iscrizione gestione INPS se attività prevalente, SCIA in Comune per avvio di struttura ricettiva ecc.). Esempio pratico: un privato (“Tizio”) affitta 5 appartamenti turistici in diverse città d’arte. Dal 5° immobile la legge lo considera imprenditore: se Tizio continuasse a operare come privato ignorando l’obbligo di P.IVA, rischierebbe che l’Agenzia delle Entrate riqualifichi i redditi come d’impresa, con recupero di IVA e altre imposte dovute, oltre a sanzioni. Inoltre il Comune potrebbe multarlo fino a 10.000€ per mancata SCIA (segnalazione certificata di inizio attività).
- Obblighi degli intermediari: Per combattere l’evasione negli affitti brevi “digitali”, dal 2017 gli intermediari e portali online hanno l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati dei contratti di locazione breve conclusi tramite il loro servizio, entro il 30 giugno dell’anno successivo. Devono inoltre, se intervengono nell’incasso dei canoni, operare una ritenuta del 21% all’atto del pagamento al locatore. Tale ritenuta fungE da pagamento dell’imposta: è a titolo d’imposta se il locatore ha optato per cedolare secca, oppure a titolo di acconto IRPEF se è in regime ordinario. In pratica, ad esempio, Airbnb trattiene il 21% del canone e lo versa al Fisco, rilasciando al locatore una certificazione annuale delle ritenute. Attenzione: se il portale non effettua o non versa la ritenuta, può essere sanzionato (20% delle somme non trattenute), ma ciò non esonera il locatore dal dichiarare il reddito – dovrà in tal caso versare le imposte dovute per intero o la differenza non coperta da ritenuta. Dal 2024, dopo alcuni contenziosi legali, i grandi portali internazionali hanno iniziato a uniformarsi a questi obblighi, fungendo a tutti gli effetti da sostituti d’imposta.
Sentenza UE 2022 – La società Airbnb (con sede in Irlanda) ha inizialmente contestato la normativa italiana sulla ritenuta, sostenendo di non dover nominare un rappresentante fiscale né trattenere importi in base alle regole UE sullo scambio di informazioni. La disputa è arrivata davanti alla Corte di Giustizia UE, che con sentenza del 22 dicembre 2022 (causa C-83/21) ha stabilito la legittimità dell’obbligo di ritenuta alla fonte imposto dall’Italia. Ciò ha di fatto sbloccato l’applicazione piena della disciplina: dal 2023-2024 in poi i portali come Airbnb e Booking hanno implementato la trattenuta del 21% su tutti i pagamenti verso host privati e la trasmissione annuale dei dati al Fisco.
- Identificativo dell’immobile e altre novità: Il legislatore ha introdotto anche un Codice Identificativo Nazionale (CIN) delle strutture destinate alle locazioni turistiche. Dal 1° gennaio 2025 è obbligatorio ottenere per ogni immobile dato in affitto breve un codice identificativo, da utilizzare negli annunci. Questo sistema di registrazione – avviato a fine 2024 – consente di censire tutti gli alloggi destinati agli affitti brevi e facilita i controlli incrociati. Inoltre, per garantire sicurezza, sono stati imposti requisiti minimi (es. rilevatori di fumo, estintori) anche per le locazioni brevi non imprenditoriali. Chi affitta anche solo una stanza in modo occasionale deve comunque rispettare tali obblighi. Infine, gli host devono versare l’imposta di soggiorno comunale ove prevista e comunicare alle autorità di pubblica sicurezza le generalità degli ospiti entro 24 ore (mediante il portale Alloggiati Web della Polizia) – adempimento quest’ultimo comune a tutte le strutture ricettive.
Contestazioni tipiche sugli affitti brevi: L’Agenzia delle Entrate avvia accertamenti sulle locazioni brevi in diverse circostanze: quando riceve i dati dalle piattaforme che non trovano riscontro nella dichiarazione dei redditi del proprietario; quando nota incongruenze (ad esempio importi dichiarati inferiori a quelli comunicati dal portale); quando il numero di affitti è elevato e fa sospettare un’attività organizzata non dichiarata come impresa. In altri casi, il controllo scatta perché il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione pur avendo percepito canoni (omissione), oppure ha applicato regimi fiscali non spettanti (es. ha indicato la cedolare secca pur non avendone diritto, magari perché quinto immobile affittato). Tra le contestazioni più frequenti vi sono:
- Omissione o infedele dichiarazione dei redditi da locazione – ovvero canoni non dichiarati affatto, oppure dichiarati solo in parte o in modo non corretto. Ad esempio, se il locatore ha percepito 10.000 € da affitti Airbnb ma ne ha dichiarati solo 5.000 €, l’Ufficio contesterà una dichiarazione infedele per i 5.000 € sottratti a tassazione. Se invece non ha dichiarato nulla, si configura omessa dichiarazione per quell’anno d’imposta.
- Errata applicazione del regime fiscale – il caso classico è l’utilizzo indebito della cedolare secca: ad esempio, il contribuente applica la cedolare al 21% ma in realtà non ne avrebbe diritto (perché affitta più di 4 immobili, o perché l’immobile non è a uso abitativo). L’Agenzia ricalcola allora l’imposta dovuta in base al regime corretto (IRPEF ordinaria, o tassazione d’impresa se riclassificata come tale). Un altro esempio: l’host che opera con partita IVA come impresa deve applicare l’IVA esente sui canoni ex art. 10 DPR 633/72 (trattandosi di locazioni abitative) – se non l’ha fatto, potrebbe subire un recupero dell’IVA non versata.
- Mancato versamento delle imposte dovute – se il contribuente ha dichiarato i redditi ma non ha poi versato la cedolare secca o l’IRPEF relative, l’accertamento mira al recupero delle imposte. In ambito di controllo formale spesso emergono versamenti omessi o insufficienti.
- Riqualificazione in reddito d’impresa – quando l’attività ha i caratteri di abitualità e organizzazione (ad esempio, numero di immobili elevato, presenza di servizi aggiuntivi assimilabili a quelli alberghieri: pulizie giornaliere, cambio biancheria, reception, colazione, ecc.), il Fisco può contestare che non si tratta più di “gestione privata immobiliare” ma di una vera attività economica. In tal caso, oltre alle imposte sui redditi non dichiarati, possono scattare contributi previdenziali (gestione commercianti INPS se attività prevalente) e sanzioni amministrative per esercizio abusivo di attività ricettiva.
Come difendersi in caso di accertamento su affitti brevi: Di fronte a un avviso di accertamento per redditi da locazioni brevi non dichiarati, il contribuente può mettere in atto diverse linee di difesa:
- Dimostrare la natura occasionale/non imprenditoriale: se il Fisco contesta un’attività d’impresa occulta (ad esempio perché hai 5-6 annunci online), puoi difenderti provando che in realtà gli affitti sono stati saltuari, senza organizzazione d’impresa. Documenta l’assenza di servizi aggiuntivi tipici degli hotel (niente colazione, pulizie a carico dell’ospite, nessun dipendente), il numero limitato di locazioni e magari periodi in cui l’immobile era a disposizione personale. La legge fissa la soglia di 4 immobili come criterio oggettivo, ma in teoria sarebbe possibile contestare la presunzione legale d’impresa se, ad esempio, il superamento è minimo e manca ogni altro indizio di imprenditorialità. Tieni però presente che è una difesa non semplice: oltre il quarto immobile la posizione è oggettivamente fragile.
- Esibire contratti e prove dei pagamenti effettivi: spesso l’Agenzia ricostruisce i redditi da affitti brevi sulla base dei dati comunicati dai portali o da indagini finanziarie. È essenziale fornire la documentazione che attesti l’importo effettivamente incassato e a quale titolo. Ad esempio, se l’Ufficio ha contato come “affitto” somme che in realtà includono cauzioni restituite o rimborsi spese, occorre dimostrarlo con ricevute, estratti conto, e copia dei contratti con gli ospiti. Questo può ridurre l’ammontare del reddito imponibile contestato.
- Correggere errori materiali: verificare se le contestazioni derivano da errori o duplicazioni (es. la stessa locazione conteggiata due volte, oppure scambi di persona). In caso di evidente errore nei dati, è possibile presentare osservazioni all’Ufficio (in sede di contraddittorio) evidenziando l’inesattezza. Talvolta le comunicazioni dei portali possono contenere inesattezze – ad esempio un host compare come percettore di importi che invece sono andati all’effettivo proprietario. Se disponi di documenti che provano l’errore, la contestazione potrebbe essere annullata in autotutela.
- Verificare la dichiarazione dei redditi originaria: potresti aver dichiarato i redditi in modo diverso da come l’Agenzia si aspetta. Ad esempio, se hai inserito quei proventi in un quadro differente (magari li hai considerati redditi diversi anziché fondiari, o li hai dichiarati come reddito d’impresa forfettario), potrebbero non risultare immediatamente all’incrocio automatico. In sede di difesa, mostrane evidenza: se effettivamente il reddito era già incluso (anche se in altra forma), non c’è evasione sostanziale.
- Rimediare con ravvedimento o definizione agevolata: se effettivamente non hai presentato la dichiarazione o hai dimenticato di includere gli affitti, puoi valutare un ravvedimento operoso prima che l’accertamento diventi definitivo. Se sei ancora nei termini (ad esempio l’avviso di accertamento non è stato emanato, ma hai solo una lettera di compliance, oppure sei entro i 90 giorni dalla scadenza della dichiarazione tardiva), il ravvedimento ti consente di dichiarare i redditi e pagare sanzioni ridotte (vedremo dettagli più avanti). Anche se hai già un avviso, ci sono stati in passato provvedimenti di definizione agevolata degli avvisi: ad esempio, con la L. 197/2022 (Bilancio 2023) si era prevista la possibilità di chiudere accertamenti non impugnati pagando imposte e interessi senza sanzioni (il cosiddetto “ravvedimento speciale” e altre sanatorie). Verifica se la tua situazione rientra in qualche misura agevolativa vigente. In mancanza, ricorda che firmare un accertamento con adesione comporta comunque la riduzione delle sanzioni di 1/3, dunque una qualche forma di “sconto” è quasi sempre ottenibile.
Affitti lunghi e immobili commerciali: Oltre agli affitti brevi, esistono casi di redditi non dichiarati derivanti da locazioni tradizionali (annuali o 4+4) di immobili ad uso abitativo, oppure da locazioni di immobili commerciali (negozi, uffici, capannoni). Anche qui il problema può essere duplice: mancata registrazione del contratto e mancata dichiarazione dei canoni percepiti al Fisco.
- Obbligo di registrazione: ogni contratto di locazione di durata superiore a 30 giorni va registrato presso l’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dalla stipula (D.P.R. 131/1986, Tariffa Parte II). La mancata registrazione comporta gravi conseguenze civili e fiscali. Civilmente, il contratto non registrato è nullo e i patti sul canone sono inefficaci: l’inquilino potrebbe smettere di pagare e non potrebbe essere sfrattato finché il contratto resta “in nero” (anzi, potrebbe chiedere la restituzione dei canoni già corrisposti). Fiscalmente, si applicano sanzioni sia sull’imposta di registro evasa (sanzione dal 120% al 240% dell’imposta di registro dovuta), sia sull’IRPEF evasa per i canoni non dichiarati (sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta, per dichiarazione infedele). Il locatore scoperto con un affitto in nero quindi subisce un doppio profilo sanzionatorio. Esempio: Proprietario affitta un negozio per 1.000€/mese senza registrare nulla. Se scoperto dopo un anno, dovrà pagare l’imposta di registro non versata (2% annuo del canone, cioè 240€) più una sanzione tra 288€ e 576€ (120%-240% di 240€), oltre all’IRPEF sui 12.000€ di reddito non dichiarato più sanzione 90-180% su quell’IRPEF evasa, più interessi.
- Dichiarazione dei canoni non percepiti: un caso particolare riguarda i canoni non incassati dall’inquilino moroso. La legge italiana (art. 26 TUIR) prevede che i redditi fondiari da locazione concorrono al reddito indipendentemente dall’effettiva percezione. Ciò significa che, in linea generale, il locatore deve dichiarare i canoni previsti dal contratto finché il contratto è in essere, anche se l’inquilino non paga. Solo in seguito l’ordinamento consente di escludere dal reddito i canoni non riscossi, alle seguenti condizioni: per gli affitti abitativi, fino ai contratti stipulati al 2019 occorreva ottenere una convalida di sfratto per morosità – dal momento della convalida, i canoni scaduti e non percepiti non vanno più dichiarati e si ha diritto a un credito d’imposta per le tasse già pagate su di essi. Per i contratti abitativi stipulati dal 1° gennaio 2020, la legge (art. 3-quinques D.L. 34/2019) ha semplificato: è sufficiente che entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi sia stata notificata all’inquilino un’ingiunzione di pagamento o intimazione di sfratto per morosità, senza dover attendere la sentenza. In tal caso i canoni non percepiti non concorrono al reddito già da quell’anno. Importante: questa disciplina vale solo per immobili ad uso abitativo. Per le locazioni commerciali (uso diverso dall’abitativo), invece, non c’è una norma analoga: l’unica via per non dichiarare canoni non riscossi è risolvere il contratto. Se il contratto commerciale rimane formalmente in essere, il Fisco presume che il canone maturi e sia dovuto, tassandolo di conseguenza. Pertanto, in caso di morosità prolungata su un affitto di un negozio o ufficio, il locatore dovrebbe attivarsi per risolvere contrattualmente la locazione, altrimenti rischia di pagare tasse su redditi mai incassati.
Contestazioni tipiche sugli affitti di lungo termine: In ambito di locazioni non brevi, le verifiche fiscali nascono spesso da segnalazioni incrociate: ad esempio, se l’inquilino (soprattutto se è un’impresa) ha dedotto il costo dell’affitto o pagato canoni con metodi tracciati, l’Agenzia può verificare che il locatore abbia dichiarato un corrispondente reddito. Inoltre il Fisco dispone dei dati dei contratti di locazione registrati (comunicati tramite i modelli RLI) e li confronta con i redditi fondiari dichiarati in dichiarazione. Evasioni grossolane (interi contratti non dichiarati) emergono facilmente. Ad esempio, se hai registrato un contratto 4+4 in Agenzia ma poi non hai incluso i relativi redditi nel Modello 730/Redditi, aspettati prima o poi una lettera di compliance o un avviso di accertamento. Un altro controllo tipico riguarda canoni dichiarati inferiori al reale: talvolta le parti registrano un contratto a un importo più basso mentre “in nero” l’inquilino paga di più. Il Fisco può accorgersene incrociando dati bancari (bonifici di importo superiore al canone ufficiale) o tramite denunce dell’inquilino stesso. Se prova l’esistenza di un canone extra non dichiarato, verrà recuperata la differenza d’imposta con sanzioni. Per le locazioni abitative c’è anche un riferimento alla rendita catastale: non esistono veri “canoni minimi” di legge, ma se dichiarassi un affitto irrisorio (es. 100€/mese per un attico in centro) l’Ufficio potrebbe quantomeno pretendere la tassazione della rendita catastale, sospettando un sotto-reporting del canone. Infine, come accennato, in caso di affitto completamente in nero la segnalazione può partire dal conduttore (magari divenuto ostile): con una denuncia può far scattare accertamenti fiscali e sanzioni, oltre a far valere la nullità del contratto in sede civile.
Sanzioni fiscali – riepilogo (affitti): Il locatore che non dichiara i redditi da affitto affronta due categorie di sanzioni amministrative:
- Imposte dirette (IRPEF o cedolare secca) – per omessa dichiarazione (reddito completamente non dichiarato per quell’anno) la sanzione va dal 120% al 240% dell’imposta evasa (minimo 250€). Per dichiarazione infedele (dichiarato meno del dovuto, con scostamento superiore al 10% del reddito dichiarato) la sanzione va dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. In caso di ravvedimento operoso, queste sanzioni si riducono proporzionalmente al tempo trascorso (vedremo più avanti).
- Imposta di registro – se il contratto non è registrato, viene richiesta l’imposta evasa (di regola il 2% annuo del canone per le locazioni) più una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta stessa. Se la registrazione avviene con ritardo entro 30 giorni, la sanzione è molto più ridotta (oggi 6% dell’imposta, grazie al ravvedimento breve), ma in caso di affitto in nero scoperto dopo anni non ci si può più ravvedere sull’imposta di registro, quindi scattano le percentuali piene.
Oltre alle sanzioni tributarie, vanno considerati gli interessi legali sull’imposta evasa (calcolati giornalmente) e le eventuali conseguenze civili (nullità contrattuale) o penali nei casi più gravi. In generale comunque, la posizione del locatore che intende regolarizzare è sanabile: una volta emerso l’affitto non dichiarato, pagando quanto dovuto e le sanzioni (magari ridotte per adesione o conciliazione) la situazione fiscale si chiude, salvo restando il rapporto con l’inquilino.
Partecipazioni in società estere e redditi esteri non dichiarati
Un’altra categoria di contestazioni frequenti riguarda i redditi prodotti all’estero o legati ad attività finanziarie estere non dichiarati in Italia. Qui rientrano: partecipazioni in società estere (quote, azioni), conti correnti e investimenti esteri, redditi di capitale o diversi (interessi, dividendi, plusvalenze) percepiti all’estero e non indicati in dichiarazione, nonché detenzione di trust esteri e altre entità estere. La normativa italiana impone un obbligo generale di monitoraggio fiscale delle attività estere (il famoso quadro RW della dichiarazione) e la tassazione su base worldwide per i residenti in Italia: il cittadino residente deve dichiarare tutti i redditi, ovunque prodotti, salvo crediti d’imposta per le eventuali tasse pagate all’estero (per evitare doppie imposizioni). Vediamo i punti chiave di questa materia, le sanzioni e come difendersi.
Obblighi dichiarativi (Monitoraggio fiscale – Quadro RW)
Il quadro RW del Modello Redditi PF è il riquadro in cui le persone fisiche residenti (non imprenditori), le società semplici e gli enti non commerciali devono dichiarare le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero. Rientrano in RW, a titolo esemplificativo: conti correnti esteri, depositi bancari, immobili esteri, partecipazioni in società estere, investimenti di qualsiasi genere fuori dall’Italia, metalli preziosi detenuti all’estero, criptovalute, ecc. L’adempimento RW serve sia per il monitoraggio (antiriciclaggio e prevenzione evasioni) sia per calcolare le imposte patrimoniali estere dovute (IVAFE su attività finanziarie estere, IVIE su immobili esteri), nonché per far emergere eventuali redditi connessi a tali attività.
Sanzioni per omessa dichiarazione RW: La mancata compilazione del quadro RW è sanzionata severamente anche se non ci sono redditi evasi. Infatti l’obiettivo è la trasparenza sulle ricchezze detenute offshore. In base all’art. 5, co. 2, D.L. 167/1990, la sanzione amministrativa è dal 3% al 15% degli importi non dichiarati (valore dell’attività estera). Se l’attività è detenuta in un Paese a fiscalità privilegiata (black list), la sanzione raddoppia: dal 6% al 30%. Tali percentuali si applicano sull’importo massimo non dichiarato nell’anno (esempio: sul saldo massimo di un conto o sul valore di mercato di un portafoglio titoli). Importante: queste sanzioni RW si applicano anche se dalle attività estere non hai ricavato redditi imponibili. Il principio, confermato dalla giurisprudenza, è che il monitoraggio è un obbligo autonomo. Dunque anche chi detiene un conto estero a zero interessi, se non lo dichiara, è sanzionabile sul capitale non dichiarato.
Di seguito una tabella riepilogativa delle sanzioni per violazioni RW:
Violazione RW (monitoraggio) | Sanzione amministrativa prevista (D.L. 167/1990) |
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Omessa/infedele indicazione di attività estere in Paesi collaborativi (white list OCSE) | 3% – 15% dell’ammontare non dichiarato |
Omessa/infedele indicazione di attività estere in Paesi non cooperativi (black list) | 6% – 30% dell’ammontare non dichiarato |
Esempio: un cittadino italiano con un conto in Svizzera (Paese ormai collaborativo) con saldo di 200.000 € non dichiarato per l’anno X rischia, solo per l’omissione RW, una sanzione teorica tra 6.000 € e 30.000 € (3-15% del 200.000). Se il conto fosse a Monaco o altro paese black list, la forchetta raddoppia (12.000 € – 60.000 €). Importi notevoli, che prescindono dall’eventuale rendimento del conto.
Redditi esteri non dichiarati (interessi, dividendi, capital gain…)
Parallelamente al monitoraggio RW, c’è il dovere di dichiarare i redditi di fonte estera. Se, ad esempio, una persona fisica residente possiede una partecipazione in una società estera e riceve un dividendo, tale dividendo (al netto di eventuali crediti d’imposta per ritenute estere) andrà dichiarato in Italia come reddito di capitale. Similmente, gli interessi su conti esteri, i canoni di affitto di immobili esteri, le plusvalenze da vendita di attività finanziarie estere ecc. concorrono al reddito imponibile. La tassazione avviene secondo le regole italiane per ciascuna categoria (spesso 26% per capital gain e interessi, aliquota marginale IRPEF per affitti e altri redditi, salvo convenzioni). Non dichiarare questi redditi costituisce evasione d’imposta a tutti gli effetti.
Esempi tipici:
- Dividendi esteri: immaginiamo un imprenditore italiano con una società in Slovenia che gli distribuisce utili. Se non li dichiara in Italia (dove sarebbero tassati generalmente al 26% come dividendi da estero), commette infedele dichiarazione.
- Conto estero remunerato: un contribuente ha 500.000 € su un conto in Austria che produce 5.000 € di interessi annui. Se omette di dichiarare questi interessi (soggetti a 26%), evade l’imposta relativa.
- Plusvalenza immobiliare estera: un residente vende una casa a Londra realizzando un gain di 100.000 €. Se tale plusvalenza sarebbe imponibile in Italia (caso di vendita entro 5 anni dall’acquisto, perché per le seconde case in Italia c’è la regola dei 5 anni), va dichiarata e tassata (aliquota 26% come reddito diverso). Se non lo fa, è reddito sottratto a imposizione.
Partecipazioni estere e controlli speciali (CFC ed esterovestizione): La detenzione di partecipazioni qualificate in società estere può innescare controlli specifici:
- Regime CFC (Controlled Foreign Companies): se un soggetto italiano controlla (detiene oltre il 50% o esercita controllo di fatto) una società estera localizzata in un paese a bassa fiscalità, scatta il regime CFC (art. 167 TUIR). In sostanza l’Italia può imputare al controllante italiano gli utili della società estera, indipendentemente dalla distribuzione, tassandoli come reddito del socio controllante. Questo per evitare che si accumulino profitti in paradisi fiscali senza tassazione. Negli ultimi anni la normativa CFC è stata aggiornata (recepimento direttiva ATAD): la tassazione avviene se il livello di tassazione effettivo estero è inferiore al 50% di quello italiano e la società estera ha prevalentemente income passive. In caso di omissione, il Fisco recupera a tassazione gli utili non dichiarati dal soggetto controllante, con sanzioni per omessa dichiarazione. Difendersi da una contestazione CFC richiede di dimostrare che la società estera non è una costruzione artificiosa (prova di business effettivo locale) oppure che la tassazione estera non era così bassa da configurare un paradiso fiscale.
- Esterovestizione: è la contestazione secondo cui una società formalmente estera è in realtà residente in Italia (art. 73 TUIR) perché qui ha la sede dell’amministrazione o dell’oggetto principale. Se l’Agenzia prova che la tua società estera era gestita dall’Italia (riunioni, decisioni, affari in Italia), può considerarla fittiziamente non residente e pretendere le imposte come se fosse italiana. Ciò comporta accertamenti molto complessi, spesso correlati a verifiche penali. Dal punto di vista del socio, se questi non dichiarava nulla pensando la società fosse “estera”, si trova a dover pagare invece tutto come società italiana. La difesa tipica è mostrare che la società aveva substance all’estero (uffici, dipendenti, amministratori locali indipendenti). Diversi casi giurisprudenziali (anche Cassazione) hanno affinato i criteri, ma qui li citiamo solo per completezza.
Trust esteri e attività fiduciarie: Un cenno a parte meritano i trust esteri e le situazioni di interposizione. Se un residente italiano è coinvolto in un trust estero (come disponente o beneficiario), potrebbe avere obblighi RW e di dichiarazione redditi. La giurisprudenza recente ha chiarito che se il trust è sostanzialmente controllato dal contribuente (es: egli è al contempo disponente e di fatto gestore, o unico beneficiario), l’Agenzia può considerare fittizia l’interposizione: i redditi formalmente del trust vengono imputati al soggetto italiano. In pratica il trust viene “trasparente” ai fini fiscali italiani. La Cassazione n. 9445/2025 ha ribadito che ciò che conta è la situazione di fatto del possesso del reddito: se il trust funge da schermo e il contribuente è l’effettivo dominus, deve essere considerato titolare effettivo di quelle attività e assolvere gli obblighi dichiarativi relativi (quadro RW e tassazione dei redditi). Nel caso deciso dalla Cassazione 9445/2025, un contribuente aveva costituito un trust in Inghilterra in cui aveva fatto confluire ingenti partecipazioni societarie estere; il Fisco italiano gli ha contestato omessa dichiarazione di attività estere con sanzioni per quasi 6 milioni di euro. La Corte, nel confermare l’orientamento, ha richiamato il principio dell’art. 37, comma 3, DPR 600/1973: l’Amministrazione finanziaria può guardare oltre l’intestazione formale e tassare il possessore reale del reddito anche sulla base di presunzioni e indizi. Ne discende che l’obbligo di monitoraggio (quadro RW) in tali situazioni grava sul contribuente quale titolare effettivo delle attività estere (richiamando la nozione antiriciclaggio di beneficial owner).
Riassumendo sui trust: la fiscalità italiana distingue tra trust trasparenti (dove i beneficiari di reddito sono individuati e hanno diritto ai redditi correnti) e trust opachi (beneficiari non determinati o meramente eventuali). Nei trust trasparenti i redditi prodotti vengono imputati direttamente ai beneficiari e tassati in capo ad essi (come redditi di capitale). Nei trust opachi, invece, il trust è soggetto passivo IRES al 24% sui redditi che genera; eventuali distribuzioni di utili ai beneficiari sono tassate come dividendi (26% se persona fisica). Tuttavia, se il trust opaco è localizzato in un paradiso fiscale, interviene una norma anti-elusiva (art. 44 co.1 lett. g-sexies TUIR) che impone la tassazione dei redditi del trust direttamente in capo ai beneficiari residenti, proporzionalmente alla loro quota di partecipazione economica, indipendentemente da effettive distribuzioni. In pratica i trust opachi “black list” vengono trattati come se fossero trasparenti: ogni anno i beneficiari italiani devono dichiarare la loro quota degli utili del trust estero, anche se non hanno ricevuto pagamenti. Ad esempio, se un trust opaco alle Cayman ha redditi di investimento per 100.000 € in un anno e beneficiari eventuali (es. i figli del disponente) residenti in Italia, il Fisco pretenderà che tali beneficiari dichiarino quei 100.000 € (divisi tra loro secondo la quota di partecipazione economica presunta, ad es. 50% ciascuno). Questo strumento colpisce l’uso di trust paradisiaci per accumulare redditi tax-free. Inoltre, l’Agenzia può anche presumere – in presenza di determinati elementi – che un trust estero sia in realtà residente in Italia (ad esempio se disponente e beneficiari sono italiani e le decisioni avvengono in Italia), assoggettandolo a tassazione completa come ente residente.
Sanzioni sui redditi esteri non dichiarati: Oltre alla sanzione RW vista sopra, se dal conto o attività estera sono derivati redditi non dichiarati, si applicano le sanzioni ordinarie sull’imposta evasa: il 90-180% della maggiore imposta per infedele dichiarazione, oppure il 120-240% se si configura omessa dichiarazione (nessuna dichiarazione presentata). Tali percentuali possono salire ancora (fino a 180-240%) in ipotesi aggravate come dichiarazione fraudolenta. Va aggiunto che, se si ritiene integrato l’elemento del dolo, l’omessa dichiarazione di redditi esteri oltre certe soglie può avere rilevanza penale: ad esempio, l’omessa dichiarazione è reato se l’imposta evasa supera 50.000 €, mentre la dichiarazione infedele è reato se l’imposta evasa supera 100.000 € e il reddito non dichiarato supera il 10% di quello dichiarato (o comunque 2 milioni di €). In tali casi, i termini di accertamento si allungano a 8 anni (anziché 5 o 7), e possono essere disposti sequestri preventivi dei beni equivalenti all’imposta evasa. Ma torniamo alla parte amministrativa: in genere, per redditi esteri non dichiarati, l’Ufficio emette un avviso di accertamento recuperando a tassazione il reddito non dichiarato (applicando le aliquote IRPEF o imposte sostitutive dovute) più una sanzione del 90-120% (spesso viene contestata almeno l’infedele) più interessi. Se c’è omessa dichiarazione RW, viene contestata con atto separato o cumulativo la sanzione 3-15% (o 6-30%).
Contestazioni tipiche e controlli sui redditi esteri: L’Agenzia oggi ha numerose fonti informative per scoprire attività e redditi non dichiarati fuori confine. Grazie allo scambio automatico di informazioni (Common Reporting Standard – CRS, accordi FATCA con gli USA, e direttive UE DAC), il Fisco italiano riceve annualmente dati da oltre 100 Paesi riguardanti conti finanziari intestati a residenti italiani. Queste comunicazioni comprendono saldi di conto, interessi, dividendi e proventi vari. Le informazioni, incrociate con le dichiarazioni fiscali italiane, permettono di individuare facilmente discrepanze ed omissioni. Ad esempio, se la Svizzera comunica che il Sig. Rossi risulta titolare di un conto con 1 milione di franchi, e Rossi non ha mai compilato il quadro RW, l’Agenzia gli invierà quasi certamente una lettera di compliance invitandolo a spiegare e regolarizzare. Questo tipo di lettera “bonaria” (spesso recante l’anno fiscale di riferimento e i dati ricevuti) è divenuto prassi: solo nel 2025 l’Agenzia ha previsto l’invio di circa 3 milioni di lettere di compliance, in gran parte relative a redditi/patrimoni esteri non dichiarati. Se il contribuente ignora la lettera, l’Ufficio può procedere con un accertamento vero e proprio, applicando la sanzione RW piena e contestando l’evasione dei redditi con relative penalità.
Gli schemi di evasione più comuni che emergono da queste attività di controllo includono: conti correnti esteri mai dichiarati, spesso ereditati o detenuti da tempo; polizze assicurative estere utilizzate come investimenti (anche queste soggette a RW se cointestate a un residente); trading online tramite piattaforme estere (conto trading non dichiarato, plusvalenze non tassate); possesso di società estere tramite prestanome (dove il residente è beneficiario economico, magari tramite trust); trust e fondazioni estere usate per celare patrimoni; criptovalute su exchange esteri o wallet privati non dichiarate.
Un cenno sulle cripto-attività: dal 2023 l’Italia ha chiarito il regime fiscale delle criptovalute (definite “cripto-attività”). Anch’esse vanno indicate nel quadro RW al valore di mercato al 31/12, indipendentemente dal fatto che l’exchange sia italiano o estero. Infatti, l’Agenzia ha esplicitato che anche le cripto detenute in Italia vanno monitorate (non essendo valuta a corso legale, sono considerate alla stregua di attività finanziarie estere). Da un punto di vista reddituale, dal 2023 le plusvalenze da cessione di criptovalute oltre una franchigia (2.000 € annui) sono tassate al 26% come redditi diversi. Le piattaforme italiane applicano già una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma chi detiene cripto su exchange esteri o in “self-custody” deve provvedere autonomamente a dichiarare eventuali guadagni e pagare imposta sostitutiva. La mancata compilazione RW per le criptovalute comporta le stesse sanzioni percentuali di cui sopra; e se emergono guadagni non dichiarati (ad esempio vendite di Bitcoin con forte plusvalenza), verranno trattati come redditi sottratti a tassazione. Anche qui l’Agenzia può venire a conoscenza delle cripto tramite compliance internazionali, per esempio attraverso le “tip” antiriciclaggio (operazioni sospette segnalate da intermediari finanziari) o tramite richieste mirate a exchange.
Difendersi in caso di accertamento su redditi/attività estere: La difesa varia in base alla situazione: se hai ricevuto una lettera di compliance, sei ancora in tempo per rimediare con un ravvedimento operoso (vedi sezione successiva). Se invece è già arrivato un avviso di accertamento, puoi valutare l’accertamento con adesione per ridurre sanzioni, oppure proporre ricorso contestando nel merito la pretesa. Alcune possibili linee di difesa:
- Dimostrare che l’attività estera non era soggetta a RW (casi particolari di esonero) o che l’importo contestato è sovrastimato. Ad esempio, per conti cointestati con persone non residenti va dichiarata solo la propria quota; alcune polizze assicurative estere “a caso morte” non costituiscono attività finanziarie imponibili e potrebbero essere escluse. Bisogna verificare caso per caso con un esperto.
- Controllare le Convenzioni contro le doppie imposizioni: se il reddito estero era già tassato pesantemente all’estero, puoi contestare il calcolo del Fisco italiano invocando il credito per le imposte pagate all’estero (art. 165 TUIR) o l’eventuale esenzione prevista dalla convenzione. Ad esempio, taluni redditi immobiliari o di lavoro dipendente all’estero non vanno tassati in Italia in virtù dei trattati. Se l’Agenzia non ne ha tenuto conto, il ricorso può evidenziare la violazione della Convenzione.
- Caso trust estero: se ti imputano i redditi di un trust straniero, la difesa può puntare a dimostrare che il trust non è interposto né black list (ad esempio è un trust trasparente regolarmente tassato all’estero e i cui beneficiari non hanno ancora percepito nulla). Oppure, se l’accertamento presume erroneamente che tu controllassi il trust mentre eri beneficiario meramente eventuale senza alcun potere, puoi far valere l’assenza di consilium fraudis: la prova in questi casi è complessa, ma eventuali sentenze favorevoli di Commissioni Tributarie recenti su trust non interposti potrebbero essere citate. Ricordiamo tuttavia che l’orientamento Cassazione è assai rigoroso nel riconoscere l’interposizione in presenza di intrecci famigliare-disponente-gestore.
- Verificare i termini di decadenza: spesso gli accertamenti su redditi esteri arrivano “lungo”. La regola generale è che l’avviso va notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (o entro il settimo se dichiarazione omessa). Ad esempio, per redditi 2018 dichiarati nel 2019, il termine è il 31/12/2024; se non hai presentato la dichiarazione 2019, l’azione si estende al 31/12/2026. Se l’accertamento arriva fuori tempo, è nullo per decadenza dei termini. Nota: fino al periodo d’imposta 2015 vigeva il raddoppio dei termini in caso di investimenti esteri non dichiarati (10 anni se dichiarazione infedele, 14 anni se omessa). Dal 2016 questa norma sul raddoppio generalizzato è stata eliminata. Resta però il prolungamento a 8 anni in caso di reati tributari (come detto sopra). Quindi controlla sempre l’anno accertato e la data notifica. Se fuori termini, si può chiedere l’annullamento in autotutela o far valere la decadenza in ricorso.
Incrocio dei dati e poteri del Fisco: come scoprono i redditi nascosti
Come riesce l’Agenzia delle Entrate a scoprire redditi non dichiarati da affitti o partecipazioni estere? Negli ultimi anni c’è stata una vera “stretta” basata sull’incrocio di banche dati e su nuove normative che impongono la condivisione delle informazioni. Ecco i principali strumenti utilizzati dal Fisco per stanare redditi occultati:
- Dati da intermediari e fonti terze: Come visto, per gli affitti brevi i portali inviano ogni anno all’Agenzia l’elenco dei contratti conclusi con dettagli di importi, durata, nominativi. Questi dati vengono confrontati con le dichiarazioni: se una persona risulta aver percepito canoni ma non li ha dichiarati (o ne ha dichiarati di meno), scatta un alert automatico. Similmente, le banche e Poste italiane alimentano l’Anagrafe dei rapporti finanziari: ogni conto corrente, deposito titoli, carta di credito viene censito con movimenti e saldi. Il Fisco può interrogare tali dati per verificare incoerenze tra flussi bancari e redditi dichiarati (il cosiddetto “redditometro finanziario”). Ad esempio, se su un conto entrano regolarmente bonifici con causale “affitto” ma il proprietario non dichiara redditi di locazione, il controllo è quasi certo.
- Registro immobili e utenze: L’Agenzia ha accesso alla banca dati catastale e sa quali immobili possiedi. Incrociando con le utenze (luce, gas) può rilevare se un immobile dichiarato sfitto in realtà ha consumi anomali che fanno pensare a un occupante (indicando un possibile affitto in nero). Inoltre, dal 2012 tutti i contratti di locazione (anche abitativi) devono essere registrati telematicamente: l’Agenzia dispone di un archivio dei contratti registrati e può facilmente vedere se per quell’immobile sono stati dichiarati redditi fondiari. Se c’è un contratto registrato ma nessun reddito in dichiarazione, parte la segnalazione interna per accertamento.
- Comunicazioni “Alloggiati Web” (Polizia): Novità recente – dal 25 settembre 2024 è operativa la trasmissione automatica all’Agenzia delle Entrate dei dati delle persone alloggiate comunicati alle Questure dai gestori di strutture ricettive e locatori turistici (schedine alloggiati, art. 109 TULPS). In forma anonima e aggregata per struttura, il Ministero dell’Interno fornirà al Fisco i numeri di presenze registrate per ogni immobile destinato a locazione breve. Ciò significa che l’Agenzia saprà, ad esempio, che nell’appartamento X ci sono state 120 presenze turistiche nell’anno: un dato che, incrociato con l’ammontare di reddito dichiarato per quell’immobile, renderà lampante se c’è evasione (es: 120 presenze a fronte di zero reddito dichiarato indica affitti totalmente in nero). Questo incrocio Alloggiati Web–Fisco rappresenta un ulteriore potente strumento anti-evasione nel settore turistico-extralberghiero.
- Scambio automatico di informazioni internazionali: Già descritto nel capitolo precedente, grazie al CRS l’Italia riceve dalle autorità estere i dati finanziari dei propri residenti. Tali dati confluiscono nei sistemi informativi del Fisco. Il processo tipico è: per prima cosa viene inviata una comunicazione di compliance al contribuente, lasciandogli chance di ravvedersi; trascorso un certo periodo, se non c’è risposta, si procede con un accertamento parziale (ex art. 41-bis D.P.R. 600/73) basato sulle informazioni certe ricevute. L’accertamento parziale consente all’ufficio di liquidare le maggiori imposte su specifici redditi senza dover rivedere l’intera posizione fiscale del contribuente. Ad esempio, se dai dati esteri risulta un conto non dichiarato con interessi per 10.000 €, l’Agenzia emetterà un atto per quegli interessi evasi, senza “toccare” il resto della dichiarazione.
- Analisi del rischio e “redditometro”: Per le persone fisiche, l’Agenzia utilizza strumenti di analisi basati su indicatori di ricchezza e spesa (il cosiddetto accertamento sintetico o redditometro). Se uno mantiene un tenore di vita incompatibile con i redditi dichiarati, scatta un approfondimento. Nel contesto degli affitti in nero, il redditometro talvolta è servito a presumere redditi occulti: es. se un soggetto possiede molte proprietà e sostiene spese elevate per manutenzioni, utenze, ecc., il Fisco potrebbe presumere che percepisca affitti non dichiarati e chiedere conto della copertura finanziaria di quelle spese. Tuttavia, il redditometro è usato con cautela e per annualità fino al 2015 circa (le nuove versioni dello strumento dopo il 2018 sono state sospese e in revisione normativa). Rimane comunque la possibilità per l’AE di utilizzare presunzioni semplici: ad esempio, pubblicità online di un immobile in affitto possono costituire indizio che quell’immobile generava redditi.
- Segnalazioni qualificate e indagini finanziarie: Nei casi più complessi, l’Agenzia può ricorrere a indagini finanziarie mirate (acquisendo i movimenti bancari del contribuente) per ricostruire entrate non giustificate. Può inoltre avvalersi di segnalazioni dall’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) sulle operazioni sospette di riciclaggio: molti rimpatri di capitali esteri o transazioni anomale vengono segnalati e girati al Fisco. In ambito di trust e società estere, la collaborazione con la Guardia di Finanza permette di ottenere documenti e fare verifiche anche all’estero tramite rogatorie o cooperazione amministrativa.
In sintesi, stiamo assistendo a un’era di trasparenza fiscale: è sempre più difficile tenere nascosti redditi o patrimoni. L’Agenzia sta sfruttando sia la tecnologia (big data, algoritmi di incrocio) sia i provvedimenti normativi che impongono alle varie entità (banche, comuni, portali online, stati esteri) di condividere dati. Dal lato del contribuente, questo significa che errori e omissioni commesse in passato possono venire alla luce anche a distanza di anni. Ma significa anche che, se si è in buona fede o se ci sono spiegazioni lecite, queste vanno fornite tempestivamente per evitare che l’Ufficio tragga conclusioni sfavorevoli basate su dati parziali.
Strategie di difesa del contribuente (come reagire alle contestazioni)
Passiamo ora alle possibili strategie difensive a disposizione di chi si vede contestare redditi non dichiarati. La difesa può svolgersi su più piani: prevenzione e compliance spontanea, difesa in sede amministrativa (autotutela, accertamento con adesione) e difesa in sede contenziosa (ricorso alle Commissioni/Corti tributarie). Vediamo in dettaglio gli strumenti principali e come utilizzarli efficacemente.
Ravvedimento operoso e regolarizzazione spontanea
Il ravvedimento operoso è lo strumento principe per sanare volontariamente omissioni prima che l’Amministrazione le contesti in via definitiva. Consiste nel presentare (se necessario) una dichiarazione integrativa per includere i redditi dimenticati e nel versare le imposte dovute con sanzioni ridotte e interessi. I vantaggi del ravvedimento sono notevoli: si evitano le pesanti sanzioni ordinarie (90-180% etc.) e si paga solo una frazione di esse (in alcuni casi pochi punti percentuali), inoltre si escludono conseguenze penali (poiché il pagamento estingue il debito tributario prima dell’accertamento). Importante: il ravvedimento è ammesso solo se non sono già iniziate verifiche o notificati accertamenti per quella specifica violazione. Se hai già ricevuto un PVC (processo verbale di constatazione) dalla Guardia di Finanza o un avviso di accertamento, non puoi più ravvederti su quegli importi. Invece, la lettera di compliance non preclude il ravvedimento – anzi, è un invito a ravvedersi entro 30 giorni (o il termine indicato) per beneficiare delle riduzioni sanzionatorie.
Come funziona in pratica:
Supponiamo che nel 2022 tu non abbia dichiarato 10.000 € di redditi da affitto Airbnb. Nel 2024 ricevi una lettera di compliance che ti segnala questo reddito non dichiarato. A questo punto, puoi regolarizzare presentando un Modello REDDITI integrativo 2023 (per anno imposta 2022) indicando i 10.000 € e pagando: l’IRPEF o cedolare dovuta su tale importo, più la sanzione ridotta. La sanzione ridotta dipende da quando ravvedi: entro 90 giorni dalla scadenza originaria la sanzione per infedele è 1/9 del minimo (quindi 10% circa); entro il termine per presentare dichiarazione dell’anno successivo è 1/8 (circa 11,25%); oltre ma entro il secondo anno, 1/7, e così via fino a 1/5 come minimo oltre i due anni (pari al 18%). Nel nostro esempio, essendo passati quasi due anni, pagherai forse il 1/7 o 1/6 del 90%, quindi ~15%. Meglio che rischiare il 100% o più in accertamento!
Per l’omessa compilazione RW, il ravvedimento è ancora più conveniente: la sanzione base 3-15% si riduce allo 0,5% per anno o anche meno a seconda del ritardo. Ad esempio, se regolarizzi un conto estero dopo aver ricevuto compliance, pagherai lo 0,6% circa del valore (1/8 del 5%, ipotizzando ravvedimento entro due anni). Importante: con un unico ravvedimento puoi sanare sia RW che i redditi associati, evitando un formale avviso di accertamento.
In sintesi, il ravvedimento conviene sempre se sei colpevole di omissione e ancora in tempo per farlo. Ti consente di chiudere la partita immediatamente con esborso ridotto e senza macchie. Bisogna fare bene i calcoli e versare tutto il dovuto spontaneamente. Spesso è consigliabile farsi assistere da un commercialista o tributarista in questa fase, per quantificare correttamente imposte e sanzioni e compilare gli F24 con i codici tributo giusti.
Autotutela (richiesta di annullamento all’ente)
L’autotutela è il potere/dovere dell’amministrazione di correggere o annullare i propri atti errati o illegittimi, senza necessità di coinvolgere il giudice. Dal lato contribuente, fare istanza di autotutela significa presentare all’ufficio elementi tali da convincerlo che l’accertamento è infondato (in tutto o in parte) e che va annullato o rettificato d’ufficio. L’autotutela non è un ricorso e non sospende i termini di impugnazione: va vista come un tentativo parallelo di risolvere bonariamente se c’è un errore palese. Esempi classici: l’accertamento si basa su uno scambio di persona, oppure su un calcolo aritmetico sbagliato, oppure l’ufficio non era competente territorialmente, o ancora il fatto contestato in realtà non costituiva violazione secondo sopravvenute circolari ministeriali. In casi simili, allegando la documentazione probante, si invia una richiesta all’agenzia (magari all’attenzione del responsabile del procedimento) sollecitando l’annullamento in autotutela.
Nel contesto di redditi da affitto o esteri non dichiarati, quando ha senso l’autotutela? Ad esempio, se hai effettivamente dichiarato quei redditi ma in un quadro sbagliato, e l’Agenzia non se n’è accorta: puoi dimostrarlo e chiedere l’annullamento. Oppure se l’accertamento è tardivo (fuori termini di decadenza) – in tal caso l’illegittimità è palese e spesso l’ufficio stesso, interpellato, riconosce l’errore ed annulla. O ancora, se emerge un documento risolutivo (ad esempio una sentenza civile che attesta che quell’affitto non era dovuto perché il contratto fu annullato, etc.). In genere, però, nei casi di omessa dichiarazione la materia del contendere è fattuale (hai percepito o no il reddito?) e l’ufficio difficilmente rinuncerà alla pretesa in autotutela senza un giudizio. Tentare non nuoce, ma è bene non fare eccessivo affidamento su questa strada: presenta comunque ricorso entro 60 giorni, perché se l’autotutela viene ignorata (cosa probabile) rischieresti di restare senza difese.
Un particolare: esiste la “autotutela parziale”, ad esempio l’ufficio potrebbe sgravare una parte dell’imposta riconoscendo un errore di calcolo, pur mantenendo il resto. Oppure potrebbe convertire la sanzione da omessa dichiarazione (120%) a infedele (90%) se emerge che una dichiarazione, seppur nulla, era stata trasmessa. In conclusione, l’autotutela è uno strumento di collaborazione col Fisco, da usare soprattutto per errori evidenti o per guadagnare tempo in attesa di adesione.
Accertamento con adesione
L’accertamento con adesione è una procedura che consente al contribuente e all’ufficio di trovare un accordo sull’esito dell’accertamento, prima di arrivare davanti al giudice. Dopo la notifica di un avviso di accertamento (o anche di un processo verbale della GdF), il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione e viene fissato un incontro con i funzionari. In tale sede si possono riesaminare i documenti, ridiscutere i rilievi e spesso concordare una riduzione parziale delle somme dovute (specie sulle sanzioni, ma talvolta anche sul quantum del reddito). Se si raggiunge l’accordo, viene redatto un atto di adesione con la nuova imposta concordata e le sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo previsto. Il contribuente paga (di solito in forma rateale, fino a 8 rate trimestrali se importi alti) e l’accertamento si perfeziona, diventando definitivo. Se invece l’adesione fallisce (non si firma nulla), il contribuente può comunque proseguire col ricorso, senza peggioramenti della posizione.
I vantaggi dell’adesione: la sanzione ridotta di 1/3 è un forte incentivo – ad esempio, un infedele 90% diventa 30%, un omessa 120% diventa 40%. Inoltre, durante il procedimento di adesione sono sospesi i termini per impugnare (60 giorni) e quelli di pagamento, dandoti più tempo per valutare. L’adesione evita le spese e incertezze del contenzioso. Di solito l’Agenzia è disponibile a limare qualcosa, purché i rilievi abbiano un minimo di fondatezza. Svantaggi: una volta firmato l’atto, non puoi più impugnare né chiedere rimborsi sulle somme “aderite”, salvo errori di calcolo. Quindi bisogna aderire solo se convinti. Mai firmare un’adesione sull’onda della fretta o pressione senza aver compreso bene cosa si paga.
Nel caso di redditi da affitto non dichiarati, ad esempio, l’adesione potrebbe consistere nel riconoscere il reddito imponibile ma ottenere la sanzione al 30% (invece di 90%) e magari farsi riconoscere la non punibilità per particolare tenuità se l’imposta evasa è minima (talora l’ufficio può azzerare la sanzione se ricade nell’art. 6, c.5-bis D.Lgs. 472/97, anche se è raro). Per i redditi esteri, l’adesione può essere opportuna se hai evidenti violazioni: potresti negoziare, ad esempio, l’applicazione della sola sanzione RW (3%) in luogo anche di quella sull’imposta, se dimostri che i redditi erano già tassati altrove. O comunque chiudere pagando il dovuto e 1/3 sanzioni, evitando il rischio di una causa persa con condanna alle spese.
Ricorso e contenzioso tributario
Se non si trova un accordo con l’ufficio, resta la strada del ricorso alle Commissioni Tributarie (ora rinominate Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, dopo la riforma 2022). Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (accertamento, sanzioni, ecc.), salvo sospensioni per adesione o altri motivi. Per le controversie di valore fino a 50.000 € è obbligatorio prima presentare un reclamo/mediazione: in sostanza il ricorso viene inviato alla Direzione provinciale competente che ha 90 giorni per eventualmente accoglierlo o proporre mediazione (spesso riduzione sanzioni a 1/3 come nell’adesione). Se entro 90 giorni non c’è accordo, il ricorso si intende respinto e si perfeziona come atto introduttivo in Commissione.
Nel contenzioso tributario è altamente consigliato farsi assistere da un avvocato tributarista o commercialista esperto, specie trattandosi di materia complessa come trust esteri o redditi non dichiarati: l’onere della prova, l’utilizzo di presunzioni, le eccezioni procedurali (come la mancata notifica di inviti al contraddittorio, etc.) sono aspetti tecnici che vanno sfruttati appieno. Ad esempio, uno dei motivi di ricorso potrebbe essere la mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale (il contraddittorio preventivo col contribuente prima dell’emissione dell’atto): tuttavia, va ricordato che la Corte di Cassazione ha escluso che vi sia un obbligo generalizzato di contraddittorio per tributi “non armonizzati” come l’IRPEF, a meno che non sia espressamente previsto da norme specifiche. Quindi tale eccezione, spesso tentata dai difensori, in materia di redditi non dichiarati non porta all’annullamento dell’atto se non ricorre una violazione ad hoc (diverso sarebbe per tributi UE come l’IVA, dove il contraddittorio è ritenuto necessario in certi casi).
In giudizio, le possibili linee difensive sono quelle già evidenziate (contestare la fondatezza nel merito: es. i redditi non erano dovuti, o erano già tassati altrove, o l’accertamento è indiziario e manca prova, ecc.), oppure far leva su vizi formali/procedurali: notifiche errate, motivazione insufficiente dell’atto, errori nel calcolo, decadenza dei termini, cumulo di sanzioni oltre il consentito, ecc. Un giudice potrebbe annullare l’atto per un vizio formale (successo ad esempio in alcuni casi di accertamenti da “redditometro” emessi senza invitare prima il contribuente a spiegare).
Il contenzioso tributario ha due gradi di merito (provinciale e regionale, ora giudice di primo e secondo grado) e poi l’eventuale ricorso in Cassazione per sole questioni di diritto. I tempi possono essere lunghi (3-5 anni facilmente). Durante il processo, se non si ottiene una sospensione, bisogna comunque pagare 1/3 delle imposte accertate entro 60 giorni dall’atto (o 2/3 se si perde in primo grado), quindi la pressione finanziaria è forte. Va valutato costi/benefici: conviene andare avanti solo se la somma in ballo è alta o la probabilità di vincere è consistente.
Una volta in giudizio, c’è ancora la possibilità di una conciliazione giudiziale: fino alla discussione in primo o secondo grado, le parti possono accordarsi su una cifra per chiudere la lite, con riduzione delle sanzioni (generalmente al 50% in primo grado, 60% in secondo) e cessazione della materia del contendere. Questo strumento (potenziato dalla riforma 2023) può essere utile per evitare di arrivare fino in Cassazione. Ad esempio, se nel frattempo emergono nuovi documenti a tuo favore, potresti convincere l’ufficio a mollare terreno in appello. La conciliazione va omologata dal giudice.
Giurisprudenza e prassi rilevante (aggiornamento 2025)
In questa sezione elenchiamo alcune fonti normative, pronunce giurisprudenziali recenti e documenti di prassi citati o utili per approfondire il tema:
- D.P.R. 917/1986 (TUIR) – Art. 26 (redditi fondiari da locazione, canoni non percepiti); Art. 67 (redditi diversi, include plusvalenze da crypto: lett. c-sexies); Art. 73 (residenza fiscale società e trust; co.2 distingue trust opachi/trasparenti); Art. 167 (CFC – imposizione di utili societari esteri del controllante).
- D.L. 167/1990 – Monitoraggio attività estere (Quadro RW) e relative sanzioni (art. 5).
- D.Lgs. 471/1997 – Sanzioni tributarie: art. 1 (omessa dichiarazione 120-240% imposta); art. 8 (infedele dichiarazione 90-180%); art. 14 (sanzioni sostituto d’imposta, 20% per omesse ritenute).
- Legge 178/2020 (Bilancio 2021) – Ha modificato art. 26 TUIR sui canoni non percepiti (introduzione regola ingiunzione per contratti dal 2020).
- Legge 197/2022 (Bilancio 2023) – Ha introdotto definizioni agevolate e il ravvedimento speciale per le dichiarazioni omesse/infedeli 2019-2021 con sanzioni ridotte al 1/18.
- Legge 197/2023 (Bilancio 2024) – Ha alzato al 26% l’aliquota cedolare affitti brevi su più di un immobile.
- Provv. AE 17/03/2023 n. 89378 – Attuazione dell’obbligo del CIN (Codice Identificativo Nazionale) per le locazioni brevi; portale online attivo da nov. 2024.
- Decreto MEF-Interno 11/11/2020 – Scambio dati strutture ricettive (Alloggiati Web) con AE; Provv. AE 14/09/2024 n. 367923 aggiorna tracciato dati presenze turisti trasmessi dal Ministero Interno.
- Circolare AE 26/E/2017 – Chiarimenti sul regime fiscale delle locazioni brevi introdotto dal DL 50/2017 (cedolare 21%, ritenuta 21%, definizione di “intermediario” obbligato).
- Circolare AE 34/E/2022 – Disciplina fiscale dei trust ai fini imposte dirette: definizione trust opaco/trasparente, tassazione dei beneficiari, applicazione art. 44 co.1 g-sexies TUIR (beneficiari trust paradisiaco), criteri su interposizione trust.
- Cassazione SS.UU. 24823/2015 – Contraddittorio endoprocedimentale: non è obbligatorio per accertamenti in materie diverse dall’IVA salvo previsione specifica, quindi la sua omissione non vizia l’atto per IRPEF e affini (richiamata spesso nelle difese del Fisco).
- Cassazione 26057/2015 e 26414/2018 – Precedenti in tema di trust interposto: affermano che rileva il possesso effettivo del reddito (principio poi confermato da Cass. 9445/2025).
- Cassazione 30072/2019 – In tema di affitti in nero: ha ritenuto legittimo l’accertamento analitico-induttivo basato su movimenti bancari non giustificati, confermando che il contribuente deve provare che quei versamenti non sono reddito imponibile (principio di inversione onere della prova sui conti correnti).
- Cassazione 9445/2025 – (già citata) Trust estero come schermo fittizio: ribadisce interposizione fiscale e obbligo RW in capo al disponente effettivo.
- Cassazione 9096/2025 – Trust estero “familiare”: chiarisce limiti di lecito risparmio vs elusione; segnala che se il disponente mantiene poteri sostanziali, il trust è ignorato. (V. anche nota su proprietaintoccabile.it).
- Corte di Giustizia UE C-83/21 (Airbnb) – Sentenza del 22.12.2022: ha sancito che l’obbligo di sostituzione d’imposta e comunicazione dati imposto dall’Italia ai portali di intermediazione immobiliare non contrasta col diritto UE.
- Commissione Tributaria Prov. di Roma n. 1007/2022 – Esempio di annullamento di accertamento da locazioni brevi per difetto di prova: l’AE si basava solo su recensioni online per presumere affitti non dichiarati, ritenute insufficienti. (Utile a difesa se l’accertamento è “debole”).
- Prassi locale su affitti brevi: Molti Comuni (Roma, Napoli) hanno effettuato accertamenti di massa su affitti turistici negli anni 2023-24, a volte in modo indiscriminato. Questi controlli a tappeto possono contenere errori: si segnala ad esempio che a Napoli nel 2024 sono state individuate ~8.000 strutture abusive su 12.000 annunciate, e inviati avvisi presumendo evasione dell’85% delle strutture. Alcuni di questi accertamenti “standardizzati” possono essere impugnati con buone chance se manca un esame concreto del caso (es: avvisi fotocopia).
(Le fonti sopra elencate sono riportate in forma semplificata; per il testo completo si rimanda ai documenti originali.)
Domande frequenti (FAQ)
D: Non ho dichiarato i redditi da Airbnb degli anni scorsi. Posso rimediare ora per evitare sanzioni pesanti?
R: Sì. Se l’Agenzia non ti ha ancora notificato un accertamento per quegli anni, puoi utilizzare il ravvedimento operoso. Presenta dichiarazioni integrative per gli anni omessi, includendo i redditi da locazione, e paga la cedolare secca o l’IRPEF dovuta più le sanzioni ridotte per ravvedimento. Ad esempio, se ravvedi entro 2 anni, pagherai circa il 15% di sanzione anziché il 90%. Così eviterai accertamenti futuri e avrai posizione regolarizzata. Se invece hai già ricevuto un avviso, puoi valutare l’accertamento con adesione per ridurre le sanzioni a 1/3 del minimo. In ogni caso, meglio agire spontaneamente prima: il ravvedimento è sempre la via meno costosa.
D: Cosa rischio se ho affittato un appartamento in nero e l’Agenzia se n’è accorta?
R: Fiscalmente, rischi: (1) il pagamento dell’IRPEF evasa sui canoni non dichiarati, con sanzione dal 90% al 180% dell’imposta; (2) il pagamento dell’imposta di registro evasa (2% annuo dei canoni) con sanzione dal 120% al 240%; (3) interessi moratori. Inoltre, l’inquilino potrebbe averti denunciato: il contratto non registrato è nullo, quindi civilmente l’inquilino può smettere di pagare e persino chiedere indietro le somme già pagate. Nei casi di morosità, non potrai sfrattarlo finché il contratto resta non registrato. In situazioni estreme (molti anni e importi elevati), se l’imposta evasa supera le soglie di punibilità potrebbe configurarsi il reato di omessa dichiarazione (evasa > €50.000) o infedele (evasa > €100.000 e >10% del dichiarato). Conviene quindi definire la situazione col Fisco (magari tramite adesione) e regolarizzare il contratto.
D: Ho ricevuto una lettera dall’Agenzia che mi contesta un conto estero non dichiarato (lettera di compliance per quadro RW). Devo rispondere?
R: Assolutamente sì. Le lettere di compliance RW indicano che il Fisco ha già i dati del tuo conto estero tramite scambio informazioni. Ignorare la lettera porta quasi sicuramente a un accertamento con sanzione piena (3-15% del valore). È invece opportuno usare la finestra concessa (di solito 30 giorni) per verificare e ravvedersi. Se effettivamente hai omesso il quadro RW, puoi regolarizzare presentando la dichiarazione integrativa e pagando la sanzione ridotta (spesso intorno all’1% del valore, se ravvedi dopo la lettera). Rispondere è importante anche se pensi che la segnalazione sia sbagliata: per esempio, se quel conto era cointestato e tu eri solo delegato, invia all’ufficio la documentazione che lo prova. In sintesi, la lettera di compliance è un’opportunità per sistemare le cose con danni limitati: sfruttala.
D: Ho scoperto di essere beneficiario di un trust estero che genera redditi, ma non ho mai dichiarato nulla pensando fosse tutto a carico del trust. Posso avere problemi?
R: Sì, potenzialmente. La fiscalità dei trust esteri dipende dalla tipologia: se il trust è opaco (discrezionale) in un paese a bassa fiscalità, la legge italiana ti impone di dichiarare comunque pro quota i redditi del trust ogni anno (art. 44 TUIR). Anche se il trust reinveste tutto e non ti distribuisce niente, il solo fatto di essere beneficiario può obbligarti a dichiarare. Se il trust è trasparente (beneficiari individuati con diritto agli utili), allora dovevi dichiarare la tua quota di reddito ogni anno come reddito di capitale. Se finora non l’hai fatto, rischi un accertamento per omessa dichiarazione di quei redditi, con relative sanzioni. Ti conviene analizzare bene la situazione con un esperto: potrebbe essere opportuno un ravvedimento operoso per i periodi ancora aperti, indicando in dichiarazione i redditi del trust (magari godendo di crediti d’imposta se il trust ha pagato tasse altrove). Nota: se il trust era un puro trust “di patrimonio” (opaco) in paese collaborativo e non hai mai ricevuto distribuzioni, fino a poco tempo fa la prassi era di tassare solo al momento della distribuzione. Ma con le ultime norme anti-elusive e le sentenze Cassazione 2025, la tendenza è tassare prima possibile. Quindi non dare per scontato che “nessuna distribuzione = nessuna tassa”: informati sulle caratteristiche del trust e valuta la miglior strategia (dichiarare volontariamente ora può evitare contestazioni future più dolorose).
D: L’Agenzia delle Entrate può controllare i miei conti correnti esteri? Come fanno a sapere quanti soldi ho fuori dall’Italia?
R: Possono saperlo grazie allo scambio automatico di informazioni finanziarie tra Stati (Common Reporting Standard). Ogni anno, le banche estere (in paesi aderenti al CRS, che sono ormai tutti i principali centri finanziari) trasmettono alle autorità locali i dati dei conti intestati a non residenti, che vengono poi inoltrati al paese di residenza fiscale. Ad esempio, la banca svizzera dove hai il conto comunica al fisco svizzero saldo e interessi; il fisco svizzero gira l’informazione all’Italia. Questo avviene in automatico e massivamente. L’Italia ha iniziato a ricevere dati dal 2017 per il 2016 in poi, e ogni anno arricchisce il database. Quindi sì, l’Agenzia sa o può facilmente sapere dell’esistenza di tuoi conti, investimenti e depositi esteri. Se emergono discrepanze (conto non dichiarato, o interessi non dichiarati) ti invierà come detto una lettera o direttamente un accertamento. Oltre a ciò, l’Italia può richiedere specifiche informazioni ad altri Stati (scambio su richiesta) ad esempio durante un’indagine tributaria, ma spesso non serve grazie al CRS. In conclusione: oggi non esistono più paradisi segreti per i soldi all’estero, almeno dal punto di vista della segnalazione automatica (fanno eccezione pochi Paesi non cooperativi). Meglio dunque dichiarare e mettersi in regola, perché il Fisco italiano ha occhi ovunque nel mondo.
D: Quanti anni indietro può andare l’Agenzia a cercare redditi non dichiarati?
R: Dipende. In generale il termine di decadenza per gli accertamenti è di 5 anni dopo l’anno di dichiarazione (quindi ad esempio fino al 31/12/2025 per il reddito 2020 dichiarato nel 2021). Se però la dichiarazione non è stata presentata affatto, i termini diventano 7 anni dal periodo d’imposta (fino al 31/12/2027 per il 2020 omesso). Inoltre, se c’è un reato tributario e viene notificata notizia di reato, i termini estensibili sono 8 anni (omessa) o 10 anni (dichiarazione fraudolenta). Nota storica: per i redditi esteri, fino al 2015 c’era un raddoppio automatico dei termini (fino a 10 anni) anche senza reato, ma ora non più. Dunque, concretamente, nel 2025 l’Agenzia può accertare fino all’anno d’imposta 2019 (dich. 2020) se c’era dichiarazione, o 2018 se non c’era. Il 2017 ormai è chiuso salvo omesse dichiarazioni notificate entro fine 2024. Fanno eccezione i casi penali, dove si può andare su 2017-2016 ancora. In ogni caso, raramente vediamo accertamenti oltre i 7 anni indietro a meno di situazioni gravissime. Attenzione però: se hai presentato dichiarazione integrativa a sfavore ravvedendoti, quel nuovo contenuto dichiariativo riapre i termini per quell’anno limitatamente ai dati aggiunti.
D: Posso andare in carcere per non aver dichiarato dei redditi?
R: Solo nei casi di evasione più rilevanti e fraudolente scatta la sanzione penale. Per omessa dichiarazione, la soglia di punibilità è imposta evasa > €50.000 (per periodo). Per dichiarazione infedele serve imposta evasa > €100.000 e redditi non dichiarati > 10% del totale dichiarato (o > €2 milioni). Inoltre esistono reati di tipo fraudolento (dichiarazione con fatture false o artifici contabili) con soglie diverse. Nel contesto di affitti in nero o conti esteri, il penale può attivarsi se le cifre sono molto alte. Ad esempio, chi affittava decine di case in nero evadendo 200.000 € di IRPEF l’anno rischia dichiarazione infedele penalmente rilevante; chi ha nascosto milioni all’estero evitando 500.000 € di tasse rischia omessa dichiarazione penale. In tali casi, dopo l’accertamento fiscale vi sarà segnalazione alla Procura e possono scattare sequestri preventivi sui beni (fino a concorrenza dell’imposta evasa). Va però detto che la maggior parte dei casi comuni (es: piccolo affitto non dichiarato per qualche migliaio di euro) non integra reato, ma solo violazione amministrativa. E anche quando c’è reato, se il contribuente paga il dovuto prima della dichiarazione dibattimentale, molti reati tributari sono estinguibili (come l’omessa dichiarazione). In sintesi: il carcere è l’estrema ipotesi, riservata a condotte elusive veramente gravi o fraudolente. L’obiettivo primario dello Stato resta recuperare il gettito, non incarcerare il contribuente.
D: Ho pagato tutto quanto richiesto nell’accertamento per chiudere la questione. Posso stare tranquillo che non avrò altre conseguenze?
R: Se hai definito l’accertamento (sia pagando dopo adesione, sia pagando senza ricorrere), la pretesa tributaria per quell’anno e quel reddito è estinta: l’Agenzia non potrà chiederti altro su quella specifica materia. È sempre bene tuttavia conservare la documentazione (ricevute di versamento F24, atto di adesione firmato, ecc.) perché talvolta possono emergere questioni collaterali (ad esempio, se i redditi erano molto alti e non avevi altri redditi dichiarati, la GdF potrebbe aprire accertamenti bancari su come hai speso quei soldi: ma se tutto è già stato sanato e pagato, non potranno contestare ulteriore imposta, al massimo indagare per riciclaggio se sospettassero reati a monte – scenario raro per semplici affitti o investimenti). In generale, definire un accertamento ti mette in regola su quell’aspetto. Se la violazione aveva natura continuativa (es: affitti in nero per più anni), assicurati di definire tutti gli anni aperti, per non trovarti l’anno successivo con un nuovo avviso riferito a un’altra annualità. Una volta sistemato tutto e pagato, la tua posizione fiscale è pulita e si può “stare tranquilli”. Evita però di ricadere nell’irregolarità in futuro, perché faresti scattare nuovi controlli – l’Agenzia presta particolare attenzione ai recidivi.
D: In caso di accertamento, chi ha l’onere della prova?
R: In materia tributaria vige un principio per cui l’Agenzia delle Entrate deve fornire almeno un elemento presuntivo grave, preciso e concordante di evasione, dopodiché spetta al contribuente dimostrare il contrario. Nella pratica, se il Fisco ti contesta redditi non dichiarati, in genere lo fa basandosi su dati oggettivi (un contratto, un bonifico, una comunicazione CRS, etc.). Quello costituisce già una prova iniziale. L’onere passa a te per giustificare o negare quei redditi. Ad esempio, se l’AE mostra che sul tuo conto entravano mensilmente 500€ da Tizio con causale “affitto”, sta a te provare che non era un affitto (buona fortuna!) o che quei soldi ti venivano girati per altro titolo (prestito, mantenimento, ecc. supportato da documenti). Se non fornisci prove convincenti, la presunzione del Fisco vince. Nel caso di redditi esteri, il semplice fatto di avere l’attività non dichiarata fa scattare la sanzione RW senza ulteriori oneri a carico loro: la prova è il dato comunicato dall’estero e l’assenza di RW nella tua dichiarazione. Per i redditi, qualora l’accertamento sia “sintetico” (basato su spese/tenore di vita), c’è una inversione mitigata: il contribuente può difendersi dimostrando che le spese sono state finanziate con redditi esenti o già tassati – es. hai comprato casa con soldi tassati in passato o donati dai genitori. In conclusione, conviene sempre preparare una robusta difesa documentale: contratti registrati, attestati di pagamento imposte estere, documenti che spieghino movimenti di denaro, ecc. Un buon dossier probatorio può ribaltare la situazione a tuo favore o convincere l’ufficio a desistere in sede di contraddittorio.
Conclusione: Affrontare un’accertamento fiscale per redditi non dichiarati è impegnativo, ma con la conoscenza dei propri diritti e doveri è possibile difendersi efficacemente. La chiave è giocare d’anticipo – tenere in ordine i documenti, dichiarare il giusto e, se si scivola in errore, ravvedersi prima che il Fisco bussi. Quando invece l’accertamento arriva, niente panico: analizza le contestazioni, valuta le opzioni di adesione o ricorso, e fatti assistere da professionisti qualificati. Come abbiamo visto, la legge offre strumenti per ridurre le sanzioni e trovare soluzioni equilibrate. L’importante è essere proattivi e collaborativi, senza rinunciare ai propri diritti. Con preparazione e tempestività, anche una “tegola” fiscale può essere gestita e risolta, tornando a guardare al futuro con serenità fiscale.
Fonti e riferimenti
- Normativa italiana: DPR 917/1986 (TUIR) art. 26, 67, 73, 167; DL 167/1990 art. 4-5; D.Lgs. 471/1997 art. 1, 8, 14; DL 50/2017 art. 4 (regime affitti brevi); L. 178/2020 art. 1 c.1103 (canoni non percepiti); L. 197/2022 (ravvedimento speciale); L. 197/2023 (cedolare 26%); Provv. AE 17/3/2023 n. 89378 (CIN); Circolare AE 34/E/2022 (trust); Cass. SS.UU. 24823/2015; Cass. 26414/2018; Cass. 9445/2025; CGUE C-83/21.
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Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate in cui ti contestano la mancata dichiarazione di redditi da locazione o da partecipazioni societarie? Ti accusano di evasione o omessa dichiarazione dei redditi?
Sempre più spesso il Fisco incrocia i dati catastali, bancari e societari per individuare redditi non dichiarati. Ma non tutte le segnalazioni sono corrette: con una difesa competente puoi evitare sanzioni ingiuste o ridurre l’importo richiesto.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza l’avviso di accertamento o la comunicazione ricevuta
- 📌 Verifica l’effettiva spettanza e imponibilità dei redditi contestati
- ✍️ Redige memorie difensive e istanze di autotutela per evitare la rettifica
- ⚖️ Ti difende nel contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, anche in fase di ricorso tributario
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e accertamenti fiscali
- ✔️ Specializzato nella difesa contro contestazioni su redditi da affitto, quote societarie e altri redditi non dichiarati
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
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