Lettere Di Compliance Ai Contribuenti In Regime Forfettario: Come Difendersi

Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate pur essendo in regime forfettario?
Ti segnalano presunti ricavi non dichiarati, incongruenze con i dati trasmessi da clienti o anomalie rispetto ai versamenti? In questi casi è fondamentale capire cosa ti viene contestato e come difenderti per evitare un accertamento formale, sanzioni o l’esclusione dal regime agevolato.

Quando arriva una lettera di compliance ai contribuenti in regime forfettario?
– Quando ci sono scostamenti tra i ricavi dichiarati e quelli segnalati da clienti o committenti
– Quando risultano anomalie nei versamenti sul conto corrente rispetto ai redditi dichiarati
– Quando l’Agenzia rileva importi superiori ai limiti di accesso o permanenza nel regime
– Quando non hai presentato la dichiarazione dei redditi pur risultando titolare di partita IVA attiva
– Quando emergono dati discordanti tra le CU ricevute e quanto dichiarato nel Modello Redditi

Cosa contiene la lettera di compliance?
– L’elenco delle anomalie rilevate nei dati fiscali
– Il dettaglio delle informazioni trasmesse da soggetti terzi (CU, fatture elettroniche, operazioni finanziarie)
– L’invito a verificare la correttezza della dichiarazione o a fornire chiarimenti
– La possibilità di correggere gli errori con il ravvedimento operoso, evitando l’apertura di un accertamento
– L’avvertimento che, in caso di inerzia, l’Agenzia potrà procedere con una rettifica ufficiale

Come puoi difenderti da una lettera di compliance se sei in regime forfettario?
– Verifica la correttezza dei dati contestati: molti errori nascono da duplicazioni, errate imputazioni o CU inviate in ritardo
– Controlla se i ricavi segnalati sono effettivamente incassati nell’anno di competenza
– Se c’è un errore formale, valuta di correggere la dichiarazione con ravvedimento operoso
– Se i dati dell’Agenzia sono sbagliati o incompleti, predisponi una risposta documentata e motivata
– Se i limiti di ricavi sono stati superati per eventi eccezionali o una tantum, spiega le circostanze
– In caso di rischio di esclusione dal regime forfettario, valuta con il tuo consulente la difesa tecnica da attivare

Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– L’archiviazione della segnalazione, se dimostri che i dati sono corretti
– La correzione agevolata, con sanzioni ridotte e senza accertamenti
– La tutela del regime forfettario, se hai diritto a mantenerlo
– L’evitamento di controlli più invasivi, agendo in modo tempestivo
– Il mantenimento della tua reputazione fiscale e professionale

Attenzione: molte lettere di compliance ai forfettari si basano su automatismi e dati grezzi. Anche in presenza di un’anomalia reale, puoi regolarizzare la situazione senza gravi conseguenze, se agisci nei tempi giusti e con il supporto adeguato.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in regime forfettario, contenzioso tributario e difesa del contribuente ti spiega come affrontare una lettera di compliance, quando correggere, quando difendersi e come evitare sanzioni e accertamenti.

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Introduzione

Le lettere di compliance sono comunicazioni “preventive” che l’Amministrazione finanziaria invia ai contribuenti quando dalle banche dati risultano anomalie o incongruenze nelle dichiarazioni fiscali. In pratica, il Fisco segnala che qualcosa non torna (ad esempio, ricavi non dichiarati, elementi omessi, dati errati) e invita il contribuente a verificare e, se del caso, a correggere spontaneamente gli errori prima che venga emesso un avviso di accertamento vero e proprio. Si tratta di misure di promozione dell’adempimento spontaneo, introdotte dalla Legge di Stabilità 2015 (art. 1, commi 634–636, L. 190/2014), per stimolare comportamenti fiscali corretti e trasparenti. L’obiettivo è evitare che errori “in buona fede” sfocino immediatamente in sanzioni pesanti, offrendo al contribuente una sorta di “ultima chiamata” per mettersi in regola a condizioni favorevoli.

È fondamentale sottolineare che la lettera di compliance non costituisce un atto impositivo formale: essa non quantifica definitivamente le maggiori imposte dovute né comporta l’iscrizione a ruolo di somme a debito. Di solito si limita a descrivere l’anomalia riscontrata e a invitare il contribuente a prendere visione dei dettagli e a regolarizzare la propria posizione se necessario. Proprio perché è un invito bonario, la lettera in sé non è impugnabile tramite ricorso (non rientra tra gli atti elencati nell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992). Non va però confusa con altre comunicazioni post-dichiarative come gli avvisi bonari ex art. 36-bis DPR 600/1973 (che sono già liquidazioni delle imposte dovute a seguito di controlli automatici) o con i veri e propri avvisi di accertamento. Come vedremo, ignorare una lettera di compliance può condurre proprio all’emissione di questi atti ben più impegnativi.

Dal punto di vista pratico, ricevere una lettera di compliance offre al contribuente un percorso agevolato di regolarizzazione. Se il contribuente riconosce l’errore e si attiva spontaneamente, può presentare una dichiarazione integrativa e versare il dovuto beneficiando di sanzioni ridotte grazie all’istituto del ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997). Viceversa, ignorare l’invito espone il contribuente ai normali strumenti di accertamento e sanzionatori, con costi ben maggiori per il “debitore” (maggiore imposta, sanzioni piene, interessi e potenziali aggravamenti). In altre parole, queste comunicazioni rappresentano per il contribuente un’opportunità da cogliere per sistemare la propria posizione fiscale alle condizioni più favorevoli, prima che scatti la “repressione” fiscale in senso stretto.

Perché l’Agenzia delle Entrate invia lettere di compliance ai forfettari?

Il regime forfettario (art. 1, commi 54–89, L. 190/2014 e successive modifiche) è un regime fiscale agevolato, caratterizzato da imposta sostitutiva (15% o 5% per start-up), semplificazioni IVA e contabili e soglie di ricavi/compensi (attualmente €85.000 annui) per poter aderire. Nonostante la sua semplicità, anche i forfettari sono soggetti a controlli: l’Agenzia delle Entrate ha infatti sviluppato specifiche analisi di rischio e incroci di dati per individuare anomalie nelle dichiarazioni dei forfettari. Negli anni più recenti (2024-2025) l’attenzione si è concentrata soprattutto sui periodi d’imposta 2021 e successivi. Questo perché molti forfettari presentano situazioni potenzialmente irregolari, ad esempio: chi ha iniziato l’attività nel 2019 col vecchio limite di €65.000 potrebbe averlo superato nel 2021/2022; chi aveva un reddito da lavoro dipendente elevato nel 2020 potrebbe essere entrato indebitamente nel regime nel 2021; inoltre, molti contribuenti non hanno compilato correttamente alcuni quadri obbligatori della dichiarazione (come vedremo, il quadro RS con informazioni sull’attività).

Le lettere di compliance inviate ai forfettari mirano dunque a segnalare queste anomalie specifiche e a sollecitare una regolarizzazione spontanea. In particolare, i casi più frequenti che hanno originato comunicazioni ai forfettari sono:

  • Mancata indicazione di dati obbligatori in dichiarazione, in primis il Quadro RS del modello Redditi (informazioni sull’attività e sull’assenza di cause ostative). Molti forfettari, soprattutto nell’anno d’imposta 2021, hanno omesso di compilare i righi RS riservati a tali informazioni, e l’Agenzia ha avviato una campagna massiva di lettere di compliance su questo aspetto (dettagli nella sezione successiva).
  • Ricavi dichiarati anormalmente bassi rispetto ad indicatori esterni, ad esempio inferiori al cosiddetto “minimo settoriale”. È il caso delle lettere inviate a fine 2024 ai contribuenti (forfettari e non) che per il 2023 hanno dichiarato un reddito d’impresa inferiore allo stipendio medio dei lavoratori dipendenti dello stesso settore. Tali anomalie fanno sospettare al Fisco un possibile sotto-dichiarazione di ricavi.
  • Operazioni con l’estero non comunicate (esterometro). Prima dell’introduzione generalizzata della fattura elettronica per i forfettari, vi era l’obbligo di comunicare all’Agenzia i dati delle transazioni con controparti estere (cessioni/prestazioni verso non residenti o acquisti da estero) tramite esterometro. L’Agenzia ha segnalato casi di forfettari che hanno omesso questo adempimento, inviando loro inviti a mettersi in regola. (Dal 1° luglio 2022 l’esterometro è stato di fatto integrato nella fatturazione elettronica, con invio dei dati per singola operazione via SdI, obbligo esteso ai forfettari con oltre €25.000 di ricavi nel 2021 e, dal 1° gennaio 2024, a tutti i forfettari. Anche i forfettari, dunque, oggi devono trasmettere i dati delle operazioni attive e passive con l’estero usando i tracciati XML TD17, TD18, TD19, ecc. in luogo del vecchio esterometro trimestrale. Il mancato invio di queste comunicazioni è sanzionato €2 per fattura (max €400 mensili), quindi una lettera di compliance su questo tema serve a evitare che il contribuente accumuli sanzioni su sanzioni per ogni operazione non segnalata).
  • Omessi o carenti versamenti dell’imposta sostitutiva. In alcuni casi, l’Agenzia segnala che dal confronto tra la dichiarazione dei redditi e i pagamenti F24 risultano importi non versati (saldo o acconti della sostitutiva). Ad esempio, un contribuente forfettario che abbia indicato un debito d’imposta nel modello Redditi ma non l’abbia versato nei termini potrebbe ricevere un sollecito bonario a regolarizzare il pagamento. Questo è un caso particolare: spesso il mancato versamento di quanto dichiarato genera direttamente una comunicazione di irregolarità ex art. 36-bis DPR 600/73 (un avviso bonario con sanzione del 10% se pagato tempestivamente), ma l’Agenzia in alcuni casi potrebbe inviare prima una lettera informale di compliance, specie per importi modesti o per acconti non versati, invitando al ravvedimento operoso per evitare l’iscrizione a ruolo.
  • Dubbi sul possesso dei requisiti del regime forfettario. Se l’Agenzia dispone di dati che fanno sospettare il mancato rispetto di una causa di esclusione/decadenza dal regime, può procedere inizialmente con un invito a esibire documenti al contribuente (che rientra sempre nell’alveo della compliance). È la modalità più frequente in caso di dubbi sui requisiti. Ad esempio, se dai database risulta che il contribuente aveva un reddito di lavoro dipendente superiore a €30.000 nell’anno precedente l’ingresso nel forfettario, oppure che possiede una partecipazione societaria, o che ha sostenuto costi per personale dipendente oltre €20.000, l’Ufficio potrebbe chiedere chiarimenti e prove documentali. In concreto, vengono richiesti documenti come: copia di tutte le fatture emesse nell’anno, contratti con i clienti principali (per verificare eventuali rapporti con ex datori di lavoro), estratti conto bancari (per incrociare incassi e fatture), documentazione che provi l’assenza di cause ostative (es. lettera di licenziamento se c’era un rapporto di lavoro dipendente poi cessato), prospetti del costo del personale (F24 contributi, Libro Unico del Lavoro). Spesso nell’invito è citata la normativa di riferimento (ad es. il DPR 633/1972 sull’IVA), lasciando intendere che l’Ufficio sospetta che in realtà il regime forfettario non fosse applicabile e che si sarebbe dovuto operare in regime IVA ordinario. Se dalla documentazione fornita non emerge il diritto al regime agevolato, il contribuente sarà invitato a riliquidare la propria posizione fiscale come in regime ordinario per l’anno in esame, pagando le imposte e l’IVA dovute. Talvolta l’Ufficio può suggerire esplicitamente di procedere con un ravvedimento operoso o un’autoliquidazione delle maggiori imposte dovute per sanare la situazione.

Come si vede, l’invio delle lettere di compliance per i forfettari copre un ampio ventaglio di situazioni: dalle “sviste” formali (dati omessi in dichiarazione) alle incongruenze economiche (ricavi troppo bassi, movimenti finanziari incoerenti) fino ai profili sostanziali del regime (sospetto mancato rispetto dei limiti o cause ostative). Nel paragrafo seguente analizziamo in dettaglio alcuni di questi casi tipici – in particolare quelli espressamente richiesti (ricavi anomali, esterometro omesso, imposta non versata) – e vediamo come difendersi e reagire correttamente ad ogni tipologia di comunicazione.

Casi tipici di lettere di compliance e come affrontarli

Di seguito esaminiamo i principali scenari di comunicazione inviati ai contribuenti in regime forfettario, illustrando per ciascuno: la natura dell’anomalia segnalata, il contenuto tipico della lettera, le azioni consigliate per regolarizzare o difendersi, e i rischi in caso di inerzia. Per comodità espositiva distinguiamo quattro casi: (1) dati dichiarativi omessi (Quadro RS non compilato), (2) ricavi dichiarati anomali (minimo settoriale e altri indizi), (3) omissione dell’esterometro, (4) mancati versamenti dell’imposta.

1. Omessa compilazione del Quadro RS in dichiarazione dei redditi

Anomalia: il contribuente forfettario ha presentato la dichiarazione dei redditi senza compilare i righi informativi del Quadro RS previsti per chi applica il regime forfettario (art. 1, comma 73, L. 190/2014). In particolare, per il periodo d’imposta 2021, i forfettari dovevano indicare nel quadro RS i seguenti dati: per le imprese (esercenti attività d’impresa) i campi RS375, RS376, RS377, RS378 (numero di mezzi di trasporto utilizzati nell’attività; spese per materie prime e merci; costi per beni in leasing o beni di terzi; spese per carburante); per i professionisti (esercenti arti o professioni) il campo RS381 (ammontare dei consumi e costi per servizi telefonici, elettricità e carburanti). Queste informazioni non incidono sul calcolo del reddito imponibile forfettario, ma sono obbligatorie per legge a fini informativi e di monitoraggio statistico. Negli anni scorsi molti contribuenti hanno trascurato tali campi, ritenendoli forse poco importanti.

Lettera di compliance: con Provvedimento del Direttore AE del 19 settembre 2023 n. 325550, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito l’invio di comunicazioni PEC ai contribuenti in regime forfettario che nel modello Redditi PF 2022 (anno d’imposta 2021) hanno omesso di compilare questi righi RS375-381. La lettera segnala in modo semplice che è stata rilevata l’assenza dei dati richiesti e invita il contribuente a regolarizzare la posizione presentando una dichiarazione integrativa contenente quei dati, avvalendosi del ravvedimento operoso ex art. 13 D.Lgs. 472/1997. Nella comunicazione vengono indicati gli elementi identificativi (codice fiscale, nome/denominazione) e l’anno di imposta interessato, e si elencano i campi RS risultati non compilati. Si chiarisce che, trattandosi di un invito all’adempimento spontaneo, si possono fornire i dati mancanti senza incorrere in sanzioni se ciò avviene entro il nuovo termine fissato dalla norma.

Come regolarizzare: inizialmente, il termine per sanare era fissato al 2 dicembre 2024 (come annunciato nelle lettere), ma con il Decreto Proroghe 2023 (art. 6, D.L. 132/2023 convertito in L. 170/2023) il Governo ha concesso una proroga fino al 30 novembre 2024 per adempiere all’obbligo senza applicazione di sanzioni, limitatamente al periodo d’imposta 2021. Ciò significa che i forfettari che hanno ricevuto la lettera possono presentare una dichiarazione integrativa del 2022 (redditi 2021) inserendo i dati mancanti in Quadro RS entro il 30/11/2024 senza alcuna sanzione. Se invece non si provvede entro quella data, per sanare successivamente sarà necessario versare la sanzione prevista dall’art. 8, comma 1, D.Lgs. 471/1997 (violazioni formali sul contenuto della dichiarazione) pari a €250 per omissione di dati, ridotta secondo il tempo del ravvedimento. Ad esempio, inviando la dichiarazione integrativa entro 90 giorni dal termine ordinario (quindi entro fine febbraio 2024), la sanzione di €250 è ridotta a 1/8 (€31,25). Oltre tale termine, la riduzione è meno vantaggiosa ma comunque possibile (1/7, 1/6 del minimo, etc., in base alla data di ravvedimento e alla riforma entrata in vigore dal 1/9/2024). In ogni caso, presentare l’integrativa prima possibile conviene, sia per beneficiare della riduzione massima, sia per chiudere la questione senza incertezze.

Criticità e difesa: la mancata compilazione del quadro RS è considerata una violazione formale, che di per sé non incide sul calcolo dell’imposta. Pertanto, non comporta la decadenza dal regime forfettario né un accertamento sul merito del reddito (salvo che l’omissione dei dati nasconda in realtà qualche elemento rilevante, ma in genere non è questo il caso). La “difesa” in questo scenario consiste più che altro nel regolarizzare tempestivamente. Ignorare la lettera non espone a un immediato accertamento su imposte evase (poiché i ricavi dichiarati restano quelli), ma può comportare l’irrogazione della sanzione formale piena (€250) e, soprattutto, insospettire l’ufficio inducendolo a guardare più attentamente la posizione del contribuente in futuro. Ad esempio, in dottrina si è fatto notare che se un forfettario non indica gli elementi di spesa richiesti, l’Agenzia potrebbe inferire che tali spese sono molto elevate (da qui l’omissione) e ipotizzare che il contribuente abbia sforato i limiti o abbia costi anomali, “forzando” il regime forfettario. Meglio dunque fornire i dati richiesti e mettersi in regola, per non offrire pretesti a controlli più approfonditi.

Statistiche rilevanti: secondo quanto riportato dalla Corte dei Conti (Relazione sul Rendiconto Generale dello Stato 2023) e dalla stampa specializzata, questa campagna di compliance sul quadro RS ha avuto un basso riscontro iniziale. L’Agenzia ha inviato oltre 505.000 lettere ai forfettari in autunno 2023, ma al luglio 2024 risultavano presentati solo 22.127 modelli Redditi integrativi (pari appena al 4,4% dei destinatari). Ciò significa che più del 95% dei soggetti ha ignorato l’invito. Proprio alla luce di ciò è stata disposta la proroga al 30/11/2024: l’Agenzia e il legislatore hanno preso atto delle difficoltà pratiche segnalate (es. per i professionisti era arduo ricostruire i consumi 2021 a posteriori, specie se non avevano aderito alla conservazione delle fatture elettroniche sul portale Fatture e Corrispettivi) e hanno concesso più tempo. Resta però il fatto che, scaduto anche il 30 novembre 2024, chi non avrà ottemperato potrà essere sanzionato. Dunque, è consigliabile non attendere oltre: per quanto fastidioso possa sembrare integrare dati “a fini statistici”, è un obbligo di legge e va rispettato onde evitare anche solo sanzioni di €250.

2. Ricavi dichiarati “anomali” e lettere legate al “minimo settoriale” (concordato preventivo biennale)

Anomalia: il contribuente forfettario ha dichiarato un reddito di entità molto bassa rispetto a parametri esterni di riferimento. In particolare, a partire dal 2023, è stato introdotto il concetto di “redditività minima settoriale” collegato al nuovo istituto del Concordato Preventivo Biennale (CPB) per autonomi e imprese minori. Per i forfettari, è stato stabilito (Decreto MEF 14/06/2024, allegato 1) un livello minimo di reddito in base al settore economico e al costo del lavoro dipendente medio del settore. Se il reddito dichiarato dal contribuente per l’anno risulta inferiore a questo minimo settoriale, viene considerato un elemento di anomalia. In altri termini, l’Agenzia ritiene sospetto che un imprenditore dichiari, poniamo, €15.000 di reddito annuo quando nel suo settore un dipendente medio percepisce €20.000: un dato del genere può indicare sotto-dichiarazione di ricavi.

Lettera di compliance: nei primi giorni di dicembre 2024, l’Agenzia delle Entrate ha inviato migliaia di lettere a contribuenti (sia in regime forfettario sia in regime ISA ordinario) evidenziando che il reddito 2023 dichiarato risultava sotto il “minimo settoriale” e suggerendo due opzioni: (a) presentare una dichiarazione integrativa per “adeguare” (aumentare) il reddito 2023; (b) aderire al Concordato Preventivo Biennale (CPB) per gli anni d’imposta 2024-2025. La lettera spiegava che l’Agenzia, grazie ai continui incroci dei dati, aveva individuato casi anomali e, testualmente, segnalava: “la sua dichiarazione per l’anno 2023 indica un reddito inferiore a quello dei dipendenti che lavorano nello stesso settore economico. Questo aspetto, in assenza di giustificazioni oggettive, può essere considerato anomalo”. Si tratta quindi di un invito a valutare la propria posizione: il contribuente può decidere di non fare nulla se ritiene di avere valide ragioni per quel reddito basso (ad esempio attività avviata da poco, poche commesse, spese iniziali elevate, ecc.), oppure può cogliere l’occasione per riallineare il dichiarato agli standard di settore. Importante: Queste lettere, come chiarito dalla stessa Agenzia, non anticipano alcun accertamento e non obbligano a rispondere formalmente; hanno un valore informativo e servono a “richiamare l’attenzione” sulla possibilità di verificare la correttezza di quanto dichiarato, consentendo eventuali correzioni autonome (parole dell’Agenzia). Non è dunque richiesto di comunicare nulla all’ufficio: il contribuente è libero di decidere se aderire al concordato, integrare la dichiarazione o ignorare l’avviso.

Come reagire: se si riceve una lettera del genere, occorre innanzitutto valutare la propria situazione reddituale. Se il reddito 2023 effettivamente risulta sottodimensionato rispetto ai parametri e magari ciò è dovuto a errori od omissioni (ad esempio alcune fatture non contabilizzate, o un errore di compilazione), è certamente opportuno provvedere a rettificare la dichiarazione con un ravvedimento operoso, dichiarando i ricavi ulteriori e versando la maggiore imposta dovuta. Il ravvedimento in questi casi consente di beneficiare di sanzioni ridotte e chiudere la partita senza ulteriori strascichi: dopo la riforma del sistema sanzionatorio, l’omessa dichiarazione di ricavi può essere sanata con sanzioni più favorevoli rispetto al passato. Se invece il reddito basso è corretto e giustificato (ad esempio per cause contingenti), il contribuente potrebbe decidere di non aderire al CPB né di rettificare nulla. L’Agenzia ha specificato che “non occorre fare nulla” e che la comunicazione non richiede di attivarsi per fornire riscontro. Tuttavia, bisogna essere consapevoli delle conseguenze: chi non aderisce al CPB né integra il reddito potrebbe finire nelle liste selettive dei controlli futuri da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza. In pratica, ignorare la segnalazione non comporta un rischio immediato (non c’è automatismo sanzionatorio né accertativo sul momento), ma aumenta la probabilità di un controllo successivo.

Per quanto riguarda l’adesione al Concordato Preventivo Biennale (CPB): questa è un’opzione volontaria offerta nel 2024 (prevista dal D.Lgs. 13/2024) che permette, a chi la sceglie, di “concordare” col Fisco una base imponibile fissa per il biennio 2024-2025, calcolata appunto anche tenendo conto del minimo settoriale. Va precisato che inizialmente i forfettari potevano aderire al CPB, ma le norme sono state modificate a fine 2024 escludendo dal concordato chi applica il forfettario (se il regime forfettario permane). In pratica: un contribuente che per il 2023 era forfettario e ha ricevuto la lettera, se decideva di uscire dal forfettario (ad esempio perché nel 2024 supera €100.000 di ricavi, limite di fuoriuscita immediata) poteva aderire al CPB per 2024-25; viceversa, se rimane forfettario, l’adesione al CPB non è compatibile per quel biennio. Questi tecnicismi, comunque, vanno oltre lo scopo di questa guida – basti sapere che l’opzione CPB era una strada percorribile per alcuni, ma non obbligatoria.

In sintesi, la lettera sui ricavi anomali/minimo settoriale è un alert: se effettivamente avete dichiarato meno del dovuto, approfittatene per correggere ora (ravvedimento). Se invece ritenete di aver dichiarato correttamente un importo basso, potete evitare di aderire o integrare, ma tenete pronta la documentazione per giustificare il perché di un reddito così esiguo in caso di eventuale controllo. Ad esempio, potrebbe essere utile predisporre una memoria difensiva (anche solo per voi stessi) in cui annotate le ragioni: calo di commesse, malattia, spese straordinarie, errori di stima ISA (per gli ISA ordinari), ecc. In caso di futuro accertamento sintetico o analitico-induttivo, queste giustificazioni potranno essere spese a vostro favore. Ricordate che, come affermato anche da esponenti delle categorie professionali, il contribuente che non aderisce alle proposte dell’Agenzia non corre rischi immediati, ma potrà essere oggetto di un nuovo atto basato su presunzioni semplici o di un accertamento induttivo futuro (art. 34 D.Lgs. 13/2024 istitutivo del CPB). Si tratta dunque di valutare il trade-off tra “tranquillizzarsi” aderendo o correggendo subito, oppure mantenere la propria posizione preparandosi però a possibili verifiche.

3. Omesso invio dell’Esterometro (operazioni con l’estero)

Anomalia: il contribuente in regime forfettario ha effettuato operazioni con controparti estere (cessioni di beni/prestazioni di servizi verso soggetti non stabiliti in Italia, oppure acquisti di beni/servizi da fornitori esteri) ma non ha adempiuto all’obbligo di comunicazione di tali operazioni all’Agenzia delle Entrate. Fino al 2021 questa comunicazione avveniva tramite il cosiddetto esterometro trimestrale (uno spesometro dedicato alle operazioni transfrontaliere). Dal 1° luglio 2022, l’esterometro è stato abolito come adempimento a sé stante ed è stato integrato nel sistema di fatturazione elettronica: in pratica, per ogni operazione verso/da estero si trasmette un file in formato XML al Sistema di Interscambio (SdI) con appositi codici (documenti di tipo TD17, TD18, TD19, ecc.). Questo obbligo, inizialmente previsto solo per i forfettari con ricavi > €25.000 (anno precedente), è divenuto generale per tutti i forfettari dal 1° gennaio 2024. Di conseguenza, l’omessa trasmissione di queste comunicazioni è un’irregolarità punita con sanzione di €2 per ciascuna fattura non comunicata (max €400 per mese), ridotta alla metà (€1 a fattura, max €200 mese) se la trasmissione avviene comunque entro 15 giorni dalla scadenza.

Lettera di compliance: l’Agenzia delle Entrate dispone di vari modi per intercettare l’omessa comunicazione di operazioni estere. Ad esempio, tramite lo scambio di informazioni con l’estero (dati Intrastat, comunicazioni VIES, segnalazioni da altri Stati UE o da circuiti internazionali come il CRS per i pagamenti elettronici) può risultare che un determinato contribuente ha effettuato vendite o acquisti oltreconfine. Se questi movimenti non compaiono nei database domestici (fatture elettroniche, esterometro, ecc.), scatta l’anomalia. Negli ultimi anni sono stati segnalati casi di lettere inviate ai forfettari proprio per ricordare l’obbligo dell’esterometro e invitarli a sanare omissioni. In pratica, la comunicazione fa presente che risultano operazioni con l’estero (ad esempio fatture emesse verso clienti esteri, o acquisti di servizi da fornitori esteri come Facebook Ads, Google, ecc.) per le quali non risulta pervenuta la relativa comunicazione. Si invita il contribuente a verificare e, se necessario, a procedere all’invio dei dati mancanti.

Talvolta queste lettere possono arrivare dopo che l’adempimento dell’esterometro è stato incorporato nella fatturazione elettronica: ad esempio, un forfettario che nel primo semestre 2022 ha acquistato servizi da fornitori esteri senza inviare l’esterometro trimestrale, potrebbe aver ricevuto nel 2023 un sollecito di compliance (basato sui dati comunicati dagli stessi fornitori o tracciati da pagamenti esteri). Con l’estensione dell’e-fattura obbligatoria, tali casistiche dovrebbero ridursi, ma nel frattempo l’Agenzia ha cercato di recuperare le omissioni pregresse.

Come regolarizzare: in caso di omissione dell’esterometro, il contribuente può rimediare attraverso il ravvedimento operoso: ciò comporta trasmettere i dati delle operazioni mancanti (oggi, in pratica, emettere le autofatture/integrazioni elettroniche TD17/18/19 anche se tardivamente) e pagare la sanzione ridotta. Trattandosi di una violazione “per fatture”, la sanzione base è €2 a fattura (max €400 mensile). Il ravvedimento consente di ridurre tale sanzione: ad esempio, se si effettua il ravvedimento entro 90 giorni dalla scadenza originaria, la sanzione base di €2 per fattura è ridotta a 1/9 (circa €0,22) per fattura; entro un anno, 1/8 (€0,25) per fattura; e così via. In concreto, se avete dimenticato di comunicare – poniamo – 10 fatture estere del 2° trimestre 2022, la sanzione base sarebbe €20, ridotta a circa €2.22 totali con ravvedimento breve. Operativamente, bisogna predisporre i file XML corretti per ciascuna operazione (indicando i dati richiesti) e inviarli allo SdI, quindi compilare un modello F24 Elide con il codice tributo relativo alle sanzioni (ad esempio il codice 8906 per sanzioni IVA) e l’anno di riferimento, versando l’importo ridotto dovuto.

Difesa e consigli: anche qui, ignorare l’invito non è sanzione immediata ma significa esporsi a un successivo atto formale. L’Agenzia potrebbe infatti procedere a contestare l’omessa comunicazione con un atto di contestazione delle sanzioni (ex art. 11 D.Lgs. 471/97, richiamato per esterometro) chiedendo il pagamento di €2 per fattura (o €1 se nei 15 gg, ma se siete oltre 15 gg ormai è €2) fino a €400 al mese. In alternativa, se dalle operazioni non comunicate emergono anche violazioni IVA sostanziali, l’Ufficio potrebbe fare un accertamento vero e proprio: ad esempio, se un forfettario nel 2021 ha effettuato cessioni intracomunitarie in esenzione IVA e non le ha comunicate, ma si scopre che non aveva diritto al regime forfettario, l’Agenzia contesterà non solo la mancata comunicazione ma anche l’IVA dovuta su quelle cessioni. Dunque è prudente regolarizzare spontaneamente. Se ritenete di aver invece già adempiuto (magari perché avete emesso fatture elettroniche con codice destinatario XXXXXXX che esoneravano dall’esterometro, o perché l’operazione rientrava tra quelle escluse – es. importo < €5.000 non imponibile ex art. 7 DPR 633/72), potete contattare l’ufficio spiegando la situazione e fornendo prova dell’adempimento. In generale, l’atteggiamento collaborativo paga: l’Agenzia potrebbe archiviare la segnalazione se capisce che c’è stato un misunderstanding o se i dati erano stati inviati con modalità alternativa.

Un cenno sul futuro: dal 2024 l’esterometro come tale scompare per tutti i forfettari, essendo tenuti ad emettere fatture elettroniche per ogni operazione (incluso verso estero) entro i termini ordinari. Questo ridurrà la necessità di compliance su tale tema, ma aumenta la mole di adempimenti per i forfettari. Conviene quindi dotarsi di strumenti adeguati di fatturazione elettronica e monitorare con attenzione gli invii, per evitare di incorrere in sanzioni.

4. Mancato versamento dell’imposta sostitutiva dovuta

Anomalia: il contribuente forfettario ha dichiarato un certo importo di imposta sostitutiva dovuta (15% o 5% del reddito imponibile forfetario) ma non risulta il pagamento di tutto o parte di tale importo. Questa situazione può emergere in diversi modi: confrontando la dichiarazione dei redditi (dove nel quadro LM risulta un saldo a debito e/o acconti dovuti) con i versamenti F24 effettuati; oppure verificando che non sono stati versati gli acconti obbligatori (di norma dovuti al 30 giugno e 30 novembre di ciascun anno per il 100% dell’imposta dell’anno precedente, salvo il primo anno esente da acconto). Un caso tipico: un forfettario presenta il Modello Redditi PF indicando, ad esempio, €3.000 di imposta sostitutiva a saldo, ma non versa nulla entro la scadenza di pagamento (30 giugno, eventualmente con lieve slittamento al 30 luglio con 0,40%). Oppure versa solo parzialmente, o in ritardo. Formalmente, questa è una violazione di omesso versamento.

Lettera di compliance: l’Agenzia delle Entrate potrebbe attivare subito le procedure ordinarie di controllo automatico (ex art. 36-bis DPR 600/73), che portano all’emissione di una comunicazione di irregolarità (il cosiddetto avviso bonario) contenente l’importo non versato, la sanzione ridotta al 10% (se pagato entro 30 giorni) e gli interessi. Tuttavia, è possibile che, in linea con l’approccio collaborativo, in taluni casi il Fisco invii preliminarmente una comunicazione informale ricordando il mancato pagamento e invitando al ravvedimento. Ad esempio, se l’importo è modesto o se riguardasse un acconto non versato, potrebbe essere recapitata una PEC del tipo: “Dai nostri sistemi risulta che non è stato effettuato il versamento dell’imposta sostitutiva dovuta per l’anno X entro i termini. La invitiamo a verificare e, se del caso, a regolarizzare la sua posizione avvalendosi del ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) per beneficiare della riduzione delle sanzioni.”.

Come regolarizzare: la strada maestra è il ravvedimento operoso sul versamento omesso. La violazione di omesso o tardivo versamento di imposte (art. 13 D.Lgs. 471/1997) comporta una sanzione base pari al 30% dell’importo non versato. Grazie al ravvedimento, tale sanzione si riduce notevolmente in base al ritardo: – se si paga entro 14 giorni dalla scadenza, la sanzione è 0,1% per giorno di ritardo (quindi dal 1,4% fino al max 1,5%); – dal 15° al 30° giorno, sanzione fissa del 1/10 del 30%, cioè 3%; – dal 31° al 90° giorno, 1/9 del 30% (~3,33%); – entro un anno dalla scadenza, 1/8 (3,75%); – oltre l’anno ma prima di eventuale contestazione, 1/7 (circa 4,29%) o 1/6 (5%) a seconda delle nuove regole post-1/9/2024. Inoltre vanno corrisposti gli interessi legali sul ritardato pagamento (calcolati giornalmente, saggi che negli ultimi anni sono passati dallo 0,05% annuo fino al 5% nel 2023 e poi ridiscesi al 2,5% nel 2024). Quindi, ad esempio, se ho omesso di versare €3.000 al 30/6, ravvedendomi entro il 30/9 pagherò €3.000 + sanzione €100 (3,33%) + pochi euro di interessi; ravvedendomi entro 30/6 dell’anno seguente pagherò €3.000 + €112,5 (3,75%) + interessi; ecc. Conviene sempre ravvedersi prima possibile per ridurre la sanzione.

Differenza con avviso bonario: se l’Agenzia nel frattempo avesse già emesso una comunicazione di irregolarità (avviso bonario), il contribuente potrebbe comunque pagare entro 30 giorni fruendo della sanzione al 10% (1/3 della sanzione piena del 30%). Questa è una agevolazione minore rispetto al ravvedimento spontaneo, che avrebbe consentito di pagare solo il 3% o simili. Va ricordato che una volta notificato un avviso bonario, il ravvedimento “ordinario” non è più ammesso (la violazione è già contestata); si può solo pagare quell’avviso (sanzione 10%) o eventualmente fare istanza di sgravio/rettifica se si hanno prove di aver pagato. Se addirittura si arriva alla fase dell’accertamento esecutivo (cartella), la sanzione torna al 30% pieno, con interessi di mora aggiuntivi. Dunque, la tempestività è essenziale: se ricevete un invito bonario a regolarizzare, agite subito. Pagate il dovuto con F24 (eventualmente a rate se l’importo è alto, sfruttando la rateazione prevista in sede di ravvedimento o di avviso bonario) e comunicate l’avvenuto pagamento tramite i canali indicati (spesso l’avviso bonario contiene un modulo per comunicare l’esito).

Difesa e note: se ritenete che la segnalazione sia errata (ad esempio, avete effettivamente pagato ma per un errore il pagamento non è stato abbinato, oppure avete compensato il debito con un credito d’imposta valido), allora dovete documentare ciò all’Agenzia. In caso di pagamento effettuato, esibite copia del modello F24 quietanzato dall’istituto bancario/postale. Spesso gli errori derivano da codici tributo sbagliati o anno di riferimento errato nel modello F24: in tal caso, la posizione può essere sistemata chiedendo all’Agenzia una riattribuzione del pagamento (istanza di correzione). Se invece non avete pagato per difficoltà finanziarie, considerate che ignorare del tutto la cosa porterà a un accertamento e poi alla riscossione coattiva, con aggravio di interessi e aggi di riscossione. Meglio valutare soluzioni alternative: ad esempio, se l’importo è significativo e non riuscite a saldarlo in unica soluzione, potete attendere l’eventuale avviso bonario e chiedere la rateazione (di solito gli avvisi bonari permettono fino a 8 rate trimestrali). Oppure, se siete nell’ambito di definizioni agevolate (come la “tregua fiscale” 2023-2024), verificare se il vostro debito rientra in qualche sanatoria (nel 2023 c’era il ravvedimento speciale al 1/18 della sanzione per errori formali e dichiarativi, ma i forfettari non erano esclusi: purtroppo l’omesso versamento non rientra in quello speciale, che copriva infedeltà dichiarative). In ogni caso, il messaggio chiave è: non pagare un’imposta dichiarata è una violazione grave e difficilmente difendibile nel merito (non c’è dubbio sull’imposta, solo sull’omesso versamento). L’unica “difesa” reale è pagare, prima che il conto diventi più salato. Se siete in temporanea crisi di liquidità, contattate un professionista o lo stesso ufficio per valutare piani di rientro o soluzioni transattive (talora, con istituti come l’acquiescenza, si può ottenere una riduzione a 1/3 delle sanzioni e pagare a rate direttamente l’avviso di accertamento). Ricordatevi infine che, in caso di cartella di pagamento conseguente a omesso versamento, eventuali provvedimenti di “rottamazione” delle cartelle eliminano interessi e aggi ma non cancellano la sanzione base del 30%: avreste comunque dovuto pagare quella. Con il ravvedimento invece potevate pagare magari solo il 3%. Questo per ribadire che intervenire subito è sempre la scelta migliore.


A margine di questi quattro scenari principali, vale la pena menzionare che il regime forfettario può incappare anche in altre tipologie di controlli (come evidenziato nella sezione seguente): ad esempio accertamenti bancari, redditometro, ecc. Le lettere di compliance di solito precedono controlli sui dati dichiarativi noti (dichiarazioni, comunicazioni, versamenti). Invece, se l’anomalia emerge da indagini finanziarie o da discrepanze patrimoniali, è più probabile che il Fisco attivi direttamente un accertamento formale senza passare per la lettera bonaria (specie se ritiene già provata l’evasione). Tuttavia, per completezza, esaminiamo brevemente come il contribuente forfettario può difendersi nelle fasi successive, ovvero in caso di contestazione formale o contenzioso tributario, e vediamo quali sono le ultime novità giurisprudenziali sul tema.

Dopo la lettera: accertamento e contenzioso tributario nei confronti di forfettari

Se il contribuente non regolarizza la propria posizione a seguito della lettera di compliance (oppure se l’anomalia riscontrata è talmente grave che l’Agenzia bypassa la fase di compliance), si passa alla fase dell’accertamento vero e proprio. È importante capire cosa succede in tal caso e quali sono i diritti di difesa del contribuente.

Dalla compliance all’accertamento

In molti casi, come visto, la lettera di compliance è un passaggio preliminare e la sua mancata considerazione porta l’ufficio a procedere oltre. Secondo le segnalazioni degli ultimi anni, l’Agenzia tende a essere abbastanza celere: ad esempio, se una lettera di metà 2025 riguarda redditi 2021 e viene ignorata, è facile che entro fine 2026 venga notificato un avviso di accertamento (rispettando comunque i termini di decadenza, che per il 2021 è il 31/12/2026). Dunque, attenzione a non sottovalutare la comunicazione pensando di “aver guadagnato tempo”: il Fisco potrebbe procedere senza ulteriori solleciti.

Gli avvisi di accertamento per i forfettari assumono principalmente due forme:

  • Accertamento per decadenza dal regime agevolato (contestazione dei requisiti): l’ufficio disconosce il regime forfettario applicato e ricalcola il reddito e le imposte dovute come in regime ordinario, contestando la causa ostativa o il superamento dei limiti. Tecnicamente è un accertamento in rettifica della dichiarazione (se era stata presentata) oppure un accertamento d’ufficio se la dichiarazione manca. Nel caso di dichiarazione presentata con forfettario non spettante, l’avviso rideterminerà il reddito con le regole ordinarie IRPEF, applicando l’IVA dovuta sulle operazioni fatturate senza IVA, e comminerà le relative sanzioni (es. 90% della maggiore imposta per dichiarazione infedele, più 30% per l’IVA omessa, oltre interessi). Se invece il contribuente non aveva proprio presentato la dichiarazione (operando come forfettario “fantasma”), si avrà un accertamento per omessa dichiarazione, con sanzioni ancora più elevate (da 120% a 240% dell’imposta evasa, minimi riformulati a 100%-200% dal 2024) e possibili profili penali se l’imposta evasa supera le soglie di punibilità. La Corte di Cassazione ha chiarito che la presentazione della dichiarazione è presupposto indispensabile per godere di un regime fiscale di favore: senza dichiarazione annuale, il regime forfettario non è applicabile e tutto il reddito va tassato in via ordinaria. Esempio: Tizio forfettario non presenta la dichiarazione dei redditi 2022; l’Agenzia scopre che ha emesso fatture nel 2021-2022. Verrà tassato IRPEF su tutto il reddito (scaglioni ordinari) + IVA sulle operazioni, con sanzione per omessa dichiarazione (attualmente 180% dell’imposta evasa minimo) e per omesso versamento IVA, ecc., e se l’evaso supera €50.000 per anno, segnalazione penale (art. 5 D.Lgs. 74/2000).
  • Accertamenti analitici o induttivi sul volume di ricavi non dichiarati: anche restando nel regime forfettario, il contribuente può aver occultato parte dei ricavi. Ad esempio, potrebbe non aver emesso fatture per alcune operazioni (evasione in nero). In tal caso, al di là della spettanza o meno del regime, l’ufficio contesterà un maggior reddito sottratto a tassazione. Siccome il forfettario non ha obbligo di tenuta delle scritture contabili, l’accertamento può assumere la forma di accertamento induttivo puro (art. 39, c.2 DPR 600/73) basato su presunzioni e dati extracontabili. Uno strumento classico sono le indagini finanziarie: l’Agenzia (o la Guardia di Finanza) analizza i conti correnti del contribuente e applica le presunzioni legali di cui all’art. 32 DPR 600/73, secondo cui i versamenti bancari non giustificati si presumono ricavi non dichiarati, e i prelievi non giustificati si presumono utilizzati per acquisti in nero (dunque prodromici a ricavi non dichiarati). Su questo punto, va menzionata una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 10/2023) che ha ritenuto legittima tale presunzione per gli imprenditori (anche piccoli in contabilità semplificata), purché limitata a prelievi sopra soglie significative (€1.000 giornalieri o €5.000 mensili). Invece per i professionisti (lavoratori autonomi), che non hanno l’obbligo di conti dedicati all’attività, la presunzione sui prelievi rimane inapplicabile (come già stabilito dalla Corte Cost. 228/2014). Ciò significa che se un contribuente forfettario imprenditore (ad es. un commerciante) viene sottoposto ad accertamento bancario, i suoi versamenti ingiustificati potranno essere considerati vendite non fatturate e i prelievi anomali potranno far presumere acquisti occulti; se invece è un forfettario professionista (es. consulente), l’ufficio non potrà presumere nulla dai suoi prelievi (ma potrà farlo comunque dai versamenti). In ogni caso, la Cassazione ha chiarito che anche quando si applicano queste presunzioni ai forfettari o semplificati, gli uffici devono tener conto dei costi correlati nel rideterminare il reddito, per rispettare il principio di capacità contributiva. In pratica, se accertano ricavi non dichiarati, non possono pretendere imposta sul 100% di essi come se fossero tutto profitto: devono ragionevolmente ipotizzare dei costi (magari applicando lo stesso coefficiente di redditività forfettario, o altri criteri) e tassare il margine. Questa precisazione deriva da Cass. Sez. V, ordinanza 23/02/2023 n. 5586.
  • Accertamento sintetico (redditometro): essendo il forfettario una persona fisica, è teoricamente soggetto anche all’accertamento sintetico del reddito complessivo (art. 38 DPR 600/73) qualora vi sia una evidente sproporzione tra il tenore di vita/spese sostenute e il reddito dichiarato. Ad esempio, un forfettario dichiara €20.000 di reddito annuo ma ne spende €50.000 per comprare un’auto di lusso – il Fisco potrebbe avviare un redditometro chiedendo come ciò sia possibile. In sede di difesa, il contribuente dovrà provare che ha utilizzato risparmi pregressi o redditi esenti, ecc. Questo tipo di verifica non è specifico del regime forfettario (si applica a tutte le persone fisiche) e negli ultimi anni è stato usato con parsimonia, anche perché il meccanismo del redditometro è stato in parte sospeso/rivisto per anni successivi al 2016. Ma è comunque un ulteriore fronte di possibile contestazione.

Notifica e termini: l’avviso di accertamento, una volta emesso, viene notificato al contribuente (PEC o raccomandata). Ricordiamo i termini di decadenza: per l’anno d’imposta 2021 la notifica va fatta entro il 31 dicembre 2026 (quinto anno successivo alla dichiarazione); se la dichiarazione era omessa, entro il 31 dicembre 2028. Per il 2022, rispettivamente entro il 31/12/2027 (o 2029 se omessa), e così via. Il rispetto di questi termini è tassativo, salvo proroghe di legge (ad esempio, per gli atti in scadenza al 31/12/2022 c’è stata una proroga di 3 mesi per effetto della “tregua fiscale” 2023, DL 34/2023, ma non entriamo nel dettaglio). Una volta notificato l’atto, se il contribuente non fa nulla entro 60 giorni, l’accertamento diviene definitivo ed esecutivo: comporta l’iscrizione a ruolo degli importi accertati e l’avvio delle procedure di riscossione coattiva in caso di mancato pagamento.

Difendersi in sede di accertamento e contenzioso

Diritto al contraddittorio: prima di arrivare in Commissione Tributaria, il contribuente ha spesso la possibilità di dialogare con l’ufficio. Nel caso di controlli da compliance, come abbiamo visto, è consigliabile richiedere un contraddittorio endoprocedimentale già durante la fase di esibizione documenti. Anche quando arriva il P.V.C. (processo verbale di constatazione) da parte della Guardia di Finanza o degli ispettori AE, il contribuente ha 60 giorni per presentare osservazioni difensive prima che l’ufficio emetta l’avviso (salvo casi di particolare urgenza o prevenzione di decadenza). È sempre opportuno sfruttare questi spazi: fornire spiegazioni, documenti integrativi, evidenziare errori nei calcoli dell’ufficio. A volte il confronto con i funzionari può portare a scongiurare l’emissione dell’atto o ad attenuare le pretese (ad esempio, riconoscendo costi prima non considerati).

Impugnazione dell’avviso: se l’avviso di accertamento viene comunque notificato e il contribuente lo ritiene infondato in tutto o in parte, può presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (oggi rinominata Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado) entro 60 giorni. Nel proporre ricorso, è spesso utile valutare anche l’istanza di accertamento con adesione (che sospende per 90 giorni i termini per ricorrere): questo istituto consente di discutere con l’ufficio e magari raggiungere un accordo, riducendo sanzioni a 1/3. Per un forfettario, aderire potrebbe significare ottenere, ad esempio, sanzione 60% invece di 90% sull’IRPEF contestata, e 20% invece di 30% sull’IVA, oltre alla possibilità di pagare a rate. Se però si è convinti delle proprie ragioni, si va in giudizio.

Linee difensive tipiche: in contenzioso, la strategia difensiva per un ex-forfettario coinvolge vari aspetti:

  • Verificare il rispetto formale delle procedure da parte dell’ufficio. Ad esempio, se l’avviso riguarda IVA e imposte dirette, era dovuto il contraddittorio preventivo obbligatorio? (Per gli accertamenti “a tavolino” in ambito IVA sopra certe soglie, secondo giurisprudenza UE, sì; per imposte dirette non sempre obbligatorio, ma se il contribuente lo ha chiesto e gli è stato negato, si può eccepire). Oppure, controllare se l’atto è motivato, se sono stati allegati i documenti citati, se le presunzioni usate hanno i requisiti di gravità/precisione. Anche errori sui termini (notifica tardiva) o sulla legittimazione (firmatario non delegato) possono essere eccezioni preliminari.
  • Contestare nel merito la sussistenza delle cause ostative o delle violazioni imputate. Ad esempio, se l’ufficio contesta che il contribuente aveva un lavoro dipendente >30k l’anno prima (causa ostativa) ma in realtà il rapporto di lavoro era cessato prima dell’avvio della partita IVA, portare la prova (lettera di licenziamento, ecc.) e far valere che la causa ostativa non opera in caso di cessazione del lavoro. Oppure, se contestano una partecipazione societaria, dimostrare che la società era inattiva o che l’attività sociale non era riconducibile a quella personale. Esempio pratico: un contribuente forfettario era socio minoritario di una SNC agricola nel 2021; l’AE presume decadenza dal regime. In giudizio si può sostenere che l’attività svolta individualmente (es. consulenza) non aveva nulla a che fare con la società (azienda agricola mai operativa), dunque l’automatismo dell’esclusione non dovrebbe applicarsi. In casi simili, alcune pronunce di merito hanno dato ragione al contribuente: ad esempio, la CTR Sicilia (sent. 9965/2021) ha ritenuto che la causa ostativa sulla partecipazione vada applicata solo se c’è contemporaneità e riconducibilità tra attività, annullando l’atto che in automatico aveva escluso il regime; la CTR ha sottolineato che le valutazioni dell’Agenzia possono essere superate con le prove fattuali (socio sì, ma società inattiva o di attività diversa).
  • Se si discute di ricavi non dichiarati (accertamento analitico-induttivo): contestare l’entità della ricostruzione. Mostrare, ad esempio, che alcuni versamenti bancari considerati ricavi erano in realtà trasferimenti infragruppo o prestiti, con documentazione a supporto (la presunzione di art. 32 è relativa, ammette prova contraria). E sul fronte costi, ribadire il principio affermato da Cass. n. 5586/2023: se l’ufficio ti attribuisce €50.000 di ricavi non fatturati, non può assumere che fossero tutto profitto, deve detrarre un margine di costo ragionevole. Questa argomentazione può ridurre significativamente il reddito imponibile accertato. Inoltre, verificare se l’ufficio ha applicato correttamente il coefficiente di redditività del forfettario fino all’anno contestato: ad esempio, se un forfettario commerciante ha omesso ricavi, dovrebbe comunque essergli riconosciuto in teoria il costo forfettario del 40% implicito nel suo regime (anche se decaduto ex post, quell’anno ha operato da forfettario).
  • Vizi formali sostanziali dell’accertamento: un classico è la mancata considerazione delle giustificazioni date dal contribuente in fase di contraddittorio. Se avevate risposto alla lettera di compliance o all’invito con memoria e l’avviso non ne parla minimamente, potete eccepire un difetto di motivazione (violazione art. 7 Statuto Contribuenti – obbligo di motivare tenendo conto delle osservazioni del contribuente). Oppure, se l’ufficio si è basato su presunzioni semplici senza un minimo riscontro (contrasto con l’art. 2729 c.c. che richiede gravità, precisione, concordanza), farlo presente al giudice.
  • Aspetti sanzionatori: in giudizio è sempre possibile chiedere la riduzione delle sanzioni per obbligatorietà della misura (il giudice può ridurle se manifestamente eccessive rispetto alla gravità, art. 7 D.Lgs. 472/97) e verificare se siano state applicate corrette (es. nel caso di decadenza dal regime, l’AE tende ad applicare la sanzione del 90% per infedele dichiarazione sul maggior reddito IRPEF e quella del 90% sull’IVA non applicata; si può discutere se vi sia duplicazione sanzionatoria o meno, a seconda dei casi). Da notare: la riforma del 2023 ha ridotto alcune sanzioni base (infedele dichiarazione dal 90% all’70% per violazioni post 1/1/2025, omesso versamento dal 30% al 25%, ecc.), ma trattandosi di sanzioni amministrative tributarie vale il principio del tempus regit actum (no retroattività se non espressa), quindi per anni precedenti restano le percentuali vecchie.

Giurisprudenza recente di rilievo: oltre ai casi già citati, segnaliamo alcuni principi affermati da pronunce degli ultimi anni riguardanti il regime forfettario e i controlli:

  • La Cassazione Civile, ord. 14/04/2023 n. 9973 ha ribadito che “senza dichiarazione dei redditi nessun regime agevolato è riconosciuto”, nel contesto di un’associazione sportiva in regime L.398/91. Il principio generale è applicabile anche ai forfettari: l’omessa presentazione della dichiarazione esclude qualsiasi regime di favore e porta alla tassazione ordinaria.
  • La Cassazione Civ., Sez. V, ord. 26/02/2024 n. 4970 (citata in alcune note dottrinali) avrebbe trattato un caso di accertamento nei confronti di una società che deduceva costi fatturati da un forfettario, con contestazioni incrociate. In sintesi, pare abbia evidenziato come il regime del forfettario di una controparte (fornitore) possa rilevare nelle verifiche: se una società porta in deduzione costi per servizi ricevuti da un forfettario, l’AE potrebbe controllare il forfettario per vedere se aveva i requisiti (c’è un’attenzione in più perché un forfettario “irregolare” comporterebbe che quel costo era con IVA non applicata indebitamente, ecc.). Questo per dire che i controlli possono scaturire anche dai rapporti con clienti in regime ordinario.
  • Le Sezioni Unite della Cassazione, sent. 29/10/2024 n. 27905 (ipotizzata da alcuni commentatori) potrebbero essersi pronunciate su questioni di abuso del diritto in operazioni legate al forfettario. Sebbene i dettagli non siano chiari, vale la regola generale: se un contribuente frammenta artificiosamente attività o cerca di rientrare nel forfettario tramite costruzioni anomale, l’AE può contestare il vantaggio fiscale indebito ex art. 10-bis L. 212/2000 (abuso del diritto). Ad esempio, se un professionista crea due ditte individuali per sdoppiare i ricavi, o fa fatturare parte dei compensi a un familiare forfettario, queste manovre sono suscettibili di sanzioni e nullità per abuso.

In definitiva, dal punto di vista del contribuente (debitore), difendersi in questa materia richiede un mix di documentazione fattuale (per provare la realtà dei requisiti e l’assenza di condotte evasive) e conoscenza tecnica delle norme. Il forfettario è un regime semplice in apparenza, ma nasconde diverse insidie normative e di prassi. Prevenire è meglio che curare: rispondere alle lettere di compliance, correggere subito gli errori, mantenere tracciabilità dei movimenti finanziari, conservare i documenti (anche se non obbligatori per legge, è bene tenere un archivio ordinato di fatture emesse/ricevute, estratti conto, ecc.). Così facendo, si arriva più preparati qualora scattasse un controllo formale.

Viceversa, se ci si trova già in fase di accertamento, non bisogna scoraggiarsi: si hanno diritti e strumenti di tutela. Entro 60 giorni dall’avviso si può ricorrere, e anzi prima ancora si può tentare una definizione per adesione. In giudizio, presentando un caso ben documentato e avvalendosi magari di un professionista esperto in contenzioso tributario, è possibile far valere le proprie ragioni. I giudici tributari, specie di fronte a contribuenti minori in buona fede, hanno mostrato talora sensibilità (vedi il caso CTR Sicilia citato). Naturalmente, se l’evasione c’è stata, le chance di vittoria sono scarse sul merito; ma si può puntare a ridurre il danno (sanzioni, rateazioni). Se invece l’Agenzia ha applicato rigidamente norme e presunzioni senza considerare le specificità del caso, il contenzioso può ribaltare o attenuare gli esiti.

Domande frequenti (FAQ) sulle lettere di compliance ai forfettari

D: La lettera di compliance dell’Agenzia Entrate è un atto ufficiale impugnabile?
R: No, la lettera di compliance non è un atto impositivo formale e non è impugnabile con ricorso autonomo. Si tratta di una comunicazione informale che segnala un’anomalia e invita a regolarizzare. Non determina in modo definitivo importi da pagare, dunque non rientra tra gli atti elencati nell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 (ricorribili in Commissione Tributaria). Potrete far valere le vostre ragioni eventualmente in sede di accertamento vero e proprio, se verrà emesso. In ogni caso, è buona norma non ignorarla: pur non potendo fare ricorso contro la lettera in sé, agire subito (correggere errori o spiegare all’ufficio) può evitarvi un futuro atto ben più difficile da contestare.

D: Ho ricevuto una lettera, devo rispondere o comunicare qualcosa all’Agenzia?
R: Dipende dal tipo di lettera. In generale, non è obbligatorio inviare una risposta formale alla lettera di compliance (come confermato dall’Agenzia stessa nelle FAQ, le comunicazioni hanno valore informativo e “non richiedono di attivarsi per fornire un riscontro”). L’importante è verificare la propria situazione. Se scoprite che effettivamente c’è un errore (ad es. redditi non dichiarati, quadro da compilare, versamento omesso), allora dovete “rispondere” nei fatti, cioè presentando la dichiarazione integrativa o effettuando il pagamento con ravvedimento. Non serve invece scrivere all’Agenzia se correggete tutto: sarà il nuovo invio telematico dell’integrativa e il versamento F24 a costituire la vostra risposta. Se invece ritenete che la segnalazione sia infondata (perché siete convinti che la vostra dichiarazione fosse corretta), non siete tenuti a inviare nulla. Potete scegliere di non fare nulla nell’immediato – tenendo però presente che, così facendo, l’Agenzia potrebbe procedere con controlli formali. In tal caso, preparatevi eventualmente a giustificare la vostra posizione. Nulla vieta, comunque, di contattare proattivamente l’ufficio che ha inviato la lettera (spesso è indicato il numero di telefono o un indirizzo email/PEC di riferimento) per fornire chiarimenti: ad esempio, “Ho ricevuto la vostra segnalazione sui ricavi bassi; preciso che ciò è dovuto a X motivo e dunque ritengo di non dover fare integrative”. Non è obbligatorio, ma un dialogo trasparente può talvolta convincere l’ufficio a soprassedere o annotare le vostre spiegazioni.

D: Cosa succede se ignoro la lettera di compliance e non correggo nulla?
R: Ignorare la lettera non comporta sanzioni immediate, né significa ammettere qualcosa. Semplicemente, trascorso un certo tempo, l’Agenzia deciderà se la vostra anomalia merita un approfondimento formale. Nella migliore delle ipotesi, potrebbe non succedere nulla (se la segnalazione era di routine e l’AE decide di concentrarsi su altri casi). Tuttavia, molto spesso l’esito sarà l’avvio di un procedimento di controllo vero e proprio: potreste ricevere un invito al contraddittorio più stringente, oppure direttamente un avviso di accertamento con imposte e sanzioni. Ad esempio, nel caso delle lettere per quadro RS omesso, chi non regolarizza entro il termine prorogato sarà passibile della sanzione piena di €250; nel caso delle lettere su redditi bassi (CPB), l’Agenzia ha avvertito che chi non aderisce né corregge finirà probabilmente nelle liste di controllo per verifiche successive. Insomma, ignorare equivale a giocare d’azzardo: magari non verrete controllati, ma se lo verrete, affronterete l’accertamento senza le attenuanti che avreste avuto con una sistemazione spontanea (es. niente sanzioni ridotte). Inoltre, va detto che in alcune situazioni specifiche la lettera stessa può preludere a un atto quasi automatico: per esempio, se la lettera riguarda un controllo formale ex art. 36-ter (richiesta di documenti su oneri dedotti) e non rispondete, l’Agenzia può chiudere la partita iscrivendo a ruolo le imposte e sanzioni (saltando altri passaggi). Dunque la scelta peggiore è l’inerzia: o si sistema l’irregolarità, o quantomeno ci si prepara a litigarlo.

D: Ho già un avviso di accertamento (o una causa in corso) per lo stesso periodo segnalato nella lettera. Devo comunque considerare la lettera di compliance?
R: In tal caso, la lettera perde rilevanza, perché ormai la vostra posizione per quell’anno è già stata definita in via autoritativa (avviso notificato) e magari pende un ricorso. L’Agenzia invia le lettere sulla base dei dati disponibili: può accadere che la lettera parta e, quasi contemporaneamente, vi arrivi anche l’atto formale (soprattutto se la lettera era generica e l’ufficio nel frattempo ha approfondito diversamente). Se avete già un accertamento notificato per lo stesso oggetto, non dovete fare una integrativa (non avrebbe senso, c’è un atto con valore di legge ormai). Potete eventualmente inviare una comunicazione all’ufficio segnalando: “Ho ricevuto vostra lettera su anno X, ma noto che per lo stesso anno mi è stato notificato avviso di accertamento n… il …, attualmente oggetto di ricorso (o che definisco via adesione)”. In genere però l’ufficio se ne accorge da solo. Concentratevi piuttosto nel predisporre la difesa nel contenzioso o nella procedura di accertamento già avviata. La lettera in sé, a quel punto, è superflua (non è che dovete “rispondere due volte”). Ovviamente, se la lettera riguardava un aspetto diverso da quello oggetto dell’accertamento, quel profilo potrebbe essere ancora sanabile: es. vi contestano formalmente ricavi non dichiarati, ma la lettera parlava di esterometro omesso – su quest’ultimo potete comunque ravvedervi a parte, per ridurre guai futuri.

D: Quali sanzioni rischio se non aderisco alla compliance e vengo accertato?
R: Molto più alte di quelle che avreste pagato con il ravvedimento operoso. Facciamo qualche confronto: se correggo spontaneamente una dichiarazione infedele (omesso reddito) prima di essere scoperto, la sanzione è ridotta (spesso al 5% o 7% dell’imposta dovuta, a seconda di quando ravvedo, grazie alle riduzioni 1/8 o 1/7, ecc.). Se invece aspetto l’accertamento, la sanzione applicata sarà quella ordinaria del 90% sulla maggiore imposta, riducibile al massimo al 1/3 (-> 30%) se aderisco all’accertamento o al 1/3 se pago entro 60gg per acquiescenza. In caso di giudizio, il giudice potrebbe ridurla un po’ ma resta comunque elevata. Per l’omesso versamento, ravvedendomi presto pagherei il 3% di sanzione; con avviso bonario pago 10%; con cartella pago il 30% pieno. Quindi chiaramente conviene ravvedersi. Anche in cifre assolute: mettiamo che non ho dichiarato €10.000 di ricavi (imposta sostitutiva evasa €1.500). Opzione 1: ravvedimento prima della constatazione → verso €1.500 + sanzione ridotta ~€100 (6-7%). Opzione 2: avviso di accertamento → mi chiedono €1.500 + €1.350 di sanzione (90%) = €2.850, che posso ridurre a €900 se definisco (60%) + interessi, comunque pagando ~€2.400. Capite bene la differenza. Oltre alle sanzioni, poi, c’è il tema interessi di mora e aggi di riscossione (che maturano se si va a cartella): la rottamazione delle cartelle solleva da interessi e aggi, ma lascia intatta la sanzione base. In sintesi: la compliance conviene economicamente quasi sempre. Se invece siete proprio sicuri di avere ragione (cioè la segnalazione è sbagliata), allora in quel caso non pagherete nulla perché lotterete e vincerete (si spera) in giudizio; ma se c’è anche solo un dubbio sulla vostra ragione, rifatevi i conti considerando le sanzioni in ballo.

D: Come posso prevenire in futuro di ricevere lettere di compliance o accertamenti?
R: La prevenzione sta nel rispettare con scrupolo gli obblighi e mantenere un profilo coerente. Per un forfettario:

  • Dichiarate tutti i ricavi e compilate correttamente tutti i quadri (RS incluso). Evitate di fare fai-da-te: se avete dubbi consultate un professionista, le istruzioni ministeriali, le circolari (es. circ. AE 10/E e 24/E del 2016 sui dati da indicare).
  • Tenete d’occhio i limiti del regime (ricavi, spese per personale, redditi da lavoro dipendente) e le cause ostative: se qualcosa cambia (es. diventate soci di società, o iniziate collaborazione col vostro ex datore), valutate se potete restare forfettari. In caso contrario, meglio optare per il regime ordinario spontaneamente, piuttosto che essere scoperti dopo.
  • Tracciabilità: anche se non tenete contabilità formale, conservate estratti conto, fatture d’acquisto, ricevute. Per legge il forfettario è esonerato da molti registri, ma ciò non vi impedisce di tenere un registro informale di incassi e pagamenti o un prospetto, per avere sempre evidenza di ciò che fate.
  • Pagamenti: rispettate le scadenze di versamento dell’imposta (saldo e acconti). Se non riuscite, almeno versate qualcosa (un ravvedimento parziale) e contattate il Fisco. Non far nulla è la scelta peggiore.
  • E-fattura ed esterometro: ora siete dentro il sistema, quindi emettete e ricevete tutte le fatture elettronicamente. Questo garantisce che l’Agenzia veda in tempo reale il vostro fatturato e riduce il rischio di errori. Per le operazioni estere, ricordatevi di usare i giusti codici TD e di conservarne le copie.
  • Cassetto fiscale: controllate periodicamente il vostro cassetto fiscale online. Lì compariranno eventuali comunicazioni, anomalie segnalate, esiti di liquidazione, ecc. Spesso l’Agenzia mette a disposizione i dettagli dell’anomalia proprio nel cassetto (ad esempio, l’elenco delle fatture che non tornano, ecc.): prenderne visione subito vi aiuta a intervenire tempestivamente.
  • Consulenza preventiva: se la vostra attività sta crescendo o cambia natura (es. assumete dipendenti, iniziate scambi con l’estero frequenti, superate soglie), valutate con un fiscalista se restare forfettario sia ancora appropriato. A volte conviene passare volontariamente al regime ordinario per evitare contestazioni (specie in situazioni borderline) e magari poter dedurre costi effettivi. In altri casi potete restare forfettari ma dovete solo stare attenti a qualche adempimento in più.

Facendo tutto questo, probabilmente non eliminerete al 100% il rischio di controlli (che può capitare a chiunque), ma ridurrete di molto la possibilità di ricevere lettere di compliance “a sorpresa”. E soprattutto, se anche doveste riceverne, potrete affrontarle con serenità, sapendo di avere le carte in regola o sapendo esattamente dove avete commesso l’errore e come rimediare.


Fonti

  1. Agenzia Entrate – Circolare n. 26/E del 13/07/2022, estensione fattura elettronica ed esterometro ai forfettari (conferma obblighi dal 2022).
  2. Corte dei Conti – Relazione sul Rendiconto Generale dello Stato 2023, dati sul riscontro lettere compliance (citata in Fisco7).
  3. Normativa di riferimento: Legge 190/2014 (commi 54-89 regime forfettario; commi 71-73 obblighi informativi RS; commi 634-636 compliance fiscale); DPR 600/1973 (art. 32 poteri indagini finanziare; art. 36-bis controlli automatici; art. 38 accertamento sintetico; art. 39 accertamento induttivo); D.Lgs. 471/1997 (art. 8 sanzione €250 omissioni dichiarative; art. 13 sanzione 30% omesso versamento); D.Lgs. 472/1997 (art. 13 ravvedimento operoso); Statuto del Contribuente L.212/2000 (art. 10-bis abuso del diritto); Codice di procedura civile (art. 2729 presunzioni) e relative pronunce costituzionali e di legittimità come citate nel testo. (Le fonti sopra riportate includono sia documenti di prassi e articoli specialistici, sia riferimenti normativi primari e giurisprudenziali, allo scopo di fornire un quadro avanzato e aggiornato al luglio 2025.)

Lettere di Compliance ai Contribuenti in Regime Forfettario: Come Difendersi Con Studio Monardo

Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate perché operi in regime forfettario? Ti segnalano presunte incongruenze nei compensi, nei versamenti o nei dati incrociati con clienti e fornitori?

Sempre più spesso il Fisco invia comunicazioni ai contribuenti forfettari basandosi su incroci di dati fatture elettroniche, CU, incassi POS o bonifici ricevuti. Ma una lettera di compliance non è ancora un accertamento: puoi rispondere, chiarire o contestare prima che partano sanzioni.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza nel dettaglio la lettera ricevuta e la posizione fiscale segnalata
  • 📌 Verifica se i rilievi sono fondati o derivano da errori, duplicazioni o dati parziali
  • ✍️ Redige la risposta tecnica all’Agenzia delle Entrate, evitando il passaggio all’accertamento formale
  • ⚖️ Ti assiste se la contestazione evolve in atto impositivo, preparando memorie o ricorsi
  • 🔁 Ti supporta nell’eventuale ravvedimento operoso o regolarizzazione spontanea per evitare sanzioni

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e fiscalità dei regimi agevolati
  • ✔️ Specializzato nella difesa di partite IVA in regime forfettario contro contestazioni fiscali
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Se hai ricevuto una lettera di compliance, non ignorarla e non rispondere alla leggera. Con una strategia corretta puoi chiarire la tua posizione e evitare sanzioni o accertamenti veri e propri.

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