Avviso Di Liquidazione Per Imposta Di Bollo: Cosa Fare

Hai ricevuto un avviso di liquidazione per imposta di bollo dall’Agenzia delle Entrate? Ti segnalano che su alcuni documenti, conti o registri non è stata assolta l’imposta di bollo dovuta, e ti chiedono di pagare l’importo con sanzioni e interessi? È importante capire l’origine della contestazione e sapere come difendersi per evitare di pagare somme non dovute.

Quando arriva un avviso di liquidazione per imposta di bollo?
– Se risulta che su un estratto conto bancario o postale non è stata applicata correttamente l’imposta annuale
– Se hai emesso fatture esenti IVA senza assolvere l’imposta di bollo da 2 euro
– Se hai depositato o registrato atti, contratti o scritture prive della marca da bollo
– Se, in sede di controllo, viene rilevata la mancata applicazione del bollo su documenti informatici o cartacei
– Se il bollo non è stato assolto tramite F24 o non risulta versato nei termini

Cosa può contenere l’avviso?
– L’elenco dei documenti o conti su cui è stata rilevata l’irregolarità
– L’importo dell’imposta di bollo non versata
– Le sanzioni amministrative applicate (dal 100% al 300% del tributo, riducibili)
– Gli interessi di mora calcolati dalla scadenza originaria
– L’invito a pagare entro un termine breve per evitare l’iscrizione a ruolo

Cosa fare se ricevi un avviso di liquidazione per imposta di bollo?
Controlla attentamente il contenuto dell’avviso e l’anno di riferimento
– Verifica se la contestazione riguarda un conto corrente chiuso, esente o errato
– Se si tratta di una fattura elettronica, accedi al portale dell’Agenzia per consultare i documenti segnalati
– Verifica se hai già assolto l’imposta, ma non è stata correttamente registrata
– In caso di errore formale, puoi chiedere l’annullamento in autotutela
– Se l’importo è corretto, valuta la possibilità di pagare con sanzioni ridotte
– Se ritieni l’avviso ingiusto, puoi presentare memorie difensive o ricorso tributario

Cosa puoi ottenere con la giusta difesa?
– L’annullamento dell’avviso, se l’imposta è stata versata correttamente o non era dovuta
– La riduzione della sanzione, se paghi spontaneamente
– L’eliminazione degli interessi, in caso di contestazione fondata
– La rateizzazione del debito, se l’importo è elevato

L’imposta di bollo, sebbene spesso considerata secondaria, può generare accertamenti e richieste importanti, soprattutto se riferita a più annualità o documenti. Una verifica tempestiva ti consente di difenderti o regolarizzare senza aggravamenti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa da avvisi di liquidazione ti spiega come affrontare una richiesta per imposta di bollo non versata, cosa controllare e come rispondere all’Agenzia delle Entrate.

Hai ricevuto un avviso per bollo non pagato su conti o fatture? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Verificheremo l’atto e ti diremo se puoi opporlo, pagarlo con riduzioni o chiederne l’annullamento.

Introduzione

Cos’è un avviso di liquidazione per imposta di bollo su atti giudiziari? In breve, si tratta di un atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate richiede il pagamento di un’imposta di bollo non versata (oltre a eventuali sanzioni e interessi) relativa ad atti giudiziari. Dal punto di vista del contribuente – spesso il destinatario/debitore della richiesta – ricevere un simile avviso significa che il Fisco ha riscontrato un’omissione o irregolarità nel pagamento dell’imposta di bollo dovuta in relazione a documenti o procedimenti giudiziari. È una situazione delicata che coinvolge norme tributarie specialistiche e che impone al destinatario di agire tempestivamente per evitare sanzioni più gravi (come l’iscrizione a ruolo e la cartella esattoriale).

Finalità di questa guida: Offrire un quadro avanzato e aggiornato a luglio 2025 sulle norme e prassi italiane relative all’imposta di bollo su atti giudiziari, spiegando cosa fare quando arriva un avviso di liquidazione. Verranno analizzati i riferimenti normativi (leggi, decreti, circolari) e giurisprudenziali più autorevoli, con un linguaggio giuridico ma chiaro, adatto sia a professionisti (avvocati, praticanti, consulenti) sia a privati cittadini e imprenditori coinvolti. La guida comprende tabelle riepilogative, esempi pratici (simulazioni di casi reali) e una sezione di Domande & Risposte per affrontare i dubbi più comuni dal punto di vista del debitore che deve gestire la richiesta fiscale.

Importante: Questa guida si concentra esclusivamente sull’imposta di bollo relativa ad atti giudiziari, distinguendola da altri tributi come l’imposta di registro sui provvedimenti giudiziari o il contributo unificato. Spiegheremo le differenze tra queste voci, poiché spesso generano confusione. In sintesi, l’imposta di bollo è un tributo indiretto dovuto su determinati atti/documenti (anche giudiziari) secondo la disciplina del D.P.R. 642/1972, mentre l’imposta di registro (D.P.R. 131/1986) riguarda la registrazione formale di atti giuridici (come sentenze di condanna) e il contributo unificato (D.P.R. 115/2002) è la tassa forfettaria per le spese di giustizia che ha sostituito in larga parte il bollo e altri diritti nei processi.

Nei prossimi paragrafi esamineremo: (1) il quadro normativo dell’imposta di bollo sugli atti giudiziari e le sue particolarità dopo le riforme recenti; (2) quando e perché viene emesso un avviso di liquidazione per bollo, chi ne risponde e con quali termini; (3) cosa fare nel concreto – opzioni di pagamento, richiesta di riesame o ricorso – per difendersi o regolarizzare la posizione; (4) esempi pratici che simulano scenari tipici (es. ricezione di cartella esattoriale dopo mancato pagamento del bollo) e relative soluzioni; (5) un elenco di FAQ (domande frequenti) con risposte concise sui dubbi più comuni. Il tutto corredato da fonti normative e giurisprudenziali aggiornate e richiamate nel testo per consentire approfondimenti e verifiche.

Quadro normativo: imposta di bollo e atti giudiziari

Per comprendere l’avviso di liquidazione relativo all’imposta di bollo su atti giudiziari, occorre delineare il contesto normativo di riferimento, evidenziando cosa si intende per atti giudiziari ai fini dell’imposta di bollo e come la disciplina è stata modificata dall’introduzione del contributo unificato e dalle riforme recenti (in particolare la “razionalizzazione” del 2024).

L’imposta di bollo sugli atti giudiziari e il contributo unificato

In origine, prima del 2002, ogni atto o documento prodotto nell’ambito di un processo (civile, penale, amministrativo, ecc.) poteva essere soggetto a varie tasse di bollo e diritti di cancelleria. Con il Testo Unico delle spese di giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115) è stato introdotto il contributo unificato per le spese degli atti giudiziari, che ha unificato in un’unica tassa diverse voci (imposta di bollo, tassa di iscrizione a ruolo, diritti di cancelleria, ecc.). Ciò ha comportato l’abolizione dell’imposta di bollo sulla quasi totalità degli atti processuali: il legislatore ha stabilito che “l’imposta di bollo non si applica […] agli atti e provvedimenti del processo civile (compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione), del processo penale e del processo amministrativo”, come recita l’art. 18, comma 1 del D.P.R. 115/2002. In altri termini, dal 2002 l’imposta di bollo in materia di atti giudiziari ha natura residuale: è dovuta solo nei casi in cui non opera il contributo unificato.

Questa regola fondamentale è stata ribadita anche dall’Agenzia delle Entrate. In una risoluzione interpretativa si legge: “l’applicazione dell’imposta di bollo sugli atti giudiziari ha assunto natura residuale, poiché rimane generalmente dovuta quando non opera il contributo unificato”. Il contributo unificato, da corrispondere in relazione ai procedimenti giurisdizionali (civili, amministrativi, tributari e anche penali per le parti civili), ha infatti escluso l’applicabilità del bollo per gli atti e provvedimenti processuali di tutti questi giudizi, inclusi gli atti “antecedenti, necessari o funzionali” al processo.

🔹 Esempio: la procura alle liti (il documento con cui il cliente nomina il proprio avvocato in giudizio) è un atto necessario al processo civile. Prima del 2002 era soggetta a bollo, ma oggi è esente da imposta di bollo in quanto ricompresa tra gli atti funzionali al processo e quindi coperta dal contributo unificato. Analogamente, un certificato anagrafico richiesto da un avvocato per notificare un atto giudiziario deve essere rilasciato senza bollo, poiché destinato ad uso giustizia (notifica di una citazione) e quindi rientra tra gli atti esenti in virtù del contributo unificato. L’amministrazione finanziaria ha confermato che anche tali documenti propedeutici all’azione giudiziaria godono del regime di esenzione dal bollo proprio perché funzionali al processo.

In pratica, quasi tutti gli atti dei procedimenti giudiziari ordinari non pagano più marche da bollo, in quanto il loro costo è assorbito dal contributo unificato pagato all’inizio della causa (o dall’esenzione se il procedimento è esente per legge). Questo include atti e provvedimenti dei:

  • Processi civili, inclusi i procedimenti di volontaria giurisdizione (es. tutele, successioni) e le procedure concorsuali (fallimenti, concordati preventivi, ecc.).
  • Processi penali, per quanto riguarda sia gli atti del giudice che quelli delle parti (la costituzione di parte civile in un processo penale, ad esempio, oggi non richiede marche da bollo ma il pagamento di un contributo unificato ridotto).
  • Processi amministrativi (ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato) e processi tributari: dal 2010-2011 anche i ricorsi in Commissione Tributaria sono assoggettati a contributo unificato, eliminando di fatto bolli e diritti precedenti.

Riepilogo – Bollo vs. Contributo Unificato nei processi:

  • Contributo Unificato dovuto: il processo è finanziato con questa tassa forfettaria; nessun bollo è dovuto su atti e provvedimenti di quel giudizio.
  • Contributo Unificato non dovuto (perché il procedimento rientra tra quelli esenti per legge): in questi casi spesso vige comunque esenzione dal bollo. Ad esempio, le cause di lavoro e previdenza fino a un certo valore un tempo erano esenti sia da contributo unificato sia da bollo. Oggi l’esenzione totale è limitata (ad es. procedimenti penali avviati d’ufficio dallo Stato, cause con patrocinio a spese dello Stato, ecc.), ma quando prevista copre sia il contributo che il bollo.
  • Atti al di fuori di un processo giurisdizionale: qui può tornare applicabile l’imposta di bollo. Questo è il campo residuo del bollo in materia “giudiziaria”. Rientrano in tale categoria gli atti che hanno rilevanza giuridica ma non sono atti processuali in senso stretto, oppure atti che, pur provenendo dall’autorità giudiziaria, non rientrano tra quelli esenti per espressa previsione.

Atti soggetti ancora a imposta di bollo (ambito residuale)

Chiarito che gli atti “del processo” in senso stretto sono esenti dal 2002, vediamo quali atti connessi all’ambito giudiziario possono ancora scontare l’imposta di bollo. Si tratta in genere di documenti o operazioni al di fuori o a margine del processo vero e proprio, per i quali il contributo unificato non opera. Alcuni esempi e categorie:

  • Copie autentiche e certificati rilasciati dalle Cancellerie: se una parte chiede una copia conforme di una sentenza o di altro atto giudiziario per usi propri (ad esempio per esecuzione forzata, per consegnarla a un ente, ecc.), deve pagare l’imposta di bollo nella misura prevista (attualmente €16,00 ogni 4 facciate, ai sensi della Tariffa allegata al D.P.R. 642/1972), oltre ai diritti di copia. Anche i certificati rilasciati dagli uffici giudiziari (certificato dei carichi pendenti penali, certificato di passaggio in giudicato di una sentenza, ecc.) scontano il bollo se non destinati a uso giustizia. Nota: quando tali copie o certificati sono richiesti per scopi di un procedimento (es. copia esecutiva per continuare il giudizio o certificato da produrre in un altro processo), allora sono esenti – come detto sopra – in quanto “necessari per la prosecuzione del giudizio”. Diversamente, per usi privati o amministrativi, il bollo è dovuto.
  • Atti giurisdizionali da registrare in termine fisso: alcune decisioni dell’autorità giudiziaria (tipicamente sentenze civili che definiscono una controversia con contenuto patrimoniale, come una condanna al pagamento di somme, o decreti ingiuntivi esecutivi, decreti di trasferimento nelle esecuzioni immobiliari, ecc.) sono soggette per legge a registrazione presso l’Agenzia delle Entrate. In questi casi, l’imposta principale dovuta non è il bollo, bensì l’imposta di registro – spesso in misura proporzionale al valore della condanna o dell’atto (ad es. 3% nelle sentenze civili di condanna al pagamento di somme). La registrazione, però, potrebbe comportare anche un’imposta di bollo: se il provvedimento da registrare non è già esente da bollo, esso andrebbe presentato su carta bollata o con bollo virtuale. In pratica, la maggior parte dei provvedimenti giudiziari da registrare sono esenti bollo perché riguardano processi soggetti a contributo unificato. Tuttavia, in passato si richiedeva spesso la presenza di una marca da bollo sul provvedimento originale ai fini della registrazione. Oggi la prassi è semplificata (come vedremo, dal 2025 il bollo sugli atti da registrare si può pagare entro il termine di registrazione, anche in modo virtuale). Se però tale pagamento non viene effettuato nei termini, l’Ufficio finanziario può liquidare l’imposta di bollo dovuta su quell’atto oltre all’imposta di registro.
  • Scritture private presentate a un giudice o accordi nella procedura: ad esempio, se le parti producono in causa una scrittura privata non registrata (come una transazione, un contratto, ecc.), quell’atto, se soggetto a registrazione in caso d’uso, potrebbe essere trasmesso al fisco per la tassazione. Qui entra in gioco più l’imposta di registro; il bollo su tali scritture private va assolto fin dall’origine se l’atto è formato in Italia (Tariffa parte I). In contesti del genere, comunque, il bollo è dovuto originariamente sulla scrittura privata (non tanto sul fatto che viene esibita in giudizio). Quindi, se la scrittura era priva di bollo e viene “usata” in un procedimento, l’Amministrazione può contestare l’omesso bollo su di essa. Un caso concreto: presentazione di un accordo di rateizzazione o di una fideiussione in tribunale – se tali documenti erano soggetti a bollo (€16 ogni 4 pagine) e ne erano privi, il fisco può emettere avviso di liquidazione per recuperare quell’imposta di bollo non assolta.
  • Atti di volontaria giurisdizione non coperti da contributo unificato: la maggior parte delle procedure di volontaria giurisdizione (tutele, curatele, cambi nome, ecc.) paga un contributo unificato spesso ridotto. Qualora vi fossero atti di volontaria un tempo esenti da contributo e spese (oggi è raro), il bollo potrebbe essere dovuto. In generale comunque, anche in volontaria giurisdizione l’art. 18 D.P.R. 115/2002 esenta dal bollo, quindi casi del genere sono limitati (ad es. una procedura di volontaria ante 2002 che si è protratta? ma è un’ipotesi accademica).
  • Istanza o ricorso straordinario fuori dal processo ordinario: ad esempio, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (che non è un processo giurisdizionale ma un procedimento amministrativo) richiede il bollo (il D.P.R. 642/1972 all’Allegato A prevede il bollo per i ricorsi amministrativi straordinari). Questo però esula dagli “atti giudiziari” in senso stretto e rientra nei casi di bollo per atti amministrativi.

È importante notare che il legislatore nel 2024 è intervenuto ulteriormente per “razionalizzare” la materia. Con il Decreto Legislativo 18 settembre 2024, n. 139 (attuativo della Delega Fiscale) sono state apportate modifiche sia all’imposta di registro sia all’imposta di bollo. In particolare, per l’imposta di bollo è stata introdotta una maggiore flessibilità nelle modalità e tempi di pagamento:

  • Per gli atti da registrare in termine fisso, si è stabilito che il bollo possa essere pagato entro lo stesso termine previsto per la registrazione dell’atto, anziché dover essere assolto fin dall’origine. In pratica, se un provvedimento giudiziario o una scrittura privata dev’essere registrata entro 20 giorni, anche l’imposta di bollo relativa può essere pagata entro quei 20 giorni (e non necessariamente apposta in marca al momento della formazione). Il pagamento può avvenire tramite il modello F24, sfruttando i codici tributo appositi. Questa novità (in vigore dal 1º gennaio 2025) mira ad agevolare i contribuenti ed evitare omissioni “incolpevoli”: si pensi a un decreto ingiuntivo reso esecutivo, soggetto a registrazione, per cui l’avvocato aveva dimenticato di apporre la marca da bollo sull’originale – ora può rimediare pagando il bollo entro il termine di registrazione senza incorrere subito in sanzioni.
  • È stata inoltre prevista la possibilità di pagare il bollo con contrassegno telematico anche per documenti analogici presentati in originale all’Ufficio (prima alcune tipologie richiedevano F24 o viceversa, ora c’è più flessibilità di scelta tra marca tradizionale e pagamento telematico). Sempre in un’ottica di semplificazione, si consente di rettificare o integrare eventuali dichiarazioni relative al bollo (questo riguarda chi paga il bollo in modo virtuale o cumulativo, ad esempio le pubbliche amministrazioni o banche che presentano dichiarazioni periodiche di bollo virtuale): sarà possibile correggere errori od omissioni con dichiarazioni integrative.

In sintesi, la disciplina attuale (luglio 2025) dell’imposta di bollo sugli atti giudiziari può essere così riassunta:

  • Esenzione generale nei procedimenti giurisdizionali: atti e provvedimenti del processo sono esenti da bollo perché sostituito dal contributo unificato.
  • Residuale applicazione del bollo: dovuta solo per atti/documenti al di fuori del perimetro coperto dal contributo unificato, o in adempimenti collaterali (es. copie conformi richieste per uso extra-giudiziario, atti formati privatamente e non soggetti a contributo unificato).
  • Nuove modalità di pagamento: possibilità di assolvere il bollo entro il termine di registrazione per gli atti da registrare, pagamento tramite F24 o marca digitale, con eventuale correzione di errori.
  • Normativa di riferimento: D.P.R. 26/10/1972 n. 642 (Disciplina dell’imposta di bollo) e relative Tariffe; D.P.R. 30/05/2002 n. 115 (artt. 17-18 sulle esenzioni da bollo nel processo); D.Lgs. 18/09/2024 n. 139 (art. 4, modifiche all’imposta di bollo).

Di seguito, tabella che distingue le varie voci fiscali legate agli atti giudiziari per evitare confusioni:

Voce fiscaleOggettoQuando si applicaEsempio importo
Imposta di bollo (DPR 642/72)Bollo su atti/documenti giudiziari in senso lato (non coperti da contributo unificato)Residualmente, se l’atto/documento non rientra tra quelli processuali esenti.€16 ogni 4 pagine (atti giudiziari in bollo ordinario); esente se atto processuale.
Imposta di registro (DPR 131/86)Tassa di registro su atti che definiscono controversie o altri atti giudiziari soggetti a registrazioneSempre dovuta per legge su alcuni provvedimenti giudiziari (es. sentenze di condanna, decreti di trasferimento). Liquidata dall’Agenzia entro termini di decadenza.3% del valore della condanna (sentenze civili di condanna); 200 € fissa in altri casi. Notifica avviso se non pagata.
Contributo Unificato (DPR 115/02)Tassa unificata per spese di giustizia (copre bollo, diritti, ecc.)Dovuto per ogni grado di giudizio civile/amministrativo/tributario (salvo esenzioni). Importo fisso variabile in base allo scaglione di valore o alla materia.€43 per cause fino a €1.100 (tribunale ordinario); importi crescenti per scaglioni. Si paga all’inizio della causa; esonera dal bollo.
Diritti di cancelleria (vari)Altre spese vive (copie, certificati)Dovuti solo per servizi particolari (copie conformi, rilascio certificati, notifica a mezzo UNEP se non coperta da forfetizzazione).€11 per diritto di urgenza copie, €27 per diritto forfettario notifica in contributo unificato (importi inclusi nel CU per notifiche a richiesta d’ufficio).

(Nota: la tabella sopra semplifica le voci principali. L’avviso di liquidazione oggetto di questa guida riguarda specificamente imposta di bollo e talvolta le sanzioni/ interessi connessi.)

L’avviso di liquidazione: quando e perché arriva

Analizziamo ora come nasce un avviso di liquidazione per imposta di bollo relativa ad atti giudiziari. Comprendere l’origine dell’avviso è fondamentale per valutare cosa fare e se la pretesa fiscale sia legittima. In sostanza, l’avviso di liquidazione è uno strumento attraverso cui l’Agenzia delle Entrate recupera a posteriori un’imposta che doveva essere pagata su un dato atto/documento, ma che risulta non versata o versata in misura insufficiente.

Procedura: controllo e richiesta del bollo mancante

Nel contesto degli atti giudiziari, l’iter tipico che porta all’emissione di un avviso di liquidazione è il seguente:

  1. Segnalazione o scoperta dell’atto soggetto a bollo non pagato: Può avvenire in vari modi. Ad esempio:
    • La Cancelleria di un tribunale trasmette all’Agenzia delle Entrate un provvedimento per la registrazione (come è obbligata a fare per legge entro certi termini). Nella trasmissione, se quell’atto richiedeva anche il bollo, l’Ufficio finanziario verificherà se il bollo sia stato assolto. Se così non fosse, oltre a calcolare l’imposta di registro dovuta, predisporrà la liquidazione anche del bollo omesso.
    • Oppure, un controllo formale su atti già registrati d’ufficio evidenzia che mancava il pagamento del bollo. Ad esempio, un contratto di affitto registrato senza che fossero state apposte le marche da bollo su ciascuna copia come richiesto: l’Agenzia, accortasi, avvia la procedura per recuperare il bollo non pagato.
    • Ancora, se un contribuente presenta un’istanza o dichiarazione (si pensi a una dichiarazione di successione o altro atto) in cui doveva pagare bolli (ad es. sulle domande, sulle quietanze) e non l’ha fatto, l’Ufficio lo rileva in fase di liquidazione.
  2. Calcolo dell’imposta dovuta e delle sanzioni/interessi: Una volta riscontrata la violazione (omesso/insufficiente bollo), l’Amministrazione determina l’importo:
    • Imposta di bollo principale: tipicamente €16 a foglio (o altra tariffa specifica) moltiplicato per il numero di fogli non bollati o per le occorrenze previste dalla Tariffa. Esempio: se un documento di 5 pagine doveva avere 2 marche da bollo (1 ogni 4 facciate) per un totale di €32 e ne aveva solo una da €16, l’imposta omessa è €16.
    • Sanzione amministrativa: trattandosi di imposta indiretta, la violazione è punita con una sanzione proporzionale. **Dal 2023/2024 la sanzione per omesso o insufficiente pagamento del bollo è stata armonizzata all’**80% dell’imposta non pagata (prima, sotto il vecchio regime sanzionatorio, poteva essere dal 100% al 200%, ma la riforma l’ha ridotta e resa uniforme a 1,2 volte il tributo). Se però il contribuente regolarizza spontaneamente prima della contestazione, può avvalersi del ravvedimento operoso con riduzioni significative di questa sanzione. Inoltre, se l’omissione riguarda una dichiarazione di conguaglio infedele (caso tipico per chi paga il bollo in modo virtuale) la sanzione è anch’essa 80%, ridotta a 45% se la dichiarazione di conguaglio è presentata con ritardo non superiore a 30 giorni. (Queste ultime ipotesi toccano di rado i privati; sono più rilevanti per enti che versano il bollo virtuale periodicamente).
    • Interessi di mora: calcolati dal giorno in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata (di norma, dalla data di formazione o uso dell’atto) fino alla data di notifica dell’avviso. Il tasso di interesse è stabilito annualmente (negli ultimi anni intorno al 4% annuo, ma soggetto a variazioni) e gli interessi sono dovuti per il ritardo nel pagamento dell’imposta (art. 55, comma 4, D.Lgs. 546/1992 prevede interessi al tasso legale sulle somme dovute in base agli avvisi).
  3. Notifica dell’avviso di liquidazione: L’Ufficio prepara l’avviso, che è un provvedimento scritto contenente:
    • I dati dell’atto su cui il bollo è dovuto (es. tipo di documento, parti, data).
    • L’imposta di bollo dovuta e non versata, con relativo dettaglio (es: “Imposta di bollo su atto X, €16 per n.2 fogli = €32”).
    • La sanzione applicata (es: “80% dell’imposta = €25,6”, generalmente arrotondata) e gli interessi calcolati.
    • La normativa di riferimento (articoli del DPR 642/1972 violati, art. 13 D.Lgs. 471/1997 per sanzione, ecc.) e la motivazione del calcolo. Attenzione: un avviso privo di adeguata motivazione o che non esplicita da quale base imponibile o norma deriva l’importo richiesto è nullo per difetto di motivazione. La Cassazione ha ad esempio annullato un avviso di liquidazione che si limitava a chiedere una somma senza indicare su quale atto e base legale fosse dovuta, in violazione dell’obbligo di motivazione degli atti tributari (art. 7 L. 212/2000, Statuto del Contribuente).
    • L’indicazione del termine per pagare (in genere 60 giorni dalla notifica) e del termine per fare ricorso (60 giorni anche per l’eventuale impugnazione in Commissione Tributaria, come previsto dall’art. 21 D.Lgs. 546/1992).
    • Eventuali istruzioni per il pagamento (codice tributo da usare, ufficio competente, ecc.).
  4. Obbligati al pagamento e solidarietà: L’avviso viene di norma notificato al soggetto o ai soggetti obbligati al pagamento dell’imposta di bollo. Nel caso di atti giudiziari, la legge prevede una responsabilità solidale di tutte le parti in causa per le imposte relative agli atti del processo. In base all’art. 57 del DPR 131/1986 (richiamato per il bollo in via analogica), tutte le parti sostanziali del procedimento sono solidalmente tenute al pagamento, eccetto le parti intervenute volontariamente (cioè chi è entrato in giudizio senza esservi obbligato). Ciò significa che l’Agenzia Entrate può legittimamente notificare l’avviso anche alla parte vittoriosa, e in generale a tutte le parti processuali, per ottenere il pagamento dell’imposta di bollo dovuta su un provvedimento di quel giudizio, indipendentemente da chi, secondo il giudice, avrebbe dovuto sopportare le spese. Questa solidarietà serve a rafforzare la posizione dell’Erario: ogni parte è tenuta verso il fisco per intero, fermo restando i rapporti interni tra le parti (vedi oltre).

🔹 Esempio: Tizio cita Caio in giudizio. La sentenza finale condanna Caio (soccombente) a pagare le spese processuali. Supponiamo che la sentenza fosse soggetta a registrazione e bollo. Se Caio non paga l’imposta dovuta, l’Agenzia può notificare l’avviso di liquidazione anche a Tizio (vincitore), poiché entrambi erano parti e sono solidali verso il fisco. Tuttavia, nei rapporti interni Tizio potrà rivalersi su Caio: la norma prevede che l’onere del pagamento del bollo segue le regole delle spese di giudizio, quindi in un caso del genere il soccombente Caio sarebbe tenuto a rimborsare Tizio. Su questo punto torneremo quando discutiamo cosa fare se si finisce per pagare al posto dell’altro.

  1. Decadenza per l’emissione dell’avviso: L’Agenzia ha un tempo limitato per emettere l’avviso, decorso il quale decade dal potere di accertare e richiedere quell’imposta. Per l’imposta di bollo, il D.P.R. 642/1972 stabilisce che l’accertamento delle violazioni va compiuto entro 3 anni dalla violazione stessa. Dunque, il termine di decadenza è 3 anni dal giorno in cui il bollo avrebbe dovuto essere pagato (o l’atto è stato utilizzato senza bollo). Questo termine triennale vale in assenza di termini specifici diversi. In passato, alcuni equiparavano il termine a quello dell’imposta di registro (talvolta quinquennale per atti non registrati), ma la norma del bollo è chiara nel fissare 3 anni. Inoltre, la recente riforma non ha allungato tale termine per il bollo (ha modificato altri termini, come vedremo per il registro nelle successioni, ma non risulta modificato l’art. 37 DPR 642/72). Attenzione: se l’Ufficio non notifica nulla entro i 3 anni, decade dalla possibilità di esigere sanzioni e interessi; tuttavia l’obbligo di pagare il bollo in sé rimane “in sonno”. Infatti, l’art. 37 comma 2 DPR 642/72 precisa che la decadenza dell’azione amministrativa “non autorizza l’uso degli atti in violazione senza pagamento dell’imposta”. In pratica: se l’Agenzia non si fa viva entro 3 anni, non potrà più sanzionare il contribuente, ma qualora l’atto in questione venisse di nuovo prodotto o utilizzato ufficialmente in futuro, l’imposta di bollo dovrà comunque essere versata (senza sanzioni). Questa è una particolarità del bollo, che essendo un tributo legato alla circolazione degli atti, può essere richiesto al momento dell’uso dell’atto anche a distanza di anni.

Termini chiave da ricordare:

  • 60 giorni: tempo concesso nell’avviso per pagare o impugnare; scaduti i quali l’avviso diventa definitivo e l’importo non pagato è iscritto a ruolo.
  • 3 anni: termine di decadenza per la notifica dell’avviso di liquidazione bollo, decorrenti dalla violazione (es. dalla data di registrazione dell’atto se lì andava pagato il bollo, o dalla data di presentazione dell’istanza senza bollo). Se l’Agenzia notifica oltre questo termine, il contribuente può eccepire la decadenza e annullare l’atto.
  • 10 anni: termine di prescrizione ordinaria per la riscossione coattiva una volta che il debito sia definitivo. Dopo che l’avviso (o la successiva cartella) diventa definitivo, l’Agente della Riscossione ha 10 anni per poter agire (salvo atti interruttivi). Approfondiamo questo aspetto nella sezione sulla cartella esattoriale.

Differenza tra avviso di liquidazione e avviso di accertamento

Vale la pena chiarire la differenza concettuale tra un avviso di liquidazione e un avviso di accertamento, poiché i contribuenti confondono spesso i due termini. L’avviso di liquidazione – di cui ci occupiamo – è tipicamente usato per tributi indiretti dove c’è già un atto o una base imponibile nota, e l’Ufficio si limita a ricalcolare l’imposta dovuta (da qui il termine liquidazione, cioè calcolo di importi su dati noti). Non “scopre” nuove materie imponibili, ma chiede il pagamento di imposte già previste dalla legge su atti noti. Nel nostro caso, l’imposta di bollo su un certo atto giudiziario era dovuta ex lege; l’avviso arriva perché il Fisco ha riscontrato che non era stata versata.

Diversamente, l’avviso di accertamento è l’atto con cui si accerta un’imposta su materia imponibile non dichiarata o si rettifica una base imponibile sconosciuta. Ad esempio, un avviso di accertamento IRPEF contesta redditi non dichiarati, oppure un avviso di accertamento IVA contesta operazioni nascoste. Nel nostro ambito, se ad esempio non fosse mai stato registrato un atto soggetto a registro, l’Agenzia emetterebbe un avviso di accertamento e liquidazione per recuperare l’imposta di registro evasa. Ma per il bollo, trattandosi per lo più di importi fissi e dovuti su documenti presentati al Fisco stesso, si parla di liquidazione. In ogni caso, entrambi gli avvisi sono impugnabili davanti al giudice tributario (art. 19 D.Lgs. 546/92 include espressamente sia gli avvisi di accertamento sia quelli di liquidazione tra gli atti ricorribili). E in entrambi i casi, se non pagati, seguono la via della riscossione coattiva.

Riassumendo la genesi dell’avviso di liquidazione (bollo):

  • Il Fisco rileva un omesso bollo su un atto giudiziario (o collegato alla giustizia).
  • Entro 3 anni prepara e notifica un avviso di liquidazione indicando imposta, sanzioni ridotte e interessi.
  • Sono solidalmente responsabili tutte le parti dell’atto/giudizio (salvo eccezioni), quindi l’avviso può essere notificato a più soggetti.
  • Il destinatario ha 60 giorni per pagare o reagire.

Nel prossimo capitolo vedremo cosa fare in concreto alla ricezione dell’avviso: come leggere l’atto, verificare la correttezza o meno della pretesa e quali opzioni si prospettano (pagamento, autotutela, ricorso). Prima però, presentiamo una tabella riepilogativa dei termini temporali rilevanti per situarci nel tempo:

FaseTermine/ScadenzaNorma di riferimento
Emissione avviso di liquidazioneEntro 3 anni dalla violazione (decadenza amministrazione)Art. 37 DPR 642/1972
Notifica avviso al contribuenteEntro il termine di decadenza di 3 anni (notifica valida se effettuata entro fine del 3º anno)Art. 37 DPR 642/1972
Pagamento spontaneo dell’importo60 giorni dalla notifica dell’avviso (termine per evitare il ruolo)Art. 13 DPR 602/1973 (disciplina generale versamenti)
Impugnazione (ricorso)60 giorni dalla notifica (termine processuale per ricorrere in CTP) – 90 giorni se il destinatario risiede all’esteroArt. 21 D.Lgs. 546/1992
Iscrizione a ruolo (cartella) se non pagato né impugnatoDecorso inutilmente il termine di 60 giorni dall’avviso (dal 61º giorno in poi l’importo è iscritto a ruolo per la riscossione)Art. 17 DPR 602/1973; Art. 14 D.Lgs. 46/99 (ruoli)
Prescrizione della riscossione10 anni dalla data in cui il credito d’imposta è divenuto definitivo (in assenza di atti interruttivi)Orientamento giurisprudenziale su tributi indiretti; art. 2946 c.c. (prescrizione ordinaria)

(Nella tabella abbiamo indicato il termine prescrizionale di 10 anni perché, una volta definitivo il debito da bollo, esso viene assimilato a un titolo di credito dello Stato; la giurisprudenza tende ad applicare la prescrizione ordinaria decennale alla riscossione delle somme iscritte a ruolo per imposte indirette come registro e bollo. Ci sono opinioni differenti sulla natura di tali crediti, ma in mancanza di termini ad hoc, vale la regola generale decennale.)

Cosa fare quando arriva l’avviso di liquidazione

Arriviamo al punto cruciale: dal punto di vista del debitore, come comportarsi quando riceve un avviso di liquidazione per imposta di bollo su atti giudiziari. Le strade percorribili sono essenzialmente tre:

  1. Pagare quanto richiesto, se si ritiene corretto l’avviso (o comunque si preferisce chiudere la questione); valutando se chiedere una rateizzazione.
  2. Chiedere un riesame o fare osservazioni all’Ufficio (istanza di autotutela), se ci sono errori materiali o di calcolo, oppure se si dispone di documenti che provano l’inesattezza della pretesa.
  3. Impugnare l’avviso davanti alla Commissione Tributaria, se si ritiene infondato o illegittimo, per ottenerne l’annullamento totale o parziale.

Vediamo in dettaglio ciascuna opzione, i passi da compiere e le conseguenze.

1. Pagamento (con eventuale definizione agevolata)

Se l’avviso appare corretto e legittimo, la soluzione più semplice è pagare spontaneamente l’importo dovuto entro 60 giorni dalla notifica. Pagando entro tale termine, si evitano ulteriori sanzioni e l’iscrizione a ruolo con aggiunta di interessi di mora e oneri di riscossione. Inoltre, la normativa premia il pagamento tempestivo con una riduzione della sanzione: come accennato, se il contribuente “procede al pagamento delle somme dovute entro il termine per la proposizione del ricorso” (cioè entro 60 giorni), le sanzioni sono ridotte a 1/3. Spesso, l’avviso stesso già applica questa riduzione: ad esempio, se la sanzione base sarebbe 80% del bollo, l’Agenzia calcola direttamente il 80%/3 ≈ 26,67% nell’avviso, rendendo così conveniente pagare subito. Questa riduzione per “acquiescenza” è prevista dall’art. 15 del D.Lgs. 218/1997 ed evita contenziosi su questioni dove il contribuente riconosce il dovuto.

Modalità di pagamento: Dal 2018, il pagamento avviene con modello F24 (abolito il vecchio modello F23). L’avviso contiene i codici tributo da utilizzare, che per gli atti giudiziari sono:

  • A146 – “Atti giudiziari e successioni – Imposta di bollo – somme liquidate dall’ufficio” (importo dell’imposta di bollo omessa).
  • A148 – “Atti giudiziari e successioni – Sanzione imposta di bollo – somme liquidate dall’ufficio” (importo della sanzione amministrativa irrogata).
  • A152 – “Atti giudiziari e successioni – Interessi – somme liquidate dall’ufficio” (interessi di mora calcolati fino alla data dell’avviso).

Nel modello F24 bisognerà indicare tali codici con l’importo rispettivo, l’anno di riferimento (di solito l’anno in cui l’atto è stato formato o la violazione è avvenuta) e il codice ufficio e codice atto riportati sull’avviso. È importante compilare correttamente questi campi, perché consentono all’Agenzia di abbinare il versamento all’avviso specifico. In caso di dubbi, ci si può recare presso l’ufficio dell’Agenzia indicato sull’atto, dove forniranno assistenza per la compilazione del modello.

E se la somma è elevata? Rateizzazione. Pagare entro 60 giorni un importo consistente può non essere agevole. È possibile chiedere una rateizzazione? Sì, ma occorre distinguere: l’avviso in sé non prevede automaticamente la dilazione, tuttavia, se non si riesce a pagare subito, si può lasciare che l’importo venga iscritto a ruolo e poi chiedere la dilazione sulla cartella esattoriale. È una strategia delicata: significa non pagare entro i 60 giorni, con conseguente emissione della cartella (che comporta l’aggiunta di circa il 6% tra compensi di riscossione e spese). Però la cartella, una volta notificata, può essere rateizzata con piani fino a 72 rate mensili (6 anni) o, per importi molto alti o dimostrando difficoltà, anche 120 rate (10 anni), secondo le regole generali della riscossione. In alternativa, prima che scada il termine di 60 giorni dell’avviso, il contribuente può provare a contattare l’Ufficio per verificare se è possibile un pagamento frazionato: a volte, per importi di modesta entità, l’Ufficio può concedere di pagare in due tranche entro il 60° giorno (non è un diritto, ma talvolta viene accordato informalmente). In generale, se la cifra è alta e non si vuole fare contenzioso, pagare parzialmente (almeno la parte di imposta) ed evitare di accumulare sanzioni piene può essere una scelta prudente, completando il saldo appena possibile o attendendo la cartella per rateizzare il residuo.

Attenzione: se si sceglie di pagare integralmente nei 60 giorni, la partita si chiude lì. L’atto non va impugnato e non si avranno ulteriori conseguenze. È comunque opportuno conservare la ricevuta F24 e trasmettere copia del pagamento all’ufficio competente o consegnarla in Cancelleria (nel caso di tassazione di un atto giudiziario in corso di registrazione), così che il procedimento di registrazione venga completato e l’atto restituito alla Cancelleria. Pagare tempestivamente consente infatti all’Agenzia di procedere con la registrazione dell’atto tassato e rilasciare la ricevuta, indispensabile se ad esempio la parte ha bisogno di ottenere copie esecutive o far valere l’atto altrove.

Benefici del pagamento immediato:

  • Sanzione ridotta a 1/3 (già applicata nell’avviso in molti casi).
  • Nessuna iscrizione a ruolo, quindi niente aggi di riscossione né pubblicazione nei ruoli esattoriali.
  • Chiusura rapida del debito, con possibilità di ottenere dall’altra parte il rimborso (se spettante, vedi oltre) senza ulteriori complicazioni.
  • Se in futuro ci fosse un condono o una definizione agevolata delle liti, un atto non impugnato e pagato potrebbe non rientrare (ma al contempo si evitano spese di ricorso).

Recupero dall’altra parte (rivalsa): Pagare non significa rinunciare ai propri diritti verso la controparte. Come già accennato, se secondo le regole processuali l’imposta di bollo avrebbe dovuto gravare sull’altra parte, chi la paga per primo può esercitare azione di regresso. In concreto, l’art. 57 DPR 131/86 prevede che “nei rapporti interni l’imposta segue la sorte delle spese giudiziarie”. Quindi, ad esempio, se il giudice aveva posto le spese a carico del convenuto soccombente, quest’ultimo dovrebbe rimborsare al vincitore anche quanto questi ha pagato per la registrazione/bollo della sentenza. Il consiglio pratico è: versato il bollo, mettete a conoscenza l’altra parte (tramite PEC o raccomandata) dell’avvenuto pagamento chiedendo il rimborso pro quota o totale a seconda di cosa prevedeva la sentenza sulle spese. Se la controparte rifiuta, si può valutare di agire esecutivamente recuperando tale importo come credito di rimborso di spese (ad es., facendolo liquidare dal giudice nelle spese successive, oppure, se consistente, con separato decreto ingiuntivo).

2. Verifica e autotutela: far correggere o annullare l’avviso senza ricorso

Prima di correre a pagare, è bene verificare attentamente l’avviso: ci sono casi in cui l’importo richiesto potrebbe essere errato o l’avviso addirittura invalido. Dal punto di vista del contribuente/debitore, conviene controllare:

  • Esattezza formale: L’avviso è intestato correttamente? (ad es. a voi invece che a un omonimo o a un soggetto estraneo). Riguarda un atto a cui effettivamente avete partecipato? Riporta il riferimento all’atto (numero di RG, numero di repertorio, ecc.) comprensibile? La motivazione spiega perché vi chiedono questo importo? Se qualcosa di tutto ciò manca o non torna, l’atto può essere viziato (motivo di nullità può essere la carenza di motivazione, come detto). Anche una notifica effettuata in modo scorretto (es. a un indirizzo sbagliato) può rendere l’atto non valido: in tal caso, se ne viene a conoscenza tardivamente (magari tramite cartella), si potrà far valere la nullità della notifica.
  • Esattezza sostanziale: Il bollo era realmente dovuto per quell’atto? Qui bisogna ragionare sulle norme: se l’atto rientrava tra quelli esenti (perché parte di un processo coperto da contributo unificato, o perché esente ex Allegato B DPR 642/72, o per legge speciale), allora nessun bollo era dovuto e l’avviso è infondato. Ad esempio, se l’Agenzia chiedesse bollo su una sentenza civile di primo grado del 2023, bisognerebbe contestare perché le sentenze rientrano tra gli atti processuali esenti (il contributo unificato ha già assolto ogni spesa). In verità, però, l’Agenzia normalmente non liquida bollo su atti del genere – piuttosto liquida l’imposta di registro. Quindi occhio a non confondere: spesso l’avviso per la registrazione delle sentenze viene impropriamente chiamato “bollo” dal cittadino, ma è imposta di registro. Se nel vostro caso l’atto doveva pagare l’imposta di registro e non il bollo, verificate che non si tratti di quello (guardate i codici tributo: A196 sarebbe registro, A146 è bollo). Questa guida, come detto, copre il bollo, non il registro, ma può capitare che un avviso ne cumuli entrambe.
  • Calcoli: Se il bollo era dovuto, l’importo richiesto corrisponde al bollo esatto? Ad es., se un documento era di 5 pagine, il bollo doveva essere 2 marche = €32. Se chiedono €48, c’è un errore (forse hanno contato 3 marche). Oppure potrebbero aver calcolato male gli interessi (magari applicando un tasso o periodo sbagliato). Eventuali errori di calcolo vanno segnalati.
  • Decadenza: Fondamentale. Se l’avviso è arrivato oltre il termine di 3 anni dalla violazione, l’azione è decaduta. Bisogna computare bene: es. un atto presentato senza bollo il 10 gennaio 2021, l’avviso doveva essere notificato entro il 10 gennaio 2024. Notificato il 15 gennaio 2024 sarebbe tardivo e quindi nullo per decadenza. Attenzione però che se la violazione è continua (es., mancato conguaglio di bollo virtuale per tutto il 2021, forse il termine decorre dal 31/12/2021). In caso di atti giudiziari registrati d’ufficio, solitamente la “violazione” coincide con la data in cui andava richiesta la registrazione o in cui è stato registrato senza bollo. In dubio, potete chiedere lumi a un esperto o allo stesso ufficio. Se ravvisate la decadenza, è un ottimo motivo di ricorso (vedi punto 3) o di autotutela immediata.

Se riscontrate errori o motivi di non debenza, il primo passo non contenzioso da fare, entro i 60 giorni, è presentare una istanza in autotutela all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’avviso. Si tratta di una lettera (meglio se inviata via PEC o consegnata a mano con protocollo) in cui si espongono i motivi per cui l’avviso dovrebbe essere annullato o rettificato, allegando eventuale documentazione probatoria. Ad esempio: “Con riferimento all’avviso di liquidazione n. XYZ, si segnala che l’atto oggetto (sentenza n.123/2022) risulta esente da bollo ai sensi dell’art. 18 DPR 115/2002, in quanto atto del processo civile coperto da contributo unificato. Si chiede pertanto l’annullamento in autotutela dell’avviso per insussistenza del presupposto impositivo.” Oppure: “Si evidenzia che l’avviso risulta notificato oltre il termine di decadenza triennale di cui all’art.37 DPR 642/72, essendo la violazione riferita al 2019. Si invita l’ufficio a riesaminare la legittimità dell’atto.”.

L’autotutela è discrezionale: l’Ufficio non è obbligato a rispondere né ad annullare, ma spesso, se l’errore è palese, provvede. In casi di errore manifesto (importo sbagliato, persona sbagliata) l’ufficio può emettere un provvedimento di sgravio o rettifica prima che si arrivi al contenzioso. È buona norma indicare nell’istanza che si è disposti a un contraddittorio: chiedere un appuntamento o un colloquio per spiegare la situazione.

Fonti sulla prassi di autotutela: Lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) all’art. 6 prevede che l’amministrazione proceda all’annullamento di atti riconosciuti erronei. Inoltre, una circolare interna (Circ. 218/E/1997) incoraggia l’annullamento d’ufficio degli atti palesemente illegittimi. Nel nostro caso, se dimostrate che l’imposta non era dovuta (esenzione di legge) o che c’è decadenza, l’ufficio dovrebbe annullare. È bene citare queste ragioni normative nell’istanza.

Rapporto con il ricorso: La presentazione dell’autotutela non sospende i termini per il ricorso. Quindi, se mancano pochi giorni alla scadenza dei 60 giorni e l’ufficio non ha ancora risposto, dovrete comunque presentare ricorso per evitare decadenza (potrete poi sempre rinunciare se l’ufficio annulla). Talvolta gli uffici, a fronte di un evidente errore, invitano a non proporre ricorso assicurando che annulleranno in autotutela: valutate con cautela, perché se per qualsiasi motivo l’annullamento non arriva in tempo, rischiate di far passare il termine di impugnazione. Si può al limite chiedere all’ufficio di formalizzare un provvedimento di sospensione dell’atto in attesa di esito autotutela (lo possono fare per 90 giorni ex art. 6, co.5 L. 212/2000), ma non è scontato. In assenza di risposte scritte, meglio predisporre il ricorso (anche solo “prudenziale”).

In sintesi su questa fase di verifica/autotutela: è il momento di far valere eventuali vostri diritti prima di pagare. Se avete ragione su qualche aspetto, spesso l’Agenzia è disponibile a ricalcolare correttamente (ad es. togliere un foglio di bollo erroneamente addebitato) o, se portate una norma chiara di esenzione, ad annullare l’atto. Questo consente di risolvere senza dover instaurare un giudizio. Tuttavia, se l’ufficio rigetta la vostra istanza o non risponde, l’unica via per far valere le vostre ragioni resta il ricorso, di cui trattiamo ora.

3. Ricorso in Commissione Tributaria

Quando si ritiene che l’avviso sia infondato o viziato e l’Agenzia non accoglie (o si prevede non accoglierà) le ragioni in autotutela, occorre passare alla tutela giurisdizionale: il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) competente (territorialmente, quella della provincia dove ha sede l’ufficio che ha emesso l’avviso).

Tempistiche: Il ricorso va notificato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (il giorno iniziale e finale vanno calcolati escludendo quello di notifica e includendo l’ultimo; se cade di sabato o festivo, slitta al primo giorno successivo feriale). Come già notato, la pendenza di eventuale autotutela non sospende questo termine, quindi attenzione a rispettarlo.

Procedura di reclamo/mediazione: Se l’importo dell’avviso (somma di imposta, sanzioni, interessi) non supera €50.000, il ricorso iniziale si intende anche quale reclamo e proposta di mediazione (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). In tal caso, dopo la notifica del ricorso-reclamo, l’Agenzia ha 90 giorni per valutare se accogliere in tutto o in parte le vostre richieste o proporre una mediazione (ad esempio, riducendo sanzioni). Solo decorso tale termine, il ricorso procede in giudizio. Nella pratica, per avvisi di bollo di solito gli importi non sono elevatissimi, per cui molte cause rientrano in questa soglia di reclamo. L’ufficio, se si rende conto di avere poche chance in giudizio, potrebbe concludere un accordo di mediazione riducendo sanzioni al minimo o annullando parzialmente l’atto. Se invece l’ufficio rigetta il reclamo, il ricorso prosegue normalmente e verrà discusso davanti al giudice tributario.

Sospensione della riscossione: Presentare ricorso non sospende automaticamente l’obbligo di pagamento. A differenza del passato (in cui bastava ricorrere perché l’ente non potesse riscuotere fino a sentenza passata in giudicato), oggi l’Agenzia può procedere ad iscrivere a ruolo un importo pari a 1/3 di quanto richiesto anche se il contribuente ha presentato ricorso, decorso il termine di 60 giorni. Per gli avvisi di liquidazione relativi a imposte indirette, la regola generale (art. 15 DPR 602/73) è: se fai ricorso, resta dovuto provvisoriamente il 1/3 dell’imposta (esclusa sanzione) e gli interessi sul terzo. Tuttavia, spesso, in attesa della decisione, l’Agente della riscossione non attiva subito la cartella per il terzo, specialmente se importi modesti; ma è un rischio. Per evitare anche quel terzo, o per evitare pignoramenti sulla parte non sospesa, potete chiedere alla Commissione Tributaria una sospensione cautelare dell’atto (art. 47 D.Lgs. 546/92) dimostrando sia il fumus boni iuris (ragioni fondate nel ricorso) sia il periculum (danno grave e irreparabile se doveste pagare subito). Se concessa, l’ente non potrà riscuotere nulla finché non si decide la causa. La sospensione va chiesta con un’istanza motivata, anche contestuale al ricorso. Di solito il giudice fissa una camera di consiglio entro 30-40 giorni e decide. Se il ricorso è palesemente fondato (esempio: decadenza conclamata), non è difficile ottenere la sospensione. Se il ricorso è più incerto, è più difficile provare il periculum (per un importo piccolo, il giudice può dire che il danno non è grave). È comunque uno strumento da considerare.

Svolgimento del giudizio: La causa tributaria su un avviso di bollo seguirà l’iter ordinario: il ricorso (che va notificato all’ufficio e poi depositato in Commissione entro 30 giorni dalla notifica) deve contenere i motivi di opposizione (es. “violazione di legge: atto non soggetto a bollo ex art…”, “decadenza del potere accertativo”, “difetto di motivazione”, ecc.). È importante allegare copia dell’avviso impugnato e dei documenti a supporto (sentenze, ricevute, normative stampate). Nelle controversie fino a €3.000 di valore è ammessa l’autodifesa (il contribuente può stare in giudizio personalmente); oltre tale soglia, serve l’assistenza tecnica di un difensore abilitato (avvocato, commercialista o altro professionista iscritto in apposito elenco). Per tributi come il bollo, spesso gli importi sono contenuti, ma attenzione: il valore della causa comprende imposta + sanzioni, e si calcola al netto di interessi (art. 12 c. 5 D.Lgs. 546/92). Ad esempio, se chiedono €300 di bollo e €240 di sanzione, totale €540: occorre il difensore (perché >3000? No, scusate, 540 < 3000, quindi no difensore obbligatorio in questo caso; era un esempio: se fosse stato €3000 + 2400 = 5400 sì).

Durante il giudizio, l’ufficio si costituirà depositando controdeduzioni (spiegando perché il bollo è dovuto). Il contribuente può replicare con memorie. Infine, la Commissione deciderà con sentenza: può accogliere il ricorso (annullando l’avviso in toto o in parte) oppure respingerlo (confermando la legittimità dell’avviso) o magari accogliere in parte (ridurre la sanzione, ad esempio, o riconoscere l’esenzione per alcuni documenti e non per altri).

Esecuzione della sentenza: Se il ricorso viene accolto e l’avviso annullato, nulla è dovuto e, se avete pagato qualcosa nel frattempo (es. quel 1/3 provvisorio), l’Agenzia dovrà restituirlo con interessi. Se invece il ricorso è respinto, la pretesa diventa definitiva: dovrete pagare l’intero importo (al netto di quanto eventualmente già versato come provvisorio). La sentenza di primo grado è comunque impugnabile in secondo grado (CT Regionale, ora rinominata Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado) sia da voi che dall’Agenzia, entro 60 giorni. Durante l’appello, se l’Agenzia ha vinto in primo grado, può intanto riscuotere un ulteriore 1/3 (secondo terzo) dopo 30 giorni dalla notifica della sentenza, e il residuo dopo la sentenza definitiva. In questi meccanismi si entra se il contenzioso si prolunga. Per importi modesti di bollo, spesso non conviene proseguire oltre il primo grado a meno che non vi siano principi importanti da far valere.

Costi del ricorso: Va considerato il contributo unificato per il ricorso tributario. Sì, ironia della sorte, per contestare un’imposta di bollo di qualche decina o centinaio di euro, può doversi pagare un contributo unificato di importo fissato (per le cause di valore fino a €5.000 è €30; da 5.001 a 25.000 è €60, e così via in base al D.Lgs. 546/92). Il contributo unificato è dovuto anche in caso di ricorsi in materia di imposte indirette. Inoltre, se si ricorre con l’assistenza di un professionista, ci saranno spese di difesa (che potrete chiedere vengano rifuse dall’Agenzia in caso di vittoria – le Commissioni spesso liquidano qualche centinaio di euro di spese di giudizio a carico della parte soccombente). In caso di mediazione, se si trova un accordo, c’è una riduzione delle sanzioni del 35% e ciascuno sopporta le proprie spese.

Motivi di ricorso più frequenti (bollo atti giudiziari): Dall’esperienza pratica e dalla giurisprudenza degli ultimi anni, possiamo elencare alcuni motivi di opposizione che spesso portano all’annullamento/riforma degli avvisi di liquidazione per bollo:

  • L’atto rientra tra quelli esenti: dimostrando che l’atto in questione era parte di un procedimento coperto dal contributo unificato (citando art. 18 DPR 115/02 e magari risoluzioni AE), si contesta la debenza del bollo ab origine. Le Commissioni hanno accolto ricorsi in cui ad esempio l’Ufficio pretendeva il bollo su istanze o documenti prodotti in giudizio, ritenuti esenti in quanto atti “necessari” al processo (cfr. CTR Lombardia, sent. n. 3201/2015, che ha annullato un avviso su certificati anagrafici richiesti per notifica, confermando l’esenzione).
  • Difetto di motivazione: se l’avviso non spiega la ragione giuridica del tributo richiesto (ad es. “bollo su istanza Tizio” senza indicare quale norma lo imponesse), se ne può eccepire la nullità. La Cassazione ha sancito che la motivazione deve consentire al contribuente di verificare la correttezza del calcolo e la fonte dell’obbligo. Una semplice indicazione generica potrebbe non bastare.
  • Decadenza del potere impositivo: come detto, se l’avviso è oltre i 3 anni dalla violazione, le Commissioni di regola lo annullano per intervenuta decadenza (cfr. ad es. CTP Roma 10777/2019 che ha accolto il ricorso di un contribuente perché l’avviso per bollo su una scrittura privata divenne tardivo).
  • Errore di persona – mancata partecipazione: se vi notificano un avviso per un atto al quale non eravate parte, ovviamente non ne siete responsabili. A volte l’errore nasce da omonimie o da errata indicazione dei codici fiscali. Provando che non eravate parte dell’atto giudiziario in questione, otterrete l’annullamento (o la vostra esclusione).
  • Importo non dovuto in parte: in alcuni casi, l’avviso viene annullato solo parzialmente. Ad esempio, un contribuente contestava il numero di pagine tassate: se il giudice verifica che effettivamente l’atto era più corto, può dichiarare non dovuta una parte dell’imposta. Oppure, se la sanzione applicata fosse stata quella previgente più alta invece che l’80% corretto, il giudice la ridurrà al minimo di legge (magari sanzione ridotta a 80% o meno se ravvisa buona fede e applica cause di non punibilità).

Ricorrere richiede tempi e costi, quindi va ponderato. Ma è lo strumento necessario per far valere ragioni solide quando l’Amministrazione non recede. Fortunatamente, la materia bollo atti giudiziari non è delle più complesse né vi sono interpretazioni dubbie come in altri tributi: spesso si tratta di applicare chiaramente la regola dell’esenzione o verificare adempimenti.

Focus: rapporto con la cartella esattoriale

Un scenario frequente (e insidioso) è quello in cui il contribuente non si accorge dell’avviso di liquidazione o non interviene in tempo, e si vede recapitare direttamente una cartella esattoriale da Agenzia Entrate-Riscossione (AER) per “imposta di bollo su atti giudiziari”. Cosa fare in tal caso?

Cartella dopo avviso non pagato: Se l’avviso è stato regolarmente notificato, sono decorsi 60 giorni senza pagamento né ricorso, l’importo viene iscritto a ruolo e AER emetterà una cartella di pagamento. La cartella conterrà le somme dell’avviso (imposta, sanzioni, interessi fino all’avviso) più gli interessi di mora calcolati dal 61º giorno in poi e gli aggi di riscossione (circa il 6% delle somme iscritte). La cartella, in sé, è un atto meramente liquidatorio di quanto a ruolo; non si può contestare nel merito il tributo se l’avviso sottostante è divenuto definitivo. Quindi, se ricevete la cartella e avevate ricevuto l’avviso ma lo avete ignorato, ormai non si può più far valere motivi di esenzione o errori dell’avviso: quei motivi erano deducibili contro l’avviso entro 60 giorni. L’unica possibilità sarebbe provare un vizio proprio della cartella (es. notifica irregolare della cartella stessa, o importi difformi dall’avviso, o prescrizione nel frattempo maturata). Ad esempio, se la cartella viene notificata oltre i termini di prescrizione (diciamo oltre 10 anni dall’avviso), si può impugnarla per prescrizione sopravvenuta. Oppure se l’Agente ha iscritto importi maggiori di quelli dovuti (capita raramente: vanno confrontati con l’avviso originale).

  • Strategia in questi casi: La cartella è impugnabile entro 60 giorni dalla notifica, davanti alla Commissione Tributaria, ma con margini di difesa limitati (non si può ridiscutere se il bollo era dovuto, salvo non siate mai stati messi a conoscenza prima). Tuttavia, un importante appiglio è: “Non ho mai ricevuto l’avviso di liquidazione”. Se riuscite a dimostrare che l’avviso presupposto non vi fu notificato affatto o in modo valido, la cartella può essere annullata perché vi priva di un grado di giudizio. Molte sentenze confermano che la cartella è nulla se l’atto impositivo precedente non è stato notificato regolarmente al contribuente (violazione diritto difesa). Quindi, verificate: l’Agenzia avrebbe dovuto notificare l’avviso a voi, avete mai ricevuto qualcosa del genere? Se no, magari l’ha inviato a un vecchio indirizzo, o la notifica postale è andata irreperibile. In sede di ricorso contro la cartella, potete chiedere all’ente di produrre la relata di notifica dell’avviso: se non la esibiscono o se risulta viziata, il giudice tributario annullerà la cartella e, conseguentemente, anche l’avviso sottostante (o comunque vi rimette in termini per impugnarlo).
  • Caso: cartella ricevuta da “terzo coobbligato”: poniamo che l’avviso fosse stato notificato solo a Caio (soccombente) e Tizio (vittorioso) non l’abbia mai ricevuto, poi arrivi cartella a entrambi. Tizio può impugnare la cartella eccependo di non aver ricevuto l’avviso presupposto: la sua cartella dovrebbe essere annullata quantomeno per lui, in quanto non edotto prima. Caio invece se aveva ricevuto l’avviso e non pagato, per lui la cartella è dovuta (salvo altri vizi). In sostanza ogni destinatario può far valere la propria posizione.

Rateizzazione della cartella: Se la cartella è legittima e dovete pagare, potete richiedere direttamente ad Agenzia Entrate-Riscossione la dilazione (fino a 72 rate mensili senza necessità di documentare, se l’importo è sotto €120.000 circa; fino a 120 rate se c’è comprovata grave difficoltà). La domanda va presentata entro 60 giorni dalla notifica della cartella (se presentata dopo, nel frattempo potrebbero attivare misure cautelari, ma in genere si può chiedere anche successivamente se la cartella è ancora non riscossa interamente). Con la presentazione della richiesta di rateazione, si sospendono le azioni esecutive e si può estinguere il debito gradualmente. Tenete conto che la rateazione comporta interessi di dilazione aggiuntivi (attualmente intorno al 3,5-4%).

Misure cautelari ed esecutive: Se né pagate né fate nulla, la cartella dopo 60 giorni diviene esecutiva. AER potrà procedere con:

  • Fermo amministrativo su auto/moto (per debiti sopra €1.000).
  • Ipoteca su immobili (per debiti sopra €20.000).
  • Pignoramenti su conti correnti, stipendio/pensione, affitti, ecc. (per qualunque importo, ma in pratica si muovono per importi non minimi).
    Nel caso di un bollo su atti giudiziari, spesso l’importo non è enorme, ma se ci sono altre pendenze cumulate, può scattare. Rateizzare tempestivamente evita questi effetti.

Occhio ai provvedimenti di sgravio e condoni: Se nel frattempo avete fatto ricorso e ottenuto l’annullamento dell’avviso, ma arriva comunque la cartella (può capitare per tempi tecnici), bisogna presentare istanza di sgravio in autotutela allegando la sentenza favorevole. Se sono pendenti definizioni agevolate (sanatorie), val la pena informarsi se l’imposta di bollo rientra (nel 2023 vi era una “definizione agevolata liti pendenti”, ma solo per cause in cui l’Agenzia è soccombente in primo grado o simili – per cause minori di bollo, in genere conviene portarle a termine più che aderire a sanatorie).

Conclusione operativa: La cartella è il punto di non ritorno in cui o pagate (anche a rate) oppure dovete trovare un vizio formale. Per evitare di arrivarci, il consiglio è di intervenire già alla fase di avviso: controllare la propria posta (anche digitale, perché oggi avvisi possono arrivare via PEC se avete domicilio digitale attivo) e non ignorare le comunicazioni fiscali. Un piccolo avviso contestato in tempo può farvi risparmiare sanzioni e aggio futuri.

Esempi pratici (simulazioni)

Di seguito presentiamo alcune simulazioni pratiche di situazioni frequenti riguardanti l’imposta di bollo su atti giudiziari e gli avvisi di liquidazione, con l’indicazione di un possibile approccio risolutivo in ciascun caso. Queste simulazioni aiutano a calare i concetti teorici nella realtà quotidiana di avvocati e privati.

Caso 1: Bollo su decreto ingiuntivo non versato – avviso al creditore vittorioso
Scenario: Mario Rossi, creditore, ha ottenuto nel 2022 un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo dal Tribunale contro ACME Srl. Ha pagato il contributo unificato per il ricorso monitorio, ma non ha applicato alcuna marca da bollo sull’originale del decreto emesso dal giudice. La cancelleria, come da prassi, entro 5 giorni ha inviato copia del decreto all’Agenzia delle Entrate per la registrazione (essendo un provvedimento che definisce un procedimento civile). La registrazione ha rivelato che c’era da pagare l’imposta di registro (essendo un provvedimento di condanna): ACME Srl, in quanto ingiunta, avrebbe dovuto pagare il 3% sull’importo ingiunto, ma non l’ha fatto (poniamo che l’importo fosse €10.000, imposta registro €300). Inoltre, l’Agenzia ha notato che sul decreto non c’era la marca da bollo da €16 che invece sarebbe stata dovuta (in teoria: i decreti ingiuntivi ricadono nell’esenzione bollo perché atto del processo civile; tuttavia, in passato si richiedeva una marca sull’originale per l’uso, questione controversa. Fingiamo, per l’esempio, che fosse dovuta – o magari era dovuta perché il decreto è stato notificato come copia conforme e lì andava il bollo sulla certificazione di conformità). Nel 2023, l’Agenzia notifica a Mario Rossi un avviso di liquidazione che cumula: €16 di bollo, €300 di registro, più sanzioni e interessi. Rossi rimane sorpreso: “Perché a me, che sono il creditore e ho vinto? Non dovrebbe pagare il debitore?”. Inoltre, nota che nell’avviso è indicato codice tributo A196 (imposta di registro atti giudiziari) e A146 (bollo atti giudiziari).

Cosa fare: In primis, Rossi deve capire che l’avviso comprende due imposte diverse. L’imposta di registro (€300) è effettivamente a carico del soccombente ACME Srl, ma Rossi come parte vincitrice è solidalmente obbligato verso il Fisco. L’imposta di bollo (€16) sul decreto sarebbe in realtà discutibile (se Rossi consulta un legale, questi potrebbe obiettare che i decreti ingiuntivi, essendo atti del processo civile, dovrebbero essere esenti bollo per l’art. 18 DPR 115/02 – e avrebbe ragione, probabilmente c’è un errore dell’Ufficio a pretendere quel bollo). Rossi, col consiglio del legale, fa così:

  • Presenta una istanza di autotutela all’Agenzia delle Entrate per la parte di bollo, citando l’esenzione ex art. 18 DPR 115/02 e la risoluzione 24/E/2016 in cui l’Agenzia stessa riconosce che gli atti del processo civile non pagano bollo. Chiede l’annullamento parziale dell’avviso in parte qua (€16 + relativa sanzione).
  • Parallelamente, non contesta l’imposta di registro (sa che è dovuta) e, volendo evitare problemi, paga i €300 di registro + interessi + relativa sanzione ridotta entro 60 giorni. Pagando questa parte, dimostra buona fede e riduce le sanzioni. Per la quota bollo (€16 con sanzione magari €12.8, totale poco più di €30) attende l’esito dell’autotutela.
  • L’Ufficio, verificata la fondatezza della richiesta, annulla la parte di bollo (magari emanando un provvedimento di sgravio per €16 + sanzioni annesse). Rimane dovuta solo la parte registro che Rossi ha già versato.
  • Rossi a questo punto può cercare di recuperare da ACME Srl i €300 pagati di registro (più sanzione) in virtù del fatto che le spese seguono la soccombenza. Se ACME è ancora solvibile, gli invia richiesta di rimborso; se non ottiene nulla, può eventualmente aggiungere quell’importo al precetto quando procede a pignorare per eseguire il decreto ingiuntivo, qualificandolo come ulteriore spesa necessaria.

Varianti: Se l’Ufficio non avesse accolto l’autotutela sul bollo, Rossi avrebbe potuto fare ricorso solo per i €16 di bollo (valore causa modesto, ma per principio) e molto probabilmente avrebbe vinto, dato il chiaro dettato normativo. In ogni caso, Rossi ha evitato la cartella e risolto il grosso pagando subito la parte inevitabile e contestando la parte erronea.

Caso 2: Omesso bollo su istanze di parte in un procedimento – cartella dopo anni
Scenario: Un avvocato, avv. Bianchi, tra il 2018 e il 2019 ha presentato diverse istanze di fallimento presso un tribunale per conto di creditori. All’epoca, ogni istanza di fallimento (procedura concorsuale) richiedeva il pagamento di €16 di bollo + €[importo] di contributo unificato. Supponiamo che, per dimenticanza, Bianchi abbia depositato 5 istanze senza apporre la marca da bollo da €16 (contributo unificato invece versato). La Cancelleria ha accettato le istanze (a volte succede che non controllino subito il bollo, oppure l’avvocato ha dichiarato che avrebbe fatto bollo virtuale e poi non è avvenuto). Nel 2020, a seguito di controlli, l’Agenzia emette 5 avvisi di liquidazione da €16 ciascuno + sanzioni (all’epoca sanzione 100%, quindi €16, ridotta a ~€5,3 con acquiescenza) intestati a ciascun creditore istante (non all’avvocato, perché soggetto obbligato è chi ha firmato l’istanza come parte sostanziale). Purtroppo però, quegli avvisi vengono inviati a indirizzi non aggiornati dei creditori o non vengono recapitati correttamente. Passano i 60 giorni e nessuno paga. Nel 2022 e 2023, l’Agenzia Riscossione notifica ai 5 creditori delle cartelle esattoriali, ciascuna di circa €35 (tra bollo+sanzioni+interessi+aggi) per quelle istanze. I creditori, non capendo di cosa si tratti (magari le istanze risalgono a anni prima, alcuni fallimenti anche rigettati o archiviati), contattano l’avv. Bianchi.

Cosa fare: L’avvocato Bianchi, rendendosi conto che fu una sua svista nel 2018 a non mettere i bolli, si fa carico di gestire la questione. Esamina le cartelle: ogni cartella cita un ruolo per “Imposta di bollo – codice A146”. Nessuno dei creditori ricorda di aver ricevuto gli avvisi iniziali. Dunque è probabile che gli avvisi non siano stati notificati correttamente (oppure mandati all’avvocato? Ma l’avvocato non era destinatario legale, dovevano notificarli alle parti). Bianchi decide di impostare un’impugnazione unica (se possibile, magari se stessi creditori, altrimenti separatamente) delle cartelle, sollevando:

  • Difetto di notifica degli avvisi presupposti: chiederà in giudizio che l’Agenzia produca le relate degli avvisi 2020. Se non lo faranno o emergerà un vizio (es. notifica a indirizzo errato o a persona sbagliata), la Commissione annullerà le cartelle per mancata notifica dell’atto presupposto.
  • (In subordine) Esenzione dal bollo?: essendo istanze di fallimento, sono atti del processo civile concorsuale – quindi in realtà anche qui l’avvocato potrebbe sostenere che erano esenti bollo ex art. 18 DPR 115/02. Tuttavia, va detto che per anni c’è stato dubbio se le istanze di parte dovessero il bollo (si tende a considerarle atti processuali, quindi esenti; ma fino a chiarimenti, alcuni uffici lo chiedevano). In giudizio, l’avvocato può comunque far valere l’interpretazione favorevole dell’esenzione.
  • Prescrizione: per scrupolo, se tra violazione (2018) e cartella (2023) fossero passati più di 5 anni, si potrebbe eccepire la prescrizione del credito. Ma essendo imposta erariale, meglio invocare 10 anni; nel nostro caso sono 5 anni, potremmo provare a dire che essendo sanzione amministrativa, c’è prescrizione quinquennale per la sanzione (art. 20 D.Lgs. 472/97), ma gli importi includono anche imposta, quindi non così semplice.
  • Verrebbe richiesto anche l’annullamento delle sanzioni per buona fede, ma qui è complicato: la sanzione era già ridotta negli avvisi originari, ora la cartella riscuote sanzione intera (80% o 100%? Dipende se applicano ridotta). Comunque, l’argomento principale resta il vizio procedurale.

In Commissione, l’avvocato Bianchi potrebbe ottenere l’annullamento delle cartelle se effettivamente gli avvisi non furono notificati correttamente. A quel punto, l’Agenzia tornerebbe in possesso del potere di notificare di nuovo gli avvisi (se non decaduti): ma nel 2023 ormai quegli avvisi del 2020 erano già decaduti? Attenzione: violazione 2018, decadenza fine 2021; in realtà li avevano emessi nel 2020, quindi entro termine. Se la notifica fu nulla, l’Ufficio potrebbe ridargli notifica? C’è dibattito: la notifica nulla può essere rinnovata, ma se i termini sono trascorsi, alcuni dicono non si può. La Cassazione tende a consentire la rinotifica se l’atto fu spedito nei termini (principio della scissione notificazione). Dunque non è detto che il bollo muoia lì. Ad ogni modo, visto il modesto importo, può darsi che l’Agenzia rinunci a riproporre gli avvisi.

Alternativa pratica: l’avv. Bianchi potrebbe anche considerare di pagare di tasca sua le 5 cartelle (35€ ciascuna, totale 175€) riconoscendo l’errore, per evitare ai clienti il fastidio del ricorso. Potrebbe farlo e poi chiedere lo sgravio se riesce a convincere l’ufficio su esenzione. Dipende dal rapporto con i clienti. Ma ai fini didattici, il ricorso come sopra illustrato è utile.

Caso 3: Avviso di liquidazione “anomalo” – richiesta di bollo su sentenza penale di danno
Scenario: L’Agenzia delle Entrate notifica nel 2025 un avviso di liquidazione a una persona, Sig. Verdi, per “imposta di bollo su sentenza penale di condanna generica al risarcimento danni”. In dettaglio: Verdi era parte civile in un processo penale contro Tizio; la sentenza penale del 2023 ha condannato Tizio per reato e in più lo ha condannato al risarcimento dei danni in favore di Verdi, da liquidarsi in separata sede civile (condanna generica, art. 539 c.p.p.). Tale sentenza, trasmessa dal Cancelliere penale all’Agenzia Entrate, non sconta imposta di registro (perché in materia penale si paga registro solo se c’è liquidazione del danno, mentre la condanna generica no, circolare min. Finanze 1986…). L’Agenzia però erroneamente interpreta che su quella sentenza fosse dovuto il bollo da €16 e notifica a Verdi un avviso chiedendo €16 + sanzioni. Verdi rimane perplesso: ha già pagato spese per costituirsi parte civile, e ora gli chiedono bollo su una sentenza? Inoltre, nota che il contributo unificato per costituirsi parte civile lo aveva pagato (€** importo parte civile).

Cosa fare: Questo è un caso in cui l’Agenzia sembra aver confuso le cose. Le sentenze penali non pagano bollo (atti processuali). Semmai pagano l’eventuale registro se c’è condanna al danno quantificata, ma qui era generica. Verdi, magari assistito dal suo avvocato penalista, farà subito istanza di annullamento in autotutela citando il chiaro disposto che gli atti e provvedimenti del processo penale sono esenti da bollo (art. 18, co.1 DPR 115/02). Allegando copia della sentenza e la prova che aveva pagato contributo unificato per la costituzione, chiederà l’annullamento completo dell’avviso. Con ogni probabilità, l’Ufficio riconoscerà l’errore e annullerà. Qualora invece facessero resistenza, Verdi può star sicuro di vincere in Commissione: basterebbe presentare la norma di esenzione. In aggiunta, potrebbe contestare la motivation dell’avviso: probabilmente c’era scritto qualcosa tipo “bollo dovuto fin dall’origine ai sensi art. 2 DPR 642/72 su sentenza n…”, senza menzionare l’esenzione speciale – quindi atto immotivato parzialmente. Comunque, in casi così anomali, di solito basta un dialogo con l’ufficio per chiudere la vicenda.

Caso 4: Bollo su contratto di transazione giudiziale – prevenire l’avviso
Scenario: Due aziende, Alfa e Beta, in lite civile, raggiungono nel 2025 una conciliazione in corso di causa: sottoscrivono in udienza un verbale di conciliazione giudiziale che definisce la lite alle condizioni concordate. Tale verbale, che è atto pubblico giudiziario, viene trasmesso all’Agenzia per la registrazione entro 5 giorni (obbligatoria perché definisce la causa). Ora, su un verbale di conciliazione è dovuta l’imposta di registro in misura fissa (€200) o proporzionale? Dipende dal contenuto (se comporta trasferimenti immobiliari o pagamenti, in genere è €200 fisso come atto giudiziario che definisce la causa ai sensi art. 11 Tariffa Parte I DPR 131). E il bollo? In teoria è un atto processuale (udienza), quindi esente da bollo. Tuttavia, spesso capita che i verbali di conciliazione debbano avere marche da bollo se contengono provvedimenti esecutivi equiparati a decreti. Su questo campo a volte la prassi è incerta. Poniamo che l’avvocato di Alfa sappia che la conciliazione va registrata; per prudenza appone sul verbale le marche da bollo richieste (ad es. due da €16 se il verbale è di 5 pagine), per evitare futuri problemi. Infatti, a livello preventivo, è sempre meglio assolvere il bollo se c’è il minimo dubbio, perché come visto se anche poi non era dovuto, raramente il fisco contesta bolli “in più” pagati (sarà un eccesso benigno). Invece, omettere il bollo e scoprire poi che lo pretendevano comporta avvisi e sanzioni. Dunque l’avvocato di Alfa spiega al cliente che 32 euro di marche sono un costo assai minore di un possibile avviso futuro con sanzioni. Il cliente acconsente. Il verbale viene registrato e nulla è più dovuto: nessun avviso di liquidazione verrà, né per registro (perché il cancelliere aveva chiesto la registrazione a debito e Alfa provvede a pagare i 200 euro spontaneamente consegnando il modello F24 prima ancora che arrivi l’avviso, sfruttando la possibilità di pagamento spontaneo), né per bollo (perché assolto con marche). Alfa e Beta hanno quindi definito la lite pagando solo i tributi dovuti senza sanzioni. – Insegnamento: prevenire è meglio che curare: conoscere in anticipo quali imposte indirette un atto giudiziario potrà scontare consente di pagarle spontaneamente ed evitare l’arrivo di avvisi di liquidazione.


Questi esempi mostrano diverse sfaccettature: a volte il destinatario dell’avviso è “virtuoso” (parte vittoriosa che subisce la solidarietà) e deve poi rivalersi; altre volte l’avviso deriva da errori formali facilmente sanabili; altre ancora sono errori dell’Amministrazione che vanno contestati con cognizione di causa.

In tutti i casi, il punto di vista del debitore deve essere pragmatico: valutare costi/benefici di pagare o fare ricorso, tenere presenti i termini, e non farsi scoraggiare dall’apparente piccolezza (un ricorso per 16 euro di bollo può sembrare una follia, ma se c’è un principio – esenzione – va portato avanti, anche perché aprirebbe la porta ad altre indebite pretese se non contrastato). Spesso, la trattazione in autotutela con l’ufficio, su basi giuridiche solide, è risolutiva senza contenzioso.

Domande Frequenti (FAQ)

D1: Che cos’è esattamente un “avviso di liquidazione” per imposta di bollo?
R: È un atto emesso dall’Agenzia delle Entrate con cui si comunica al contribuente l’obbligo di pagare un importo per imposta di bollo non pagata (o pagata in misura insufficiente) su uno o più atti. Nell’avviso l’Ufficio “liquida” l’imposta dovuta, aggiungendo le relative sanzioni e interessi, e invita al pagamento entro 60 giorni. Non è una semplice lettera o avviso bonario, ma un atto impositivo a tutti gli effetti, motivato in fatto e diritto, con valore legale: se non viene pagato o impugnato nei termini, diventa definitivo e il suo importo viene iscritto a ruolo (diventando poi una cartella esattoriale). Nel caso del bollo su atti giudiziari, l’avviso di liquidazione tipicamente indica quale atto (sentenza, decreto, istanza, ecc.) ha generato l’obbligo di bollo e perché si ritiene che il contribuente debba versarlo.

D2: In quali situazioni riceverò mai un avviso di liquidazione per bollo su atti giudiziari?
R: Soltanto nelle ipotesi residuali in cui un atto legato a un procedimento giudiziario richiede il pagamento del bollo e questo pagamento risulta non effettuato. Ad esempio:

  • Se hai presentato una domanda, istanza o atto in un ufficio giudiziario che richiedeva marche da bollo (es. istanza di copie conformi, domanda di volontaria giurisdizione non esente) senza apporle correttamente. L’ufficio giudiziario inoltra l’atto al Fisco e quest’ultimo ti chiederà il bollo mancante.
  • Se sei parte in una causa la cui sentenza o altro provvedimento dev’essere registrato e su quell’atto doveva esserci anche il bollo ma non è stato assolto. Ad esempio, un decreto di trasferimento di un immobile in asta: oltre all’imposta di registro, sconta marche da bollo sul decreto; se il decreto viene registrato “a debito” senza marche, l’Agenzia poi liquida il bollo a chi di dovere.
  • Se hai stipulato una conciliazione giudiziale o un accordo in sede giudiziaria che produce un verbale: di regola è esente bollo in quanto atto del processo, ma su allegati o copie di esso a volte il bollo è richiesto.
  • Se hai chiesto un certificato al tribunale (ad esempio certificato fallimentare, o certificato penale uso lavoro) senza pagare il bollo perché hai dichiarato un uso giudiziario che poi non è risultato tale. In seguito, da controlli incrociati (es. l’ufficio ha visto che non era per un processo), potrebbero inviarti avviso per il bollo dovuto su quel certificato.

In sintesi, sono situazioni non comuni e spesso dovute a dimenticanze o equivoci. Se segui le regole fin dall’inizio – paghi il contributo unificato quando dovuto, metti le marche da bollo laddove richieste in cancelleria, ecc. – non riceverai mai un avviso di liquidazione per bollo. Tali avvisi scattano quando qualcosa è sfuggito o è stato omesso.

D3: Come distinguo se l’avviso riguarda l’imposta di bollo o l’imposta di registro?
R: Bisogna leggere bene l’avviso. Spesso il contribuente, non esperto, li confonde. I segnali per capire:

  • Oggetto dell’atto: se parla di “imposta di bollo” espressamente e riporta magari il codice tributo A146 e simili, allora è bollo. Se invece menziona “imposta di registro” o riporta codice A196, A197, è un avviso di liquidazione per registro (magari su una sentenza o contratto).
  • Importi: il bollo su atti giudiziari di solito sono importi fissi contenuti (€16, multipli di 16). L’imposta di registro può essere percentuale e quindi importi significativi (es. 3% di 50.000 = 1.500 €). Se l’avviso chiede migliaia di euro, più probabile sia registro.
  • Norme citate: se citano D.P.R. 642/1972 (bollo), o D.Lgs. 471/97 art.13 (sanzioni bollo), è bollo. Se citano D.P.R. 131/1986 (TUR) e art. 76 ecc., è registro.
    A volte un avviso può contenere entrambe le cose (vedi esempio Caso 1, un avviso cumulativo registro+bollo su decreto ingiuntivo). In tal caso, saranno indicati entrambi i codici tributo con relativi importi. Si può essere chiamati a pagare sia l’imposta di registro sia il bollo. La guida presente è focalizzata sul bollo, ma molti concetti (ricorso, termini, ecc.) valgono in parallelo anche per il registro.

D4: Chi è obbligato a pagare l’imposta di bollo su un atto giudiziario?
R: In generale, tutte le parti che hanno compiuto o utilizzato l’atto sono responsabili in solido verso il Fisco. Per atti giudiziari, la norma (art. 57 lett. d DPR 131/86 richiamato per analogia) dice che sono solidalmente obbligati “le parti nel cui interesse fu richiesta la registrazione” e, per estensione, tutte le parti in causa tranne gli intervenienti volontari. Tradotto: se è un atto di parte (es. un’istanza), chi l’ha sottoscritta è obbligato; se è un provvedimento che definisce un giudizio, tutte le parti di quel giudizio, tranne eventuali interventori volontari (terzi che sono entrati a processo senza essere obbligati). Esempio: in una sentenza civile tra A e B, A e B sono coobbligati. Se C era intervenuto volontariamente nel processo, C non è tenuto verso il fisco.
Da notare: questa solidarietà è verso l’amministrazione. Nei rapporti interni, come già spiegato, vale la regola che paga in definitiva chi era tenuto alle spese secondo la decisione del giudice (soccombente, salvo diversa statuizione). Ma il Fisco può rivolgersi a uno qualsiasi degli obbligati (di solito li notifica a tutti per sicurezza). In pratica quindi potresti ricevere l’avviso pur avendo vinto la causa o pur essendo la controparte formale di chi avrebbe dovuto pagare. Non è un errore: sei chiamato in solido. Pagando, avrai diritto di rivalsa verso chi doveva sostenerne il costo.

D5: Ho vinto la causa, perché mi chiedono di pagare il bollo (o registro) su quella sentenza?
R: Proprio per il meccanismo spiegato sopra. L’Agenzia non entra nel merito di chi ha vinto o perso; vede che c’è un atto (la sentenza) e che almeno una delle parti (in genere la parte soccombente) non ha pagato spontaneamente l’imposta dovuta. Allora, per legge, notifica l’avviso a tutte le parti solidalmente obbligate. Capita spesso: il vincitore riceve l’avviso perché il perdente, cui toccava pagare, non l’ha fatto. Il vincitore può:

  • pagare per sbloccare la situazione (specie se gli serve la sentenza registrata per eseguirla) e poi chiedere rimborso al perdente;
  • oppure anticipare lui il ricorso per contestare eventuali vizi, ma difficilmente potrà eccepire “io ho vinto, non spetta a me” come motivo per annullare l’avviso – il giudice tributario non accoglie tale tesi, perché il fisco può legittimamente pretendere da un coobbligato. Al più, può chiedere al giudice di dichiarare che, una volta pagato, quel costo rientra tra le spese ripetibili dalla controparte (ma ciò è già nella legge processuale civile).
    In conclusione: se hai vinto, pagare un’imposta di bollo/registro può sembrarti ingiusto, ma considera che è una anticipazione: potrai recuperarla dall’altro (se solvente) aggiungendola alle spese di esecuzione. Se non la paghi, rischi di bloccare il rilascio di copie esecutive o, comunque, l’Erario potrebbe perseguitare il perdente e te finché qualcuno paga.

D6: Quali sono le sanzioni per l’omesso bollo? Posso evitarle in qualche modo?
R: La sanzione ordinaria è oggi l’80% dell’imposta non pagata (con un minimo, in genere €50, se l’80% risulta inferiore a tale cifra, secondo D.Lgs. 472/97). Se però paghi entro 60 giorni dall’avviso, ti applicano già la sanzione ridotta di 1/3 (quindi sostanzialmente circa il 26-27% dell’imposta). In più, prima ancora dell’avviso, puoi utilizzare il ravvedimento operoso: se ti accorgi spontaneamente di non aver messo un bollo, puoi pagarlo con F24 e aggiungere una mini-sanzione ridotta in base ai giorni di ritardo (es. entro 30 giorni la sanzione è 1/10 dell’80%, quindi 8%; entro 90 giorni 1/9, ~8.9%; entro un anno 1/8, cioè 10%; oltre un anno 1/7 = ~11.4%). Così eviti l’avviso proprio. Ad esempio, depositi un atto oggi senza bollo, domani ti accorgi e fai ravvedimento: paghi €16 + €1,28 (8%) = €17,28 e sei a posto. Se ormai l’avviso è arrivato, la via del ravvedimento non è più ammessa; ma come detto hai l’acquiescenza a 1/3.
Importante: se ritieni l’imposta non dovuta per legge, non devi pagare alcuna sanzione perché lotterai per non pagare nemmeno il tributo. Ma se invece era dovuta e era proprio sfuggita a te, val la pena ravvedersi prima che ti scoprano.

D7: L’avviso di liquidazione non riportava dettagli sul calcolo: è valido?
R: Un avviso deve contenere gli elementi essenziali di calcolo e le norme. Se manca il riferimento all’atto o il perché l’imposta si applica, vi è un difetto di motivazione che può renderlo nullo. Tuttavia, la giurisprudenza è relativamente rigorosa: se dall’atto si riesce a risalire al perché (magari allegano copia dell’atto tassato, o indicano “atto presentato il tal giorno privo di bollo”), spesso si ritiene valida la motivazione. Se invece c’è solo scritto “omesso bollo €XX” senza altro, allora puoi impugnare per difetto di motivazione e hai buone chance. In ogni caso, in sede di ricorso, l’ufficio può “sanare” parzialmente fornendo spiegazioni nella memoria difensiva, ma la Cassazione ha più volte affermato che la motivazione va valutata ex ante, cioè al momento della notifica dell’atto: se in quel momento non eri messo in grado di capire, la nullità rimane. Quindi controlla se l’avviso cita l’atto (es. “Sentenza Tribunale di … n… depositata il …”) e la norma (es. “DPR 642/72, Tariffa, parte I art…”) e come arriva all’importo. Se questi dati mancano, fallo valere.

D8: Entro quanto tempo l’Agenzia deve inviarmi l’avviso di liquidazione?
R: Tre anni dalla violazione, come spiegato. Se l’atto è del 2020, devono notificare l’avviso entro il 31 dicembre 2023 (o entro 3 anni esatti dal giorno in cui è sorto l’obbligo). Atti presentati l’1 ottobre 2021 -> avviso entro 1 ottobre 2024, etc. Questo termine di decadenza triennale è stabilito dall’art. 37 DPR 642/72. Fai attenzione: se hai presentato un atto a fine anno, i 3 anni scadono a fine anno successivo, quindi l’esempio: atto del 20/12/2021, scadenza decadenza 20/12/2024 (non 31/12/2024, perché conta la data esatta). In pratica, passati tre anni senza notizie, difficilmente ti arriverà qualcosa (anche perché l’interesse dell’Erario è di farsi vivo prima).

D9: E se l’avviso arriva oltre i 3 anni?
R: Come detto, puoi eccepire la decadenza nel ricorso, e vincerai quasi certamente. La decadenza è un termine perentorio a tutela del contribuente. Il giudice tributario annulla l’avviso se riscontra che è tardivo, indipendentemente dal fatto che il bollo fosse dovuto. Attenzione: devi contestarlo tu nel ricorso, il giudice non lo annulla d’ufficio in genere (anche se è rilevabile d’ufficio come eccezione di decadenza, ma meglio sollevarla espressamente). Una volta annullato per decadenza, l’imposta di bollo in teoria rimane non pagata ma non sanzionabile; come notato, se dovessi riutilizzare quell’atto potresti doverla pagare allora. Comunque, l’Ente non potrà più chiederti il pagamento coattivamente.

D10: Cosa succede se ignoro l’avviso di liquidazione?
R: Dopo 60 giorni senza pagamento né ricorso, l’avviso diventa definitivo. L’Agenzia iscriverà le somme a ruolo e affiderà il carico all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione). Ti verrà notificata una Cartella di Pagamento, con importo maggiorato di interessi di mora decorrenti dalla scadenza e dell’aggio di riscossione (circa 6%). Ignorare anche la cartella porterà ad azioni esecutive (pignoramenti) o cautelari (fermo auto, ipoteche). Inoltre, dal momento che non hai contestato l’avviso, non potrai più discutere nel merito se quel bollo fosse dovuto: è ormai un titolo definitivo. Potrai solo – al limite – impugnare la cartella per vizi formali (ad es. non hai mai ricevuto l’avviso presupposto, come discusso) ma sono situazioni particolari. Quindi non ignorare l’avviso: se non vuoi o non puoi pagare, quantomeno fai ricorso, così da congelare la pretesa finché decide il giudice e mantenere aperta la discussione. Ignorarlo è la scelta peggiore perché ti espone a costi aggiuntivi e non elimina il debito, anzi lo aggrava.

D11: Posso richiedere la rateizzazione dell’importo prima che diventi cartella?
R: Formalmente, no sul piano amministrativo: la rateazione “ufficiale” si può chiedere all’Agente della Riscossione solo sulle cartelle o accertamenti esecutivi. L’Agenzia delle Entrate, in fase di emissione avviso, non ha una procedura strutturata di rateizzo. Tuttavia, puoi provare a rivolgerti all’ufficio locale per un accordo informale, soprattutto se l’importo è molto alto. A volte dividono l’importo in due o tre pagamenti ravvicinati, purché tutti entro il termine di 60 giorni. È più un favore che un diritto. In alternativa, come accennato, se non ce la fai in un’unica soluzione, lasci andare a ruolo e poi rateizzi la cartella (questo comporta costi maggiori). Valuta bene: se l’importo non è enorme, magari fai uno sforzo e paghi entro 60 giorni (magari con l’aiuto di un prestito), perché la cartella aggiungerà costi. Se invece parliamo di migliaia di euro e preferisci rate, potresti persino pensare di non impugnare l’avviso ma lasciarlo decadere in cartella e chiedere la dilazione, solo se sei certo che il tributo è dovuto e non hai motivi per far causa. Però attento: facendo così perdi la riduzione a 1/3 della sanzione, perché in cartella la sanzione sarà intera. Quindi è una scelta costosa. Una strategia talvolta usata: pagare almeno l’imposta principale entro i 60 giorni, e lasciare fuori magari la sanzione, così da mostrare buona volontà (o chiedere intanto ravvedimento parziale). Ma la sanzione in realtà andrebbe pagata anch’essa. Diciamo che ogni caso è a sé; se la cifra è molto grande, coinvolgi sicuramente un consulente per studiare opzioni.

D12: La presenza dell’imposta di bollo (o registro) ritarda l’esecutorietà di un provvedimento?
R: Domanda rilevante: puoi far valere una sentenza o un decreto anche se non hai ancora pagato bollo/registro? Sì. La legge prevede espressamente che la mancata registrazione (e quindi anche il mancato bollo) non impedisce di procedere all’esecuzione forzata di un provvedimento giudiziario né di ottenere copia con formula esecutiva. In pratica, il cancelliere non può rifiutarsi di apporre la formula esecutiva o di rilasciare copie invocando che non hai pagato le tasse. E nemmeno un giudice dell’esecuzione può invalidare un pignoramento perché la sentenza non è stata registrata. Ci sono norme specifiche (art. 66 DPR 131/86 per il registro, ad esempio) che lo sanciscono. Nel bollo, l’art. 37 DPR 642/72 dice che anche se l’amministrazione decade, non autorizza l’uso senza bollo, ma ciò non significa che quell’atto non abbia efficacia – significa solo che se lo usi, devi metterlo in regola. In sintesi: il titolo esecutivo resta valido ed efficace anche se bollo/registro non sono pagati. Sarà compito del Fisco recuperare le imposte, ma non possono impedirti di utilizzare l’atto. Quindi, se qualcuno (es. un cancelliere un po’ zelante) ti dice “non ti rilascio la copia finché non porti la ricevuta di pagamento del bollo”, sappi che non è legittimo. Al massimo può invitarti, ma non negare l’uscita del provvedimento.

D13: È vero che dal 2025 posso pagare il bollo con calma entro la registrazione senza prendere sanzione?
R: Sì, è una novità introdotta con D.Lgs. 139/2024: per gli atti da registrare obbligatoriamente, il bollo può essere pagato entro lo stesso termine previsto per la registrazione (ad es. 20 giorni per un atto tra privati, 5 giorni per una sentenza). Ciò significa che non sei più costretto ad avere il bollo sull’unghia al momento in cui l’atto nasce. Puoi presentarlo anche senza bollo e poi, entro pochi giorni, fare il pagamento in modalità virtuale (F24 o marca). In tal caso, l’atto risulterà regolarmente bollato. Questa flessibilità evita che tu incorra subito in violazione se depositi un atto urgente e non avevi la marca: hai ancora qualche giorno per metterti in pari. Ma attenzione: se trascorre anche il termine di registrazione senza che tu abbia pagato il bollo, allora sei in violazione e soggetto a sanzione piena. Quindi, più che “pagare con calma”, diciamo che hai un breve differimento senza conseguenze. Dopo, l’Agenzia se ne accorge e parte l’iter. Inoltre, questa norma riguarda atti soggetti a registrazione in termine fisso (contratti, provvedimenti giudiziari, ecc.). Se invece è un atto non soggetto a registrazione ma soggetto a bollo, immagino valga ancora la regola “fin dall’origine” (ad es. un’istanza autonoma non soggetta a registrazione dovevi bollare subito, lì nulla cambia).

D14: Ho ricevuto un avviso per bollo su un atto giudiziario, ma l’importo è sotto i 50 euro; vale la pena fare ricorso?
R: Capisco la perplessità: contestare un piccolo importo può sembrare antieconomico. Tieni però presente due cose:

  • Se hai ragione di principio (ad es. ti chiedono un bollo non dovuto per legge), fare ricorso può evitare che in futuro situazioni analoghe si ripetano con importi magari maggiori. In alcuni casi, associazioni di avvocati hanno fatto ricorso su piccoli importi proprio per ottenere pronunce di principio. Inoltre, spesso in caso di vittoria avrai diritto alle spese di lite: il giudice può liquidare qualche centinaio di euro di spese legali a tuo favore (anche se chiedevi solo 16 €). Quindi potresti anche rimetterci zero in finale, col rimborso.
  • Esiste la soglia di non impugnabilità? No, ogni importo può essere impugnato. L’unica cosa: se è sotto €3.000, puoi farlo da solo senza avvocato, quindi risparmi sui costi. Il contributo unificato in CTP per valore fino a 5.000 € è di €30. Dunque con 30 € (che chiedi di farti rimborsare se vinci) hai aperto la causa.
    Detto ciò, se riconosci di avere torto e l’importo è piccolo, onestamente valuta il tempo e le energie: forse in quel caso pagare i 20-30 € conviene più che impelagarsi. Diverso è se è una questione di principio o se l’importo piccolo nasconde altro (es: 5 avvisi da 30 euro ciascuno, allora in totale 150, vale la pena).
    In linea di massima, comunque, la soglia di riferimento è personale: alcuni per 50€ non farebbero ricorso per questioni di stress, altri sì per puntiglio.

D15: Cosa rientra esattamente nell’esenzione “atti e provvedimenti del processo civile e penale” ai fini del bollo?
R: Questa esenzione, introdotta dal 2002, è ampia: comprende tutti gli atti del giudice (sentenze, ordinanze, decreti) e tutti gli atti delle parti (citazioni, ricorsi, memorie, istanze) nell’ambito di quel processo, nonché atti strumentali e necessari (es. notifiche, copie per il processo, certificati richiesti per usarli nel processo). Sono inclusi anche i procedimenti di volontaria giurisdizione e concorsuali. Dunque il 90% delle cose che succedono in un tribunale o TAR non paga bollo. Le eccezioni sono:

  • atti al di fuori di un processo (es. un ricorso straordinario, o un’istanza amministrativa a un Ministero – non essendo processo, non gode dell’esenzione art. 18 DPR 115).
  • atti post-processuali per usi privati (es. chiedere copia autentica di una sentenza per archivio proprio – quella copia sconta bollo a foglio).
  • atti antecedenti ma non funzionali: per esempio, se chiedi un certificato del casellario per valutare se fare causa a qualcuno, quello non è funzionale a un processo in essere (non c’è un numero di RG), quindi paga bollo. Se invece lo chiedi dopo aver avviato causa perché ti serve produrlo in giudizio, allora non dovrebbe pagarlo.
    Nel dubbio, conviene consultare l’allegato B del DPR 642/72 (lista atti esenti assolutamente) e l’art. 18 DPR 115/02. Ad esempio, allegato B n. 27-bis esenta atti e copie relative al patrocinio a spese Stato; n. 8 esenta atti di procedure di adozione, ecc. Oltre a queste, c’è l’esenzione generale introdotta dal contributo unificato che abbiamo detto. Insomma, se l’atto ha a che fare con un giudizio, di solito è esente da bollo. In caso di contestazioni, come abbiamo visto, spesso l’Agenzia fa marcia indietro se gli si ricorda la norma.

D16: Perché il mio avvocato mi ha chiesto 2 marche da bollo da €16 quando abbiamo fatto appello, pur avendo pagato già il contributo unificato?
R: Probabilmente per gli atti di notificazione. Fino a poco tempo fa, oltre al contributo unificato, erano richieste due marche da €27 (poi ridotte a 16) come diritti forfettari di notifica (una sorta di bollo aggiuntivo per le notifiche che la cancelleria avrebbe fatto d’ufficio). Attualmente, per gli appelli e altri atti introduttivi, la normativa (art. 30 DPR 115/02) prevede l’aggiunta di €27 di diritti forfetizzati se l’ufficio deve effettuare notifiche a richiesta d’ufficio. Dal 1º gennaio 2023 tali €27 sono stati eliminati per i procedimenti civili telematici (novità budget 2023), ma in pratica molti richiedono ancora marche. Ad ogni modo, queste marche da €27 o €16 non sono “imposta di bollo” in senso tecnico, bensì diritti di cancelleria. Il tuo avvocato quindi non stava pagando un bollo sul ricorso in appello (che è esente), ma stava aggiungendo i diritti per le notifiche o per il fascicolo. Questo per dire che a volte le “marche” che si comprano non sono per bollo-imposta, ma per altri scopi (diritti). Nel contesto di questa guida, però, l’avviso di liquidazione non c’entra con quei diritti: se ometti di mettere quelle marche da €27, non ti arriva avviso di liquidazione, semplicemente la cancelleria non effettua la notifica e ti chiede di integrarle. Diverso il bollo: se ometti marche di bollo prescritte, la causa va avanti lo stesso (nessuno se ne accorge subito magari), ma poi il Fisco te le chiede con avviso.

D17: Dopo aver pagato un avviso di liquidazione, mi è arrivata una cartella per interessi di mora di pochi euro: è possibile?
R: Può succedere se, ad esempio, hai pagato oltre il termine di 60 giorni senza fare ricorso. In tal caso, formalmente l’importo era iscritto a ruolo e sulle somme non versate tempestivamente maturano interessi di mora (tasso circa 3-4% annuo). Se tu hai pagato, poniamo al 90° giorno, l’Ufficio prenderà il tuo pagamento a copertura di imposta e sanzioni, ma gli interessi maturati tra il 61° e il 90° giorno potrebbero risultare non coperti. AER quindi emette una mini-cartella per quell’importo residuo. È una situazione antipatica per pochi euro, ma legittima. Anche se fai ricorso e perdi, gli interessi dal giorno dell’avviso alla data di pagamento sono dovuti (a meno che tu non abbia ottenuto sospensione). Quindi, morale: pagare entro 60 giorni evita pure la coda di interessi di mora. Se la cartella è per un importo minuscolo (tipo <€10), valuta se pagarla per chiudere la partita. In teoria potresti impugnarla sostenendo di aver versato il dovuto, ma se effettivamente c’era quel delta di mora, il giudice ti darebbe torto e spenderesti più di 10€ per il contributo unificato del ricorso.

D18: I riferimenti normativi da conoscere?
R: Riassumendo i principali:

  • D.P.R. 642/1972: disciplina generale dell’imposta di bollo. In particolare: art. 2 (atti soggetti a bollo fin dall’origine), art. 3 (esenzioni, rinvii al DPR 115/02), art. 37 (decadenza 3 anni), Allegato B (atti esenti assoluti).
  • D.P.R. 115/2002: testo spese di giustizia. Soprattutto art. 18 (esenzione bollo per atti processuali), art. 66 (esecuzione forzata senza registrazione).
  • D.Lgs. 139/2024: riforma fiscale – art. 4 comma 1 lett. a e b (modifiche a DPR 642: pagamento bollo entro termine registrazione).
  • D.Lgs. 471/1997 art.13: sanzione omesso bollo (ora aggiornata da D.Lgs. 87/2024 art. 23, che l’ha fissata all’80%).
  • D.Lgs. 546/1992: processo tributario. Art. 19 (atti impugnabili, comprende avviso liquidazione), art. 21 (60 gg ricorso), art. 17-bis (reclamo-mediazione), art. 47 (sospensione).
  • Art. 57 DPR 131/86: solidarietà imposta registro (applicata analogicamente anche al bollo sugli atti giudiziari).
  • Cass. SS.UU. 10013/2021: ha confermato la legittimità di tributi come contributo unificato e registro nel sistema, non contrastano con diritto UE (ma questo più come curiosità dottrinale).
  • Circolare AE 70/E del 14/08/2002: chiarimenti post-contributo unificato, ribadisce esenzione bollo negli atti di giustizia.
  • Risoluzioni AE 130/E 2006, 24/E 2016: casi pratici di esenzione (procura alle liti, certificati anagrafici uso notifica) dove l’AE ha chiarito che bollo non si paga.
  • Circolare AE 2/E 14/03/2025: (recentissima) spiega le novità del DLgs 139/24 su registro e bollo e ricorda le nuove sanzioni.

Le fonti rilevanti utilizzate nella guida sono elencate nella sezione seguente per ulteriore riferimento.


Riferimenti normativi e fonti utilizzate

  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, Disciplina dell’imposta di bollo, art. 2 (imposta di bollo fin dall’origine sugli atti indicati in Tariffa parte I) e art. 37 (Termini di decadenza: accertamento violazioni entro 3 anni).
  • D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, Testo Unico Spese di Giustizia, art. 18, c.1 (esenzione dall’imposta di bollo per atti e provvedimenti del processo civile, concorsuale, volontaria giurisdizione, nonché processo penale e amministrativo); art. 66 (rilascio copie esecutive senza necessità di preventiva registrazione degli atti).
  • D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139, Razionalizzazione imposte indirette, art. 4, c.1 (modifiche al DPR 642/72: pagamento bollo per atti da registrare entro termine di registrazione, anche via F24; introduzione contrassegno telematico per originali analogici). E relativa Circolare esplicativa Agenzia Entrate n. 2/E del 14 marzo 2025, sulle novità in materia di registro e bollo.
  • D.Lgs. 31 luglio 1992, n. 546, Processo tributario, art. 19 (impugnabilità degli avvisi di liquidazione); art. 21 (60 giorni per ricorso); art. 17-bis (reclamo-mediazione per controversie fino a €50.000); art. 47 (sospensione giudiziale della riscossione).
  • Cassazione Civile, Sez. VI-T, ord. 15/10/2024 n. 26798 – in tema di imposta di registro su atti giudiziari, conferma che la cancelleria deve chiedere la registrazione a debito e che le parti del giudizio (eccetto intervenuti volontari) sono solidalmente obbligate.
  • Cassazione SS.UU. 15/04/2021 n. 10013 – legittimità costituzionale e comunitaria della riscossione di tributi giudiziari (contributo unificato, registro), ribadisce che servono a finanziare il buon funzionamento del sistema giustizia.
  • Corte Costituzionale ord. n. 91/2015 – in tema di ONLUS e contributo unificato, dichiarò inammissibile la questione mirante ad estendere esenzioni bollo/registro invece che quelle sul contributo. (Richiamata in Cass. SS.UU. 10013/2021).
  • Risoluzione Agenzia Entrate n. 24/E del 18/04/2016 – chiarisce che “l’imposta di bollo sugli atti giudiziari ha assunto natura residuale poiché rimane dovuta quando non opera il contributo unificato”, con riferimento a certificati anagrafici richiesti per notifica di atti giudiziari (confermando esenzione bollo per tali certificati).
  • Circolare Ministero Interno – Finanze n. 70/E del 14/08/2002 – in prima attuazione del contributo unificato, ribadisce la non applicabilità del bollo agli atti processuali di civ., concorsuale, volontaria giurisdizione, penale e amm..
  • ANCE – “Imposte di registro, bollo, ipotecaria e catastale: novità operative” (20/3/2025): commenta la circ. 2/2025: specifica per il bollo l’estensione del tempo per pagare entro termine registrazione e la possibilità di integrare dichiarazioni di bollo; riepiloga il nuovo quadro sanzionatorio (bollo omesso sanzione 80%) con riduzioni per dichiarazione tardiva (45%).

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