Avviso Di Accertamento Su Transfer Pricing: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento sul transfer pricing? L’Agenzia delle Entrate ti contesta che i prezzi praticati nei rapporti con società estere del tuo gruppo non sono a valore di mercato? Ti accusa di aver trasferito utili all’estero o di aver dedotto costi superiori a quelli giustificabili? In questi casi, è fondamentale sapere come funziona il transfer pricing, cosa può essere legittimamente contestato e come difendersi in modo efficace.

Quando può partire un accertamento sul transfer pricing?
– Se la tua impresa italiana intrattiene rapporti commerciali con società collegate estere
– Se il Fisco rileva che le operazioni infragruppo (vendite, prestazioni di servizi, royalties, finanziamenti) non sono avvenute a prezzi di libera concorrenza
– Se ci sono scostamenti significativi rispetto ai margini di settore
– In caso di assenza o incompletezza della documentazione TP (master file e local file)
– Se l’Agenzia sospetta una localizzazione artificiosa degli utili all’estero

Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate?
– Che i prezzi applicati tra imprese collegate non rispettano il principio di libera concorrenza (arm’s length principle)
– Che hai dedotto costi eccessivi o non congrui per acquisti o servizi ricevuti dall’estero
– Che hai sottostimato i ricavi da vendite a controllate estere
– Che hai omesso o fornito documentazione transfer pricing inidonea
– Che esiste una manipolazione dei flussi finanziari infragruppo per ridurre la base imponibile in Italia

Come difendersi da un accertamento transfer pricing?
– Verifica che i rapporti infragruppo siano regolati da contratti scritti e coerenti
– Raccogli e aggiorna la documentazione di supporto: benchmark, analisi comparabili, documenti OCSE
– Dimostra che i prezzi applicati sono allineati ai valori di mercato, secondo metodi riconosciuti (CUP, TNMM, Cost Plus, Resale Price, Profit Split)
– Se l’Agenzia ha usato criteri presuntivi o valori medi, contesta l’approccio non analitico
– Presenta memorie difensive che dimostrano la razionalità economica delle scelte
– Valuta la possibilità di un’adesione parziale, per ridurre sanzioni, o di un ricorso tributario, se l’accertamento è eccessivo

Cosa puoi ottenere con la giusta difesa?
– L’annullamento o la revisione dell’accertamento, se i prezzi sono corretti o i metodi del Fisco non sono adeguati
– La riduzione delle sanzioni, se dimostri di aver adottato un comportamento collaborativo e documentato
– L’accesso a procedure di accordo preventivo (APA) per gli anni futuri
– La possibilità di evitare la doppia imposizione, se il Paese estero non riconosce l’accertamento italiano

Attenzione: il transfer pricing è un ambito tecnico e sensibile. Il Fisco ha strumenti sofisticati per confrontare i dati, ma anche obblighi precisi da rispettare. Un accertamento mal impostato può essere contestato e ridimensionato.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale, transfer pricing e contenzioso tributario ti spiega come affrontare un accertamento sul transfer pricing, quali documenti sono essenziali e come proteggere la tua impresa da sanzioni ingiuste.

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Introduzione

Ricevere un avviso di accertamento in materia di transfer pricing è un evento potenzialmente critico per imprese e contribuenti con operazioni internazionali infragruppo. Si tratta dell’atto formale con cui l’Amministrazione finanziaria contesta un maggiore reddito imponibile (con relative imposte, sanzioni e interessi) derivante dalla rettifica dei prezzi di trasferimento applicati tra imprese collegate residenti in Stati diversi. In sostanza, il Fisco ritiene che le transazioni intercompany non siano avvenute secondo il principio di libera concorrenza, cioè non ai prezzi di mercato che sarebbero stati praticati tra soggetti indipendenti, e corregge di conseguenza il reddito imponibile ai sensi dell’art. 110, comma 7 del TUIR. Questo può comportare imponibili aggiuntivi di notevole entità e sanzioni elevate, con possibili ripercussioni economiche e reputazionali per l’azienda coinvolta.

In questa guida esamineremo come difendersi efficacemente da un avviso di accertamento basato sul transfer pricing, fornendo un inquadramento normativo aggiornato a luglio 2025, le strategie difensive e gli strumenti deflattivi del contenzioso disponibili, un’analisi delle più recenti sentenze rilevanti della giurisprudenza, nonché esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti. Il taglio dell’esposizione è avanzato (da avvocati tributaristi), ma con un linguaggio chiaro e divulgativo per risultare utile anche a privati e imprenditori interessati a comprendere i propri diritti e doveri. L’ottica adottata è quella del contribuente (debitore) che si trova a dover reagire a una pretesa fiscale in materia di transfer pricing, cercando di far valere le proprie ragioni e, se possibile, evitare un lungo e costoso contenzioso.

Struttura della guida: nei capitoli seguenti verranno illustrati (i) il quadro normativo italiano sul transfer pricing e i principi cardine emersi (anche a livello OCSE e dell’UE), (ii) il procedimento tipico di accertamento in tema di prezzi di trasferimento – inclusi i diritti del contribuente come il contraddittorio endoprocedimentale – (iii) le possibili strategie difensive da attuare in risposta all’avviso (verifica di vizi formali, onere della prova, predisposizione documentazione giustificativa, ecc.), (iv) gli strumenti deflattivi del contenzioso tributario (come l’accertamento con adesione, l’acquiescenza, la conciliazione giudiziale, ecc.) utili per ridurre sanzioni e trovare soluzioni prima o durante il processo, (v) una rassegna di giurisprudenza aggiornata e principi chiave tratti da recenti pronunce, e infine (vi) una sezione di FAQ – domande e risposte – che chiarisce i dubbi più comuni (dalla validità della documentazione alle soglie di rilevanza penale). Tabelle riassuntive verranno fornite per confrontare strumenti e scadenze, e un esempio pratico simulerà una tipica contestazione transfer pricing e le possibili difese. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono riportate in fondo alla guida nella sezione “Fonti”, per consentire al lettore di approfondire ogni aspetto con i riferimenti istituzionali più autorevoli.

Quadro normativo e principi fondamentali del transfer pricing in Italia

La disciplina italiana del transfer pricing è contenuta principalmente nell’art. 110, comma 7 del TUIR (D.P.R. 917/1986). Tale norma stabilisce che i componenti del reddito derivanti da operazioni con imprese non residenti, che direttamente o indirettamente controllano, sono controllate o sono sottoposte a comune controllo, devono essere valutati a valori di libera concorrenza. In altre parole, se i prezzi pattuiti in transazioni infragruppo internazionali differiscono dai prezzi che sarebbero stati praticati fra soggetti indipendenti in condizioni comparabili, il reddito imponibile può essere rettificato di conseguenza. Fino al 2017 la norma faceva riferimento al “valore normale” definito dall’art. 9 TUIR; con il D.L. 50/2017 (art. 59) il legislatore ha sostituito tale riferimento con il principio di libera concorrenza, in linea con le Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento. Contestualmente, il Decreto MEF 14 maggio 2018 ha emanato le linee guida interne per l’applicazione delle nuove disposizioni, recependo concetti OCSE chiave (come la definizione di “operazioni controllate” e di “impresa associata”) e disciplinando i criteri di comparabilità e i metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento conformi al principio di libera concorrenza. In particolare, il decreto elenca cinque metodi di valutazione riconosciuti (metodo del confronto di prezzo o CUP, metodo del prezzo di rivendita, metodo del costo maggiorato, metodo del margine netto transazionale, metodo di ripartizione degli utili) ponendoli sullo stesso piano – in linea col principio OCSE che non esiste una gerarchia assoluta dei metodi – ma ammettendo che il contribuente possa utilizzarne anche uno diverso se dimostra che nessuno di quelli standard è applicabile in modo affidabile e che il metodo alternativo produce un risultato conforme al mercato. Ciò significa che, pur senza una gerarchia rigida, va adottato il metodo “più appropriato” al caso concreto, privilegiando quando possibile quello diretto del CUP (Comparable Uncontrolled Price), come riconosciuto anche di recente dalla Cassazione (che ha ritenuto ingiustificato l’uso di metodi indiretti come il TNMM da parte dell’Ufficio se erano disponibili comparazioni dirette secondo il CUP).

Dal punto di vista soggettivo e oggettivo, l’applicabilità della norma sul transfer pricing richiede due presupposti: (a) un rapporto di controllo o collegamento qualificato fra i soggetti coinvolti (controllo diretto/indiretto o comune controllo, secondo la definizione del DM 14.5.2018), in modo che vi sia una situazione di potenziale influenza sui prezzi; (b) l’anomalia dei corrispettivi pattuiti nelle operazioni infragruppo, tali da divergere dai valori di libera concorrenza e incidere sull’equa ripartizione della materia imponibile. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’art. 110, co. 7 non costituisce una norma antielusiva in senso stretto, bensì una disposizione “neutrale” finalizzata principalmente a una corretta e oggettiva allocazione dei redditi tra imprese interdipendenti, prescindendo dall’intento elusivo. «Il transfer pricing ha carattere neutrale, in quanto supera la prospettiva antielusiva e assolve la preminente funzione di corretta allocazione del reddito tra imprese legate da vincoli di interdipendenza» (Cass. civ. Sez. Trib. n. 19512/2024). Ciò comporta che, ai fini dell’aggiustamento fiscale, non è necessario per l’Ufficio provare un fine evasivo o manipolativo da parte del contribuente, ma semplicemente l’esistenza di transazioni infragruppo a prezzi apparentemente fuori linea di mercato.

Un elemento fondamentale del quadro normativo è la disciplina degli oneri documentali in materia di transfer pricing. Il legislatore ha introdotto un regime premiale per i contribuenti che documentano adeguatamente le politiche di prezzo infragruppo: l’art. 1, comma 6 e l’art. 2, comma 4-ter del D.Lgs. 471/1997 prevedono la non applicazione delle sanzioni amministrative per dichiarazione infedele qualora il contribuente predisponga una documentazione idonea a consentire il riscontro del rispetto del principio di libera concorrenza e ne dia comunicazione all’Agenzia delle Entrate nei modi previsti. In pratica, il contribuente deve redigere annualmente un Masterfile e una Documentazione Nazionale (Local file) conformi ai requisiti fissati dall’Agenzia delle Entrate (aggiornati da ultimo con Provvedimento del Direttore AE 23 novembre 2020, prot. 360494, che ha sostituito le istruzioni precedenti del 2010) e barrare l’apposita casella nella dichiarazione dei redditi (quadro RS). Se tali condizioni sono rispettate e la documentazione risulta “idonea”, eventuali rettifiche di reddito da transfer pricing non comportano sanzioni per infedele dichiarazione. Si ricorda infatti che l’omessa indicazione del possesso della documentazione esclude il contribuente dal regime di esenzione sanzionatoria, e che la sola esibizione ex post della documentazione durante un controllo non è sufficiente a evitare le multe se non era stata comunicata preventivamente. Dal punto di vista penale, inoltre, la normativa (art. 4 D.Lgs. 74/2000, come modificato dal D.Lgs. 158/2015) esclude la rilevanza penale delle divergenze di transfer pricing qualora si tratti di mere differenze di valutazione di componenti reddituali oggettivamente esistenti, i cui criteri di determinazione siano stati indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali. Ciò significa che, se il contribuente ha documentato i criteri di determinazione dei prezzi di trasferimento (ad esempio nel Masterfile e Local file), un’eventuale rettifica del Fisco non configura il reato di dichiarazione infedele, in quanto non si tratta di componenti “inesistenti” ma di valutazioni discordanti. Si tratta di una tutela importante: da un lato la documentazione transfer pricing protegge dalle sanzioni amministrative (90%-180% dell’imposta evasa in caso di infedele dichiarazione, evitabili con la documentazione), dall’altro riduce drasticamente il rischio di una imputazione penale, purché le transazioni siano reali e i metodi di calcolo siano trasparenti.

In sintesi, il quadro normativo italiano del transfer pricing, aggiornato al 2025, si allinea con gli standard internazionali (Linee Guida OCSE 2017) enfatizzando il principio di libera concorrenza, la flessibilità nella scelta del metodo più appropriato, e incoraggiando la compliance tramite la predisposizione di idonea documentazione. L’Amministrazione finanziaria italiana ha emanato varie circolari e linee guida interne (ad esempio la Circ. AE n. 15/E del 26 novembre 2021, che ha fornito chiarimenti sugli oneri documentali dopo il provvedimento 2020) per istruire i verificatori sulla corretta applicazione delle regole. Tuttavia, in caso di contestazioni, la parola finale spetta ai giudici tributari, i quali negli ultimi anni – come vedremo – hanno progressivamente consolidato alcuni principi di tutela del contribuente: ad esempio, hanno chiarito la ripartizione dell’onere della prova nel contenzioso transfer pricing e riconosciuto la legittimità di certi comportamenti, come gli aggiustamenti di fine anno simmetrici, se effettuati secondo prassi OCSE. Questi aspetti saranno approfonditi più avanti, dopo aver esaminato come si sviluppa un accertamento fiscale in materia di transfer pricing e quali possibilità difensive si aprono prima e dopo la notifica dell’avviso.

Il procedimento di accertamento per transfer pricing e i diritti del contribuente

Un avviso di accertamento su transfer pricing solitamente è l’esito finale di una verifica fiscale o di un’attività istruttoria mirata da parte dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate, spesso in collaborazione con la Guardia di Finanza). È utile comprendere le fasi tipiche di questo procedimento, in modo da poter individuare eventuali vizi e far valere i propri diritti di difesa tempestivamente:

  • Accesso, ispezione e verifica: In molti casi, tutto inizia con un controllo fiscale presso la sede dell’azienda (accesso della Guardia di Finanza o funzionari AE) oppure con verifiche “a tavolino” basate su questionari e richieste documentali. Nel corso della verifica, i funzionari esaminano la documentazione transfer pricing dell’azienda, i contratti infragruppo, i bilanci e ogni altro elemento utile. Se emergono operazioni infragruppo potenzialmente fuori mercato, verranno approfondite con analisi economiche (ad esempio confronti con imprese comparabili) e spesso l’azienda sarà invitata a giustificare eventuali scostamenti. È fondamentale, già in questa fase, collaborare con i verificatori fornendo tutte le informazioni richieste entro i termini: la mancata esibizione di documenti durante la verifica può pregiudicare la possibilità di usarli in seguito a difesa (ai sensi dell’art. 32 DPR 600/1973, documenti non esibiti su richiesta non sono utilizzabili poi in giudizio, salvo cause di forza maggiore). Ad esempio, nel caso affrontato dalla Cassazione ord. n. 18714/2025, la contribuente non aveva fornito alcuna documentazione a supporto di un aggiustamento contabile su ricavi infragruppo richiesto dai verificatori in fase precontenziosa, subendo poi l’inutilizzabilità di eventuali prove tardive in giudizio.
  • Processo verbale di constatazione (PVC): Al termine delle verifiche in loco, la Guardia di Finanza (o l’AE stessa, se ha svolto accessi brevi) redige un PVC con le constatazioni emerse. In caso di contestazioni su transfer pricing, il PVC indicherà le operazioni analizzate, il metodo utilizzato dal Fisco per determinare il valore di libera concorrenza e la quantificazione dell’eventuale maggior reddito accertato. Il contribuente ha diritto di presentare osservazioni e memorie difensive entro 60 giorni dalla notifica del PVC (ex art. 12, c.7 L. 212/2000 – Statuto del contribuente). È molto importante sfruttare questa finestra per contestare tecnicamente i risultati, ad esempio evidenziando errori nella selezione dei comparables, differenze funzionali non considerate, oppure fornendo contro-analisi di transfer pricing a supporto dei propri prezzi. Tali osservazioni saranno valutate (in teoria) dall’Ufficio prima di emettere l’avviso. In alcuni casi, soprattutto per materie complesse come il transfer pricing, è possibile che l’Ufficio invii questionari integrativi o effettui incontri con l’azienda durante questo periodo per approfondire le posizioni.
  • Invito al contraddittorio: Una tappa cruciale – potenziata di recente dalla riforma 2023/2024 – è il contraddittorio preventivo obbligatorio. Dal 18 gennaio 2024 infatti, l’art. 6-bis dello Statuto del contribuente (introdotto dal D.Lgs. 218/2023, in attuazione della L. Delega 111/2023) prevede che tutti gli avvisi di accertamento debbano essere preceduti da un contraddittorio endoprocedimentale effettivo, pena la nullità dell’atto. In pratica, prima di emettere l’avviso, l’ufficio deve notificare al contribuente un “invito a comparire” o una comunicazione contenente le risultanze del controllo e offrire la possibilità di discutere e produrre ulteriori prove. Fanno eccezione solo gli accertamenti automatizzati o formali e pochi altri casi specificamente elencati da un DM (ad es. atti di recupero automatizzati, accertamenti catastali, casi di particolare urgenza per fondato pericolo per la riscossione). La norma si applica agli atti emessi (sottoscritti) dal 30 aprile 2024 in poi. Ne deriva che, per un avviso di accertamento in materia di transfer pricing notificato nel 2025, l’invito al contraddittorio è (salvo eccezioni) obbligatorio. Il mancato esperimento di questo confronto preventivo costituisce un vizio dell’atto, che può comportarne l’annullamento in sede di ricorso. Attenzione: la nullità per difetto di contraddittorio non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepita dal contribuente nel ricorso introduttivo. Dunque, se l’avviso viene emesso senza previo invito, è fondamentale non limitarsi a ignorarlo sperando nella nullità automatica, ma proporre ricorso nei termini deducendo formalmente la violazione dell’art. 6-bis L. 212/2000. Nei casi in cui invece il contraddittorio abbia luogo, il contribuente può sfruttarlo per chiarire la propria posizione e magari convincere l’Ufficio a ridurre o archiviare la contestazione (in rari casi l’avviso può anche non essere emesso qualora le spiegazioni fornite dimostrino l’infondatezza della pretesa). Inoltre, partecipare attivamente al contraddittorio può ridurre le sanzioni: spesso la collaborazione e l’eventuale ravvedimento/adesione durante questa fase portano l’Ufficio a applicare sanzioni più basse (talora al minimo edittale, o con ulteriori riduzioni secondo legge). Ad esempio, presentare in contraddittorio una documentazione di transfer pricing idonea e fino ad allora non valutata potrebbe convincere l’Ufficio a qualificare il comportamento come meritevole di esenzione sanzioni (perché conforme all’art. 1 co.6 D.Lgs 471/97). In ogni caso, il verbale di contraddittorio e le memorie presentate costituiranno parte del fascicolo e potranno rilevare anche in un eventuale successivo giudizio.
  • Emissione dell’Avviso di accertamento: Terminato il contraddittorio (o trascorsi i termini per aderirvi), l’Agenzia delle Entrate adotta l’atto impositivo finale: l’avviso di accertamento. Esso deve contenere, a pena di nullità, la motivazione con l’indicazione dei fatti accertati, degli elementi di prova e delle norme applicate (art. 42 DPR 600/73 e art. 7 L. 212/2000). Nel caso del transfer pricing, un avviso ben motivato dovrebbe esplicitare il rapporto di controllo tra le parti, descrivere le operazioni contestate, il metodo di determinazione del valore di libera concorrenza utilizzato dal Fisco (ad es. “metodo del costo maggiorato” con indicazione del campione di società comparabili, loro margini medi, fonti dei dati, eventuali aggiustamenti effettuati) e quantificare lo scostamento rilevato rispetto ai prezzi praticati dal contribuente. Inoltre, deve calcolare l’ammontare del maggior reddito imponibile per ciascun periodo d’imposta e le imposte corrispondenti (IRES, IRAP, ritenute, ecc.), nonché le sanzioni amministrative applicate e gli interessi dovuti. È essenziale leggere con estrema attenzione l’atto: a volte dall’analisi delle motivazioni si possono individuare errori di calcolo, incoerenze logiche o violazioni di legge (ad esempio uso retroattivo di linee guida emanate dopo il periodo in esame, o applicazione di metodi non contemplati). Qualsiasi vizio riscontrato potrà essere motivo di impugnazione. Bisogna inoltre verificare la tempistica: l’avviso deve essere notificato entro i termini di decadenza (di regola il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, quindi per l’anno 2019 la scadenza è fine 2025; se omissione dichiarazione, raddoppio a sette anni). In ambito transfer pricing può applicarsi anche il raddoppio dei termini in caso di probabile rilevanza penale (art. 12 D.Lgs. 74/2000), ma come visto le contestazioni TP raramente sfociano nel penale se dichiarate correttamente le operazioni; dopo la riforma del 2015 sul raddoppio, servirebbe comunque una notitia criminis effettiva. In ogni caso, un avviso emesso fuori termine è nullo e ciò va eccepito nel ricorso.

Una volta notificato, l’avviso di accertamento costituisce un atto impugnabile dinanzi alle Commissioni/Coste di Giustizia Tributarie. Il contribuente ha 60 giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso (salvo eventuale sospensione feriale dal 1 agosto al 31 agosto) dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente (ex Commissione Tributaria Provinciale). Prima di passare all’analisi delle opzioni di difesa nel merito, è opportuno valutare se vi siano estremi per una definizione anticipata della controversia, utilizzando gli strumenti deflattivi previsti dall’ordinamento. Tali strumenti, che descriviamo nel prossimo capitolo, possono talvolta evitare il contenzioso o ridurre le sanzioni dovute, vantaggio importante soprattutto se – pur non condividendo in toto la pretesa fiscale – il contribuente preferisce trovare un accordo ed evitare i rischi di un lungo processo tributario.

Come difendersi da un avviso di accertamento transfer pricing: strategie e strumenti

Difendersi efficacemente contro un accertamento in materia di prezzi di trasferimento richiede un mix di conoscenza tecnica (in ambito fiscale e di TP), tempestività nelle azioni e l’utilizzo accorto delle procedure previste dalla legge. In questa sezione esamineremo dapprima le strategie difensive di merito, ovvero come impostare la difesa sul contenuto dell’accertamento (contestando i presupposti, producendo prove a favore, ecc.), e successivamente passeremo in rassegna i principali strumenti deflattivi del contenzioso utilizzabili per ottenere una soluzione prima o durante il processo (adesione, acquiescenza, conciliazione, ecc.). L’obiettivo è ridurre – se non eliminare – la pretesa fiscale, evitando se possibile di arrivare a sentenza o quantomeno minimizzando sanzioni e oneri.

Verifica di vizi formali e tutela dei diritti del contribuente

La prima linea di difesa consiste nel verificare attentamente la regolarità formale e procedurale dell’avviso di accertamento. Errori o omissioni da parte dell’Amministrazione possono infatti condurre all’annullamento dell’atto, indipendentemente dal merito della pretesa. Ecco i principali punti da controllare:

  • Contraddittorio pre-accertamento: come già sottolineato, per gli avvisi emessi dal 30/4/2024 in poi, la mancanza di un preventivo invito al contraddittorio (quando dovuto) rende l’atto annullabile. Dunque, se non avete ricevuto alcun invito a comparire o comunicazione di fine verifica prima dell’avviso, segnalate nel ricorso questa violazione dello Statuto del Contribuente. Anche per avvisi precedenti tali date, esistono pronunce (specie in materia di tributi “armonizzati” come l’IVA) che avevano riconosciuto l’obbligo di contraddittorio in virtù di principi UE; ma in materia di imposte dirette fino al 2023 la Cassazione negava un obbligo generalizzato in assenza di norma. Oggi però il quadro normativo è chiaro: il contraddittorio è regola generale e sua omissione è vizio sostanziale.
  • Motivazione e prova: l’avviso deve essere motivato adeguatamente. Nel caso di transfer pricing, ciò significa che l’Ufficio deve spiegare perché ritiene che i prezzi applicati non siano di mercato, come ha calcolato i prezzi di libera concorrenza e quali fonti ha utilizzato. Una motivazione generica o apodittica può equivalere a difetto di motivazione (ex art. 42 DPR 600/73), vizio che i giudici tributari possono sanzionare con la nullità dell’atto. Ad esempio, se l’Ufficio si limitasse a dire “si rettificano i corrispettivi al valore normale ai sensi dell’art. 110 co.7” senza indicare il metodo (CUP, TNMM, etc.) né i dati di comparazione, l’atto sarebbe fortemente carente. La Cassazione ha più volte ribadito che l’Amministrazione finanziaria, pur non dovendo provare un intento elusivo, deve fornire elementi concreti circa la divergenza dai valori di libera concorrenza, ad esempio individuando imprese comparabili e mostrando che il margine della consociata italiana è inferiore al range di mercato. Se tali elementi mancano o sono incoerenti (ad esempio comparables non omogenei), ciò va evidenziato nel ricorso come vizio di motivazione e/o errore di fatto. Un caso esemplare è stato esaminato in Cass. 10577/2024: l’Ufficio aveva selezionato 6 imprese cinesi come termini di paragone per la società italiana, ma la CTR e la Cassazione hanno ritenuto quella comparazione inaffidabile perché le aziende non producevano gli stessi beni, alcune erano geograficamente non comparabili e mancava qualsiasi informazione sulle funzioni e rischi assunti. Di conseguenza, l’accertamento è stato annullato per insufficienza probatoria dell’analisi del Fisco. Da fare: controllare se nell’avviso sono riportati i criteri di calcolo (listini, banche dati, bilanci di terzi) e se questi sono logicamente pertinenti; in caso contrario, argomentare l’assenza di prova della pretesa fiscale.
  • Legittimazione e firma: verificare che l’avviso sia stato sottoscritto dal funzionario competente (di regola il Capo Ufficio o suo delegato, per l’Agenzia delle Entrate, ex art. 42 DPR 600/73). Una firma mancante o di soggetto non autorizzato comporta nullità insanabile. Inoltre, se l’accertamento è stato emesso da un ufficio territorialmente incompetente (ipotesi rara in TP, ma non impossibile se p.es. sbagliano la sede in caso di stabile organizzazione), si può eccepire l’incompetenza.
  • Termini di decadenza: come accennato, l’atto deve essere emesso entro i termini. Ad esempio, se contestano l’anno d’imposta 2015, l’avviso (salvo raddoppio) andava notificato entro il 31/12/2020; se notificato dopo, è decaduto. Attenzione: in caso di PVC consegnato, la notifica dell’avviso non può avvenire prima di 60 giorni dal rilascio del PVC (art. 12 c.7 Statuto) salvo urgenza motivata; se l’AE notifica l’accertamento immediatamente senza attendere i 60 giorni e senza motivare l’urgenza, l’atto può essere annullabile per violazione del diritto di difesa. Questo vale però solo per verifiche con accesso concluse a PVC, non per indagini “a tavolino” seguite da invito ex 6-bis (dove l’invito stesso assolve al contraddittorio).

In definitiva, la verifica dei vizi formali è un passaggio imprescindibile: qualora si riscontri un vizio, esso va sollevato immediatamente nel ricorso introduttivo, giacché molti di essi (es. nullità per difetto di motivazione o contraddittorio) potrebbero altrimenti essere considerati sanati se non contestati. Un avvocato tributarista esperto effettuerà questo check-up dell’atto prima di entrare nel merito. Spesso, la sola prospettazione di un vizio formale rilevante può indurre l’Ufficio a più miti consigli in sede di eventuale conciliazione, consapevole del rischio di soccombenza su quel punto.

Onere della prova e strategia documentale nel merito dell’accertamento

Una volta appurato che l’atto sia formalmente regolare (o in aggiunta ai vizi formali dedotti), il fulcro della difesa nel merito è dimostrare che i prezzi di trasferimento applicati erano corretti o comunque sostenibili alla luce del principio di libera concorrenza. In ambito transfer pricing, il tema dell’onere della prova è centrale e si è evoluto nel tempo in giurisprudenza. Oggi possiamo riassumere così la situazione:

  • In fase amministrativa l’onere di motivare la rettifica incombe sull’Ufficio, che deve indicare perché ritiene non di mercato i valori praticati e fornire un ragionevole riscontro (es. analisi di comparables, perizia, ecc.). In fase contenziosa, invece, una volta che l’Agenzia ha assolto al minimo tale onere (presentando elementi che rendano “apparentemente” anomalo il prezzo infragruppo), spetta al contribuente provare che i prezzi contestati erano in realtà allineati al valore normale di mercato. Ciò in applicazione del principio civilistico di vicinanza della prova (art. 2697 c.c.) e considerando che tipicamente il contribuente ha maggiore accesso alle informazioni sull’operazione. La Cassazione ha quindi affermato che l’Amministrazione non deve provare la “manovra elusiva” né l’inesistenza di componenti, ma solo segnalarne la possibile difformità dal mercato, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare, in ultima analisi, che le transazioni infragruppo si sono svolte a condizioni di libera concorrenza. Questa ripartizione dell’onere probatorio – consolidata da numerose sentenze tra cui Cass. 10742/2013, 13571/2021, 15668/2022 – implica che la difesa debba essere proattiva: non basta criticare la ricostruzione del Fisco, occorre fornire una convincente controprova della correttezza dei propri prezzi.

Come può il contribuente assolvere a tale prova? Ecco alcuni pilastri di una solida strategia difensiva documentale:

  • Documentazione di transfer pricing: Se non già fornita prima, va assolutamente depositata in giudizio l’intera documentazione TP predisposta per l’anno in esame (Masterfile e Documentazione Nazionale). Questo documento, se redatto secondo le regole, contiene l’analisi funzionale del contribuente, la descrizione della metodologia seguita per fissare i prezzi e i risultati dei test di congruità. Esso costituisce la base per sostenere che i prezzi erano arm’s length. Anche se l’Agenzia lo ha ignorato o ritenuto insufficiente, in giudizio verrà valutato dai giudici. In particolare, evidenziate le analisi economiche contenute: ad esempio, se nel Local file avete applicato il metodo TNMM mostrando che il margine operativo della consociata italiana rientrava nel range interquartile di comparables indipendenti, sottolineate questo risultato. Se l’Ufficio ha preferito un altro metodo (es. il CUP interno su una singola transazione), spiegate perché secondo voi quel metodo non era appropriato e difendete la validità del vostro (magari supportati anche dalle Linee Guida OCSE e dal DM 2018, che incoraggiano il metodo più affidabile e comparabilità qualitativa). Ad esempio, Cassazione n. 1311/2025 ha censurato l’Agenzia perché aveva ignorato il metodo CUP applicato dal contribuente in favore di un TNMM, senza spiegare le ragioni dell’inapplicabilità del CUP. Ciò dimostra che un contribuente che abbia diligentemente applicato un metodo OCSE può mettere in difficoltà il Fisco se questo non ne confuta puntualmente la validità.
  • Prove documentali contrattuali: presentare i contratti infragruppo o accordi relativi alle transazioni contestate. Ad esempio, in caso di prestito infruttifero a una controllata estera, esibire il contratto di finanziamento che stabilisce il tasso zero (se formalizzato) e spiegare il business rationale (es. sostegno finanziario al start-up senza oneri per evitare crisi di liquidità). Anche se, come vedremo, tali prestiti infruttiferi sono soggetti comunque a transfer pricing internazionale, avere un contratto scritto evita contestazioni peggiori (in ambito domestico l’art. 89 TUIR esonera gli infruttiferi se pattuiti per iscritto; l’assenza di scrittura li presume fruttiferi al tasso legale). Nel cross-border invece si applica art. 110 co.7: Cass. 7361/2024 ha confermato che i finanziamenti infruttiferi verso consociate estere sono soggetti a transfer pricing e l’AE può imputare interessi attivi al tasso di mercato medio del periodo. Dunque, il contratto servirà più che altro a mostrare buona fede e che il tasso zero era intenzionale e noto, ma in giudizio bisognerà dimostrare che, data la natura del rapporto, un terzo indipendente avrebbe potuto anch’esso accordare un tasso nullo o molto basso (ad esempio se l’affiliata era in cattive condizioni finanziarie, un investitore di mercato avrebbe accettato un interesse basso in cambio di altri vantaggi, ecc.). Questo tipo di argomentazione andrebbe corroborato da eventuali analisi finanziarie (rating dell’azienda debitrice, spread di mercato per debitori simili, ecc.). Se tali analisi non erano nel file TP, si possono produrre come perizie di parte.
  • Studi e perizie di parte: Nel contenzioso TP è spesso utile far predisporre a consulenti economici indipendenti una relazione tecnica che confuti la metodologia dell’Ufficio e/o ricalcoli i prezzi di libera concorrenza con approccio alternativo. Ad esempio, se il Fisco ha usato un metodo e voi ritenete che un altro (tra quelli ammessi) sia più appropriato, una perizia può dimostrare applicandolo che non vi sarebbe scostamento. Oppure può evidenziare errori tecnici (p.es. l’Ufficio non aveva effettuato aggiustamenti sulle differenze di rischio fra comparabili e controllata, gonfiando così il margine richiesto). Attenzione però: le perizie di parte nel processo tributario hanno valore limitato, perché non sono perizia d’ufficio giurata, ma documenti di parte. Dal 2023 è stata introdotta la possibilità di presentare testimonianze scritte anche nel processo tributario, ma ciò riguarda fatti e non valutazioni economiche. Comunque, produrre una robusta analisi tecnica può aiutare a convincere i giudici, specie in controversie complesse come queste dove essi stessi apprezzano un supporto tecnico.
  • Altre prove e argomentazioni: A seconda del tipo di operazione contestata, ci si può difendere con specifiche ulteriori prove. Ad esempio, se l’AE sostiene che la vostra società italiana comprava materie prime dalla controllante estera a prezzo troppo alto (riducendo l’utile in Italia), potreste esibire offerte di fornitori indipendenti che mostrano prezzi simili a quelli infragruppo – segno che il prezzo pagato era di mercato. Oppure, se contestano royalties troppo alte verso la casa madre, documentare il valore del know-how o marchio ricevuto (studi di settore, successi commerciali dovuti a quel brand, ecc., per giustificare la royalty). Nel caso di “aggiustamenti di fine anno” (compensating adjustments) – ossia scritture contabili a fine esercizio per riallineare i risultati al target di transfer pricing – è importante dimostrarne la simmetricità (devono essere registrati anche dalla controparte estera) e la previsione contrattuale. Ad esempio, se a fine 2024 avete stornato ricavi per 100 da Alfa Italia verso Beta USA perché Alfa aveva margine superiore al range TP, dovreste esibire l’accordo con Beta che prevede l’aggiustamento e le fatture di rettifica emesse entro fine anno. Questo elemento è stato ritenuto decisivo da una recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II grado Lombardia (n. 1828/21/2024), che ha confermato la deducibilità fiscale degli aggiustamenti compensativi di transfer pricing quando effettuati in maniera coerente e documentata. In quel caso, i giudici hanno apprezzato che gli aggiustamenti fossero previsti dalla policy di gruppo, applicati simmetricamente (in alcuni anni a favore dell’Italia e in altri a sfavore), fatturati prima della dichiarazione e rispondenti alle best practice OCSE ed EU (JTPF). Ciò ha portato a riconoscere che, trattandosi di componenti contabilizzati correttamente secondo il principio di derivazione rafforzata, la loro deducibilità non poteva essere disconosciuta dal Fisco. Questo precedente è molto utile per i contribuenti: se l’Agenzia contesta un aggiustamento in diminuzione, sostenete la sua legittimità richiamando tali prassi e magari la Cass. 20054/2014 citata nella pronuncia, che già aveva escluso l’indeducibilità di costi da rettifiche di TP.

Come si vede, la difesa nel merito è fortemente basata su documenti e analisi quantitative. È essenziale presentare un quadro coerente e credibile: ad esempio, se nel vostro Masterfile avete indicato che la consociata italiana è una semplice distributor a basso rischio, e così avete giustificato un margine di appena 1% (perché i rischi principali li ha la casa madre estera), assicuratevi di provare che davvero la casa madre sopporta quei rischi (mostrando magari che in anni di perdita la casa madre ha coperto le perdite, ecc.). La consistenza logica dell’impianto difensivo farà presa sui giudici più di cavilli formali. Ovviamente, se emergono errori materiali dell’Ufficio (calcoli sbagliati, dati di comparables trascritti male, ecc.), evidenziateli chiaramente: a volte contestare puntualmente questi dettagli può minare la fiducia del giudice nella tesi dell’AE.

Un ultimo aspetto da considerare è la doppia imposizione internazionale. Una rettifica transfer pricing in Italia può generare tassazione duplicata di redditi già tassati anche all’estero (p.es., Italia aumenta l’utile di Alfa Srl per prezzi bassi verso Beta Inc, ma Beta Inc aveva già tassato quei maggior utili). In sede di contenzioso interno, ciò non evita la tassazione aggiuntiva, ma il contribuente può attivare, parallelamente, una procedura amichevole (MAP) tra autorità competenti prevista dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni o dalla Convenzione Arbitrale UE 90/436. Questa procedura consente ai due Stati di consultarsi per eliminare la doppia tassazione, ad esempio concordando un aggiustamento corrispondente a favore dell’altra entità. Dal 2017 la competenza sulle MAP in Italia è dell’Agenzia delle Entrate – Divisione Contribuenti, e dal 2018 è in vigore la Direttiva UE 2017/1852 recepita con D.Lgs. 49/2020 che offre un meccanismo di risoluzione delle controversie fiscali (anche TP) più efficace, con arbitrato vincolante in caso di disaccordo. Pertanto, se state contestando un avviso TP in giudizio, valutate con consulenti l’opportunità di presentare anche un’istanza di MAP: non interferisce col ricorso, ma può evitare alla fine di pagare due volte le tasse sullo stesso reddito (ricordando però che la MAP funziona solo se il caso rientra nelle previsioni trattato/UE e se l’altra giurisdizione collabora).

Strumenti deflattivi del contenzioso tributario applicabili

Oltre alla difesa “tecnica” nel merito, il contribuente ha a disposizione diversi strumenti deflattivi per gestire l’avviso di accertamento senza arrivare (o prima di arrivare) alla sentenza. Tali strumenti consentono di raggiungere un accordo con il Fisco o di accettare la pretesa con benefici sulle sanzioni, riducendo tempi e costi. Nel contesto del transfer pricing, dove l’esito del giudizio può essere incerto per la complessità delle valutazioni, utilizzare questi istituti può talora essere conveniente, specie se l’ammontare in gioco non è eccessivo o se si riconosce una parziale fondatezza dell’aggiustamento. Di seguito passeremo in rassegna i principali strumenti deflattivi applicabili agli avvisi di accertamento (in generale e con cenni specifici per il TP), riassumendone condizioni, vantaggi e svantaggi.

Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997)

L’accertamento con adesione è una procedura di definizione concordata dell’accertamento, che può avvenire sia prima dell’emissione dell’avviso (c.d. adesione “in corso di verifica”, su invito dell’ufficio) sia dopo la notifica dell’avviso, su istanza del contribuente entro il termine per ricorrere. Nel nostro caso consideriamo la seconda ipotesi: ricevuto l’avviso, il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio accertatore (entro 60 giorni dalla notifica; tale istanza sospende il termine per fare ricorso per un periodo di 90 giorni). L’adesione dà avvio a una fase di contraddittorio amministrativo, simile a una trattativa, in cui il contribuente e i funzionari dell’AE discutono sui rilievi e cercano un accordo sul quantum dovuto. In materia di transfer pricing, l’adesione è uno strumento utile quando vi è margine per una trattativa economica: ad esempio, se il Fisco contesta €1.000.000 di maggior imponibile, si potrebbe negoziare una riduzione magari a €600.000 in considerazione di elementi difensivi, evitando così la causa. Se le parti raggiungono un accordo, viene redatto un atto di adesione con il nuovo importo concordato. I vantaggi dell’adesione sono: (a) sanzioni ridotte a 1/3 del minimo previsto (ad esempio, se la sanzione per infedele dichiarazione sarebbe minimo 90%, con adesione scende al 30% circa); (b) possibilità di pagamento rateale delle somme fino a un massimo di 8 rate trimestrali (12 se importi oltre 50.000 €) senza garanzie; (c) definizione complessiva della posizione fiscale per l’anno in oggetto, con preclusione di ulteriori accertamenti su quelle materie (a meno di sopravvenienza di nuovi elementi). Inoltre, l’adesione perfezionata attenua anche eventuali profili penali: il D.Lgs. 74/2000 prevede la riduzione fino alla metà delle pene e il non applicare pene accessorie se il debito è definito prima dell’apertura del dibattimento. Nel transfer pricing, questo può essere rilevante in casi limite di infedele dichiarazione (anche se, come visto, di rado si procede penalmente per il solo TP documentato). I svantaggi dell’adesione: (a) bisogna comunque pagare le somme concordate (non è un condono: si paga l’imposta piena sul nuovo imponibile, solo con sanzioni ridotte); (b) una volta firmato l’atto di adesione e versata la prima rata, l’accordo è definitivo e non impugnabile – si rinuncia al ricorso; (c) se la trattativa fallisce (nessun accordo), si è solo perso un po’ di tempo (comunque il termine ricorso riparte per almeno 30 giorni dalla chiusura) e l’ufficio probabilmente avrà avuto occasione di capire meglio la vostra difesa (in parte mostrando le carte). Tuttavia, non vi sono controindicazioni sostanziali nel tentare un’adesione: è un diritto del contribuente e, “senza pregiudizio”, si può sempre proseguire col ricorso se l’esito è negativo. Nel caso del transfer pricing, data la tecnicità, l’adesione spesso si traduce in incontri con funzionari specializzati dell’AE (spesso il Settore Internazionale/DRE) dove presentare le proprie analisi e cercare magari un punto d’incontro (ad esempio accettare un certo intervallo di margine e dividere la differenza a metà). Da notare che l’adesione non consente, di per sé, di risolvere la questione della doppia imposizione estera – per quella serve la MAP a parte – ma almeno evita il rischio delle sanzioni e del raddoppio eventuale di importi in caso di soccombenza piena in giudizio. Se si aderisce, la controparte estera potrebbe a sua volta chiedere un adeguamento corrispondente tramite MAP (non è automatico, ma possibile). Conclusione: valutare l’adesione se il caso non è chiaramente vincente al 100% e se c’è spazio per chiudere a una cifra accettabile. Spesso i professionisti usano l’adesione anche per sondare la controparte: capire fin dove l’ufficio è disposto a scendere o quali argomenti riconosce.

Acquiescenza all’accertamento

L’acquiescenza è l’atto di accettare integralmente l’accertamento rinunciando al ricorso, in cambio di benefici sulle sanzioni. Entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, il contribuente può scegliere di non impugnare e di pagare le somme richieste (o la prima rata se rateizzabili) beneficiando così della riduzione delle sanzioni a 1/3 di quelle irrogate. In pratica, se l’avviso applicava 100 di sanzione, pagandone 33 circa si chiude la pendenza (oltre ovviamente a imposte e interessi per intero). L’acquiescenza presenta il vantaggio di ottenere la stessa riduzione sanzioni dell’adesione, ma senza necessità di negoziazione e con effetto immediato. Può avere senso nei casi in cui: (a) il contribuente riconosce la fondatezza dell’accertamento e vuole solo limitare i danni; (b) l’importo non è elevato e si preferisce evitare spese professionali di un contenzioso; (c) si teme un possibile esito peggiore in giudizio, ad esempio l’applicazione di sanzioni piene. L’acquiescenza non è ammessa in caso di accertamenti parziali (ma nel TP di solito sono avvisi “pieni”). Bisogna prestare attenzione che con l’acquiescenza si perde ogni facoltà di ricorso: è una definizione irretrattabile. Inoltre, a differenza dell’adesione, l’acquiescenza non sospende i termini: va perfezionata entro 60 giorni, pagando. Non prevede formalmente la possibilità di rateazione (anche se l’Agenzia consente spesso, dietro istanza, una dilazione ordinaria per avvisi, ma senza gli stessi benefici). In generale, l’acquiescenza è utile quando non vi sono apprezzabili motivi di contestazione oppure se l’Agenzia ha già concesso magari una rideterminazione in sede di contraddittorio e l’atto notificato è il risultato di un accordo informale. Nel transfer pricing, l’acquiescenza potrebbe essere scelta, ad esempio, da una PMI che incappa in un rilievo di modesta entità e preferisce pagare evitando il contenzioso (specie se ha diritto alla definizione per mero importo: es. micro rettifica su cui non conviene battagliare). Diversamente, su grandi importi conviene almeno provare l’adesione o il ricorso.

Reclamo e mediazione tributaria (previgente e novità)

In passato (fino al 2023), per le controversie di valore non eccedente una certa soglia (50.000 euro, poi 100.000 euro) era previsto l’obbligo di presentare un reclamo/mediazione all’Agenzia delle Entrate prima del ricorso: un istituto che combinava un’istanza di riesame interno con una proposta di mediazione, e che, se accettata, comportava sanzioni ridotte al 35% e chiusura della lite. Tuttavia, la riforma del contenzioso tributario (Legge 130/2022 e D.Lgs. 156/2022) ha abolito la mediazione tributaria obbligatoria a partire dal 2023/2024. Oggi, per gli atti emessi dal 2023 in poi, non si passa più dal reclamo: si può ricorrere direttamente e semmai utilizzare la conciliazione giudiziale (vedi oltre) in corso di causa. Dunque, per un avviso TP 2025 la mediazione non è richiesta. Rimane comunque la possibilità (anche se non normativamente strutturata) che in questi 60 giorni l’Ufficio, ricevuto il ricorso, formuli d’ufficio una proposta conciliativa o annulli in autotutela se ravvede errori palesi. Ma il reclamo in sé non si applica più. Chi leggesse guide datate vedrebbe questo istituto: va considerato superato.

Autotutela (annullamento/sgravio in autotutela)

L’autotutela è il potere/dovere dell’Amministrazione di correggere o annullare i propri atti quando si accorga di errori o illegittimità, anche dopo l’emissione. Il contribuente può presentare in ogni momento (anche contestualmente ad altre procedure) un’istanza di autotutela chiedendo all’ufficio di riesaminare l’accertamento e annullarlo totalmente o parzialmente. In pratica, è un “ricorso” informale rivolto allo stesso ente impositore. Nell’ambito del transfer pricing, l’autotutela potrebbe trovare spazio se ad esempio emergesse un errore macroscopico (es.: l’AE ha calcolato due volte lo stesso maggior imponibile, oppure ha applicato una norma abrogata). Tuttavia, bisogna essere realistici: l’autotutela è discrezionale, l’ufficio raramente annulla un proprio atto a seguito di semplice istanza del contribuente quando la questione è opinabile o tecnica (tenderebbe a sostenere le proprie ragioni e lasciare eventualmente al giudice decidere). Vale comunque la pena presentare istanza in parallelo al ricorso, se non altro per segnare la buona fede e eventualmente far correggere errori materiali. L’autotutela non sospende i termini per ricorrere: va usata in aggiunta, non in sostituzione, al ricorso.

Conciliazione giudiziale (conciliazione in corso di causa)

La conciliazione giudiziale è uno strumento per definire bonariamente la controversia dopo l’instaurazione del processo, davanti al giudice tributario. Può avvenire sia nel giudizio di primo grado che in appello, ed è stata recentemente estesa anche al giudizio in Cassazione per i ricorsi notificati dal 2024 (novità introdotta dal D.Lgs. 149/2022). La conciliazione può essere proposta da una delle parti o dal giudice stesso. In sostanza, è un accordo transattivo sul contenuto della lite: il contribuente può offrire di pagare una parte delle imposte contestate, l’Ufficio può accettare una riduzione, e il giudice ratifica l’accordo con decreto/sentenza. Il grande vantaggio della conciliazione sono le sanzioni ridotte per legge: se si concilia in primo grado, le sanzioni si applicano nella misura del 40% del minimo edittale; se si concilia in secondo grado, al 50% del minimo; se in sede di Corte di Cassazione, al 60% del minimo (questa possibilità dal 2024). In altri termini, il contribuente ottiene uno sconto rispettivamente del 60%, 50% o 40% sulle sanzioni rispetto al minimo altrimenti dovuto, a seconda della fase processuale. Inoltre, la conciliazione evita le sanzioni accessorie e consente la compensazione delle spese di giudizio. Una particolarità interessante è che la conciliazione può essere anche parziale: si possono conciliare alcuni rilievi e proseguire il giudizio sugli altri. Questo è utile ad esempio in un avviso con più annualità o più issue (nel TP magari diversi aggiustamenti): si potrebbe trovare accordo su alcuni e litigare su altri. Nel transfer pricing, la conciliazione giudiziale può essere un’ottima seconda chance se l’adesione non è stata tentata o non ha avuto successo. Spesso, infatti, dopo il ricorso l’Avvocatura dello Stato (che difende l’AE in giudizio) o i funzionari legali dell’AE stessa possono riconsiderare la posizione e mostrarsi più disponibili a una transazione, specialmente alla luce di eventuali nuovi elementi portati dal contribuente nel processo. Ad esempio, se nel ricorso emergono seri dubbi sulla tenuta della comparazione operata dal Fisco, l’ente potrebbe preferire incassare subito una parte ridotta piuttosto che rischiare di perdere tutto. Quando proporre conciliazione? In genere dopo il deposito del ricorso e la costituzione in giudizio delle parti, ma prima della decisione del giudice di prime cure (o di appello). Si può presentare un’istanza congiunta di conciliazione che già contiene i termini dell’accordo, oppure il giudice può sollecitare un accordo in udienza (specie per liti di valore elevato o materie tecniche). I vantaggi: sanzioni ridotte (non così basse come in adesione/acquiescenza ma pur sempre dimezzate circa in primo grado), fine immediata del contenzioso con risparmio di tempo e costi, possibilità di accordo parziale. Gli svantaggi: bisogna comunque pagare il concordato (rateizzabile in 8 rate come l’adesione). Inoltre, in Cassazione è meno probabile perché lì di solito o si vince o si perde su punti di diritto – ma la norma ora lo consente fino a ultimo grado, indice di una volontà di favorire comunque la deflazione delle liti. Nel transfer pricing, conciliare può essere utile anche per gestire l’incertezza tipica di queste cause: meglio pagare il 50% di qualcosa che rischiare il 100%.

Tabella 1 – Principali strumenti deflattivi del contenzioso tributario (avvisi di accertamento)

StrumentoQuando si applicaBenefici per il contribuenteConsiderazioni
Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/97)Su istanza entro 60 gg dalla notifica dell’avviso (sospende termini per 90 gg). (Utilizzabile anche prima dell’avviso su invito ufficio)– Possibile riduzione imponibile concordando una cifra inferiore. – Sanzioni ridotte a 1/3 del minimo. – Rateizzazione fino a 8 (o 16) trimestrali. – Niente sanzioni accessorie, riduzione eventuali pene penali.– Occorre raggiungere accordo con AE: impegno negoziale. – Dopo l’adesione firmata, niente ricorso (definitivo). – Se fallisce, si riparte col ricorso (nessun effetto negativo salvo perdita tempo).
Acquiescenza (definizione per adesione all’atto)Entro 60 gg dalla notifica avviso, pagando somme dovute.Sanzioni ridotte a 1/3 dell’importo irrogato. – Chiude subito la pendenza (evita contenzioso, niente spese legali).– Bisogna accettare integralmente l’atto (nessuna riduzione imponibile, solo sanzioni). – Pagamento immediato (no sospensione, rate solo se concesse ordinariamente). – Rinuncia al ricorso totale.
Autotutela (annullamento in via di autotutela)In qualsiasi momento, con istanza all’ente impositore (anche dopo scadenza ricorso, ma preferibilmente prima).– L’atto può essere annullato o rettificato senza costi, in tutto o in parte, dall’ufficio. – Strada sempre percorribile parallelamente (non preclude altri rimedi).Discrezionale: l’AE non è obbligata ad annullare (lo fa solo se riconosce errore palese). – Non sospende termini né importi dovuti. – Da tentare in caso di errore evidente (doppia imposizione interna, calcolo sbagliato, ecc.).
Conciliazione giudiziale (artt. 48-48-ter D.Lgs. 546/92)Dopo proposizione del ricorso, in primo grado, appello o (dal 2024) in Cassazione. Proposta da contribuente, AE o giudice, fino a decisione.Riduzione sanzioni al 40% del minimo in 1° grado, 50% in 2° grado, 60% in Cass.. – Evita ulteriori spese e tempi del giudizio. – Possibile conciliazione parziale su alcuni rilievi. – Niente sanzioni penali accessorie, spese compensate.– Richiede accordo tra le parti a processo avviato (ma con intervento del giudice può facilitarsi). – Pagamento entro 20 gg da decreto/sentenza (rate possibili come adesione). – Se conciliazione solo parziale, residua contenzioso sul resto.

Come si evince dalla tabella, adesione, acquiescenza e conciliazione offrono tutti un sostanziale vantaggio sulle sanzioni amministrative, che nel caso del transfer pricing – senza documentazione – sarebbero normalmente pari al 90%–180% dell’imposta evasa. Ad esempio, se un accertamento TP determina 1 milione di euro di maggiore imponibile con 270 mila € di maggior imposta, le sanzioni “piene” potrebbero arrivare fino a 486 mila € (180%). Utilizzando uno strumento deflattivo, si riducono drasticamente: con adesione/acquiescenza scenderebbero a circa 90 mila € (1/3 del minimo 90%), con conciliazione in primo grado a circa 108 mila € (40% di 270k*? min 90% di 270k =243k *40% = 97k? Occorre esempio consistente; comunque intorno a 97k). In ogni caso, il risparmio è notevole. Pertanto, da una prospettiva di gestione del rischio, un contribuente informato dovrebbe sempre considerare queste opzioni: se la posizione difensiva è debole, aderire o conciliare presto evita di accumulare interessi e eventuali spese legali, ottenendo lo sconto sanzionatorio massimo; se la posizione è forte, può comunque valere la pena negoziare una soluzione, soprattutto in primo grado, per evitare l’incertezza e i tempi lunghi della giustizia tributaria (in media 2-3 anni per grado). Ovviamente molto dipende anche dall’atteggiamento dell’Ufficio: in materia di transfer pricing, spesso gli uffici sono inizialmente poco propensi a riduzioni significative (per timore di creare precedenti, o perché i funzionari sono legati da linee guida interne). Tuttavia, l’esperienza mostra che in fase di adesione o conciliazione, presentando con chiarezza le proprie contro-argomentazioni, è possibile ottenere sconti non solo sulle sanzioni ma anche sul merito (imponibile), quando la pretesa originaria è manifestamente eccessiva. Ad esempio, far notare che l’AE ha incluso comparables non pertinenti, con il rischio concreto di perdere in giudizio, può spingerla ad accettare un imponibile inferiore pur di chiudere. Anche il fattore “tempo” incide: un’adesione evita che l’incasso per l’erario slitti di anni, ciò può essere usato come leva in trattativa (“chiudete a X ora, anziché forse Y fra 5 anni”).

Nota pratica: se si intende attivare uno strumento deflattivo, curare la tempistica: per adesione, presentare l’istanza tempestivamente e prepararsi all’incontro con un “position paper” convincente; per conciliazione, si può sollecitare l’apertura del dialogo magari dopo il deposito del ricorso o della memoria dell’ufficio. In ogni caso, mantenere un atteggiamento professionale e cooperativo con l’Amministrazione aumenta le chance di un esito favorevole. E se nonostante tutto non si trova un accordo, il contribuente avrà dimostrato ragionevolezza, cosa che non di rado viene notata con favore anche dai giudici in sede di valutazione delle spese di lite.

Giurisprudenza recente in tema di transfer pricing e difesa del contribuente

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione e le Corti di giustizia tributaria hanno prodotto numerose pronunce che delineano principi importanti in materia di transfer pricing. Conoscere questi orientamenti è fondamentale sia per impostare la difesa (citando precedenti favorevoli) sia per capire come i giudici tendono a valutare certe questioni (onere probatorio, metodi, ecc.). Di seguito sintetizziamo le sentenze più aggiornate e autorevoli (fino a metà 2025) e i relativi principi chiave, raggruppandoli per argomento:

  • Natura della norma e onere della prova: Come già anticipato, la Cassazione ha definitivamente qualificato l’art. 110(7) TUIR come norma di equilibrio fiscale e non anti-abuso. Già con sent. n. 14763/2018 (SS.UU. penali) si affermò la neutralità del TP, e più recentemente Cass. ord. n. 19512/2024 e ord. n. 18714/2025 hanno ribadito che il transfer pricing ha carattere “neutrale” e non richiede prova di finalità elusive, ma solo la presenza di condizioni infragruppo non arm’s length. Conseguentemente, in termini di onere probatorio, si consolida il principio per cui spetta all’Amministrazione offrire una base di comparazione (anche solo indiziaria) che evidenzi lo scostamento dai valori di mercato, mentre incombe sul contribuente la prova contraria della congruità dei propri prezzi. Le sentenze nn. 26695-26698/2022 (serie di decisioni su caso Ferrari) hanno accentuato questo aspetto: la Cassazione ha accolto i ricorsi dell’AE proprio censurando la CTR che aveva chiesto al Fisco prove aggiuntive, quando invece – a detta della Corte – una volta indicata dall’Ufficio una comparazione idonea, era la società contribuente che doveva dimostrare la normalità dei propri prezzi. Questo orientamento può sembrare sbilanciato a sfavore del contribuente, ma va letto in combinazione con l’altro principio: l’AE deve comunque presentare una analisi economica seria, altrimenti il giudice può ritenerla inidonea e quindi non trasferire l’onere. In pratica, la qualità della comparazione fiscale iniziale influenza l’asticella probatoria: se l’AE presenta comparables mal scelti, il contribuente potrà facilmente demolirli e vincere (come in Cass. 10577/2024, infra). Se invece l’AE porta comparables solide, il contribuente dovrà controbattere con proprie analisi altrettanto solide per prevalere.
  • Selezione dei metodi e comparabili: Le dispute spesso riguardano quale metodo di transfer pricing adottare. Le linee OCSE (recepite dal DM 2018) dicono che non c’è un ordine gerarchico fisso, ma il metodo del confronto di prezzo (CUP), se applicabile in modo affidabile, è di norma il più diretto e preferibile. La Cassazione n. 1311/2025 ha affrontato proprio questo: l’AE aveva utilizzato il metodo del margine netto (TNMM), mentre il contribuente in documentazione aveva un CUP esterno. La Corte ha dato torto al Fisco, affermando che non c’è gerarchia assoluta di metodi, ma il CUP va preferito quando idoneo, e che l’Ufficio avrebbe dovuto motivare perché scartava il CUP in favore di un metodo meno diretto. Questo precedente rafforza la posizione dei contribuenti che in difesa presentino analisi CUP o di confronto diretto: l’AE non può ignorarle senza spiegazione. Altri casi notevoli riguardano i criteri di comparabilità: Cass. n. 26432/2024 ha evidenziato che le Linee Guida OCSE sono un criterio interpretativo importante (pur non avente forza di legge) e che le valutazioni economiche vanno fatte su basi omogenee. Cass. n. 4610/2025 ha statuito che anche imprese in perdita possono essere incluse nel campione di comparables, purché il loro stato di perdita sia fisiologico al settore e non patologico – smontando l’idea di alcune difese fiscali che escludevano a priori comparables in perdita. In sostanza, i giudici tendono ad allinearsi alle prassi internazionali: ok al CUP quando possibile, ok al TNMM quando il CUP non è praticabile, ma occorre valutare attentamente la comparabilità (funzioni, rischi, asset intangibili, mercato geografico – come abbiamo visto nelle pronunce su comparables cinesi incongruenti, i giudici sanno cogliere queste differenze).
  • Rettifiche infragruppo specifiche: Diversi precedenti si sono occupati di particolari tipologie di operazioni infragruppo:
    • Finanziamenti infruttiferi: Cass. 7361/2024 (v. supra) ha chiarito che i prestiti senza interessi a consociate estere rientrano a pieno titolo nel transfer pricing internazionale e che l’AE può tassare figurativamente gli interessi al tasso di mercato medio del luogo e tempo. La sentenza sottolinea che ciò serve ad “oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali, senza alterare gli equilibri civilistici tra le parti”. Inoltre ha respinto la questione di legittimità UE (libera circolazione di capitali) sollevata dal contribuente, ritenendo non necessario il rinvio pregiudiziale in quanto la differenza di trattamento con i prestiti infruttiferi domestici (art. 89 TUIR) è giustificata dalla diversa finalità (nell’internazionale serve prevenire spostamenti di imponibile). Quindi, per le imprese: un finanziamento intragruppo a tasso zero verso l’estero sarà quasi certamente rettificato dall’AE, e tale rettifica è legittima secondo la Cassazione.
    • Royalty e beni intangibili: Cass. 2853/2024 ha toccato il tema degli aggiustamenti di fine anno per royalties, confermando che se l’approccio seguito è conforme ai principi OCSE e attuato simmetricamente, gli aggiustamenti sono corretti (in linea con la CTR Lombardia 2024 già citata). Inoltre Cass. 25318/2022 (non recentissima ma fondamentale) ha stabilito che le royalties infragruppo devono essere valutate anch’esse a valore normale e, in caso di contestazione, l’AE deve comparare con licenze similari sul mercato – il che spesso è difficile e ha portato ad alcune pronunce pro-contribuente per carenza di comparables sulle royalty (tranne quando esistono banche dati di royalty comparabili, come il database RoyaltyStat utilizzato a volte).
    • Servizi infragruppo e costi duplicati: La giurisprudenza (Cass. nn. 17408 e 17409/2018) ha affermato che anche i servizi infragruppo rientrano nel TP e che il contribuente deve dimostrare il valore e l’utilità dei servizi ricevuti per giustificare il prezzo pagato, altrimenti il costo può essere sindacato. In particolare, hanno considerato legittimo il disconoscimento di costi per “management fees” generiche se non supportate da evidenze che il servizio è stato reso e che il prezzo è arm’s length.
    • Stabili organizzazioni occulte: Non strettamente TP, ma correlato: avvisi di accertamento per stabile organizzazione nascosta spesso implicano contestazioni di utili non dichiarati. Alcune pronunce recenti (Cass. 9230/2021) hanno applicato analogie col TP per attribuire utili a S.O. occulte sulla base di funzioni svolte. Questo rileva se, ad esempio, un contribuente difende dicendo “non c’è stabile, erano transazioni a valore di mercato”, ecc.
  • Rilevanza delle linee guida OCSE e diritto UE: Sentenze come la già citata 26432/2024 e 10577/2024 riconoscono che, pur non avendo rango di legge, le Linee Guida OCSE sul TP sono state recepite dal DM 2018 e costituiscono un criterio interpretativo autorevole. Ciò significa che riferirsi in giudizio ai principi OCSE (ad es. come applicare il TNMM, come trattare i beni in perdita, ecc.) è pienamente legittimo. Sul fronte UE, la Corte di Giustizia UE ha avuto modo di pronunciarsi sul TP in relazione alla libertà di stabilimento (caso Hornbach-Baumarkt, C-382/16 del 2018): ha detto che norme TP sono ammissibili per evitare trasferimenti imponibile, ma il contribuente dev’essere messo in grado di portare giustificazioni commerciali. Le Corti italiane non hanno ancora recepito esplicitamente questo aspetto delle “giustificazioni” nel giudizio tributario, ma è qualcosa da menzionare se pertinente. Nel caso menzionato di Cass. 7361/2024, il contribuente aveva sollevato la questione UE per disparità di trattamento tra prestiti infruttiferi domestici vs esteri, ma la Cassazione ha ritenuto manifesto che non vi fosse violazione, rifacendosi anche al fatto che nel diritto penale già si esclude il penale per differenze di valutazione (quindi come dire: sono misure neutrali, non punitive).

In generale, la Cassazione tributaria sta tracciando una linea di coerenza: il transfer pricing serve a ripartire correttamente la base imponibile, non a colpire comportamenti fraudolenti (per quelli ci sono le norme antiabuso specifiche). Questa visione implica un approccio più oggettivo: la domanda è “il prezzo era di mercato o no?”, non “voleva evadere o no?”. Ciò può essere un’arma a doppio taglio per il contribuente: da un lato evita che l’AE debba provare intenti (facilitando l’azione accertativa), dall’altro lato però tutela anche il contribuente onesto da accuse infondate di abuso, focalizzando la disputa su aspetti tecnici (dove il contribuente preparato può difendersi con dati).

Riassumendo i trend giurisprudenziali utili per la difesa:

  • Neutralità del TP – da sottolineare per contestare eventuali argomentazioni dell’AE su intenti elusivi: non rilevano, conta il merito economico.
  • Onere della prova bilanciato – l’AE deve fornire un minimo di prova (comparables, analisi), poi il contribuente deve contrapporre la sua prova. Se l’AE non fornisce nemmeno quel minimo, il ricorso va vinto; se lo fornisce, il contribuente deve essere pronto con evidenze.
  • Metodi OCSE accettati – se il contribuente ha seguito le linee guida internazionali (metodo appropriato, range interquartile, ecc.), evidenziarlo; la Cassazione è ricettiva su questo e pronta a censurare scostamenti dell’AE non motivati.
  • Documentazione – avere o meno la documentazione TP fa differenza: non solo per le sanzioni, ma anche perché in vari casi (es. Cass. 10577/2024) la presenza di un dossier TP dettagliato ha aiutato a convincere i giudici sulla bontà delle analisi del contribuente, soprattutto quando l’AE non aveva fatto altrettanto.
  • Giustificazioni economiche – la giurisprudenza penale e UE dicono che il contribuente deve poter fornire ragioni commerciali alle sue scelte: anche in sede tributaria, spiegare il perché di un prezzo anomalo (es. sconto perché prodotto difettoso, royalty alta perché brand fortissimo, prestito gratuito perché affiliata strategica in crisi) può influenzare positivamente il giudizio complessivo di un collegio, pur nei limiti dell’oggettività del TP.
  • Preclusioni e comportamento – notare infine che alcune pronunce, come la Ord. Cass. 26133/2024 citata nella massima sopra, sottolineano l’importanza di collaborare in istruttoria: chi non esibisce documenti al fisco poi non può usarli a suo vantaggio. Quindi, ai fini difensivi, tenere un comportamento diligente (fornire documenti, indicare possesso doc. TP in UNICO, ecc.) non solo evita sanzioni ma preserva il diritto di difesa pieno in giudizio.

Con questo bagaglio di pronunce, un difensore può modulare meglio le proprie strategie in giudizio, sapendo ad esempio che una perizia economica ben fatta ha buone chance di essere considerata se l’AE ha fatto un lavoro debole, oppure che può spingere per una conciliazione forte di precedenti Cassazione pro-contribuente in casi analoghi.

Domande frequenti (FAQ) su accertamenti transfer pricing e difesa del contribuente

D: Cos’è esattamente un avviso di accertamento in materia di transfer pricing?
R: È l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate rettifica il reddito imponibile di un’impresa italiana coinvolta in operazioni con parti correlate estere, ritenendo che i prezzi praticati non siano conformi al principio di libera concorrenza. In pratica, l’AE calcola quale sarebbe stato il prezzo “di mercato” (valore normale) per quelle transazioni infragruppo e tassa la differenza (in aumento del reddito). L’avviso indica gli importi di maggior imposta dovuta (IRES, IRAP, ecc.), le sanzioni e gli interessi. Ad esempio, se una società vende a una consociata estera a 100 ciò che sul mercato avrebbe venduto a 150, l’AE emette avviso recuperando 50 di ricavi non dichiarati tassabili in più. È impugnabile entro 60 giorni dinanzi al giudice tributario.

D: Quali sono le sanzioni previste in caso di rettifiche da transfer pricing?
R: La rettifica di transfer pricing comporta, in assenza di documentazione idonea, la sanzione per dichiarazione infedele, pari al 90%–180% della maggior imposta dovuta (art. 1, co.2 D.Lgs. 471/97). Se però il contribuente aveva predisposto e comunicato la documentazione TP conforme (Masterfile e Local file), ha diritto alla disapplicazione delle sanzioni amministrative. In tal caso pagherà solo l’imposta (più interessi). Se invece non aveva documentazione, le sanzioni si applicano ma possono essere ridotte usando gli strumenti deflattivi: ad esempio, con adesione/acquiescenza si riducono a 1/3 (circa 30% dell’imposta); con conciliazione in primo grado al 40% del minimo edittale (cioè ~36% dell’imposta, considerando il minimo 90%). Le sanzioni penali (reato di dichiarazione infedele) scattano solo se l’imposta evasa supera €100.000 e il reddito non dichiarato supera il 10% di quello dichiarato (o €2 milioni); tuttavia, per legge, differenze da valutazioni di TP non concorrono al penale se i criteri sono indicati in documenti contabili/fiscali.

D: Chi ha l’onere della prova in una controversia di transfer pricing?
R: In giudizio, l’onere della prova è ripartito. L’Agenzia delle Entrate, in quanto attore sostanziale che rettifica il reddito, deve fornire elementi che indicano un’anomalìa nei prezzi infragruppo. Ad esempio, deve presentare uno studio di comparables o altri dati che mostrino come i margini del contribuente divergono da quelli di mercato. Se lo fa (anche solo con presunzioni semplici), spetta poi al contribuente provare il contrario, ossia che i propri prezzi sono allineati alle condizioni di libera concorrenza. In pratica, il contribuente dovrà produrre la propria analisi (documentazione TP, studi di settore, perizie) per dimostrare che lo scostamento è apparente o giustificato. Se l’AE non fornisce alcun valido elemento comparativo, il giudice dovrebbe dare ragione al contribuente per carenza di prova dell’Ufficio. Viceversa, se l’AE porta una base ragionevole, il contribuente deve vincere la “battaglia delle perizie” dimostrando con i propri dati che il Fisco ha torto.

D: A cosa serve la documentazione di transfer pricing e come va utilizzata in caso di accertamento?
R: La documentazione (Masterfile e Local file) è fondamentale per due motivi: (1) se predisposta secondo le regole e comunicato il possesso, evita le sanzioni per infedele dichiarazione anche in caso di rettifica; (2) costituisce la prova principale a favore del contribuente sulla correttezza dei propri prezzi. In caso di verifica, va consegnata ai verificatori (meglio se subito su richiesta per mostrare collaborazione). In caso di contenzioso, va prodotta al giudice per evidenziare che si è operato in buona fede e secondo criteri riconosciuti. Ad esempio, se nella documentazione avete applicato il metodo TNMM e mostrato che il margine della vostra società è nel range di comparables indipendenti, questo è un ottimo elemento difensivo. La documentazione ben fatta spesso sposta l’onere della prova: diverse sentenze hanno riconosciuto che se il contribuente presenta un dossier coerente, spetta al Fisco confutarlo adeguatamente. Inoltre, sul piano penale, come detto, la presenza di idonea documentazione con i criteri di determinazione dei prezzi esclude la punibilità penale della eventuale sottovalutazione dei corrispettivi. In breve, la documentazione TP è sia uno “scudo” (contro sanzioni e penali) sia una “spada” (a sostegno della nostra difesa tecnica).

D: Che importanza hanno le Linee Guida OCSE e le fonti internazionali in un contenzioso italiano?
R: Hanno un’importanza significativa come criterio interpretativo. Pur non essendo legge, le Linee Guida OCSE sul Transfer Pricing sono state richiamate dal DM 14/5/2018 e dalla normativa italiana, quindi la prassi le considera uno standard di riferimento. La Cassazione stessa cita spesso principi OCSE nelle sentenze (ad es. per dire che va scelto il metodo più appropriato al caso, che non c’è gerarchia rigida ma preferenza per metodi tradizionali se applicabili, ecc.). Dunque, in giudizio è assolutamente opportuno richiamare le linee guida OCSE a sostegno della propria tesi: es. “secondo l’OCSE, i comparables in perdita non vanno esclusi a priori, come infatti riconosciuto anche dalla Cassazione nella sentenza XYZ”. Anche le raccomandazioni UE (es. il Joint Transfer Pricing Forum) vengono talvolta citate nelle difese per avallare certe prassi (ad es. gli aggiustamenti di fine anno, considerati best practice dal JTPF). Il giudice tributario italiano, specie a livello di merito, potrebbe non essere espertissimo di linee guida internazionali, ma se gli si mostrano come sono state recepite in atti normativi (DM 2018) o riconosciute da sentenze di Cassazione, ne terrà conto. Un esempio concreto: le LG OCSE 2017 hanno eliminato il concetto di “gerarchia dei metodi” presente in passato. Il DM 2018 si è adeguato. E la Cassazione 1311/2025 in effetti ha detto che non c’è obbligo di metodo comparativo se non è affidabile, però bisogna motivare – insomma ha seguito la logica OCSE. Quindi, sì, le fonti OCSE/UE sono un alleato per uniformare il ragionamento a standard internazionali che l’Italia ha promesso di rispettare.

D: Si può evitare il contenzioso? Cosa fare prima di arrivare davanti al giudice?
R: Sì, ci sono diversi passi da fare prima e soluzioni da tentare. Anzitutto, quando si riceve un invito al contraddittorio (o già durante la verifica/PVC), conviene sfruttarlo al massimo: portare subito tutte le prove, magari far intervenire i propri consulenti di TP per spiegare i metodi usati, ecc. In alcuni casi, ciò può convincere l’Ufficio a rivedere la pretesa prima di emettere l’avviso. Se l’avviso arriva, il primo step è valutare se presentare istanza di adesione: questa sospende i termini e apre una trattativa con l’AE. Durante l’adesione si può ottenere una riduzione dell’imponibile contestato o almeno delle sanzioni (che per legge scendono a 1/3). È una buona opportunità per evitare il processo o quantomeno capire meglio la controparte. Se l’adesione fallisce o non è percorsa, c’è sempre tempo fino allo spirare dei 60 giorni per fare acquiescenza (pagamento con sanzioni ridotte) oppure per presentare il ricorso. Anche dopo aver presentato il ricorso, si può cercare di chiudere con conciliazione giudiziale (eventualmente parziale), ottenendo sanzioni ridotte (40%-50% del minimo a seconda del grado). In altre parole, il processo tributario non esclude un accordo: fino a prima della sentenza si può trovare un’intesa. Quindi, le mosse consigliate sono: contraddittorio attivo, poi adesione se c’è spazio di dialogo, se no depositare il ricorso (per non decader dai termini) e contestualmente magari proporre all’AE una conciliazione. Ricordarsi anche di pagare eventualmente 1/3 delle imposte accertate (solitamente è dovuto a titolo provvisorio entro 60 gg se si fa ricorso, salvo si chieda e ottenga la sospensione dal giudice). Insomma, valutare costi-benefici: se la pretesa è chiaramente erronea, conviene andare avanti nel ricorso; se è incerta, un compromesso via adesione o conciliazione può essere il male minore.

D: In caso di perdita in giudizio, cosa rischia il contribuente (oltre alle imposte e sanzioni)?
R: Se il ricorso viene respinto e l’accertamento confermato, il contribuente deve pagare le imposte accertate, gli interessi maturati e le sanzioni per intero (salvo riduzioni se aveva doc. penale). Inoltre, generalmente la Commissione tributaria può condannare il soccombente a rifondere le spese di lite all’ufficio (anche se talvolta si compensano, specie se la questione era complessa). Sul piano penale, una decisione definitiva tributaria di solito non influisce automaticamente: tuttavia, è da segnalare che la riforma 2022 ha stabilito una maggiore comunicazione tra esiti del giudizio tributario e penale. In particolare, una sentenza passata in giudicato del giudice tributario fa stato nel penale quanto all’accertamento dei fatti (quindi se il giudice tributario ha stabilito definitivamente che c’era sottofatturazione di X, nel penale quell’elemento è dato acquisito), mentre un’assoluzione penale vincola il giudice tributario (se fossimo stati assolti perché “il fatto non sussiste”, difficile che in sede tributaria possano sostenere il contrario). In pratica, comunque, per il contribuente la perdita in sede tributaria non comporta automatico reato: come detto, se si tratta solo di valutazioni di prezzo, non c’è reato di infedele (art. 4) se si erano indicati criteri in documenti. Diverso sarebbe se l’accertamento rivelasse elementi occultati di proposito (falso in bilancio, fatture false, etc.), ma allora si parlerebbe di reati diversi (es. frode fiscale). Nel tipico caso di transfer pricing “puro”, il rischio maggiore in caso di sconfitta è economico: imposte + sanzioni + interessi. Per questo è importante usare bene gli strumenti per ridurre sanzioni (adesione, etc.) e, se le cifre sono rilevanti, considerare anche eventuali tutele patrimoniali (dilazioni, fideiussioni se necessarie per sospendere la riscossione, ecc.). Infine, c’è da dire che se si perde in primo grado, esiste l’appello e poi eventualmente la Cassazione: il che però prolunga la disputa di anni, con ulteriori spese. È sempre una valutazione caso per caso se conviene proseguire o cercare un accordo.

D: L’Agenzia delle Entrate può fare altri accertamenti sullo stesso argomento/anno dopo aver emesso un avviso di accertamento su transfer pricing?
R: No, in generale l’emissione di un avviso di accertamento “definitivo” per un certo anno preclude ulteriori accertamenti su quei elementi, salvo i casi in cui emergano nuovi elementi non conosciuti prima (o rettifiche diverse come da altri controlli non sovrapponibili). Nel transfer pricing, se l’avviso riguarda un certo cluster di operazioni, difficilmente ce ne sarà un secondo per lo stesso anno. L’adesione stessa, se conclusa, “cristallizza” la posizione per quell’anno: l’accordo di adesione infatti comporta la definizione totale per quel periodo, “a meno che non emergano nuovi elementi” (che è un’ipotesi remota, tipo frodi scoperte dopo). Anche in sede di conciliazione si può prevedere la chiusura totale della lite fiscale su quell’anno. Quindi possiamo dire che l’AE ha un solo colpo in canna per anno in materia di imposte sui redditi: notificato l’avviso (o conclusa adesione), quel capitolo è chiuso, fatti salvi gli sviluppi del contenzioso. Un’eccezione: l’AE potrebbe, parallelamente al TP, emettere avvisi per altre imposte correlate (es. IVA, se c’è un problema di valutazione di beni trasferiti, in TP in genere no perché l’IVA sulle cessioni intracomunitarie/esportazioni segue regole diverse). Ma sull’IRES/IRAP, un avviso copre tutto l’anno. Nel caso di operazioni pluriennali (es. prestito infruttifero in essere su più anni), l’AE tipicamente contesta ogni anno separatamente, ma applicando lo stesso criterio (quindi se nel 2025 contestano 2018-2019-2020 insieme, possono farlo con distinti avvisi o anche con un unico avviso multi-periodo, prassi non comune ma possibile). In ogni caso ogni annualità fa storia a sé in termini di atti.

D: Se la consociata estera ha già pagato tasse sul profitto che ora viene tassato in Italia (doppia imposizione), come ci si tutela?
R: Questo è il problema della doppia imposizione internazionale. Purtroppo, l’eventuale accertamento italiano non può direttamente eliminare la doppia imposizione: l’Italia riscuoterà le sue imposte e starà al contribuente attivarsi per ottenere un “aggiustamento corrispondente” dall’altro Stato. Il meccanismo per farlo è la procedura amichevole (MAP) prevista nei trattati bilaterali contro le doppie imposizioni (art. 25 Modello OCSE) o nella Convenzione arbitrale UE 90/436 (specifica sul TP) o, dal 2017, nella direttiva UE sulle dispute fiscali. In pratica, il contribuente, una volta ricevuto l’accertamento (o anche durante il contenzioso), presenta istanza all’autorità competente (in Italia, Agenzia Entrate – Direzione Internazionale) chiedendo di avviare il dialogo con l’autorità estera. Se tutto va bene, le due autorità si accordano per eliminare la doppia tassazione: di solito lo Stato estero accetta di esentare o dedurre l’importo aggiustato in Italia (specie se c’è convenzione che prevede esplicitamente l’adeguamento correlato all’art. 9 par.2 del Modello OCSE). Questo processo può richiedere anni, ma ora la direttiva UE impone tempi più stretti e se non c’è accordo scatta un arbitrato vincolante. Va detto che la condizione per riuscire è che il contribuente sia di regola in regola con la documentazione e la buona fede: se l’accertamento italiano è dovuto a un comportamento abusivo deliberato, è meno probabile che l’altro Stato collabori. Comunque, per il contribuente italiano, l’unica via è la MAP perché il giudice tributario italiano non può ridurre l’imposta per considerare quella pagata all’estero (non funziona come un credito d’imposta ordinario, qui si tratta dello stesso reddito tassato due volte). Quindi, la difesa ottimale è: prima cercare di evitare il problema (vincendo il contenzioso o conciliando a numeri ragionevoli), se ciò non avviene e si deve pagare in Italia, attivare subito la MAP. Nota: alcuni trattati permettono la MAP anche durante la pendenza del contenzioso interno, altri richiedono di attendere esito; la direttiva UE 2017/1852 consente di avviarla indipendentemente dal contenzioso (ma l’autorità può sospendere in attesa esito se ritiene). In base alle nuove norme, sembra si possa fare domanda entro 3 anni dalla prima notifica dell’azione che causa doppia imposizione (l’avviso o la sentenza) e la pendenza del giudizio non preclude. In conclusione, : c’è tutela dalla doppia imposizione, ma extragiudiziale tramite accordi fra Stati, su istanza del contribuente.

D: In caso di accertamento per prestito infruttifero o finanziamento a società estera collegata, è vero che basta metterlo per iscritto per non avere problemi?
R: Non esattamente. Mettere per iscritto l’infruttuosità del finanziamento evita problemi di imputazione di interessi solo nei rapporti domestici (art. 89(5) TUIR prevede che se una controllante italiana finanzia una controllata italiana a tasso zero con patto scritto, non si presumono interessi; e se non c’è patto, li si presume al tasso legale). Ma nei rapporti internazionali, l’art. 110(7) TUIR è prevalente e impone comunque il valore di libera concorrenza: quindi un prestito infruttifero a un’estera è soggetto a possibile rettifica di interessi di mercato, anche se c’è contratto scritto. La Cassazione nel 2024 lo ha confermato nettamente. Il contratto scritto però rimane utile come prova di trasparenza (evita che l’AE consideri il versamento come un dividendo mascherato o altro). In sostanza: il patto scritto non esonera dal transfer pricing internazionale, ma conviene averlo per chiarezza e per gestire meglio l’eventuale difesa (ad esempio, si potrà dire: “abbiamo deliberatamente fissato 0% perché la controllata era startup – ecco il business plan – nessuna banca le avrebbe prestato, solo la casa madre poteva farlo senza interessi; dunque è coerente col mercato se consideriamo il rapporto rischio-rendimento”). In definitiva, se l’obiettivo è evitare l’accertamento, un tasso anche simbolico in linea col mercato sarebbe la strada (ad esempio far pagare almeno un tasso pari all’interesse di free-risk + spread). Se si decide di fare tasso zero per ragioni strategiche, bisogna essere pronti a difenderlo in TP portando ragioni forti.

D: Quali tempi e fasi ha un contenzioso tributario in materia di transfer pricing?
R: I tempi e le fasi sono quelli del processo tributario ordinario: dopo la notifica dell’avviso, il contribuente ha 60 giorni per ricorrere alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex CTP). Nel ricorso (introduttivo) si espongono i motivi di impugnazione e le prove documentali. Depositato il ricorso, l’ufficio ha generalmente 60 giorni per costituirsi e depositare controdeduzioni (spesso si prende più tempo, ma deve farlo prima dell’udienza). Possono seguire scambi di memorie aggiuntive fino a 10 giorni prima dell’udienza. La fase istruttoria nel tributario è quasi tutta documentale: non ci sono deposizioni orali (se non rarissime richieste di testimonianze scritte, introdotte nel 2022, ma finora molto limitate). Dopo le memorie, viene fissata un’udienza pubblica (o da remoto) se richiesta almeno da una parte; altrimenti, la causa potrebbe essere decisa anche in camera di consiglio senza discussione orale. In una materia complessa come il TP, di solito la discussione viene chiesta e concessa. L’udienza avviene davanti a un collegio di 3 giudici (in primo grado) e di solito è breve: gli avvocati sintetizzano le rispettive posizioni e i giudici possono fare qualche domanda. Subito dopo, il collegio delibera e dovrebbe depositare la sentenza entro 30 giorni (termine spesso non rispettato per mole di lavoro, ma nelle liti minori spesso sì; in liti grosse a volte impiegano qualche mese). Dalla notifica della sentenza, se negativa per il contribuente, questi ha 30 giorni (se la sentenza è notificata da controparte) o 6 mesi (se non notificata) per appellare alla CGT di secondo grado (ex CTR). L’appello rivede il merito e dura simile al primo grado (altri 1-2 anni mediamente). Infine c’è il ricorso per Cassazione (entro 60 gg da notifica sentenza d’appello) che però è solo su questioni di legittimità (diritto) e dura spesso 2-3 anni. Quindi un intero percorso può durare 5-7 anni. Nel frattempo, l’Amministrazione può iscrivere a ruolo provvisorio 1/3 delle imposte dopo il primo grado, e 2/3 dopo il secondo grado, da riscuotere subito (oltre interessi). Il contribuente può chiedere sospensione della riscossione al giudice se c’è pericolo grave e fondati motivi (spesso in TP, vista l’entità, la si chiede in primo grado e talvolta viene accordata, altre volte no, dipende dalla valutazione dei giudici). Quindi, chi intraprende il contenzioso deve mettere in conto questi step temporali e gestire i pagamenti provvisori (o le garanzie per sospenderli).

D: Conviene coinvolgere un esperto economico (es. un consulente di transfer pricing) nella difesa o basta l’avvocato?
R: In cause di transfer pricing di una certa complessità, è altamente consigliabile un approccio multidisciplinare: l’avvocato tributarista per la parte legale e procedurale, e un consulente economico esperto di TP per la parte tecnico-valutativa. L’avvocato da solo potrebbe non avere tutte le competenze per smontare un’analisi di comparables o per elaborare un benchmark alternativo. Si può ad esempio far redigere una perizia di parte al consulente TP e depositarla come documento di supporto (tenendo presente che ha valore di allegato tecnico, non di perizia giurata). Inoltre, il consulente TP può aiutare l’avvocato a interrogare i dati e trovare eventuali errori nella posizione dell’AE. In udienza, formalmente parla l’avvocato (il consulente non può testimoniare se è di parte, salvo presentare relazione). Ma l’avvocato stesso può “trasmettere” le conclusioni tecniche del consulente al collegio. Ad esempio: “Dalle analisi economiche depositate (All. X), risulta che escludendo le imprese comparabili non sufficientemente similari, il margine della ricorrente rientra nell’intervallo interquartile…” e così via. Dato che il TP è un’area molto specialistica, un giudice potrebbe guardare con favore una difesa che include un rapporto tecnico chiaro, perché lo aiuta a decidere. Attenzione però: la controparte (AE) potrebbe a sua volta presentare memorie di funzionari con competenze tecniche. In ogni caso, l’interazione avvocato–consulente permette di coprire tutti i fronti: dal sollevare un vizio procedurale alla replicare su un calcolo di mediane. Dunque, la scelta ideale è lavoro di squadra: avvocato tributarista + esperto TP + eventualmente un commercialista per aspetti contabili. Per controversie minori (piccoli importi) magari non è economicamente sostenibile coinvolgere troppi specialisti, ma per importi grandi spesso ne vale la pena.

Conclusioni

Difendersi con successo da un avviso di accertamento in materia di transfer pricing richiede una combinazione di competenze fiscali, economiche e legali, nonché un approccio strategico calibrato sul caso concreto. Abbiamo visto come la normativa italiana, aggiornata alle ultime evoluzioni, offra sia strumenti di prevenzione (documentazione idonea, interpelli sui nuovi investimenti, accordi preventivi APA) sia strumenti di difesa (contraddittorio, adesione, ricorso, conciliazione) che vanno utilizzati con tempismo e cognizione di causa. Dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta) è fondamentale agire in maniera proattiva: prevenire le contestazioni dotandosi della corretta documentazione e applicando metodologie TP riconosciute; gestire l’eventuale verifica con trasparenza e fermezza, facendo valere i propri diritti procedimentali; valutare criticamente la pretesa, individuando sia i punti deboli dell’atto (vizi formali, errori di calcolo) sia i margini per un eventuale accordo; infine, qualora si giunga al contenzioso, sostenere le proprie ragioni con tutti i mezzi probatori disponibili, forti anche degli orientamenti giurisprudenziali maturati (spesso favorevoli ai contribuenti ben preparati).

Il panorama delle sentenze recenti conferma che i giudici tributari sono disposti ad accogliere le ragioni del contribuente quando l’accertamento risulti approssimativo o ingiusto: casi di comparables eterogenei, di mancata considerazione di circostanze specifiche (come crisi di settore, funzioni limitate della consociata, aggiustamenti simmetrici) sono spesso sfociati in annullamenti dell’atto. Tuttavia, il contribuente deve presentarsi all’appuntamento con il giudice con la diligenza del buon padre di famiglia fiscale: documenti in ordine, spiegazioni logiche, e magari una perizia a supporto. La difesa “gridata” o, all’opposto, superficiale, difficilmente paga in una materia tanto tecnica. Invece, una difesa ben articolata – che magari riconosce eventuali errori minori ma smonta il cuore della contestazione – può portare non solo a vincere la causa, ma in alcuni casi addirittura a creare nuovi precedenti favorevoli nella giurisprudenza.

D’altro canto, va tenuto presente che il transfer pricing è un campo in continua evoluzione: le linee guida OCSE vengono aggiornate (es. su servizi a basso valore aggiunto, transazioni finanziarie, intangibili hard-to-value), le norme interne si adeguano (si pensi alla riforma del processo tributario del 2022-23 o a possibili interventi sulle sanzioni amministrative), e l’Amministrazione finanziaria affina le proprie tecniche (ultimamente tramite il ricorso a banche dati più sofisticate e a procedure di cooperative compliance con le grandi aziende). Pertanto, il contribuente – e i suoi consulenti – devono mantenersi aggiornati e flessibili.

In conclusione, affrontare un avviso di accertamento su transfer pricing “come difendersi” significa: conoscere i propri diritti (e farli valere), analizzare criticamente i fatti e le cifre (per contestare sul merito), sfruttare ogni opportunità di dialogo con il Fisco (spesso una soluzione concordata è preferibile a una battaglia totale), e se necessario confidare nell’arbitrato giudiziario, armati però delle migliori prove e argomentazioni. Con un approccio rigoroso e proattivo, il contribuente può riequilibrare le sorti di quello che inizialmente pareva un duello impari: da “debitore” presunto a parte in grado di far valere le proprie ragioni, ottenendo – nelle sedi opportune – giustizia tributaria e un risultato sostenibile per la propria impresa.

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Fonti e riferimenti normativi/giurisprudenziali

  • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR), art. 110, comma 7 – Norma primaria sul transfer pricing, come modificata da D.L. 50/2017 art. 59 (introduzione principio libera concorrenza al posto di valore normale).
  • Decreto MEF 14 maggio 2018 – Linee guida per l’applicazione delle disposizioni sul transfer pricing (metodi riconosciuti, definizioni di imprese associate e operazioni controllate, criteri di selezione dei metodi).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, art. 1, c.6 e art. 2, c.4-ter – Regime di esenzione sanzioni per dichiarazione infedele in caso di documentazione idonea predisposta e comunicata (penalty protection transfer pricing).
  • Provvedimento AE 23/11/2020 prot. 360494 – Aggiornamento disposizioni sulla documentazione transfer pricing (Masterfile e Documentazione Nazionale) post DM 2018.
  • Statuto del Contribuente (L. 212/2000), art. 12 c.7 – Diritto del contribuente a presentare osservazioni entro 60gg dal PVC; art. 7 – Obbligo di motivazione degli atti tributari; art. 6-bis (introdotto da D.Lgs. 218/2023) – Obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo per avvisi emessi dal 30/4/2024.
  • D.Lgs. 19 giugno 1997 n. 218 – Accertamento con adesione e acquiescenza: disciplina generale; in particolare art. 2 (adesione su avviso), art. 3 (sospensione termini ricorso durante adesione), art. 8 (sanzioni ridotte a 1/3), art. 15 (acquiescenza, sanzioni 1/3).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 – Processo tributario: artt. 48 e 48-bis – Conciliazione giudiziale (riduzione sanzioni al 40%-50%-60% del minimo in I, II grado e Cassazione); art. 7 – Possibilità CT di disporre consulenza tecnica (rara in pratica); art. 32 – Termini depositi documenti (20 gg liberi prima udienza); Novità 2022: art. 7-bis – Testimonianza scritta ammessa in certi casi; art. 69 – Competenza Cassazione su violazioni di legge.
  • D.Lgs. 74/2000, art. 4 – Reato di dichiarazione infedele: soglie (imposta evasa >100k e redditi non dichiarati >10% reddito dichiarato o >2M); comma 1-bis/ter introdotti da D.Lgs. 158/2015 – Esclusione valutazioni di elementi attivi/passivi esistenti se criteri indicati in bilancio o documenti rilevanti (rilevanza penale esclusa per transfer pricing documentato).
  • Cassazione civile, Sez. Trib.: sent. n. 10577/2024 – Principio di libera concorrenza vs valore normale, onere della prova ripartito: AE deve motivare scostamento, contribuente provare normalità prezzi; critiche a comparables non omogenei (caso società cinesi).
  • Cass. Sez. Trib. sent. n. 1311/2025 – Gerarchia metodi TP: “non c’è gerarchia, ma il CUP è da preferire se applicabile”; AE errata nell’usare TNMM senza escludere CUP (contenuti riportati da Eutekne, 21/1/2025).
  • Cass. Sez. Trib. ord. n. 18714/2025“Transfer pricing carattere neutrale, supera prospettiva antielusiva, funzione corretta allocazione reddito tra imprese correlate”; conferma onere su contribuente di provare valori di mercato ex art. 2697 c.c.; inutilizzabilità documenti non esibiti in fase precontenziosa ex art. 32 DPR 600 (caso branch belga – storno ricavi non giustificato).
  • Cass. Sez. Trib. sent. n. 7361/2024 – Transfer pricing applicabile a finanziamenti infruttiferi infragruppo internazionali: necessità di imputare interessi a prezzo normale di mercato (tasso medio praticato) senza alterare validità civile del contratto; differenza con norme su infruttiferi domestici (art. 89) non viola libertà UE; onere su contribuente di provare eventuali giustificazioni (Corte respinge rinvio a CGUE).
  • Cass. Sez. Trib. sent. n. 26432/2024 – Rilevanza raccomandazioni OCSE: art. 9 Mod. OCSE come criterio interpretativo (pur non normativo); transfer pricing attuazione principio di libera concorrenza, non disciplina antielusiva.
  • Cass. Sez. Trib. ord. n. 26133/2024 – Sanzione di inutilizzabilità (art. 32 DPR 600): confermata per documenti non prodotti in risposta a invito durante verifica.
  • Cass. sent. n. 26698/2022 (e connesse nn. 26695-26697) – Caso Ferrari: onere della prova del TP, confermato orientamento pro-AE (spetta contribuente dimostrare prezzi normali, AE non deve provare intento elusivo).
  • Cass. sent. n. 20054/2014 – Legittima deducibilità di costi da aggiustamenti di transfer pricing (ribaltamento corrispettivi infragruppo) se riferiti a componenti esistenti ma valutati diversamente.
  • CTR Lombardia sent. n. 4120/2022 – (caso branch belga, appello vinto contribuente poi cassato da Cass. 18714/25) – esempio di giudice merito che ha accolto motivi contribuente su mancanza prova AE; non fonte ufficiale, citata in ricostruzioni Cass..
  • Corte Giustizia Tributaria II grado Lombardia sent. n. 1828/21/2024Aggiustamenti compensativi di fine anno deducibili, se simmetrici e conformi best practice (OCSE 2012, JTPF 2014); condizioni: simmetria, ragionevolezza, coerenza temporale, effettuati prima del bilancio.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 15/E del 26/11/2021 – Chiarimenti su oneri documentali TP dopo Provv. 2020 (non disponibile in dettaglio sopra).
  • Materiale OCSE/UE: OECD Transfer Pricing Guidelines, ed. 2017 (richiamate dal DM 2018 e da varie Cass.); OECD imputations of year-end adjustments (2012); EU JTPF Report 2014 su compensating adjustments (condizioni).
  • Normativa UE: Dir. 2017/1852/UE – Meccanismo risoluzione controversie doppia imposizione (recepita in Italia con D.Lgs. 49/2020); Convenzione Arbitrale 90/436/CEE – Eliminazione doppia imposizione in caso di TP (attiva tra Stati membri, arbitrato se niente accordo).
  • Altro: Statuto L. 212/2000 art. 10 co.3 – Non sanzionabilità condotte conformi a indicazioni AE (nel TP se contribuente segue ruling o interpello); opportunità di Interpello nuovi investimenti o APA (accordi preventivi) – non trattati sopra in dettaglio ma rilevanti prospetticamente per evitare accertamenti futuri.

Avviso di accertamento su transfer pricing? Fatti Difendere da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate contesta i prezzi di trasferimento praticati tra società del tuo gruppo?
Ti imputano ricavi non congrui, utili trasferiti all’estero o valutazioni fuori mercato nelle operazioni infragruppo?

Il transfer pricing è un ambito tecnico e delicato, regolato da normative nazionali e internazionali. Se non documentato correttamente, può generare pesanti recuperi fiscali e sanzioni. Ma con una difesa mirata, puoi dimostrare la correttezza delle tue politiche di gruppo.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’avviso di accertamento e la documentazione di TP (transfer pricing) utilizzata
  • 📌 Verifica la coerenza con il principio di libera concorrenza (arm’s length principle)
  • ✍️ Redige memorie difensive fondate su analisi economiche, funzionali e comparabili
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio e nel contenzioso davanti alla Commissione Tributaria
  • 🔁 Ti assiste nella predisposizione o revisione del dossier TP e nella strategia fiscale di gruppo

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e contenzioso da transfer pricing
  • ✔️ Specializzato in difesa di gruppi societari, società italiane con controllate estere o holding
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Un accertamento sul transfer pricing può incidere gravemente sulla tua impresa, ma non è insuperabile.
Con una difesa legale e tecnica adeguata puoi dimostrare la correttezza delle operazioni e tutelare il tuo gruppo da sanzioni e doppie imposizioni.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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