Azienda Cinese In Italia Con Debiti: Come Difendersi

Hai un’azienda cinese operante in Italia e ti trovi in difficoltà a causa di debiti fiscali, bancari o verso fornitori? Hai ricevuto cartelle esattoriali, avvisi di accertamento, blocchi sul conto o richieste di pagamento che non riesci a fronteggiare? Se sei titolare, rappresentante o socio, è fondamentale sapere come difenderti legalmente per salvare l’attività e proteggere il tuo patrimonio.

Cosa succede quando un’azienda cinese in Italia ha debiti?
– L’Agenzia delle Entrate può avviare azioni di riscossione: cartelle, fermi amministrativi, pignoramenti
– Le banche possono revocare affidamenti, chiudere i conti o bloccare le linee di credito
– I fornitori possono agire legalmente per recuperare le somme non pagate
– Se la posizione peggiora, c’è il rischio di liquidazione giudiziale o insolvenza commerciale
– I rappresentanti legali o soci operativi possono essere esposti a responsabilità personali

Chi può essere coinvolto nei debiti di un’azienda cinese in Italia?
– Il legale rappresentante (italiano o cinese) risponde per omissioni fiscali e contributive
– I soci di fatto o gestori occulti possono essere chiamati in causa se risultano operativi
– In caso di società di comodo, le autorità possono contestare l’uso di schermi societari fittizi
– Anche i clienti e fornitori rischiano conseguenze se coinvolti in operazioni irregolari

Come può difendersi un’azienda cinese con debiti in Italia?
– Verificando se gli atti ricevuti sono legittimi, notificati correttamente e fondati
– Contestando cartelle, avvisi o accertamenti viziati tramite ricorso
– Valutando l’accesso alla composizione negoziata della crisi per evitare la chiusura forzata
– Utilizzando la procedura di sovraindebitamento, se l’azienda è individuale o non fallibile
– Richiedendo una rateizzazione dei debiti fiscali e previdenziali
– Attivando un accordo con i creditori, anche stragiudiziale, per bloccare le azioni esecutive
– Tutelando il patrimonio del rappresentante legale con strumenti di difesa personali

Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
Sospensione delle azioni esecutive, blocchi e pignoramenti
Riduzione o annullamento delle sanzioni e degli interessi
Protezione del capitale sociale, dell’attività commerciale e dei beni aziendali
Continuità operativa, anche con ristrutturazione del debito
Esdebitazione finale, se prevista dalla procedura scelta

Quando agire?
Subito. Più si aspetta, più aumentano sanzioni, interessi e rischi patrimoniali. Intervenire con tempestività è fondamentale per salvare l’attività e prevenire danni maggiori.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa di imprese estere e crisi da debito aziendale in Italia ti spiega come reagire se la tua azienda cinese ha debiti in Italia, quali soluzioni legali esistono e come proteggere l’impresa.

Hai ricevuto atti di riscossione o vivi una situazione debitoria complessa? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione e ti diremo quali passi compiere per uscire dalla crisi e salvare la tua azienda.

Introduzione

Un’azienda con capitale cinese e sede legale in Italia che si trova in difficoltà finanziarie deve affrontare i debiti secondo la normativa italiana, al pari di qualsiasi impresa nazionale. In Italia, le società godono in genere di autonomia patrimoniale perfetta, il che significa che i debiti della società gravano solo sul patrimonio sociale e non su quello personale di soci e amministratori. Tuttavia, esistono importanti eccezioni e situazioni in cui i creditori possono rivalersi direttamente sulle persone fisiche coinvolte (soci o amministratori), specialmente se sono state commesse irregolarità o violazioni di legge.

Questa guida offre un approfondimento avanzato – con taglio giuridico ma accessibile – su come un’azienda (in particolare una S.r.l. o altra società di capitali di proprietà cinese operante in Italia) possa difendersi dai creditori e gestire la crisi debitoria dal punto di vista del debitore. Saranno esaminati tutti i principali tipi di debito, gli strumenti legali di tutela, le responsabilità personali di soci e amministratori, nonché le ultime novità normative (aggiornate a luglio 2025) e le sentenze più recenti rilevanti in materia. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici, e una sezione finale di Domande e Risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni.

Nota sul contesto sino-italiano: La circostanza che la società sia “cinese” (ovvero con titolari o management cinesi) non modifica le regole giuridiche applicabili, ma può presentare sfide pratiche (barriere linguistiche, differenze culturali nei rapporti con istituzioni e creditori, ecc.). In ogni caso, la società con sede in Italia sottostà pienamente al diritto italiano, in particolare al Codice Civile, alle leggi tributarie e al nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche, di seguito CCII), oltre che alle norme speciali di settore. Pertanto, la guida tratterà il quadro normativo italiano valido per qualunque società debitrice, evidenziando gli aspetti che potrebbero rilevare per imprenditori stranieri operanti in Italia.

Tipologie di debito e possibili azioni difensive

Una corretta strategia di difesa parte dall’analisi approfondita dei debiti accumulati. È fondamentale distinguere la natura dei debiti – fiscali, previdenziali, bancari, commerciali, verso dipendenti, ecc. – perché ciascun tipo di credito segue regole e procedure differenti. Di seguito esaminiamo le principali categorie di debito e le relative conseguenze, dal punto di vista della società debitrice, indicando per ognuna gli strumenti di tutela o le azioni possibili.

Debiti tributari (Fisco)

I debiti fiscali comprendono imposte statali (es. IVA, IRES, IRAP), tasse locali e tributi vari non pagati. In Italia, i debiti tributari scaduti vengono normalmente affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) per il recupero coattivo. I rischi principali in caso di morosità fiscale sono: l’iscrizione a ruolo e notifica di cartelle esattoriali, l’applicazione di sanzioni ed interessi, e le procedure esecutive come il fermo amministrativo di veicoli, l’ipoteca su beni immobili aziendali e i pignoramenti (di conti correnti, crediti verso terzi, macchinari, ecc.).

Difese e strumenti per la società debitrice:

  • Verifica e impugnazione: È importante verificare la legittimità delle pretese fiscali. Se la cartella esattoriale contiene importi non dovuti o vizi di notifica, la società può presentare ricorso alla giustizia tributaria (Commissione Tributaria) entro i termini di legge, chiedendone l’annullamento. Un’avvertenza: se la pretesa deriva da un avviso di accertamento non contestato a suo tempo, la cartella è solo un atto recuperatorio e i margini di difesa sono ridotti alle irregolarità formali. Diversamente, se l’accertamento è ancora impugnabile, la società può far valere in giudizio le proprie ragioni sul merito del tributo. Ad esempio, una società può opporsi sostenendo di aver già versato l’imposta, o contestando il calcolo, oppure eccependo la prescrizione del tributo.
  • Rateizzazione e definizioni agevolate: Per evitare azioni esecutive immediate, la società può chiedere un piano di rateizzazione della cartella (solitamente fino a 72 rate mensili, estendibili a 120 in caso di grave difficoltà comprovata). Il pagamento dilazionato, se concesso, sospende le azioni esecutive a patto di rispettare le rate. Inoltre, periodicamente il legislatore introduce misure di definizione agevolata (es. “rottamazione delle cartelle”), che consentono di estinguere i debiti fiscali pagando l’imposta senza sanzioni e interessi. Ad esempio, la recente “Rottamazione-quater” (Legge n. 197/2022) ha permesso di regolarizzare i ruoli affidati dal 2000 al 2015 pagando il dovuto in forma agevolata e in più rate (con scadenze previste fino al 2025). Conviene dunque monitorare tali opportunità normative: se aperte, la società può presentare istanza di adesione alla definizione agevolata nei termini previsti ed ottenere lo sgravio di gran parte di sanzioni e interessi.
  • Sospensione e trattative: In presenza di una cartella esattoriale, la società può presentare istanza di sospensione all’Agente della riscossione in caso abbia già pagato il dovuto o ottenuto una pronuncia favorevole (situazioni specifiche previste dall’art. 153 del D.Lgs. 114/2018). In alternativa, nulla vieta di tentare una transazione con il Fisco: nell’ambito di procedure concorsuali o accordi di ristrutturazione, esiste l’istituto della transazione fiscale, che consente di proporre un pagamento parziale delle imposte con il voto favorevole dell’Erario in sede di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione (artt. 63 e 88 CCII).
  • Prevenzione di iniziative aggressive: È cruciale sapere che il Codice della Crisi impone ai creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, INAIL) di segnalare tempestivamente all’impresa e agli organi di controllo eventuali significativi debiti scaduti, invitandola a reagire. Ad esempio, l’Agenzia Entrate-Riscossione deve segnalare se una società di capitali ha debiti affidati per la riscossione > 500.000 € scaduti da oltre 90 giorni (soglie minori valgono per imprese individuali e società di persone). Analogamente, l’INPS segnala ritardi >90 giorni nel versamento di contributi per oltre il 30% di quelli dovuti nell’anno precedente e >15.000 € (in presenza di dipendenti). Tali segnalazioni costituiscono “allerta precoce”: se l’imprenditore non intraprende misure (ad es. accesso alla composizione negoziata) entro i 90 giorni successivi, l’Agente pubblico potrebbe attivarsi richiedendo al tribunale l’apertura di una procedura concorsuale (come la liquidazione giudiziale, cioè il fallimento). Dal punto di vista del debitore, quindi, ricevere una lettera di segnalazione da Fisco, INPS o INAIL è un campanello d’allarme da non ignorare: occorre immediatamente consultare un esperto e valutare un piano di risanamento o l’accesso a procedure per evitare provvedimenti più gravi.

Esempio pratico (debito IVA): La “Alimentari Nihao S.r.l.” ha maturato un debito IVA di 50.000 €, non versando l’imposta per diversi trimestri a causa di crisi di liquidità. Riceve nel 2025 una cartella esattoriale dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, che include sanzioni e interessi. Per difendersi, la società verifica che l’IVA non pagata corrisponda esattamente a quanto dichiarato (non vi sono errori formali da sfruttare) e opta per richiedere una rateazione in 72 rate mensili, così da bloccare i pignoramenti sul conto bancario. Parallelamente, tramite il proprio consulente fiscale, scopre di poter aderire alla “Definizione agevolata 2023” (rottamazione-quater) per cartelle fino al 2015: purtroppo il suo debito IVA è più recente e non rientra, ma la società resta in attesa di eventuali futuri provvedimenti di rottamazione per i ruoli più recenti.

Nel frattempo l’Agenzia comunica anche che, essendo decorso il termine di pagamento, segnalerà la posizione critica: il debito IVA >5.000 € rientra infatti tra le soglie di allerta (IVA scaduta e non versata >5.000 €). La società, allertata da questa comunicazione, si rivolge immediatamente ad un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) per attivare una composizione negoziata, ottenendo così misure protettive (sospensione delle esecuzioni) e cercando un accordo con l’Erario. In questo modo evita che il Fisco chieda direttamente il fallimento e cerca di ristrutturare il debito fiscale con l’aiuto dell’esperto nominato.

In sintesi, per i debiti fiscali: agire per tempo è fondamentale. Il debitore deve valutare se contestare il debito, richiedere piani di pagamento, sfruttare eventuali sanatorie e, se la situazione è grave, utilizzare gli strumenti concorsuali per trattare con il Fisco. Agli amministratori è richiesto di prestare la massima attenzione ai debiti tributari, poiché l’omesso versamento di alcuni tributi può esporli anche a conseguenze penali (ad esempio, il mancato versamento IVA oltre soglie di punibilità o l’omesso versamento di ritenute previdenziali configurano reati tributari). Affronteremo più avanti la responsabilità personale di amministratori e soci su imposte non pagate; basti qui anticipare che, in linea di massima, non esiste una responsabilità automatica dell’amministratore per i debiti fiscali della società (il principio di autonomia patrimoniale regge), ma vi sono ipotesi eccezionali previste dalla legge in cui tale responsabilità scatta e che approfondiremo a breve.

Debiti previdenziali e contributivi (INPS, INAIL)

I debiti verso enti previdenziali (INPS) e assicurativi (INAIL) riguardano principalmente i contributi obbligatori dovuti per i lavoratori dipendenti (contributi pensionistici, assicurazione contro gli infortuni, ecc.) o, nel caso di ditte individuali e soci di alcune società, i contributi dovuti sui propri redditi d’impresa. Questi debiti, se non pagati, seguono procedure di recupero simili a quelle fiscali: l’INPS e l’INAIL iscriveranno a ruolo gli importi e affideranno la riscossione coattiva all’Agenzia Entrate-Riscossione, con emissione di cartelle esattoriali. Anche qui scattano potenziali azioni esecutive (ipoteche, pignoramenti) e sanzioni civili (interessi di mora, aggi). Inoltre, l’omissione contributiva può comportare sanzioni pecuniarie elevatissime (la cosiddetta sanzione civile per omissione, pari al 30% annuo, poi ridotta al tasso legale una volta saldato il dovuto) e, in determinati casi, responsabilità penale. In particolare, il d.lgs. 8/2016 prevede che l’omesso versamento di contributi previdenziali oltre una certa soglia (oggi circa 10.000 € annui per ciascun periodo) costituisce reato, salvo che il datore di lavoro versi integralmente quanto dovuto entro termini specifici (di solito entro 3 mesi dalla contestazione).

Difese e soluzioni:

  • Rateazioni e concordati: Analogamente ai debiti fiscali, anche per contributi INPS e premi INAIL la società può chiedere piani di rateazione agli enti (spesso concessi fino a 24 rate per INPS, con possibilità di durate maggiori in casi eccezionali) oppure aderire alle definizioni agevolate se previste (ad esempio, la “rottamazione” delle cartelle include anche i contributi previdenziali affidati alla riscossione, con stralcio di sanzioni civili). Inoltre, nell’ambito di un eventuale concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, è possibile proporre una transazione contributiva con l’INPS, in parallelo alla transazione fiscale, per pagare in parte i contributi dovuti (art. 63 CCII). Va ricordato però che i contributi previdenziali dei dipendenti sono crediti privilegiati: la legge richiede generalmente che nel concordato i crediti privilegiati siano pagati integralmente salvo differente trattamento autorizzato (si può prevedere una falcidia dei contributi solo se l’INPS acconsente espressamente votando a favore nella procedura).
  • Impugnazioni: Se l’ente contesta importi non dovuti (ad es. contributi prescritti, o richieste errate per qualificazione di lavoro autonomo/dipendente), la società può proporre ricorso amministrativo interno e poi eventualmente ricorrere al giudice del lavoro (Tribunale) contro gli avvisi di addebito INPS o le cartelle inerenti contributi. Spesso però, i margini sono limitati alle questioni di merito (es.: il lavoratore non andava assicurato, ecc.), mentre difficilmente si possono contestare le cartelle se fondate su omissioni contributive accertate e non sanate.
  • Sospensione sanzioni civili: Se la società attraversa reali difficoltà economiche che hanno impedito il versamento tempestivo dei contributi, può chiedere all’INPS la riduzione delle sanzioni civili per omesso pagamento, invocando la cosiddetta “evidente stato di difficoltà economica” ai sensi dell’art. 116 co. 15 Legge 388/2000 (che consente in alcuni casi di ridurre la sanzione dal 30% al tasso legale). Questa è una tutela limitata ma utile post-factum.
  • Allerta INPS/INAIL: Come accennato, anche INPS e INAIL rientrano nei creditori pubblici “qualificati” con obbligo di segnalazione. Nel dettaglio: l’INPS deve segnalare se i contributi non pagati superano il 30% del dovuto annuo precedente e la soglia di 15.000 € (aziende con dipendenti) o 5.000 € (senza dipendenti); l’INAIL deve segnalare premi assicurativi non versati da >90 giorni sopra 5.000 €. Queste segnalazioni, inviate all’imprenditore e all’organo di controllo, invitano a reagire (richiedere la composizione negoziata) e mettono pressione per sanare la situazione. In mancanza di reazione, anche tali enti potranno sollecitare l’apertura di una procedura concorsuale. Dal lato del debitore, dunque, valgono le stesse considerazioni fatte per il Fisco: ignorare queste comunicazioni espone a rischi maggiori, mentre attivarsi (ad esempio, avviando trattative assistite da un esperto con composizione negoziata) può congelare temporaneamente le azioni esecutive e permettere di trovare un accordo con INPS/INAIL.

Esempio pratico (debiti contributivi): La “Marco Polo Moda S.r.l.” (gestita da soci cinesi) ha 5 dipendenti ma, a causa di un calo di vendite, non ha versato contributi per 4 mesi, accumulando un debito contributivo di 20.000 €. INPS invia una PEC segnalando che il debito supera il 30% dei contributi annui e la soglia di 15.000 €, invitando la società a attivare la procedura di aiuto alla crisi. La società, tramite il consulente del lavoro, presenta un piano di rateazione amministrativa in 18 mesi all’INPS, che viene accettato (bloccando così ulteriori sanzioni civili). Contestualmente, la società avvia una trattativa negoziale coinvolgendo un esperto della crisi per riorganizzare i costi del personale (anche valutando una cassa integrazione straordinaria, se accessibile, per ridurre gli oneri) e magari dilazionare ulteriormente il debito contributivo nell’ambito di un accordo di ristrutturazione. In tal modo evita di incorrere in denunce penali (provvedendo a sanare entro breve termine gli importi dovuti ai dipendenti) e mantiene attiva l’azienda.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

I debiti commerciali verso fornitori, prestatori di servizi, locatori (affitto di locali), utenze, e altri creditori non finanziari sono molto comuni. In caso di mancato pagamento, tali creditori possono agire legalmente per il recupero del credito. Tipicamente, il fornitore insoddisfatto può ottenere un decreto ingiuntivo dal tribunale – un’ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva se il credito è provato da documenti (fatture, estratti conto) – e, decorsi i termini, procedere al pignoramento dei beni aziendali (ad esempio, pignoramento del conto corrente, dei beni mobili in magazzino, dei crediti della società verso clienti, ecc.). Alcuni crediti commerciali possono essere assistiti da titoli di prelazione: ad esempio, il locatore di un immobile ha uno speciale privilegio sui beni mobili presenti nei locali affittati a garanzia dei canoni (art. 2764 c.c.), il che gli dà priorità su tali beni in caso di esecuzione.

Difese per la società debitrice:

  • Contestazione del credito: Prima di tutto, se il debito verso un fornitore è controverso (ad esempio, merce difettosa, importo non dovuto interamente per contestazioni sulla qualità, ecc.), la società ha il diritto di resistere alla pretesa. In caso di decreto ingiuntivo notificato, è possibile presentare opposizione entro 40 giorni, esponendo le ragioni per cui il credito non è dovuto in tutto o in parte. L’opposizione apre un giudizio ordinario in cui il debitore può far valere ogni eccezione contrattuale. Durante l’opposizione, se il decreto è provvisoriamente esecutivo, il giudice può sospendere l’esecutorietà in casi gravi. Questa strada è percorribile però solo se vi sono reali motivi di contestazione; opporsi in malafede o senza fondamento espone solo a maggiori spese legali.
  • Soluzioni stragiudiziali (transazioni): Spesso per i debiti commerciali la via migliore è negoziare col creditore una soluzione: ad esempio un piano di rientro volontario (pagamenti frazionati in alcune mensilità) magari riconoscendo una parte di interessi, oppure una transazione a saldo e stralcio in cui il fornitore accetta di chiudere la posizione a fronte di un pagamento inferiore al 100% (usuale se il creditore teme di non recuperare nulla in caso di fallimento del debitore). Tali accordi dovrebbero essere formalizzati per iscritto, e può essere utile coinvolgere un legale che prospetti al creditore la convenienza di evitare lunghe cause o il rischio di insinuarsi in procedure concorsuali. Dal lato della società, una transazione vantaggiosa può ridurre il carico debitorio e risolvere rapidamente la controversia.
  • Mantenere forniture essenziali: Alcuni debiti riguardano fornitori strategici (materie prime indispensabili, utenze come luce/gas). In queste situazioni, comunicare tempestivamente col fornitore è fondamentale: ignorare le richieste può portare all’interruzione delle forniture (ad es. il distacco delle utenze) aggravando la crisi. La società debitrice dovrebbe cercare di trovare un accordo temporaneo (es. pagamento parziale immediato e saldo differito) per assicurarsi la continuità del servizio. Va ricordato che, se la società accede a procedure concorsuali in continuità (ad es. concordato preventivo con esercizio d’impresa), sono previste tutele per i fornitori essenziali: il tribunale può autorizzare il pagamento di tali fornitori strategici per garantire la prosecuzione dell’attività.
  • Clausole contrattuali e garanzie: Spesso i fornitori commerciali operano sotto contratto con clausole di riserva di proprietà (in caso di beni forniti) o con penali per ritardi. Il debitore in difficoltà dovrebbe rivedere i contratti per capire i propri margini: ad esempio, se c’è una riserva di proprietà (art. 1523 c.c.), il bene fornito a rate resta di proprietà del fornitore finché non è pagato interamente; ciò significa che in caso di insolvenza il fornitore può rivendicarlo. Occorre pertanto valutare se convenga restituire certi beni non pagati (per esempio macchinari presi a leasing o vendita con riserva) per evitare l’aggravarsi del debito con ulteriori rate insolute. In ogni caso, la composizione negoziata introdotta dal nuovo Codice consente al debitore di chiedere la sospensione di clausole risolutive per mancato pagamento nei contratti pendenti, così da evitare la risoluzione immediata dei contratti chiave durante le trattative di risanamento (art. 20 CCII).

Esempio pratico (fornitori): La “Shanghai Textile S.r.l.”, azienda tessile, ha debiti per €80.000 verso vari fornitori di tessuto. Uno di essi, creditore di €30.000, ottiene un decreto ingiuntivo. La società ritiene di doverne solo €20.000 perché una partita di tessuto era difettosa e inutilizzabile. Presenta quindi opposizione a decreto ingiuntivo, portando le prove (relazioni tecniche sul difetto) e chiedendo una riduzione del credito. Nelle more del giudizio, propone comunque al fornitore una transazione: offerta di €18.000 immediati a saldo, per evitare ulteriori spese e tempi di causa. Il fornitore, constatando il rischio di esito incerto in giudizio e la difficoltà finanziaria della società, accetta l’accordo. Il decreto ingiuntivo viene così revocato con atto di conciliazione e la società ottiene uno stralcio di €12.000 sul debito originario.

Un altro fornitore di Shanghai Textile, invece, è il locatore del capannone, a cui sono dovuti 6 mesi di affitto arretrato. Il locatore minaccia sfratto per morosità. La società, sapendo di non poter facilmente sostituire l’immobile produttivo, cerca un compromesso: versa 2 mensilità subito (ad es. grazie a un prestito soci) e concorda un calendario per saldare il resto in 4 mesi, ottenendo che il locatore sospenda l’azione di sfratto. Così, l’azienda evita l’interruzione forzata dell’attività e riesce a mantenere il rapporto contrattuale.

Debiti bancari e finanziari

Tra i debiti più rilevanti vi sono spesso quelli verso banche o altri finanziatori (es. società di leasing, fornitori di credito commerciale). Parliamo di mutui, finanziamenti, scoperti di conto, leasing, fidi, ecc. In caso di insolvenza verso la banca, quest’ultima può attivare diverse tutele: se il credito è garantito da ipoteca su un immobile aziendale, potrà agire con esecuzione immobiliare (pignoramento e vendita all’asta del bene ipotecato); se vi è un pegno su beni mobili o titoli, può escutere il pegno (vendita del bene dato in garanzia) anche senza passare dal tribunale, in certi casi, in base al contratto. Molto spesso i finanziatori richiedono ai soci o amministratori garanzie personali (fideiussioni) o aziendali (es. pegno su quote societarie, ipoteche su immobili personali dei garanti) per concedere credito: in tal caso, se la società non paga, la banca escuterà direttamente le garanzie attivandosi contemporaneamente sul patrimonio aziendale e su quello del garante personale.

Difese e opzioni del debitore:

  • Moratorie e rinegoziazione: La prima cosa da fare in caso di difficoltà nel ripagare un finanziamento è dialogare con la banca. Spesso, gli istituti di credito preferiscono evitare una sofferenza creditizia conclamata e possono accordare moratorie (sospensione temporanea delle rate, almeno della quota capitale) o rinegoziazioni del prestito (allungamento del piano di ammortamento, riduzione del tasso, consolidamento dei debiti a breve in un unico finanziamento a lungo termine, ecc.). Ad esempio, durante la pandemia COVID o altre crisi, sono state introdotte moratorie di legge; ma anche in assenza di obblighi normativi, molte banche valutano caso per caso soluzioni per imprese in crisi temporanea. Per la società debitrice, ottenere una moratoria può dare respiro (si sospende il pagamento per alcuni mesi), mentre la ristrutturazione del debito può adattare le uscite finanziarie alla nuova capacità dell’azienda. È utile presentare alla banca un piano finanziario credibile che illustri come l’impresa intende risanarsi e garantire il rimborso in tempi più lunghi.
  • Accordi stragiudiziali con i creditori finanziari: Se la società ha più banche creditrici, si può tentare un accordo corale: ad esempio, un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (già art. 182-bis L.F.), che richiede l’adesione di almeno il 60% dei crediti e l’omologazione in tribunale. In tale contesto, si può proporre alle banche una percentuale di soddisfacimento (ad esempio, pagare il 70% del dovuto in tot anni) motivando che è migliore del realizzo in caso di fallimento. Le banche di solito aderiscono se ritengono di recuperare di più e in meno tempo rispetto alla liquidazione giudiziale. Un’alternativa meno formale è il workout finanziario: la società convoca le banche in meeting e propone un piano comune di allungamento scadenze e magari nuova finanza in cambio di garanzie; se tutte concordano, si sottoscrive un accordo privato (che tuttavia per essere efficace verso possibili dissenzienti va preferibilmente portato a omologazione come accordo ex 57 CCII).
  • Opposizioni giudiziarie: Se la banca agisce legalmente (es. chiede decreto ingiuntivo per saldo conto o rate impagate), la società può opporsi sollevando eccezioni quali: il calcolo di interessi usurari o anatocistici (costi illegittimi che vanno espunti), l’inesistenza parziale del credito (verifiche su tassi, commissioni non dovute, etc.), errori nell’applicazione di clausole contrattuali, o nullità di garanzie. Talvolta le perizie econometriche evidenziano debordi oltre soglie di usura, costringendo la banca a ricalcolare il credito. Queste difese tecniche possono ridurre l’importo dovuto o guadagnare tempo, ma richiedono verifiche specialistiche e sono utili solo se c’è effettivamente materia (i tribunali non apprezzano opposizioni dilatorie infondate).
  • Garanzie personali dei soci/amministratori: Dal punto di vista del socio-garante, la difesa è più complicata: se ha firmato una fideiussione, la banca può agire sul suo patrimonio indipendentemente dalla società. Tuttavia, anche il garante può negoziare: talora la banca è disposta a liberare un garante dietro pagamento di una parte del dovuto (“accordo a saldo e stralcio del garante”), specie se il garante prova di non avere risorse sufficienti o minaccia un procedimento di sovraindebitamento personale. Inoltre, va verificata la validità della fideiussione: alcune fideiussioni bancarie omnibus con clausole standardizzate sono state ritenute nulle dall’Antitrust e dalla Cassazione (violazione normativa antitrust), e un garante potrebbe far valere tale nullità per sottrarsi all’obbligo, ma ciò richiede valutazione legale puntuale e un giudizio.

Esempio pratico (debito bancario): La “Dragon Food S.r.l.” gestisce ristoranti e ha un mutuo bancario residuo di 200.000 € e uno scoperto di conto di 50.000 €. A seguito di perdite, non riesce a pagare le rate. Gli amministratori (due soci cinesi) hanno prestato fideiussione personale per il mutuo. In questa situazione, Dragon Food convoca la banca esponendo la crisi: propone di allungare il mutuo di 5 anni (riducendo la rata mensile) e chiede una moratoria di 6 mesi sulle rate, impegnandosi a iniettare capitale fresco (tramite un nuovo socio finanziatore) per riprendere i pagamenti. La banca accetta di rinegoziare: la rata scende del 30% e per 6 mesi si pagano solo interessi. Questo evita l’insolvenza formale. Tuttavia, lo scoperto di conto resta un problema; la banca segnala che senza rientro chiuderà il fido. La società allora include il debito di 50.000 € in un più ampio accordo di ristrutturazione con i creditori: presenta al tribunale un accordo ex art. 57 CCII dove la banca stessa – unica creditrice finanziaria – è d’accordo per spalmare il rientro del fido in 24 mesi. Il tribunale omologa l’accordo, che vincola anche l’eventuale 40% di fornitori (in realtà già pagati). In tal modo, Dragon Food ottiene tutela legale: nessun creditore può agire individualmente durante l’esecuzione dell’accordo.

Se la banca non fosse stata disponibile, avrebbe potuto agire sull’ipoteca di un immobile della società. Dragon Food avrebbe potuto tentare un’opposizione sostenendo che il tasso di mora pattuito nel mutuo fosse usurario, sospendendo temporaneamente l’esecuzione, ma con esito incerto. Fortunatamente, il dialogo preventivo ha evitato lo scontro legale e la fideiussione personale dei soci non è stata escussa, preservando il loro patrimonio personale.

Debiti verso dipendenti

I debiti verso dipendenti riguardano retribuzioni non pagate, TFR (trattamento di fine rapporto) non corrisposti, indennità varie e contributi trattenuti e non versati. Questi debiti hanno una connotazione particolarmente delicata: il lavoratore ha diritto a essere pagato con precedenza su altri creditori, e la legge tutela fortemente tali crediti. Un dipendente non retribuito può dimettersi per giusta causa e agire in giudizio per ottenere il dovuto. In caso di insolvenza aziendale conclamata (fallimento/liquidazione giudiziale), interviene il Fondo di Garanzia INPS, che anticipa ai lavoratori il TFR e gli ultimi stipendi non pagati (di norma fino a 3 mesi) e poi si surroga nei loro diritti come creditore privilegiato verso l’azienda. Ma prima di arrivare a procedure concorsuali, i dipendenti possono presentare ricorso al Tribunale del Lavoro per decreto ingiuntivo degli stipendi non pagati o possono denunciare la situazione alle autorità (Ispettorato del Lavoro, sindacati), attivando controlli. Inoltre, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle buste paga (cioè la quota a carico del dipendente) oltre una soglia è reato (come già accennato).

Come difendersi (dal lato dell’azienda):

  • Priorità e dialogo: Se l’azienda non è in grado di pagare tutti, i debiti verso i dipendenti vanno considerati prioritari per ragioni sia morali che legali. Mantenere una comunicazione trasparente con i lavoratori è essenziale: spiegare la situazione e, se possibile, concordare dei piani di pagamento degli arretrati (magari con rate sui mesi futuri o appena torna liquidità) può evitare conflitti immediati. A volte i dipendenti, pur tutelati, preferiscono non causare il fallimento del datore (che li lascerebbe senza lavoro) e possono accettare dilazioni se vedono impegno concreto. Eventualmente, si può contrattare collettivamente una temporanea riduzione degli orari o delle retribuzioni (con accordo sindacale) per salvare l’azienda, ma ciò deve rispettare i contratti collettivi e il diritto del lavoro.
  • Strumenti di integrazione salariale: Per difendersi dalla formazione di debiti salariali, l’azienda in crisi potrebbe ricorrere a strumenti quali la cassa integrazione guadagni o altri ammortizzatori sociali (se rientra nelle casistiche previste): in tal modo, il costo del personale è in parte coperto dallo Stato e i dipendenti ricevono comunque un reddito, alleviando la pressione finanziaria sull’impresa. Questo richiede la presenza dei requisiti di legge e l’accordo sindacale, ma può prevenire l’accumulo di arretrati.
  • Procedure concorsuali con esercizio provvisorio: Se la situazione degenera, con l’apertura di una procedura concorsuale (es. concordato preventivo in continuità o liquidazione giudiziale con esercizio provvisorio autorizzato), i dipendenti hanno il vantaggio che i crediti maturati durante la procedura sono considerati crediti prededucibili (cioè da pagare prima di altri). Inoltre, in concordato preventivo l’azienda deve presentare un piano che preveda come trattare i crediti dei lavoratori (di solito vanno pagati integralmente se ci sono beni sufficienti, data la loro natura privilegiata). Dunque, l’avvio tempestivo di un concordato, se c’è ancora attività, può garantire la regolarità dei pagamenti correnti ai dipendenti e includere nel piano gli arretrati pregressi da soddisfare almeno in parte.
  • Responsabilità personale: È bene che gli amministratori si attivino per pagare quantomeno i contributi dovuti ai lavoratori (le ritenute INPS) entro il termine di legge per evitare l’incriminazione per omesso versamento contributi. Se la cassa è vuota, si valuti attentamente l’allocazione delle risorse: pagare prima i dipendenti rispetto ad altri debiti chirografari è non solo eticamente corretto, ma in linea con la graduatoria legale dei crediti (i crediti di lavoro sono privilegiati generale sui beni mobili, ex art. 2751-bis c.c.). Va però anche evitato di compiere pagamenti preferenziali in periodo di insolvenza solo verso alcuni creditori: se l’azienda finirà in bancarotta, il curatore potrebbe agire con azione revocatoria contro pagamenti preferenziali non autorizzati (ma per i dipendenti spesso vi è esenzione dalla revocatoria fallimentare ai sensi della legge, data la natura alimentare dei crediti pagati in buona fede).

Esempio pratico (dipendenti non pagati): La “Bella Cina S.r.l.”, titolare di alcuni negozi, non riesce a pagare le ultime due mensilità ai suoi 5 dipendenti. Temendo vertenze, l’amministratore convoca i lavoratori spiegando che la crisi è temporanea perché si attende un finanziamento. Propone di versare subito il 50% degli stipendi arretrati e il resto in tre tranche mensili, continuando intanto a pagare regolarmente gli stipendi correnti. I dipendenti, avendo fiducia e preferendo mantenere il posto di lavoro, accettano l’accordo informale. Contestualmente, l’azienda presenta richiesta di cassa integrazione straordinaria per 3 mesi a orario ridotto, ottenendo che una parte degli stipendi futuri sia coperta dall’INPS e riducendo così il costo del personale durante la ristrutturazione.

Un dipendente, tuttavia, era già ricorso al giudice del lavoro prima dell’accordo, ottenendo un decreto ingiuntivo per il suo credito. La società, per evitare un pignoramento sul conto, ha immediatamente saldato quel dipendente (preferendolo rispetto ad altri creditori ordinari). In un successivo concordato preventivo, questo pagamento recente ai dipendenti non verrà revocato (i pagamenti delle retribuzioni correnti non sono soggetti a revocatoria concorsuale, trattandosi di atti effettuati nell’esercizio dell’attività normale).

Altre tipologie di debito (sanzioni, debiti civili, ecc.)

Esistono ulteriori debiti che un’azienda può dover affrontare, come: sanzioni amministrative (es. multe per violazioni normative, sanzioni tributarie non penali), risarcimenti danni da cause civili o commerciali, debiti derivanti da fideiussioni escusse (se la società aveva garantito obbligazioni di terzi), ecc. La difesa varia caso per caso:

  • Per le sanzioni amministrative, spesso c’è possibilità di ricorso all’autorità o al giudice di pace/tribunale, ma se definitive, diventano anch’esse cartelle esattoriali. Va valutata la possibilità di chiedere rateazione all’ente (molti enti la concedono, es. sanzioni del Comune, Agenzia Entrate per sanzioni tributarie pecuniarie, ecc.) oppure di includerle nelle procedure di sovraindebitamento (se la società è piccola) o concordati (anche le sanzioni possono essere trattate come chirografarie salvo specifiche esclusioni). Da notare: le sanzioni tributarie colpiscono la società e non i singoli amministratori (salvo illeciti penali), e le recenti riflessioni dottrinali indicano che l’amministratore non risponde in proprio delle sanzioni fiscali della società per violazioni commesse da quest’ultima, trattandosi di obbligazioni proprie dell’ente (diverso è se l’illecito fiscale è personale).
  • Per i debiti oggetto di contenzioso civile (es. una causa di risarcimento in corso), la società dovrà difendersi in giudizio, possibilmente tentando una conciliazione con la controparte per ridurre l’esborso ed evitare una condanna più onerosa. Se il rischio di soccombenza è elevato, accantonare eventuali fondi in bilancio e tenerne conto nel piano di ristrutturazione è prudente. Una volta divenuto definitivo l’obbligo risarcitorio, il creditore potrà agire esecutivamente come un fornitore. Anche in questo caso, se l’azienda entra in concordato o liquidazione, tali debiti concorreranno come crediti chirografari (salvo che il risarcimento derivi da fatto illecito con azione civile, dove potrebbe essere classificato come chirografo o postergato a seconda dei casi).
  • Un caso particolare riguarda i debiti derivanti da revoche di aiuti pubblici o da indebitamento verso soci. Se l’azienda ha ricevuto contributi pubblici e non ha rispettato le condizioni, potrebbe dover restituire le somme: occorre verificare se è possibile transigere con l’ente erogante o presentare un ricorso amministrativo. Per i debiti verso i soci (finanziamenti soci), la legge (art. 2467 c.c. per le S.r.l.) li rende postergati rispetto agli altri creditori: significa che i soci vengono rimborsati solo dopo aver soddisfatto tutti gli altri crediti. Ciò in verità tutela l’azienda debitrice: in caso di crisi, i soci finanziatori non possono pretendere rimborso prima degli altri e dunque quei debiti saranno accantonati in fondo alla lista.

Forma giuridica della società e impatto sui debiti

La forma giuridica dell’azienda incide profondamente sulle responsabilità patrimoniali connesse ai debiti. Un’azienda cinese in Italia può assumere varie forme: tipicamente, gli investitori stranieri costituiscono una società di capitali (come una S.r.l. – Società a responsabilità limitata – o una S.p.A.) per godere della responsabilità limitata, ma talvolta esistono anche società di persone (S.n.c., S.a.s.) o imprese individuali gestite da cittadini cinesi. Di seguito analizziamo le differenze:

Società di capitali (S.r.l., S.p.A.)

Nelle società di capitali vige, per impostazione generale, il principio della responsabilità limitata: la società è un soggetto giuridico autonomo e risponde delle obbligazioni con il proprio patrimonio; i soci non rispondono con i propri beni personali dei debiti sociali, ma rischiano solo il capitale investito. Questo principio di autonomia patrimoniale è sancito dal Codice Civile (art. 2462 c.c. per la S.r.l., art. 2325 c.c. per la S.p.A.). Dunque, i creditori della società non possono di norma aggredire case, conti o beni personali dei soci per soddisfarsi. Allo stesso modo, amministratori e dirigenti non sono personalmente debitori verso i creditori sociali, salvo situazioni particolari (trattate in seguito).

Tuttavia, è fondamentale comprendere alcune eccezioni e situazioni critiche in cui questo “velo” della personalità giuridica può venire meno o in cui, pur restando in piedi, vi sono azioni di responsabilità che indirettamente colpiscono il patrimonio di soci/amministratori:

  • Garanzie personali volontarie: La protezione della responsabilità limitata può essere aggirata contrattualmente se i soci o amministratori firmano garanzie personali per i debiti sociali. Ciò accade di frequente, ad esempio se la banca chiede ai soci di una piccola S.r.l. di fare da fideiussori per un finanziamento. In tal caso, dal punto di vista legale, il socio diventa obbligato solidale verso la banca in forza del contratto di fideiussione: se la società non paga, il socio garantitore sarà tenuto a pagare con i propri beni, indipendentemente dalla responsabilità limitata. Quindi, i soci devono ponderare bene prima di prestare fideiussioni o altre garanzie (pegno su beni personali, avalli) perché rinunciano di fatto al beneficio della limitazione di responsabilità per quel debito specifico. Per difendersi, un socio fideiussore potrebbe in futuro cercare di ottenere la liberazione dalla garanzia (ad esempio se la società trova altro garante, o migliorano le condizioni, può negoziare con la banca la revoca della sua fideiussione) oppure, in caso di escussione, rivalersi sulla società (diritto di regresso) – rivalsa spesso teorica se la società è insolvente. Va menzionato che alcune clausole standard di fideiussione bancaria sono state dichiarate nulle (dalla giurisprudenza, su indicazione Banca d’Italia) perché anticoncorrenziali: ad esempio, le clausole cosiddette “ABI” in passato usate da tutte le banche. Se il garante riesce a dimostrare che la propria fideiussione contiene quelle clausole vietate, potrebbe eccepirne la nullità e sottrarsi al pagamento; è una difesa tecnica da valutare caso per caso e in sede giudiziale.
  • Socio unico e sottocapitalizzazione: In S.r.l. e S.p.A. unipersonali (socio unico), la legge prevede che il socio unico perda la responsabilità limitata se omette determinate formalità pubblicitarie. Ad esempio, se non vengono versati i conferimenti o non si deposita l’atto di essere unico socio al registro imprese, il socio unico risponde illimitatamente dei debiti contratti nel periodo di omissione (art. 2362 c.c. per Spa, esteso alle Srl). Inoltre, se la società è di fatto sottocapitalizzata e i soci effettuano continui finanziamenti anziché capitalizzarla, tali finanziamenti possono venire postergati o considerati apporti di capitale fittizi; se i soci poi ritirano quei fondi prima del fallimento, il curatore li può far restituire (azione di responsabilità ex art. 2467 c.c. sui finanziamenti soci in situazione di capitale inadeguato). Ciò non significa responsabilità illimitata, ma i soci possono perdere il vantaggio di recuperare i propri crediti verso la società perché subordinati a tutti gli altri creditori.
  • Abuso della personalità giuridica: In casi eccezionali, la giurisprudenza italiana ha ammesso una sorta di “lifting del velo” della società, affermando la responsabilità diretta dei soci per debiti sociali quando la società è usata in modo fraudolento come schermo. La Corte di Cassazione ha definito l’“abuso della personalità giuridica” come l’uso distorto dello strumento societario per scopi diversi da quelli leciti, traendo indebitamente vantaggio dalla limitazione di responsabilità oltre i limiti fissati dal legislatore. Ad esempio, se i soci prosciugano sistematicamente le risorse della società a fini personali, confondendo patrimonio sociale e patrimonio personale (commistione), o creano catene societarie fittizie per eludere il Fisco, i creditori potrebbero invocare questo principio. Una recente ordinanza della Cassazione (n. 2284/2025) ha confermato che anche se la società non era originariamente costituita a fini fraudolenti, il suo utilizzo successivo in modo irragionevole sul piano economico, al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti, può configurare abuso e giustificare interventi del Fisco verso i soci. Nel caso specifico, i soci avevano usato la società come schermo per tassare come plusvalenza di partecipazioni quella che di fatto era una plusvalenza immobiliare, beneficiando indebitamente del regime fiscale più favorevole; la Cassazione ha riconosciuto l’abuso e ritenuto i soci coobbligati in solido per le imposte evase. Si tratta comunque di circostanze limite. In ambito civile generale (non tributario), la Cassazione è tendenzialmente restrittiva: in passato ha affermato che l’abuso della personalità giuridica non legittima di per sé un’azione diretta contro il socio, ma semmai un’azione risarcitoria se il socio ha cagionato danni ai creditori con atti distrattivi (quindi non un’automatica estensione di responsabilità, ma un risarcimento per illecito). In sintesi, sebbene non esista in Italia un istituto di “piercing the corporate veil” codificato come in altri ordinamenti, di fatto comportamenti fraudolenti o illeciti dei soci possono condurre a conseguenze analoghe: i creditori o il curatore fallimentare possono agire contro i soci per far dichiarare inefficaci le operazioni di svuotamento della società (revocatoria di atti di distrazione) o per farli condannare a risarcire i danni causati (ex art. 2043 c.c. o art. 2497 c.c. se si configura attività di direzione e coordinamento abusiva). Conclusione: Finché i soci si attengono a un corretto uso della società (separazione dei patrimoni, adeguata capitalizzazione, nessun intento elusivo illecito), la responsabilità rimane limitata e i loro beni personali al sicuro dai creditori sociali.
  • Società capogruppo estera (direzione e coordinamento): Molte aziende cinesi in Italia sono controllate da una casa madre estera. L’ordinamento italiano (artt. 2497 e segg. c.c.) prevede che, se la controllante esercita un’attività di direzione e coordinamento causando atti gestionali dannosi per la controllata, i creditori della società controllata (oltre ai soci di minoranza) possono agire contro la capogruppo per ottenere il risarcimento del danno subito dal patrimonio sociale a causa di quelle scelte gestionali imposte. In pratica, se la capogruppo cinese ha usato l’azienda italiana nell’interesse del gruppo e questo ha leso gli interessi della società e compromesso la solvibilità verso i suoi creditori, la capogruppo può essere chiamata a rispondere con il proprio patrimonio dei debiti eccedenti la capacità solvibile della controllata (nei limiti del danno arrecato). È un meccanismo di tutela peculiare: non rende la capogruppo debitrice solidale di tutti i debiti, ma responsabile del prejudice causato. Ad esempio, se la società italiana ha fatto investimenti antieconomici su istruzione della capogruppo e poi non ha potuto pagare i fornitori, questi ultimi potrebbero far causa alla capogruppo ex art. 2497 c.c. per farsi rifondere. Questo strumento offre ai creditori un’azione di responsabilità “esterna” utile soprattutto in contesti di gruppi societari. Per difendersi, la capogruppo deve dimostrare che le direttive impartite erano nell’interesse anche della controllata o che il danno è stato poi eliminato (compensato da vantaggi).

Società di persone (S.n.c., S.a.s.) e imprese individuali

Le società di persone (Società in nome collettivo, Società in accomandita semplice) e le ditte individuali NON godono della separazione patrimoniale completa tra impresa e persone fisiche (eccetto per i soci accomandanti delle S.a.s., limitatamente). Nella S.n.c., tutti i soci rispondono illimitatamente e solidalmente per i debiti sociali (art. 2291 c.c.). Ciò significa che un creditore della società può chieder conto del debito anche direttamente ai singoli soci, i quali ne rispondono con tutti i loro beni personali (case, conti, ecc.), sebbene con beneficio di escussione del patrimonio sociale: in pratica il creditore dovrebbe prima escutere la società e, se il patrimonio sociale risulta insufficiente, può rivalersi sui soci. Nella S.a.s., solo i soci accomandatari (quelli che amministrano) hanno responsabilità illimitata, mentre i soci accomandanti (quelli che non partecipano alla gestione) rischiano solo il conferimento: tuttavia, se l’accomandante ingerisce nell’amministrazione, perde il beneficio e diventa responsabile illimitatamente anch’egli. Infine, un imprenditore individuale risponde sempre con tutto il proprio patrimonio personale delle obbligazioni dell’impresa (non c’è distinzione tra persona e azienda).

Le conseguenze sono chiare: se un’azienda cinese fosse costituita come ditta individuale o S.n.c., i creditori potrebbero attaccare direttamente i patrimoni personali del titolare o dei soci italiani/cinesi coinvolti, senza dover dimostrare colpe particolari – è la forma giuridica che lo prevede. Ad esempio, un socio di S.n.c. può vedersi ipotecare la casa personale per un debito fiscale della società, o un socio accomandatario di S.a.s. può subire un pignoramento sul suo conto per fatture non pagate dalla società.

Difese possibili in tali forme:

  • Nelle società di persone, l’unica “difesa” strutturale per il socio è recedere dalla società prima che insorgano debiti (ma ciò non lo libera retroattivamente: resta responsabile dei debiti sorti fino al momento dell’uscita, e per quelli futuri per 6 mesi se i creditori non erano informati del recesso).
  • In caso di crisi, i soci illimitatamente responsabili possono valutare la trasformazione della società di persone in società di capitali (S.r.l.) per limitare la responsabilità futura; tuttavia, la trasformazione non libera i soci dalle obbligazioni già esistenti a quella data (art. 2500-quinquies c.c.). Inoltre, se la trasformazione è fatta in frode ai creditori, può essere impugnata.
  • Se una società di persone versa in insolvenza grave, la conseguenza tipica è il fallimento in estensione: secondo la vecchia legge fallimentare (ancora applicabile nel CCII), il fallimento della S.n.c. comporta il fallimento ipso iure di tutti i soci illimitatamente responsabili (art. 147 L.F., ora art. 256 CCII). Ciò vuol dire che i soci diventano anch’essi soggetti a procedura concorsuale con i propri beni. Analogo discorso per l’imprenditore individuale: il suo fallimento coinvolge i suoi beni personali perché non c’è distinzione. Per un socio cinese illimitatamente responsabile, questo scenario è particolarmente invasivo (anche beni eventualmente all’estero potrebbero essere oggetto di azioni di riconoscimento della sentenza di fallimento secondo i trattati internazionali, se presenti).
  • Fortunatamente, il Codice della Crisi prevede che anche le imprese minori (che una volta erano “non fallibili”) possano accedere a procedure di esdebitazione e concordati minori; tuttavia, sul fronte della responsabilità, nulla toglie che il socio illimitatamente responsabile resti tale.

In sintesi: per i soci di società di persone, la protezione del patrimonio personale è inesistente per legge, quindi l’unica strada per “difendersi” è prevenire il sovraindebitamento (gestione prudente, capitalizzazione adeguata) o cambiare forma societaria per il futuro. Una simulazione pratica: due soci cinesi gestiscono un bar come S.n.c.; accumulano debiti con fornitori e Fisco. Un fornitore ottiene un decreto ingiuntivo e pignora il conto personale di uno dei soci: il socio non può opporre che “il debito è della società”, perché per la legge della S.n.c. egli è la società agli occhi del creditore. Gli tocca quindi pagare e poi semmai rivalersi sull’altro socio per la sua parte.

Responsabilità di amministratori e soci (profili personali)

Passiamo ora a esaminare le responsabilità personali che possono gravare su amministratori e soci di una società debitrice. Come già evidenziato, in una società di capitali il regime ordinario prevede la non responsabilità dei soci per i debiti sociali, mentre gli amministratori sono obbligati verso la società per la corretta gestione ma non sono automaticamente debitori verso i creditori della società. Ci sono però situazioni normativamente previste in cui i creditori, o talvolta il Fisco, possono chiedere conto ai singoli degli inadempimenti dell’ente. Inoltre, gli amministratori possono incorrere in responsabilità civili (risarcitorie) e penali se violano i loro doveri gestionali, specialmente in contesto di insolvenza. Analizziamo separatamente i casi di amministratori e soci.

Responsabilità degli amministratori

Gli amministratori di società (sia di capitali che di persone) hanno precisi doveri legali: dovere di agire con diligenza professionale, nell’interesse sociale, rispettando le leggi e lo statuto (art. 2392 c.c. per S.p.A., art. 2476 c.c. per S.r.l.). La riforma societaria e la riforma della crisi hanno accentuato alcuni obblighi: in particolare, dal 2019 l’art. 2086 c.c. impone agli amministratori di “istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato” alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione di rilevare tempestivamente la crisi e adottare le misure necessarie. Ciò significa che non è più accettabile la gestione improvvisata: la legge esige che ci siano controlli interni che segnalino quando la situazione finanziaria degenera, così che gli amministratori attivino gli strumenti di allerta (es. composizione negoziata) prima che sia troppo tardi. La violazione di questo dovere di predisposizione di adeguati assetti può costituire un profilo di responsabilità in sede di azione risarcitoria, qualora da essa derivi un aggravamento del dissesto.

In generale, le principali fattispecie di responsabilità degli amministratori verso i creditori sono:

  • Responsabilità per mala gestio ordinaria: Se con atti di gestione imprudenti, negligenti o contrari alla legge, gli amministratori causano una diminuzione del patrimonio sociale che poi rende insufficiente la garanzia dei creditori, questi ultimi – in caso di fallimento o insolvenza – possono esperire l’azione di responsabilità. Di norma, l’azione di responsabilità verso gli amministratori è esercitata dalla società stessa o, quando la società fallisce (liquidazione giudiziale), dal curatore a nome della massa dei creditori (artt. 2393 e 2394 c.c., ora rifusi negli artt. 255 e 256 CCII). L’azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) richiede che il patrimonio sociale sia divenuto insufficiente a soddisfarli e che tale insufficienza sia causalmente collegata a violazioni dei doveri da parte degli amministratori. Ad esempio, se gli amministratori hanno falsificato i conti o distribuito utili inesistenti, aggravando i debiti, i creditori potranno far valere che il loro mancato pagamento è dipeso da quella condotta. La Cassazione ha più volte ribadito che gli amministratori rispondono personalmente dei danni causati da gestione negligente o fraudolenta che conduce all’insolvenza. Quindi, qual è la difesa per l’amministratore? Prima di tutto, non commettere quelle violazioni: agire con trasparenza contabile, non aggravare la posizione debitoria quando l’azienda è già in crisi (ad esempio evitando di contrarre nuovi debiti che non si potranno onorare, a pena di incorrere in “credito bancario ingiustificato” e possibili accuse di bancarotta per ricorso abusivo al credito). Se poi un’azione viene intentata, l’amministratore potrà difendersi dimostrando di aver agito con la dovuta diligenza (business judgment rule – le scelte imprenditoriali sfortunate non implicano di per sé colpa, se prese con prudenza e in buona fede) e contestando il nesso di causalità tra la propria condotta e il deficit patrimoniale.
  • Gestione in periodo di scioglimento (art. 2486 c.c.): Un caso specifico e frequente di responsabilità è quello degli amministratori che proseguono imperterriti l’attività dopo il verificarsi di una causa di scioglimento (tipicamente, dopo che le perdite hanno eroso il capitale oltre il limite legale, o la società ha azzerato il capitale sociale). In base all’art. 2486 c.c., quando si verifica una causa di scioglimento, gli amministratori devono astenersi da nuove operazioni e conservare l’integrità del patrimonio, limitandosi all’ordinaria amministrazione in attesa della liquidazione. Se invece continuano la gestione “come niente fosse” e magari aggravano il dissesto, rispondono dei danni. La riforma del CCII ha introdotto una presunzione per la quantificazione di tali danni: il terzo comma dell’art. 2486 c.c. (aggiunto nel 2019) stabilisce che, in mancanza di prova contraria, il danno risarcibile causato dagli amministratori che hanno violato il dovere di gestione conservativa è pari alla differenza tra il patrimonio netto al momento in cui avrebbero dovuto cessare la gestione (data della causa di scioglimento) e il patrimonio netto al momento della cessazione effettiva dell’amministrazione o dell’apertura della procedura concorsuale. Inoltre, se le scritture contabili mancano o sono inattendibili, il danno viene quantificato forfetariamente come differenza tra l’attivo e il passivo accertati nel fallimento. Questa norma rende più facile ottenere condanne degli amministratori inadempienti, poiché il curatore (o la società) non deve provare nel dettaglio ogni atto di mala gestio, ma può limitarsi a evidenziare che proseguendo l’attività la perdita si è aggravata di X euro, presumendo quello come danno. Dalla prospettiva di un amministratore, ciò sottolinea l’importanza di non ignorare i segnali di dissesto: se emergono perdite rilevanti (oltre un terzo del capitale nelle S.r.l./S.p.A.) occorre immediatamente convocare l’assemblea e provvedere come da legge (art. 2482-bis c.c.), e se la situazione è irreparabile porre la società in liquidazione o attivare strumenti di composizione della crisi. Continuare a operare come se nulla fosse esponde a gravi rischi personali: i giudici possono condannare l’amministratore a risarcire anche centinaia di migliaia di euro, sulla base di questo criterio presuntivo del differenziale di patrimonio netto. L’unica difesa è dimostrare un diverso ammontare del danno – ad esempio provare che anche se ci si fosse liquidati prima, i creditori avrebbero subito comunque lo stesso pregiudizio (cosa non facile). In assenza di diversa prova, quel differenziale è dovuto. Va notato che la disciplina vale per tutte le società di capitali (non per le società di persone) e coinvolge i sindaci e revisori in solido con gli amministratori se questi non vigilano adeguatamente. Quindi, amministratori (e organi di controllo) devono vigilare sugli indicatori di crisi e agire tempestivamente (ad esempio, il nuovo art. 24 CCII elenca degli indici come debiti verso fornitori scaduti da 120gg superiori ai debiti non scaduti, ecc., che segnalano crisi; l’organo di controllo deve attivarsi e sollecitare interventi). Ignorare questi obblighi può portare a rispondere col proprio patrimonio.
  • Obblighi verso il Fisco e responsabilità ex lege (art. 36 DPR 602/1973): Un ambito cruciale è la responsabilità per debiti tributari durante liquidazioni societarie non corrette. L’art. 36 del DPR 602/1973 (norma tributaria) prevede che – in deroga al principio generale di autonomia della persona giuridica – liquidatori, amministratori e soci possano essere chiamati a rispondere di imposte della società in specifiche circostanze. In particolare:
    • Il liquidatore risponde personalmente delle imposte dovute dalla società qualora, nel ripartire l’attivo in sede di liquidazione, abbia soddisfatto crediti di grado inferiore a quelli erariali o distribuito beni ai soci prima di pagare le imposte dovute. La sua responsabilità è limitata a quanto avrebbe dovuto destinare al Fisco: “commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza”. In sostanza, se il liquidatore chiude la società pagando altri e lasciando il Fisco insoddisfatto, l’Agenzia Entrate potrà chiedere a lui i tributi non pagati.
    • Gli amministratori (anche di fatto) rispondono anch’essi delle imposte in due situazioni: se non ottemperano all’obbligo di mettere la società in liquidazione in presenza di causa di scioglimento fiscale (ad esempio l’oggetto sociale compiuto o l’inattività) oppure se, nei due anni precedenti la liquidazione, compiono operazioni liquidatorie o occultano attività sociali pregiudicando il credito tributario. In pratica, art. 36 comma 2 include il caso di amministratori che, poco prima di liquidare, pagano soci o altri creditori anziché versare le imposte dovute o distraggono beni. La norma si coordina con la disciplina civilistica: ad esempio, se amministratori in carica prima della liquidazione hanno restituito ai soci finanziamenti o distribuito utili fittizi, quelle somme mancheranno all’erario e quindi essi ne rispondono.
    • I soci infine rispondono delle imposte (limitatamente) se hanno ricevuto denaro o altri beni nei due anni antecedenti la liquidazione dagli amministratori, o durante la liquidazione dal liquidatore, e ciò a scapito del Fisco. In altre parole, se i soci si sono fatti assegnare beni sociali, dividendi o rimborsi prima che le imposte fossero pagate, l’Agenzia può chiedere a ciascun socio di restituire quanto avuto (presumendo, salvo prova contraria, che abbiano ricevuto proporzionalmente alla quota di capitale).
    L’art. 36 DPR 602/73 configura quindi una responsabilità patrimoniale “ex lege” in capo a questi soggetti, definita spesso come responsabilità per obbligazione tributaria altrui, di natura civile ma autonoma rispetto a quella societaria. È importante notare che la legge richiede che tale responsabilità sia formalmente accertata dall’Ufficio con un atto motivato notificato all’interessato (art. 36 co.5). Non è una responsabilità automatica: serve un procedimento proprio, con notifica di avviso di accertamento al liquidatore/amministratore/socio, garantendo il contraddittorio. Su questo punto, una recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 3625/2025) ha fatto chiarezza: gli ex amministratori e soci non possono essere coinvolti nel processo tributario senza un loro avviso dedicato; la loro responsabilità “non può essere presunta in via automatica” ma va ancorata all’effettivo arricchimento ricevuto e provata dal Fisco con atto ad hoc. Le Sezioni Unite hanno stabilito che l’Amministrazione finanziaria, per escutere ex soci, deve provare che essi hanno percepito somme in base al bilancio finale di liquidazione, notificando loro un autonomo avviso di accertamento. Solo entro il limite di quelle somme i soci rispondono, e nulla di più. Tale decisione delle SS.UU. garantisce un equilibrio: tutela il diritto di difesa degli ex amministratori/soci, evitando che si trovino debiti fiscali imputati automaticamente solo perché la società è estinta, ma, al contempo, conferma che essi devono pagare se hanno beneficiato di attivo societario a discapito del Fisco. In pratica, dunque, se un amministratore in vista del fallimento paga un fornitore amico invece delle tasse, o se un socio in liquidazione si fa assegnare l’auto aziendale mentre ci sono cartelle non saldate, il Fisco potrà bussare direttamente alla loro porta per recuperare il dovuto (fino a concorrenza del valore assegnato). Un amministratore accorto, per evitare questa responsabilità, deve: 1) pagare sempre i debiti fiscali con precedenza durante la liquidazione, o assicurarsi che restino asset a copertura; 2) non distribuire nulla ai soci se ci sono imposte arretrate; 3) in generale, non lasciare morire la società con debiti tributari, ma attivarsi per piani di risanamento o transazioni fiscali. In caso riceva un avviso ex art.36, potrà difendersi dimostrando di non aver commesso atti di preferenza illecita o che in realtà l’Erario non avrebbe comunque potuto soddisfarsi (ad esempio, se le imposte non pagate erano collegate a crediti contestati). Comunque, la Cassazione ha di recente chiarito che l’Ufficio può notificare l’atto al liquidatore anche senza preventiva iscrizione a ruolo a carico della società se la società è estinta, e che spetta poi al liquidatore contestare nel merito la pretesa tributaria e la propria diligenza. Quindi, attenzione: non ci si può trincerare dietro la mancata iscrizione a ruolo della società, il liquidatore deve difendersi entrando nel merito del perché non ha pagato le imposte e se davvero erano dovute.
  • Responsabilità penale per reati societari/fallimentari: Oltre al profilo patrimoniale civile, gli amministratori in crisi d’impresa possono incorrere in responsabilità penali rilevanti. Qualora la società venga dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), la condotta degli amministratori prima del fallimento verrà scrutinata per ipotesi di bancarotta. La bancarotta fraudolenta è il reato tipico (artt. 322 e segg. CCII, già art. 216 L.F.): scatta se l’amministratore ha distratto o sottratto beni della società, o tenuto le scritture in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio, o fatto altri atti dolosi a danno dei creditori. La bancarotta semplice, invece, punisce condotte come aver aggravato colposamente il dissesto (es. spese personali eccessive, negligenza grave). Inoltre, esistono reati tributari (omessa dichiarazione, dichiarazione fraudolenta, occultamento di documenti contabili) e reati societari (falsità in bilancio) che spesso emergono nelle crisi. Il punto per il nostro tema è: la prospettiva del debitore implica conoscere che certe “furbizie” per sfuggire ai debiti possono portare in tribunale penale. Dunque, cosa NON fare: non spogliarsi dei beni sociali a titolo gratuito o a favore di parti correlate, non occultare contabilità, non preferire scientemente alcuni creditori a scapito di altri in prossimità del fallimento (pagare un creditore pur sapendo di essere insolventi può essere bancarotta preferenziale), non fare nuove obbligazioni quando si è consapevoli di non poterle adempiere (potrebbe integrare profili di truffa ai creditori o abuso di credito). Dal punto di vista difensivo, l’amministratore deve documentare di aver agito in buona fede, di aver tentato soluzioni lecite (ad es. concordato) e di non aver tratto profitto personale dal dissesto. Evitare il fallimento fraudolento passa spesso per la scelta di procedure concorsuali trasparenti: se un concordato preventivo viene eseguito, di solito non c’è spazio per la bancarotta; al contrario, se l’impresa viene lasciata andare a pezzi informalmente e poi fallisce, ogni movimento sospetto verrà contestato. La consapevolezza di questi rischi penali dovrebbe indurre gli amministratori di imprese anche straniere a seguire i canali legali di composizione della crisi piuttosto che soluzioni opache (come portare i soldi in Cina e far chiudere la società senza attivo: sarebbe quasi certamente bancarotta fraudolenta patrimoniale).

Ricapitolando per gli amministratori: Essi non rispondono semplicemente di ogni debito della società, ma possono essere chiamati a pagare di tasca propria i danni causati dalla loro cattiva gestione (azione di responsabilità), le imposte non pagate se hanno violato art.36 DPR 602/73, e possono subire sanzioni penali se il loro operato ha violato la legge fallimentare o tributaria. Per proteggersi, l’amministratore deve gestire con prudenza, dotare l’impresa di sistemi di allerta interna (come richiesto dal 2086 c.c.), non aggravare la situazione una volta in crisi ma attivare gli strumenti di legge (negoziazione, concordato) tempestivamente, e documentare ogni scelta. Strumenti utili includono anche l’assicurazione D&O (Directors & Officers), che copre i rischi di richieste di risarcimento civile verso amministratori (non copre ovviamente le multe penali o il pagamento di imposte dovute, ma può pagare le spese legali di difesa e eventuali risarcimenti per colpa). Molte imprese stipulano tali polizze per i propri amministratori: per un amministratore straniero poco pratico delle insidie italiane potrebbe essere un salvagente aggiuntivo. Resta inteso che dolo e colpa grave spesso escludono l’indennizzo assicurativo, quindi non deve essere un alibi per comportamenti scorretti.

Responsabilità dei soci

Per i soci, occorre distinguere nettamente tra soci di società di capitali e soci di società di persone, poiché la situazione è radicalmente diversa, come già spiegato:

  • Nelle società di persone (S.n.c., soci accomandatari di S.a.s.), i soci hanno responsabilità illimitata diretta: sono essi stessi debitori verso i creditori sociali. Non c’è dunque neppure bisogno di “azioni di responsabilità”: un creditore può aggredire il socio direttamente (salvo preventiva escussione del patrimonio sociale). Tale responsabilità permane anche se il socio esce dalla società, per i debiti contratti durante la sua partecipazione, entro i limiti temporali di legge. Non c’è molto da aggiungere: questi soci sono praticamente equiparati all’imprenditore individuale. L’unica tutela reale per il socio illimitatamente responsabile è strutturare la propria sfera patrimoniale in modo da limitare l’escutibilità: ad esempio, molti coniugi mettono la casa in comunione o intestata al coniuge non socio, oppure spostano parte del patrimonio all’estero (ma quest’ultima prassi potrebbe configurare una frode in caso di fallimento). Queste tattiche esulano dalla legalità stretta e possono essere revocate se fatte per sottrarre garanzie ai creditori. Per esempio, la legge fallimentare consente al curatore di revocare gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni prima del fallimento del socio. Pertanto, sono strumenti di efficacia limitata e rischiosi.
  • Nei soci di società di capitali (S.r.l., S.p.A.), invece, la regola base è la assenza di responsabilità personale per le obbligazioni sociali. I soci (specialmente se di minoranza) che non interferiscono nella gestione godono di una robusta protezione: essi possono al massimo perdere il capitale investito, e non di più. Tuttavia, vi sono scenari in cui anche i soci di s.r.l./s.p.a. possono essere chiamati a rispondere di persona, in parte già delineati:
    • Fideiussioni e garanzie: come detto, se un socio garantisce personalmente un debito sociale, ovviamente ne risponde secondo il contratto di garanzia.
    • Soci amministratori o di fatto: se il socio assume anche il ruolo di amministratore (nelle PMI è comune che i soci siano anche gestori attivi), di fatto egli cumula la posizione di socio e amministratore. In quanto amministratore, potrà incorrere nelle responsabilità viste sopra. Inoltre, anche un socio non formalmente amministratore può essere ritenuto amministratore di fatto se dall’evidenza risulta che dirige lui l’impresa (art. 2639 c.c. in ambito penale definisce l’amministratore di fatto come chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici dell’amministratore). Se, ad esempio, un genitore cinese lascia l’incarico formale di amministratore al figlio ma continua personalmente a prendere tutte le decisioni e a firmare contratti, quel genitore può essere considerato amministratore di fatto e quindi perseguito per bancarotta in caso di fallimento, o destinatario di azione di responsabilità. Su questo la Cassazione ha chiarito che l’amministratore di fatto è equiparato a quello di diritto in quanto a doveri e responsabilità verso i creditori. Quindi i soci che “tirano le fila dietro le quinte” non pensino di essere immuni: la legge li raggiunge se la loro influenza configura gestione di fatto.
    • Responsabilità post-liquidazione (ex soci): quando la società di capitali si estingue, i creditori eventualmente insoddisfatti possono far valere i loro crediti contro i soci, ma solo entro i limiti di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.). Questo concetto è simile a quello già visto per i debiti fiscali, ma è generale per ogni tipo di credito. In pratica, se un socio al termine della liquidazione ha ricevuto €10.000 come riparto finale, e poi spunta un creditore non pagato per €30.000, quel creditore può chiedere al socio al massimo €10.000 (e analogamente agli altri soci in proporzione). Non è una “responsabilità illimitata”, ma un obbligo di restituzione delle somme di liquidazione ricevute, qualora emergano debiti non saldati. Le Sezioni Unite 3625/2025 hanno rimarcato che questo è un presupposto dell’azione contro gli ex soci: serve provare che essi hanno percepito un attivo. Se non hanno avuto nulla (perché la liquidazione si chiude a zero), in teoria non sono tenuti a contribuire (resta solo la responsabilità del liquidatore se ha colpe). Questa regola spiega perché alcuni soci tendono a “svuotare” la società prima di liquidarla senza lasciare bilancio di liquidazione attivo: ma come visto ciò li esporrebbe a conseguenze peggiori (revocatorie, azioni per abuso di liquidazione, ecc.). La via corretta, se si vuole chiudere una società indebitata, è eventualmente proporre ai creditori un concordato o una transazione e, se non possibile, liquidare distribuendo solo quel che eventualmente residua dopo aver pagato il possibile ai creditori. I soci farebbero bene a rinunciare a ricevere qualcosa se i creditori non sono soddisfatti integralmente, per evitare successive rivalse. Infatti, l’esperienza mostra che se un creditore serio scopre che i soci si sono spartiti un attivo e a lui nulla, facilmente li trascinerà in causa ex art. 2495 c.c.
    • Soci colpevoli di atti distrattivi: un socio (anche non amministratore) potrebbe occasionalmente partecipare ad atti che danneggiano i creditori. Per esempio, un socio che riceve consapevolmente beni sociali sottraendoli alle pretese creditorie (ad es., la società gli “vende” a prezzo vile un macchinario quando è già insolvente) potrebbe essere complice di un illecito. In sede di fallimento, il curatore potrebbe coinvolgerlo in un’azione di responsabilità extra-contrattuale per concorso in bancarotta fraudolenta o con un’azione revocatoria per fargli restituire il bene. Quindi, pur non essendo debitore principale, il socio che approfitta indebitamente della società in crisi può vedersi costretto a restituire vantaggi o risarcire danni. L’unica difesa è: non approfittarne, mantenere separate le sfere e non prelevare attivi quando ci sono debiti insoluti.

Protezione personale dei soci (di società di capitali):
I soci investitori, specie se non coinvolti nella gestione quotidiana, possono fare alcune cose per proteggersi:

  • Non dare garanzie personali a cuor leggero, come già detto. Se indispensabili (es. la banca le pretende), valutare di segmentare: ad esempio, se ci sono più soci, magari solo uno dà garanzia dietro compenso interno; oppure porre un limite specifico (fideiussione con importo massimo garantito e scadenza definita).
  • Separare il proprio patrimonio personale: tenere distinte le finanze, evitare confusioni di conti (non prelevare a titolo personale denaro aziendale se non con regolare distribuzione utili, perché ciò appare come commistione di patrimoni). Se il socio straniero ha patrimonio in patria, può contare sul fatto che l’escussione transfrontaliera non è semplicissima (Italia-Cina non ha accordi automatici di esecuzione civile, salvo passare per riconoscimenti di sentenze), ma non dovrebbe fare affidamento su ciò per compiere abusi, bensì considerarlo solo un fattore di rischio per i creditori (il che potrebbe spingerli a cercare soluzioni transattive).
  • Monitorare la gestione: un socio anche non amministratore ha poteri di controllo (nelle S.r.l., ex art. 2476 c.c., il socio può consultare i documenti). È bene che i soci tengano d’occhio eventuali segnali di crisi e insistano perché gli amministratori adottino misure correttive. Se gli amministratori non lo fanno, un socio che ne abbia la possibilità può promuovere un’azione di responsabilità sociale prima che si arrivi al dissesto totale, o revocarli. In questo senso, i soci attivi possono prevenire situazioni che altrimenti li coinvolgerebbero.
  • Assicurarsi sulla liquidazione: se si prevede di chiudere la società e ci sono debiti, i soci dovrebbero accantonare prudentemente risorse per i debiti residui o accordarsi con i creditori prima di liquidare. Prendere tutto e lasciare debiti è legalmente pericoloso. Spesso è preferibile cedere la società (anche a valore simbolico) a terzi che si facciano carico dei debiti, piuttosto che liquidarla distribuendo ai soci quel poco che rimane: la cessione di azienda (o di partecipazioni) evita l’azione ex 2495 c.c. perché la società resta in vita coi debiti a carico del nuovo acquirente (quest’ultimo ovviamente dovrà avere convenienza – qui però attenzione: vendere a prestanome nullatenenti solo per far perdere le tracce può configurare reato).
  • Soci accomandanti: questi sono un caso a parte – hanno responsabilità limitata ma con il divieto di ingerirsi. Devono quindi stare ben attenti a non compiere atti gestori: se rispettano questa regola, rimangono protetti; se la violano, oltre a perdere il beneficio, rischiano anche sanzioni (in passato era pure reato societario per l’accomandante che amministrava).

In conclusione, per un socio di S.r.l. o S.p.A. (come tipicamente è l’investitore cinese in Italia) la legge offre una solida protezione, salvo situazioni eccezionali di abuso. Il core è non confondere i ruoli: lasciare che la società abbia la sua contabilità e patrimonio separati, non usare la società come conto personale, e non svuotarla se le cose vanno male. In caso di difficoltà, la strada migliore per il socio è spronare gli amministratori a trovare soluzioni concordate con i creditori o, in ultima analisi, mettere mano al portafoglio per ripianare parzialmente i debiti (ricapitalizzazione) evitando il tracollo. Ciò può sembrare un sacrificio, ma è spesso l’unico modo per salvare sia l’azienda sia la reputazione e evitare che i creditori si sentano defraudati (situazione in cui cercherebbero ogni appiglio per perseguire i soci ovunque).

Strumenti di difesa del debitore societario

Affrontare i debiti in modo efficace richiede di attivare gli strumenti legali appropriati al momento giusto. Oltre alle singole azioni difensive verso i creditori che abbiamo descritto (rateazioni, opposizioni, transazioni individuali), il diritto concorsuale italiano mette a disposizione delle imprese in crisi una serie di procedure finalizzate al risanamento o alla liquidazione ordinata, che offrono protezioni sia al debitore sia (in diversa misura) ai creditori. Dal punto di vista del debitore, l’uso di queste procedure può essere un potente mezzo di difesa: consente di congelare le azioni esecutive individuali, negoziare in un quadro strutturato e, in caso di esito positivo, ridurre l’ammontare dei debiti da pagare (esdebitazione). D’altra parte, intraprendere una procedura concorsuale è un passo delicato che richiede trasparenza e rispetto delle regole, pena decadenza dei benefici e possibili responsabilità (se il concordato fallisce per colpa del debitore, ad esempio, si può aggravare la posizione).

Presentiamo i principali strumenti disponibili aggiornati al 2025, introdotti o modificati dal nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII):

Approcci stragiudiziali ed “early warning”

Prima di coinvolgere il tribunale, un’azienda può provare soluzioni stragiudiziali. Ne citiamo alcuni:

  • Piano di risanamento attestato (art. 56 CCII, ex art. 67 L.F.): è un piano predisposto dall’impresa con l’aiuto di un professionista indipendente che “attesta” la fattibilità e idoneità a risanare l’esposizione debitoria. Non richiede omologazione in tribunale ma offre un vantaggio: gli atti esecutivi del piano (es. pagamenti a creditori, cessioni di beni) non sono soggetti a revocatoria fallimentare se poi la società fallisce. Serve a dare fiducia ai creditori che accettano il piano. Tuttavia non vincola i dissenzienti: è necessario che tutti o quasi i creditori importanti aderiscano volontariamente. È uno strumento utile se la crisi non è troppo grave e si ha la collaborazione informale dei creditori.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII, ex art. 182-bis L.F.): è un accordo omologato dal tribunale, vincolante per tutti i creditori aderenti, che dev’essere accettato da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. I creditori non aderenti restano estranei (devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione). Ne esistono varianti, ad esempio accordi estesi ai creditori finanziari con percentuali minori (accordo di ristrutturazione agevolato, accordo ad efficacia estesa per banche). Vantaggi: la legge consente di chiedere al tribunale misure protettive (stay delle azioni esecutive) anche solo presentando la domanda di omologazione con il 60% di accordi firmati; inoltre, anche i creditori erariali e previdenziali possono essere inclusi tramite transazione fiscale/contributiva. Dal lato del debitore, è meno gravoso del concordato perché non implica la gestione controllata dell’azienda da parte di commissari. Lo svantaggio è che serve comunque un’adesione qualificata della maggioranza dei crediti, altrimenti non si ottiene l’omologazione.
  • Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. in L.147/2021, ora integrata nel CCII artt. da 12 a 25-quinquies): è una procedura semi-stragiudiziale, introdotta di recente, in cui l’imprenditore in crisi (anche non ancora insolvente) richiede la nomina di un esperto indipendente dal registro tenuto presso le Camere di Commercio. L’esperto aiuta l’imprenditore a negoziare con i creditori un accordo che può assumere varie forme (dal semplice accordo stragiudiziale, all’accordo di ristrutturazione, al concordato). Durante la composizione negoziata, il debitore può chiedere al tribunale misure protettive (blocco delle azioni esecutive) e anche autorizzazioni a contrarre finanziamenti prededucibili o cedere beni non strategici (col placet dell’esperto). È un percorso volontario e confidenziale (inizialmente riservato) che mira a prevenire l’insolvenza o a evitare il fallimento con accordi. Dal lato del debitore, ha vantaggi: nessuna spossessamento, la gestione resta all’imprenditore (l’esperto non ha poteri dispositivi), e la legge prevede incentivi come esoneri di responsabilità per atti compiuti in coerenza col piano di risanamento durante la negoziazione e attenuanti di responsabilità (ad es. in caso di successivo fallimento, il giudice terrà conto dello sforzo di composizione nell’apprezzare eventuali profili di colpa). L’esperto deve redigere una relazione finale; se le trattative falliscono, l’imprenditore può accedere ad un concordato semplificato per la liquidazione (procedura speciale senza voto dei creditori, introdotta nel 2022). Per il nostro imprenditore cinese, la composizione negoziata è consigliabile se c’è ancora speranza di salvare l’azienda: consente di congelare i debiti e cercare soluzioni (nuovi investitori, ristrutturazioni industriali) in un contesto protetto e senza stigma (non è pubblico fino a eventuale richiesta di misure protettive).
  • Moratorie “di sistema” e accordi consortili: Talvolta, in fasi di crisi generale, esistono protocolli bancari o normativi per moratorie settoriali (es. moratoria COVID). Fuori da contesti straordinari, un gruppo di creditori può spontaneamente costituire un pool e sottoscrivere accordi collettivi (ad esempio, nelle ristrutturazioni aziendali di grandi imprese spesso si crea comitato creditori e accordo standstill). Non sono modelli codificati, ma vanno ricordati: il debitore può prendere l’iniziativa di riunire i principali creditori e persuaderli a non agire, offrendo trasparenza e un piano di recupero. Questo è complementare agli strumenti giuridici formali, ma spesso è il passo iniziale.

Tabella riepilogativa – Strumenti pre-concorsuali principali:

StrumentoAdesione creditori richiestaOmologazione tribunaleMisure protettiveVincolo sui dissenzientiUtilizzo tipico
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Consenso di fatto di tutti i principali (non formale)❌ (no omologa)❌ (nessuna)Nessuno (dissenzienti non vincolati)Risanamento informale con tutela da revocatoria; adatto per crisi moderate con creditori collaborativi.
Accordo di ristrutturazione (art. 57 CCII)60% dei crediti (quorum legale)✅ (sì, omologa)✅ (su richiesta)Dissenzienti non vincolati (vanno pagati interamente fuori accordo)Ristrutturazioni finanziarie o multi-creditore, con maggioranza concorde ma qualche minoranza da liquidare separatamente.
Composizione negoziata (artt. 12-25 CCII)Volontaria (nessuna soglia; è processo di trattativa)❌ (no omologa di per sé, ma esito può sfociare in omologa di accordo o concordato)✅ (su richiesta)Non applicabile (non impone accordo, facilita negoziazione)Fase di crisis management assistito, per cercare qualunque tipo di soluzione (accordo privato, accordo ex 57, concordato, cessione azienda).
Transazione fiscale (art. 63 CCII) e contributiva (art. 88 CCII)(Parte di un accordo o concordato)✅ (all’interno dell’omologa di accordo o concordato)✅ (come sopra)Se omologata, vincola Fisco/INPS ad accettare pagamento parziale propostoRiduzione/rateazione di debiti fiscali e contributivi all’interno di procedure concorsuali.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale regolata dagli art. 84 e seguenti CCII (già art. 160 e segg. L.F.), che consente all’imprenditore in crisi o insolvente di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione, con pagamento parziale dei debiti e/o altre forme di soddisfazione, al fine di evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) e preservare eventualmente la continuità aziendale. Dal punto di vista del debitore, il concordato è uno scudo legale: dalla data di ammissione (o anche solo dalla domanda “con riserva”) tutte le azioni esecutive individuali sono sospese (automatic stay ex lege) e i crediti anteriori non possono essere perseguiti se non secondo le regole della procedura. Inoltre, nel concordato in continuità aziendale, l’impresa può continuare a operare sotto la sorveglianza del commissario giudiziale, mantenendo rapporti contrattuali cruciali e tentando il risanamento. Nel concordato liquidatorio, invece, si punta a vendere i beni e distribuire il ricavato ai creditori secondo il piano.

Caratteristiche e requisiti chiave (post riforma 2022):

  • Il debitore propone un piano e una proposta ai creditori. Il piano può prevedere la suddivisione in classi di creditori, trattamenti differenziati, stralci di debito, conversione di crediti in capitale, ecc. È obbligatorio che il piano assicuri ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quanto otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale (principio di convenienza). Serve sempre la relazione di un professionista attestatore che confermi fattibilità e convenienza.
  • Nel concordato in continuità (l’azienda prosegue l’attività, magari ridimensionata), è richiesto che i creditori chirografari ricevano almeno il 20% del loro credito (salvo eccezioni) mentre nel concordato liquidatorio puro il minimo legale è il 10% (art. 84 CCII). Inoltre, nel concordato liquidatorio è necessario un apporto di risorse esterne pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidabile, per incrementare il ricavato per i creditori (questo per scoraggiare l’uso liquidatorio quando il fallimento basterebbe).
  • La procedura: presentazione del ricorso con piano e proposta (o ricorso “in bianco” riserva, ex art. 44 CCII, con piano da depositare entro termini), verifica da parte del tribunale (ammissione), nomina di un commissario giudiziale che vigila e redige una relazione, voto dei creditori (maggioranza per teste e due terzi dei crediti votanti, oppure maggioranza per classi se vi sono classi), omologazione da parte del tribunale (eventualmente anche in caso di dissenso di una o più classi se c’è convenienza – cram down possibile).
  • Un sottotipo recente è il “concordato semplificato per la liquidazione” (art. 25-sexies CCII), riservato all’esito infruttuoso di una composizione negoziata: l’imprenditore, se non è riuscito a trovare accordo, può chiedere direttamente l’omologazione di un concordato liquidatorio senza passare dal voto dei creditori, impegnandosi a distribuire il ricavato della liquidazione secondo le priorità. Questo è concepito come estrema ratio per evitare il fallimento quando non c’è tempo/voto, ma di fatto nel 2023/2024 ha avuto poco impiego e è vista con cautela dai tribunali.

Difesa del debitore col concordato:
Il concordato preventivo è spesso l’arma principale del debitore per prendere l’iniziativa e uscire dalla crisi secondo un piano controllato. Offre diversi vantaggi:

  • Sospende o impedisce azioni esecutive e cautelari dei creditori anteriori (moratoria legale), dando respiro all’azienda.
  • Consente di sciogliere o sospendere unilateralmente determinati contratti in essere, con autorizzazione del tribunale (utile se ci sono contratti onerosi che aggravano la crisi).
  • Permette di ottenere nuova finanza interinale autorizzata (che sarà prededucibile, quindi incentivando i finanziatori a concederla).
  • Dopo l’omologazione, il debitore è esdebitato per la parte di debito eccedente quanto promesso nel concordato: se rispetta il piano, i creditori non possono più vantare pretese ulteriori (anche se hanno ricevuto magari 30 centesimi per euro).
  • Gli amministratori conservano la gestione ordinaria durante la procedura (nel concordato con continuità), sotto vigilanza del commissario; per atti straordinari serve autorizzazione del tribunale.
  • Evita dichiarazione di fallimento e relative conseguenze (interdizioni, ecc.). Anzi, a esito positivo, la società può proseguire l’attività ripulita dai debiti insostenibili.

Gli svantaggi e rischi: il concordato richiede trasparenza e consenso. Se i creditori (o il tribunale) percepiscono che la proposta non è soddisfacente o sincera, la procedura può essere rigettata o revocata. Il debitore deve quindi mettere sul piatto tutto l’attivo disponibile e spesso anche risorse esterne (ad esempio apporti dei soci) per convincere i creditori. Per un imprenditore straniero, potrebbe essere necessario sacrificare risorse personali o di gruppo per supportare il concordato (ad esempio, la casa madre cinese potrebbe immettere liquidità per pagare una percentuale ai creditori).

Dal punto di vista pratico, se l’azienda è ancora valida (ha mercato, ma è sovraindebitata), la continuità aziendale in concordato può salvare l’impresa e i posti di lavoro. Il piano di continuità può includere un investitore terzo che subentra (c.d. concordato in continuità indiretta, tramite affitto d’azienda durante la procedura e successiva cessione). Se invece l’azienda non è più sostenibile, il concordato liquidatorio serve principalmente a evitare ai soci e amministratori alcune conseguenze peggiori di un fallimento, oltre che dare ai creditori una soddisfazione ordinata e forse leggermente maggiore grazie ad apporti esterni.

Esempio di concordato in continuità: La “Italia Moda S.r.l.” (di proprietà cinese) ha 10 negozi di abbigliamento. La crisi l’ha resa insolvente con 3 milioni di debiti, ma il core business è ancora redditizio. Presenta un concordato in continuità: piano di durata 5 anni, che prevede la chiusura di 2 negozi meno profittevoli, il mantenimento degli altri 8, il pagamento integralmente di dipendenti e debiti fiscali privilegiati (in 4 anni, anche grazie a una transazione fiscale per abbattere interessi), e il pagamento ai chirografari del 30% del credito in 3 rate annuali con risorse provenienti dalla vendita di un immobile non strumentale e da nuovi apporti dei soci per €300.000. I creditori, messi in classi (fornitori, banche chirografarie, ecc.), votano a favore perché intravedono che in caso di fallimento prenderebbero forse il 10%. Il tribunale omologa il concordato. L’azienda così continua l’attività (magari con un nuovo brand, ma stessa società) e in pochi anni esce dalla crisi, avendo dimezzato il debito e salvato la struttura.

Esempio di concordato liquidatorio: La “Tech Italia S.p.A.” (controllata da gruppo cinese) è ormai ferma e senza prospettive. Ha però beni immobili e qualche brevetto vendibile. Per evitare il fallimento, i dirigenti propongono un concordato liquidatorio: liquidare tutti i beni con un’asta competitiva in 6 mesi; un investitore individuato garantisce un’offerta minima per brevetti e marchio di €1 milione. Inoltre, la proprietà cinese offre ulteriori €200.000 cash per aumentare l’attivo concordatario. Con queste somme, il piano prevede di pagare spese di procedura e creditori privilegiati (in particolare la banca con ipoteca sull’immobile) e di riuscire a dare un 15% ai chirografari. Si tratta di poco, ma comunque superiore al presumibile 5% in caso di fallimento. I creditori accettano, il tribunale omologa e in pochi mesi tutto viene liquidato. La società poi verrà cancellata e i soci di controllo ottengono che la loro apporto extra li esoneri da possibili azioni (nessun creditore può accusarli di essersi arricchiti: hanno anzi sborsato soldi per chiudere). Certo, l’investimento è perso, ma evitano l’onta del fallimento e possibili strascichi di responsabilità.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

Se nessuno dei rimedi sopra illustrati ha successo o è praticabile, rimane la liquidazione giudiziale, che è l’equivalente del vecchio fallimento. Essa può essere richiesta dai creditori o dall’imprenditore stesso quando lo stato di insolvenza è conclamato e non risolvibile altrimenti. Dal punto di vista del debitore, la liquidazione giudiziale è un evento sfavorevole perché comporta la perdita della gestione (subentra il curatore) e usualmente la chiusura o vendita dell’azienda. Tuttavia, in alcuni casi il fallimento può essere visto come un “male necessario” per arrivare ad una pulizia completa dei debiti e, per gli imprenditori onesti ma sfortunati, alla cosiddetta esdebitazione finale.

Cosa comporta la liquidazione giudiziale:

  • L’azienda è spossessata: il patrimonio passa sotto l’amministrazione del curatore, nominato dal tribunale. Gli amministratori perdono i poteri e anche i soci non possono più disporre dei beni sociali (di fatto la società è sostituita dal curatore per ogni attività).
  • Si apre lo stato passivo: i creditori devono presentare domanda di insinuazione entro termini stabiliti; il giudice delegato e il curatore esaminano le domande e formano lo stato passivo (elenco di crediti ammessi, con eventuali contestazioni). Questo definisce quanti e quali debiti saranno riconosciuti nella procedura.
  • I beni sono liquidati: il curatore procede a vendere gli asset dell’azienda (immobili, macchinari, merci, crediti) tramite procedure competitive, e trasforma tutto in denaro.
  • Il ricavato, detratte le spese di procedura, viene distribuito ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima i creditori prededucibili (costi della procedura, crediti post-fallimento, ecc.), poi i privilegiati (dipendenti, Fisco, banche ipotecarie, ecc.), infine se avanza qualcosa ai chirografari in proporzione (il che raramente accade in misura significativa).
  • La società al termine viene cancellata. I creditori insoddisfatti (che di solito sono i chirografari) non possono più agire verso la società estinta; potranno al più agire verso terzi responsabili (come ex amministratori, soci illimitatamente responsabili, coobbligati, come visto).
  • Gli amministratori possono subire le già citate conseguenze (azioni di responsabilità dal curatore, procedure penali per bancarotta se ravvisate).
  • Gli imprenditori individuali e i soci illimitatamente responsabili vanno incontro anche alle sanzioni personali (temporanea interdizione dall’esercizio di attività d’impresa, dagli uffici direttivi, ecc., per la durata della procedura e qualche anno dopo, salvo esdebitazione).

Per il debitore, il lato positivo del fallimento è l’esdebitazione: istituto che consente, a certe condizioni, di ottenere la liberazione dai debiti residui non soddisfatti al termine della liquidazione (art. 282 CCII, ex art. 142 L.F.). Ciò vale però solo per i debitori persone fisiche (imprenditore individuale o soci illimitatamente responsabili falliti personalmente). Le società invece non “beneficiano” di esdebitazione, esse semplicemente cessano di esistere e i debiti insoddisfatti si estinguono con loro (non emergendo ulteriori obbligati se non nei limiti che abbiamo spiegato, es. ex soci per attivo percepito). Quindi, se la nostra azienda cinese è una società di capitali, il fallimento di per sé estinguerà i suoi debiti insoddisfatti una volta chiusa (nessuno potrà più chiederli, salvo ai soci nei limiti 2495 c.c.); se invece fosse un imprenditore individuale, potrà ottenere l’esdebitazione (in pratica un decreto che cancella i suoi debiti residui) se ha cooperato lealmente col curatore.

Liquidazione controllata per sovraindebitati: È giusto accennare che per imprese piccole non soggette a fallimento, il CCII prevede la liquidazione controllata (ex L.3/2012) per chiudere i debiti con un procedimento simile ma semplificato. Tuttavia, ormai quasi tutti gli imprenditori commerciali sono soggetti al fallimento salvo microimprese sottosoglia, quindi questo è un caso meno frequente per aziende attive di un certo rilievo.

Difendersi nel fallimento: Quando un’azienda viene trascinata in fallimento, cosa può fare il debitore? In pratica:

  • Può opporsi all’istanza di fallimento se ritiene di non essere insolvente (ad esempio provando di avere patrimoniodisponibile o accordi imminenti). Se la sentenza di fallimento è già emessa, può proporre reclamo alla Corte d’Appello contestando i presupposti. Ma se l’insolvenza c’è, difficilmente eviterà l’esito.
  • Può cercare di convertire il fallimento in concordato fallimentare (ora “concordato nella liquidazione giudiziale”): entro certo tempo dal fallimento, il debitore o un terzo può proporre ai creditori un concordato (spesso di tipo liquidatorio o con intervento di terzi). Se i creditori l’approvano, la procedura fallimentare si chiude anticipatamente e prosegue come concordato.
  • In generale, dopo la sentenza di fallimento, il debitore ha interesse a collaborare col curatore (consegnare i beni, i documenti, indicare l’elenco creditori), perché la mancata collaborazione è reato e inoltre impedirebbe eventuali benevolenze (ad esempio, se un amministratore coopera fattivamente, il curatore potrebbe essere meno incline a cercare responsabilità pretestuose e lo stesso tribunale potrebbe valutarlo positivamente).
  • Gli amministratori e soci dovrebbero prepararsi a eventuali azioni legali: raccogliere giustificativi di spese, bilanci, consulenze per dimostrare di aver fatto il possibile. Se temono azioni, valutare di transigere col curatore (in alcune procedure, i fallimenti si chiudono con un accordo transattivo con gli ex amministratori i quali pagano una somma “a saldo” delle loro possibili responsabilità, evitando lunghe cause).
  • Una difesa indiretta è chiedere la riabilitazione successiva: dopo la chiusura del fallimento, gli imprenditori falliti possono richiedere la riabilitazione civile per cancellare lo stigma (la pena accessoria di divieto di intraprendere altre attività).
  • Dal punto di vista emotivo e di reputazione, va ricordato che per molte comunità (inclusa quella cinese) il fallimento è un evento disonorevole. Tuttavia, l’ordinamento italiano (soprattutto con la riforma) vuole destigmatizzarlo quando onesto. Ad esempio, se il fallimento si chiude per insufficienza di attivo senza misfatti, i tempi di cancellazione dal registro protesti e altre liste negative possono essere abbreviati.

Simulazione pratica – prima vs. dopo il fallimento: La “Nuova Great Wall S.r.l.” non è riuscita a presentare un concordato e viene dichiarata fallita su istanza di una banca. Gli amministratori (soci cinesi) perdono la gestione. Il curatore inventaria i beni: magazzino, un capannone ipotecato e poco altro. Vende tutto in 6 mesi. I dipendenti e l’INPS vengono pagati in parte (grazie al Fondo di Garanzia per TFR e preferenza sul ricavato), la banca ipotecaria recupera una quota dal capannone, i fornitori chirografari non prendono nulla. La società è ormai vuota e il giudice ne dispone la chiusura per riparto finale. I debiti verso fornitori restano insoddisfatti ma “morti” con la società. Nel frattempo però il curatore ha scoperto che 1 anno prima del fallimento gli amministratori avevano trasferito €50.000 verso una società estera collegata (di un parente) senza giustificazione chiara. Avvia quindi un’azione di responsabilità contro di loro per quella distrazione. Gli ex amministratori, consigliati, scelgono di trovare un accordo: transigono pagando €30.000 alla procedura in cambio della rinuncia alla causa. Il curatore accetta perché rapido e certo. Questo importo va a incrementare il riparto (i fornitori magari prendono il 5% alla fine). Gli amministratori evitano una condanna potenzialmente peggiore. Ottenuta la chiusura, i due soci amministratori – essendo anche persone fisiche fallite perché garanti illimitati di alcuni debiti – chiedono e ottengono dal Tribunale l’esdebitazione: vengono liberati da ogni obbligo residuo in persona (ad esempio, non dovranno pagare ulteriormente fornitori rimasti insoddisfatti, né la banca per l’eventuale residuo dopo ipoteca). Rimane il rammarico del fallimento, ma hanno la possibilità di ripartire con nuove iniziative, stavolta con maggiore prudenza.

Domande Frequenti (FAQ)

Domanda: Se la mia azienda non riesce a pagare i debiti, come amministratore posso essere ritenuto personalmente responsabile?
Risposta: In linea generale, no per quanto riguarda l’obbligo diretto di pagare i debiti contrattuali (fornitori, banche): i creditori devono rivalersi sulla società, non su di te personalmente. Tuttavia, potresti essere chiamato a rispondere dei danni causati ai creditori se hai violato i doveri gestionali (es. hai aggravato il dissesto, nascosto beni, violato art. 2486 c.c. continuando l’attività oltre i limiti). Inoltre, in materia fiscale, se hai dissipato attivo a discapito del Fisco, l’Amministrazione può chiederti le imposte non versate in base all’art. 36 DPR 602/73. Quindi, non devi pagare tu tutti i debiti sociali, ma potresti doverne pagare alcuni per via indiretta se hai gestito male. Ad esempio, se non hai versato l’IVA incassata e hai chiuso la società distribuendo soldi ai soci, l’Agenzia Entrate potrà notificarti un avviso e chiederti conto nei limiti di quelle somme. In sintesi: nessuna responsabilità personale per i debiti in sé, salvo tu abbia prestato garanzie; però responsabilità per mala gestione sì, il che può tradursi nel dover risarcire creditori o pagare imposte evase.

Domanda: Come posso tutelare il mio patrimonio personale di socio se l’azienda ha debiti?
Risposta: Se sei socio di S.r.l. o S.p.A., il tuo rischio è limitato al capitale investito, a meno che tu non abbia dato garanzie personali o compiuto abusi. Per tutelarti: 1) Evita di firmare fideiussioni se possibile, o limitane importo/durata. 2) Mantieni separate le finanze: niente promiscuità tra conti azienda e tuoi conti. 3) Non prelevare utili o attivi in momenti di insolvenza – lascia le risorse per i creditori. 4) Se la società va in liquidazione, rinuncia a ottenere rimborsi finché i creditori non sono soddisfatti almeno parzialmente. 5) Se hai proprietà in comunione dei beni col coniuge, la tua quota può essere attaccata per debiti tuoi personali, ma i debiti della società non arrivano a te se è società di capitali. In caso di società di persone, la protezione è quasi impossibile se non togliendo beni dal tuo patrimonio (ma occhio: se lo fai quando già ci sono debiti, è revocabile e può essere un reato). Dunque, nella S.r.l., rispetta le regole societarie e i creditori non potranno toccare i tuoi beni personali. Un’ulteriore cautela: valuta una polizza assicurativa di responsabilità civile per amministratori/sindaci (D&O) – non protegge i tuoi beni se firmi da garante, ma copre spese legali e risarcimenti per atti colposi nella gestione.

Domanda: La società ha debiti tributari e mi è arrivata una cartella a nome mio come ex amministratore: è legittimo?
Risposta: L’Agenzia delle Entrate può notificare un atto di accertamento o una cartella nei confronti di un ex amministratore o liquidatore, ma solo in situazioni particolari previste dalla legge (art. 36 DPR 602/73). Ad esempio, se da liquidatore hai pagato altri creditori lasciando impagate le imposte, possono chiedere a te l’importo che avresti dovuto destinare al Fisco. Oppure se, da amministratore, hai compiuto nel biennio prima della liquidazione atti di occultamento di beni o ripartizioni ai soci, potresti dover rispondere delle imposte non versate. La norma richiede che la tua responsabilità sia accertata con atto motivato notificato a te. Quindi, se ti è arrivata una cartella senza che tu abbia prima ricevuto un avviso di accertamento motivato, puoi contestarla per violazione del tuo diritto di difesa. Le Sezioni Unite Cassazione 2025 hanno statuito proprio che serve un avviso autonomo agli ex soci (per analogia, vale anche per ex amministratori). Inoltre rispondi solo entro il limite di ciò che hai indebitamente pagato ad altri o hai fatto avere ai soci. Quindi, verifica l’origine di quella cartella: se deriva da un atto a tuo carico legittimamente notificato prima (avviso di responsabilità ex amministratore) allora la legge lo consente. Potrai impugnarla in Commissione Tributaria contestando che non ricorrono i presupposti (es. tu non hai gestito la liquidazione, o le imposte non erano dovute, ecc.). Se invece è arrivata direttamente senza previo accertamento, hai buone chance di farla annullare.

Domanda: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo per un debito della società di cui sono stato garante: posso oppormi?
Risposta: Se hai firmato una fideiussione o altra garanzia personale per il debito (ad esempio per un mutuo bancario), quel decreto ingiuntivo ti vincola come obbligato in solido. Puoi opporti solo sollevando eccezioni relative alla garanzia stessa. Ad esempio, potresti contestare che la fideiussione è nulla perché aveva clausole anticoncorrenziali (le famose clausole “a valle” nulle secondo Banca d’Italia e Cassazione – tipo quelle di reviviscenza, etc.), e la giurisprudenza sta annullando molte fideiussioni omnibus per quel motivo. Oppure puoi eccepire che la banca non ha escusso prima la società (ma attento: di solito la fideiussione contiene la rinuncia al beneficio di escussione, quindi non regge). In sintesi, se sei garante valido, sei tenuto a pagare, l’opposizione ha poche frecce al suo arco salvo vizi formali o nullità del contratto di garanzia. Tuttavia, nulla ti impedisce di trattare con il creditore: a volte, di fronte a una difficoltà effettiva del garante di pagare (magari sei nullatenente in Italia, oppure minacci di ricorrere a procedure di sovraindebitamento personale), il creditore potrebbe accettare un pagamento parziale a saldo e stralcio. Legalmente però, l’obbligo di pagare c’è, perché hai volontariamente garantito quel debito oltre la responsabilità sociale.

Domanda: La società è in crisi: meglio tentare un accordo stragiudiziale o andare subito in concordato preventivo?
Risposta: Dipende dall’entità della crisi e dal numero/tipo di creditori. Un accordo stragiudiziale (piano attestato o semplici intese private) ha il vantaggio della riservatezza e flessibilità, ma richiede che i creditori chiave siano collaborativi e fiduciosi. Se hai pochi creditori e la situazione è recuperabile con qualche dilazione, spesso è preferibile evitare il tribunale: negozi direttamente magari con l’aiuto di un advisor. Viceversa, se i debiti sono molti, i creditori eterogenei (es. fornitori, banche, Fisco) e non c’è unanimità di vedute, il concordato preventivo offre strumenti coercitivi (ad es. ti vincola anche minoranze dissenzienti se la maggioranza approva) e soprattutto ti protegge da azioni esecutive mentre implementi il piano. Inoltre, se ti serve falcidiare debiti fiscali, è quasi obbligatorio passare per un concordato o accordo omologato, perché stragiudizialmente il Fisco non può rinunciare a imposte senza cornice normativa. Un buon approccio è utilizzare la composizione negoziata: puoi depositare l’istanza e nominare l’esperto, iniziare trattative informali con i creditori e valutare se un accordo fuori dal tribunale è fattibile. Se vedi che non c’è sufficiente adesione o c’è chi minaccia azioni, puoi “scivolare” verso un concordato preventivo (magari prenotativo) per bloccare tutti e mettere ai voti la tua proposta. Quindi: tenta sempre una soluzione amichevole se ragionevole; ma non aspettare troppo a ripiegare su concordato se la situazione precipita, perché un concordato tardivo potrebbe essere respinto o sabotato da urgenze (es. pignoramenti già in corso, trust di creditori). Considera che presentare domanda di concordato ti mette al riparo dai singoli immediatamente e dimostra un approccio serio (anche i fornitori magari preferiranno un 30% in concordato che il nulla in fallimento). Se invece la crisi è modesta, il concordato sarebbe eccessivo (costi alti, pubblicità negativa), meglio accordi privati.

Domanda: Ho una S.r.l. inattiva ma piena di debiti: posso chiuderla e farne un’altra pulita?
Risposta: Attenzione: “chiudere” una società indebitata senza occuparsi dei debiti è operazione pericolosa e potenzialmente illecita. Se semplicemente tenti di cancellare la S.r.l. dal Registro Imprese lasciando debiti, i creditori possono opporsi alla cancellazione o chiederne la revoca e promuovere un fallimento entro 1 anno dalla cancellazione (art. 33 CCII). Inoltre, i debiti non scompaiono: come visto, i creditori potranno agire contro di te entro il limite di eventuali attivi di liquidazione ricevuti. Se hai trasferito beni ad altra società (la nuova “pulita”) a prezzo inferiore al valore, il curatore o i creditori possono fare azione revocatoria per recuperare quei beni o il loro valore. In alcuni casi di comportamenti ripetuti (cd. phoenix companies, chiudere-aprire per eludere debiti), i giudici hanno anche configurato reati (bancarotta fraudolenta pre-fallimentare, se c’è fallimento, o sottrazione fraudolenta al pagamento di crediti ex art. 388 c.p. se si occultano beni per non far pagare i creditori). Quindi, la strada lecita è: puoi costituire una nuova società e trasferirvi l’attività pagando l’avviamento a valore di mercato alla vecchia società, in modo che quei soldi vadano a pagare i debiti della vecchia. Se invece sposti solo i beni e lasci i debiti al “guscio vuoto”, commetti un abuso. Il Codice Civile, art. 2560, prevede che chi acquista un’azienda risponde dei debiti aziendali risultanti dai libri contabili obbligatori, a meno che i creditori acconsentano diversamente. Quindi la nuova società potrebbe ereditare comunque alcuni debiti se c’è continuità aziendale. In sostanza, non esiste un trucco legale per far sparire i debiti se non pagando i creditori in qualche misura. Soluzioni: o trovi un accordo (anche stragiudiziale: “chiudiamo al 20% e vi cedo l’azienda a un nuovo soggetto”), oppure se i debiti superano ogni possibilità, avvii la procedura di liquidazione o concordato della vecchia società e poi riparti pulito con la nuova su basi lecite. Ma semplicemente cancellare e riaprire è fortemente sconsigliato. Un caso particolare: se sei l’unico creditore (ad es. debiti solo verso te socio) allora puoi liquidare senza problemi. Ma con creditori terzi, dialoga con loro o con il tribunale (nel caso di procedure concorsuali).

Domanda: Quali sono le ultime novità normative sulla crisi d’impresa che devo sapere come debitore?
Risposta: Le novità principali introdotte tra 2020 e 2022 che ti riguardano sono:

  • Il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) completamente in vigore dal 15 luglio 2022, che ha sostituito la vecchia legge fallimentare. Ciò ha portato nuovi strumenti (come la composizione negoziata) e nuove regole, ad esempio l’obbligo per l’imprenditore di dotarsi di assetti adeguati (art. 2086 c.c.) per prevenire la crisi. Sono stati introdotti sistemi di allerta tramite segnalazione di debiti da parte di Agenzia Entrate, INPS e INAIL oltre certe soglie, come già dettagliato, per spingere al risanamento precoce.
  • La Composizione negoziata è uno strumento volontario e riservato per trattare con i creditori assistiti da un esperto: molto consigliabile perché, se la inizi, puoi chiedere misure protettive e anche l’esperto può segnalare eventualmente al tribunale abusi (ma se ti comporti bene, in quella fase sei protetto da azioni esecutive e la gestione rimane a te). Non c’è stigma: non è un fallimento, e se trovi accordi puoi evitare ogni procedura più grave.
  • Sono state create procedure nuove come il concordato semplificato (senza voto creditori) e il concordato minore per piccoli imprenditori non fallibili; inoltre l’esdebitazione immediata del sovraindebitato incapiente (per persone fisiche oneste ma senza beni) – magari non ti riguarda come società, ma se hai garantito personalmente e fallissi, potresti accedere all’esdebitazione anche subito in alcuni casi.
  • Per i debiti fiscali, occhio alle nuove soglie per reati: l’omesso versamento IVA sopra 250.000 € annui è reato, così come l’omesso versamento ritenute sopra 150.000 € (dati attuali). In compenso, il legislatore ha introdotto diverse definizioni agevolate (rottamazione cartelle, stralcio micro-debiti sotto 1.000 €) con la finanziaria 2023: se hai cartelle fino al 2015 puoi rottamarle con forte sconto; se hai cartelle sotto 1.000 € affidate prima del 2015, sono state addirittura stralciate automaticamente (lo stralcio parziale 2023). Anche il 2024 potrebbe portare nuove misure, tienilo presente.
  • Sul fronte delle responsabilità, la Cassazione ha chiarito meglio i limiti: ad esempio Sentenza SS.UU. 3625/2025 ha statuito che ex soci non sono coobbligati illimitatamente, ma solo nei limiti di quanto ricevuto e con formale accertamento. Questo significa che l’Agenzia Entrate non può più pretendere, come talora faceva, l’intero debito fiscale dalla compagine sociale in modo automatico: deve provare che ciascuno ha avuto distribuzioni. È una tutela in più per i soci.
  • Infine, nota che c’è una tendenza generale a favorire il salvataggio dell’impresa rispetto alla liquidazione: ad esempio, è stata recepita la direttiva UE 2019/1023 che spinge per ristrutturazioni precoci. Ciò significa che se la tua azienda ha valore, troverai un sistema legale più flessibile per salvarla (clausole di cram down, cioè possibilità di omologa anche senza unanimità se il piano è vantaggioso; possibilità di finanziare l’impresa durante la crisi con privilegi, ecc.). Sfrutta queste opportunità con consulenti esperti.

Domanda: In concreto, cosa devo fare appena mi accorgo che l’azienda non regge più i debiti?
Risposta: Non procrastinare. Ecco una breve lista di azioni immediate:

  1. Analisi della situazione finanziaria: fai un check-up completo di debiti, creditori, scaduti, liquidità disponibile. Capisci l’ammontare reale del buco e se è temporaneo o strutturale.
  2. Parla con il tuo commercialista/legale: valuta se attivare subito una procedura formale (composizione negoziata, concordato) o se c’è margine per accordi informali.
  3. Interlocuzione coi creditori principali: non sparire. Se spieghi le difficoltà e prospetti un piano credibile, molti creditori collaborano. Se invece ti chiudi nel silenzio, più facile che precipitino la crisi (azioni legali aggressive).
  4. Riduci i costi e salvaguarda la cassa: sospendi spese non essenziali, realizza crediti (recupera quelli che clienti ti devono), vendi scorte inutili. Ogni euro in più ti serve per eventuali accordi.
  5. Tutela il patrimonio aziendale: non svuotarlo in panico. Continuare a pagare dipendenti e fornitori strategici è corretto, ma evita pagamenti preferenziali “discrezionali” e distrazioni di asset. Tieni traccia di ogni uscita.
  6. Adempi agli obblighi legali: se hai perdite gravi, convoca assemblea come da art. 2482-bis c.c.; se emergono indicatori di crisi, informa l’organo di controllo (se c’è) e valuta la composizione negoziata. Questo ti proteggerà da accuse di inerzia.
  7. Decidi la strategia concorsuale: con i consulenti, scegli: accordo stragiudiziale, accordo ex art.57 CCII, concordato, ecc., e predisponi il piano.
  8. Comunica con trasparenza: a dipendenti (rischio scioperi se li lasci all’oscuro), a eventuali stakeholder (clienti chiave – se temono tuo fallimento potrebbero revocare ordini, peggiorando tutto). Dare un segnale che stai affrontando attivamente la crisi può mantenere la fiducia necessaria a traghettare l’impresa.
    In poche parole: affronta il problema, non sperare che si risolva da sé. La legge oggi ti dà strumenti di allerta e soluzione, ma sta a te imprenditore usarli tempestivamente. Se lo fai, hai buone chance di salvare almeno in parte l’azienda e di evitare guai personali; se non lo fai, rischi di dover poi subire procedure più punitive (fallimento, azioni di responsabilità). Come detto in gergo: “il primo creditore da pagare è l’avvocato” – cioè, appena c’è la crisi, investi in una buona consulenza legale/fiscale per guidare le mosse successive. È la difesa migliore.

Tabelle riepilogative finali

Riepilogo – Tipi di debito e difese principali:

Tipo di DebitoConseguenze se insolutoDifese/Strumenti per il debitoreRischi per soci/ammin.
Tributari (Fisco)Cartelle esattoriali; ipoteche, fermi, pignoramenti; sanzioni amministrative; possibili denunce penali per omessi versamenti (IVA, ritenute)– Rateazione cartelle (72/120 rate) – Definizioni agevolate (rottamazioni) – Ricorsi in Commissione Tributaria (vizi o merito) – Transazione fiscale in concordato/accordo – Composizione negoziata per trattare con Fisco (con segnalazioni obbligatorie Entrate se IVA >5k etc.)– Responsabilità patrimoniale ex art.36 DPR 602/73 per amministratori/liquidatori/soci su imposte non versate se hanno preferito altri pagamenti– Socio illimitato risponde sempre – Rischi penali per amministratore (dich. fraudolente, omessi versamenti rilevanti)
Contributivi (INPS/INAIL)Cartelle esattoriali; sanzioni civili (30% annuo poi legale); azioni di recupero coattivo; denunce penali se omesso versamento > soglia– Rateizzazione INPS/INAIL (piani fino 24 rate o più) – Eventuale rottamazione cartelle – Ricorsi amministrativi/giudiziali se indebito – Composizione negoziata (segnalazioni obbl. INPS >15k)– Transazione contributiva in concordato/accordo– Amministratore: art.36 DPR 602/73, come per Fisco (per contributi equivale)– Socio illimitato: responsabile – Penale: omesso versam. previdenziale > soglia (attuale ~€10k annui)
Bancari/FinanziariDecadenza dal beneficio del termine; revoca fidi; decreti ingiuntivi e pignoramenti; escussione garanzie reali (es. ipoteche) o personali (fideiussioni); segnalazione in centrale rischi (pregiudica accesso al credito)– Moratoria / rinegoziazione del debito con banca (allungamento, nuovi piani) – Accordo di ristrutturazione ex 57 CCII (se più banche, con omologa) – Opposizione in giudizio per contestare interessi usurari/anatocismo (riduzione importo) – Concordato preventivo (sospende azioni esecutive, possibile stralcio quota chirografa)– Se soci/amministratori hanno dato fideiussioni, rispondono illimitatamente secondo il contratto – Amm.re di fatto o garante può risultare segnalato come cattivo pagatore (pregiudizio reputazionale) – Nessuna responsabilità diretta salvo garanzie, ma possibili azioni di responsabilità se hanno aggravato indebitamento ingiustificatamente
Fornitori/CommercialiDecreto ingiuntivo; pignoramenti di beni aziendali o crediti; sospensione forniture essenziali; azioni revocatorie se pagati preferenzialmente prima del fallimento (possono dover restituire somme)– Negoziazione diretta: piani di rientro dilazionati, saldo e stralcio – Opposizione a D.I. se credito contestabile (merce non conforme, ecc.) – Concordato preventivo: stralcio percentuale del dovuto (cr. chirografari), prosecuzione dei contratti essenziali con autorizzazione tribunale – Composizione negoziata: poss. di chiedere sospensione risoluzione contratti e trovare accordo con fornitori chiave– Nessuna resp. diretta del socio/amm.re verso fornitori, salvo soci di pers. (illimitati) – Possibile responsabilità indiretta se amministratore ha acquistato beni sapendo di non poter pagare (in caso estremo, configurabile come frode contrattuale)
DipendentiRicorsi al tribunale lavoro per salari; decreti ingiuntivi; dimissioni in massa; rivendicazione TFR; intervento Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultimi stipendi (poi INPS surroga come creditore); possibili ispezioni e sanzioni Lavoro; eventuale fallimento su istanza dipendenti (privilegiati, legittimati a chiederlo)– Negoziazione interna: accordi con sindacati/lavoratori per dilazioni o riduzioni temporanee (conservazione posti) – Richiesta ammortizzatori sociali (CIG) per ridurre costi e non accumulare debiti futuri – Concordato preventivo in continuità: pagamento regolare stipendi correnti (prededucibili) e inserimento nel piano degli arretrati (privilegi da soddisfare in percentuale alta) – Liquidazione: Fondo di Garanzia INPS paga TFR e 3 mensilità (tutela dipendenti ma crea debito verso INPS nella procedura)– Amm.re può incorrere in reato di omesso versamento ritenute previdenziali (se > soglia) – In caso di fallimento, amm.re può rispondere di bancarotta se non ha pagato i dipendenti pur avendo risorse per farlo (distrazione di fondi) – Soci in genere no responsabilità diretta (tranne illimitati). Ma se soci prelevano utili lasciando salari non pagati, curatore può agire contro di loro per restituzione somme ai creditori (dipendenti).
Altre (Sanzioni, etc.)Cartelle esattoriali (per multe, sanzioni amministrative); iscrizione ruolo per contributi consortili, tasse locali; cause civili per risarcimenti danni (con sentenza esecutiva poi in pignoramento); interessi moratori crescenti– Impugnazione delle sanzioni nei termini (es. ricorso al Giudice di Pace o autorità competente per multe) – Rateazione sanzioni amministrative (molti enti la consentono) – Inserimento di sanzioni e debiti civili chirografari in eventuale concordato (possono essere stralciati senza limiti, salvo sanzioni per fatti illeciti intentati da persona – quelle potrebbero avere status subordinato) – Accordi transattivi: ad es. con un danneggiato, offrire pagamento parziale immediato per evitare causa lunga– Amm.re per sanzioni amministrative tributarie: c’è dibattito, ma tendenzialmente la sanzione è della società, non trasferibile automaticamente all’amministratore (salvo fosse direttamente responsabile, es. amministratore “preposto” in legge sicurezza lavoro). – Per danni a terzi causati da illecito dell’amm.re (es. inquinamento, reato societario con parte civile): amm.re ne risponde di persona sul piano risarcitorio (art. 2395 c.c. per danni diretti a terzi). – Soci: nessuna responsabilità specifica, salvo abbiano concorso nell’illecito.

Riepilogo – Ruoli e responsabilità personali:

SoggettoResponsabilità per debiti sociali?Note e eccezioni
Amministratore di S.r.l./S.p.A.No responsabilità diretta contrattuale verso i creditori sociali. Creditore non può citarlo per ottenere pagamento del debito sociale.Azioni di responsabilità: sì, verso società o curatore, per danni da mala gestio (es. violazione obblighi di conservazione patrimonio). – Art. 2486 c.c.: se prosegue attività dopo causa scioglimento, danno presunto pari aggravio patrimonio. – Debiti tributari (art.36 DPR 602): risponde se ha pagato altri lasciando imposte impagate (entro limiti importi distratti). – Garanzie personali: se firma fideiussione/avallo, allora sì (obbligazione autonoma). – Penale: rischi di bancarotta, reati fiscali, se comportamenti illeciti.
Socio di S.r.l./S.p.A.No responsabilità per obbligazioni sociali, salvo conferimento sottoscritto (che deve versare). Creditore sociale non può chiedergli adempimento dei debiti sociali.Eccezione liquidazione: ex soci rispondono dei debiti sociali non pagati entro limite di quanto ricevuto in liquidazione. – Finanziamenti soci postergati: soci non possono esigere rimborso prima degli altri creditori (ma questo tutela i creditori, non li fa pagare ai soci). – Garanzie personali: se socio garantisce un debito sociale, ne risponde (è un’obbligazione propria). – Abuso di società: in casi estremi, soci possono essere ritenuti responsabili (es. socio unico che confonde patrimoni, o soci che usano la società per frodare creditori/Erario). In tali casi, giudice può “superare lo schermo” e imputare obblighi risarcitori ai soci. – Soci amministratori di fatto: trattati come amministratori (vedi sopra).
Soci di società di persone (S.n.c., accomandatari)Sì, illimitatamente e solidalmente responsabili per tutti i debiti sociali (art. 2291 c.c.). Creditore può agire su beni personali (dopo escussione patrimonio sociale).Beneficio escussione: creditore deve aggredire prima la società e, se incapiente, allora i soci (ma se società è sciolta o insolvente si fa presto). – Escussione patrimonio soci: comprende beni presenti e futuri. – Sas accomandanti: no responsabilità oltre conferimento, purché non amministrino. Se violano patto di non ingerenza, diventano illimitatamente responsabili. – Fallimento in estensione: fallita la società, falliscono anche i soci illimitati. – Possibili accordi: soci illimitati possono essere liberati da un singolo creditore solo se questo lo esonera espressamente (non automatico dalla liberazione della società).
Garanti (fideiussori, coobbligati)Sì, nei limiti della garanzia prestata. Il garante assume un’obbligazione personale accessoria o solidale.Fideiussione omnibus: attenti alle clausole nulle (se presenti, l’intera fideiussione può essere nulla, esonerando il garante). – Regresso: il garante che paga subentra nei diritti del creditore verso il debitore principale (ma se la società è insolvente, è di magra consolazione). – Garante terzo estraneo (es. parente): non è soggetto a procedure concorsuali se fallisce la società, ma il creditore può perseguirlo normalmente come da contratto di garanzia.

Conclusione

Abbiamo esaminato in profondità come un’“azienda cinese” (o comunque a partecipazione straniera) con sede in Italia possa affrontare e difendersi da una situazione debitoria critica, nel rispetto del diritto italiano vigente. Dal punto di vista del debitore emerge un principio cardine: giocare d’anticipo. La legge italiana offre strumenti di composizione della crisi e tutela dell’impresa, ma richiede all’imprenditore diligente di attivarsi non appena la sostenibilità finanziaria vacilla. Pianificazione, trasparenza e consulenza qualificata sono le armi migliori per prevenire che i debiti sfuggano al controllo e si traducano in azioni aggressive dei creditori o, peggio, in responsabilità personali per soci e amministratori.

In particolare, un imprenditore straniero in Italia deve familiarizzare con le peculiari tutele del nostro ordinamento: la responsabilità limitata è un grande scudo – come visto, i soci di società di capitali raramente perdono i propri beni per i debiti aziendali – ma non è assoluta: comportamenti scorretti o leggerezze nella gestione possono aprire brecce in quello scudo. Le sentenze più recenti della Cassazione, anche a Sezioni Unite, hanno da un lato confermato la serietà con cui vengono perseguite le condotte abusive (come l’uso strumentale della società per evadere tasse, punito come abuso di personalità giuridica), dall’altro hanno posto paletti garantisti (come l’obbligo di accertamento specifico prima di colpire ex soci per debiti tributari). Ciò significa che c’è un equilibrio: chi agisce correttamente e si avvale degli strumenti di legge potrà difendersi efficacemente, mentre scorciatoie illegali o opacità difficilmente resteranno impunite.

Dal punto di vista pratico, la guida suggerisce un percorso ragionato: classificare i debiti, affrontare i più urgenti e prioritari (Fisco, dipendenti) immediatamente con gli strumenti opportuni, negoziare dove possibile, e se serve procedere a soluzioni concorsuali (composizione negoziata, accordi, concordato) per gestire il debito complessivamente. Il tutto tenendo a mente le implicazioni per le figure chiave (soci e amministratori) che abbiamo dettagliatamente trattato.

Una società, anche se di proprietà straniera, che opera in Italia può attraversare periodi difficili, ma la via d’uscita – quando esiste un nucleo sano di business – spesso c’è. Richiede però lucidità, rispetto delle regole e, non ultimo, l’assistenza di consulenti esperti in crisi d’impresa, data la tecnicità della materia. Il diritto non solo punisce (col fallimento, le azioni di responsabilità, ecc.), ma offre anche opportunità di risanamento: basti pensare che molte aziende italiane di successo attuale sono passate da un concordato o una ristrutturazione e ne sono uscite rilanciate. Quindi, un imprenditore (cinese o di qualsiasi nazionalità) in difficoltà dovrebbe vedere nelle procedure concorsuali non solo la fine, ma anche un possibile nuovo inizio – purché gestite con integrità e professionalità.

Fonti

  • Codice Civile italiano (artt. 2086, 2392-2394, 2476, 2484-2487, 2495 c.c. e altre disposizioni citate) – disciplina generale su doveri degli amministratori, responsabilità verso creditori e soci, cause di scioglimento e liquidazione societaria.
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, e D.Lgs. 83/2022 di correzione) – in particolare artt. 12-25 (composizione negoziata), 44-64 (concordato preventivo e accordi), 84-90 (contenuto del concordato), 56-57 (piani attestati e accordi ristrutturazione), 63 e 88 (transazione fiscale e contributiva), 255-256 (azioni di responsabilità in liquidazione giudiziale), 282 (esdebitazione).
  • DPR 29 settembre 1973 n. 602, art. 36 – responsabilità di liquidatori, amministratori e soci per il pagamento delle imposte societarie in caso di liquidazione.
  • Codice Penale e leggi speciali: art. 216 L.Fall. (ora art. 322 CCII) bancarotta fraudolenta; D.Lgs. 74/2000 (reati tributari: omesso versamento IVA, etc.); art. 2639 c.c. (amministratore di fatto equiparazione); normativa antitrust su fideiussioni omnibus ABI.
  • Cassazione Civile, Sezioni Unite, 12 febbraio 2025 n. 3625 – ha stabilito i limiti della responsabilità dei soci di società estinta per debiti tributari, negando automatismi e richiedendo prova di somme ricevute in liquidazione.
  • Cassazione Civile, ord. 31 gennaio 2025 n. 2284 – ha confermato che l’abuso della personalità giuridica può essere rilevato anche se la società non fu costituita con scopo elusivo, guardando all’uso distorto concreto (caso di soci ritenuti co-responsabili per indebito risparmio d’imposta).
  • Cassazione Civile, Sez. I, 22 giugno 2022 n. 20181 – ha escluso la praticabilità di un’azione generale di “piercing the veil” al di fuori delle ipotesi tipiche, confermando che l’abuso del socio si sanziona con azione risarcitoria ma non con estensione automatica dei debiti (in linea col concetto di responsabilità senza debito).
  • Cassazione Civile, 6 marzo 2023 n. 6648 – in tema di art. 2395 c.c., ha precisato i presupposti per la responsabilità verso terzi (danni diretti ai singoli creditori per dolo dell’amministratore).
  • Cassazione Civile, 7 ottobre 2024 n. 26184 – ha ribadito che la responsabilità dei soci di S.r.l. cancellata è limitata a quanto percepito (richiamando orientamenti consolidati).
  • Cassazione Penale, Sez. V, 24 gennaio 2024 – (in Giurisp. Penale) ha richiesto piena prova per condannare un amministratore di fatto per reati fallimentari, sottolineando la necessità di dimostrare la gestione occulta effettiva.
  • Tribunale di Venezia, 9 settembre 2024 – (in DirittoBancario) ha affrontato la responsabilità dell’amministratore di fatto per inadempimenti, confermando solidalità col formale.
  • Ministero della Giustizia – Decreto 21 marzo 2023 – ha definito requisiti e compensi degli esperti della composizione negoziata, e ribadito obblighi di segnalazione debiti fiscali e previdenziali (Circ. INAIL 28/2023).
  • Osservatorio Giustizia Tributaria, 7 feb 2025: “Abuso della personalità giuridica” – commento ord. Cass. 2284/2025.

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