Accertamento Fiscale a Hotel: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale per il tuo hotel, B&B o struttura ricettiva?
L’Agenzia delle Entrate ti contesta ricavi non dichiarati, presunti incassi in nero, irregolarità sull’IVA o incongruenze nei dati trasmessi? In questi casi è fondamentale capire cosa ti viene contestato e come impostare una difesa efficace per proteggere l’attività ed evitare sanzioni pesanti.

Quando arriva un accertamento fiscale per hotel o B&B?
– Se risultano differenze tra i ricavi dichiarati e le presenze registrate
– Se emergono scostamenti dagli ISA (Indicatori Sintetici di Affidabilità) o anomalie nei dati di settore
– Se l’Agenzia incrocia i dati con portali online (Booking, Airbnb, OTA) e rileva incongruenze
– Se mancano scontrini, ricevute o documentazione fiscale a fronte di soggiorni effettivi
– Se una verifica in loco ha riscontrato ospiti non registrati o irregolarità nei registri

Cosa può contenere un accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
– L’elenco delle presunte violazioni e dei maggiori ricavi stimati
– Il metodo di accertamento utilizzato (induttivo, analitico, presuntivo)
– Il calcolo delle imposte ritenute evase (IVA, IRES, IRAP)
– L’invito a fornire chiarimenti o documentazione entro un termine
– L’avvertimento che, in caso di mancata adesione, seguirà l’iscrizione a ruolo del debito

Come puoi difenderti da un accertamento fiscale?
– Verifica la correttezza della procedura: accessi, notifiche e tempistiche
– Contesta eventuali presunzioni infondate o calcoli basati su medie arbitrarie
– Dimostra la tracciabilità dei pagamenti, le cancellazioni o i no-show
– Presenta una memoria difensiva tecnica, con il supporto di un esperto
– Valuta la possibilità di correggere eventuali errori formali (fatture, registrazioni)
– Se opportuno, aderisci all’accertamento per ottenere sconti sulle sanzioni
– In alternativa, impugna l’atto davanti alla Corte di Giustizia Tributaria

Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– L’annullamento dell’accertamento, se i rilievi sono infondati o mal formulati
– La riduzione delle sanzioni, in caso di buona fede o adesione tempestiva
– La rateizzazione del dovuto, per salvaguardare la liquidità dell’attività
– La tutela della tua immagine fiscale e della continuità operativa

Attenzione: molti accertamenti partono da presunzioni errate o da verifiche superficiali basate su dati incompleti. Ma anche in caso di rilievi fondati, puoi difenderti e ottenere una soluzione sostenibile se agisci in modo tempestivo e ben guidato.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità del turismo, accertamenti tributari e contenzioso fiscale ti spiega come affrontare un accertamento nel settore alberghiero, quando è il caso di aderire, quando impugnare e come tutelare la tua struttura.

Hai ricevuto un avviso di accertamento o una richiesta di documenti?
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Introduzione

Gestire un hotel in Italia comporta non solo l’attenzione verso gli ospiti, ma anche un rigoroso rispetto degli obblighi fiscali. Le strutture ricettive – alberghi, bed & breakfast, pensioni, relais – sono spesso oggetto di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. L’accertamento fiscale è il procedimento con cui il Fisco verifica la correttezza delle dichiarazioni ed eventualmente rettifica le imposte dovute. Farsi trovare preparati e conoscere come difendersi è fondamentale. In questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, esamineremo in dettaglio cosa succede durante un accertamento fiscale rivolto a un hotel, quali sono le tipologie di accertamento (analitico, induttivo, sintetico, ecc.), i diritti del contribuente (dal contraddittorio alla tutela giurisdizionale), e gli strumenti per evitare o risolvere il contenzioso (accertamento con adesione, mediazione, conciliazione, etc.). Il taglio è tecnico-giuridico ma con un linguaggio comprensibile, rivolto sia a professionisti legali sia a imprenditori del settore alberghiero e a privati cittadini proprietari di strutture ricettive, sempre dal punto di vista difensivo del contribuente (debitore d’imposta).

Troverete tabelle riepilogative, domande e risposte comuni, nonché casi pratici (simulazioni) relativi a scenari tipici di verifica fiscale negli hotel, con riferimento alla sola normativa italiana. Tutte le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate sono raccolte in fondo alla guida, così da fornire riferimenti autorevoli e aggiornati (incluse le più recenti sentenze di Cassazione e le circolari ufficiali) fino a metà 2025. Cominciamo chiarendo in cosa consiste un accertamento fiscale e perché il settore alberghiero è spesso sotto la lente del Fisco.

Cos’è un accertamento fiscale e perché riguarda gli hotel

Un accertamento fiscale è la procedura attraverso la quale l’Amministrazione Finanziaria controlla la posizione fiscale di un contribuente, rideterminando eventualmente il reddito o le imposte dovute. In pratica, se l’azienda (o persona) non ha dichiarato correttamente tutti i ricavi, o ha operato deduzioni indebite, il Fisco può intervenire notificando un avviso di accertamento che richiede imposte aggiuntive, sanzioni e interessi. Questa attività si fonda su poteri istruttori molto ampi dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, disciplinati dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (per le imposte dirette) e dal D.P.R. 633/1972 (per l’IVA), oltre che da una serie di altre norme tributarie speciali.

Perché gli hotel? Il settore alberghiero presenta caratteristiche che lo rendono oggetto frequente di accertamenti. Innanzitutto, si tratta di attività con elevati flussi di cassa, incassi da clientela generalizzata (spesso in contanti o con pagamenti immediati) e costi variabili. Ciò può indurre alcuni a sottodichiarare parte dei ricavi (ad esempio, registrando meno presenze di quelle reali). Inoltre, gli hotel sono soggetti a diversi tributi (imposte sul reddito, IVA, imposta di soggiorno comunale, TARI sui rifiuti, ecc.) e a obblighi contabili specifici.

Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli in questo settore, utilizzando strumenti presuntivi: ad esempio, la ricostruzione dei ricavi basata sui consumi di beni usati dall’hotel (lenzuola, asciugamani, acqua, colazione) o su indicatori come l’occupazione media delle camere. Si tratta dei cosiddetti metodi “induttivi” spesso ribattezzati con nomignoli come lenzuolometro, tovagliolometro, bottigliometro, proprio perché stimano il volume d’affari partendo da consumi di biancheria o forniture di acqua/cibo. Ad esempio, se un albergo dichiara ricavi molto bassi ma risulta aver lavato un numero di lenzuola enormemente superiore a quanto compatibile con le presenze dichiarate, il Fisco potrebbe presumere che vi siano stati ospiti paganti non registrati, e quindi ricavi in nero.

Va precisato che queste presunzioni, per quanto ammesse dalla legge, devono essere applicate con criterio. La Costituzione (art. 53) impone che il prelievo sia commisurato alla reale capacità contributiva; la Cassazione ha affermato che gli strumenti presuntivi non possono essere automatici e vanno sempre confrontati con la concreta realtà dell’azienda. Ad esempio, un eccessivo consumo di acqua minerale rispetto ai pasti dichiarati può giustificare un accertamento (il cosiddetto “bottigliometro”), ma occorre tenere conto di possibili usi diversi o sprechi. Allo stesso modo, un elevato numero di lenzuola lavate suggerisce un’occupazione camere più alta del dichiarato, ma bisogna considerare utilizzi interni (biancheria cambiata per esigenze dello staff, camere matrimoniali occupate da una persona, bambini esenti, etc.).

Il punto di vista adottato in questa guida è quello del contribuente (il gestore dell’hotel). Analizzeremo quindi quali strumenti quest’ultimo ha per difendersi in ogni fase: dalla verifica iniziale alla notifica dell’avviso di accertamento, fino all’eventuale ricorso in Commissione Tributaria (oggi rinominata Corte di Giustizia Tributaria). Prima di tutto, però, riepiloghiamo i riferimenti normativi e le varie tipologie di accertamento fiscale previste dall’ordinamento italiano, poiché comprendere la natura dell’accertamento contestato è fondamentale per impostare la difesa.

Normativa di riferimento e tipologie di accertamento fiscale

L’accertamento fiscale trova fondamento in diverse norme. I principali riferimenti normativi per le imposte erariali sono:

  • D.P.R. 600/1973 – Artt. 31-43 (per l’accertamento delle imposte dirette, IRPEF/IRES). Ad esempio, l’art. 39 D.P.R. 600/1973 disciplina l’accertamento analitico-induttivo, consentendo al Fisco di determinare un reddito d’impresa diverso da quello dichiarato basandosi su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
  • D.P.R. 633/1972 – Artt. 51 e ss. (per l’accertamento IVA).
  • Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente) – Art. 12 in particolare, che tutela i diritti del contribuente sottoposto a verifica fiscale (es. termine di 60 giorni prima di emettere l’avviso, diritto al contraddittorio, etc., che vedremo in dettaglio).
  • D.Lgs. 218/1997 – Disciplina gli strumenti di definizione agevolata del contenzioso (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, ecc.).
  • D.Lgs. 546/1992 – Regola il processo tributario (ricorsi, appelli, ecc.), recentemente modificato dal D.Lgs. 130/2022 e attuativi 2023 (Riforma della giustizia tributaria).

Oltre a queste norme generali, ci sono disposizioni specifiche per tributi locali come l’imposta di soggiorno (D.Lgs. 23/2011, D.L. 50/2017, e modifiche successive) e per obblighi di comunicazione (es. norme antiriciclaggio D.Lgs. 231/2007, comunicazioni alle Questure ex art. 109 TULPS per gli alloggiati, ecc.) che possono rilevare negli accertamenti a carico di hotel.

Tipologie di accertamento: panoramica

Non tutti gli accertamenti fiscali sono uguali. La legge prevede varie tipologie di accertamento a seconda delle circostanze e della qualità dei dati disponibili. La tabella seguente riepiloga le principali categorie:

Tipo di accertamentoDescrizione e presuppostiNorme di riferimento
Controllo automatizzato (liquidazione)Verifica automatica delle dichiarazioni per aritmetica e corrispondenza con i dati in possesso del Fisco. Se emerge un’imposta in più da pagare (es. errata detrazione, versamenti mancanti), si invia una comunicazione di irregolarità (c.d. avviso bonario). Non è un vero “avviso di accertamento” contestativo, ma una liquidazione ex lege.Art. 36-bis D.P.R. 600/1973 (redditi); Art. 54-bis D.P.R. 633/1972 (IVA).
Controllo formaleControllo su singoli documenti giustificativi indicati in dichiarazione (es. scontrini, ricevute di oneri deducibili). Può richiedere al contribuente l’esibizione di documenti. Se mancanze, si liquidano maggiori imposte. Anche qui, di solito, prima una comunicazione al contribuente.Art. 36-ter D.P.R. 600/1973.
Accertamento “parziale”Accertamento rapido su specifici redditi non dichiarati, basato su elementi certi (es. vendita immobiliare non dichiarata, reddito estero non dichiarato segnalato). Integra la dichiarazione senza rivedere l’intero reddito.Art. 41-bis D.P.R. 600/1973.
Accertamento analiticoRettifica puntuale di componenti di reddito o IVA basata su riscontri analitici. Si usa se la contabilità è regolare ma emergono differenze (es. costi indeducibili, ricavi omessi individuati da fatture mancanti).Art. 39, c.1, lett. d D.P.R. 600/1973 (infedele dichiarazione); Art. 54, c.2 D.P.R. 633/1972 (IVA).
Accertamento analitico-induttivoRicostruzione parziale del reddito basata su presunzioni semplici a fronte di contabilità inattendibile o incongruenze gravi. Ad esempio, conti formalmente regolari ma economicamente illogici (ricavi sistematicamente inferiori ai costi, margini irrisori). Il Fisco può integrare i dati contabili con elementi indiretti (consumi, indici di settore) perché ritiene la contabilità nel complesso non veritiera.Art. 39, c.1, lett. d D.P.R. 600/1973; Art. 54, c.2 D.P.R. 633/1972.
Accertamento induttivo “puro”Determinazione globale del reddito d’ufficio, prescindendo in toto dalle scritture, quando il contribuente non presenta la dichiarazione o la contabilità è assente/gravemente irregolare. Si basa su qualsiasi dato disponibile, anche presunzioni semplicissime (percentuali forfettarie, parametri medi, ecc.). Esempio: se un hotel non ha tenuto contabilità, l’Ufficio può stimare il reddito in base al numero di camere, tariffa media e tasso di occupazione medio del settore.Art. 39, c.2 D.P.R. 600/1973 (omessa dichiarazione); Art. 55 D.P.R. 633/1972 (IVA omessa).
Accertamento sintetico (redditometro/evasometro)Metodo rivolto alle persone fisiche: ricostruisce il reddito complessivo in base alle spese sostenute e agli incrementi patrimoniali. Se il tenore di vita o gli acquisti di un contribuente sono incoerenti col reddito dichiarato, scatta una presunzione di maggior reddito. Richiede un contraddittorio col contribuente, che può provare che le spese sono state finanziate con redditi esenti o risparmi. Dal 2024 il “redditometro” è stato rinnovato (c.d. evasometro), prevedendo una doppia soglia: scostamento >20% e almeno €70.000 di spesa non giustificata prima di avviare l’accertamento.Art. 38 D.P.R. 600/1973 (come modif. da D.Lgs. 78/2010 e ss.); D.Lgs. 108/2024 (nuovo redditometro).
Accertamenti basati su “studi di settore”/ISAIn passato, se i ricavi dichiarati da un’impresa erano drasticamente più bassi di quelli stimati dagli Studi di Settore, l’Ufficio poteva accertare un maggior reddito, ma solo previa convocazione del contribuente (contraddittorio obbligatorio). Dal 2019 gli studi di settore sono stati sostituiti dagli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), che non forniscono più un ricavo atteso, ma un punteggio di affidabilità. Un punteggio ISA molto basso può far scattare controlli, ma l’accertamento deve basarsi su specifiche divergenze e non sul punteggio in sé.Art. 10 bis L. 146/1998 (Studi di Settore, ora abrogato); Art. 9 bis D.L. 50/2017 (ISA). Contraddittorio: Cass. 33379/2024 ribadisce obbligo confronto per utilizzo di questi strumenti.

Nota: Il fondamento normativo dell’accertamento induttivo (sia parziale che puro) risiede nel permettere all’Amministrazione di prescindere dalle scritture contabili quando queste risultino inattendibili. Come riportato in tabella, l’art. 39, comma 1, lett. d) DPR 600/1973 consente di dedurre l’esistenza di maggiori redditi anche solo tramite presunzioni semplici, se dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Un orientamento consolidato della Cassazione conferma che anche un singolo elemento presuntivo può legittimare l’accertamento induttivo, purché dotato di forza probatoria adeguata (non è necessario un insieme di indizi se uno solo è già gravemente indicativo). Ad esempio, il numero di lavaggi di federe e lenzuola in un albergo è stato ritenuto un elemento presuntivo sufficiente a fondare un accertamento induttivo in assenza di altre prove, dato che implicava un utilizzo delle camere non coerente con i ricavi dichiarati. I contribuenti, in quel caso, provarono a fornire spiegazioni alternative (uso singolo di camere doppie, lavaggi extra per cuscini di cortesia, ecc.), ma la Corte ritenne tali giustificazioni non idonee a far venir meno la presunzione del Fisco.

Parallelamente, la giurisprudenza di merito ha talora annullato accertamenti analoghi quando l’amministrazione non ha tenuto conto di fattori correttivi: ad esempio, una Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto illegittimo un accertamento basato sul “tovagliolometro” perché l’Ufficio non aveva considerato l’uso di tovaglioli in cucina, per il personale o per altri scopi interni, né la capienza effettiva del locale e i giorni di apertura. Ciò insegna che, pur ammissibili, le presunzioni vanno applicate con prudenza e l’accertamento va calibrato sulla situazione concreta dell’attività. In fase difensiva, il contribuente potrà far leva su queste omissioni metodologiche per contestare la mancanza di precisione delle presunzioni utilizzate.

Segnalazioni e controlli: il ruolo dei “segnali” esterni

Spesso un accertamento nasce da segnalazioni o indizi raccolti dal Fisco attraverso banche dati e comunicazioni. Nel caso degli hotel, le fonti di segnalazione più comuni includono:

  • Anomalie nei dati fiscali dichiarati: ad esempio, ricavi dichiarati sistematicamente in perdita o troppo bassi rispetto ai costi (indice di possibile antieconomicità), punteggi ISA molto bassi, ripetuti omessi versamenti IVA, crediti d’imposta anomali, ecc. L’Agenzia effettua analisi incrociate e, se i parametri dell’hotel “fuori linea” rispetto al settore, può far scattare un controllo.
  • Segnalazioni di altre autorità: i Comuni spesso segnalano all’Agenzia delle Entrate situazioni sospette riguardo all’imposta di soggiorno o alla tassa rifiuti (TARI). Ad esempio, se un Comune rileva che un albergo ha versato importi di tassa di soggiorno incoerenti con le presenze comunicate alla Questura (schedine alloggiati), può segnalarlo al Fisco per un accertamento sui ricavi non dichiarati corrispondenti.
  • Segnalazioni qualificate (Whistleblowing): ex dipendenti, concorrenti o clienti possono inviare esposti alla Guardia di Finanza o all’Agenzia indicando presunte irregolarità (mancata emissione di ricevute, doppia contabilità, lavoro nero, ecc.). Le segnalazioni qualificate vengono valutate e possono innescare verifiche, specie se circostanziate.
  • Indagini finanziarie e antiriciclaggio: flussi finanziari anomali legati all’hotel (es. frequenti versamenti di contante di grossa entità sul conto bancario della società) possono emergere tramite l’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) e attivare accertamenti. Il Fisco può ottenere i movimenti di conto corrente dell’hotel e dei titolari: ogni accredito ingiustificato sul conto aziendale si presume un ricavo tassabile, a meno che non se ne dimostri la provenienza non imponibile. Questa è una presunzione legale a carico del contribuente (art. 32 DPR 600/1973) che sposta l’onere della prova: sarà l’albergatore a dover provare che quel versamento non è un ricavo (ad es. finanziamento soci, giroconto, apporto di capitale già tassato).
  • Incrocio con banche dati pubbliche: l’Agenzia oggi utilizza potenti strumenti informatici (Serpico, Anagrafe tributaria, ecc.) per incrociare dati. Nel caso di un hotel, possono essere incrociati: consumi di utenze (luce, gas, acqua), dati delle transazioni con carte di credito, recensioni online e tariffe medie pubblicate sui portali, dati di registro imprese, etc. Ad esempio, consumi elettrici elevati a fronte di pochi clienti ufficiali possono costituire un indizio di evasione. Anche l’accesso ai dati del portale Alloggiati Web della Polizia (obbligatorio per registrare gli ospiti ex art. 109 TULPS) consente di conoscere il numero effettivo di persone alloggiate in un dato periodo; alcune amministrazioni comunali confrontano queste cifre con quelle dichiarate ai fini della tassa di soggiorno, attivando accertamenti se vi sono discrepanze.

In sintesi, un accertamento fiscale in ambito alberghiero può essere innescato da disallineamenti tra vari dati: dichiarato vs. realtà (es. reddito basso vs. hotel sempre pieno), entrate vs. uscite (es. spese elevate vs. incassi modesti), dati comunicati a enti diversi (Questura, Comune, Agenzia Entrate) che non combaciano. Il contribuente spesso non ha contezza di tutte le informazioni in possesso del Fisco: riceve direttamente (a volte a sorpresa) un “invito al contraddittorio” o un accesso in verifica, di cui parleremo nel prossimo paragrafo.

Difendersi dalle segnalazioni: È difficile “prevenire” un accertamento basato su segnalazioni di terzi, ma il gestore può mitigare il rischio curando la coerenza dichiarativa. Ad esempio, tenere traccia di eventuali situazioni anomale (es. un guasto che ha comportato chiusura di camere per mesi, spiegando perché i ricavi sono scesi) e documentarle; conservare evidenze di tutti i pagamenti elettronici e trasmettere i corrispettivi telematicamente; assicurarsi che i dati trasmessi al Comune per l’imposta di soggiorno e quelli delle schedine alloggiati coincidano. Inoltre, se si hanno molti costi o perdite, essere pronti a dimostrarne la ragione (investimenti, avviamento, crisi temporanea, etc.), perché situazioni di antieconomicità protratta attirano controlli (un’azienda che perde sempre eppure resta aperta fa sospettare entrate in nero).

Nei prossimi paragrafi passeremo alla fase operativa dell’accertamento: come avviene una verifica fiscale in albergo, quali garanzie ha il contribuente durante le ispezioni, e cosa succede dopo (dal PVC all’avviso di accertamento).

Procedura di verifica fiscale: accessi, ispezioni e PVC in hotel

Quando un’attività alberghiera viene selezionata per un controllo, l’accertamento spesso inizia con una verifica fiscale in loco. Gli organi verificatori possono essere funzionari dell’Agenzia delle Entrate o, più spesso, la Guardia di Finanza, che ha poteri di polizia tributaria. Vediamo le fasi tipiche:

  • Ordine di accesso e identificazione: La verifica “sul campo” deve essere autorizzata da un ordine di accesso, firmato dal capo dell’ufficio o dal Comandante GdF competente. I verificatori si presentano in albergo (di norma durante l’orario di ufficio/reception) ed esibiscono il tesserino di riconoscimento e l’autorizzazione. Non è necessaria un’autorizzazione del giudice salvo per perquisizioni personali o in luoghi diversi dalla sede (ad esempio abitazioni, per cui serve mandato). Per accedere ai locali dell’azienda è sufficiente l’ordine di servizio.
  • Diritti e garanzie all’inizio della verifica: Il contribuente dev’essere informato delle finalità del controllo e del fatto che può farsi assistere da un professionista di fiducia (commercialista, avvocato tributarista). In base allo Statuto del Contribuente, la permanenza dei verificatori presso la sede non può superare 30 giorni (prorogabili a 60 in casi complessi) nell’anno. Inoltre, l’art. 12 L.212/2000 impone ai verificatori comportamenti rispettosi e di arrecare la minima turbativa all’attività aziendale.
  • Esibizione documenti e ispezioni: Durante la verifica, gli operanti possono richiedere documentazione contabile e extracontabile, ispezionare i locali (anche stanze se non occupate da ospiti, magazzini, uffici) e fare riscontri fisici (ad esempio, contare le scorte di magazzino, controllare il registro clienti). Possono anche acquisire copie di hard disk o sistemi informatici aziendali se ritengono vi siano dati fiscali (p.es. un doppio sistema di contabilità). In un hotel, è frequente che chiedano il registro delle presenze clienti, il registro di pubblica sicurezza, le schede di notifica inviate alla Questura, per confrontarle con le fatture/ricevute emesse. Possono inoltre controllare il cassetto fiscale per vedere i corrispettivi giornalieri trasmessi telematicamente.
  • Dichiarazioni del contribuente: I verificatori possono raccogliere dichiarazioni da parte del titolare o dei dipendenti. Attenzione: tali dichiarazioni, se messe a verbale e sottoscritte, hanno valore probatorio. È bene fare molta attenzione a cosa si sottoscrive; si consiglia di evitare ammissioni impulsive e semmai prendere tempo per fornire spiegazioni dettagliate per iscritto. Il contribuente può rifiutarsi di firmare un verbale, ma normalmente i verificatori ne prendono atto e la verifica procede (il rifiuto di firma non impedisce l’uso degli elementi raccolti). È preferibile collaborare ma con cautela, eventualmente dicendo che si forniranno chiarimenti successivamente, una volta consultato il proprio consulente.
  • Sequestro documenti e copie: Possono essere sequestrati (o meglio, acquisiti in copia) documenti ritenuti rilevanti, rilasciandone copia conforme. In caso di gravi sospetti di reato tributario, la GdF può procedere a sequestro vero e proprio di libri e registri, ma in genere ciò richiede l’autorizzazione della Procura (per la ricerca di libri occultati, ad esempio).
  • Processo Verbale di Constatazione (PVC): Al termine della verifica in loco, i verificatori redigono un verbale di constatazione. Questo documento riepiloga tutte le irregolarità riscontrate (maggiori redditi, IVA non versata, costi non deducibili, etc.), i rilievi normativi e le prove raccolte. Il PVC viene consegnato (notificato) al contribuente. Da quel momento decorre il termine di 60 giorni durante il quale l’ufficio non può emanare l’avviso di accertamento, salvo casi di particolare urgenza. Questo termine dilatorio di 60 giorni (art. 12 co.7 Statuto Contribuente) serve a garantire il diritto di difesa: l’azienda può presentare osservazioni e memorie difensive in risposta ai rilievi del PVC. È fondamentale utilizzare bene questi 60 giorni, con l’aiuto di un consulente, per contestare punto per punto le risultanze sfavorevoli del verbale. Le memorie presentate devono essere valutate dall’Ufficio e, se ignorate senza motivo, l’eventuale avviso di accertamento può risultare viziato.

Importante: La violazione del termine di 60 giorni senza urgenza rende nullo l’accertamento. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito in modo tassativo che l’avviso emesso “ante tempus” (prima dello scadere dei 60 giorni dal PVC) è illegittimo salvo che l’Ufficio provi vere ragioni di urgenza. Questa nullità è insanabile e non richiede neppure di dimostrare un concreto pregiudizio (nessuna “prova di resistenza” è richiesta). Ad esempio, Cass. SU n. 18184/2013 e, più recentemente, Cass. n. 23223/2022 hanno annullato avvisi notificati prima dei 60 giorni proprio in base a tale violazione. Dunque, se l’accertamento arriva troppo presto, occorre verificare la data del PVC: se l’avviso è stato notificato prima dei 60 giorni senza indicare motivi urgenti (che devono essere eccezionali, ad es. imminente scadenza del termine di decadenza), si potrà far valere in ricorso la nullità dell’atto.

Durante la verifica, il contribuente deve soppesare come interagire. Un comportamento collaborativo ma vigile è spesso preferibile a uno ostruzionistico (che potrebbe insospettire di più). Tuttavia collaborare non significa ammettere supinamente ogni contestazione: è lecito (ed opportuno) chiedere tempo per verificare i dati, fornire documenti successivamente, e non firmare dichiarazioni immediatamente se non si è sicuri. Si ha diritto di consultarsi con il proprio difensore prima di rendere dichiarazioni significative.

Al termine della visita, se emergono violazioni, oltre al PVC potrebbe essere rilasciato un verbale di contestazione per eventuali sanzioni amministrative immediate (es. per mancata emissione di ricevute, libri non tenuti, ecc.). In parallelo, qualora dalle verifiche emergano fatti penalmente rilevanti (ad es. occultamento di ricavi sopra soglia di punibilità), la Guardia di Finanza stilerà un processo verbale specifico e potrà segnalare la notitia criminis alla Procura per i reati tributari (D.Lgs. 74/2000). Questo esula dalla sfera amministrativa e apre un fronte penale separato, di cui diremo più avanti.

Riassumendo, il risultato finale della verifica è normalmente il PVC. Esso rappresenta la “proposta” dei verificatori: non è una richiesta di pagamento, ma anticipa ciò che potrebbe contenere l’avviso di accertamento successivo. L’hotel (o la società che lo gestisce) a questo punto ha diverse opzioni difensive prima che arrivi l’atto impositivo formale: può presentare memorie, richiedere un confronto con l’ufficio (istanza di accertamento con adesione sul PVC), o se opportuno iniziare a regolarizzare (ad esempio versando il dovuto col ravvedimento operoso se l’avviso non è stato ancora emesso e le violazioni lo consentono).

Nei paragrafi seguenti vedremo cosa accade con l’avviso di accertamento e come impostare le strategie di difesa, ma prima spendiamo qualche parola in più sui diritti del contribuente durante la fase di accertamento e sul contraddittorio.

Diritti del contribuente durante l’accertamento: il contraddittorio e altri principi

La legge riconosce ai contribuenti sottoposti a verifica una serie di garanzie, volte ad assicurare che l’azione accertativa non leda i loro diritti fondamentali. Abbiamo già menzionato alcuni diritti sanciti dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000), come il rispetto del termine dilatorio di 60 giorni dal PVC e la durata massima delle verifiche in sede. Ecco le principali tutele da conoscere e far valere:

  • Diritto al contraddittorio endoprocedimentale: È il diritto ad essere ascoltati e a controdedurre prima che sia emesso un atto impositivo. In Italia questo principio ha avuto un’evoluzione travagliata. Oggi possiamo sintetizzare così la situazione:
    • Per gli accertamenti “da PVC” (in cui c’è stata verifica in loco), il contraddittorio è garantito dai 60 giorni per presentare memorie: come visto, la violazione comporta nullità dell’atto.
    • Per gli accertamenti senza PVC (controlli “a tavolino”), dal 1° luglio 2020 è stato introdotto l’obbligo generalizzato di invito al contraddittorio per la maggior parte degli avvisi di accertamento. L’Ufficio deve notificare un invito a comparire (art. 5-ter D.Lgs. 218/1997) con i rilievi, dando 15 giorni per un eventuale incontro. Se il contribuente partecipa, espone le sue ragioni; l’Ufficio poi può emettere l’atto solo dopo questi 60 giorni o in caso di mancata comparizione. Fanno eccezione i casi di urgenza o quando l’atto deve essere emesso entro il 31 dicembre per decadenza: in tali casi l’invito può non essere inviato, ma l’urgenza deve essere motivata nell’avviso.
    • Il mancato rispetto dell’obbligo di contraddittorio (quando dovuto) comporta nullità dell’atto. Cassazione recente ha confermato che, almeno per i tributi armonizzati (IVA), l’assenza di contraddittorio preventivo viola il diritto UE e annulla l’accertamento. Anche per i tributi non armonizzati (IRPEF/IRES), oggi che l’obbligo è stato positivizzato nell’ordinamento, la giurisprudenza tende a ritenere nullo l’atto emanato in violazione di tale procedura (salvo provare che il contribuente non avrebbe comunque fornito elementi utili – la cosiddetta “prova di resistenza” – concetto però superato in varie pronunce). Ad esempio, Cass. ord. n. 9554/2024 ha ribadito che l’assenza di un confronto con il contribuente prima dell’accertamento rende l’atto nullo.
    • Conclusione: se ricevete direttamente un avviso di accertamento senza essere mai stati invitati a discuterne e senza precedente PVC, valutate con il legale se era obbligatorio l’invito al contraddittorio: in molti casi lo era, e ciò può costituire motivo di ricorso vincente.
  • Diritto alla motivazione dell’atto: Ogni avviso di accertamento deve essere motivato adeguatamente (art. 7 L. 212/2000). Deve cioè spiegare i fatti accertati, le norme applicate e le ragioni per cui l’Ufficio ritiene dovute maggiori imposte. Nel caso di utilizzo di presunzioni o studi di settore, va dato conto dell’esito del contraddittorio e delle ragioni per cui le spiegazioni del contribuente sono state eventualmente rigettate. Un’accertamento immotivato o con motivazione apparente (copia/incolla di formule generiche) può essere annullato dal giudice.
  • Divieto di doppio accertamento e di abuso: Non si possono emettere due avvisi per lo stesso tributo e periodo su identici presupposti. Se l’Ufficio emette un secondo atto modificativo, dev’esserci un fatto nuovo emerso. Inoltre, se un’istanza di adesione è in corso, l’Ufficio non può attivare altre pretese parallele sullo stesso oggetto (pena nullità per violazione del legittimo affidamento).
  • Facoltà di farsi assistere: In ogni fase (verifica, inviti, adesione, ricorso) il contribuente ha diritto di farsi assistere da un professionista di fiducia. Durante le verifiche, i professionisti possono interloquire con i funzionari, esaminare i verbali, depositare memorie.
  • Tempo per adempiere spontaneamente: In alcuni casi, prima di emettere un avviso “pesante”, il Fisco invia comunicazioni di compliance o lettere di invito alla regolarizzazione. Ad esempio, se incrociando i dati emerge che l’hotel non ha dichiarato alcuni redditi (magari segnalati da un cliente che ha dedotto una fattura), l’Agenzia invia una lettera di compliance invitando a regolarizzare (presentare dichiarazione integrativa) beneficiando del ravvedimento operoso con sanzioni ridotte. È un’opportunità da non trascurare: se effettivamente c’è stata una svista, aderire spontaneamente alla compliance evita l’accertamento con sanzioni piene.
  • Tutela della privacy e segreto d’ufficio: I verificatori devono mantenere il segreto sui dati aziendali raccolti e sulle informazioni riservate (ad es. lista clienti). Possono usarli solo per fini di legge (accertamento, procedimento penale eventuale). Il contribuente può opporsi all’esame di documenti coperti da segreto professionale (es. corrispondenza legale) salvo autorizzazione della Procura.
  • Statuto del Contribuente – altre garanzie: Tra le altre garanzie generali ricordiamo: il diritto a informazioni chiare (ad es. conoscere l’ufficio e i responsabili del procedimento), la possibilità di chiedere la sospensione o differimento di accessi per gravi cause (es. se in hotel c’è un evento eccezionale in corso), il diritto a non subire ripetute verifiche sullo stesso periodo salvo fatti nuovi (non possono tornare ogni mese per lo stesso anno fiscale già controllato, salvo diverse annualità o nuovi elementi).

In sintesi, chi gestisce un hotel deve sì rispettare la normativa fiscale, ma ha anche diritto a un procedimento equo e trasparente. Far valere questi diritti non è pedanteria: spesso, contestare un vizio procedurale (come la mancanza di contraddittorio, o un accesso eseguito senza autorizzazione valida) può portare all’annullamento dell’atto impositivo prima ancora di discutere del merito delle imposte. Ovviamente, non tutti i vizi portano automaticamente alla nullità, ma vanno segnalati tempestivamente (alcuni anche già in sede di adesione o nei primi atti del ricorso, per non incorrere in decadenze). Una difesa efficace comincia dalla verifica del rispetto formale delle regole da parte del Fisco.

Passiamo ora all’esito dell’accertamento: cosa contiene l’avviso di accertamento, quali somme richiede e come gestire la situazione dal punto di vista pratico.

L’avviso di accertamento: contenuto, termini e effetti esecutivi

L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate (o l’ente locale per i tributi di sua competenza) formalizza la pretesa fiscale a carico del contribuente. Per un hotel, gli avvisi più comuni riguardano IRPEF/IRES (redditi non dichiarati o maggiori), IVA non versata o indebitamente detratta, IRAP (se dovuta) e anche sanzioni amministrative tributarie. Vediamo gli elementi chiave:

  • Contenuto obbligatorio: L’avviso deve indicare l’anno d’imposta o periodo accertato, la maggiore imposta o minor credito determinato, le sanzioni (espresse sia in percentuale sia in euro), gli interessi calcolati fino a una certa data, e soprattutto la motivazione dell’accertamento. La motivazione deve spiegare i fatti accertati (es: “omessa dichiarazione di ricavi per €X corrispondenti a Y pernottamenti non registrati”), le prove o presunzioni su cui si basa (es: “difformità tra dati Questura e dichiarazione imposta di soggiorno”), e le norme applicate (violazioni di articoli del TUIR, del DPR IVA, ecc.). In ambito IVA deve essere indicato anche l’eventuale pro-rata o ricalcolo delle detrazioni.
  • Termini di notifica (decadenza): Il Fisco ha termini ben precisi entro cui notificare gli avvisi, per garantire la certezza del diritto. Attualmente (dopo la riforma del 2016) l’accertamento va notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Esempio: per la dichiarazione dei redditi 2022 (presentata nel 2023) il termine è il 31/12/2028. Se la dichiarazione non è stata presentata, il termine si allunga di un altro anno (quindi sei anni successivi all’anno in cui la dichiarazione sarebbe dovuta: per il 2022 omesso, scadenza 31/12/2029). Per IVA valgono termini analoghi perché anch’essa si dichiara annualmente. Eccezioni: in caso di violazioni rilevanti ai fini penali tributari con denuncia alla Procura, i termini di accertamento possono essere raddoppiati (art. 43, c.3 DPR 600/73) – ad es., per omessa dichiarazione fraudolenta, si passa da 6 a 12 anni – ma solo se la denuncia penale è presentata entro i termini ordinari. Inoltre, eventi eccezionali come la pandemia Covid-19 hanno comportato proroghe straordinarie: ad es. gli accertamenti in scadenza al 31/12/2020 furono prorogati di alcuni mesi (fino al 26/3/2021) dai decreti emergenziali. In generale però, per le annualità dal 2016 in poi, vale la regola 5 anni (dichiarato) / 7 anni (omesso). Esempio: L’hotel Alfa presenta regolarmente le dichiarazioni fino al 2019, poi omette quella del 2020. Per il 2019 (dichiarazione 2020) il termine era il 31/12/2025; per il 2020 (omessa) il termine è il 31/12/2027. Se l’avviso arriva dopo tali date, sarà decaduto e quindi nullo per intervenuta decadenza dell’azione accertatrice (da eccepire in ricorso). Attenzione però: se per l’anno 2020 è stata presentata denuncia penale (ad es. falso in bilancio con effetti fiscali), il termine poteva raddoppiare al 2029. Va segnalato che esistono possibilità per il contribuente di accorciare i termini di accertamento: ad esempio ottenendo un punteggio ISA alto (almeno 8 su 10) si riducono di un anno i termini per quell’anno, e dichiarando di aver fatto transazioni solo tracciabili sopra €500 si ottiene una riduzione di due anni. Si tratta di incentivi per i contribuenti “virtuosi”. Nel contesto di un hotel, applicare gli ISA e privilegiare pagamenti tracciabili può ridurre il periodo in cui si è “a rischio” di accertamento, rispettivamente a 4 o 3 anni dopo la dichiarazione.
  • Avviso “esecutivo”: Dal 2011, gli avvisi di accertamento dell’Agenzia Entrate sono atti immediatamente esecutivi (D.L. 78/2010 conv. L.122/2010). Ciò significa che trascorsi 60 giorni dalla notifica senza pagamento né impugnazione, l’avviso vale come titolo per la riscossione coattiva (affidato all’Agente della Riscossione, oggi Agenzia Entrate-Riscossione). In pratica, non arriva più una cartella separata: l’avviso stesso, se definitivo, può portare all’iscrizione a ruolo e ad azioni esecutive (fermi, ipoteche, pignoramenti) dopo altri 30 giorni dall’intimazione. Questo rende ancora più importante reagire in tempi brevi all’avviso.
  • Somme dovute e sanzioni: L’avviso indica l’imposta o maggior imposta dovuta. Ad esempio, se l’hotel aveva dichiarato €50.000 di IRES ma secondo l’Ufficio il reddito è superiore e l’IRES dovuta è €80.000, nell’avviso risulteranno €30.000 di maggiore imposta. Su questo importo vengono applicate le sanzioni amministrative tributarie. Per dichiarazione infedele (omessi ricavi o indebite detrazioni) la sanzione base è il 90% della maggiore imposta, aumentabile in caso di frodi o riducibile se lieve entità. Se si tratta di omessa dichiarazione, la sanzione sale al 120-240% dell’imposta. Le sanzioni IVA per omessa fatturazione oscillano dal 90% al 180% dell’imposta relativa. Nell’avviso queste sanzioni sono generalmente già ridotte ad 1/3 se l’ufficio presume che il contribuente potrebbe aderire (è la sanzione in caso di acquiescenza, di cui diremo). Spesso sull’avviso leggerete frasi tipo: “Sanzione applicata €10.000, pari al 90% dell’imposta (€11.111) ridotta ad 1/3 ex art. 15 D.Lgs 218/97”. Questo significa che, se il contribuente paga senza contestare entro i termini (c.d. acquiescenza), verserà 1/3 della sanzione piena. In caso di ricorso, invece, la sanzione torna intera (salvo esito del giudizio).
  • Interessi: Sono calcolati dalla scadenza originaria al giorno di notifica (e continueranno a maturare fino al pagamento). Il tasso di interesse per debiti fiscali è stabilito annualmente (negli ultimi anni intorno al 3-4% annuo). Gli interessi non sono sanzione, ma compenso del ritardo.
  • Indicazioni su impugnazione e pagamento: L’atto riporta l’autorità competente (es. “Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Firenze”) e i termini per il ricorso (60 giorni). Indica anche che, in alternativa al ricorso, si può definire in acquiescenza entro 60 giorni con sanzioni ridotte. Inoltre contiene i bollettini pagoPA o F24 per il pagamento. Se importo elevato, il contribuente può chiedere rateazione all’Agente della Riscossione una volta a ruolo, ma in molti casi conviene attivarsi prima con adesione per ottenere la dilazione fino a 8 anni.
  • Pluralità di atti: A volte, invece di un unico avviso “onnicomprensivo”, l’ufficio emette atti separati: ad es. un avviso di rettifica IVA e un avviso di accertamento IRES separati, oppure un atto di contestazione sanzioni a parte. Questo avviene per ragioni procedurali (diverse imposte, o per notificare sanzioni a persone fisiche come i soci o amministratori). In tal caso ci saranno più atti da impugnare. Dal 2016 però l’Agenzia tende a usare l’accertamento unificato: un solo provvedimento che copre tutte le imposte dirette e IVA per quell’anno.

Esempio pratico del contenuto di un avviso: L’Hotel BellaVista S.r.l. riceve un avviso per l’anno d’imposta 2019. Nell’atto si legge: “Maggior imponibile accertato ai fini IRES €100.000, imposta IRES 24% €24.000; IVA dovuta su ricavi non fatturati €22.000; Maggior IRAP €4.000. Sanzione 90% su IRES (€21.600) ridotta a 1/3 ex art.15 D.Lgs 218/97 = €7.200; Sanzione IVA 90% (€19.800) ridotta a 1/3 = €6.600; Sanzione IRAP 90% (€3.600) ridotta a 1/3 = €1.200. Interessi calcolati fino al 15/09/2024: €4.500.” La motivazione indica: “omessa contabilizzazione di n. 200 pernottamenti, emersione di ricavi in nero per €122.000, come da PVC GdF allegato, tenuto conto incassi registrati inferiori ai consumi di lenzuola (Cass. 27612/2018)… L’atto è emesso ai sensi art. 41-bis per emersi elementi da indagini GdF. Invito al contraddittorio Prot. 123 del 10/01/2024 non riscontrato dal contribuente.” Infine, l’atto spiega come pagare e il termine del 60° giorno per il ricorso.

Nel caso degli hotel gestiti in forma di società, un aspetto da menzionare: se vengono accertati ricavi “in nero” in una S.r.l. o Sas, il Fisco spesso procede anche ad accertare un maggior reddito in capo ai soci o all’amministratore, supponendo che gli utili extra siano stati distribuiti a loro. È la cosiddetta presunzione di utili extra-societari distribuiti (per le società a ristretta base). La Cassazione ha confermato di recente (es. sent. n. 26473/2024) che tale presunzione è valida: spetta al socio provare di non aver ricevuto nulla di quei ricavi non contabilizzati. Quindi, se gestite l’hotel tramite società di persone o piccola Srl, un accertamento fiscale potrebbe coinvolgere anche il vostro reddito personale.

Ricevere un avviso di accertamento è certamente fonte di preoccupazione, ma è importante non farsi prendere dal panico e agire con lucidità entro i tempi previsti. Nel prossimo capitolo, vedremo come difendersi da un accertamento: quali strumenti offre la legge per ridurre le sanzioni (strumenti deflattivi del contenzioso) o per contestare totalmente l’atto davanti ai giudici tributari.

Come difendersi: strumenti deflattivi e contenzioso tributario

Una volta notificato un avviso di accertamento, il contribuente ha davanti a sé due strade principali: evitare il contenzioso trovando un accordo o pagando con riduzioni (strumenti deflattivi), oppure impugnare l’atto davanti alla giustizia tributaria. La scelta dipende dalla fondatezza delle contestazioni e dalla convenienza economica, e spesso richiede la valutazione di un esperto. In questa sezione esamineremo i vari strumenti di difesa, dagli accordi amministrativi (adesione, conciliazione, ecc.) al ricorso in tribunale, con particolare riguardo alle ultime novità normative al 2025.

Strumenti deflattivi del contenzioso (evitare o ridurre la lite)

Gli “strumenti deflattivi” sono procedure che permettono di chiudere la controversia prima o durante il processo con un accordo o con benefici per il contribuente che non protrae la lite. Ecco i principali:

  • Autotutela: Prima di tutto, se l’accertamento contiene errori palesi (persona sbagliata, calcolo errato, doppia imposizione evidente), si può presentare un’istanza di autotutela all’ufficio, chiedendo l’annullamento (totale o parziale) in via di autotutela. Questo non sospende i termini di ricorso; è un tentativo amministrativo di far correggere l’errore. L’autotutela è discrezionale: l’Ufficio può annullare l’atto se riconosce l’errore, ma spesso – in caso di questioni interpretative o di fatto non lampanti – non interviene. Vale la pena tentare in presenza di vizi oggettivi, allegando le prove (es: avviso notificato a un soggetto che non c’entra, importi già pagati altrove, ecc.). Anche dopo un ricorso si può chiedere autotutela (ad esempio se escono nuove prove a discarico), ma l’ente tende a lasciare la decisione ai giudici se il caso è controverso.
  • Acquiescenza all’accertamento: Se il contribuente riconosce la fondatezza (integrale) dell’accertamento o comunque decide di non fare ricorso, può optare per l’acquiescenza entro 60 giorni. Consiste nel pagare quanto dovuto (imposte, interessi) con sanzioni ridotte a 1/3 di quelle irrogate. Questa riduzione è già indicata spesso nell’atto come visto. L’acquiescenza comporta la rinuncia a impugnare l’avviso e a qualsiasi rimedio futuro. Può convenire se: la pretesa è corretta, le possibilità di vittoria in giudizio sono scarse, e si vuole evitare ulteriori aggravi. Pagando entro 60 giorni (o rateizzando se consentito) si chiude la partita. Attenzione: l’acquiescenza non è ammessa parziale, deve riguardare tutto l’atto (non si può aderire solo ad alcune voci e impugnarne altre; per accordi parziali c’è la conciliazione in giudizio).
  • Accertamento con adesione: È uno strumento molto importante, introdotto dal D.Lgs. 218/1997, che consente di negoziare con l’ufficio un accordo sull’accertamento. Può essere attivato sia dal contribuente (presentando istanza di adesione) sia dall’ufficio (invitando il contribuente). In pratica si apre un dialogo: il contribuente espone le sue ragioni, l’ufficio può rivedere (in diminuzione) le somme dovute, e se si trova un punto d’incontro si firma un atto di adesione. Vantaggi: le sanzioni sono ridotte a 1/3 (come acquiescenza) e ulteriormente ridotte di un altro terzo se l’adesione segue un PVC prima dell’avviso. Inoltre, si può ottenere una rateizzazione molto ampia (fino a 8 anni, 16 rate semestrali). Tempistiche: l’istanza di adesione va presentata entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso (o 30 giorni dal PVC, se si vuole avviare prima dell’atto). La presentazione dell’istanza sospende automaticamente per 90 giorni i termini per ricorrere, dando respiro alla trattativa. Durante l’incontro, si può contestare il merito e portare documenti. Se l’accordo si raggiunge, si sottoscrive un verbale e si paga quanto concordato (imposte + interessi + sanzioni ridotte) entro 20 giorni. Dopo il pagamento della prima rata o unica soluzione, l’accertamento si intende definito e non più impugnabile. Se non si raggiunge accordo, si può comunque ricorrere (il termine dei 60 gg riprende a decorrere dai 90 gg di sospensione). Quando conviene? L’adesione conviene quando il contribuente riconosce almeno in parte le pretese ma ritiene eccessivi alcuni rilievi: si può spesso ottenere uno “sconto” sull’imponibile contestato o sulle sanzioni. Ad esempio, se l’ufficio contesta €100k di ricavi non dichiarati, si può chiudere magari ammettendone €60k. L’adesione evita l’incertezza del giudizio e riduce molto le sanzioni (un terzo del minimo). È consigliata soprattutto se il rischio di perdere in giudizio è alto o se si vuole chiudere presto la questione per evitare pubblicità negativa e costi di lite. Va detto che nel 2023 è allo studio (delega fiscale) la possibilità di rendere l’adesione ancora più conveniente, ad esempio con sanzioni ridotte alla metà in alcuni casi: già ora per certe materie (es. transfert pricing) la legge prevede sanzioni dimezzate con adesione, come citato nell’atto dell’Agenzia.
  • Reclamo e mediazione tributaria: (Aggiornamento 2025: questo istituto è stato abrogato a partire dai ricorsi notificati dal 2024, come spiegheremo). Fino al 2023, per gli atti di valore fino a €50.000 era obbligatorio presentare un reclamo/mediation prima del ricorso: in pratica il ricorso stesso fungeva anche da proposta di mediazione, e l’ufficio poteva accogliere parzialmente o proporre un accordo. La mediazione tributaria però ha avuto scarsa efficacia (solo ~30% di esiti deflattivi), e con la riforma del processo tributario (D.Lgs. 130/2022 attuato col D.Lgs. 220/2023) è stata eliminata per i nuovi ricorsi. In base alla normativa, l’art. 17-bis D.Lgs. 546/92 è abrogato per i ricorsi notificati dal 1° settembre 2024 (con una fase transitoria in cui è di fatto già soppressa per ricorsi da gennaio 2024 secondo l’interpretazione MEF). Pertanto, oggi il contribuente può ricorrere direttamente anche per le liti minori, senza passare dalla mediazione. Questo semplifica il percorso difensivo. Resta comunque possibile chiudere la lite in sede giudiziale con la conciliazione (vedi oltre). Chi ha presentato reclamo prima del 2024 segue la vecchia procedura. In sostanza, la mediazione tributaria non è più uno strumento da attivare per gli accertamenti recenti, quindi ci si concentra su adesione e conciliazione.
  • Conciliazione giudiziale: Se il ricorso è già stato presentato e pendente davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione), le parti possono comunque accordarsi per chiudere la lite con la conciliazione. La conciliazione può essere fuori udienza (le parti depositano un accordo) o in udienza (davanti al giudice che ratifica l’accordo). I vantaggi sono simili all’adesione: sanzioni ridotte ad 1/3 (o addirittura 1/18 in caso di definizione agevolata prevista dalla Legge di Bilancio 2023 per le liti pendenti) e cessazione della materia del contendere. La novità importante è che dal 2023 la conciliazione è possibile anche in Cassazione e in ogni grado, per incentivare le chiusure transattive. In pratica, anche se si arriva all’ultimo grado, contribuente e Agenzia possono accordarsi (magari su un importo ridotto) ed estinguere il giudizio. La conciliazione conviene quando in corso di causa emergono elementi tali da suggerire un compromesso – ad esempio, dopo la sentenza di primo grado, le parti potrebbero decidere di trovare un accordo evitando ulteriori incertezze. È bene sottolineare che l’accordo conciliativo in giudizio, una volta omologato, ha gli stessi effetti di una sentenza passata in giudicato.
  • Definizioni agevolate straordinarie: Il legislatore, con varie norme di “pace fiscale”, talvolta offre strumenti per chiudere controversie o accertamenti in corso con condizioni di favore. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha previsto la possibilità di definire gli avvisi di accertamento non impugnati e impugnabili al 1/1/2023 pagando solo le imposte senza sanzioni (una sorta di acquiescenza agevolata), così come la definizione agevolata dei PVC consegnati entro 2022 pagando imposte e ridotte sanzioni del 5%. Inoltre, per le liti pendenti sono state previste definizioni con pagamento ridotto in base all’esito e al grado. Queste misure sono straordinarie e temporanee, ma è utile tenerle presente: se al momento della vostra controversia esiste una norma di definizione agevolata, valutatela seriamente perché può far risparmiare molto. Al luglio 2025, non risultano nuove “pacificazioni” attive oltre a quelle del 2023 (in esaurimento) – ma il governo potrebbe introdurne altre. Consultare un tributarista vi aiuterà a capire se potete rientrare in qualche sanatoria.

La tabella seguente schematizza i principali strumenti deflattivi e i relativi benefici:

Strumento difensivoDescrizioneBenefici per il contribuenteRiferimenti normativi
AutotutelaRichiesta all’ente impositore di annullare/revocare l’atto per errori palesi o illegittimità.Annullamento totale/parziale senza costi (discrezionale per l’Ufficio). Non sospende termini di ricorso.Art. 2-quater D.L. 564/1994 conv. L.656/94; Circ. Min. Fin. 1994 n.198.
Acquiescenza (art.15 D.Lgs 218/97)Pagamento integrale di quanto accertato entro 60 gg senza fare ricorso.Sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo. Niente spese legali, chiusura immediata. Rateazione breve possibile (fino a 8 rate trimestrali se >€50k).Art. 15 D.Lgs. 218/1997.
Accertamento con adesioneProcedura di accordo con l’ufficio, su istanza del contribuente o invito AE, per rivedere l’imponibile accertato.Sanzioni ridotte ad 1/3 (o 1/6 se adesione su PVC prima di avviso). Pagamento rateale lungo (max 8 anni). Niente spese processuali, definizione definitiva (no litispendenza).D.Lgs. 218/1997, artt. 2-7.
Reclamo-mediazione (abolito dal 2024)Fase amministrativa obbligatoria ante causam per liti fino €50k (ora non più richiesta).(Prevista riduzione sanzioni 35% se accordo). Abolito: ora si può ricorrere subito.(Art. 17-bis D.Lgs.546/92 abrogato da D.Lgs. 156/2015 e D.Lgs. 130/2022).
Conciliazione giudizialeAccordo tra contribuente e ufficio a processo avviato (in 1°/2° grado o Cassazione).Sanzioni ridotte ad 1/3 (o percentuali minori se previsto da leggi speciali es. 1/18 per liti 2023) e interessi ridotti. Evita ulteriori gradi di giudizio.D.Lgs. 546/1992 art. 48 e 48-bis, mod. da L.130/2022 (estesa a Cassazione).
Definizioni agevolate straordinarieSanatorie previste da leggi temporanee (es. definizione avvisi pre-2023, rottamazione liti).Variano: spesso saldo senza sanzioni né interessi (solo imposte), o pagamento percentuale del dovuto in base allo stato del giudizio.L. 197/2022 (Bilancio 2023) art. 1 commi 179-218; future disposizioni ad hoc.
Ravvedimento operoso (pre-accertamento)Pagamento spontaneo di imposte prima che parta la formale contestazione.Sanzioni ridotte dal 90% al 1/15 del minimo a seconda della tempestività (es. entro 90gg sanzione 1/9). Evita accertamento se nessuna verifica ancora iniziata.Art. 13 D.Lgs. 472/97; potenziato da L. 190/2014 (ravvedimento lungo).

Come si nota, l’ordinamento incentiva il contribuente che collabora o comunque evita la lite, attraverso sconti sulle sanzioni. Ad esempio, accettare subito l’accertamento (acquiescenza) fa scendere una sanzione del 90% a solo il 30% dell’imposta. Ancora meglio, con adesione su PVC la sanzione del 90% scende a 15% (un sesto) – un risparmio enorme. Ciò non toglie che, se si ritiene l’accertamento infondato o esagerato, fare ricorso possa portare ad annullarlo del tutto; ma il rischio in giudizio va ponderato contro il beneficio certo di chiudere con riduzioni.

Caso frequente – adesione o ricorso? Supponiamo che l’Agenzia contesti €100.000 di imponibile non dichiarato e €90.000 di sanzioni (100%). Se fate ricorso e perdete, pagherete imposta + €90.000 (oltre interessi e spese). Se aderite riconoscendo magari €60.000 di imponibile, pagherete l’imposta su 60k più sanzione 1/3 del 90% = 30% su 60k = €18.000. Anche aggiungendo l’imposta, probabilmente l’esborso in adesione (dilazionabile) è nettamente inferiore e certo rispetto all’incognita del processo. Ecco perché la maggior parte degli accertamenti si chiude per via amministrativa, salvo casi di principio o importi elevati dove si prova la carta del contenzioso.

Passiamo quindi all’impugnazione vera e propria, ossia al ricorso in Commissione/Corte di Giustizia Tributaria, per capire tempistiche, fasi e strategie processuali nel caso – non raro – in cui non si trovi accordo e si decida di andare davanti ai giudici.

Il ricorso tributario: come funziona la difesa in giudizio

Se non si è definito l’accertamento in via amministrativa, l’unico modo per opporsi è presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di primo grado, che è il nuovo nome (dal 2023) della Commissione Tributaria Provinciale. Ecco cosa occorre sapere per affrontare il contenzioso:

  • Termine e notificazione del ricorso: Va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (il termine è perentorio), salvo sospensioni (ad es. 90 gg di sospensione se presentata istanza di adesione). Il ricorso va notificato all’ente che ha emesso l’atto (Agenzia Entrate – Direzione Provinciale XX, o Comune Y per la tassa soggiorno) tramite PEC (se l’ente ha domicilio digitale) o tramite ufficiale giudiziario/posta. Dal 2023, per gli atti dell’Agenzia Entrate la notifica via PEC è obbligatoria per i difensori; il ricorso deve essere firmato digitalmente.
  • Contenuto del ricorso: Deve indicare le generalità del contribuente, dell’atto impugnato, il valore della lite (di solito l’imposta + sanzioni contestate), i motivi per cui si ritiene illegittimo l’accertamento e la prova dell’avvenuto pagamento del contributo unificato (tributo per iscrivere la causa, variabile in base al valore). I motivi di ricorso possono essere sia di legittimità (vizi procedurali, errori formali) sia di merito (contestazione dei rilievi fiscali). Ad esempio, motivi tipici: violazione art.12 Statuto (mancato contraddittorio), prescrizione/decadenza, difetto di motivazione, errata applicazione norme IVA, infondatezza delle presunzioni (es. tovaglioli non indicativi, perché…), ecc. È cruciale essere chiari e puntuali: quel che non è dedotto in ricorso potrebbe non poter essere introdotto dopo.
  • Costituzione in giudizio: Dopo la notifica, entro 30 giorni si deposita il ricorso (ora telematicamente sul Portale Giustizia Tributaria) con copia dell’atto impugnato e documenti di prova. Da quel momento il processo è incardinato.
  • Assistenza tecnica: Per liti oltre €3.000 di valore è obbligatorio farsi assistere da un difensore abilitato (avvocato, commercialista, consulente del lavoro abilitato, ecc.). Dato che gli accertamenti hotel di solito superano questa soglia, è necessario un difensore. Sotto 3.000 euro, il contribuente può stare in giudizio da solo, ma per materia complessa è comunque consigliato farsi assistere.
  • Sospensione della riscossione: Il ricorso non sospende automaticamente l’esecutorietà dell’avviso. Quindi, trascorsi 60 gg, l’Agenzia Entrate-Riscossione potrebbe iniziare a esigere le somme (nei fatti di solito attende l’esito di primo grado, ma non è garantito). Il contribuente ha due possibilità per evitare effetti esecutivi pendente giudizio:
    1. Chiedere sospensione all’ente impositore: può presentare un’istanza di sospensione amministrativa all’Agenzia o ente, motivando il grave danno che subirebbe dal pagamento immediato. L’ente raramente accoglie, a meno che ravvisi errori nell’atto.
    2. Chiedere sospensione al giudice tributario: presentando un’istanza motivata (pericolo di danno grave e immediato, es. rischio fallimento o liquidazione coatta dell’hotel se costretto a pagare subito). La Corte fissa in tempi rapidi (entro 180 gg) un’udienza monocratica per decidere sulla sospensiva. Se concessa, la riscossione è bloccata fino alla sentenza di primo grado.
    Di norma, se l’importo è molto elevato e l’azienda ha difficoltà finanziarie, conviene chiedere la sospensiva giudiziale. Va depositata entro 60 gg dal ricorso (possibilmente contestualmente al ricorso stesso). Il giudice valuta sommariamente sia il fumus boni iuris (possibilità di vittoria) sia il periculum (danno). Se accordata, l’Agente della Riscossione non potrà procedere nel frattempo.
  • Svolgimento del processo di primo grado: È principalmente scritto. L’ente impositore deposita controdeduzioni (memoria difensiva) entro 60 giorni dal ricevimento del ricorso, e può allegare ulteriore documentazione (spesso il PVC, i calcoli, etc.). Il contribuente può a sua volta depositare memorie aggiuntive (fino a 20 gg prima dell’udienza) e memorie di replica (fino a 10 gg prima). Ci può essere una fase di trattazione in udienza pubblica su richiesta (altrimenti decidono in camera di consiglio). Spesso è utile chiedere l’udienza pubblica per poter discutere oralmente il caso e chiarire eventuali dubbi dei giudici. La CGT è composta (in primo grado) da 3 giudici (in alcuni casi di valore modesto, potrà decidere un giudice monocratico secondo la riforma, ma al 2025 questa parte è ancora in transizione).
  • Sentenza di primo grado: Dopo l’udienza (o scadenza memorie finali), il collegio emette la sentenza, depositata in genere entro qualche mese. La sentenza può accogliere il ricorso (annullando totalmente l’atto o parzialmente rideterminando le somme) oppure rigettarlo (confermando l’atto). In caso di soccombenza reciproca, può esserci compensazione. Se il contribuente vince, l’ente può appellare; se perde, può appellare in secondo grado (CGT di secondo grado, ex Commissione Regionale) entro 60 giorni. Nel frattempo, se l’atto è confermato anche solo in parte, il contribuente deve pagare provvisoriamente: infatti la legge prevede che dopo la sentenza di primo grado siano dovuti immediatamente un importo pari a quello confermato dal giudice, fino al 50% dell’imposta contestata (se confermato importo inferiore all’originario, paga quello).
  • Appello e Cassazione: Il processo tributario ha tre gradi: secondo grado presso CGT secondo grado, poi eventuale ricorso in Cassazione (solo per motivi di diritto). Dal 2023 le regole d’appello sono cambiate: serve, per le cause minori, un unico giudice se valore < €3000; inoltre per la Cassazione è stato introdotto un filtro di inammissibilità per liti di valore ridotto o questioni manifestamente infondate. Senza addentrarci troppo, basti sapere che l’appello va presentato entro 60 gg dalla notifica della sentenza di primo grado, e che in appello non si possono introdurre nuovi motivi tranne eccezioni. La Cassazione (terzo grado) è più tecnica e richiede un avvocato iscritto in apposito albo (cassazionista). Nel contesto di un hotel, raramente si arriva a Cassazione a meno che non ci siano questioni di principio (es. una nuova interpretazione di legge) o importi altissimi. Molti contenziosi si esauriscono in primo o secondo grado, anche perché i costi e i tempi aumentano.

Costi e rischi del contenzioso: Oltre al contributo unificato iniziale (che per valori elevati può essere anche di alcune centinaia di euro), se il contribuente perde può essere condannato a rifondere le spese di giudizio all’ente. Le spese nei gradi tributari sono spesso contenute, ma non trascurabili. D’altro canto, se vince, può chiedere lui le spese. Con la riforma 2022, è prevista anche una possibile responsabilità del funzionario per condotte in mediazione (quando c’era) o in giudizio che causano soccombenza (questo per incentivare gli enti a non resistere in cause perse).

In definitiva, la strategia difensiva va calibrata caso per caso:

  • Se l’accertamento presenta vizi formali (termini, contraddittorio violato, ecc.), questi diventano motivi di ricorso prioritari e spesso vincenti, perché indipendenti dal merito.
  • Se il merito è controverso, occorre valutare la probabilità di successo in giudizio: ad esempio, questioni già vinte da altri contribuenti in Cassazione offrono ottimismo; viceversa, se la Cassazione si è già pronunciata sfavorevolmente su casi simili, conviene puntare alla transazione.
  • L’aspetto prova è centrale: in giudizio tributario non vi è discovery come in altri processi, quindi il contribuente deve portare le sue prove a sostegno. Meglio se documentali; le testimonianze sono ammesse solo per iscritto (dichiarazioni rese, non esame diretto in udienza) e i giudici tributari storicamente le valutano con cautela. Quindi molto dipende da cosa si è riusciti a documentare (es: per contestare il “lenzuolometro”, presentare documenti su forniture di biancheria, contratti di lavaggio, registri interni che mostrano gli utilizzi, etc.).
  • Non dimentichiamo la possibilità, già menzionata, di chiudere in ogni momento con conciliazione: se a un certo punto del processo l’ufficio propone un accordo (o viceversa), è sempre possibile transigere e far cessare la lite.

Abbiamo dunque illustrato le armi difensive nel contenzioso tributario. Passiamo ora a un ambito particolare ma importantissimo per gli hotel: l’imposta di soggiorno e i relativi accertamenti, che presentano peculiarità proprie (essendo tributo locale, con possibili profili di responsabilità amministrativa e contabile per il gestore).

Focus: Accertamenti sull’imposta di soggiorno e responsabilità del gestore

Oltre alle imposte erariali, gli albergatori italiani devono gestire per conto dei Comuni la riscossione dell’imposta di soggiorno (dove istituita). Questo tributo, dovuto dai clienti pernottanti, spesso genera contenziosi quando non viene versato correttamente. Analizziamo come funziona e come difendersi in caso di accertamento:

Funzionamento dell’imposta di soggiorno: Introdotta a regime dal D.Lgs. 23/2011, è facoltativa e applicata dai Comuni turistici. L’albergatore riscuote dal cliente un importo per notte (stabilito dal regolamento comunale) e poi lo versa al Comune, presentando una dichiarazione periodica (annuale) riepilogativa. L’albergatore agisce come agente contabile: maneggia denaro pubblico e deve riversarlo.

Obblighi del gestore: Rispettare il regolamento comunale, esporre informazioni sull’imposta ai clienti (spesso obbligatorio mettere un avviso in reception), riscuoterla salvo esenzioni, conservare documenti per almeno 5 anni (ricevute rilasciate ai clienti, registro degli ospiti, giustificativi di esenzioni come certificati medici, documenti per minori, dichiarazioni autisti, ecc.). Inoltre, come già detto, deve registrare tutti gli ospiti sul portale Alloggiati Web (obbligo di Pubblica Sicurezza) e conservare le ricevute di invio delle schedine – questi dati incrociati possono essere usati dal Comune per verificare le presenze vs. imposta versata.

Tipologie di violazioni e accertamenti:

  • Omessa/infedele dichiarazione dell’imposta di soggiorno: il gestore dichiara meno presenze di quelle effettive, quindi versa meno tributo.
  • Omesso versamento: dichiara magari gli importi ma poi non li versa interamente.
  • Omissioni varie: mancata conservazione documenti, omessa informativa ai clienti, ecc. che comportano sanzioni amministrative minori.

Quando il Comune accerta un ammanco, emette un avviso di accertamento per l’imposta di soggiorno, con richiesta del tributo non versato, oltre a sanzioni (in genere 30% o fino al 200% in caso di infedele dichiarazione) e interessi. Questo avviso è impugnabile dal gestore davanti al giudice tributario (ora CGT). In parallelo però, c’è un profilo peculiare: fino a poco tempo fa, il gestore inadempiente veniva ritenuto responsabile di un danno erariale come agente contabile, perseguibile dalla Corte dei Conti e persino penalmente (c’era il dubbio se integrare reato di peculato).

Novità normative: Per risolvere l’ambiguità, il D.L. 146/2021 ha inserito l’art. 5-quinquies convertito poi in L. 215/2021, stabilendo che dal 2020 in poi il gestore è responsabile di imposta a tutti gli effetti (non solo agente contabile) e, se non versa, commette un illecito amministrativo tributario (sanzione) ma non risponde di peculato. È stata fatta anche retroattiva questa qualificazione (per sanare vicende pregresse). Inoltre, hanno introdotto un reato specifico lieve per omesso versamento dell’imposta di soggiorno sopra una certa soglia (simile all’omesso versamento IVA, ma dettagli tralasciamo).

Nonostante la riforma, la giurisprudenza è in evoluzione: Cassazione SS.UU. n. 22891/2024 ha affermato che solo le sanzioni tributarie spettano al giudice tributario, mentre la pretesa del Comune di recuperare le somme potrebbe rimanere (per i fatti fino al 2019) di competenza della Corte dei Conti. In pratica per gli anni vecchi c’è stata incertezza: alcuni casi sono finiti davanti alla Corte dei Conti per danno erariale, altri davanti al giudice tributario per tributo evaso. Ad oggi, dopo il 2020, si tende a far confluire tutto nel sistema tributario (il Comune fa accertamento e il giudice tributario decide sia su imposta sia sanzioni). Ma attenzione: per omessi versamenti antecedenti, potrebbero ancora attivarvi un procedimento in Corte dei Conti.

Conseguenze pratiche: Se un gestore non ha versato l’imposta:

  • Il Comune gli notificherà un avviso di accertamento tributario (entro il 5° anno successivo, analogamente alle altre imposte locali). Esempio: omessi versamenti 2019, termine 31/12/2024. Questo atto va impugnato davanti alla CGT entro 60 gg.
  • Contestualmente, può partire una segnalazione alla Procura regionale della Corte dei Conti per il danno erariale corrispondente (soprattutto per annualità prima del 2020). La Corte dei Conti può citarlo per rifondere il danno (l’importo non versato, con eventuali sanzioni contabili). Questo è un procedimento separato, di natura contabile, con i suoi termini (generalmente 5 anni) e con possibili condanne a risarcire l’erario.

Questo “doppio binario” è stato criticato perché genera duplicazioni. Di fatto, siamo in una fase di transizione/confusione: la stessa Cassazione SU 2024 ha confermato la giurisdizione contabile per il passato, pur lasciando intendere che per il futuro dovrebbe essere solo tributaria. Diversi sezioni della Corte dei Conti hanno iniziato a dichiararsi incompetenti per fatti recenti post-2020, rimandando tutto al giudice tributario.

Come difendersi nell’accertamento del Comune (giudice tributario): Le strategie sono simili a quelle per altri tributi locali:

  • Verificare eventuali errori formali: atto notificato fuori termine, motivazione assente, mancata indicazione dell’anno o del funzionario competente. Questi vizi comportano nullità.
  • Contestare i calcoli: a volte il Comune ricostruisce le presenze dalle schede PS o stime. Bisogna controllare se ha incluso esenti, duplicato periodi, ecc. Se ad es. contestano 100 presenze non dichiarate, il gestore può provare che alcune erano esenti (minori, autisti, disabili, ecc.) producendo la documentazione raccolta.
  • Provare il versamento: se l’omesso versamento è parziale, mostrare ricevute di pagamenti fatti (magari imputati ad altro periodo).
  • Termini: come detto, sollevare la decadenza se atto tardivo. Oppure la prescrizione della riscossione se il Comune si attiva tardivamente per riscuotere (ma in genere decadono prima di prescriversi).
  • Sanzioni: contestare se sproporzionate o se ricorrono cause di non punibilità (es. errore incolpevole perché il Comune aveva dato istruzioni fuorvianti, oppure causa di forza maggiore per il mancato versamento). Normalmente la sanzione per omesso versamento tributi locali è 30%, per dichiarazione infedele può arrivare al 100-200% secondo regolamento. Verificare il regolamento comunale: alcuni neppure prevedevano sanzioni precise (vuoto normativo) e in passato ciò ha creato problemi di applicabilità.
  • Ravvedimento operoso: dal 2020 dovrebbe essere possibile ravvedersi anche per imposta di soggiorno (prima non era chiaro essendo tributo locale). Se il gestore, prima dell’accertamento, si è ravveduto pagando spontaneamente, le sanzioni vanno escluse o ridotte.

Come difendersi davanti alla Corte dei Conti: In parallelo, se arriva un invito a dedurre dalla Corte dei Conti, è fondamentale nominare un avvocato esperto in diritto contabile. Le linee difensive possibili:

  • Eccepire il difetto di giurisdizione (come hanno fatto molti): sostenere che la materia è ormai tributaria e la Corte dei Conti non è competente. Alcune sezioni hanno accolto questa eccezione per fatti dal 2020 in poi.
  • Nel merito, puntare sull’assenza di dolo o colpa grave: la responsabilità erariale richiede colpa grave almeno. Se il gestore prova di aver agito in buona fede (es. attraversava gravi crisi di liquidità e pensava erroneamente di poter posticipare i versamenti, poi magari ha sanato in ritardo) potrebbe evitare la condanna completa.
  • Pagamento tardivo: se prima del giudizio contabile il gestore versa tutto al Comune, spesso le procure contabili desistono o comunque la condanna si limita agli interessi per il ritardo.
  • Prescrizione: verificare se l’azione contabile è stata avviata entro 5 anni dall’anno in cui il danno si è manifestato (di solito dal momento omesso versamento). Se oltre, eccepire prescrizione.

In sostanza, per l’imposta di soggiorno la miglior difesa è la prevenzione: tenere in ordine le scritture, versare puntualmente il dovuto o, se ci si accorge di un’omissione, ravvedersi prima che il Comune contesti (pagando il dovuto con mini-sanzioni). Altrimenti, il gestore rischia di dover combattere su due fronti (tributario e contabile), scenario da evitare.

Va ricordato che dal 2022 la mancata presentazione della dichiarazione annuale dell’imposta di soggiorno (introdotta a livello nazionale) espone a sanzione fissa e può facilitare gli accertamenti: pertanto, non trascurare gli adempimenti formali.

Chiudiamo questo focus locale e torniamo alla prospettiva generale: nelle prossime sezioni proporremo alcune domande frequenti con risposte sintetiche e degli esempi pratici di situazioni di accertamento fiscale in ambito alberghiero, per concretizzare quanto esposto.

Domande frequenti (FAQ) su accertamenti fiscali negli hotel

D: Cosa devo fare appena ricevo un avviso di accertamento per il mio hotel?
R: La prima cosa è leggere attentamente l’atto e segnare la data di notifica. Hai 60 giorni per decidere il da farsi, quindi non perdere tempo. Contatta subito il tuo commercialista o un avvocato tributarista con esperienza. Insieme, verificate cosa contesta l’Agenzia (ricavi non dichiarati, IVA, etc.), se l’accertamento ha rispettato le regole (tempistiche, contraddittorio, motivazione) e quali prove l’Ufficio ha. Fatti spiegare in termini semplici l’impatto economico: imposte richieste, sanzioni e interessi. Dopodiché, valuta le opzioni: se l’accertamento è parzialmente corretto, potresti presentare istanza di accertamento con adesione entro 60 giorni per negoziare una riduzione. Questo congela i termini e può portare a uno sconto sulle sanzioni. Se invece ritieni l’atto totalmente infondato, inizierai a preparare il ricorso (che comunque puoi depositare dopo aver tentato un’adesione, entro i nuovi termini prorogati). In ogni caso, non ignorare l’accertamento: se resti inerte oltre 60 giorni, l’atto diventa definitivo ed esecutivo, e potresti subire azioni di riscossione forzata.

D: La Guardia di Finanza si è presentata in hotel per una verifica: posso oppormi o rimandare l’ispezione?
R: In generale non puoi impedire la verifica, purché i militari esibiscano il regolare ordine di servizio. Opporsi fisicamente o negare l’accesso equivale a un comportamento passibile di sanzioni e, nei casi gravi, integra reato (violazione dei sigilli, ecc.). Tuttavia, hai alcuni diritti: puoi chiedere di spostare l’accesso di qualche ora se in quel momento c’è un disservizio grave per i clienti (ad esempio un blackout) – i verificatori possono concederlo per cortesia, ma non sono obbligati. Puoi chiedere che la verifica avvenga alla presenza del tuo consulente, e loro di norma aspettano che arrivi (entro limiti ragionevoli). Non sei obbligato a rispondere seduta stante a tutte le domande: puoi dire che fornirai chiarimenti per iscritto successivamente. Se ritieni che l’accesso sia avvenuto in modo irregolare (es: in assenza dell’ordine di accesso, o in locali non aziendali senza mandato), fai annotare a verbale le tue riserve: questo potrà esserti utile dopo, in sede di difesa, per eccepire l’illegittimità delle prove raccolte. In casi estremi (es. verifica condotta a fini non istituzionali, abuso di potere) puoi segnalare la cosa al superiore gerarchico o anche sporgere querela, ma queste sono ipotesi rare. Nella normalità, collabora senza ostacolare, ma osserva e documenta tutto: fatti rilasciare copie dei verbali, prendi nota di orari e domande, e informane subito il tuo legale.

D: Hanno usato il “lenzuolometro” contro di me: possono farlo? Come mi difendo?
R: L’uso di parametri indiretti come i consumi di lenzuola, asciugamani, tovaglioli, ecc., è ammesso come presunzione semplice nell’accertamento induttivo. Quindi sì, l’Agenzia può basare l’accertamento su questi indizi, specialmente se ritiene inattendibile la contabilità. La difesa consiste nel smontare la presunzione dimostrando che quei consumi non implicano affatto i ricavi contestati. Ad esempio, per il lenzuolometro: puoi produrre dati che mostrano che molte camere erano doppie ma occupate da uso singola (quindi più lenzuola usate per persona), che in quei mesi hai avuto convenzioni con squadre sportive che richiedevano cambi biancheria extra, oppure che i lavaggi conteggiati includevano biancheria di altri B&B (se offri servizio lavanderia) o del ristorante annesso. Anche contratti con la lavanderia industriale che dettagliano i pezzi possono aiutare a chiarire. Insomma, fornisci spiegazioni alternative plausibili e supportate da evidenze. In più, controlla che l’Ufficio abbia considerato i fattori correttivi: ad esempio, la capienza dell’hotel, i giorni di chiusura per bassa stagione, l’utilizzo interno. Se non l’ha fatto, sottolinea la cosa (magari con riferimenti giurisprudenziali di CTR che annullarono accertamenti per questo motivo). Se il giudice percepisce che la ricostruzione del Fisco è grossolana e la tua spiegazione regge, puoi vincere. In caso di dubbio, può ridurre le pretese (ad esempio riconoscendo che non tutti i tovaglioli extra erano clienti in più). Ricorda: la Cassazione stessa dice che le presunzioni non devono essere automatiche ma adattate alla realtà, sfrutta questo principio a tuo favore.

D: L’Agenzia delle Entrate mi contesta movimentazioni bancarie non giustificate: come giustificarle?
R: Quando il Fisco ottiene i tuoi estratti conto e vede versamenti o prelievi di cui non trova riscontro in contabilità, scatta la presunzione legale che siano rispettivamente ricavi occulti o impieghi per spese in nero. L’onere della prova si inverte a tuo carico: dovrai dimostrare che quei movimenti non sono collegati a ricavi non dichiarati. Come fare? Prepara per ciascun versamento contestato un prospetto esplicativo con documenti: ad esempio, “Versamento di €5.000 del 10/06: proveniente dal conto personale del socio X, come da contabile bancaria (finanziamento soci già contabilizzato)”. Oppure: “Prelievo €2.000 del 5/5: denaro contante riutilizzato per pagare fornitori che non accettavano bonifici – ecco le quietanze in contanti con data successiva di importo identico”. O ancora: se i versamenti sono incassi di altra natura non tassabile – ad esempio hai venduto un macchinario usato e ti hanno pagato su quel conto – mostra il contratto di vendita e magari la fattura. In sostanza, traccia ogni entrata: se erano apporti di famiglia, procurati dichiarazioni dei familiari che confermano e eventuali bonifici di partenza. Se era denaro tuo già tassato (risparmi), produci dichiarazioni dei redditi pregresse o estratti conto storici che mostrano disponibilità di risparmi. Per i prelievi: spiega l’utilizzo. La legge presuppone che finanzino spese in nero solo per imprenditori e se superano €1.000 giornalieri o €5.000 mensili (limiti ora non più vigenti dal 2016, ma ancora considerati come riferimento). Se il tuo caso è antecedente, attacca anche sul punto che la presunzione prelievi oggi non c’è più per imprenditori individuali. Fornisci comunque una destinazione lecita per quei contanti (stipendi dipendenti pagati cash, versati poi su altri conti per investimenti personali, etc., con prove se possibile). Più la giustificazione è dettagliata e documentata, più chance hai che l’ufficio la accetti in adesione o che il giudice ti dia ragione. Se proprio non ricordi la natura di alcuni movimenti minori, prova almeno a ridimensionarne l’impatto (es. “trattasi di prelevamenti per spese personali non inerenti l’attività, dunque irrilevanti ai fini del reddito d’impresa”). In ultima analisi, considera che se rimangono movimenti scoperti, l’Agenzia li trasformerà quasi matematicamente in reddito evaso: limitane il numero il più possibile con spiegazioni credibili.

D: Il mio hotel opera in forma di S.r.l.: rischiano qualcosa i soci o amministratori in caso di accertamento?
R: Sì, ci sono alcuni possibili riflessi. Primo: se la S.r.l. non paga quanto dovuto dopo l’accertamento (perché magari la società è vuota o viene liquidata), l’Agenzia potrebbe cercare di coinvolgere il socio o l’amministratore per il pagamento, ma ciò non è facile e avviene solo in casi specifici (ad es. responsabilità solidale per mancato versamento di ritenute, o nei casi di abuso di personalità giuridica in cui si dimostri che la società era uno schermo). Diverso è il discorso della distribuzione di utili extracontabili: se l’accertamento individua ricavi non contabilizzati, il Fisco presume che quei profitti occulti siano stati distribuiti ai soci (per le società a ristretta base, tipicamente ≤3 soci). Ciò significa che, oltre a tassare la società su quei ricavi, l’Agenzia potrebbe emettere avvisi ai soci (persone fisiche) per far pagare l’IRPEF come se avessero ricevuto dividendi in nero. La Cassazione reputa legittima questa presunzione iuris tantum: spetta al socio dimostrare di non aver ricevuto nulla (cosa molto difficile, una “probatio diabolica”). Quindi, sì, se sei socio unico o di una piccola Srl familiare, preparati all’eventualità di accertamenti anche sul tuo reddito personale in conseguenza di quello societario. Infine, l’amministratore può rischiare sanzioni amministrative proprie se, ad esempio, l’accertamento riguarda indebite compensazioni di crediti d’imposta: in certi casi la legge prevede una sanzione personale per chi ha apposto il visto di conformità infedele o ha utilizzato crediti inesistenti, e azioni di rivalsa. Ma in generale, sul piano fiscale, il target primario resta la società. Sul piano penale, invece, l’amministratore è sempre il potenziale imputato per reati tributari della società (dichiarazione fraudolenta, omessa dichiarazione, ecc.). Quindi se l’accertamento individua evasioni sopra soglia di punibilità, la Procura potrebbe contestare il reato all’amministratore pro-tempore (o legale rappresentante). In sintesi: i soci rischiano di dover pagare IRPEF su utili nascosti, l’amministratore rischia in sede penale (e, in taluni contesti, anche in sede tributaria personale). Conviene, in caso di accertamento significativo, coordinare la difesa della società con quella delle persone fisiche coinvolte.

D: Ho sentito parlare di “pace fiscale” o condono: c’è modo di farla franca pagando meno?
R: Periodicamente lo Stato vara misure di definizione agevolata. Ad esempio nel 2023 è stata data la chance di definire accertamenti 2019 (e anni precedenti) pagando solo il dovuto senza sanzioni né interessi, o definire cause pendenti pagando percentuali ridotte (100% se avevi perso, 40% se avevi vinto in primo grado, ecc.). Però queste misure hanno finestre temporali precise e vanno colte in quel momento. Al luglio 2025 non c’è un condono in corso per gli accertamenti standard (la “tregua fiscale” del 2023 ormai è in fase conclusiva). Non puoi contare su un condono futuro: se arriverà, valuterai. Intanto devi gestire l’accertamento con le regole ordinarie. Certo, se la controversia può essere trascinata un po’ (ad esempio ricorrendo e poi conciliare), potresti sperare in un provvedimento legislativo favorevole nel frattempo, ma è un’alea. Il consiglio è: non fare affidamento sui condoni, ma informati se l’anno del tuo accertamento rientra in qualche definizione agevolata prevista. Ad esempio, se hai un processo in corso, sappi che la legge delega fiscale 2023 ipotizza di reintrodurre una mediazione, ma nulla di condonistico per ora. L’esperienza insegna che le sanatorie sono rare per accertamenti già emessi: più frequenti per cartelle di pagamento. Quindi meglio costruire la tua difesa attiva. Se poi arriverà una norma di “pace”, potrai sempre aderirvi (di solito aprono per pochi mesi e richiedono domanda). In passato, chi ha aspettato il condono eterno spesso si è trovato con casa pignorata… quindi prudenza!

D: Se perdo la causa contro l’Agenzia e non posso pagare, cosa succede?
R: Se perdi definitivamente (sentenza passata in giudicato sfavorevole) l’importo accertato diventa definitivamente dovuto. A quel punto l’Agenzia Entrate-Riscossione avvierà le azioni per recuperarlo. In primis, se non l’ha già fatto, potrà iscrivere ipoteca sui tuoi immobili (se il debito supera €20.000) o disporre fermo amministrativo su auto (€≥1.000). Poi potrà procedere col pignoramento: conto correnti (molto probabile, congelando le somme fino a concorrenza del dovuto), stipendio/pensione (nei limiti di 1/10 o 1/5 a seconda degli importi), affitti attivi, ecc. Può pignorare anche beni mobili o immobili: per la casa, se il debito supera €120.000 e non è prima casa non di lusso. Nel caso di un hotel, se è in proprietà, l’ipoteca è quasi certa e non escluso anche il pignoramento immobiliare se il debito è grande. Se la società non paga, il Fisco potrebbe tentare azioni verso i coobbligati (soci, se ne ricorrono i presupposti, o fideiussori se ce ne sono) ma parliamo di casi particolari. In ultima analisi, se veramente non hai beni aggredibili, la posizione rimarrà aperta e matureranno interessi di mora; potresti un domani cercare una dilazione con l’Agenzia Entrate-Riscossione (piani fino a 6 anni ordinari o 10 anni in casi gravi). In casi estremi di insolvenza, se sei impresa individuale o società, potresti valutare una procedura concorsuale (come il concordato preventivo o la composizione della crisi da sovraindebitamento) che consente di trattare i debiti fiscali con lo strumento della transazione fiscale: in pratica, un accordo nel fallimento che spesso abbatte sanzioni e interessi e dilaziona il resto. Ma questo è l’ultimo stadio. La cosa migliore è cercare di non arrivare alla soccombenza totale: utilizzare adesione o conciliazione prima per ridurre a qualcosa di sostenibile, oppure se vedi che la causa va male, accantonare risorse per pagare almeno in parte e chiedere un piano di rate. Ignorare il problema lo aggrava: l’Agente della Riscossione ha molti poteri. Quindi, se perdi, confrontati col tuo consulente su come gestire la riscossione: a volte anche in extremis si possono evitare misure aggressive (ad es. chiedendo dilazione prima che scada la sospensione automatica post-sentenza). Anche valutare le soglie: mantenere i debiti sotto €1.000 evita fermi auto, sotto €20.000 evita ipoteche, ecc. Pianifica con astuzia, se possibile.

D: Un mio concorrente mi ha detto di stare attento perché mi farà arrivare la Finanza: può davvero causarmi un accertamento?
R: Chiunque può fare segnalazioni al Fisco o alla Finanza. Un concorrente potrebbe inviare una lettera anonima o firmata accusandoti di evasione. Le segnalazioni anonime in teoria non dovrebbero innescare verifiche (non sono considerate notitia affidabile), ma se contengono dettagli precisi magari l’ufficio ci butta un occhio. Una segnalazione firmata (o proveniente da associazioni di categoria, enti locali, ecc.) è più presa in considerazione. Certo, l’Agenzia non può avviare un accertamento “a comando” di un privato: però se il concorrente fornisce dati reali (tipo: “L’Hotel X fa pagare in nero le sale meeting, ecco copie di ricevute non fiscali”), il Fisco li userà e probabilmente ti controllerà. Quindi la risposta è: sì, è possibile che una segnalazione di terzi porti a un accertamento (sono le cosiddette segnalazioni qualificate). Non hai mezzi per impedirlo. L’unica difesa è essere in regola, così anche se arrivano controlli non troveranno irregolarità. Se sei in regola e un concorrente insinua il falso, alla lunga non subirai conseguenze (ma intanto lo stress del controllo c’è). Legalmente, se puoi provare che la segnalazione era calunniosa e fatta con dolo, potresti querelarlo per calunnia o diffamazione; ma se era un esposto generico sarà difficile. In conclusione: un concorrente “spione” può creare problemi se tu dai loro motivo. Cura la compliance fiscale e potrai dormire più tranquillo: in caso di controllo non troveranno nulla di significativo e al massimo ne uscirai pulito, rendendo vano il tentativo del concorrente.

D: Se mi accorgo di aver davvero evaso qualcosa (ad esempio dimenticato di fatturare dei servizi l’anno scorso), posso rimediare prima che mi scoprano?
R: Sì. Il rimedio si chiama ravvedimento operoso. Consente di presentare una dichiarazione integrativa o effettuare il versamento di quanto omesso, con sanzioni ridotte in base al ritardo. Più agisci in fretta, meno sanzioni paghi. Ad esempio, se ti accorgi ora (luglio 2025) di non aver dichiarato €10.000 di ricavi nel 2024, puoi emettere ora le fatture tardive (o scontrini), includerle in un’integrativa 2024 e pagare la maggiore imposta con sanzione del 30% ridotta a 1/8 (poiché entro un anno dall’omissione), cioè solo 3.75% di sanzione circa, più interessi. Se aspetti oltre un anno, la sanzione sale a 1/7, 1/6, ecc., sino a 1/5 se ravvedi dopo oltre 2 anni. Ma comunque è sempre molto più conveniente dei minimi ordinari (90%). Condizione fondamentale: che l’Agenzia non ti abbia ancora notificato atti o richiesto documenti su quel periodo. Se già hai ricevuto un avviso di verifica o un PVC, non puoi ravvederti su quelle violazioni. Quindi il ravvedimento è un’arma preventiva. Molti albergatori la usano dopo aver ricevuto una lettera di compliance: se l’Agenzia ti segnala bonariamente una differenza (es. “ci risultano pagamenti da Booking.com non dichiarati”), a quel punto puoi ancora ravvederti (la lettera di compliance non preclude il ravvedimento perché non è formale avvio di accertamento). Dunque, se hai scheletri nell’armadio fiscali, meglio autodenunciarsi pagando il dovuto spontaneamente, che attendere l’accertamento con sanzioni piene. Oltretutto, il ravvedimento pieno ti mette al riparo anche da eventuali profili penali, perché sanando il debito tributario spesso viene meno l’interesse a perseguirti (soprattutto per omessi versamenti). Attenzione: alcuni Comuni consentono ravvedimento anche per la tassa di soggiorno (varia, ma dal 2020 molti sì). Quindi anche lì, se scopri di aver sbagliato, paga subito spontaneamente prima che partano controlli: di solito il Comune chiude un occhio se trova i soldi già versati con piccola mora.

D: Ho ricevuto un accertamento per TARI (rifiuti) e uno per IMU sull’hotel: valgono le stesse regole di difesa?
R: In linea di massima sì, anche se sono tributi locali. Gli accertamenti TARI e IMU seguono le norme del D.Lgs. 546/92 per il processo tributario (quindi ricorso entro 60 gg al CGT, ecc.). Cambiano i presupposti di merito: ad esempio, per la TARI potresti contestare il calcolo dei metri quadri o la tariffa applicata (cose tecniche), oppure che avevi diritto a riduzioni (stagionalità, chiusura periodica). Per l’IMU, spesso si discute di rendita catastale, esenzioni (es. struttura ricettiva in zona montana esente, etc.). Le procedure deflattive ci sono anche qui: puoi chiedere accertamento con adesione al Comune (alcuni comuni l’hanno previsto per IMU/TARI), o fare conciliazione in giudizio. Non c’è più la mediazione obbligatoria nemmeno per questi. Quindi il film è simile. Uno differenza: i tributi locali sono gestiti da enti diversi (il Comune o concessionari di riscossione locali). Devi notificare il ricorso a loro. Inoltre, verifica le delibere comunali: a volte prevedono sanatorie locali o possibilità di rateizzazioni diverse. Ad esempio, alcuni comuni se non fai ricorso ti riducono le sanzioni del 50% in autonomia (una sorta di acquiescenza locale). Informati presso il regolamento comunale. Sul fronte processuale, difendersi da IMU/TARI può essere leggermente più “leggero” in termini di prove (non ci sono mille presunzioni come per le imposte sui redditi), ma spesso i Comuni sono rigidi. Quindi la difesa si basa su questioni tecniche catastali o regolamentari. Ad esempio, recente Cassazione 2024 ha stabilito che un B&B con licenza annuale paga TARI tutto l’anno anche se opera stagionalmente, confermando la linea dura. Sapere queste cose aiuta a valutare se val la pena ricorrere. In sintesi: sì, anche per accertamenti su tributi locali dell’hotel (IMU, TARI, imposta soggiorno) hai gli stessi strumenti (adesione, ricorso, ecc.), solo declinati sul merito specifico di quelle imposte.

Passiamo ora a degli esempi pratici che illustrano situazioni tipiche di accertamento fiscale per un hotel e le possibili risposte difensive del contribuente, sintetizzando un po’ quanto trattato.

Esempi pratici di accertamento fiscale in ambito alberghiero

Esempio 1: Accertamento induttivo basato su consumi anomali (“lenzuolometro”)
Scenario: La società Hotel Sereno Srl gestisce un albergo di 40 camere. Dichiara per l’anno X ricavi per €200.000 e un’occupazione media del 40%. La Guardia di Finanza effettua una verifica e scopre che la lavanderia industriale ha fatturato al Sereno il lavaggio di 10.000 lenzuola in quell’anno. Considerando che ogni ospite usa un set lenzuola, i verificatori stimano 20.000 presenze (10.000 lenzuola = 5.000 cambi, ipotizzando 2 notti medie per cliente). Tuttavia, dagli registri ufficiali risultano solo 8.000 presenze dichiarate. Dunque ipotizzano 12.000 presenze in nero. Applicando il prezzo medio a notte di €50, calcolano €600.000 di ricavi non dichiarati. L’ufficio emette avviso di accertamento aggiungendo a tassazione quell’importo, più IVA e sanzioni al 100%. Difesa: L’hotel, assistito dall’avvocato, imposta la difesa così: (a) contesta innanzitutto l’attendibilità del lenzuolometro. Produce i contratti con la lavanderia, da cui emerge che nel conteggio “lenzuola” erano incluse anche le federe dei cuscini e i copriletti lavati separatamente (ogni letto matrimoniale inviato contava 3 pezzi). Dunque le 10.000 “lenzuola” fatturate non equivalgono a 10.000 pernottamenti, ma forse a un terzo. (b) Mostra che i bambini sotto 12 anni soggiornavano gratis in camera coi genitori (politica dell’hotel) e non venivano conteggiati nelle presenze paganti, ma comunque usavano letti e lenzuola: nel registro PS risultano 2.000 presenze minori non soggette a pagamento. (c) Documenta che l’hotel forniva servizio lavanderia anche a due vicini B&B (esibisce fatture attive per “lavaggio biancheria” a loro favore) per circa 1.000 pezzi. (d) Evidenzia un errore di calcolo: molte presenze reali erano di singoli in camere doppie, quindi 1 presenza con 2 letti usati. Allegando i report del PMS (gestionale) dell’hotel, risulta che nel 30% delle notti la camera doppia era singola (dunque lenzuola doppie per una sola presenza). Tirando le somme, la difesa ricalcola che le 10.000 lenzuola corrisponderebbero, depurate dai fattori suindicati, a circa 9.000/10.000 presenze totali plausibili – in linea con le 8.000 paganti + 2.000 minori. Infine, porta testimonianze (dichiarazioni scritte) di dipendenti che confermano l’uso di lenzuola aggiuntive per ricambi anticipati e scorte. L’ufficio, preso atto, decide di evitare la causa: in adesione riconosce che effettivamente l’induttivo era sovrastimato e propone di ridurre l’imponibile non dichiarato da 600k a soli 50k (attribuendo quell’importo a generici ricavi non documentati, di fronte però a qualche incongruenza minore effettivamente rilevata). L’hotel accetta per chiudere la vicenda: con l’adesione, paga imposte su €50k e sanzione ridotta 1/3 (30%) su quell’imposta, evitando un lungo contenzioso. Nota: se la proposta fosse stata ancora eccessiva, l’hotel avrebbe portato queste stesse argomentazioni in giudizio. Verosimilmente, il giudice avrebbe annullato l’accertamento originario perché basato su presunzioni non gravi né precise (troppi fattori ignorati), o al più rideterminato parzialmente il reddito in misura molto inferiore.

Esempio 2: Accertamento “a tavolino” da indagini finanziarie e incrocio dati Booking – (difesa in contraddittorio)
Scenario: Il sig. Rossi gestisce come ditta individuale l’Hotel Miramare, 3 stelle, 20 camere. L’Agenzia delle Entrate, senza fare accesso, invia un invito al contraddittorio al sig. Rossi: dal confronto tra i dati ricevuti dal portale Booking.com e la dichiarazione dei redditi, l’Ufficio nota che nel 2023 il Miramare ha incassato tramite Booking €100.000 (dato comunicato dal portale ai fini dell’imposta di soggiorno) mentre ha dichiarato ricavi complessivi per €80.000. Inoltre, dall’anagrafe dei conti, risultano versamenti in contanti sul conto corrente di Rossi per €30.000 nello stesso anno, non giustificati da prelievi cassa dell’attività. L’invito elenca queste discrepanze e fissa un incontro. Difesa: Il contribuente, col suo commercialista, si presenta al contraddittorio munito di documenti: spiega che la differenza Booking (100k vs 80k) è dovuta al fatto che Booking trattiene le proprie commissioni (20%) e versa albergatore al netto. Quindi i €100k segnalati sono l’importo lordo pagato dai clienti, ma l’hotel incassa solo 80k (20k sono commissioni di Booking, che infatti emette fattura al Miramare). Mostra le fatture di Booking.com per commissioni, che ammontano appunto a €20k. Dunque, nessun ricavo occulto: semplicemente aveva dichiarato i ricavi al netto perché i 20k sono costo di intermediazione. (In realtà contabilmente avrebbe dovuto forse dichiarare 100k di ricavi e 20k di costo, ma se la contabilità era per cassa col regime forfettario o semplificato, può essersi creato equivoco). L’Ufficio prende atto. Resta il punto dei versamenti in contanti: Rossi giustifica che erano prelevamenti dal suo conto PayPal dove aveva accumulato incassi di vendite online di oggetti personali (è un collezionista e ogni tanto vende su eBay). Fornisce estratti PayPal e documenti di vendita che mostrano circa €30k di incassi di quell’anno da attività non inerenti l’hotel (vendita di monete rare, documentata) che poi ha riversato sul conto bancario. Siccome il regime fiscale personale di quelle vendite è del tutto separato (eventualmente plusvalenze occasionali non tassabili se beni personali), chiede di non considerarli ricavi d’impresa. L’Ufficio analizza i documenti: le vendite riguardano oggetti usati di proprietà di famiglia, quindi in effetti niente IVA o reddito d’impresa. Accetta la spiegazione. Risultato: il contraddittorio si chiude con esito favorevole al contribuente, l’Agenzia archivia il caso senza emettere accertamento. Nota: In questo esempio, la prontezza nel fornire spiegazioni ha evitato un atto. Se il contribuente non si fosse presentato, quasi certamente sarebbe scattato un accertamento di €50k di ricavi non dichiarati (20k + 30k) con relative imposte e sanzioni, che poi andavano ricorsi con aggravio di tempi e costi. Ecco perché partecipare al contraddittorio e utilizzare la fase pre-accertativa è cruciale quando si hanno buone giustificazioni.

Esempio 3: Omesso versamento dell’imposta di soggiorno – (difesa multi-fronte)
Scenario: La Alberghi Serena Srl gestisce due hotel e nel 2019 ha incassato dai turisti €10.000 di imposta di soggiorno, ma – in difficoltà economiche – ne ha versati al Comune solo €2.000. Nel 2021 il Comune le notifica un accertamento chiedendo €8.000 di tributo evaso + €800 di interessi + €16.000 di sanzione (200% del non versato, secondo regolamento). Nel frattempo la Procura regionale della Corte dei Conti cita l’amministratore della Srl per danno erariale di €8.000. Difesa tributaria: La Srl presenta ricorso alla CGT sostenendo che la sanzione del 200% è eccessiva e illegittima perché il D.Lgs. 23/2011 prevedeva sanzione pari al 30% per omesso versamento di tributi locali salvo diversa previsione. Il regolamento comunale fissava “fino al 200%” ma senza criteri: violazione dei principi di proporzionalità. Chiede quantomeno l’applicazione del minimo (30%). Inoltre, eccepisce che l’accertamento è stato emesso il 30/06/2021, quindi fuori termine (ritenendo applicabile il termine di decadenza 31/12/2020 per l’anno 2019, anche se qui c’è dibattito se si conti dal 2020). In subordine, chiede la riduzione della sanzione per non gravità (pronta ammissione, contesto normativo incerto, nessun intento doloso di appropriazione ma necessità di cassa). Difesa contabile: L’amministratore incarica un avvocato contabile. In sede di Corte dei Conti eccepisce subito il difetto di giurisdizione: sostiene che dopo la legge 2021 quella materia è tributaria e non più di responsabilità amministrativa. In subordine, evidenzia assenza di colpa grave: produce bilanci 2019-2020 dell’hotel che mostrano perdite ingenti, prova che quei €8.000 furono temporaneamente usati per pagare stipendi evitando licenziamenti (quindi non sperpero personale ma scelta emergenziale). Inoltre, nel 2022 (prima del giudizio) la Srl ha integralmente versato al Comune i €8.000 dovuti appena ottenuta liquidità. Chiede quindi l’archiviazione del giudizio contabile per sopravvenuto adempimento e mancanza di danno. Esito: La Corte di Giustizia Tributaria accoglie parzialmente il ricorso: riconosce che la sanzione va ricondotta al minimo del 30% (quindi €2.400 invece di €16.000), ritenendo 200% eccessivo rispetto all’omissione di un tributo dovuto a mera difficoltà finanziaria. Non accoglie la decadenza perché interpreta il termine al 31/12/2021 (5 anni dall’anno dopo – materia discutibile), ma in compenso riduce sensibilmente la penalità. L’importo finale dovuto dalla Srl risulta €8.000 + interessi + sanzioni €2.400. Nel frattempo, la Corte dei Conti dichiara il difetto di giurisdizione, accogliendo l’eccezione sulla base che per fatti dal 2020 in poi sicuramente non è competente e, pur essendo il 2019, considera la legge retroattiva. In alternativa, avrebbe comunque preso atto del versamento avvenuto e probabilmente chiuso con una dichiarazione di cessata materia (o condanna minima al pagamento di interessi), dato che l’erario è stato rifuso spontaneamente. Commento: Questo esempio illustra la necessità di difendersi su piani diversi: ridurre il danno tributario (sanzioni più basse possibile, evitare doppio pagamento) e schivare la tagliola contabile. Grazie alla riforma 2021 il gestore oggi ha più chance di confinare tutto al giudice tributario. Inoltre, mostra come pagare il dovuto, seppur tardi, sia un fattore attenuante enorme sia per i giudici tributari (che vedono la buona fede) sia per la Corte dei Conti (che spesso in tal caso archivia). Morale: se incorrere in omissioni, regolarizzate al più presto e col supporto legale giusto è possibile limitare parecchio i danni.


Gli esempi pratici potrebbero continuare (si pensi a un caso di esterovestizione se un hotel dichiara sede all’estero per evadere, o di contestazione IVA su pacchetti all inclusive – ad esempio Cass. 16480/2024 ha chiarito che i pacchetti turistici tutto incluso scontano IVA ordinaria su tutto). Tuttavia, quelli forniti coprono situazioni emblematiche per molti albergatori.

Conclusioni

L’accertamento fiscale in ambito alberghiero può essere un evento estremamente impegnativo, ma con la giusta preparazione e assistenza legale è possibile gestirlo e spesso risolverlo in modo favorevole o quantomeno sostenibile. Ricapitoliamo alcuni consigli finali dal punto di vista del debitore-contribuente:

  • Prevenire è meglio che curare: Mantenete la contabilità dell’hotel regolare e coerente. Utilizzate strumenti come gli ISA per monitorare la congruità dei vostri ricavi. Se emergono discrepanze (costi troppo alti rispetto ai ricavi), preparate spiegazioni o valutate di adeguare dichiarazione. Conservate scrupolosamente la documentazione (scontrini, registri alloggiati, fatture fornitori) per poter giustificare consumi o cali di reddito. Prevenite i rilievi incrociando voi stessi i dati: es. controllate che le presenze comunicate alla Questura coincidano con quelle fatturate, o spiegatevi le differenze (esenzioni, no-show, ecc.). Se trovate errori, usate il ravvedimento operoso prima che sia tardi.
  • Durante la verifica fiscale: Conoscete i vostri diritti (art. 12 Statuto) e fateli valere con garbo: 60 giorni per memorie, durata massima 30 gg etc. Mostrate collaborazione, ma non siate remissivi su tutto: se un rilievo è contestabile, contestatelo già in fase di verifica fornendo chiarimenti nel PVC. Non firmate dichiarazioni auto-incriminanti senza riflettere. Esercitate il diritto al contraddittorio: oggi è considerato fondamentale anche dalla Cassazione.
  • All’arrivo dell’avviso: Niente panico ma nemmeno procrastinazione. Coinvolgete subito un esperto e analizzate l’atto in ogni dettaglio. Fatevi spiegare in termini semplici su cosa verte e quali opzioni avete. Spesso il contribuente, per sfiducia o orgoglio, vuole fare ricorso a tutti i costi; altre volte vorrebbe pagare subito per paura. La scelta giusta sta nel mezzo di una valutazione tecnica: se avete torto marcio su tutto, meglio aderire e ottenere sconti; se avete ragione su questioni importanti, ricorrete. A volte conviene ricorrere anche solo per guadagnare tempo (in attesa magari di un condono o anche per pagare a rate attraverso la riscossione). Ma attenzione: ogni strategia ha pro e contro, seguitela con cognizione e informandovi costantemente con il vostro difensore.
  • Strumenti deflattivi = amici: L’accertamento con adesione è un’opportunità, non una trappola. Spesso l’idea di “andare a trattare col Fisco” spaventa o sembra un’ammissione di colpa: non è così. È prassi normale e può risolvere il 90% delle controversie con grande risparmio di tempo e denaro. Idem per la conciliazione in giudizio: non abbiate paura di proporla se la causa prende una piega sfavorevole o se potete chiudere con un compromesso vantaggioso.
  • Giocare sui vizi procedurali: Spesso la via più efficace per annullare un accertamento è un vizio formale (difetto di motivazione, contraddittorio violato, decadenza, ecc.) piuttosto che una lunga diatriba su valori e percentuali. Non trascurate questi aspetti, perché i giudici li considerano seriamente (e la Cassazione li conferma regolarmente). Ad esempio, far rilevare che l’ufficio non vi ha interpellato prima di accertare studi di settore porta facilmente all’annullamento. Un atto emesso prima di 60gg da PVC è nullo indipendentemente dal merito.
  • Seguite le evoluzioni normative: Il diritto tributario è in continuo movimento. Ad esempio, la riforma 2023-2025 (Legge Delega n. 111/2023) promette semplificazioni e novità (si vocifera un nuovo testo unico, modifiche all’IVA, ecc.). Le procedure di accertamento e processo tributario possono cambiare (già abolita la mediazione, estesa conciliazione, ecc.). Per questo, affidatevi a consulenti aggiornati e – se il vostro caso è di confine – valutate di attendere un nuovo orientamento. Ad esempio, se avete una questione di diritto dubbia su cui la Cassazione potrebbe pronunciarsi a Sezioni Unite, forse vale la pena portarla fino in fondo. Se invece la legge è chiaramente sfavorevole, meglio evitare il contenzioso inutile.
  • Pianificazione fiscale e fiscale internazionale: Se operate con clientela estera o portali internazionali, curate gli aspetti fiscali come la fatturazione corretta (IVA esente per clienti extra-UE? Reverse charge? ecc.). Errori in questi campi possono far scattare accertamenti mirati (specie IVA). Un buon avvocato o commercialista può aiutarvi a implementare sistemi di controllo interno, come fare check periodici tra numero di ospiti e incassi registrati – in pratica un “auto-tovagliolometro” per vedere se i conti tornano, così da anticipare il Fisco nell’individuare anomalie.

In definitiva, difendersi da un accertamento fiscale è possibile e spesso porta a significativi successi (annullamento totale o forte riduzione delle somme). Occorre però metodo, tempestività e conoscenza delle regole del gioco. Un hotel ben seguito riuscirà a far valere le proprie ragioni e, nei casi di errore, a limitare le conseguenze. Speriamo che questa guida vi abbia fornito gli strumenti per affrontare con maggiore consapevolezza un’eventuale verifica fiscale e per dialogare proficuamente con i vostri consulenti legali e fiscali.

In bocca al lupo e ricordate: la miglior difesa è una gestione fiscale corretta, ma se il controllo arriva, sapere come difendersi fa la differenza.

Fonti

  1. D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (artt. 39 e 41-bis sulle modalità di accertamento).
  2. D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – Istituzione e disciplina dell’IVA (artt. 54 e 55 sull’accertamento IVA).
  3. Statuto del Contribuente – Legge 27 luglio 2000, n. 212 (in particolare art. 12 sulle garanzie durante le verifiche fiscali).
  4. D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 – Accertamento con adesione e conciliazione (disciplina strumenti deflattivi: adesione, acquiescenza, ecc.).
  5. D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – Processo tributario (come modif. da L. 130/2022 e D.Lgs. 220/2023: eliminazione mediazione dal 2024, conciliazione estesa).
  6. Cassazione Civile, Sez. Unite, 29/07/2013, n. 18184 – Inosservanza termine di 60 giorni post-PVC causa nullità atto. Confermata da Cass. Sez. V, 25/07/2022, n. 23223.
  7. Cassazione Civ., Sez. V, 14/07/2010, n. 17408 – Legittimità del “bottigliometro” nell’accertamento induttivo (acqua minerale in ristorante).
  8. Cassazione Civ., Sez. V, 13/03/2007, n. 8643 – Legittimità del “tovagliometro” con condizioni (considerare tovaglioli usati internamente).
  9. Cassazione Civ., Sez. V, 04/09/2018, n. 27612 – Ordinanza (caso lenzuolometro: un solo elemento presuntivo grave e preciso può fondare accertamento).
  10. Cassazione Civ., Sez. VI-5, 23/07/2020, n. 15843 – Ribadisce nullità avviso emesso ante 60 gg da PVC senza urgenza (conferma SU 2013).
  11. Cassazione Civ., Sez. Tributaria, 25/03/2024, n. 7699 – Conferma obbligo contraddittorio preventivo per tributi armonizzati e prova di resistenza (diritto UE).
  12. Cassazione Civ., Sez. V, 05/02/2025, n. 2795 – Ulteriore conferma obbligo generale di contraddittorio (VAT) e nullità avviso se violato.
  13. Cassazione SS.UU., 19/08/2024, n. 22891 – Giurisdizione in materia di imposta di soggiorno: giudice tributario per sanzioni, Corte Conti per danno erariale (per fatti pre-2020).
  14. Corte dei Conti, varie sezioni regionali 2023-2024 – Sentenze dichiarative difetto giurisdizione per imposta soggiorno post-riforma (es. Corte Conti Veneto 2023, Piemonte 2024).
  15. DL 146/2021 conv. L. 215/2021, art. 5-quinquies – Qualifica i gestori imposta di soggiorno come responsabili d’imposta e non agenti contabili, con effetto retroattivo.
  16. Giustizia Tributaria – Portale istituzionale: sentenze Cassazione massimate (es. n. 12412/2022 su 60 giorni Statuto).
  17. Norme di settore: D.Lgs. 23/2011 (fiscalità comunale, imposta soggiorno); D.L. 50/2017 art. 4 (locazioni brevi e ruolo intermediari).
  18. Cass. sent. n. 15545/2022 – TARI: B&B stagionale paga intero. Cass. sent. n. 16480/2024 – IVA pacchetti turistici.

Accertamento Fiscale a Hotel: Come Difendersi Con Studio Monardo

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  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e difesa da accertamenti fiscali
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Conclusione

Un accertamento fiscale può mettere a rischio il futuro del tuo hotel. Ma con una difesa tempestiva e ben costruita puoi respingere l’atto o negoziare condizioni più favorevoli.

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