Lettera Agenzia Entrate Per Iva Non Versata O Lipe Mancanti: Come Difendersi

Hai ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate che ti segnala IVA non versata o LIPE (liquidazioni periodiche IVA) mancanti? Ti avvertono che ci sono irregolarità e ti invitano a regolarizzare la tua posizione? Se non agisci in modo corretto e nei tempi giusti, rischi accertamenti, sanzioni e cartelle esattoriali. Ma puoi difenderti e sistemare tutto, se intervieni con tempestività.

Quando arriva una comunicazione per IVA non versata o LIPE mancanti?
– Quando non hai versato l’IVA trimestrale o mensile risultante dalle dichiarazioni
– Se hai inviato la dichiarazione IVA annuale, ma mancano le LIPE infrannuali
– Se l’Agenzia rileva che hai trasmesso la LIPE ma non hai pagato l’imposta dovuta
– In caso di omissioni ricorrenti o ritardi nei versamenti e negli invii
– Se dai controlli automatici emerge una differenza tra imposta dichiarata e versata

Cosa ti chiede la lettera dell’Agenzia delle Entrate?
– Di verificare i dati e regolarizzare la tua posizione
– Di effettuare i versamenti IVA mancanti, se riconosci l’errore
– Di presentare le LIPE omesse, se ancora nei termini
– Di usare il ravvedimento operoso per ridurre le sanzioni
– Di fornire chiarimenti o correggere eventuali errori formali

Cosa rischi se non fai nulla?
– Un avviso di accertamento con sanzione piena
– L’iscrizione a ruolo dell’IVA non versata, con interessi e aggio
– Sanzioni fino al 30% dell’imposta dovuta
– Il blocco dei rimborsi IVA o l’esclusione da regimi agevolati
– In caso di irregolarità gravi e continuative, segnalazioni all’INPS o alla Guardia di Finanza

Come difendersi e cosa fare concretamente?
– Verifica con attenzione cosa ti viene contestato: importo, periodo, scadenza
– Se l’imposta è effettivamente dovuta, calcola la sanzione ridotta con ravvedimento operoso
– Presenta le LIPE mancanti, anche tardivamente, se non hai ricevuto un accertamento
– Se ritieni la contestazione infondata, predisponi una risposta scritta e documentata
– Controlla se i versamenti sono stati effettuati ma non correttamente registrati
– Conserva tutte le ricevute e i modelli F24 già pagati, in caso di errore dell’Agenzia

Cosa puoi ottenere se reagisci correttamente?
– La chiusura della posizione senza accertamento
– Il pagamento dell’IVA dovuta con sanzioni minime
– L’annullamento dell’irregolarità, se documenti che hai già pagato
– La tutela della tua affidabilità fiscale e l’accesso a benefici e regimi premiali

Una lettera per IVA non versata o LIPE mancanti non è ancora un accertamento, ma è il primo passo che può portare a conseguenze gravi se ignorata. Rispondere nel modo giusto ti permette di risolvere tutto senza sanzioni pesanti e senza contenzioso.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa da irregolarità IVA ti spiega come affrontare una segnalazione per IVA non versata o LIPE omesse, cosa controllare e come sistemare tutto con il minimo danno.

Hai ricevuto una lettera dell’Agenzia delle Entrate e vuoi sapere come comportarti? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a verificare i dati, regolarizzare la posizione e difendere la tua attività senza errori.

Introduzione

Ricevere una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate riguardante IVA non versata o LIPE mancante può generare comprensibile preoccupazione nel contribuente. È importante però comprenderne la natura: queste “lettere di compliance” rientrano nelle iniziative di dialogo preventivo introdotte dal Fisco per favorire la regolarizzazione spontanea degli errori od omissioni, prima di procedere con misure sanzionatorie più gravi. In altre parole, si tratta generalmente di avvisi bonari o inviti bonari che segnalano un’irregolarità (ad esempio un’omissione dichiarativa o un mancato versamento) e invitano il contribuente a mettersi in regola entro termini prefissati, beneficiando di sanzioni ridotte tramite ravvedimento operoso. Queste comunicazioni, previste dalla Legge di Stabilità 2015 (art.1 commi 634–636 L.190/2014), rappresentano un approccio innovativo improntato alla “compliance” cooperativa: il Fisco mette a disposizione del contribuente i dati in suo possesso (incroci di fatture elettroniche, corrispettivi, versamenti, ecc.) e gli consente di correggere eventuali incongruenze senza subire nell’immediato un formale atto di accertamento. Dalla prospettiva del debitore-contribuente, dunque, la lettera in sé non è un atto impositivo definitivo né una sanzione già irrogata, ma un avviso preventivo che può e deve essere gestito attivamente per evitare conseguenze ben più gravose (maggiori sanzioni, iscrizioni a ruolo, contenzioso tributario e perfino profili penali in caso di importi rilevanti).

In questa guida – aggiornata a luglio 2025 con i più recenti riferimenti normativi (inclusa la riforma delle sanzioni tributarie del 2024) e giurisprudenziali – offriremo un quadro approfondito ma chiaro su come difendersi e operare correttamente dopo aver ricevuto una lettera dell’Agenzia delle Entrate per IVA non versata o liquidazioni periodiche IVA (LIPE) non presentate. Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a imprenditori e privati cittadini interessati a capire i propri diritti e obblighi. Troverete di seguito: spiegazioni dettagliate delle norme italiane di riferimento, indicazioni pratiche sulle procedure da seguire, esempi concreti di casi reali, una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni, oltre a tabelle riepilogative che schematizzano sanzioni, termini e strumenti deflattivi del contenzioso. L’ottica adottata è sempre quella del debitore, ossia del contribuente che intende tutelarsi nel migliore dei modi di fronte a queste comunicazioni del Fisco, sfruttando le opportunità di rimediare all’errore e minimizzare le sanzioni.

Natura e tipologie delle comunicazioni: compliance vs accertamento formale

Prima di tutto, è fondamentale distinguere la “lettera di compliance” da un vero e proprio atto impositivo formale. Le comunicazioni inviate dall’Agenzia delle Entrate in tema di IVA non versata o LIPE omesse sono solitamente di due tipi principali:

  • Comunicazione di compliance (invito alla regolarizzazione) – È una lettera bonaria che segnala un’anomalia o irregolarità riscontrata incrociando i dati a disposizione del Fisco (dichiarazioni IVA, fatture elettroniche, comunicazioni periodiche, versamenti F24, ecc.). Non comporta immediatamente una sanzione irrogata, ma invita il contribuente a verificare e correggere spontaneamente la propria posizione. Nel nostro contesto, rientrano in questa categoria ad esempio le lettere che segnalano LIPE non trasmesse (omessa comunicazione di una o più liquidazioni periodiche IVA) oppure differenze tra il volume d’affari dichiarato e i dati delle fatture elettroniche che fanno presumere un mancato versamento IVA. Tali comunicazioni rientrano nelle attività di promozione dell’adempimento spontaneo avviate per legge dal 2015 e non sono atti impugnabili, ma semplici inviti a mettersi in regola entro un certo termine, usufruendo del ravvedimento operoso per ridurre le sanzioni.
  • Comunicazione di irregolarità (avviso bonario ex art. 36-bis DPR 600/73 o 54-bis DPR 633/72) – È un esito di un controllo automatizzato della dichiarazione che l’Agenzia effettua successivamente alla presentazione. In pratica segnala difformità o omissioni “matematiche” riscontrate, ad esempio IVA dichiarata ma non versata nei termini. Questa comunicazione contiene già il calcolo dell’imposta non versata, degli interessi e di una sanzione ridotta (di solito 10% o 16,67% invece del 30% ordinario) dovuta per il ritardato pagamento. L’avviso bonario costituisce un atto formale (ancorché “pre-accertamento”) che preclude il ricorso al ravvedimento operoso a partire dalla sua notifica, ma consente comunque al contribuente di pagare il dovuto con sanzioni ridotte (se si adempie entro 30 giorni) oppure di segnalare eventuali errori dell’Ufficio. Anche l’avviso bonario non è impugnabile autonomamente davanti alla Commissione tributaria, trattandosi di un atto endo-procedimentale: se il contribuente non paga o non chiarisce, dopo 30 giorni l’Agenzia potrà iscrivere a ruolo le somme dovute ed emettere una cartella di pagamento (o un avviso di accertamento esecutivo) che diverrà invece impugnabile.

Tipologie di violazioni segnalate. Nel merito, le lettere possono riferirsi a differenti situazioni anomale. Le più comuni, oggetto di questa guida, sono:

  • Omesso versamento IVA dichiarata. Il caso tipico è quello in cui il contribuente ha presentato la liquidazione IVA (mensile/trimestrale o la dichiarazione annuale) evidenziando un debito d’imposta, ma non ha effettuato in tutto o in parte il versamento entro la scadenza dovuta. Ad esempio: un soggetto IVA presenta la liquidazione del 2° trimestre con €10.000 di IVA dovuta, ma non versa tale importo; oppure presenta la dichiarazione IVA annuale con un debito a saldo, rimasto in tutto o in parte insoluto. Tali situazioni vengono rilevate dall’incrocio tra i dati dichiarativi e i pagamenti registrati dal sistema (modelli F24): la differenza genera una comunicazione di irregolarità ex art. 54-bis DPR 633/72. In questi casi, nella lettera vengono indicati periodo d’imposta e importi non versati, con l’invito a pagare quanto dovuto usufruendo della riduzione sanzionatoria prevista (tipicamente sanzione al 10% se si paga entro 30 giorni dal ricevimento). Nota: l’omesso versamento IVA per importi elevati costituisce anche reato penale ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 (soglia di €250.000), se il contribuente non vi pone rimedio entro il termine previsto dalla legge – su questo si tornerà più avanti.
  • Omessa comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA (LIPE). Si verifica quando il contribuente non trasmette uno o più “LIPE” trimestrali pur avendo svolto operazioni nel periodo di riferimento. Ad esempio: un’impresa effettua normalmente operazioni con IVA nel corso del trimestre, ma dimentica di inviare la comunicazione LIPE relativa a quel trimestre. Dal 2017 l’ordinamento prevede infatti l’obbligo trimestrale di inviare all’Agenzia i dati riepilogativi delle liquidazioni IVA (art. 21-bis D.L. 78/2010). L’omissione di tale adempimento è considerata un’irregolarità formale che tuttavia il Fisco monitora da vicino: già a partire dal 2020 sono state avviate campagne di compliance mirate sulle LIPE omesse. La lettera segnala il/i trimestre mancanti e invita a regolarizzare inviando le comunicazioni mancanti e versando la relativa sanzione fissa con ravvedimento. Importante: se la LIPE omessa riguarda il 4° trimestre, ricordiamo che è possibile adempiere inviando direttamente la dichiarazione IVA annuale entro fine febbraio (compilando il quadro VP) in sostituzione della quarta LIPE. In mancanza di ciò, l’omissione del quarto trimestre viene parimenti contestata.
  • Altre anomalie IVA correlate. Sebbene non oggetto principale di questa guida, è utile citare che le comunicazioni di compliance IVA possono riguardare anche altre difformità, come: omessa dichiarazione annuale IVA (mancata presentazione del modello IVA annuale); dichiarazione presentata ma incompleta in alcuni quadri (es. quadro VE o VJ non compilati); incoerenze tra fatturato dichiarato e dati delle e-fatture (volume d’affari insolitamente basso rispetto alle fatture emesse); richiesta di rimborso IVA non coerente con le liquidazioni effettuate, ecc. In tutte queste ipotesi l’approccio dell’Agenzia è analogo: comunicare l’anomalia al contribuente e sollecitare un riscontro spontaneo prima di procedere ad un accertamento vero e proprio.

Contenuto della lettera e modalità di notifica

Le lettere dell’Agenzia delle Entrate relative a queste irregolarità seguono generalmente uno schema standard. In apertura sono indicati i dati identificativi del contribuente (denominazione, codice fiscale/partita IVA) e del soggetto che ha emesso la comunicazione (Direzione centrale o ufficio locale dell’Agenzia). Viene poi specificato il periodo d’imposta cui si riferisce l’anomalia e la natura dell’irregolarità riscontrata. Ad esempio: “omesso versamento IVA dovuta – Anno 2023” oppure “mancata comunicazione liquidazione periodica IVA 2° trimestre 2024”. Nel corpo della lettera si trovano:

  • un riepilogo dei dati dichiarati dal contribuente (per confronto);
  • i dati risultanti al Fisco che evidenziano l’anomalia. Ad esempio, se trattasi di IVA non versata, saranno indicati l’importo dell’IVA dichiarata dal contribuente e non trovata versata nei termini, con eventuale dettaglio di interessi e sanzioni calcolate; se trattasi di LIPE omessa, sarà indicato il trimestre mancante e magari l’ammontare delle operazioni attive/passive registrate in quel periodo (desunte dalle fatture o da altri adempimenti);
  • istruzioni su come regolarizzare. La comunicazione infatti fornisce le indicazioni operative per mettersi in regola: ad esempio, invita a effettuare il versamento dell’imposta non pagata con ravvedimento operoso (specificando i codici tributo da usare per imposta, sanzioni e interessi); oppure, in caso di LIPE, invita a trasmettere la comunicazione omessa e versare la relativa sanzione ridotta. Spesso viene allegata una sorta di “prospetto di calcolo” o un fac-simile di F24 precompilato con importi e codici, per agevolare il contribuente nel pagamento;
  • l’invito a fornire chiarimenti se il contribuente ritiene che i dati dell’Agenzia non siano corretti. In tal caso, vengono indicati i canali per contattare l’Amministrazione finanziaria (ad esempio tramite il servizio telematico CIVIS, via PEC all’indirizzo dell’ufficio, o presentando documentazione presso gli sportelli) entro un certo termine;
  • il termine entro cui effettuare la regolarizzazione o fornire riscontro. Generalmente per le lettere di compliance il termine può essere di 30 giorni, 60 giorni o anche 90 giorni, a seconda della tipologia di anomalia e di quanto stabilito nel provvedimento attuativo relativo. Ad esempio, per le anomalie IVA anno d’imposta 2022, l’Agenzia (Provv. n. 176284 del 11/4/2025) ha previsto l’invio di lettere PEC con disponibilità dei dati nel cassetto fiscale, invitando i contribuenti a regolarizzare gli errori riscontrati secondo le modalità del ravvedimento operoso previgente alla riforma 2024, entro il termine indicato.

Modalità di notifica. Queste comunicazioni vengono inviate in via principale per via telematica. In particolare: se il contribuente è dotato di un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) attivo, la lettera viene recapitata a tale indirizzo PEC (considerata domicilio digitale). In parallelo (o in assenza di PEC), la comunicazione viene resa disponibile nel portale online dell’Agenzia delle Entrate, all’interno dell’area riservata del Cassetto fiscale e nella sezione Fatture e Corrispettivi. Il contribuente, accedendo con le proprie credenziali (SPID, CIE, CNS), può visualizzare e scaricare la lettera, nonché gli eventuali allegati di dettaglio. Talora l’Agenzia invia anche un avviso via SMS o email (non PEC) per segnalare che è presente una comunicazione importante nel proprio cassetto fiscale. Solo in subordine – specialmente per contribuenti privati o persone fisiche senza PEC – l’Agenzia può inviare la lettera in forma cartacea tramite servizio postale ordinario all’ultimo indirizzo noto. In ogni caso, il contribuente è tenuto a controllare regolarmente la propria PEC e area riservata, poiché la comunicazione si considera valida dalla data di recapito digitale (anche se non letta, in analogia a quanto avviene per le notifiche via PEC degli atti) e fa decorrere da allora i termini per regolarizzare.

Esempio di contenuto. Immaginiamo la lettera per omesso versamento IVA annuale 2023: essa conterrà il numero di protocollo e data della dichiarazione IVA 2024 (riferita al 2023) presentata, l’importo dell’IVA dovuta secondo la dichiarazione, e l’importo che risulta pagato (ad esempio zero o parziale versamento). Evidenzierà quindi la differenza da versare. Potrebbe riportare una tabella con: imposta dovuta, interessi calcolati fino ad una certa data, sanzione ridotta al 10% (se pagamento entro 30 giorni) o al 16,67% (se oltre 30 giorni ma entro 60). Fornirà poi istruzioni del tipo: “Per regolarizzare l’omesso versamento, effettuare il pagamento tramite modello F24 utilizzando il codice tributo XXXY per l’imposta e il codice tributo 8904 per la sanzione amministrativa, indicando come anno di riferimento il 2023. In caso di pagamento entro 30 giorni dalla presente comunicazione, la sanzione sarà ridotta a 1/3 del 25% (pari al 16,67% dell’imposta non versata). Trascorso tale termine si applicherà la sanzione ordinaria piena (30%) e si procederà all’iscrizione a ruolo.” Nel caso di LIPE omessa, la lettera tipicamente indica il trimestre mancante (es. “II trimestre 2024”) e informa che la violazione è punita dall’art. 11, c.2-ter D.Lgs. 471/97 con sanzione da €500 a €2.000, ridotta a €250 se la comunicazione è presentata entro 15 giorni dal termine. Invita quindi a inviare la LIPE mancante e a versare la sanzione in misura ridotta tramite ravvedimento: per esempio €27,78 se si regolarizza entro 15 giorni (pari a 1/9 di €250), oppure €55,56 se entro 90 giorni (1/9 di €500). Anche qui, troveremo i codici tributo (in questo caso il 8911 per sanzioni da comunicazioni) e le modalità di compilazione del modello F24.

Cosa fare dopo aver ricevuto la lettera: strategie di difesa e adempimenti

Siamo al punto cruciale: come comportarsi concretamente quando si riceve una simile comunicazione dall’Agenzia delle Entrate? Di seguito illustriamo una roadmap in 5 passi, dal momento della ricezione fino all’eventuale fase contenziosa, per tutelare al meglio i propri interessi:

1. Verificare attentamente i dati segnalati

Il primo passo, ovvio ma fondamentale, è leggere con attenzione la lettera e comprendere esattamente l’anomalia contestata. Occorre quindi confrontare i dati forniti dall’Agenzia con la propria contabilità e dichiarazioni. In particolare:

  • Recuperare le dichiarazioni/LIPE e ricevute di versamento relative al periodo indicato. Ad esempio, se la lettera riguarda IVA non versata anno 2023, bisogna reperire copia della dichiarazione IVA 2024 (periodo imposta 2023) e degli F24 versati per saldo o acconti IVA 2023; se riguarda una LIPE mancante, occorre controllare se effettivamente in quel trimestre si è omesso l’invio, oppure se si possiede una ricevuta di invio che può smentire l’Agenzia.
  • Confrontare i numeri. Verificare se l’importo asseritamente non versato corrisponde a quanto risulta dalle proprie scritture. Ad esempio: la lettera dice “IVA dovuta €10.000, versamenti trovati €0”; io verifico nel mio bilancio IVA se quei €10.000 erano effettivamente dovuti (magari erano rateizzati? oppure compensati con crediti?) e se ho effettuato versamenti. In caso di LIPE: la lettera dice “mancata comunicazione II trimestre 2024”; verifico se in effetti non risulta alcuna LIPE inviata per quel trimestre e se invece magari avevo incluso quei dati nell’IVA annuale (quadro VH/VP).
  • Individuare la causa dell’irregolarità. Comprendere perché è successo: dimenticanza, errore materiale, problemi di liquidità, errata interpretazione delle regole? Ciò sarà utile sia per evitare il ripetersi in futuro, sia eventualmente per argomentare se ci sono elementi esimenti. Ad esempio, se l’omesso versamento è dovuto a una temporanea crisi di liquidità poi risolta, oppure se la LIPE non fu inviata perché erroneamente si pensava bastasse l’annuale, ecc. Tali elementi fattuali potranno essere addotti come giustificazione (almeno sul piano dell’appello al buon senso dell’ufficio, se non strettamente esimenti giuridiche).
  • Controllare eventuali errori dell’Agenzia. Può accadere, sia pure di rado, che la comunicazione si basi su dati incompleti o errati. Ad esempio: l’Agenzia potrebbe non aver contabilizzato un versamento F24 perché compilato con un codice tributo errato, oppure attribuito al periodo sbagliato; oppure potrebbe segnalare come omessa una LIPE che invece è stata regolarmente inviata (magari c’è stato un disallineamento nei sistemi). Se dal confronto delle documentazioni emerge che il contribuente ha ragione (ad es. possiede la ricevuta di presentazione della LIPE o la quietanza del pagamento effettuato), sarà importante evidenziare questo errore nella fase successiva di interlocuzione.
  • Rilevare il termine di regolarizzazione. Infine, prendere nota della data entro cui occorre agire indicata nella lettera (es. “entro 30 giorni dalla ricezione”) e segnarsela in agenda. Quel termine delimita il periodo entro cui si può sanare con beneficio delle riduzioni di sanzione offerte; scaduto il quale, l’ufficio procede oltre. È dunque fondamentale non far trascorrere inutilmente tale finestra temporale.

In sintesi, questa prima fase è conoscitiva: capire cosa viene contestato e se la contestazione è fondata. Solo a valle di ciò si potrà decidere la strategia: ravvedersi pagando il dovuto oppure contestare/modificare i dati.

2. Se l’irregolarità è fondata: regolarizzare con ravvedimento operoso

Qualora dalla verifica risulti che effettivamente c’è stata un’omissione o un errore da parte vostra (mancato pagamento, comunicazione omessa, ecc.), la linea d’azione raccomandata – sia dall’Agenzia che nell’interesse del contribuente – è di procedere tempestivamente alla regolarizzazione tramite ravvedimento operoso. Ciò consente di sanare la violazione con sanzioni ridotte proporzionalmente al ritardo, evitando l’aggravio di sanzioni piene e ulteriori atti di accertamento.

Vediamo in pratica come fare nei due scenari tipici:

a) Omesso versamento IVA – Bisogna anzitutto versare l’imposta dovuta. Il pagamento va effettuato tramite modello F24, utilizzando lo stesso codice tributo che si sarebbe usato per il versamento originario. Ad esempio, se trattasi del saldo IVA annuale 2023 non versato, si userà il codice tributo 6099 (Iva saldo); se trattasi di un acconto o di una liquidazione periodica, si useranno i codici mensili/trimestrali corrispondenti (es. 6001 per gennaio, 6032 per il II trimestre, ecc.). Nella sezione “Erario” dell’F24 si indicherà l’anno di riferimento e l’importo dell’imposta. Contestualmente, occorre versare la sanzione ridotta e gli interessi legali maturati. La sanzione ordinaria per omesso/tardivo versamento è del 30% dell’importo non versato (art. 13 D.Lgs. 471/97). Tuttavia, aderendo al ravvedimento operoso la sanzione si riduce in misura via via minore a seconda della tempestività del ravvedimento. Le aliquote di sanzione ridotta sono le seguenti (considerato che dal 2015 il ravvedimento è ammesso anche se sono iniziati controlli, purché prima della notifica di un avviso di accertamento o del recapito dell’avviso bonario):

  • Entro 14 giorni dal termine di pagamento: sanzione 0,1% per ciascun giorno di ritardo (ravvedimento “sprint”), pari a ~1,4% massimo al 14° giorno.
  • Dal 15º al 30º giorno: sanzione fissa 3% (ravvedimento breve, 1/10 del minimo).
  • Oltre il 30º giorno ed entro 90 giorni: sanzione 3,33% (1/9 del minimo).
  • Oltre 90 giorni ed entro 1 anno dalla violazione (termine dichiarazione relativa): sanzione 3,75% (1/8 del minimo).
  • Entro 2 anni dall’omissione: sanzione 4,29% (1/7 del minimo).
  • Oltre 2 anni (ma prima di notifica di atto impositivo): sanzione 5% (1/6 del minimo).

Nota: Le percentuali sopra indicate riflettono il regime del ravvedimento ante riforma 2024, applicabile alle violazioni commesse fino al 31/8/2024. Per le violazioni più recenti, il D.Lgs. 87/2024 ha introdotto la possibilità di ravvedersi anche in fasi ancora più avanzate (dopo un eventuale PVC o atto di accertamento in bozza), con sanzioni ridotte a 1/5 (6%) come ultima soglia. Tuttavia, nella pratica, per non incorrere in un formale avviso di accertamento è opportuno attivarsi ben prima. In ogni caso, questa evoluzione normativa segnala un trend di maggiore apertura: il ravvedimento oggi è ammesso persino dopo la constatazione formale della violazione (fino a prima dell’irrogazione definitiva), sia pure con sanzioni meno ridotte.

Oltre alla sanzione, vanno calcolati e versati gli interessi legali dovuti sull’imposta dal giorno successivo alla scadenza originaria fino al giorno di effettivo pagamento. Il tasso di interesse legale è variato negli ultimi anni: era 5% annuo per tutto il 2023, è 2,5% per il 2024 e scende al 2% dal 1° gennaio 2025. Gli interessi si versano anch’essi con F24, usando il codice tributo 1991 e indicando l’anno di riferimento del debito. Esempio: IVA di €10.000 dovuta al 16/03/2024 e pagata il 30/06/2024 in ravvedimento – interessi calcolati al 2,5% annuo per 106 giorni di ritardo (~€72) da versare con cod. 1991 anno 2023.

Il codice tributo per la sanzione da omesso versamento è l’8904 (sanzioni pecuniarie da ravvedimento per tributi erariali). Dovremo quindi compilare l’F24 con tre righe nella sezione Erario: una per l’IVA (codice tributo proprio, importo imposta), una per la sanzione (cod. 8904, importo calcolato come sopra, anno di riferimento) e una per gli interessi (cod. 1991, importo calcolato, anno di riferimento). Versando in tal modo, la violazione si considera completamente regolarizzata. L’Agenzia, nel caso avesse già inviato un avviso bonario con importi leggermente differenti, prenderà atto del pagamento spontaneo ricevuto. È consigliabile comunque comunicare all’ufficio (es. via CIVIS o PEC) di aver effettuato il pagamento in ravvedimento, allegando copia dell’F24, così da chiudere formalmente la posizione.

b) Omessa LIPE – In questo caso occorre procedere su due fronti: trasmettere la comunicazione mancante e pagare la sanzione prevista per l’omissione. La sanzione base è, come detto, compresa tra €500 e €2.000 per ciascuna comunicazione omessa (art. 11, c.2-ter, D.Lgs. 471/97). Di norma, l’Agenzia applicherà il minimo edittale (€500) salvo circostanze eccezionali. Tale sanzione è ridotta alla metà (€250) se la LIPE viene presentata con un ritardo non superiore a 15 giorni – in pratica la norma concede una breve “tolleranza” entro cui l’adempimento tardivo dimezza la sanzione. In ogni caso, è possibile far ricorso al ravvedimento operoso anche sulle sanzioni fisse, riducendo ulteriormente l’importo da pagare. Si applicano le riduzioni previste dall’art. 13 D.Lgs. 472/97, analoghe a quelle già viste (1/9, 1/8, 1/7, etc.), ma calcolate sull’importo di €500 (o €250 se nei 15 gg). Qui sotto riportiamo una tabella di sintesi:

Sanzione omessa LIPE e ravvedimento (violazione formale ex art.11 c.2-ter D.Lgs. 471/97)

Momento della regolarizzazioneSanzione applicabileImporto (per singola LIPE)
Entro 15 giorni dalla scadenza originaria della LIPE1/9 di €250 (sanzione dimezzata)€27,78 (per ciascuna LIPE)
Entro 90 giorni dalla scadenza1/9 di €500€55,56
Oltre 90 gg ed entro 1 anno dall’omissione1/8 di €500€62,50
Entro 2 anni dall’omissione (ravvedimento lungo)1/7 di €500€71,43
Dopo 2 anni (e prima di notifica contestazione)1/6 di €500€83,33
(Sanzione piena in caso di mancata regolarizzazione)(edittale €500, elevabile fino €2.000)€500 (minimo)

Dalla tabella si evince, ad esempio, che se il contribuente ravvede un’omessa LIPE entro un anno, pagherà circa €62,50 invece di €500; se agisce entro 90 giorni, €55,56; se addirittura entro 15 giorni, solo €27,78. Importi decisamente contenuti, che evidenziano la convenienza del ravvedimento. Il codice tributo per versare queste sanzioni è l’8911 (sanzioni da violazioni tributarie diverse dal pagamento di tributi). Nell’F24 andrà indicato l’anno di riferimento in cui la violazione è stata commessa (esempio: “2024” per una LIPE II trim. 2024 omessa).

Per quanto riguarda la trasmissione della LIPE tardiva, tecnicamente il contribuente può procedere tramite i canali telematici Entratel/Fisconline usando il modulo della comunicazione. Se il termine di invio telematico è scaduto da molto, il sistema potrebbe non accettare l’invio ordinario: in tal caso, le istruzioni dell’Agenzia prevedono di recuperare i dati tramite la dichiarazione IVA annuale, compilando il quadro VH (o VP) con i dati delle liquidazioni omesse. Ad esempio, con la dichiarazione IVA 2025 (presentata entro fine aprile 2025), nel quadro VH il contribuente può inserire i dati delle liquidazioni trimestrali 2024, incluse quelle eventualmente non inviate a suo tempo, sanando così l’omissione dal punto di vista dichiarativo. Nel caso pratico in cui si riceva la lettera prima di aver presentato l’annuale IVA (magari la lettera sulle LIPE 2024 arriva a fine 2024), si può valutare se convenga attendere e regolarizzare attraverso il quadro VH dell’annuale, oppure inviare subito le LIPE tardive. L’importante è pagare le sanzioni ridotte entro il termine indicato. Si noti che l’invio tardivo dei dati di per sé non genera imposta aggiuntiva se l’IVA era stata comunque liquidata e versata (in caso contrario, il problema è duplice: ci sarebbe anche un omesso versamento da ravvedere).

In sintesi, ravvedere un’omessa LIPE comporta: trasmettere i dati (via LIPE tardiva o quadro VH) e pagare la sanzione ridotta con F24. Dopo aver fatto ciò, è opportuno informare l’ufficio (tramite CIVIS o PEC) dell’avvenuta regolarizzazione, così che l’Agenzia non proceda oltre. Spesso, in caso di compliance, l’Agenzia non risponde formalmente dopo il ravvedimento: il silenzio vale conferma che tutto è a posto. In caso di dubbi, si può contattare il call center o l’ufficio territoriale per assicurarsi che la posizione sia stata aggiornata.

3. Se l’anomalia non sussiste o i dati del Fisco sono errati: fornire chiarimenti

Può darsi invece che il contribuente ritenga infondato (in tutto o in parte) quanto segnalato nella lettera. In tale ipotesi è fondamentale attivarsi per comunicare all’Agenzia le proprie controdeduzioni o i dati corretti. Il dialogo collaborativo è proprio l’obiettivo di queste lettere, e il contribuente ha il diritto-dovere di segnalare eventuali elementi, fatti e circostanze non conosciuti all’Amministrazione.

Come procedere? La lettera stessa di norma indica le modalità per fornire chiarimenti. Spesso viene suggerito di utilizzare il canale telematico CIVIS (il sistema online di assistenza sulle comunicazioni di irregolarità), tramite il quale è possibile inviare una richiesta di riesame all’ufficio competente, allegando eventualmente documentazione probatoria. In alternativa, la lettera può indicare un indirizzo PEC dell’Ufficio o un indirizzo email dedicato, oppure un numero di telefono per fissare un appuntamento. L’importante è rispettare il termine indicato (es. 30 o 60 giorni) per inoltrare le proprie spiegazioni.

Alcuni esempi di situazioni da chiarire e come impostare la risposta:

  • Caso di versamento effettuato ma non riconosciuto: ad esempio avete pagato l’IVA dovuta ma avete utilizzato un codice tributo sbagliato o anno errato, sicché il sistema non ha associato il pagamento alla vostra posizione. In tal caso, nella risposta andrà indicato che il versamento è stato eseguito, allegando copia dell’F24 e specificando l’errore materiale (chiedendo eventualmente la rettifica dell’imputazione del versamento). L’ufficio, verificato ciò, annullerà la pretesa.
  • Caso di operazioni esenti/non imponibili conteggiate come omissione di versamento: può accadere che l’Agenzia segnali IVA non versata basandosi sui dati delle fatture elettroniche, senza considerare che alcune operazioni erano esenti IVA (art. 10 DPR 633/72) o soggette a reverse charge. Ad esempio, se un medico ha emesso €80.000 di fatture esenti IVA, il Fisco potrebbe erroneamente aspettarsi un versamento, non vedendo IVA dichiarata (anomalia). In risposta, il contribuente spiegherà che trattavasi di operazioni esenti, quindi nessun versamento dovuto, allegando documentazione (es. copia di alcune fatture esenti).
  • Caso di LIPE non dovuta: ad esempio, il contribuente ha chiuso la partita IVA prima del trimestre in questione oppure rientrava in un regime esonerato dall’invio. Occorrerà documentare questa circostanza (es. copia del certificato di cessazione P.IVA, riferimento normativo dell’esonero) chiedendo l’archiviazione della segnalazione.
  • Errore di compilazione formale: ad esempio, la lettera indica IVA non versata perché nella dichiarazione annuale il contribuente ha erroneamente indicato un debito che in realtà non c’era (magari per un errore nel riporto dei crediti): in questo caso si potrà presentare una dichiarazione integrativa a correzione, spiegando all’ufficio che l’anomalia è stata sanata con l’integrativa (e allegando copia della stessa e ricevuta di invio). Se dall’integrativa risulta che non vi era debito, il caso si chiuderà senza sanzioni.

Nella comunicazione di chiarimenti è opportuno assumere un tono collaborativo e preciso: citare i riferimenti della lettera (protocollo, data), spiegare i fatti con ordine, allegare ogni prova documentale utile (ricevute, estratti conto, copie di dichiarazioni, ecc.). Si consiglia di inviare il tutto tramite un mezzo che dia prova dell’avvenuta consegna (la PEC è l’ideale, oppure attraverso la piattaforma CIVIS che rilascia ricevuta). L’Agenzia dovrebbe rispondere entro qualche settimana, comunicando l’esito: se le spiegazioni sono accolte, generalmente chiuderà la segnalazione senza ulteriori conseguenze. In alcuni casi inviterà il contribuente a presentarsi presso gli uffici per esaminare insieme la documentazione.

Importante: fornire chiarimenti all’ufficio non sospende automaticamente i termini per ravvedersi. Pertanto, se c’è anche solo una parte di irregolarità effettiva, conviene valutare di ravvedersi subito per quella parte, e contestare solo ciò che si ritiene inesatto. Ad esempio, se la lettera indica €10.000 non versati ma in realtà €8.000 li avete pagati (solo che non risultano per un errore), potrebbe essere prudente pagare intanto i €2.000 effettivamente omessi con ravvedimento, e parallelamente spiegare che gli €8.000 restanti sono stati pagati (allegando prova). In questo modo vi coprite da eventuali decadenze sul ravvedimento per la quota certa dovuta.

4. Conseguenze del mancato adempimento: rischi e fase successiva

Cosa accade se il contribuente ignora la lettera e non fornisce né chiarimenti né si ravvede? Trascorso il termine concesso (ad esempio 30 giorni), l’Agenzia delle Entrate **procederà con gli strumenti ordinari di controllo e riscossione】. In pratica:

  • Nel caso di omesso versamento IVA, si passerà dall’avviso bonario all’iscrizione a ruolo dell’imposta, interessi e sanzione piena al 30%. Il contribuente riceverà quindi una cartella esattoriale (ora “cartella di pagamento”) emessa dall’Agente della Riscossione, oppure un Avviso di Accertamento immediatamente esecutivo da parte dell’Agenzia (atto che cumula la funzione di accertamento e titolo esecutivo ai sensi della L.160/2019). In entrambi i casi, l’atto indicherà l’obbligo di pagare entro 60 giorni l’intero importo con sanzioni e interessi aggiornati. A differenza della fase bonaria, questo è un atto impugnabile presso la Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria) entro 60 giorni dalla notifica. Tuttavia, l’impugnazione non sospende automaticamente la riscossione: l’Agenzia potrà comunque esigere un terzo delle somme dopo i 60 giorni, salvo che il contribuente ottenga una sospensione cautelare dal giudice. Inoltre, con l’emissione dell’accertamento esecutivo viene meno ogni possibilità di ravvedimento operoso, dovendosi ormai discutere la questione in sede contenziosa.
  • Nel caso di LIPE omessa non regolarizzata, l’Agenzia provvederà a contestare formalmente la violazione amministrativa. Può avvenire con un atto di contestazione o con un avviso di irrogazione di sanzioni (ex art.16 D.Lgs. 472/97), notificato al contribuente. In tale atto verrà irrogata la sanzione piena di €500 (o 2.000 nei casi gravi), eventualmente ridotta a €250 se la comunicazione era comunque pervenuta entro 15 gg (ma nell’ipotesi di totale omissione, di solito siamo oltre). Il contribuente avrà 60 giorni per pagare oppure impugnare. Da notare che, pagando entro 60 giorni senza contestare (c.d. acquiescenza), si ha diritto alla riduzione della sanzione di 1/3 (art.16, co.3, D.Lgs. 472/97): dunque €500 si ridurrebbero a €333. Se invece non paga né ricorre, dopo 60 giorni la sanzione diviene definitiva e sarà anch’essa iscritta a ruolo con successiva cartella esattoriale. L’omessa LIPE in sé è violazione formale: non comporta importi IVA dovuti, ma segnaliamo che ignorare sistematicamente tali obblighi potrebbe far insospettire il Fisco sulla correttezza dell’IVA dichiarata, aumentando le probabilità di controlli approfonditi.
  • In generale, perdono i benefici della riduzione. Se non si sfrutta la fase bonaria, si andrà incontro a sanzioni piene (30% sul tributo, 500€ per ciascuna LIPE) e maggiori interessi. Inoltre, si perde la chance di pagare con ravvedimento frazionato. Ad esempio, un’omissione che poteva essere sanata pagando il 3% di sanzione, diventa soggetta al 30% pieno dopo che scade l’avviso bonario.
  • Rischio di controlli e accertamenti maggiori. Il mancato riscontro alla compliance può indurre l’ufficio fiscale ad approfondire la posizione. Se l’anomalia segnalata era solo la punta dell’iceberg (es. LIPE omessa che nasconde ricavi non dichiarati), il passo successivo potrebbe essere un controllo formale o una verifica in azienda. Ad esempio, l’omissione di più comunicazioni e pagamenti IVA può sfociare in un accertamento induttivo sull’intero volume d’affari, con contestazione di dichiarazione infedele e sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta non dichiarata. Oppure, laddove vi siano fatture attive registrate ma dichiarazioni mancanti, l’Agenzia potrebbe emettere un avviso di accertamento d’ufficio (art.55 DPR 633/72) per recuperare tutta l’IVA evasa, con sanzione fino al 100% del non versato e interessi. In sintesi, ignorare la lettera spesso equivale a peggiorare la propria situazione, perché si passa dalla “corsia preferenziale” del ravvedimento alle ordinarie azioni repressive.
  • Profilo penale. Un discorso a parte merita il possibile risvolto penale, limitato al caso dell’IVA non versata sopra soglia. L’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa l’IVA dovuta risultante dalla dichiarazione annuale entro il termine previsto (originariamente il termine per il versamento dell’acconto dell’anno successivo, ora modificato). La soglia di punibilità è attualmente €250.000 di IVA non versata per ciascun periodo d’imposta. Fino al 2023 la giurisprudenza di legittimità è stata assai rigorosa nel ritenere irrilevante la crisi di liquidità o altri problemi finanziari del contribuente: la Cassazione ha più volte affermato che la difficoltà economica non esclude il dolo del reato di omesso versamento IVA, salvo casi eccezionali di forza maggiore. Ciò significa che l’imprenditore in crisi di liquidità che sceglie di pagare fornitori e dipendenti anziché versare l’IVA commette comunque reato se supera la soglia. Tuttavia, dal 2024 la normativa penale tributaria è cambiata per effetto del D.Lgs. 87/2024 (riforma sanzionatoria): il termine per il pagamento dell’IVA ai fini penali è stato posticipato al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento, dando più tempo al contribuente per rimediare ed evitare il reato. Inoltre, è stato introdotto nell’art. 13 D.Lgs. 74/2000 un comma 3-bis che esclude la punibilità se il mancato versamento dipende da cause non imputabili al contribuente e non transitorie (in pratica, una crisi di liquidità strutturale e indipendente dalla volontà del debitore). Si tratta di una novità importante, anche se la sua applicazione concreta richiederà rigorosa prova in sede di giudizio. In ogni caso, per restare nell’ambito amministrativo ed evitare problemi penali, la strada maestra è regolarizzare i mancati versamenti prima possibile. Pagando integralmente l’IVA dovuta (anche se in ritardo), infatti, non solo si evita l’accertamento ma si estingue altresì il reato eventualmente già consumato: il ravvedimento operoso con pagamento integrale di imposta, sanzioni e interessi prima dell’apertura del dibattimento penale fa scattare la non punibilità per il reato di omesso versamento. Dunque, ignorare la lettera e lasciare incancrenire il debito IVA è la scelta peggiore, specie se l’importo è prossimo o sopra soglia: meglio attivarsi e trovare una soluzione (pagamento, rateazione, ecc.) onde evitare di passare dal fisco al penale.

Riassumendo, non rispondere alla lettera espone a: sanzioni intere, atti esecutivi impugnabili, aggravio di interessi, eventuali misure cautelari (fermi, ipoteche) da parte di Agenzia Entrate Riscossione, e nei casi gravi, a verifiche più ampie e segnalazioni penali. È quindi nell’interesse del contribuente utilizzare la finestra della compliance per sistemare la posizione o quantomeno per dialogare con l’ufficio spiegando la situazione.

5. Tutele e diritti del contribuente nella fase di compliance

Vale la pena evidenziare che, pur trattandosi di una fase “pre-accertativa” informale, il contribuente mantiene pieni i propri diritti e può avvalersi di una serie di tutele previste dall’ordinamento:

  • Diritto all’informazione e trasparenza: la legge (Statuto del Contribuente, L.212/2000) sancisce il diritto del contribuente di essere informato delle irregolarità riscontrate prima che venga emesso un avviso di accertamento. Le lettere di compliance danno attuazione a questo principio, mettendo a disposizione tutti i dati necessari per capire la propria posizione. Se qualcosa non è chiaro nella comunicazione, il contribuente può chiedere spiegazioni all’Agenzia (anche tramite i canali di assistenza).
  • Tempo per regolarizzare: l’Amministrazione finanziaria, inviando l’invito bonario, si impegna a non emettere atti impositivi prima dello scadere del termine assegnato al contribuente per valutare e rimediare. Questo aspetto è conforme al principio di collaborazione e buona fede (art.10 Statuto del Contribuente). Quindi il contribuente sa di avere un certo periodo garantito per analizzare la questione e decidere il da farsi, senza subire nel frattempo aggravamenti.
  • Possibilità di interlocuzione e autotutela: durante la fase di compliance, l’ufficio è tenuto a prendere in considerazione le osservazioni e prove presentate dal contribuente. Se esse dimostrano un errore del Fisco, l’ufficio deve annullare o rettificare la pretesa in autotutela, senza aspettare che la questione arrivi al contenzioso. Questa è una garanzia importante: ad esempio, se esibisco la prova di un pagamento erroneamente non associato, l’ufficio non può ignorarla, ma è tenuto a ricalcolare il dovuto.
  • Nessun raddoppio sanzioni per collaborazione: un timore diffuso è che “ammettere” un errore possa peggiorare la situazione. Al contrario, la normativa prevede che chi si ravvede spontaneamente ottiene sempre sanzioni ridotte e non subisce pregiudizio dall’aver collaborato. I dati forniti in sede di compliance non possono essere utilizzati per aggravare la posizione, ma solo per regolarizzare. Inoltre, va ricordato che l’adesione all’invito bonario esclude il cumulo di altre sanzioni accessorie (es. non scattano le sanzioni per infedele dichiarazione se si regolarizza quanto contestato in bonis).
  • Assistenza di professionisti: il contribuente ha piena facoltà di farsi assistere dal proprio commercialista o avvocato tributarista durante tutto il procedimento. Può delegare un intermediario all’accesso al cassetto fiscale e a gestire la comunicazione con l’ufficio. In casi complessi, un professionista esperto potrà anche valutare l’opportunità di attivare strumenti come l’accertamento con adesione (nelle fasi successive) per ottenere ulteriori sconti sulle sanzioni.
  • Tutela giurisdizionale eventuale: se infine la questione dovesse sfociare in un atto formale non condiviso, resta sempre la possibilità del ricorso al giudice tributario, con tutte le garanzie del processo (doppio grado di giudizio, richiesta di sospensione, ecc.). Va segnalato però che, qualora il contribuente ignori colpevolmente l’invito bonario e poi in giudizio tenti di opporsi sostenendo magari una causa di forza maggiore non provata in precedenza, ciò potrebbe essere malvisto dal giudice. Invece, aver collaborato e aver eventualmente aderito parzialmente può essere un punto a favore del contribuente che dimostra buona fede.

In sintesi, la fase di compliance è pensata per essere non conflittuale: il contribuente ha la chance di far valere le proprie ragioni senza il formalismo del processo e, se ha davvero commesso un errore, di rimediare con uno sconto di sanzioni. Dall’altro lato, l’Amministrazione è tenuta a un atteggiamento non punitivo ma collaborativo, fornendo informazioni e valutando le risposte. Usufruire di questo spazio di dialogo, quindi, è la scelta migliore.

Esempi pratici e simulazioni (casi reali italiani)

Esponiamo ora alcuni casi esemplificativi che aiutano a capire in concreto come applicare le regole esposte.

Caso 1: Omesso versamento IVA annuale e ravvedimento tardivo
Situazione: La Ditta Alfa Srl presenta la dichiarazione IVA annuale 2025 (anno imposta 2024) indicando un debito IVA a saldo di €15.000. A causa di gravi problemi di liquidità, Alfa Srl non riesce a versare tale importo entro il 16 marzo 2025. Nel mese di settembre 2025 l’Agenzia delle Entrate invia via PEC una comunicazione di irregolarità indicando il mancato versamento di €15.000 relativo all’anno d’imposta 2024, con interessi calcolati e sanzione ridotta al 10% (pari a €1.500) se pago entro 30 giorni.
Cosa fa Alfa: Dopo aver verificato di non aver effettivamente pagato nulla, Alfa decide di ravvedersi subito (senza attendere i 30 giorni) per evitare l’iscrizione a ruolo. Calcola che dal 16/3 al 20/9/2025 (data in cui prevede di pagare) sono trascorsi oltre 90 giorni ma meno di un anno, quindi la sanzione ridotta applicabile è il 3,75%. Su €15.000 ciò equivale a €562,50. Gli interessi legali per quel periodo (tasso 2,5% annuo nel 2024, 2% nel 2025) ammontano a circa €300. Prepara dunque un modello F24 con sez. Erario: cod. 6099 (Iva 2024) €15.000, cod. 8904 (sanzioni) €562,50, cod. 1991 (interessi) €300, anno di riferimento 2024. Investe risorse (magari tramite un prestito) per disporre della liquidità necessaria e paga l’F24 entro i 30 giorni. Contestualmente, tramite il servizio CIVIS, comunica all’Agenzia di aver eseguito il pagamento in data XX/09/2025 e chiede conferma dell’avvenuta regolarizzazione.
Esito: L’Agenzia, ricevuto il pagamento, annulla l’avviso bonario. Nessuna cartella verrà emessa. Sul piano penale, Alfa Srl avendo pagato entro il 31/12/2025 (termine ora rilevante per il reato) evita anche qualsiasi responsabilità penale. Se in futuro dovesse comunque arrivare una contestazione penale, potrà esibire la prova del pagamento integrale: ai sensi dell’art.13 D.Lgs.74/2000, il pagamento integrale estingue il reato.
Note: In questo caso l’errore (mancato versamento) era reale e il contribuente ha sfruttato la compliance per rimediare con costo sanzionatorio contenuto. Se avesse ignorato l’avviso, avrebbe pagato il 30% (€4.500) di sanzioni più interessi maggiori, e avrebbe rischiato il penale (non avendo pagato entro fine 2025). Inoltre sarebbe arrivata probabilmente una cartella entro fine 2026 con ulteriori aggi di riscossione.

Caso 2: LIPE omessa per errore formale (IV trimestre) e ravvedimento oltre un anno
Situazione: Il Sig. Rossi, consulente informatico con P.IVA, nel 2023 omette di inviare la Comunicazione LIPE del 4° trimestre 2022. Probabilmente perché ha confuso l’adempimento: avendo presentato la dichiarazione IVA annuale 2023 (riferita al 2022) regolarmente a marzo 2023, pensava che ciò valesse anche come invio della quarta LIPE, ma in realtà ciò è vero solo se la dichiarazione IVA annuale viene inviata entro fine febbraio (Rossi l’ha inviata a marzo, quindi tecnicamente tardiva per coprire la LIPE). In ogni caso, tutta l’IVA 2022 di Rossi era stata correttamente liquidata e versata: l’omissione è solo formale. Nel luglio 2024, l’Agenzia – nell’ambito delle campagne di compliance sulle LIPE omesse – invia a Rossi una PEC con oggetto “Compliance LIPE omesse anno d’imposta 2022”, segnalando la mancata comunicazione del 4° trimestre 2022. La lettera invita a regolarizzare trasmettendo i dati mancanti e pagando la sanzione ridotta. Rossi si accorge così della dimenticanza. Siamo però a oltre un anno e mezzo dalla scadenza originaria (gennaio 2023 sarebbe stata la scadenza del IV trimestre 2022 in quanto integrato nella dichiarazione presentata tardivamente).
Cosa fa Rossi: Egli verifica che effettivamente nel suo cassetto fiscale non risulta alcuna LIPE Q4 2022. Dato che l’omissione è puramente formale (nessuna imposta evasa), Rossi decide di ravvedere la violazione. Essendo trascorso oltre un anno, secondo le nuove regole 2024 la sanzione può essere ridotta a 1/7 del minimo (in quanto prima di qualunque atto formale). La sanzione piena sarebbe €500; 1/7 è circa €71,4. Rossi compila dunque un F24 con cod. 8911, anno 2022, importo €71 (arrotondato), e contestualmente predispone la comunicazione tardiva dei dati. Non potendo più inviare la LIPE 2022 sul canale ordinario (oramai chiuso), inserisce i dati del IV trimestre 2022 nel quadro VH della sua dichiarazione IVA annuale 2024 (che presenterà per l’anno 2023), indicando gli importi delle liquidazioni periodiche 2022. In pratica, aggiorna il quadro storico delle liquidazioni. Infine, invia tramite PEC all’ufficio una comunicazione sintetica: spiega di aver omesso per errore la LIPE Q4 2022, di aver comunque versato tutta l’IVA dovuta (allega quietanze 2022), di aver integrato i dati nel quadro VH e di aver pagato €71,4 con ravvedimento operoso (allega F24).
Esito: L’ufficio, riscontrato il pagamento e l’aggiornamento dei dati (verificabile dalla dichiarazione annuale integrativa), chiude la segnalazione senza altre sanzioni. Rossi non subisce ulteriori conseguenze.
Note: Questo caso evidenzia come anche obblighi “minori” come le comunicazioni periodiche, se trascurati, comportino sanzioni; ma grazie alla compliance il contribuente ha potuto regolarizzare spendendo circa 70 euro invece di 500. Inoltre, avendo chiarito che l’IVA era stata versata, l’ufficio non avrà motivi per approfondire ulteriormente l’anno 2022 di Rossi.

Caso 3: Lettera per presunta IVA non versata, ma contribuente in regola
Situazione: La Beta S.n.c. gestisce una piccola clinica medica. Nel 2024 ha emesso fatture per €80.000, tutte relative a prestazioni mediche esenti IVA (art. 10 n.18 DPR 633/72). Non avendo effettuato operazioni imponibili, in dichiarazione IVA 2025 Beta indica volume d’affari €80.000 ma IVA dovuta €0 (trattandosi di esente). Tuttavia, l’Agenzia incrocia i dati delle fatture elettroniche emesse da Beta (che riportano importi per €80.000 con natura N4 – esente) e forse per un malfunzionamento li interpreta come imponibili. Così nel settembre 2025 Beta riceve una lettera di compliance che segnala una possibile anomalia: “Dal confronto tra le fatture elettroniche emesse e la dichiarazione IVA 2024 risultano operazioni non assoggettate a IVA. Si invita a verificare la correttezza dei versamenti IVA effettuati.” In sostanza, l’Agenzia sospetta erroneamente che Beta abbia omesso di versare IVA su €80.000 di operazioni.
Cosa fa Beta: I soci di Beta, conoscendo il regime di esenzione, capiscono subito che la segnalazione è frutto di un equivoco. Preparano quindi una risposta via PEC all’Agenzia spiegando che tutte le operazioni 2024 erano esenti IVA ai sensi dell’art.10, trattandosi di prestazioni sanitarie. Allegano copia di alcune fatture emesse (dove si vede chiaramente l’indicazione di esenzione), e richiamano in nota la normativa di riferimento. Dichiarano inoltre che, non essendovi IVA a debito, legittimamente non risultano versamenti per l’anno in questione. Chiedono pertanto l’archiviazione dell’anomalia segnalata.
Esito: Dopo qualche settimana, l’ufficio risponde comunicando che prende atto dei chiarimenti e che la posizione è regolare, chiudendo il caso. Nessuna sanzione viene applicata (non c’era violazione) e Beta non deve pagare nulla.
Note: Questo esempio mostra l’importanza di non ignorare le lettere anche quando si è convinti di essere nel giusto. Fornire chiarimenti documentati ha permesso di risolvere rapidamente l’equivoco. Se Beta avesse ignorato, l’Agenzia magari avrebbe potuto iniziare un controllo più approfondito, con dispendio di tempo per dimostrare solo in seguito l’esenzione. Collaborare fin da subito ha invece evitato inutili contenziosi.

Caso 4: Comunicazione ignorata e successivo contenzioso
Situazione: La Gamma S.p.A. riceve nel 2023 un avviso bonario per omesso versamento IVA 2021 di €300.000. Decide di non pagare né ravvedere, sperando in una qualche definizione agevolata (c.d. “pace fiscale”) o confidando di poter eccepire difficoltà finanziarie. Nel 2024 l’Agenzia iscrive a ruolo il tutto e notifica una cartella per €300.000 + €90.000 di sanzioni (30%) + interessi. Gamma propone ricorso in Commissione Tributaria sostenendo la tesi della forza maggiore per crisi di liquidità dovuta a mancati pagamenti di clienti.
Esito: In primo grado, il giudice respinge il ricorso: rileva che Gamma non ha fornito prove stringenti di una causa di forza maggiore (la crisi di liquidità era reale ma non assoluta, avendo la società privilegiato altri pagamenti), e sottolinea che Gamma non ha utilizzato gli strumenti deflattivi a sua disposizione (ravvedimento o richiesta di rateazione all’Agente della riscossione). La sanzione del 30% viene quindi confermata. Inoltre Gamma, avendo perso in primo grado, è ora tenuta a pagare 2/3 del debito per poter proseguire eventualmente l’appello (condicio sine qua non prevista dall’art.15 DL 34/2019 per i giudizi tributari, salvo sospensive). Gamma si ritrova così in grave difficoltà: ha perso i benefici del pagamento ridotto (che nell’avviso bonario sarebbe stato il 10%) e si trova con pesanti obblighi immediati. Nel frattempo, è partita anche una segnalazione penale per omesso versamento IVA, dato che €300.000 superano la soglia: Gamma cerca di difendersi invocando il nuovo art.13 comma 3-bis (non punibilità per crisi non imputabile), ma il giudizio è incerto perché deve dimostrare che la crisi non era transitoria né dipesa da proprie scelte.
Morale: ignorare la fase di compliance ha messo Gamma nella peggiore delle situazioni, con un contenzioso oneroso e dall’esito incerto. Se avesse invece aderito alla definizione bonaria (o almeno richiesto una dilazione), avrebbe ridotto il carico sanzionatorio e forse evitato di finire all’attenzione della Procura.

Questi esempi – pur semplificati – evidenziano chiaramente che utilizzare attivamente la fase bonaria è sempre consigliabile: sia per risparmiare su sanzioni e interessi, sia per evitare sviluppi futuri peggiorativi. Ogni caso ha le sue peculiarità, ma la strategia vincente è sempre: analizzare – comunicare – regolarizzare.

Domande frequenti (FAQ) su lettere per IVA non versata e LIPE omesse

D: Che cos’è esattamente una “lettera di compliance” che ho ricevuto dall’Agenzia delle Entrate?
R: È una comunicazione informale e preventiva inviata dal Fisco per segnalare una possibile irregolarità (ad esempio un’imposta non pagata o un adempimento omesso) e per invitare il contribuente a verificarla. Non è un avviso di accertamento né una multa già emessa, ma un invito a mettersi in regola spontaneamente con sanzioni ridotte. In pratica è un’opportunità data al contribuente di correggere errori od omissioni prima che scattino le procedure formali di recupero coattivo.

D: Qual è la differenza tra una lettera di compliance e un avviso di accertamento?
R: La differenza è molto significativa. Una lettera di compliance (o un avviso bonario) è un atto non definitivo, che non accerta in via autoritativa un tributo, ma evidenzia discrepanze e chiede chiarimenti o pagamento bonario. Un avviso di accertamento, invece, è un atto impositivo formale e definitivo con cui l’Agenzia determina un’imposta dovuta o una sanzione e ingiunge il pagamento entro 60 giorni, pena l’esecuzione forzata. La lettera di compliance non è impugnabile e consente il ravvedimento, l’avviso di accertamento è impugnabile davanti al giudice (entro 60 gg) ma una volta emesso comporta sanzioni piene e l’interruzione di ogni possibilità di ravvedimento. In sintesi: la compliance è dialogo e prevenzione, l’accertamento è già conflittuale e repressivo.

D: Devo rispondere per forza alla lettera? Cosa succede se la ignoro?
R: Non c’è un obbligo formale di risposta, ma ignorare la lettera è altamente sconsigliato. Se non fate nulla entro il termine indicato, l’Agenzia procederà presumendo che l’anomalia sia confermata. Ciò tipicamente significa: emissione di una cartella di pagamento o di un atto di contestazione con sanzioni piene. In altre parole, perderete i benefici del ravvedimento operoso e vi troverete a dover pagare importi ben maggiori (con il rischio di azioni esecutive) oppure a dover fare ricorso in Commissione tributaria. È sempre meglio utilizzare la fase bonaria per chiarire o regolarizzare: se la contestazione è corretta, ravvedendovi pagherete meno; se è errata, potete farla correggere senza costi. In sintesi, non siete obbligati legalmente a rispondere, ma è nel vostro interesse farlo per evitare conseguenze sfavorevoli.

D: Quanti giorni ho per ravvedermi o rispondere?
R: Dipende da quanto indicato nella comunicazione. Spesso viene concesso un termine di 30 giorni, ma può essere anche di 60 o 90 giorni in certi casi. Ad esempio, per gli esiti dei controlli automatizzati su dichiarazioni, il termine standard per pagare con sanzione ridotta è 30 giorni dalla ricezione dell’avviso bonario. Per alcune lettere di compliance (ad es. anomalie sui dati fatture vs IVA) possono dare 60 giorni. È importante controllare la lettera: in alto o in fondo troverete la frase “entro X giorni dalla data di comunicazione”. Se non è specificato chiaramente, contattate l’ufficio per sicurezza. In ogni caso, anche se per ipotesi scadono i 30 giorni, finché non ricevete un atto formale potete comunque ravvedervi (pagando sanzioni via via meno ridotte, ma sempre inferiori al 30%). Ad esempio, se avevate 30 giorni al 30 settembre ma pagate spontaneamente il 15 ottobre, l’ufficio di solito accetta il ravvedimento (magari al 3,75% anziché 3%). L’importante è non far trascorrere troppo tempo, specie perché dopo un po’ parte la procedura di emissione cartella.

D: Come calcolo esattamente sanzioni e interessi per il ravvedimento?
R: Per la sanzione, bisogna applicare le percentuali ridotte (1/10, 1/9, 1/8, ecc.) alla sanzione base prevista per la violazione. Ad esempio, omesso versamento IVA: sanzione base 30%. Se pago entro 30 giorni → 1/10 di 30% = 3%; entro 90 gg → 1/9 = 3,33%; entro 1 anno → 1/8 = 3,75%, ecc. Oppure, omessa LIPE: sanzione base €500; se ravvedo entro 90 gg → 1/9 di 500 = €55,56; entro 1 anno → 1/8 = €62,50, e così via (vedi tabelle riepilogative). Gli interessi legali si calcolano con la formula dell’interesse semplice: importo dovuto × (tasso annuo in vigore) × (giorni di ritardo / 365). Ad esempio, €10.000 al tasso 2,5% per 100 giorni → interessi ≈ €68. Il tasso va adeguato se cambia negli anni (es. 5% per 2023, 2,5% per 2024). In pratica, l’Agenzia spesso indica già nella lettera gli importi precalcolati per sanzioni e interessi al giorno X: potete quindi fare riferimento a quelli, aggiustandoli eventualmente se pagate in data diversa (gli interessi vanno aggiornati al giorno effettivo di versamento). In alternativa, esistono sul sito dell’Agenzia software di calcolo automatico del ravvedimento: inserendo tipo tributo, importo e data di pagamento, forniscono sanzione e interessi.

D: Devo utilizzare un codice tributo particolare per il ravvedimento?
R: Sì, i versamenti vanno opportunamente “codificati” in F24. Per l’IVA dovuta si usano i normali codici tributo (6001-6002… per i mesi, 6031-6034 per i trimestri, 6099 per saldo annuale, ecc.). Per la sanzione da ravvedimento su imposte si usa il codice 8904 (sanzioni pecuniarie da ravvedimento). Per la sanzione da omessa comunicazione (LIPE) il codice è 8911. Gli interessi vanno con il codice 1991 (interessi da ravvedimento su tributi erariali). Tutti questi codici sono nella sezione “Erario” del modello F24. Attenzione a indicare correttamente l’anno di riferimento: va messo l’anno d’imposta cui si riferisce il debito originario/violazione. Ad esempio, ravvedendo IVA 2022 a settembre 2024, sul rigo interessi metterete “anno di riferimento 2022”. Se avete dubbi, la stessa lettera o il sito AE (sezione codici tributo) riportano tali indicazioni.

D: Posso rateizzare l’importo dovuto?
R: Dipende dalla fase. Durante la fase di ravvedimento non è prevista una rateazione “ufficiale”: il ravvedimento operoso richiede il pagamento spontaneo (integrale) per perfezionarsi. Tuttavia, se l’importo è elevato e non si riesce in un’unica soluzione entro 30 giorni, si può comunque pagare a pezzi consapevoli che ogni pagamento parziale ravvede quella parte (anche se formalmente il ravvedimento totale si perfeziona solo con pagamento completo). L’importante è saldare tutto prima che arrivi l’atto formale. Invece, dopo l’emissione dell’avviso bonario o della cartella, la normativa consente la rateazione secondo regole precise: ad esempio, gli avvisi bonari ex art.36-bis/54-bis con importi fino a €5.000 sono rateizzabili in massimo 8 rate trimestrali, oltre €5.000 fino a 20 rate. La richiesta di rateazione si fa tramite il servizio online dell’Agenzia o presentando istanza all’ufficio competente. Anche le cartelle esattoriali sono rateizzabili (fino a 72 rate mensili standard, o 120 rate in casi di grave difficoltà). Quindi, se siete già in fase di riscossione coattiva, potete chiedere la dilazione all’Agente della Riscossione. Ma nella fase preventiva di compliance, l’unico modo di “diluire” è sfruttare appieno i termini: ad esempio, potete pagare una parte subito e il resto entro i 30 giorni; l’importante è che a fine termine abbiate saldato (così la sanzione ridotta si applica solo eventualmente sulla parte pagata dopo, ma è un tecnicismo). In generale, se prevedete difficoltà, contattate subito l’ufficio: a volte sono disposti a concedere qualche giorno in più o concordare un piano breve (anche se non formalizzato dalla norma).

D: Ho bisogno di più tempo per pagare, posso chiedere una proroga del termine dell’avviso bonario?
R: La legge non prevede formalmente proroghe individuali ai 30 giorni, se non in casi generali (ad es. la sospensione feriale di agosto sospende i termini dal 1° al 31 agosto per legge, quindi se cade in mezzo si allunga automaticamente). Tuttavia, in via di fatto, se siete in contatto con l’ufficio e mostrate la volontà di pagare, spiegando di aver bisogno di qualche settimana in più, spesso l’ufficio aspetta a iscrivere a ruolo, purché il pagamento avvenga in tempi brevi. Non è un diritto esigibile, ma un possibile accomodamento. Ad esempio, se a 30 giorni non avete ancora pagato tutto ma siete in procinto di farlo, comunicatelo all’Agenzia: potrebbero ritardare l’emissione della cartella di qualche settimana. Attenzione però: la sanzione ridotta al 10% in teoria vale solo entro 30 giorni; se pagate oltre, ufficialmente sarebbe 30%, ma se è questione di giorni spesso applicano comunque la riduzione se incassano poco oltre il termine (questo è a discrezione). In definitiva, non c’è proroga legale, ma il dialogo con l’ufficio può evitare guai se manca poco al saldo.

D: Ho già ricevuto una cartella/atto di accertamento: posso ancora definire in modo agevolato?
R: Se si è già oltre la fase bonaria (quindi lettera ignorata, arrivato atto formale), esistono comunque strumenti deflattivi del contenzioso:

  • L’acquiescenza: pagando entro 60 giorni dall’accertamento e rinunciando a impugnare, si ottiene uno sconto del 1/3 sulle sanzioni applicate (art.15 D.Lgs. 218/97). Ad es. sanzione 30% → 20%.
  • L’accertamento con adesione: si può presentare istanza di adesione entro 60 giorni dall’atto, il che sospende i termini di ricorso. Si aprirà un contraddittorio con l’ufficio per eventualmente rideterminare l’imponibile o le sanzioni. Se si trova un accordo, le sanzioni vengono ridotte a 1/3 del minimo previsto per la violazione accertata. Nell’omesso versamento, però, non c’è imponibile da discutere, al più si potrebbe ottenere la riduzione sanzione a ~20%.
  • La conciliazione giudiziale: se fate ricorso, potete in udienza di primo grado trovare un accordo con l’ufficio (concessione di un’ulteriore riduzione sanzioni e rateazione). Conciliare conviene soprattutto se ci sono incertezza e volete chiudere presto.
  • Le definizioni agevolate straordinarie: negli ultimi anni il legislatore ha varato varie “sanatorie” (rottamazione cartelle, definizione liti pendenti, etc.). Ad esempio, nel 2023 c’è stata la “definizione agevolata avvisi bonari 2019-20” con sanzioni ridotte al 3%. Queste misure però sono episodiche. Al luglio 2025, non risultano attive specifiche definizioni per omessi versamenti, ma è sempre possibile che nuove norme intervengano.

In sintesi, anche dopo l’atto esecutivo ci sono vie per mitigare sanzioni o diluire pagamenti, ma sono meno vantaggiose del ravvedimento in fase di compliance.

D: La lettera di compliance è arrivata via PEC ma non l’ho vista in tempo, posso oppormi dicendo che non ne ero a conoscenza?
R: Purtroppo no. Se la PEC è stata recapitata correttamente nella vostra casella, la comunicazione si dà per conosciuta (anche se di fatto non l’avete letta subito). Il sistema PEC genera infatti una ricevuta di consegna con marca temporale: quella fa fede legale della data di ricezione. Quindi eventuali termini (per ravvedersi, per chiedere chiarimenti) decorrono da quella data, indipendentemente dalla vostra lettura effettiva. È cruciale quindi monitorare regolarmente la PEC. Se avete dimenticato di farlo e vi siete accorti tardi della lettera, vi conviene agire comunque subito: ad esempio, se la PEC è arrivata 40 giorni fa e c’era un termine 30gg, siete fuori tempo ma potete ancora provare a ravvedere (magari con sanzione un po’ più alta) e contestualmente spiegare all’ufficio il ritardo. Non è una scusante giuridica, ma qualche ufficio la tollera specie se il ritardo è breve. In ogni caso non potrete mai sostenere validamente “non l’ho mai ricevuta”, perché la ricevuta PEC è opponibile come prova di notifica. Diverso è il caso in cui la PEC fosse non funzionante per colpa del gestore o altri problemi: ma sono ipotesi complesse e rare, e comunque la compliance non essendo un atto impositivo non dà adito a nullità contestabili.

D: Posso impugnare la lettera di compliance o l’avviso bonario per far annullare subito in Commissione la pretesa?
R: No, né la semplice lettera di compliance né la comunicazione di irregolarità ex 36-bis sono atti impugnabili in giustizia. La legge elenca tassativamente gli atti contro cui si può fare ricorso e questi atti “preventivi” non rientrano nell’elenco (sono atti amministrativi non recanti una pretesa tributaria definitiva). Potete solo presentare istanza di autotutela all’ufficio (come spiegato, tramite CIVIS, PEC ecc.). Soltanto se e quando arriverà un atto formale (cartella, accertamento, atto di contestazione) avrete titolo per proporre ricorso. Eccezione: qualora l’Agenzia commettesse l’errore di emettere un atto formalmente impugnabile senza aspettare i 30 giorni (ad esempio una cartella immediata mentre il termine bonario è in corso), allora quell’atto sarebbe impugnabile. Ma in condizioni normali, la lettera in sé non lo è. Quindi non correte subito dal giudice: prima interloquite col Fisco. La Commissione tributaria è l’ultima risorsa e, se la compliance viene gestita bene, spesso non serve proprio andarci.

D: Ho scoperto che in effetti ho evaso dell’IVA non dichiarando alcuni ricavi. Posso sistemare tutto con questa compliance pagando l’IVA ora? Evito l’accertamento?
R: La lettera di compliance potrebbe riguardare solo il mancato versamento di ciò che avevate dichiarato. Se invece non avevate proprio dichiarato una parte di imponibile (ricavi in nero), questa è una violazione diversa: dichiarazione infedele. La compliance talvolta intercetta anche questa, ad esempio segnalando che dalle fatture elettroniche risultano più operazioni di quelle dichiarate. In tal caso la lettera vi inviterà a presentare una dichiarazione integrativa per includere i ricavi non dichiarati e versare la maggiore IVA dovuta con sanzioni ridotte. Se lo fate spontaneamente (ravvedimento per dichiarazione infedele), la sanzione per infedele dichiarazione (90% dell’imposta) si riduce fino a 1/8 se entro un anno dall’omissione, ecc. Insomma, potete “sanare” anche parte di IVA evasa non dichiarata, ma dovrete appunto presentare un’integrativa e pagare la relativa imposta con ravvedimento. Così eviterete un accertamento d’ufficio ben più oneroso. Quindi sì, la compliance può essere usata anche per regolarizzare l’imponibile oltre che il versamento: tipicamente vi dicono “risultano fatture per più di quanto dichiarato, fai integrativa”. Fatelo! Pagherete il 90% ridotto (es. 1/8 = 11,25%) invece che un futuro 90% pieno più interessi.

D: La mia attività ha cessato la partita IVA, ma mi chiedono una LIPE di un periodo successivo alla cessazione. Come mi difendo?
R: Se avete cessato regolarmente la P.IVA (con modello AA7/AA9) prima del trimestre contestato, probabilmente è un errore del sistema. Dovrete dimostrarlo: inviate copia del certificato di cessazione e del modello di cessazione con ricevuta, spiegando che dal tal giorno non eravate più tenuti a LIPE. L’ufficio verificherà l’allineamento dell’anagrafe tributaria. Se invece la cessazione è avvenuta dopo il trimestre contestato, l’obbligo di LIPE per quel trimestre c’era comunque. In quel caso dovete presentarla tardiva e pagare sanzione. Se non l’avete fatto e la P.IVA ora è chiusa, potete ancora inviare la comunicazione tardiva (di solito sì, indicando che il periodo è antecedente alla cessazione) oppure fornire i dati via PEC, e pagare la sanzione. La cessazione non vi esenta dalle sanzioni per obblighi passati non adempiuti.

D: E se dopo aver pagato con ravvedimento mi arriva comunque la cartella?
R: Potrebbe accadere per disallineamenti temporali. Se avete rispettato le indicazioni e pagato tutto, in genere l’iscrizione a ruolo viene bloccata. Se per caso arriva una cartella “in ritardo” per lo stesso debito, non allarmatevi: con tutti i documenti provate che avevate già pagato prima. Inviate subito istanza in autotutela all’Agente della Riscossione e all’AE allegando le ricevute di pagamento: la cartella verrà annullata. Avete diritto all’annullamento perché il debito era già estinto al momento dell’iscrizione. Per precauzione, tenete sempre traccia di tutti i pagamenti e comunicazioni fatti.

D: In futuro come posso evitare di trovarmi in queste situazioni?
R: La miglior difesa è la prevenzione. Assicuratevi di: rispettare le scadenze (magari affidandovi a un commercialista se da soli rischiate di dimenticare), verificare regolarmente il vostro cassetto fiscale (dove compaiono segnalazioni anche prima che vi arrivino lettere), tenere sotto controllo la PEC. Se avete problemi di liquidità e prevedete di non riuscire a pagare un’imposta, valutate per tempo soluzioni come la richiesta di finanziamenti o la rateazione (ad esempio chiedendo di frazionare l’IVA in F24 in più rate mensili da marzo a novembre se consentito). Inoltre, mantenete sempre aggiornata la vostra posizione ai fini dell’anagrafe tributaria (chiusura P.IVA quando cessate, comunicazione recapiti). Infine, un consiglio: non ignorate mai le comunicazioni del Fisco, anche quelle che sembrano “minori” – spesso una risposta tempestiva evita guai seri. Meglio affrontare subito un piccolo problema che lasciarlo crescere.

Tabelle riepilogative

Di seguito presentiamo alcune tabelle di sintesi utili a ricapitolare i punti salienti trattati nella guida.

Tabella 1 – Sanzioni e ravvedimento per omesso versamento IVA (art.13 D.Lgs. 471/97, violazione sostanziale)

Momento del pagamento rispetto alla scadenzaSanzione applicabile su tributo omessoEquivalente percentuale sul tributo
Versamento spontaneo entro 14 giorniRavvedimento sprint: 1/15 del 15% per ogni giorno di ritardo~0,1% al giorno (fino a max 1,5%)
Giorno 15–30 dopo scadenzaRavvedimento breve: 1/10 del 30%3%
31–90 giorni dopo scadenzaRavvedimento intermedio: 1/9 del 30%3,33%
91 giorni – 1 anno (entro dichiarazione annuale)Ravvedimento lungo: 1/8 del 30%3,75%
Entro 2 anni dalla violazione1/7 del 30%4,29%
Oltre 2 anni (prima di accertamento)1/6 del 30%5%
(Dopo notifica avviso bonario/accertamento)Ravvedimento precluso – sanzione ordinaria30% (piena)
In sede di acquiescenza accertamentoRiduzione 1/3 sanzione applicata (art.15 c.2 D.Lgs.218/97)20% (se sanz. base 30%)

Nota: dal 2024, se il pagamento avviene dopo la notifica del PVC o in sede di contraddittorio pre-accertamento, il D.Lgs.87/2024 consente ravvedimenti tardivi con sanzione 1/5 (6%). In ogni caso, prima della notifica di un atto esecutivo, il contribuente può ridurre drasticamente le sanzioni con il ravvedimento.

Tabella 2 – Sanzioni e ravvedimento per omessa LIPE (art.11 c.2-ter D.Lgs. 471/97, violazione formale)

Regolarizzazione omessa LIPESanzione base applicabileImporto per singola LIPE
LIPE inviata con ritardo ≤15 giorniSanzione dimezzata (edittale €250)€250 (senza ravvedimento)
Ravvedimento entro 15 giorni1/9 di €250€27,78
Ravvedimento entro 90 giorni1/9 di €500€55,56
Ravvedimento entro 1 anno1/8 di €500€62,50
Ravvedimento entro 2 anni1/7 di €500€71,43
Ravvedimento oltre 2 anni1/6 di €500€83,33
(Atto di contestazione emanato)Sanzione minima piena€500 (ridotta a €333 se pagata entro 60gg)

Nota: l’importo massimo teorico è €2.000, ma in sede di ravvedimento si assume €500 (minimo edittale). Le somme vanno versate con codice tributo 8911 e anno di riferimento del periodo.

Tabella 3 – Iter procedurale e strumenti difensivi

Fase / AttoCaratteristiche principaliAzioni per il contribuenteVantaggi / Effetti
Lettera di compliance (pre-accertamento)– Segnalazione bonaria di anomalia– Non impugnabile in CT– Nessuna sanzione immediata irrogata– Verificare dati– Ravvedimento operoso (pagamento spontaneo)– Invio chiarimenti/correzioni a AE– Sanzioni ridotte (ravvedimento)– Nessun pagamento aggiuntivo se errore non sussiste– Niente iscrizione a ruolo se si regolarizza
Avviso bonario (esito controllo automatico art.36-bis/54-bis)– Comunicazione formale con quantificazione imposta/sanzioni ridotte– Non impugnabile– Termine 30gg per pagare (o chiarire)– Pagare importo dovuto con sanzione ridotta (di norma 10% entro 30gg)– Richiedere eventuale rateazione (se importo elevato)– Segnalare errori in autotutela (CIVIS)– Pagando entro 30gg: chiusura definitiva posizione, sanzione ridotta 1/3 (es. 10%)– Rateizzando: conserva beneficio sanzione ridotta– Se non si paga: sanzione intera 30%, si passa a cartella
Cartella di pagamento / Avviso Accertamento esecutivo– Titolo esecutivo per importi dovuti (tributo + 30% sanz. + interessi)– Impugnabile in CT entro 60gg– Esecutività parziale dopo 60gg (1/3 importi)– Pagare entro 60gg (eventuale sanzione ridotta 1/3 con acquiescenza)– Oppure presentare ricorso in Commissione (chiedendo, se necessario, sospensione)Acquiescenza: riduzione 1/3 sanzioni (30→20%) se pagato in 60gg– Ricorso: possibilità di far valere difese in giudizio; riscossione limitata a 1/3 in pendenza primo grado– Rateazione possibile (72 rate) se non si impugna o dopo sentenza
Giudizio in Commissione Tributaria– Fase contenziosa: primo grado in Corte Giust. Trib. di primo grado (ex Comm.Prov.)– Decisione impugnabile in appello entro 60gg– Tentare mediazione/reclamo se valore ≤ €50.000 (obbligatorio): possibile accordo con sanzioni ridotte a 1/3 del minimo– Procedere in giudizio producendo prove (es. crisi di liquidità per reato)Mediazione: definizione con sanz. ridotte 35% (per infedele) o 40% (omessa dich.) a volte applicabile– Sentenza favorevole: annulla/reduce somme– Sentenza sfavorevole: obbligo pagare 100% (salvo appello con ulteriore pagamento 2/3)

(CT = Commissione Tributaria; AE = Agenzia Entrate; le percentuali sanzioni indicate sono esemplificative per omessi versamenti)

Conclusioni

Le comunicazioni inviate dall’Agenzia delle Entrate per IVA non versata o LIPE mancanti rappresentano uno strumento moderno improntato alla collaborazione Fisco-contribuente. Dal punto di vista del debitore, ricevere una simile lettera di compliance non deve essere motivo di panico, bensì va visto come un’opportunità: è la chance di chiarire eventuali equivoci o di correggere spontaneamente un errore, evitando sanzioni ben più gravose e l’innesco di un procedimento di accertamento vero e proprio.

Abbiamo visto come il sistema normativo italiano, aggiornato alle riforme più recenti, metta a disposizione del contribuente una serie di strumenti flessibili: dal ravvedimento operoso, ora esteso persino alle fasi immediatamente precedenti l’accertamento, alle varie forme di definizione agevolata (acquiescenza, adesione) se si arriva alla fase contenziosa. L’intento è premiare chi si attiva in buona fede per regolarizzare la propria posizione, penalizzando invece chi persiste nell’inadempimento. In quest’ottica, il miglior consiglio strategico per il contribuente è: non procrastinare. Appena ricevuta la lettera, analizzare i dati, comunicare con l’ufficio per eventuali chiarimenti, e pagare il dovuto approfittando delle sanzioni ridotte. Così facendo, nella maggior parte dei casi la vicenda si chiuderà in sede amministrativa senza ulteriori strascichi. Al contrario, ignorare l’invito bonario espone a un aggravio di costi (sanzioni piene, interessi maggiori, aggi di riscossione) e all’incertezza di un possibile contenzioso o, nei casi estremi, di un procedimento penale.

In conclusione, dal punto di vista del debitore la lettera dell’Agenzia Entrate per IVA non versata o LIPE omesse va affrontata con un approccio proattivo e consapevole. Questa guida, con il suo approfondimento normativo e pratico, ha voluto fornire gli strumenti conoscitivi necessari: comprendere cosa il Fisco contesta, quali sono i propri diritti, e quali le modalità più efficaci per difendersi (che spesso coincidono con il collaborare intelligentemente col Fisco). Seguendo tali indicazioni, il contribuente potrà risolvere la situazione limitando i danni economici e preservando la propria compliance fiscale, senza dover ricorrere – se non strettamente necessario – all’alea di un giudizio tributario. In materia fiscale, prevenire e correggere subito è quasi sempre preferibile a combattere dopo: le lettere di compliance sono l’occasione per mettere in pratica questo principio.

Fonti normative, prassi e giurisprudenza (luglio 2025)

  • Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art.1 commi 634–636: introduzione delle comunicazioni per la promozione dell’adempimento spontaneo (compliance).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art.54-bis: controllo automatizzato delle dichiarazioni IVA e comunicazioni di irregolarità conseguenti (avvisi bonari).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art.13 c.1: sanzione 30% per omesso o tardivo versamento di tributi; art.11 c.2-ter: sanzione da €500 a €2.000 per omessa, incompleta o infedele comunicazione LIPE.
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art.13: disciplina del ravvedimento operoso e riduzione delle sanzioni in funzione del tempo. (Modificato dal D.Lgs. 87/2024 con introduzione di ulteriori soglie di ravvedimento fino a 1/5).
  • Provvedimento ADE 15 luglio 2024 n. 295324/2024: Definizione delle modalità di comunicazione delle anomalie IVA periodo d’imposta 2021 (omesse LIPE e altre discrepanze) nell’ambito delle lettere di compliance.
  • Provvedimento ADE 11 aprile 2025 n. 176284/2025: Incrocio dati fatture elettroniche vs dichiarazione IVA 2022 – invio di lettere di compliance ai soggetti con disallineamenti riscontrati.
  • Risoluzione ADE 28 luglio 2017 n. 104/E: Chiarimenti sull’applicabilità del ravvedimento operoso alle comunicazioni trimestrali IVA (LIPE) e istituzione codice tributo 8911 per il versamento delle relative sanzioni.
  • Circolare ADE n.1/E del 13 gennaio 2023: (richiamata) Agevolazioni e riduzioni sanzioni per definizione avvisi bonari (nell’ambito della “tregua fiscale” 2023).
  • Cassazione Civile, SS.UU. 18 settembre 2014 n.19667: (principio) Comunicazioni di irregolarità ex art.36-bis non impugnabili perché atti non definitivi.
  • Cassazione Penale, Sez. III, 15 settembre 2023 n.37826: In tema di reato di omesso versamento IVA, la crisi di liquidità dell’imprenditore non esclude la responsabilità penale (irrilevanza salvo prova di forza maggiore).
  • Decreto Legislativo 14 giugno 2024, n. 87: Riforma sanzioni tributarie 2024. Modifiche a D.Lgs. 74/2000 art.10-bis e 10-ter: estensione termini a 31 dicembre anno successivo per omesso versamento IVA; introduzione art.13 c.3-bis D.Lgs.74/2000: non punibilità dei reati di omesso versamento IVA/ritenute se il mancato pagamento dipende da causa non imputabile al contribuente (es. mancanza di liquidità non transitoria). Entrata in vigore 29/06/2024.
  • Cassazione Penale, Sez. III, 11 ottobre 2024 n.30532: Applicazione del nuovo art.13 c.3-bis D.Lgs.74/2000 – la crisi di liquidità non transitoria come causa di non punibilità del reato di omesso versamento IVA; condizioni rigorose di prova a carico del contribuente.
  • Statuto del Contribuente (L. 27 luglio 2000, n.212): art.6 (informazione al contribuente sugli esiti dei controlli, invito a fornire dati mancanti), art.10 (tutela dell’affidamento e buona fede, non sanzionabilità in caso di obiettiva incertezza).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218: art.15 (acquiescenza con riduzione sanzioni 1/3), art.6 e 8 (accertamento con adesione, riduzione sanzioni 1/3 del minimo), art.12 (conciliazione giudiziale, sanzioni ridotte).

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