Hai ricevuto un avviso di accertamento perché operi come criptominer o partecipi ad attività di staking e l’Agenzia delle Entrate ti contesta redditi non dichiarati, omessa compilazione del quadro RW o imposte evase? Ti stai chiedendo cosa può contestarti il Fisco e come difenderti da questa tipologia di accertamento?
Con il crescente utilizzo di criptovalute e blockchain, il Fisco ha intensificato i controlli su chi produce crypto (mining) o ottiene rendimenti passivi tramite staking, anche su piattaforme decentralizzate. Ma non tutti i rilievi sono fondati e ci sono margini di difesa concreti, soprattutto se agisci tempestivamente.
Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate a un miner o a chi fa staking?
– Omessa dichiarazione dei redditi derivanti da mining o staking
– Omissione del quadro RW per criptovalute detenute su wallet esteri o exchange non italiani
– Mancato pagamento dell’IVAFE, se il wallet è considerato assimilabile a un conto estero
– Redditi non dichiarati come attività d’impresa, se l’attività è svolta con continuità, mezzi propri e struttura organizzata
– Utilizzo di crypto per acquisti o conversioni non tracciate, considerate disinvestimenti fiscalmente rilevanti
Quando scatta l’accertamento?
– In caso di trasferimenti frequenti su conti bancari in euro senza giustificazione
– Se l’Agenzia acquisisce informazioni da exchange internazionali (grazie a convenzioni e controlli incrociati)
– Se presenti un profilo fiscale incoerente con i movimenti finanziari rilevati
– Se partecipi a pool di mining o piattaforme di staking con reward visibili in blockchain
Come puoi difenderti da un accertamento su mining o staking?
– Dimostra che i proventi derivano da attività occasionale e non organizzata professionalmente
– Spiega con precisione la natura tecnica delle operazioni e la modalità di acquisizione dei token
– Documenta i valori in euro al momento del “realizzo fiscale”, se c’è stato
– Verifica che l’Agenzia abbia rispettato le procedure previste per l’accertamento
– Se possibile, proponi un ravvedimento operoso integrativo per sanare le omissioni con sanzioni ridotte
– Se l’accertamento è già stato notificato, presenta memorie difensive o ricorso tributario entro i termini
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace?
– L’annullamento totale o parziale dell’avviso, se i redditi sono stati stimati in modo errato
– Il riconoscimento del regime fiscale corretto, se l’attività non è d’impresa
– La riduzione delle sanzioni e il blocco delle conseguenze esecutive
– La regolarizzazione della tua posizione fiscale, anche in ottica futura
Il settore crypto è ancora in evoluzione sul piano normativo. Per questo è importante non subire passivamente gli accertamenti, ma rispondere in modo tecnico e documentato.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità delle criptovalute e accertamenti tributari digitali ti spiega come difenderti da un avviso di accertamento per mining o staking, cosa controllare e come tutelarti fiscalmente.
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Introduzione
Negli ultimi anni il Fisco italiano ha rivolto crescente attenzione al mondo delle criptovalute – Bitcoin, Ethereum e altri crypto-asset – considerandolo un potenziale veicolo di evasione fiscale e riciclaggio. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno intensificato i controlli, notificando numerosi avvisi di accertamento a titolari di wallet e a praticanti di mining e staking di criptovalute. Questi accertamenti fiscali sono aumentati in frequenza soprattutto dopo l’entrata in vigore delle leggi di bilancio 2023 e 2024 (L.197/2022, L.197/2023), che hanno introdotto una disciplina tributaria ad hoc per le cripto-attività, e della più recente legge di bilancio 2025 (L.207/2024), che ha ulteriormente inasprito la tassazione.
Nonostante il quadro normativo dedicato, permangono zone d’ombra interpretative e margini di contestazione. Spesso le pretese fiscali si basano su presunzioni e ricostruzioni arbitrarie di reddito. Questa guida (aggiornata a luglio 2025) analizza in dettaglio la normativa italiana vigente sulle criptovalute, le possibili tipologie di accertamento da parte del Fisco, i rischi penali correlati e, soprattutto, le strategie difensive a disposizione del contribuente (privato cittadino, professionista o imprenditore). Il taglio è tecnico-giuridico ma divulgativo: saranno citate leggi, circolari e sentenze recenti (anche di Cassazione 2024-2025) per fornire una panoramica avanzata, con esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione domande/risposte, il tutto dal punto di vista del contribuente destinatario dell’accertamento.
Quadro normativo e definizioni
Le criptovalute vengono giuridicamente definite come “rappresentazioni digitali di valore” basate su tecnologie blockchain. La normativa antiriciclaggio italiana (D.Lgs. 231/2007, come modificato dal D.Lgs. 90/2017) ha introdotto già nel 2017 una definizione di valuta virtuale intesa come: «rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o autorità pubblica, utilizzata come mezzo di scambio o a fini di investimento, e trasferibile, archiviata elettronicamente». In altri termini, pur non avendo corso legale (non sono moneta avente valore legale forzoso), i crypto-asset possiedono valore economico e possono fungere da mezzo di pagamento tra privati. Questo principio è riconosciuto anche a livello comunitario: il Regolamento UE 2018/843 (V Direttiva AML) e il recente Regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets, UE 2023/1114) inquadrano le criptovalute come prodotti/attività finanziarie digitali meritevoli di regolazione.
In Italia, fino al 2022 mancava una legge tributaria specifica sulle criptovalute. L’Amministrazione finanziaria, in assenza di norme ad hoc, applicava per analogia le regole previste per le valute estere e le attività finanziarie tradizionali. Già dal 2013 l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito (Circolare 38/E/2013) che attività estere detenute fuori dal circuito bancario italiano vanno dichiarate comunque nel quadro RW – e ciò veniva esteso di fatto anche alle criptovalute detenute su exchange esteri o in wallet privati. In giurisprudenza, la Corte di Giustizia UE con la sentenza Hedqvist del 2015 (C-264/14) ha sancito che il cambio tra criptovalute e valute tradizionali costituisce prestazione di servizi esente da IVA, riconoscendo così implicitamente la natura finanziaria (come mezzo di pagamento) del Bitcoin.
Le cose sono cambiate con le ultime leggi di bilancio. La Legge 197/2022 (Bilancio 2023) e la Legge 197/2023 (Bilancio 2024) hanno inserito nel TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) una disciplina dedicata alle cripto-attività. In particolare, la L.197/2022 ha introdotto la lettera c-sexies nell’art. 67, comma 1 TUIR, qualificando formalmente le plusvalenze da criptovalute come redditi diversi di natura finanziaria, tassabili con imposta sostitutiva. Contestualmente, è stata fornita una definizione normativa di cripto-attività intesa come «rappresentazione digitale di valore o di diritti, che può essere trasferita e archiviata elettronicamente, utilizzata come strumento di investimento o scambio, diversa da moneta avente corso legale e da strumenti finanziari». Questa definizione legislativa ha colmato un vuoto, distinguendo le cripto-attività dagli strumenti finanziari tradizionali, pur assoggettandole a regole fiscali analoghe.
Va evidenziato che chiunque offra servizi relativi a valute virtuali in Italia (es. exchange, fornitori di wallet custodial, operatori di cambio) è tenuto ad iscriversi in un apposito registro tenuto dall’OAM (Organismo Agenti e Mediatori) in qualità di prestatore di servizi di valuta virtuale. Questo obbligo, introdotto dal D.Lgs. 90/2017 e attuato operativamente dal Decreto MEF 13 gennaio 2022, è un tassello del quadro regolatorio: intende assicurare tracciabilità e compliance AML (antiriciclaggio) degli operatori crypto sul territorio nazionale. Inoltre, con il recepimento della “Travel Rule” europea (Regolamento UE 2023/1113) tramite il D.Lgs. 204/2024, dal giugno 2024 gli intermediari cripto devono trasmettere alle autorità i dati identificativi del mittente e destinatario di ogni trasferimento di criptovaluta superiore a €1.000. In sintesi, oggi le criptovalute in Italia sono oggetto di attenzione normativa sia sul fronte fiscale sia su quello regolatorio (vigilanza finanziaria e antiriciclaggio).
Regime fiscale delle criptovalute
Tassazione delle plusvalenze. La Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha stabilito che ogni cessione di criptovalute che genera una plusvalenza – sia essa una vendita contro euro, uno scambio crypto-fiat, oppure l’utilizzo di crypto per acquistare beni/servizi – costituisce reddito imponibile per le persone fisiche residenti. La plusvalenza si calcola come differenza tra il valore di realizzo (corrispettivo ottenuto) e il costo di acquisto delle criptovalute cedute. Per le annualità fino al 2024 era prevista una soglia di esenzione: se le plusvalenze complessive dell’anno non superavano €2.000, non era dovuta imposta. Oltre tale franchigia, l’intero importo era tassato con imposta sostitutiva del 26%, analogamente alle rendite finanziarie da capitali. Ad esempio, se nel 2024 un contribuente acquista Bitcoin per €10.000 e li rivende a €18.000, realizza €8.000 di plusvalenza; applicando la franchigia €2.000, rimangono €6.000 imponibili tassati al 26% = €1.560 di imposta dovuta.
A partire dal periodo d’imposta 2025, la soglia di esenzione è stata abolita. Ciò significa che qualsiasi importo di plusvalenza da crypto-attività diventa tassabile (anche i primi euro di guadagno). Inoltre, dal 1º gennaio 2026 l’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze cripto salirà dal 26% al 33%, avvicinandosi all’aliquota sulle rendite finanziarie qualificate. Questa modifica è stata introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 (L.207/2024, art.1 commi 24-29) con finalità sia di gettito sia di equiparazione al regime dei capital gains su partecipazioni qualificate (anch’essi al 26% fino al 2022 e poi al 26%-28% nel 2023-24, in aumento). Fino al 2025, dunque, resta applicabile l’aliquota 26% sulle plusvalenze eccedenti €2.000; dal 2026 tutte le plusvalenze saranno tassate al 33% senza alcuna franchigia.
Esempio di tassazione (persona fisica non imprenditore): il Sig. Verdi nel 2025 vende criptovalute con plusvalenze totali di €2.500. Poiché dal 2025 non c’è più no-tax area, l’intero importo €2.500 sarà tassato al 26%, generando un’imposta di €650. Se invece le plusvalenze fossero realizzate nel 2024, solo l’eccedenza oltre €2.000 (cioè €500) sarebbe stata tassata al 26% = €130 di imposta.
Altri proventi da cripto-attività. La disciplina fiscale non riguarda solo le plusvalenze da trading, ma anche gli altri redditi che possono derivare dal possesso o impiego di criptovalute. La Circolare Agenzia Entrate 30/E/2023 ha chiarito che rientrano fra i redditi imponibili anche: i proventi derivanti dalla detenzione di crypto (ad esempio interessi o premi ottenuti tramite staking, lending o airdrop), nonché i redditi generati da attività su piattaforme DeFi. Per le persone fisiche privati, tali proventi finanziari non qualificano come redditi d’impresa o lavoro autonomo, bensì come redditi diversi di natura finanziaria, anch’essi soggetti all’imposta sostitutiva 26% (fino al 2025). In pratica, i compensi periodici ricevuti dallo staking di criptovaluta (es. interessi in crypto per aver messo a disposizione fondi in un protocollo proof-of-stake o in un liquidity pool DeFi) sono trattati alla stregua di interessi su un deposito: tassati con aliquota fissa 26% al momento della percezione, indipendentemente dal fatto che le criptovalute ricevute non siano convertite in euro. Non è prevista su questi redditi la franchigia (che si applicava alle sole plusvalenze da cessione) né l’IVAFE, trattandosi di redditi di capitale esteri (l’IVAFE – imposta sul valore delle attività finanziarie estere – non si applica alle criptovalute, sostituita dall’analoga imposta IVCA, v. oltre).
Discorso diverso va fatto per i redditi da attività abituale o d’impresa in ambito cripto. Se l’attività del contribuente è assimilabile ad un esercizio di impresa o arte/professione (ad esempio un trader professionista, o chi gestisce una mining farm strutturata, o un artista che crea e vende NFT in modo professionale), i proventi non godono del regime “privatistico” di cui sopra. In tali casi, infatti, si applicano le regole ordinarie: i guadagni in criptovalute concorrono al reddito d’impresa o di lavoro autonomo, tassati secondo le aliquote IRPEF progressive (se persona fisica con P. IVA) oppure IRES (se società). Ad esempio, un artista digitale che vende le proprie opere tramite NFT realizza un reddito da attività artistica (diritti d’autore o lavoro autonomo ex art.53 TUIR) e dovrà dichiararlo come tale, al netto dei costi eventualmente deducibili, con applicazione delle aliquote IRPEF per scaglioni. La Corte di Cassazione ha di recente confermato questo principio nel caso “NFT” del 2025: l’autore di opere digitali vendute come NFT, pagate in criptovaluta, deve dichiarare tali ricavi esattamente come farebbe per la vendita di opere d’arte tradizionali, a nulla rilevando che il corrispettivo sia stato percepito in Ether e non in euro. In quella pronuncia (Cass. pen. n.8269/2025) la Suprema Corte ha statuito che «i proventi derivanti dalla vendita di NFT e percepiti in criptovalute costituiscono reddito imponibile e come tali devono essere dichiarati al fisco, anche se non convertiti in valuta tradizionale».
Sul fronte delle attività di mining, occorre distinguere la posizione del privato dalla posizione dell’impresa. Il mining (estrazione di criptovalute attraverso la validazione di blocchi) comporta l’attribuzione al miner di nuove monete come ricompensa per il servizio reso alla rete. Secondo l’Agenzia delle Entrate, il mining non configura cessione di beni né prestazione di servizi verso un committente specifico (manca un rapporto sinallagmatico individuabile); pertanto, tale attività non è rilevante ai fini IVA. Tuttavia, ai fini delle imposte dirette, le criptovalute acquisite tramite mining hanno natura di ricavo o provento. In mancanza di una norma specifica per i privati, prevale la logica generale: per un privato non imprenditore che mini criptovalute occasionalmente, la tassazione avverrà al momento della conversione o cessione delle monete generate, trattando il ricavato come una plusvalenza con costo di acquisto pari a zero (dunque interamente imponibile). In tal caso si applicherebbe il regime delle plusvalenze di cui sopra (26% fino al 2025 con franchigia, poi 33%). Se invece l’attività di mining è svolta in forma professionale/imprenditoriale – ad esempio da una società o da una ditta individuale organizzata – i coin generati sono considerati ricavi di esercizio: concorrono immediatamente a formare il reddito d’impresa (valutati al valore normale al momento della “estrazione”), con possibilità di dedurre i relativi costi (es. hardware, energia elettrica) secondo le regole ordinarie. Un documento di prassi recente (Risp. Interpello AdE n.515/2022) ha confermato che una società di mining contabilizza le criptovalute ottenute come ricavi per prestazioni di servizi, rilevanti ai fini IRES e IRAP, sebbene l’attività non sia soggetta a IVA per le ragioni sopra dette. In sintesi: il miner professionale paga le imposte sui redditi come qualsiasi azienda (aliquota IRES 24% + eventuale IRAP), mentre il miner privato sarà tassato solo al momento in cui monetizza le criptovalute ottenute.
Monitoraggio patrimoniale e imposta sul possesso. Oltre alla tassazione dei redditi, dal 2022-2023 è stato introdotto anche in Italia un prelievo patrimoniale sulle criptovalute detenute. Si tratta dell’IVCA – Imposta sul valore delle cripto-attività – modellata sull’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie estere). In particolare, per i contribuenti persone fisiche è previsto il pagamento di un’imposta pari al 0,2% annuo (2 per mille) del valore di mercato delle criptovalute possedute al 31 dicembre di ogni anno. Il valore da assumere è il controvalore in euro alla fine dell’anno (desumibile ad esempio dalle quotazioni su exchange affidabili); se la criptovaluta non ha un mercato attivo con prezzo ufficiale, si può utilizzare il costo di acquisto. L’IVCA si applica solo alle cripto detenute all’estero o su wallet personali fuori dal circuito degli intermediari italiani. Infatti, analogamente ai conti correnti esteri, queste attività vanno indicate nel Quadro RW della dichiarazione annuale (si veda oltre), e su di esse si calcola l’imposta patrimoniale. Se invece le criptovalute sono affidate a un intermediario finanziario residente (es. banca, SIM) aderente al regime del risparmio amministrato, sarà l’intermediario stesso ad applicare l’imposta patrimoniale (oltre che a trattenere il 26% sulle plusvalenze realizzate) e a svolgere il monitoraggio per conto del cliente. Per gli anni 2022-2024 l’aliquota IVCA è stata stabilita allo 0,2%; allo stato attuale, dal 2025 non risultano variazioni (la L.207/2024 non ha modificato tale tributo).
Da ultimo, va ricordato che le operazioni in criptovalute sono esenti IVA. La compravendita di valute virtuali, infatti, è equiparata dal punto di vista IVA al cambio di valute tradizionali. Come anticipato, la Corte UE (causa C-264/14) e l’Agenzia Entrate (Risoluzione 72/E/2016) hanno chiarito che il Bitcoin e simili, pur non essendo moneta legale, sono utilizzati come mezzo di pagamento volontario e pertanto le relative transazioni non scontano l’IVA. Ciò ovviamente non esenta il contribuente dal dichiarare eventuali plusvalenze o corrispettivi percepiti in criptomoneta a fini delle imposte dirette (redditi). Inoltre, le prestazioni di servizi eventualmente rese in crypto (es. consulenze pagate in Bitcoin) andranno comunque fatturate ai fini IVA in euro, perché in tal caso l’oggetto è il servizio professionale, non la transazione di valuta.
Obblighi dichiarativi e adempimenti
Quadro RW – Monitoraggio fiscale. I contribuenti fiscalmente residenti in Italia devono dichiarare annualmente il possesso di investimenti e attività finanziarie detenute all’estero, compilando il Quadro RW della dichiarazione dei redditi (Modello Redditi PF o quadro W del Mod.730) ai sensi del D.L. 167/1990. Dal 2018 in poi, l’Agenzia delle Entrate ha espresso il convincimento che anche le criptovalute vadano indicate nel quadro RW, in quanto assimilabili a valute estere detenute all’estero. Questo obbligo si applica se le criptovalute sono conservate al di fuori del circuito degli intermediari italiani: ad esempio, crypto su exchange internazionali (Binance, Coinbase, Kraken ecc.), su wallet self-hosted (Metamask, hardware wallet) o conti presso emittenti di carte crypto estere. In tali casi bisogna indicare: il valore delle cripto possedute al 31/12 (in euro), il codice identificativo dell’attività (“14” per criptovalute), lo Stato estero di detenzione (o “WW” se decentralizzate) e la percentuale di possesso. La compilazione del quadro RW è necessaria sia a fini del monitoraggio (non comporta imposta di per sé, salvo l’IVCA) sia per calcolare l’imposta patrimoniale del 2 per mille (rigo RW6/7).
La mancata compilazione del quadro RW è soggetta a sanzioni amministrative piuttosto salate: la sanzione base va dal 3% al 15% degli importi non dichiarati (valore delle attività estere), raddoppiata dal 6% al 30% se gli asset erano detenuti in Paesi black-list non collaborativi. Ad esempio, omettere di dichiarare criptovalute per €50.000 comporta una multa da €1.500 a €7.500 (se exchange in UE) o da €3.000 a €15.000 (se in paradisi fiscali). Vale la pena notare che queste sanzioni possono essere ridotte tramite ravvedimento operoso se il contribuente si autodenuncia prima di contestazioni (riduzione a 1/8 del minimo, ecc.). Inoltre, la Legge 197/2022 ha previsto per i crypto-holder una sanatoria speciale: era possibile regolarizzare entro il 30 novembre 2023 le criptovalute detenute fino al 31/12/2021, versando una sanzione ridotta dello 0,5% per ciascun anno sul valore non dichiarato (in luogo del 3-15%). Questo “scudo” (definito emersione cripto-attività) è stato pensato per incentivare i detentori di vecchia data a mettersi in regola ed evitare sanzioni maggiori.
Dichiarazione dei redditi – Redditi da crypto. Oltre al quadro RW, nella dichiarazione occorre riportare i redditi realizzati con le cripto-attività. Per le persone fisiche non imprenditori, i redditi diversi di natura finanziaria (plusvalenze e altri proventi da crypto) vanno indicati nel quadro RT (sez. II) del Modello Redditi PF, oppure nel quadro Capitali del 730, analogamente a capital gain su titoli esteri. Qui si calcola l’imposta sostitutiva dovuta (26% o 33% a seconda dell’anno) e si può indicare l’eventuale credito d’imposta per imposte estere già pagate su quelle plusvalenze. I soggetti che si avvalgono di intermediari italiani possono invece optare per il regime del risparmio amministrato o gestito, delegando la banca/intermediario al calcolo e al versamento dell’imposta dovuta: tuttavia ad oggi pochissimi intermediari italiani offrono servizi su crypto, quindi la maggior parte dei contribuenti gestisce da sé il calcolo in dichiarazione. È importante conservare tutta la documentazione (movimenti exchange, cronologia wallet) per poter determinare con esattezza il costo fiscale e la plusvalenza relativa ad ogni vendita.
Un altro obbligo dichiarativo riguarda le attività di impresa: se un soggetto esercita impresa o professione, e detiene criptovalute in tale ambito, dovrà riportarle nelle scritture contabili e bilanci. Le crypto possedute da società possono essere classificate come rimanenze (se oggetto dell’attività, es. trading stock) oppure come immobilizzazioni finanziarie o strumenti circolanti (a seconda della destinazione). Ad esempio, una società che mina e tiene a bilancio Bitcoin li iscriverà tra le rimanenze di magazzino (o lavori in corso su ordinazione) al costo di produzione; una società che invece accetta pagamenti in crypto li registrerà come crediti verso clienti denominati in valuta estera. In ogni caso, in dichiarazione dei redditi società (Modello Redditi SC) i ricavi e gli utili/perdite su crypto confluiscono nel reddito d’impresa tassato IRES, e se si tratta di società finanziarie possono contribuire alla base imponibile IRAP.
Comunicazioni degli operatori e controlli incrociati. Un aspetto cruciale è che l’Agenzia delle Entrate può venire a conoscenza delle posizioni in criptovalute dei contribuenti attraverso varie fonti informative. Come accennato, gli exchange e operatori crypto sono tenuti a registrarsi e comunicare la propria operatività al Fisco: il Decreto MEF 13/1/2022 prevede l’obbligo di segnalazione annuale all’Agenzia delle Entrate per i prestatori di servizi relativi a cripto-attività operanti in Italia. Inoltre, ai sensi dell’art. 41 D.Lgs. 231/2007, tali soggetti devono inviare alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria) le segnalazioni di operazioni sospette (SOS) legate a criptovalute. Queste segnalazioni confluiscono in report che la UIF e la Guardia di Finanza utilizzano per attivare controlli finanziari. Anche in ambito internazionale, con l’implementazione degli scambi di informazioni automatici (CRS, DAC7 e prossimamente il DAC8 specifico per cripto), le autorità estere comunicheranno all’Italia i dati dei conti e wallet detenuti da residenti su piattaforme straniere. Pertanto, chi pensasse di evitare il fisco semplicemente spostando cripto su exchange esteri deve sapere che esiste ormai una rete di cooperazione tra Paesi che rende sempre meno opaca la detenzione di valute virtuali all’estero.
Tipi di accertamento e controlli fiscali
L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza dispongono di vari strumenti per accertare redditi non dichiarati e individuare possibili evasori nel campo delle criptovalute. Un avviso di accertamento in materia di crypto può scaturire principalmente da tre tipi di approccio istruttorio:
- Accertamento analitico (ex art.37-bis D.P.R. 600/1973): l’Ufficio confronta i dati dichiarati dal contribuente con quelli contabili e finanziari disponibili. Ad esempio, se un soggetto ha compilato il quadro RW indicando consistenti valori in criptovalute, oppure se emergono movimenti bancari legati a acquisto/vendita di crypto (es. bonifici verso exchange), il Fisco può chiedere conto delle relative operazioni. In caso di mancata indicazione delle plusvalenze realizzate, l’Agenzia procede a rettificare il reddito imponibile, aggiungendo i capital gain non dichiarati. Starà poi al contribuente provare che tali operazioni erano esenti (ad es. sotto soglia) o già tassate. Analogamente, se dalle risposte a questionari o indagini finanziarie emergono vendite di criptovalute, queste saranno imputate a reddito salvo prova contraria. L’accertamento analitico, dunque, punta a recuperare plusvalenze omesse basandosi su evidenze puntuali (dati RW, estratti conto, documenti).
- Accertamento sintetico/induttivo (redditometro): per le persone fisiche prive di scritture contabili, il Fisco può ricorrere al redditometro o meglio all’accertamento sintetico del reddito complessivo (art.38 D.P.R. 600/1973). Questo strumento ricostruisce il reddito in base alle spese sostenute dal contribuente, presumendo che a elevati consumi corrispondano redditi evasi. Nel contesto crypto, l’acquisto di beni di lusso pagati in criptovaluta o altre spese inconsuete (auto, immobili, viaggi costosi) non giustificate dai redditi dichiarati può far scattare un accertamento sintetico. Ad esempio, se Tizio nel 2024 ha comprato un’auto di lusso pagandola 5 BTC, ma dichiara un reddito modesto, l’Agenzia potrà contestare che quei BTC derivassero da guadagni in nero (trading crypto non dichiarato) e determinare sinteticamente maggior reddito. Dal 2020 il redditometro classico è sospeso, ma la GdF dispone comunque di strumenti induttivi e di indicatori di capacità contributiva. Le operazioni in criptovalute – essendo equiparate a disponibilità finanziarie – possono costituire indizio di ricchezza: chi converte crypto in euro per grosse somme, o spende crypto in beni reali, evidenzia una capacità di spesa che, se ingiustificata, alimenta la presunzione di redditi occultati.
- Indagini finanziarie e bancarie: la Guardia di Finanza può svolgere approfondite indagini sui conti bancari (art.32 D.P.R. 600/1973 e D.L. 167/90) per rintracciare flussi legati a criptovalute. Ad esempio, se un contribuente riceve bonifici da un exchange estero sul proprio conto, o dispone bonifici in uscita verso piattaforme crypto, questi movimenti vengono tracciati. Attraverso lo scambio internazionale di informazioni (Common Reporting Standard) le autorità italiane possono ottenere dati su conti esteri e movimenti finanziari riferibili a residenti. Inoltre, l’UIF trasmette al Nucleo Speciale Polizia Valutaria segnalazioni sospette che spesso includono riferimenti a transazioni in crypto (es. prelievi in contanti seguiti da acquisti di Bitcoin, o vendite di crypto seguite da accrediti su conti esteri). Un accertamento tipico scaturisce da movimenti bancari non giustificati: se su un conto compaiono accrediti di provenienza ignota (es. vendite di crypto su exchange esteri), la legge presume che siano redditi evasi, salvo prova contraria (art.32 D.P.R. 600/73). Il contribuente dovrà quindi dimostrare la natura non reddituale (es. movimenti patrimoniali) o esente di quei flussi, altrimenti verranno tassati.
- Verifiche e accessi ispettivi: in alcuni casi, specie quando il contribuente è un operatore economico (es. società fintech o miner professionale), la GdF può effettuare accessi, ispezioni e verifiche in loco. Ad esempio, potrebbe ispezionare la sede di una società che offre servizi in criptovalute per controllare i registri e il rispetto degli obblighi OAM/AML. Se emergono irregolarità, oltre a contestare sanzioni amministrative o penali, l’Amministrazione potrebbe ricostruire i redditi d’impresa non dichiarati (es. commissioni su trading non fatturate). Queste operazioni restano comunque meno frequenti per i privati; sono invece un rischio concreto per chi gestisce ATM Bitcoin, cambiavalute crypto o attività simil-bancarie senza autorizzazione.
In generale, l’innesco dei controlli fiscali in ambito crypto avviene spesso da segnalazioni e incrocio dati. Nel 2024 l’UIF ha riportato un forte aumento delle segnalazioni di operazioni sospette legate a criptovalute: 6.255 segnalazioni (+25% rispetto al 2023). Tali report provengono sia da intermediari tradizionali (banche, 49% dei casi) sia – in misura crescente – da operatori crypto stessi (VASP esteri, ~51%). Particolare attenzione è posta all’uso di stablecoin (es. USDT, USDC) impiegate spesso per trasferire rapidamente valori elevati in forma pseudo-anonima. Un esempio ricorrente: acquisti ripetuti di stablecoin con fondi di origine sospetta (magari denaro contante o bonifici da società cartiere), seguiti dal trasferimento dei token su wallet privati non tracciabili. Questo pattern può segnalare tentativi di riciclaggio, attivando sia verifiche antiriciclaggio che accertamenti fiscali sul beneficiario finale delle somme. Anche il Movimento di capitali verso l’estero tramite crypto (es. convertire euro in Bitcoin e inviarli a un exchange estero) può far scattare controlli, poiché viene visto come una forma di esportazione di capitali non dichiarati.
Profili antiriciclaggio e ruolo dell’UIF
Parallelamente agli aspetti fiscali, il detentore di criptovalute deve essere consapevole anche del quadro antiriciclaggio (AML), poiché i due ambiti sono spesso intrecciati nei controlli. La normativa antiriciclaggio italiana (D.Lgs. 231/2007 e successive modifiche) ha incluso sin dal 2017 i servizi relativi alle valute virtuali tra quelli soggetti ad obblighi di prevenzione del riciclaggio. In pratica, i provider crypto (exchange, wallet provider, cambiavalute) hanno gli stessi doveri delle banche quanto a identificazione clientela e segnalazione di operazioni sospette. I principali obblighi AML in ambito crypto sono:
- Adeguata verifica della clientela (KYC): al momento dell’instaurazione del rapporto e per transazioni sopra determinate soglie, l’operatore deve identificare l’utente, verificarne l’identità, raccogliere info su scopo e natura dell’operatività ed eventualmente valutare il profilo di rischio. Con l’entrata in vigore nel 2024 della Travel Rule UE, è ora obbligatorio raccogliere e trasmettere alle controparti anche i dati del beneficiario per trasferimenti oltre €1.000 in criptovaluta. Il D.Lgs. 204/2024 impone ai VASP di accompagnare ogni trasferimento sopra soglia con informazioni sul mittente e destinatario, similmente a quanto avviene per i bonifici bancari.
- Registrazione OAM: come già detto, chi svolge professionalmente attività legate a valute virtuali deve iscriversi al registro dell’Organismo Agenti e Mediatori. L’iscrizione (in vigore da maggio 2022) comporta anche obblighi di comunicazione periodica al Ministero Economia & Finanze sulle operazioni complessive effettuate. Operare senza registrazione configura esercizio abusivo della professione finanziaria, sanzionato amministrativamente e in taluni casi penalmente.
- Segnalazione di Operazioni Sospette (SOS): tutti gli intermediari finanziari, incluse le aziende crypto, devono inviare una segnalazione alla UIF ogniqualvolta sospettino che una o più transazioni possano essere legate a riciclaggio di denaro o finanziamento del terrorismo. Nel caso delle criptovalute, alcune red flag tipiche sono: ingenti acquisti di crypto seguiti da immediati trasferimenti esterni; movimentazioni spezzettate (smurfing) verso molti wallet; uso di mixer o coin tumblers; conversione rapida di crypto in cash tramite ATM o soggetti non vigilati; frequenti scambi tra crypto e conti esteri corporate senza giustificazione. Nel Rapporto UIF 2024 è evidenziato come le stablecoin stiano diventando un veicolo preferenziale: essendo legate 1:1 a valute fiat (es. dollaro) e facilmente trasferibili, vengono spesso usate per spostare ricchezza illecita velocemente, prima di riconvertirle in contanti o altri asset.
- Conservazione e tracciabilità: gli operatori devono tenere traccia delle transazioni e conservare i dati identificativi e documenti per almeno 5 anni. Devono inoltre adottare procedure per monitorare in maniera continuativa i rapporti con i clienti e segnalare eventuali anomalie emergenti nel corso del rapporto.
Per l’utente privato di criptovalute, il mancato rispetto di tali obblighi non ricade direttamente (a meno che egli stesso offra servizi crypto senza autorizzazione). Tuttavia, è bene considerare che effettuare operazioni tramite canali non conformi (es. exchange non registrati, broker improvvisati) aumenta il rischio di attirare l’attenzione degli organi di vigilanza. Ad esempio, se un contribuente acquista Bitcoin da un soggetto non autorizzato, o scambia crypto in contanti mediante canali informali, tali fatti possono emergere in indagini ed essere segnalati come possibili condotte di riciclaggio. Anche detenere fondi su piattaforme non compliance potrebbe comportare problemi: un operatore estero che non effettua adeguata verifica e viene coinvolto in inchieste, potrebbe rendere più complessa la posizione dei suoi utenti durante accertamenti incrociati.
Le violazioni degli obblighi antiriciclaggio sono punite severamente. Ad esempio, l’omessa segnalazione di un’operazione sospetta da parte di un intermediario può comportare una sanzione amministrativa da €3.000 a €50.000 (art. 58 D.Lgs. 231/2007). Ancora più rilevante, la nuova fattispecie di omessa adeguata verifica introdotta nel 2022 (art. 55, co.2, D.Lgs. 231/2007) prevede sanzioni fino al 40% dell’importo dell’operazione non adeguatamente verificata in caso di grave negligenza. Se poi l’omissione di adeguata verifica o di registrazione agevola od ostacola l’identificazione di proventi illeciti, può scattare anche il reato di impeded reporting punito con la reclusione (art. 55-ter D.Lgs. 231/2007).
Infine, va segnalata l’evoluzione normativa MiCA: con il D.Lgs. 129/2024 l’Italia ha introdotto nuove figure di reato per sanzionare l’abusivismo nel settore crypto. In particolare, l’art. 30 D.Lgs.129/2024 punisce con la reclusione fino a 4 anni chiunque offra al pubblico servizi o prodotti in cripto-attività senza le autorizzazioni previste dal Regolamento MiCA. Ad esempio, l’emissione di stablecoin (token agganciati a valute fiat) senza la licenza di istituto di moneta elettronica costituirà reato. La Banca d’Italia ha già richiamato tale disciplina con una circolare del gennaio 2025, avvertendo che offrire stablecoin al pubblico senza autorizzazione è illecito. Si tratta di norme nuove che mostrano l’attenzione del legislatore al fenomeno crypto non solo per fini fiscali ma anche di tutela del risparmio e ordine finanziario.
Implicazioni penali e fiscali
Dal punto di vista del contribuente (debitore), ricevere un avviso di accertamento sulle criptovalute può comportare, oltre al recupero di imposte e sanzioni amministrative, anche potenziali conseguenze penali. In Italia infatti la normativa punisce come reati tributari le condotte di occultamento di redditi al fisco sopra determinati limiti (D.Lgs. 74/2000). Vediamo i principali profili:
- Reati tributari (dichiarazione infedele/omessa): L’omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi di proventi significativi derivanti da criptovalute può integrare il reato di dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000) se l’imposta evasa supera €100.000 e l’ammontare non dichiarato eccede il 10% del reddito o €2 milioni, oppure il reato di omessa dichiarazione (art.5) se non si presenta proprio la dichiarazione ed evaso > €50.000 di imposte. La Cassazione ha recentemente ribadito che «i proventi in criptovalute costituiscono reddito imponibile ai sensi del TUIR» e la loro omissione, se rilevante, integra i reati suddetti. Nel caso celebre del 2025 citato prima, l’artista digitale che aveva incassato 836.000 € in Ether dalla vendita di NFT senza dichiararli è stato riconosciuto colpevole di dichiarazione infedele aggravata, poiché l’imposta evasa eccedeva la soglia penale. In quel procedimento (Cass.8269/2025), l’imputato sosteneva che gli NFT venduti non fossero tassabili come opere d’ingegno e che gli Ether non fossero “denaro”; la Suprema Corte ha invece affermato che l’NFT è solo il mezzo di trasferimento dell’opera digitale e che le criptovalute, pur virtuali, hanno valore economico e costituiscono reddito imponibile una volta convertite in valuta corrente o comunque valutabili in euro. Dunque, chi non dichiara cospicui guadagni in crypto rischia incriminazioni al pari di chi occulta redditi in nero tradizionali.
- Riciclaggio e autoriciclaggio: L’uso di criptovalute per occultare o “ripulire” denaro di provenienza illecita può configurare i reati di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) o autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.). Ad esempio, se un soggetto converte proventi da attività criminose (truffe, evasione, droga, ecc.) in Bitcoin o altre crypto, e poi li riconverte magari all’estero tentando di dissimularne l’origine, commette autoriciclaggio. La Cassazione penale ha già affrontato casi del genere: con sentenza n.27023/2022 ha confermato la condanna per autoriciclaggio di un soggetto che aveva acquistato Bitcoin con soldi frutto di truffe, trasferendoli in wallet anonimi. La Corte ha riconosciuto che tale condotta integra l’art.648-ter1 c.p., in quanto idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro illecito. Pertanto, se durante un accertamento fiscale emergono movimenti in crypto correlati a reati presupposto (es. frodi fiscali, appropriazioni indebite), il contribuente potrà subire – oltre alle sanzioni tributarie – un procedimento penale per riciclaggio/autoriciclaggio. Anche il semplice detenere grosse somme in crypto su conti esteri non dichiarati, se provenienti da reati fiscali, può portare a sequestri preventivi per equivalente in funzione di confisca.
- Abusivismo finanziario: Un altro profilo penale tocca chi offre al pubblico servizi finanziari in criptovalute senza le prescritte autorizzazioni. L’art.166 TUF (Testo Unico Finanza) punisce con la reclusione chi svolge intermediazione finanziaria abusiva. La Cassazione ha stabilito che la moneta virtuale, se proposta come forma di investimento o con gestione per conto terzi, è equiparabile a un prodotto finanziario. Ad esempio, chi raccoglie denaro da investire in crypto promettendo rendimenti, senza essere intermediario autorizzato, commette reato di abusivismo finanziario. In una pronuncia del 2022 (Cass. pen. 44378/2022) è stato confermato il sequestro preventivo nei confronti di soggetti che operavano un “exchange” abusivo, evidenziando che il pubblico affidamento di denaro con restituzione in crypto rientra nelle attività riservate a intermediari ex art.166 TUF. Dunque, attenzione a cloud mining con pacchetti di investimento, schemi “staking garantito” e simili: se l’Agenzia scopre iniziative di questo tipo, può segnalarle alla Procura per valutare l’abusivismo.
- Sequestri e confische di criptovalute: Nell’ambito di procedimenti penali economici può sorgere il tema del sequestro/confisca delle criptovalute detenute dall’indagato. La giurisprudenza si è interrogata sulla possibilità di sequestrare per equivalente somme in crypto. La Cassazione ha chiarito (sent.26807/2020) che i bitcoin e simili, non avendo natura di valuta legale e avendo volatilità elevata, non possono essere equiparati al denaro ai fini del sequestro per equivalente. Ciò significa che, in caso di reati tributari, non si può semplicemente “congelare” un certo controvalore in crypto sul presupposto che rappresenti profitto del reato, perché il valore può mutare rapidamente. Tuttavia, la stessa Cassazione specifica che nulla impedisce, a conclusione del giudizio, di confiscare il controvalore in euro ricavato dalla liquidazione delle criptovalute, in quanto provento del reato. In pratica, le crypto possono essere oggetto di sequestro diretto (se considerate corpo o profitto immediato del reato) ma con prudenza sul valore; se convertite, il denaro risultante può essere sequestrato per equivalente. La GdF dispone ormai di strumenti per sequestrare wallet (ad es. hardware wallet o chiavi presso exchange) in fase di indagine, per poi eventualmente liquidare le posizioni. Per il debitore che subisce un accertamento fiscale con risvolti penali, è fondamentale sapere che i propri asset digitali potrebbero essere congelati: rivolgersi tempestivamente a legali esperti diviene cruciale anche per gestire questa evenienza (ad esempio chiedendo il dissequestro se sproporzionato o la conversione delle crypto sequestrate in valuta per evitare oscillazioni penalizzanti).
Difendere il contribuente: strategie e impugnazioni
Di fronte a un avviso di accertamento fiscale sulle criptovalute, il contribuente (soggetto debitore) ha diverse leve difensive da poter attivare, sia in fase pre-contenziosa sia nel successivo contenzioso tributario. Ecco le strategie principali per contestare o attenuare le pretese del Fisco:
- Documentazione completa e tracciabilità: la prima linea di difesa è fornire all’Agenzia delle Entrate una rendicontazione chiara di tutte le operazioni in criptovalute effettuate. È essenziale presentare estratti conto dettagliati degli exchange utilizzati, la cronologia delle transazioni di acquisto e vendita (anche esportando i file CSV o PDF dalle piattaforme), eventuali screenshot dei wallet che attestino i trasferimenti, nonché le prove di acquisto originario delle criptovalute (ricevute di bonifici, copia dei trasferimenti da conto corrente, fatture se l’acquisto è avvenuto OTC, ecc.). Spesso l’Agenzia ricostruisce le plusvalenze in modo induttivo, presumendo ad esempio che tutte le uscite dal wallet siano realizzi imponibili: il contribuente può confutare ciò tracciando i coin dall’entrata all’uscita. Ad esempio, dimostrando che certi Bitcoin venduti erano stati acquistati a un prezzo alto, e quindi la plusvalenza contestata è errata perché non considera il costo. Tenere un prospetto (anche in Excel) con l’elenco di tutte le operazioni crypto per anno, indicando date, importi in valuta e relative conversioni in euro, è uno strumento difensivo prezioso da esibire in sede di contraddittorio.
- Verifica di soglie ed errori di calcolo: in molti casi l’accertamento può contenere inesattezze – ad esempio non viene applicata la franchigia dei 2.000 € sulle plusvalenze, oppure si sommano tra loro operazioni che andrebbero compensate con minusvalenze pregresse. Il contribuente attento potrà evidenziare questi errori. Ad esempio, se nel 2022 aveva realizzato una perdita su crypto di €5.000, poteva riportarla a nuovo e compensarla con utili 2023-2024; se l’Agenzia ignora ciò, va fatto presente. Oppure, se il Fisco considera tassabile una permuta crypto-crypto avvenuta prima del 2023, si può eccepire che in base alla norma vigente all’epoca la permuta non era evento tassativo. Ancora, le plusvalenze sotto soglia non andavano dichiarate: una FAQ dell’Agenzia (Risp. n.73/E/2025) ha chiarito che chi avesse erroneamente versato imposta su plusvalenze < €2.000 può chiedere rimborso, il che conferma che tali importi non erano imponibili. Sottolineare riferimenti normativi e di prassi a supporto (circolari, risposte a interpello) rafforza la difesa.
- Contestazione delle presunzioni (accertamento induttivo): quando l’accertamento si basa su presunzioni – ad esempio il redditometro, o movimenti bancari non giustificati – il contribuente deve fornire prova contraria per vincerle. Una strategia è dimostrare che le spese o investimenti contestati sono stati finanziati con redditi legittimi già tassati o somme esenti. Ad esempio: l’acquisto di crypto potrebbe essere avvenuto con denaro proveniente da un’eredità (non tassabile) o da risparmi accumulati negli anni. Oppure se uno preleva 10.000 € dal conto e li converte in Bitcoin, e poi rivende i BTC incassando 15.000 €, il Fisco potrebbe presumere 15.000 di reddito; ma presentando documentazione, si può evidenziare che il costo d’acquisto (10.000) derivava da redditi già tassati, per cui la plusvalenza vera è solo 5.000. Allo stesso modo, se viene contestato un tenore di vita alto, si può mostrare che alcune spese sono state sostenute da terzi (es. familiari) o con finanziamenti/regali. Caso particolare: se le criptovalute sono state acquistate ma non vendute, e restano tuttora nel wallet, si può argomentare che non c’è plusvalenza “realizzata” tassabile. Questo dipende dalla normativa del periodo: fino al 2022 le mere rivalutazioni latenti non erano imponibili; dal 2023 la legge parla di “altri proventi da detenzione”, ma si riferisce probabilmente a redditi tipo interessi o airdrop, non al semplice aumento di valore non monetizzato. Un recente interpello AdE ha confermato che il cambio di valuta virtuale senza conversione in fiat non genera reddito immediato, salvo disposizioni specifiche. Dunque, se il Fisco pretende di tassare sulla base del valore di fine anno di crypto non convertite, il contribuente può opporre che manca un presupposto realizzativo.
- Ravvedimento operoso e definizioni agevolate: qualora il contribuente riconosca di aver effettivamente omesso delle somme (ad es. non ha dichiarato un guadagno), può valutare l’utilizzo del ravvedimento operoso per ridurre le sanzioni. L’art.13 D.Lgs.472/1997 consente di pagare spontaneamente l’imposta dovuta, gli interessi legali e una sanzione ridotta in misura proporzionale al ritardo (esempio: ravvedimento entro 90 giorni con sanzione ridotta a 1/9 del 90% = 10%, oppure entro un anno 1/8 del 90% = 11.25%, etc.). In caso di accertamento già notificato, si può definire l’avviso tramite adesione o acquiescenza, usufruendo della riduzione delle sanzioni ad 1/3. Inoltre, come ricordato, le leggi di bilancio recenti hanno previsto una regolarizzazione straordinaria per criptovalute antecedenti al 2022 e plusvalenze 2021 non dichiarate: aderendo a quella procedura (scudo crypto), si potevano sanare le violazioni con sanzioni simboliche. Se il contribuente rientra in questi casi e non ha ancora sanato, potrebbe tentare di farlo ora (anche se i termini formali sono scaduti, potrebbe sperare in una proroga o trattare in sede di accertamento con adesione chiedendo clemenza invocando la ratio della norma agevolativa). Ricorrere a ravvedimento o definizione agevolata prima che parta un procedimento penale tributario è particolarmente consigliabile: l’adempimento spontaneo prima della formale conoscenza di indagini penali esclude la punibilità per alcuni reati tributari (art.13 D.Lgs.74/2000).
- Impugnazione in Commissione Tributaria: l’avviso di accertamento, se ritenuto infondato o errato, può sempre essere impugnato dinanzi al giudice tributario. Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (termine ordinario previsto dall’art. 21 D.Lgs. 546/1992). Nel ricorso occorre indicare tutti i motivi di contestazione, sia di merito che di legittimità: ad esempio, errori di calcolo delle imposte, violazione di legge (tassazione di fattispecie non imponibili), vizi procedurali (omessa notifica del PVC, mancata motivazione dell’atto, ecc.). È importante allegare fin da subito la documentazione probatoria a sostegno (estratti wallet, calcoli, interpelli, ecc.), ed eventualmente richiedere CTU se servono perizie informatiche (ad es. per dimostrare la ricostruzione dei movimenti su blockchain). In parallelo, prima del ricorso il contribuente può presentare istanza di autotutela all’Ufficio se l’atto presenta errori evidenti, sperando in un annullamento/rettifica senza andare in giudizio (poco frequente, ma tentare non nuoce). Durante il contenzioso, l’esecuzione dell’accertamento è di regola sospesa ex lege fino a 60 giorni dalla decisione di primo grado; oltre, si può chiedere la sospensiva al giudice se ci sono gravi e fondati motivi. Dopo la sentenza di primo grado (Commissione Tributaria Provinciale), se sfavorevole, si può proporre appello alla CTR (Commissione Regionale) entro 60 giorni. Infine, la sentenza di appello può essere impugnata in Cassazione (entro il termine lungo di 6 mesi o quello breve di 60 giorni dalla notifica, ma in materia tributaria di solito si rientra nei 6 mesi). Attenzione però ai tempi recenti: la riforma 2022-2023 del processo tributario ha introdotto il ricorso per Cassazione entro 90 giorni dalla notifica della sentenza d’appello, e la definizione del giudizio di legittimità entro 2 anni. Conviene dunque agire tempestivamente.
- Difesa penale coordinata: se dall’accertamento fiscale emergono profili penalmente rilevanti (ad esempio, imposta evasa oltre soglia), è fondamentale attivare parallelamente una difesa penale. Ciò significa incaricare anche un avvocato penalista esperto in reati tributari, che possa interloquire con la Procura qualora venga aperto un fascicolo. In certi casi si può puntare sul principio del favor rei, ad esempio invocando eventuali mutamenti normativi sopravvenuti che depenalizzino la condotta (al momento non è il caso, ma se il legislatore dovesse in futuro allentare il regime fiscale crypto, ciò potrebbe riflettersi sul dolo di evasione). Oppure si potrà evidenziare in sede penale la particolarità tecnica delle crypto (es. incertezza valutaria, difficoltà di calcolo dell’imponibile) per argomentare l’assenza di volontà fraudolenta. In ogni caso, una stretta collaborazione tra difesa tributaria e penale è essenziale: ad esempio, definire il debito tributario pagando il dovuto può attenuare la posizione penale (specie per dichiarazione infedele) fino talvolta a escludere la punibilità (pagamento integrale prima del dibattimento – art.13-bis D.Lgs.74/2000). Viceversa, eventuali errori in sede tributaria (come ammissioni scritte) potrebbero nuocere nel penale. Conclusione: affrontare un accertamento crypto richiede un approccio multidisciplinare e proattivo; la chiave è documentare ogni operazione e conoscere bene le regole del gioco per far valere i propri diritti.
Tabelle riepilogative
Di seguito si riportano due tabelle riassuntive: la prima sintetizza il regime fiscale delle cripto-attività per le persone fisiche (non imprenditori), evidenziando il trattamento fino al 2025 e le novità dal 2026; la seconda riepiloga i principali adempimenti antiriciclaggio in ambito criptovalute e relative sanzioni.
Tabella 1 – Tassazione cripto per persone fisiche (non imprenditori)
Tipologia reddito/operazione | Normativa di riferimento | Tassazione fino al 2025 | Tassazione dal 2026 |
---|---|---|---|
Plusvalenze da cessione criptovalute | Art. 67, c.1, lett. c-sexies TUIR; L.197/2022; Circ. AdE 30/E/2023 | Imposta sostitutiva 26% sulla plusvalenza annua eccedente €2.000 (franchigia esente fino a €2.000) | Imposta sostitutiva 33% sull’intera plusvalenza (franchigia abolita) |
Proventi da staking, lending, airdrop (redditi di capitale) | Art. 67, c.1, lett. c-sexies TUIR; Circ. AdE 30/E/2023 | Imposta sostitutiva 26% sui proventi finanziari percepiti (nessuna franchigia) | Imposta sostitutiva 33% sui proventi percepiti (dal 2026, uniformati alle plusvalenze) |
Redditi da NFT e attività creative (lavoro autonomo/professionale) | Art. 53 TUIR (redditi di lavoro autonomo) | Tassazione IRPEF progressiva sul reddito netto (incassi in crypto convertiti in euro – costi inerenti deducibili) | IRPEF progressiva (aliquote rimodulate dalla riforma fiscale 2025-26, inasprite sugli scaglioni alti) |
Imposta sul possesso (IVCA) – valore cripto detenute al 31/12 | Art. 19 co.18-22 D.P.R. 917/86 (introdotto da L.197/2022) | 0,2% annuo sul valore di mercato al 31/12 (2‰) | 0,2% annuo sul valore di mercato al 31/12 (invariato, salvo modifiche future) |
IVA su compravendita criptovalute | Dir. UE 2006/112/CE; Corte UE, sent. C-264/14 | Esente IVA (operazioni di cambio crypto-fiat non soggette ad imposta; cessioni crypto fuori campo IVA) | Esente IVA (confermata non imponibilità delle valute virtuali) |
Tabella 2 – Principali adempimenti antiriciclaggio per operatori crypto (CASP)
Adempimento obbligatorio | Disposizione normativa | Sanzioni e note in caso di violazione |
---|---|---|
Registrazione presso OAM (registro operatori valute virtuali) | Art. 17-18 D.Lgs. 141/2010; Art. 6 D.Lgs. 90/2017; Provvedimento OAM 2022 | Sanzioni amministrative, sospensione attività; obbligo in vigore da maggio 2022. Esercizio senza iscrizione può configurare reato di abusivismo finanziario. |
Adeguata verifica (KYC) clienti | Art. 18 D.Lgs. 231/2007; D.Lgs. 90/2017; D.Lgs. 204/2024 (Travel Rule) | Sanzioni penali in caso di omessa identificazione dolosa; sanzioni amministrative fino al 40% del valore dell’operazione per violazioni gravi. Travel Rule: obbligo invio dati per transazioni > €1.000. |
Segnalazione Operazioni Sospette (SOS) | Art. 35 e 41 D.Lgs. 231/2007 | Sanzione amministrativa €3.000 – 50.000 per omessa segnalazione sospetta. Responsabilità penale se omessa segnalazione facilita riciclaggio (art. 55-ter D.Lgs. 231/2007). |
Comunicazione periodica al Fisco (operatività in Italia) | Decreto MEF 13/01/2022 (attuativo art.17-bis D.Lgs.141/2010) | Obbligo per i VASPs di inviare all’OAM/Agenzia Entrate i dati aggregati delle operazioni effettuate in Italia. Sanzioni in caso di omissione (fino a €50.000). Collabora con GdF per controlli. |
Legenda: CASP = Crypto Asset Service Provider (prestatore servizi relativi a cripto-attività); OAM = Organismo Agenti e Mediatori; UIF = Unità di Informazione Finanziaria (Banca d’Italia).
Domande frequenti (FAQ)
- È vero che le criptovalute non essendo “moneta legale” non sono tassabili?
No. Il fatto che Bitcoin & co. non abbiano corso forzoso non significa che sfuggano al fisco. Le criptovalute sono considerate beni/incassi al pari di altre attività finanziarie: i relativi guadagni sono soggetti a tassazione in base alla loro natura (redditi diversi, di capitale o d’impresa). La Cassazione ha chiarito che pagamenti o compensi ricevuti in criptovaluta generano reddito imponibile al momento della percezione, anche se non vengono convertiti immediatamente in euro. In sostanza, le cripto non godono di uno scudo di non tassabilità: costituiscono ricchezza e come tale vanno dichiarate. - Quando può scattare un accertamento fiscale sulle mie criptovalute?
L’Agenzia delle Entrate può procedere a un accertamento in diversi casi tipici: (1) se non hai compilato il quadro RW per segnalare crypto detenute su exchange esteri o wallet privati (violazione monitoraggio); (2) se hai realizzato plusvalenze annue sopra €2.000 vendendo o scambiando crypto e non le hai indicate tra i redditi; (3) se la tua capacità di spesa risulta anomala rispetto al reddito dichiarato (es. compri casa, auto o altri beni costosi pagando in criptovaluta, senza avere entrate ufficiali adeguate); (4) se dai controlli bancari risultano bonifici sospetti da/verso piattaforme crypto estere non giustificati; (5) se la UIF segnala movimenti in crypto associati al tuo codice fiscale (es. prelievi di contante poi usato per acquistare crypto, operazioni da/nodi esteri). In sintesi, ogni volta che emergono attività in criptovalute non coerenti con la tua posizione fiscale (dichiarazione dei redditi), l’Agenzia può approfondire e inviarti questionari o direttamente un avviso di accertamento. - Quali documenti devo conservare per difendermi in caso di verifica?
È fondamentale tenere un dossier completo di tutte le tue operazioni in criptovalute. In particolare: gli estratti conto (account statement) degli exchange utilizzati, dove figurino depositi, trade, prelievi e saldo finale; le ricevute dei bonifici bancari con cui hai acquistato crypto o incassato vendite; l’eventuale report del tuo wallet privato (ad esempio l’export della transaction history da Metamask o dal tuo hardware wallet); le fatture o ricevute se hai comprato beni pagandoli in criptovaluta; gli screenshot o email di conferma per airdrop ricevuti o operazioni di staking (per attestare la quantità di crypto guadagnata). Inoltre, è utile preparare un calcolo delle plusvalenze anno per anno, dettagliare eventuali minusvalenze pregresse non sfruttate, e raccogliere documenti che dimostrino l’origine dei fondi impiegati (es. estratti conto bancari prelievo contanti poi trasformati in crypto). Più il quadro documentale è chiaro e completo, maggiori le chance di convincere il Fisco della correttezza (o almeno buona fede) del tuo operato. - Posso regolarizzare o rateizzare le somme richieste dal Fisco per crypto non dichiarate?
Sì, esistono diverse opzioni. Se hai ricevuto solo un invito al contraddittorio o una comunicazione bonaria, puoi procedere con il ravvedimento operoso entro 90 giorni, pagando spontaneamente l’imposta dovuta, gli interessi e una sanzione ridotta (che parte dallo 0,1% per ogni giorno di ritardo entro i primi 14 giorni, aumentando poi fino al 1,67% mensile) invece delle sanzioni piene. Se invece l’avviso di accertamento è già notificato, puoi aderirvi con acquiescenza (pagando entro 60 giorni con sanzioni ridotte a 1/3) o chiedere un accertamento con adesione: in tal caso, definito l’accordo, è possibile rateizzare l’importo (di solito fino a 8 rate trimestrali, o 16 rate se l’importo supera €50.000). Inoltre, per le violazioni fino al 2021 era previsto uno Scudo Crypto straordinario (Legge 197/2022) che consentiva di dichiarare volontariamente le criptovalute non dichiarate pagando un’oblazione ridotta: se rientravi in quella fattispecie ma non ne hai usufruito, valuta con il tuo consulente se ci sono spiragli per rimediare ora. Infine, se sei già in fase di contenzioso (ricorso pendente), puoi sempre richiedere all’AdE una rateazione dei tributi accertati (di solito previo pagamento di 1/3 se vuoi sospendere l’esecutività) e, in caso di accordo transattivo o conciliazione giudiziale, dilazionare il dovuto. In parallelo, nulla vieta di tentare una definizione agevolata delle liti (se prevista da normative temporanee) per chiudere la questione con sconti su sanzioni e interessi. - Quali sono i termini e le modalità per impugnare un avviso di accertamento crypto?
Dalla data di notifica dell’avviso hai 60 giorni di tempo per proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) competente. Il ricorso va depositato (telematicamente, via SIGIT) e notificato all’Agenzia (PEC o raccomandata). È importante rispettare questo termine, altrimenti l’accertamento diviene definitivo. Nel ricorso vanno indicati i motivi per cui contesti l’atto: ad es. “violazione di legge e falsa applicazione art.67 TUIR, avendo l’Ufficio tassato plusvalenze inesistenti”, oppure “erronea ricostruzione dei movimenti wallet, in quanto… (spieghi il perché)”. Puoi chiedere anche la sospensione dell’atto se l’esecuzione immediata ti causerebbe un danno grave (es. importo elevato che porterebbe a iscrizione ipotecaria). Dopo la sentenza di primo grado, se sfavorevole, hai 60 giorni per fare appello in CTR (Commissione Tributaria Regionale). La sentenza di appello, se ancora negativa, può essere impugnata in Cassazione entro i termini di legge (generalmente 90 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado, o 6 mesi se non notificata). Da notare che la riforma del processo tributario ha accelerato i tempi in Cassazione fissando l’obiettivo di chiudere il giudizio di legittimità entro 2 anni. In alternativa al ricorso giudiziale, se l’atto presenta vizi macroscopici puoi fare istanza di annullamento in autotutela all’Agenzia, ma quest’ultima non è obbligata ad accoglierla. In ogni caso è consigliabile farsi assistere da un professionista esperto in fiscalità delle criptovalute sin dal primo grado, data la complessità tecnico-contabile di queste materie. - Se possiedo criptovalute ma non le ho mai vendute, devo comunque dichiararle?
Sì, in parte. Anche se non hai realizzato plusvalenze (capital gain), sei comunque tenuto al monitoraggio fiscale delle criptovalute detenute. Quindi, devi compilare il Quadro RW indicando il valore delle tue crypto al 31 dicembre di ogni anno, se queste sono custodite all’estero o in wallet privato. Questo serve a monitorare gli asset esteri e calcolare la relativa IVCA (imposta patrimoniale dello 0,2% annuo). Invece, non dovrai dichiarare alcun reddito ai fini IRPEF finché non vendi o permuti le criptovalute in modo tale da generare una plusvalenza tassabile. La mera detenzione di crypto che aumentano di valore non è un fatto imponibile fino a quando non monetizzi il guadagno. Fanno eccezione però i proventi “da detenzione” come interessi da staking o ricompense in token: ad esempio, se hai depositato crypto in una piattaforma DeFi che ti corrisponde periodicamente delle somme (in crypto) a titolo di interesse, quei proventi vanno dichiarati ogni anno in quanto redditi di capitale percepiti. In sintesi: holdare criptovalute senza vendere non genera di per sé reddito imponibile, ma devi comunque dichiarare il possesso (RW) e tassare eventuali rendite accessorie (staking, etc.). Ovviamente, se poi deciderai di vendere in futuro, realizzerai una plusvalenza che andrà dichiarata in quell’anno.
Simulazioni pratiche (Italia)
Vediamo ora alcune casistiche pratiche e come si applicano le regole illustrate:
- Calcolo plusvalenza e imposta dovuta – trading di crypto: Il Sig. Rossi nel 2024 acquista 0,5 Bitcoin per €5.000; a fine 2024 li vende per €8.500. Inoltre detiene a fine anno altre criptovalute in un wallet estero per un controvalore di €4.000. Calcolo: la vendita ha generato una plusvalenza di €3.500 (€8.500 – €5.000). Poiché nel 2024 vige ancora la franchigia di €2.000, la parte imponibile è €1.500. Su €1.500 si applica il 26%, quindi €390 di imposta sostitutiva. In dichiarazione 2025 indicherà tale importo (quadro RT) e pagherà €390. Inoltre, essendo le crypto detenute all’estero per €4.000, dovrà versare l’IVCA: 0,2% di 4.000 = €8 come imposta patrimoniale sul valore a fine anno, da dichiarare in RW/RT. Totale esborso fiscale = €398. Nota: se il Sig. Rossi avesse venduto nel 2025 (franchigia abolita), l’intera plusvalenza di €3.500 sarebbe stata imponibile: imposta 26% = €910.
- Accertamento su omessa dichiarazione RW – ricostruzione induttiva: La Sig.ra Bianchi ha detenuto criptovalute su un exchange estero dal 2018 al 2024, senza mai dichiararle in RW e senza dichiarare eventuali redditi da esse derivanti. Nel 2025 riceve un questionario dall’Agenzia, a cui non fornisce risposte convincenti. Successivamente, le arriva un avviso di accertamento che ricostruisce in modo induttivo la sua posizione: l’Agenzia (sulla base di segnalazioni finanziarie) presume che la Sig.ra Bianchi avesse mediamente €20.000 in crypto non dichiarate e che nel 2021-2022 abbia realizzato plusvalenze non dichiarate. Le contesta quindi un imponibile di €18.000 come plusvalenza “fittizia” (supponendo, ad esempio, che il valore di fine 2021 fosse 20.000 e il costo iniziale 2.000), con imposta evasa di circa €4.680 (26%). In aggiunta, le viene irrogata la sanzione RW al 5% annuo di 20.000 = €1.000. Come può difendersi? La Sig.ra Bianchi impugna l’accertamento presentando in Commissione Tributaria gli estratti conto reali del suo wallet: da essi risulta che il costo di acquisto delle crypto era €7.000 (non €2.000) e che il valore al 31/12/2021 era €9.000 (non 20.000). Quindi la plusvalenza reale 2021 è di €2.000 (9.000–7.000), peraltro sotto soglia esente. Nel 2022 non ha fatto movimenti. Dimostrando ciò, la contribuente confuta la ricostruzione arbitraria del Fisco, facendo verosimilmente annullare l’imposta pretesa. Resta la sanzione per monitoraggio omesso, che però in caso di vittoria sulle imposte potrebbe essere ridotta al minimo. La Sig.ra Bianchi, nel frattempo, può anche avvalersi del ravvedimento operoso per sanare il quadro RW 2018-2024, pagando la sanzione minima ridotta (es. 0,6% annuo invece del 5%) ed evitando ulteriori sanzioni.
- Proventi da staking di stablecoin – tassazione e dichiarazione: Il Sig. Verdi nel 2024 deposita €10.000 in stablecoin USDC su una piattaforma di staking decentralizzata, ottenendo un rendimento annuo del 5%. A fine 2024 ha quindi maturato 500 USDC di interessi (pari a ~$500). Non ha convertito questi USDC in euro, lasciandoli reinvestiti. Trattamento fiscale: i 500 USDC costituiscono per il 2024 un reddito di capitale (interesse da impiego di capitale) e sono tassabili al 26%. Il Sig. Verdi dovrà dichiararli nel quadro RT/Capitali come “altri redditi di capitale da attività estere” per €500 (convertiti in euro al cambio del 31/12/2024, supponiamo €460 se il cambio USDC/EUR = 0,92). L’imposta sarà €119,60 (26% di 460). Non rileva che non abbia convertito in euro: il reddito si considera percepito “in natura” al momento dell’accredito dei token. Quanto al quadro RW, dovrà indicare il valore totale delle crypto detenute (10.500 USDC ~ €9.660 al 31/12) e pagherà l’IVCA sul totale (€9.660×0,2%= €19,32). Nota: in questo caso i proventi da staking non godono di alcuna soglia esente e vanno dichiarati per intero, ma essendo stablecoin, il controvalore in euro è stabile e di facile calcolo. Se si trattasse di staking di altre crypto (es. ETH) con ricompense in natura, si dovrebbe convertire il valore al momento della maturazione/percezione per determinare il reddito imponibile.
- Attività di mining in pool – caso di contribuente privato vs società: Il Sig. Neri svolge mining di Ethereum da privato, partecipando ad un pool online. Nel 2024 riceve dal pool un totale di 1 ETH come ricompensa per l’attività svolta durante l’anno. Il costo dell’elettricità e hardware sostenuto da Neri è stato di circa €1.500, ma non avendo P.IVA non può dedurlo. A fine 2024 l’ETH vale €1.800 e lui decide di venderlo immediatamente in euro. Trattamento fiscale (privato): il Sig. Neri ha generato una criptovaluta “nuova” a costo zero; vendendola a €1.800 realizza una plusvalenza imponibile di €1.800. Tuttavia, essendo nel 2024, si applica la franchigia €2.000: l’intero importo rientra nella soglia esente, quindi non deve alcuna imposta (e non è tenuto a dichiarare la plusvalenza). Dovrà però compilare RW per l’ETH posseduto (anche se per pochi giorni) indicando il valore al 31/12 se ne ha ancora. In questo caso specifico, non avendo ETH a fine anno (venduto prima), potrebbe evitare RW, ma formalmente andrebbe indicato il valore massimo detenuto nel 2024. Se invece fossero stati 2 ETH venduti a €3.600 totali, la plusvalenza €3.600 eccedeva la soglia di €1.600, tassabile al 26% => imposta €416. Caso societario: supponiamo che al posto di Neri ci sia la Mining Srl, che nel 2024 estrae 10 ETH, incassando token per valore €18.000. La società registra 18.000 come ricavi di esercizio. Se a fine anno trattiene gli ETH (non venduti), li valuta in magazzino al valore minimo tra costo e mercato (dubbio: costo di mining magari €5.000), ma comunque contabilmente ha ricavi da produzione pari al fair value. Pagherà IRES (~24%) e IRAP sul reddito di impresa al netto dei costi (energia, ammortamenti hardware) che sono deducibili. Non c’è franchigia: ogni token minato è tassabile. Inoltre, la società non applica IVA sulle ricompense da mining (attività fuori campo IVA). Questo esempio mostra la differenza: per un privato piccolo miner spesso l’attività risulta di fatto esente (se guadagni modesti sotto soglia), mentre per un’azienda di mining i profitti sono tassati ma con possibilità di scaricare i costi.
Conclusioni
In sintesi, un accertamento fiscale sulle criptovalute in Italia va affrontato con una difesa attiva e documentata. Il quadro normativo tributario – in continua evoluzione – oggi prevede la tassazione dei guadagni da cripto come redditi finanziari (o d’impresa se applicabile), l’obbligo di monitoraggio delle valute virtuali detenute all’estero e sanzioni severe per chi omette di dichiarare. D’altro canto, vi sono ancora aree grigie e principi di diritto in via di consolidamento: il contribuente informato può far valere a proprio favore le lacune normative o le interpretazioni più favorevoli emerse in dottrina e giurisprudenza.
Ricevere un avviso di accertamento non è una condanna automatica. Con la giusta assistenza legale e tributaria è possibile contestare le pretese non fondate, far correggere errori di calcolo, e in generale tutelare i propri diritti di contribuente. Anche di fronte a contestazioni complesse – plusvalenze “virtuali”, operazioni estere, questioni valutative – esistono strumenti tecnici e giuridici per ottenere ragione o almeno ridurre il danno (si pensi alle definizioni agevolate, al ravvedimento, alla compensazione di perdite, etc.). Fondamentale è agire tempestivamente: non ignorare le richieste del Fisco, ma rispondere con argomentazioni solide e dati alla mano.
Per i “crypto-investitori” il messaggio è chiaro: oggi più che mai conviene investire qualche sforzo nel tenere una contabilità personale delle proprie criptovalute, farsi consigliare su come dichiararle correttamente, ed evitare leggerezze (come credere che le crypto siano invisibili al Fisco). Se l’accertamento arriva, è consigliabile rivolgersi a professionisti esperti in fiscalità delle criptovalute, capaci di navigare tra norme tributarie, tecnicismi blockchain e recenti sentenze. Così facendo, si potranno far valere eventuali errori dell’Amministrazione, ridimensionare le sanzioni, e nel migliore dei casi vincere il contenzioso. In un settore innovativo come quello crypto, la conoscenza aggiornata è la miglior alleata: essere consapevoli dei propri obblighi fiscali e dei propri diritti difensivi è il primo passo per proteggere i propri asset digitali e neutralizzare gli effetti di un accertamento fiscale.
Fonti normative e giurisprudenziali
- Circolare Agenzia Entrate n. 30/E (27 ottobre 2023) – Trattamento fiscale delle cripto-attività: fornisce i criteri di qualificazione dei redditi da crypto e chiarimenti su plusvalenze e obblighi dichiarativi.
- Legge 29 dicembre 2022, n.197 (Bilancio 2023), commi 126-147 – Introduce nell’art.67 TUIR la lett. c-sexies sulle plusvalenze da cripto-attività e definisce l’IVCA (imposta sul valore crypto).
- Legge 29 dicembre 2023, n.197 (Bilancio 2024) – Contiene disposizioni integrative sulla fiscalità crypto (es. proroga termini regolarizzazione).
- Legge 29 dicembre 2024, n.207 (Bilancio 2025), art.1 commi 24-29 – Abolisce dal 2025 la soglia esente €2.000 e incrementa dal 2026 l’aliquota imposta sostitutiva dal 26% al 33%.
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (TUIR) – Art. 67(1)(c-sexies) (redditi diversi: include plusvalenze e proventi cripto) e art. 53 (redditi di lavoro autonomo, rilevante per NFT e attività professionali in crypto).
- D.Lgs. 21 novembre 1997, n.461 – Disciplina dei redditi di capitale e diversi di natura finanziaria (imposta sostitutiva su capital gain del 26%). Base normativa richiamata per tassazione cripto post-2023.
- D.L. 28 giugno 1990, n.167 (conv. L.227/1990) – Monitoraggio fiscale attività estere: quadro RW e sanzioni 3–15% per omessa dichiarazione di investimenti esteri (applicato alle criptovalute assimilate a valute estere).
- D.Lgs. 10 marzo 2000, n.74 – Art. 4 (dichiarazione infedele) e 5 (omessa dichiarazione) reati tributari: applicabili all’occultamento di redditi da criptovalute oltre soglie di punibilità. Art.13-bis (non punibilità per pagamento integrale debito).
- Direttiva UE 2006/112/CE (IVA) – Art.135 esenzione operazioni finanziarie; Sentenza Corte di Giustizia UE 22/10/2015, causa C-264/14 (Hedqvist): cambio Bitcoin-fiat esente IVA come operazione su valuta estera.
- D.Lgs. 21 novembre 2007, n.231 (Antiriciclaggio) – Art. 1, co.2, lett. ff) definizione di valuta virtuale; Artt. 18–41 obblighi di adeguata verifica, registrazione e segnalazione per intermediari crypto; Art. 55 sanzioni per omessa segnalazione (fino a €50.000); Art. 55-ter reato di omessa adeguata verifica grave.
- D.Lgs. 25 maggio 2017, n.90 – Recepimento IV Direttiva AML: introduce obbligo di registrazione OAM per cambiavalute virtuali e obblighi AML estesi ai servizi crypto.
- D.Lgs. 25 maggio 2017, n.92 – Recepimento V Direttiva AML: ulteriori disposizioni su valute virtuali e soglie di utilizzo contante/crypto.
- D.Lgs. 30 dicembre 2021, n.195 – Recepimento Dir. UE 2018/1673 su reati fiscali e riciclaggio: include criptovalute tra possibili proventi illeciti, aggiornando D.Lgs.231/2007.
- D.Lgs. 27 gennaio 2024, n.129 – Adeguamento al Regolamento (UE) 2023/1114 (MiCA): istituisce reato di abusivismo in servizi crypto (art.30: offerta abusiva di crypto-asset al pubblico). Modifica TUF art.166 estendendo a cripto come strumenti finanziari.
- D.Lgs. 27 maggio 2024, n.204 – Attuazione Regolamento (UE) 2023/1113 (Travel Rule): impone a prestatori crypto di trasmettere dati identificativi per trasferimenti > €1.000.
- Risoluzione Agenzia Entrate n.72/E (2 settembre 2016) – Chiarisce il trattamento IVA e redditi per società operanti in criptovalute (richiamata per esenzione IVA su compravendita bitcoin).
- Risposta a interpello AdE n. 515/2022 – Tassazione attività di mining: conferma non imponibilità IVA e inquadramento ricavi da mining per società ai fini IRES/IRAP.
- Circolare UIF (Relazione annuale 2024, pubblicata giugno 2025) – Dati su segnalazioni di operazioni sospette in criptovalute: +25% nel 2024, evidenziato uso stablecoin per riciclaggio.
- Cassazione Penale n.44378/2022 – La promozione di investimenti in criptovalute senza autorizzazione è abusivismo finanziario; criptovaluta equiparata a strumento finanziario ai fini TUF.
- Cassazione Penale n.27023/2022 – L’acquisto di Bitcoin con denaro proveniente da truffa configura autoriciclaggio (art.648-ter.1 c.p.), essendo atto idoneo a ostacolare l’identificazione dell’origine illecita.
- Cassazione Penale n.8269/2025 – L’omessa dichiarazione di proventi derivanti da vendita di NFT pagati in criptovaluta integra il reato di dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000) se supera le soglie; i ricavi in crypto sono reddito imponibile anche se non convertiti.
- Corte di Giustizia UE, causa C-264/14 (2015) – Cambio di valuta tradizionale con Bitcoin esente IVA; riconoscimento giuridico del Bitcoin quale “mezzo di pagamento” non ufficiale.
- FAQ Agenzia Entrate 2023-2025 – (Es. Risposta n.73/E/2025) Chiarimenti: plusvalenze sotto €2.000 esenti e rimborsabili imposte eventualmente versate; (Risp. n.14/E/2018) assimilazione crypto a valuta estera per RW; (Risp. n.953-2022) permuta crypto non imponibile prima del 2023.
- Relazioni illustrative e documenti MEF – Relazione tecnica L.197/2022 (stima gettito crypto), Documento consultazione MEF 2022 su tassazione cripto (anticipa principi recepiti in LdB 2023).
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Conclusione
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