Lettere Di Compliance Per Redditi E Investimenti Esteri: Come Difendersi

Hai ricevuto una lettera di compliance per redditi o investimenti esteri? L’Agenzia delle Entrate ti segnala che possiedi conti correnti, immobili, criptovalute o titoli finanziari all’estero non dichiarati nel quadro RW o nei redditi? Ti stai chiedendo come difenderti e cosa rischi se non regolarizzi?

Negli ultimi anni il Fisco ha intensificato i controlli internazionali grazie allo scambio automatico di informazioni (CRS – Common Reporting Standard). Anche chi vive in Italia ma detiene beni o redditi all’estero può ricevere lettere di compliance con invito alla regolarizzazione. Ma non sempre i dati sono corretti, e difendersi è possibile.

Quando può arrivare una lettera di compliance per estero?
– Se possiedi un conto estero non indicato nel quadro RW
– Se ricevi interessi, dividendi o redditi da fonti estere non dichiarati
– Se hai investito in criptovalute su exchange esteri e non hai riportato i dati
– Se sei titolare di immobili all’estero e non li hai dichiarati come richiesto
– Se hai fatto bonifici da o verso l’estero che risultano anomali per l’Agenzia

Cosa ti contesta l’Agenzia delle Entrate?
– L’omessa compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi
– L’omessa dichiarazione di redditi da fonte estera (interessi, canoni, plusvalenze)
– L’omessa indicazione di criptovalute estere detenute su wallet non italiani
– L’evasione dell’IVAFE (imposta su conti e attività estere) o dell’IVIE (imposta su immobili all’estero)

Cosa rischi se non regolarizzi?
– Sanzioni da 3% a 15% del valore dell’attività non dichiarata, raddoppiate se in Paesi black list
Sanzioni proporzionali sui redditi esteri non dichiarati
– Avvisi di accertamento con maggiorazione di imposta, interessi e sanzioni fino al 240%
Presunzione legale di evasione, se non riesci a dimostrare l’origine lecita dei fondi

Come difendersi da una lettera di compliance per estero?
– Verifica con precisione i dati riportati nella lettera e la fonte (es. CRS, FATCA, Anagrafe tributaria)
– Controlla le tue dichiarazioni degli anni precedenti e valuta se vi sono omissioni o errori
– Se hai dimenticato di compilare il quadro RW, puoi usare il ravvedimento operoso
– Se il reddito è stato dichiarato, ma il quadro RW omesso, puoi sanare solo la parte formale
– Se i dati dell’Agenzia sono errati (es. conto chiuso, non intestato), predisponi una memoria difensiva con documentazione
– Se la situazione è complessa, valuta un accesso alla collaborazione volontaria (voluntary disclosure)

Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
Annullamento della segnalazione, se i dati sono infondati
Ravvedimento operoso, con sanzioni ridotte fino a 1/9
Esclusione del profilo penale, se dimostri buona fede o errori formali
Regolarizzazione del quadro RW senza conseguenze e con imposta minima
Tutela del patrimonio e del tuo profilo fiscale, evitando accertamenti più gravi

Le lettere di compliance su investimenti esteri vanno affrontate con attenzione: non sono accertamenti, ma possono trasformarsi in sanzioni pesanti se ignorate o gestite male.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e contenzioso tributario ti spiega come difenderti da una lettera di compliance per estero, cosa verificare e quando sanare o opporsi.

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Introduzione

Nel quadro della lotta all’evasione fiscale internazionale, l’Agenzia delle Entrate italiana ha intensificato l’invio di lettere di compliance ai contribuenti con attività o redditi esteri. Queste comunicazioni mirano a segnalare possibili omissioni o anomalie nelle dichiarazioni dei redditi, in particolare in relazione agli investimenti detenuti all’estero e ai redditi di fonte estera non dichiarati. Il contribuente destinatario viene invitato a verificare la propria posizione fiscale e, se necessario, a regolarizzarla spontaneamente prima che scatti un formale accertamento fiscale.

Aggiornata a luglio 2025, la presente guida – rivolta a professionisti legali, imprenditori e contribuenti esperti – offre un’analisi avanzata delle lettere di compliance relative a redditi e investimenti esteri. Verranno esaminati il contesto normativo italiano, le strategie difensive e i rimedi giurisdizionali dal punto di vista del contribuente (spesso, un debitore verso l’erario). Si farà riferimento alle più recenti fonti normative, alle circolari dell’Amministrazione finanziaria e alle pronunce giurisprudenziali fino al 2025.

La guida è strutturata in sezioni tematiche, con approfondimenti tecnici spiegati in linguaggio giuridico ma accessibile. Sono incluse tabelle riepilogative per sintetizzare sanzioni e procedure, nonché una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti. In chiusura, tutte le fonti utilizzate – normative, giurisprudenziali e dottrinali – sono elencate per consentire ulteriori approfondimenti.

Cosa sono le “lettere di compliance” dell’Agenzia delle Entrate

Le lettere di compliance (dette anche inviti alla compliance o comunicazioni per l’adempimento spontaneo) sono comunicazioni inviate dall’Agenzia delle Entrate ai contribuenti quando, in base ai dati a disposizione del Fisco, emergono possibili irregolarità o omissioni nelle dichiarazioni fiscali. A differenza di un avviso di accertamento formale, la lettera di compliance non è un atto impositivo ma un invito bonario: segnala al contribuente un’anomalia rilevata (ad esempio redditi esteri non dichiarati o investimenti esteri non monitorati) e lo invita a regolarizzare spontaneamente la propria posizione.

Questa strategia rientra nelle politiche di prevenzione e collaborazione con il contribuente: l’obiettivo è permettere di correggere errori od omissioni in autonomia, evitando di arrivare a una contestazione vera e propria con sanzioni più gravi. In sostanza, la lettera offre al contribuente una sorta di “seconda chance” per mettersi in regola prima che il Fisco avvii un procedimento sanzionatorio o accertativo.

Le lettere di compliance vengono emesse a seguito di incroci di banche dati e controlli automatici. Confrontando quanto dichiarato dal contribuente con i dati disponibili – inclusi quelli provenienti dall’estero tramite accordi di cooperazione internazionale – l’Agenzia individua eventuali discrepanze. Ad esempio, se dalle informazioni estere risulta un conto bancario o un investimento non indicato in dichiarazione, scatta la segnalazione. Queste comunicazioni sono generalmente inviate per posta raccomandata all’ultimo indirizzo di residenza noto oppure tramite PEC (Posta Elettronica Certificata) quando disponibile. In allegato, il Fisco fornisce istruzioni su come accedere al proprio Cassetto fiscale, utilizzare il servizio telematico CIVIS per eventuali chiarimenti, e sulle modalità per presentare una dichiarazione integrativa di correzione.

Importanza e diffusione: le lettere di compliance sono divenute uno strumento centrale della compliance fiscale in Italia. Basti pensare che, secondo la convenzione MEF-Agenzia Entrate 2024-2026, nel 2025 verranno inviate almeno 3 milioni di lettere di compliance. Non tutte riguardano redditi esteri, ma una quota significativa è rivolta a chi potrebbe aver omesso di dichiarare attività finanziarie o capitali detenuti oltreconfine. In particolare, negli ultimi anni l’Agenzia ha pianificato campagne mirate su conti correnti esteri, investimenti finanziari offshore e redditi di capitale o diversi prodotti all’estero. Il monitoraggio si estende anche alle moderne piattaforme di investimento online e persino agli exchange di criptovalute: ad esempio, è stato annunciato che saranno attenzionati i conti trading presso broker stranieri molto diffusi (come eToro) e le posizioni in criptovalute su exchange come Binance e Coinbase. Ciò dimostra la capillarità dei controlli, resa possibile dall’accesso a informazioni finanziarie internazionali dettagliate.

Caso tipico: il contribuente italiano Tizio, residente fiscale in Italia, possiede un conto bancario in Svizzera o in un altro paese estero. Grazie allo scambio di informazioni, l’Agenzia sa che Tizio nel 2020 aveva su quel conto un saldo consistente e ha percepito interessi. Dalla dichiarazione dei redditi di Tizio per il 2020 non risulta compilato il Quadro RW (monitoraggio attività estere) né dichiarato alcun reddito di interessi esteri. Nel 2023, l’Agenzia gli invia una lettera di compliance segnalando l’“anomalia”: Tizio potrebbe aver omesso di indicare quel conto e i relativi redditi esteri. La lettera gli consiglia di verificare e, se necessario, presentare una dichiarazione integrativa per il 2020, versando le imposte dovute e applicando il ravvedimento operoso (che riduce le sanzioni). Così facendo, potrà regolarizzare la posizione evitando un accertamento formale e sanzioni piene.

In sintesi, la lettera di compliance è un campanello d’allarme: segnala al contribuente che il Fisco ha rilevato potenziali irregolarità e gli offre l’opportunità (temporaneamente) vantaggiosa di sistemare il tutto spontaneamente. Nei paragrafi seguenti vedremo nel dettaglio quali obblighi possono essere stati violati, come l’Agenzia ottiene le informazioni estere, quali sanzioni rischiano i contribuenti inadempienti e soprattutto come difendersi efficacemente, sia in via preventiva che in sede di eventuale contenzioso.

Obblighi dichiarativi su redditi e investimenti esteri: il quadro normativo italiano

Per comprendere le contestazioni contenute nelle lettere di compliance, occorre richiamare brevemente la normativa italiana sul monitoraggio fiscale delle attività estere e sulla dichiarazione dei redditi di fonte estera. In sintesi, i contribuenti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti a:

  • Dichiarare nella propria dichiarazione annuale (Modello Redditi o 730) i redditi ovunque prodotti nel mondo, inclusi quelli esteri (principio del worldwide income). Ciò deriva dall’art. 3 del TUIR (DPR 917/86), in base al quale i residenti sono tassati sui redditi globali.
  • Indicare nel Quadro RW della dichiarazione tutti gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero, indipendentemente dalla loro produzione di reddito imponibile. Questo obbligo di monitoraggio fiscale è previsto dall’art. 4 del D.L. 28 giugno 1990 n. 167 (convertito in L. 227/1990) e serve a consentire al Fisco di controllare i flussi di capitale da e verso l’estero, come manifestazione di capacità contributiva. In altre parole, anche beni e conti esteri che non generano redditi tassabili vanno dichiarati a fini di monitoraggio.

Vediamo separatamente i due profili: il monitoraggio (Quadro RW) e la tassazione dei redditi esteri, con i relativi obblighi e sanzioni in caso di omissione.

Obbligo di monitoraggio fiscale – Quadro RW

Il Quadro RW è un quadro specifico della dichiarazione dei redditi riservato all’indicazione di:

  • Investimenti patrimoniali detenuti all’estero (es. immobili, opere d’arte, partecipazioni estere, metalli preziosi detenuti all’estero, ecc.);
  • Attività finanziarie detenute all’estero (es. conti correnti e depositi bancari esteri, titoli obbligazionari o azionari emessi da soggetti esteri, partecipazioni in società estere, quote di fondi d’investimento esteri, polizze assicurative estere con contenuto finanziario, criptovalute detenute su exchange esteri, ecc.).

L’obbligo di compilazione del Quadro RW spetta alle persone fisiche residenti in Italia, nonché ad alcune entità come società semplici ed enti non commerciali residenti, che detengono direttamente o indirettamente attività estere. Rileva anche la titolarità effettiva: se il contribuente è beneficiario effettivo di attività estere tramite interposta persona (es. fiduciarie o trust esteri), sussiste comunque l’obbligo di monitoraggio in RW.

Esoneri e soglie: vi sono alcune limitate esenzioni all’obbligo RW:

  • Conti correnti esteri di modesto importo: se il valore massimo complessivo dei depositi e conti correnti bancari all’estero non supera 15.000 euro nel corso dell’anno, non vi è obbligo di indicarli in RW (deroga introdotta dalla L. 186/2014). Attenzione: questo esonero vale solo per l’obbligo di monitoraggio; resta invece dovuto – se applicabile – il pagamento dell’imposta IVAFE su quei conti (che va comunque dichiarata). Dunque, se il saldo medio o finale del conto è inferiore a 15.000 €, l’assenza di RW è consentita solo se non risulta IVAFE a debito.
  • Immobili esteri non variati: se un immobile detenuto all’estero era già stato indicato in RW l’anno precedente e non vi sono variazioni nell’anno corrente, si può omettere la ripetizione della segnalazione in RW (ai sensi dell’art. 4 co.3 D.L. 167/90). Resta però l’obbligo di dichiarare e pagare l’IVIE (imposta sul valore degli immobili esteri).
  • Attività estere affidate a intermediari finanziari italiani: se il contribuente ha investimenti esteri gestiti tramite una banca/intermediario italiano che applica già la ritenuta o imposta sostitutiva sui relativi redditi, tali attività non vanno indicate in RW. Ad esempio, se un titolo estero è depositato presso una banca italiana che opera come sostituto d’imposta sugli interessi, l’obbligo di monitoraggio viene meno (poiché il flusso è già tracciato dall’intermediario residente).
  • Lavoratori all’estero in particolari circostanze: l’art. 38 co. 13 D.L. 78/2010 (come modificato) prevede esoneri per: (a) personale diplomatico, funzionari e lavoratori pubblici italiani all’estero che, per accordi internazionali, sono considerati residenti solo ai fini fiscali esteri; (b) lavoratori transfrontalieri o in zone di frontiera residenti in Italia ma che lavorano continuativamente all’estero, limitatamente alle attività finanziarie detenute nel paese in cui lavorano. Questo esonero b) vale solo se l’attività lavorativa all’estero dura per la maggior parte dell’anno e cessa di detenere l’investimento estero entro 6 mesi dal rientro in Italia.

Tranne queste ipotesi particolari, chiunque risulti fiscalmente residente in Italia e detenga investimenti o attività finanziarie all’estero deve compilare il Quadro RW ogni anno, riportando: la consistenza dell’investimento (valore di mercato o valore nominale del conto), i trasferimenti da/per l’estero effettuati nell’anno, e le eventuali imposte patrimoniali dovute (IVIE/IVAFE). Da notare che dal periodo d’imposta 2022 in poi, nel Quadro RW va indicato anche il possesso di cripto-attività (criptovalute, NFT, ecc.) detenute sia su exchange esteri sia su wallet non affidati a intermediari italiani, ai fini del nuovo monitoraggio e della nuova imposta sulle cripto-attività introdotta dalla L. 197/2022.

Sanzioni per omesso monitoraggio (Quadro RW): La violazione dell’obbligo di indicare le attività estere in RW è sanzionata in via amministrativa ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.L. 167/1990. Le sanzioni attualmente previste sono:

  • Sanzione proporzionale dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato degli investimenti o attività finanziarie estere. Questa è la forbice edittale per attività in paesi collaborativi; in pratica l’Ufficio può irrogare una multa compresa tra il 3% e il 15% del valore dell’attività estera omessa per ogni anno non dichiarato.
  • Sanzione raddoppiata (dal 6% al 30%) se l’attività estera è detenuta in un Paese a fiscalità privilegiata (c.d. “paradiso fiscale”) che non consente un adeguato scambio di informazioni. L’elenco di tali Stati è quello del DM 4.5.1999 (lista “black list”), periodicamente aggiornato. Nota: la Svizzera è stata rimossa dalla lista dei paradisi fiscali a decorrere dal 1° gennaio 2024, a seguito degli accordi di scambio di informazioni stipulati – ciò significa che omissioni relative ad attività in Svizzera fino al 2023 subivano il raddoppio sanzionatorio, mentre per il 2024 in avanti si applica la sanzione ordinaria 3-15%.
  • Sanzione fissa di €258 in caso di dichiarazione tardiva del Quadro RW presentata entro 90 giorni dalla scadenza originaria. Questa disposizione premiale, derivante dall’art. 13 D.Lgs. 472/97, consente di sanare un lieve ritardo con il pagamento di 1/10 della sanzione minima (che era €2.580, ridotta a 258€). Se quindi il contribuente presenta il Quadro RW mancante entro 90 giorni dalla scadenza (ad esempio entro fine gennaio dell’anno successivo, visto che il termine ordinario è il 30 novembre per Redditi PF), la violazione si considera tardiva ma non omessa e si applica solo la sanzione fissa minima.

Va evidenziato che la mancata indicazione di un’attività estera in RW è considerata una violazione sostanziale, non meramente formale. La Corte di Cassazione ha chiarito di recente che tale omissione, pur non incidendo direttamente sul calcolo dell’imposta dovuta, lede gli interessi dell’Amministrazione finanziaria impedendo il controllo sui trasferimenti di ricchezza all’estero. Dunque non è invocabile l’esimente delle violazioni formali di cui allo Statuto del Contribuente (art. 10 L. 212/2000) o all’art. 6, c.5-bis D.Lgs. 472/97: l’obbligo di monitoraggio ha una ratio autonoma e la sua violazione è sanzionabile a prescindere dall’eventuale pagamento delle imposte sui redditi esteri. In termini concreti, ciò significa che anche se un contribuente avesse dichiarato tutti i redditi esteri (pagando le relative imposte) ma avesse omesso di compilare RW per segnalare il detenzione dell’attività, sarebbe comunque passibile della sanzione del 3-15% sul valore di quell’attività. La Cassazione (sent. n. 28077 del 30/10/2024) ha confermato la legittimità e la proporzionalità di tali sanzioni, respingendo la tesi che si tratti di mere irregolarità formali senza danno erariale.

Tassazione dei redditi di fonte estera e imposte patrimoniali (IVIE/IVAFE)

Oltre al monitoraggio, il sistema fiscale richiede che i redditi esteri siano dichiarati e tassati in Italia (salvo crediti d’imposta per evitare doppie imposizioni). Nella pratica, i redditi di fonte estera più comuni oggetto di lettere di compliance sono:

  • Redditi di capitale esteri: interessi su conti correnti esteri o depositi, dividendi da partecipazioni estere, proventi da fondi comuni esteri, ecc. In genere tali redditi andrebbero indicati nel quadro RL o RM del Modello Redditi PF, con tassazione all’aliquota prevista (spesso 26% per interessi/dividendi, salvo casi particolari) e contestuale possibilità di credito per eventuali imposte già pagate all’estero (art. 165 TUIR).
  • Redditi diversi di fonte estera: ad esempio plusvalenze da cessione di immobili esteri, da vendita di partecipazioni non qualificate estere, da trading online su piattaforme estere, oppure guadagni in criptovalute. Anch’essi soggetti a tassazione (26% per plusvalenze finanziarie, aliquota marginale IRPEF per plusvalenze immobiliari, ecc.) e da dichiarare in Italia se il contribuente è residente.
  • Redditi di lavoro dipendente o pensioni estere: se il contribuente risulta residente in Italia e percepisce stipendi da lavoro estero (non svolto in transfrontaliere) o pensioni estere, tali redditi potrebbero essere imponibili in Italia (salvo diverse disposizioni di convenzioni internazionali).
  • Altri redditi esteri: canoni di locazione di immobili esteri, redditi d’impresa prodotti all’estero, ecc., anch’essi da dichiarare, con meccanismi di detrazione delle imposte estere se previste.
  • IVIE e IVAFE: sono imposte patrimoniali dovute rispettivamente sul valore degli immobili esteri (IVIE, pari allo 0,76% annuo del valore dell’immobile, salvo crediti se si paga una patrimoniale locale) e sul valore dei conti correnti e prodotti finanziari esteri (IVAFE, pari in genere al 2‰ annuo per conti e attività finanziarie, equivalente all’imposta di bollo che si pagherebbe su attività finanziarie detenute in Italia). Queste imposte vanno calcolate e indicate sempre nel Quadro RW (se dovute). La loro omissione configura un’omissione d’imposta a tutti gli effetti.

Sanzioni per redditi esteri non dichiarati: se il contribuente omette di dichiarare al Fisco italiano redditi imponibili prodotti all’estero, si applicano le normali sanzioni per dichiarazione infedele previste dal D.Lgs. 471/1997: ossia una sanzione proporzionale dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta (art. 1, comma 2, D.Lgs. 471/97). Trattandosi di redditi esteri, però, la sanzione viene aumentata di 1/3. Questo incremento è stabilito dall’art. 1, comma 3, D.Lgs. 471/97 (ora comma 8 dopo modifiche) e riflette la maggiore insidiosità dei redditi esteri per l’attività di controllo. In pratica, se un contribuente ha evaso €10.000 di imposte su redditi esteri, la sanzione base sarebbe tra €9.000 e €18.000, ma con l’aumento di un terzo la forbice effettiva diventa dal 120% al 240% dell’imposta evasa.

Oltre alla sanzione, naturalmente, il contribuente dovrà versare tutte le imposte evase sul reddito estero, più interessi moratori maturati. Nel caso dei redditi esteri, in sede di accertamento l’Agenzia può procedere anche al recupero a tassazione del reddito non dichiarato, emettendo un avviso di accertamento per maggiori IRPEF/addizionali dovute.

Cumulo delle sanzioni RW e infedele dichiarazione: un punto cruciale e di attualità (importante per chi si difende) è come si combinano le sanzioni per omessa indicazione in RW e quelle per infedele dichiarazione sui redditi esteri. Spesso, infatti, la medesima situazione di fatto genera due violazioni distinte: ad esempio, il contribuente Caio aveva un conto estero con €100.000 che produceva €2.000 di interessi annui; non dichiarando né il conto (violazione RW) né gli interessi (violazione redditi), subisce potenzialmente due sanzioni: la prima del 3-15% sul capitale non monitorato, la seconda del 120-240% sull’imposta non versata sui €2.000 di interessi. Ci si chiede: il contribuente può almeno beneficiare del cumulo giuridico (ossia del trattamento unificato delle sanzioni come se fosse un’unica violazione) oppure le sanzioni si sommano integralmente?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6752 del 14 marzo 2025, ha affrontato proprio questo tema, stabilendo che non può applicarsi il cumulo giuridico tra la sanzione da monitoraggio RW e quella da infedele dichiarazione. In base all’art. 12 D.Lgs. 472/97, il cumulo giuridico è ammesso solo quando un’unica azione od omissione viola più norme (es. un unico errore formale che infrange diverse disposizioni). Nel caso di redditi esteri non dichiarati, invece, secondo la Cassazione ci sono due omissioni distinte: (1) la mancata compilazione di RW e (2) la mancata indicazione del reddito nei quadri reddituali. Essendo violazioni eterogenee con azioni distinte, non scatta il cumulo giuridico e le due sanzioni vanno irrogate separatamente.

Nota: Questa pronuncia ha confermato l’orientamento restrittivo, sebbene in dottrina si fosse discusso se la presentazione della dichiarazione dei redditi (che include anche il quadro RW) potesse considerarsi un’unica azione omissiva. La Cassazione ha escluso tale visione, sottolineando che la compilazione di RW è autonoma rispetto alla dichiarazione dei redditi in senso stretto. Dunque, in sede amministrativa il contribuente non può eccepire il cumulo unificante: salvo eventuali future aperture giurisprudenziali, le sanzioni da RW e da infedele dichiarazione si cumulano materialmente (cioè semplicemente si sommano). L’unico limite è che, se riferite al medesimo periodo d’imposta e notificate con unico atto, potrebbe applicarsi la continuazione ex art. 12 D.Lgs. 472/97 con un tetto massimo (di solito il doppio della sanzione più grave); tuttavia, la Cassazione nel 2025 ha ribadito che tale disposizione sulla continuazione non opera per violazioni che non riguardano la determinazione dell’imponibile o imposta nello stesso atto. In pratica, l’ufficio tende comunque a contestare entrambe le sanzioni e a farle valere in parallelo.

Violazioni presunte e raddoppio dei termini (c.d. “prima del 2016”): segnaliamo infine che fino al 2015 esisteva una norma particolare, l’art. 12 co.2 del D.L. 78/2009, che stabiliva una presunzione e un inasprimento per i capitali esteri non dichiarati. In base a tale norma, gli investimenti esteri non monitorati si presumono costituiti con redditi sottratti a tassazione in Italia, salvo prova contraria. Ciò consentiva all’Amministrazione di tassare indirettamente il capitale come se fosse reddito evaso e, in tal caso, addirittura raddoppiare le sanzioni di infedele dichiarazione (arrivando, per i paradisi fiscali, fino al 240% dell’imposta). Inoltre, i termini di accertamento venivano raddoppiati (passando da 5 a 10 anni, o da 7 a 14 in caso di omessa dichiarazione) per le attività detenute in Stati black list. Questa disciplina del “raddoppio dei termini” per attività estere è stata abrogata o fortemente limitata a partire dal 2016 (Legge di Stabilità 2016), in concomitanza con l’adesione di molti paesi allo scambio di informazioni e con l’intento di uniformarsi a principi di proporzionalità. Per le annualità fino al 2015, però, ha trovato applicazione: ad esempio, un conto in un paradiso fiscale non dichiarato poteva essere accertato dal Fisco fino a 10 anni dopo grazie a tale norma. Oggi, per le annualità dal 2016 in poi, l’accertamento di redditi esteri segue in linea generale i termini ordinari (5 anni, o 7 in caso di omessa dichiarazione) e il raddoppio si applica solo in caso di reato tributario con denunzia all’Autorità giudiziaria entro i termini ordinari (ex art. 43 DPR 600/73 come modificato dal DLgs 128/2015).

In definitiva, il quadro normativo vigente impone ampi obblighi di disclosure delle attività e redditi esteri. Le lettere di compliance nascono proprio dal riscontro del mancato rispetto di tali obblighi. Prima di esaminare come vengono scoperte le attività estere non dichiarate (cooperazione internazionale) e come difendersi, presentiamo una tabella riassuntiva delle violazioni e sanzioni principali in questo ambito:

Tabella 1 – Violazioni in materia di investimenti/redditi esteri e relative sanzioni

ViolazioneNorma violataSanzione amministrativaNote
Omessa/infedele compilazione Quadro RW (monitoraggio fiscale)Art. 4 D.L. 167/1990– 3% min – 15% max del valore non dichiarato (Paesi white list).– 6% min – 30% max se detenuto in Paese black list (no scambio info).Per dichiarazione RW presentata con ritardo ≤90 gg: sanzione fissa €258. Sanzione per ciascun anno omesso.
Omissione o errata dichiarazione di redditi esteri (es. interessi, dividendi, plusvalenze, canoni, ecc.)Artt. 2 e 4 D.Lgs. 74/2000 (rilevanza penale), Art. 1 D.Lgs. 471/1997 (sanzione amm.va)– Sanzione 90% min – 180% max dell’imposta evasa.– Maggiorazione di 1/3 per redditi esteri (quindi effettivamente 120% – 240%).La maggior imposta evasa viene recuperata a tassazione. Sanzione ridotta a 1/3 se versata entro 30 gg (acquiescenza). Rilevanza penale se imposta evasa > €50.000 (omessa dichiarazione) o > €100.000 (infedele).
Omissione del pagamento IVIE/IVAFE (imposte patrimoniali su immobili/att. finanziarie estere)Art. 19 co.18 D.L. 201/2011 (IVAFE), Art. 4 DL 167/90 (monitoraggio)– Sanzione 90% – 180% imposta evasa (come infedele).– +1/3 se attività in black list (fino a 240%).Se l’attività non è dichiarata in RW, può applicarsi anche sanzione monitoraggio separata (vedi prima voce). Cass. 2025 esclude cumulo giuridico: sanzioni sommate.
Mancata presentazione dichiarazione dei redditi (con redditi esteri non dichiarati)Art. 5 D.Lgs. 74/2000 (reato omessa dichiarazione)– Sanzione amm.va 120% – 240% imposta dovuta (omessa dichiarazione = infedele aggravata da estero).– Profili penali se imposta evasa > €50.000 (reclusione 2–5 anni).Se la dichiarazione è presentata entro 90 gg dal termine, non è considerata omessa ma tardiva (sanzione ridotta €258 + imposte dovute). Penale: causa di non punibilità se si paga tutto con ravvedimento operoso prima di accertamento (vedi oltre).

Nota: le soglie penali indicate sono semplificate; per “dichiarazione infedele” (art. 4 D.Lgs. 74/2000) la soglia è imposta evasa > €100.000 e redditi omessi > 10% del totale o > €2 milioni. Per “omessa dichiarazione” (art. 5) la soglia è imposta evasa > €50.000. Approfondiamo i profili penali più avanti.

Cooperazione internazionale: come il Fisco scopre gli asset esteri (CRS, FATCA, accordi)

È lecito domandarsi: come fa l’Agenzia delle Entrate a sapere che un contribuente ha redditi o investimenti non dichiarati all’estero? La risposta risiede nei robusti strumenti di cooperazione internazionale in materia fiscale sviluppatisi nell’ultimo decennio. In particolare, due pilastri sono: il Common Reporting Standard (CRS) dell’OCSE (recepito in UE con la Direttiva DAC2) e l’accordo FATCA con gli Stati Uniti.

Common Reporting Standard (CRS) – Scambio automatico di informazioni finanziarie

Il Common Reporting Standard è uno standard globale, promosso dall’OCSE e sottoscritto da oltre 100 giurisdizioni (Italia inclusa), per lo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari dei contribuenti esteri. L’Italia ha aderito al CRS nel 2014 (firma dell’accordo multilaterale a Berlino il 29/10/2014), iniziando lo scambio effettivo di dati dal 2017 (relativi ai conti del 2016). In base al CRS:

  • Le istituzioni finanziarie (banche, broker, assicurazioni) di ciascun paese partecipante raccolgono annualmente informazioni sui conti detenuti da soggetti fiscalmente residenti all’estero e li trasmettono all’autorità fiscale del proprio Paese.
  • Le autorità fiscali nazionali a loro volta inviano tali dati alle autorità fiscali dei Paesi di residenza dei titolari dei conti. Parallelamente, ricevono i dati dei propri residenti che hanno conti in altri Stati aderenti.

Ad esempio, tutte le banche svizzere, maltesi, lussemburghesi, ecc., comunicano al proprio fisco gli intestatari non residenti (es. italiani) e i saldi/movimenti dei loro conti. Il fisco di quel paese inoltra automaticamente i dati all’Italia (Agenzia Entrate). Viceversa, l’Italia scambia i dati dei conti in banche italiane di residenti esteri. Lo scambio avviene di norma ogni anno.

Dati trasmessi: per ciascun conto estero vengono comunicati almeno: nome, cognome, codice fiscale e indirizzo del titolare; numero del conto; istituto finanziario; saldo di fine anno; importo totale di interessi, dividendi o redditi da quel conto; valori di riscatto di polizze; proventi lordi da vendita di attività finanziarie, ecc. Questo consente al Fisco italiano di avere una visibilità completa sul patrimonio finanziario estero dei propri residenti. Anche i redditi esteri come stipendi o pensioni possono emergere tramite lo scambio, se pagati su conti esteri.

Ad oggi, tutti i principali paesi UE aderiscono al CRS, così come centri finanziari di rilievo (Svizzera, Monaco, Singapore, Hong Kong, Emirati Arabi, ecc. – alcuni con implementazione graduale). Restano fuori pochi paradisi o Paesi non cooperativi, ma la rete si sta rapidamente estendendo. Pertanto, nascondere fondi all’estero è divenuto molto difficile: l’Agenzia delle Entrate riceve un flusso continuo di informazioni su conti correnti, depositi, titoli e polizze appartenenti a residenti italiani. Tali informazioni alimentano le banche dati dell’Amministrazione e vengono incrociate con le dichiarazioni fiscali. Quando dai dati CRS risultano attività non trovate nelle dichiarazioni, scatta la segnalazione interna e – in mancanza di una spontanea regolarizzazione – la famosa lettera di compliance.

Vale la pena notare che il CRS copre anche soggetti interposti: ad esempio, se un conto è intestato a una società estera ma il soggetto controllante è italiano, la banca estera segnalerà il beneficiario effettivo italiano come titolare riportabile (in base alle regole antiriciclaggio). Dunque il classico schermo della società offshore spesso non protegge più dall’identificazione fiscale.

Accordo FATCA con gli Stati Uniti

Un capitolo a parte riguarda i rapporti con gli Stati Uniti. Gli USA, pur non aderendo al CRS, hanno siglato con molti Paesi accordi bilaterali sotto il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA). L’Italia ha firmato un accordo FATCA nel 2014. In base a tale intesa:

  • Le banche italiane comunicano periodicamente all’Agenzia Entrate i conti finanziari detenuti da cittadini/statunitensi o residenti fiscali USA. L’Italia inoltra i dati all’IRS (Fisco USA).
  • Viceversa, l’IRS comunica all’Italia i dati (seppur in forma limitata) dei conti finanziari detenuti negli USA da soggetti residenti in Italia.

La reciprocità non è piena (gli USA forniscono meno informazioni di quante ne ottengono), ma comunque esiste un flusso di dati. Ad esempio, un italo-americano residente in Italia che ha un conto presso una banca negli Stati Uniti potrebbe vedere quel conto segnalato dal fisco americano all’Italia (soprattutto se supera certe soglie). FATCA è quindi un ulteriore canale che contribuisce a far emergere patrimoni esteri, in particolare investimenti negli USA.

Altri strumenti di cooperazione e fonti informative

Oltre a CRS e FATCA, l’Agenzia delle Entrate beneficia di vari accordi e banche dati internazionali:

  • Direttive UE DAC1-DAC7: la UE ha implementato una serie di direttive sullo scambio automatico di informazioni: DAC1 (conti finanziari), DAC2 (sostanzialmente CRS), DAC3 (rulings fiscali), DAC4 (country-by-country reporting multinazionali), DAC5 (accesso a registri antiriciclaggio), DAC6 (schemi di pianificazione fiscale aggressiva), DAC7 (piattaforme digitali). Nel contesto dei redditi esteri dei privati, rileva DAC1/2 per i conti e in prospettiva DAC8 (in via di approvazione) che riguarderà lo scambio di informazioni su cripto-attività e e-money a partire dal 2026.
  • Accordi bilaterali e doppie imposizioni: le Convenzioni contro le doppie imposizioni (tra Italia e decine di Stati) contengono articoli sullo scambio di informazioni su richiesta (diverso dallo scambio automatico). Ciò significa che l’Agenzia può chiedere informazioni specifiche a un altro Stato se sta svolgendo un’indagine su un contribuente (ad esempio, chiedere a un paese convenzionato i dati su un conto bancario di un soggetto X). Queste procedure sono più lente e mirate, ma sono un ulteriore strumento investigativo.
  • Centralized Banking Data (Anagrafe conti esteri): alcuni paesi hanno ormai registri centralizzati. Ad esempio, la Svizzera dal 2021 ha un’anagrafe dei conti per il CRS. L’Italia, ricevendo dati CRS, li memorizza nel proprio sistema informativo (l’Anagrafe Tributaria li integra). Per il contribuente ciò significa che qualsiasi conto estero o investimento all’estero quasi certamente è conosciuto o conoscibile dall’Agenzia, se detenuto in un Paese collaborativo.
  • Fonti aperte e segnalazioni: in aggiunta, non vanno esclusi i casi in cui informazioni emergono da whistleblowers, Panama Papers/Paradise Papers, indagini della Guardia di Finanza, controlli antiriciclaggio nazionali (spesso i movimenti da/verso l’estero sui conti italiani sono monitorati e segnalati in Anagrafe dei rapporti finanziari). Tutto ciò può innescare accertamenti su redditi esteri.

Grazie a questo arsenale informativo, l’Agenzia Entrate è stata in grado di lanciare massicce campagne di compliance. Le lettere relative ai redditi e investimenti esteri derivano principalmente dallo scambio automatico CRS: tipicamente, l’Unità centrale per il contrasto agli illeciti internazionali esamina i dataset esteri e segnala alle Direzioni competenti i nominativi “sospetti”. Già nel 2019-2020 partirono le prime lettere su larga scala e il trend è proseguito ogni anno. Ogni anno vengono selezionate le annualità fiscali ormai definite (di solito c’è un lag di un paio d’anni: es. nel 2025 si inviano lettere su dati 2020 o 2021) e si invitano i contribuenti a sanare.

Esempio: nell’autunno 2024, l’Agenzia ha annunciato l’invio di migliaia di comunicazioni relative a polizze assicurative estere e prodotti finanziari esteri non dichiarati, emersi dallo scambio automatico. Un problema riscontrato è la presenza di “falsi positivi”: disallineamenti legittimi dovuti a interpretazioni differenti o dati incompleti. Ad esempio, può accadere che un contribuente abbia effettivamente dichiarato un reddito estero ma in forma aggregata o in un altro quadro, e il sistema lo rilevi come mancante. Oppure il conto estero segnalato era cointestato e i dati esteri lo attribuiscono interamente a ciascun cointestatario, creando apparenti omissioni. In queste situazioni, il contribuente dovrà fornire chiarimenti e documentazione per evitare conseguenze (vedi oltre la sezione Come difendersi).

In conclusione, la cooperazione internazionale – CRS in primis – è la fonte primaria delle lettere di compliance su redditi/investimenti esteri. Il contribuente deve esserne consapevole: non dichiarare attività fuori dai confini non è più un’opzione prudente, dato l’elevatissimo livello di tracciabilità raggiunto a livello globale.

Contenuto della lettera di compliance e procedura di invio

Analizziamo ora come si presenta una lettera di compliance riguardante redditi/investimenti esteri e qual è la procedura seguita dall’Agenzia delle Entrate.

Struttura della comunicazione: generalmente, la lettera (inviata in busta con intestazione dell’Agenzia o via PEC) riporta:

  • Intestazione e riferimenti: ufficio mittente (di solito la Direzione Provinciale competente per il contribuente), data, e un codice identificativo della comunicazione. Viene indicato l’anno d’imposta a cui si riferisce l’anomalia (es: “anno d’imposta 2020”).
  • Descrizione dell’anomalia: la lettera spiega in linguaggio abbastanza comprensibile cosa è stato rilevato. Ad esempio: “Dai dati in nostro possesso risulta che nel 2020 Lei ha detenuto attività finanziarie all’estero non indicate nel Quadro RW e percepito redditi esteri non inclusi nella Sua dichiarazione”. Spesso viene menzionata la fonte: “…derivanti dallo scambio automatico di informazioni (CRS)”, così il contribuente capisce come l’Agenzia ne sia venuta a conoscenza. Talvolta la lettera quantifica l’anomalia, ad esempio: “risultano redditi di capitale esteri per €X non dichiarati” oppure indica la presenza di un conto estero in un certo paese. In altri casi, può allegare un prospetto dettagliato dei conti segnalati (istituto, paese, saldo). Ad esempio, alcuni modelli recano tabelle con l’elenco dei conti esteri intestati al contribuente con saldi al 31/12 e altri valori.
  • Invito alla regolarizzazione: la comunicazione specifica che si tratta di un invito a verificare e correggere spontaneamente la situazione. Può contenere frasi come: “Le offriamo la possibilità di regolarizzare la Sua posizione fiscale prima che venga emesso un atto di accertamento”. Si sottolinea che, in caso di regolarizzazione spontanea (ravvedimento operoso), le sanzioni saranno ridotte. Ad esempio: “Potrà presentare una dichiarazione integrativa versando le maggiori imposte dovute e usufruendo della riduzione delle sanzioni tramite ravvedimento operoso”.
  • Conseguenze dell’inazione: spesso la lettera avverte che, se il contribuente ignora la comunicazione e non fornisce chiarimenti né si mette in regola, l’Amministrazione procederà ad approfondimenti e potenzialmente ad un accertamento vero e proprio con sanzioni piene. In altre parole, la finestra temporale concessa serve ad evitare guai peggiori.
  • Istruzioni operative per la risposta: in allegato o nel corpo della lettera si spiegano le modalità con cui il contribuente può interagire. Di solito:
    • Viene fornito un link o un riferimento al portale dell’Agenzia (Cassetto fiscale) dove la comunicazione è disponibile elettronicamente. Accedendo al proprio Cassetto, il contribuente può visualizzare i dettagli dell’anomalia e talvolta anche simulazioni dell’imposta dovuta.
    • Si indicano le modalità per presentare una dichiarazione integrativa per correggere l’errore, sottolineando l’uso del Modello Redditi (anche se originariamente il contribuente presentò un 730, l’integrativa va fatta con Modello Redditi PF). Sono anche allegate o richiamate le “modalità di compilazione della dichiarazione integrativa”.
    • Si spiega come utilizzare CIVIS, il canale telematico di assistenza: il contribuente, tramite il servizio CIVIS – Compliance, può caricare documentazione e fornire chiarimenti all’ufficio. Ad esempio, se ritiene che la segnalazione sia errata o di aver già ottemperato, può inviare attraverso CIVIS una nota con eventuali documenti giustificativi (es. attestati di residenza estera, copia di dichiarazioni già presentate, ecc.). Questo evita di doversi recare fisicamente presso l’ufficio.
    • Spesso è allegato un fac-simile di risposta cartacea qualora il contribuente voglia rispondere per posta o PEC. Alcune lettere contengono un modulo prestampato in cui indicare i propri dati, una spiegazione sintetica (“dichiaro di aver già dichiarato i redditi in…”, “mi impegno a presentare integrativa entro…”) e l’elenco di documenti allegati.
    • Sono indicati i contatti (telefono, e-mail) dell’ufficio locale per eventuali chiarimenti o per concordare un appuntamento qualora il contribuente preferisca un contraddittorio diretto.
  • Tempistiche: la lettera specifica entro quando agire. Talvolta richiede di fornire un primo riscontro (es. via CIVIS o contatto) entro 15 giorni, specie se si vuole contestare l’anomalia. Altre volte semplicemente invita a regolarizzare quanto prima, ricordando che il ravvedimento è più conveniente se tempestivo (riduzione sanzioni in ragione del ritardo). In generale, pur non essendoci un obbligo legale stretto di risposta entro 15 giorni, rispettare le indicazioni di tempo è opportuno: mostra collaborazione e può evitare che l’ufficio metta subito in lavorazione un accertamento. Se servisse più tempo (ad es. per recuperare documenti dall’estero), è consigliabile contattare l’ufficio e chiedere una breve proroga o comunque segnalare che si sta raccogliendo la documentazione. La difficoltà, evidenziata dagli esperti, è che i 15 giorni concessi sono spesso pochi per ottenere certificazioni estere o chiarimenti, specie se vi sono stati trasferimenti tra più paesi. Tuttavia l’ufficio, se informato, può attendere ragionevolmente prima di procedere.

In una simulazione pratica, immaginiamo la lettera di compliance inviata a Mario, contribuente italiano residente, per l’anno d’imposta 2019. La lettera (spedita nel 2023) potrebbe esordire così:

“Gentile contribuente, da un controllo automatizzato ci risultano potenziali irregolarità nella Sua dichiarazione dei redditi 2019. In particolare, dall’analisi dei dati acquisiti tramite accordi internazionali (Common Reporting Standard) risulta che Lei ha detenuto nel 2019 conti correnti e/o investimenti finanziari all’estero non indicati nel Quadro RW e da cui ha percepito redditi di capitale non inclusi nella dichiarazione. Le offriamo l’opportunità di verificare la Sua posizione e regolarizzarla tramite dichiarazione integrativa, beneficiando di sanzioni ridotte (ravvedimento operoso), ed evitando così un successivo avviso di accertamento.* Allegati:** istruzioni per accesso a Cassetto Fiscale e CIVIS; fac-simile risposta; modalità compilazione integrativa… etc.”*

Quindi Mario troverà in allegato ad esempio il dettaglio: “Conto n. XXX presso Banca Y in [Paese], saldo €50.000 al 31/12/2019; interessi attivi sul conto €500”. Sapendo ciò, potrà confrontare con la propria dichiarazione 2019 e rendersi conto se effettivamente non aveva indicato nulla.

Come capire se la segnalazione è corretta? Appena ricevuta la lettera, il contribuente deve verificare i fatti: ad esempio controllare se nel 2019 aveva quel conto, se magari aveva prodotto redditi esenti o già tassati, se per errore il CAF o il commercialista non inserirono il Quadro RW, ecc. In alcuni casi, l’anomalia potrebbe derivare da situazioni particolari: doppia residenza, iscrizione AIRE mancante, conti cointestati, importi già inclusi altrove. Di questo parliamo nel prossimo capitolo sulla difesa e le strategie.

Prima di ciò, offriamo un colpo d’occhio in Tabella 2 sulle possibili situazioni che il contribuente può trovarsi ad affrontare quando riceve la lettera, con le relative azioni consigliate:

Tabella 2 – Ricezione di lettera di compliance: situazioni tipiche e azioni

Situazione riscontrata dal contribuenteAzione consigliataBenefici/Rischi
La lettera evidenzia redditi e attività esteri effettivamente omessi dal contribuente (violazione reale).Procedere alla regolarizzazione spontanea: presentare al più presto una dichiarazione integrativa per l’anno in questione, dichiarando i redditi esteri non indicati e/o compilando il Quadro RW, e versare le imposte dovute con ravvedimento operoso.Riduzione delle sanzioni amministrative (in base al ravvedimento, ad es. a 1/8 o 1/5 del minimo a seconda del ritardo).– Nessun procedimento penale: pagando tutto prima di accertamenti, scatta la non punibilità penale (art. 13 D.Lgs. 74/2000).– Evita un futuro avviso di accertamento con sanzioni piene (90-180% e 3-15%).
Il contribuente ritiene di essere in regola (es. perché non era residente in Italia quell’anno, o perché i redditi erano esenti o già dichiarati).Fornire chiarimenti all’ufficio entro i termini indicati (via CIVIS o PEC): inviare documenti che provano la regolarità. Ad es.: certificato di residenza estera e convenzione, copia dichiarazione estera, evidenza che l’attività estera era già tassata e non imponibile in Italia, ecc..– Se le spiegazioni sono accolte, si chiude la questione senza dover pagare nulla (l’ufficio archivia l’anomalia).– In caso di mancato riscontro o prove insufficienti, l’ufficio potrebbe comunque procedere ad accertamento. Necessario quindi essere precisi e, se complesso, farsi assistere da un professionista per impostare la risposta.
Errore materiale o duplicazione nei dati segnalati (c.d. falso positivo, es: stesso conto segnalato due volte, importo già incluso in reddito dichiarato come lordo, etc.).Segnalare l’errore all’ufficio, documentandolo. Es: indicare che quel reddito era compreso in un’altra voce dichiarativa, oppure che il conto è cointestato col coniuge e già inserito al 50%, ecc.Correzione della base dati: il Fisco rettificherà l’anomalia se convinto della spiegazione.– Importante farlo per evitare accertamenti ingiustificati.
Contribuente che ha dubbio sulla portata fiscale (es. non sa se quel reddito estero fosse imponibile o no).Richiedere consulenza fiscale professionale tempestiva. Eventualmente presentare istanza di interpello se c’è incertezza interpretativa (anche se i tempi dell’interpello sono lunghi; data l’urgenza della lettera, meglio un parere privato rapido).– Un esperto può valutare se magari quel reddito era escluso da tassazione (es. perno interpretativo) e impostare la difesa.– Se serve, l’interpello può mettere al riparo da sanzioni su questioni dubbie (ma va presentato prima di regolarizzare; spesso non c’è tempo in questo frangente).
Il contribuente ignora la lettera e non fa nulla.Sconsigliato. Probabile esito: dopo il termine, l’Agenzia avvierà le procedure di controllo. L’anomalia diventerà un avviso di accertamento (per imposte non versate) e/o un atto di contestazione (per sanzioni RW) con sanzioni in misura piena.– Perde i benefici del ravvedimento: pagherà sanzioni molto più alte (anche il doppio o triplo).– Rischio di sequestro preventivo se si configura reato tributario (in caso di importi ingenti, la Procura potrebbe attivarsi).– Necessità poi di affrontare un contenzioso lungo e costoso per difendersi, con esito incerto.

Come difendersi: strategie difensive e rimedi per il contribuente

Dal punto di vista del contribuente (spesso definito “debitore” in quanto potenzialmente deve tributi arretrati), difendersi in caso di lettera di compliance su redditi esteri significa essenzialmente: prevenire o minimizzare le conseguenze di un futuro accertamento fiscale, assicurando nel contempo di far valere le proprie ragioni se ritiene la pretesa infondata. In questa sezione illustreremo le possibili strategie e rimedi, distinguendo le fasi:

  1. Fase di “pre-contenzioso” – dalla ricezione della lettera fino all’eventuale emissione di un atto impositivo: qui il contribuente ha spazio per rimediare o chiarire, evitando di arrivare al contenzioso vero e proprio. Si tratta di rimedi stragiudiziali (ravvedimento, istanze, contraddittorio, autotutela).
  2. Fase contenziosa – se non si è risolta prima e l’Agenzia emette un avviso di accertamento o un atto di contestazione sanzioni, il contribuente può attivare i rimedi giurisdizionali (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria, ex Commissioni Tributarie) o strumenti deflattivi (accertamento con adesione, conciliazione, ecc.). Inoltre, in casi estremi, occorre gestire l’eventuale profilo penale-tributario.

Vediamole in dettaglio.

Fase 1: Dopo la lettera – Ravvedimento operoso o chiarimenti all’ufficio

Come già accennato, la mossa più vantaggiosa per il contribuente che riconosce di aver effettivamente omesso redditi o investimenti esteri è quella di attivare subito il ravvedimento operoso. Il ravvedimento (disciplinato dall’art. 13 D.Lgs. 472/1997) consente di regolarizzare le violazioni tributarie prima che l’Amministrazione notifichi atti di liquidazione o accertamento, beneficiando di sanzioni ridotte in misura crescente in base al ritardo.

Come effettuare il ravvedimento:

  • Dichiarazione integrativa: Il contribuente deve predisporre una dichiarazione integrativa relativa all’anno d’imposta oggetto della lettera, includendo le informazioni mancanti. Ciò significa compilare un Modello “Redditi PF” per quell’anno, barrando la casella che indica trattasi di dichiarazione integrativa, e inserendo: i redditi esteri non dichiarati nei relativi quadri (es. RL, RM o RT a seconda del tipo di reddito) e/o il Quadro RW completo con gli investimenti esteri e l’indicazione delle imposte patrimoniali dovute (IVIE/IVAFE).
  • Calcolo di imposte e sanzioni: Nella dichiarazione integrativa emergerà una maggior imposta dovuta rispetto a quanto dichiarato originariamente. Il contribuente dovrà versare:
    1. Le imposte dovute (IRPEF, addizionali, IVIE/IVAFE, ecc.) sui redditi esteri o valori dichiarati in più.
    2. Gli interessi legali su tali maggiori imposte, calcolati giorno per giorno dal termine di versamento originario (es. dal 30 giugno dell’anno successivo al reddito) fino al giorno del pagamento ravvedimento.
    3. Le sanzioni in misura ridotta per le violazioni commesse. Le sanzioni da considerare sono tipicamente:
      Sanzione da infedele dichiarazione sulle imposte non pagate, ordinariamente del 90% (minimo). In ravvedimento la si riduce come previsto dall’art.13 co.1 D.Lgs.472/97: ad esempio, 1/8 del 90% se il ravvedimento avviene oltre l’anno ma entro 2 anni dall’omissione; 1/7 se oltre 2 anni; 1/5 se dopo la consegna del PVC ma prima di altri atti, ecc. Quindi, se erano dovuti €1.000 di IRPEF su redditi esteri, la sanzione base 90% = €900, ridotta a 1/8 = €112.5 (se ravvedimento entro 2 anni) o 1/7 = ~€128.5 (oltre 2 anni), e così via.
      Sanzione monitoraggio RW del 3% (minimo) sul valore non dichiarato, anch’essa ravvedibile. Ad esempio, su un conto estero non dichiarato di €50.000 in paese white list, sanzione base 3% = €1.500; se ravveduta entro due anni, ridotta a 1/8 = €187.5. (Se il ravvedimento include la presentazione tardiva di RW entro 90 gg dalla scadenza originaria, si applicherebbe invece la sanzione fissa €258 ridotta a 1/9 = €28.67, ma di solito quando arriva la lettera i 90 gg sono passati da molto).
      Sanzione IVIE/IVAFE non versata, equiparata a infedele: base 90% dell’imposta, ravveduta come sopra.
    I codici tributo per versare tali sanzioni da ravvedimento sono specifici (ad es. “8901” per sanzioni pecuniarie IRPEF da dichiarazione infedele). L’Agenzia spesso nella lettera fornisce anche i riferimenti dei codici tributo da usare.
  • Pagamento con modello F24: Una volta determinati importi di imposte, interessi e sanzioni ridotte, il contribuente effettua il versamento mediante F24, utilizzando i codici tributo corretti e indicando l’anno di riferimento. È importante che il pagamento avvenga prima della formalizzazione della regolarizzazione, o comunque entro la presentazione della dichiarazione integrativa. Infatti, il ravvedimento si perfeziona solo con il pagamento integrale di tributi, interessi e sanzioni ridotte (art.13 D.Lgs.472/97).
  • Invio della dichiarazione integrativa: Dopo (o contestualmente) al pagamento, il contribuente invia telematicamente la dichiarazione integrativa all’Agenzia (tramite Desktop Telematico/Fisconline o tramite il proprio intermediario abilitato – es. commercialista). Nel frontespizio si indicherà il codice “Dichiarazione integrativa – art.13, co.1, lett. b) D.P.R. 322/98” o altra casella appropriata.

Se tutto è fatto correttamente, l’Agenzia registrerà l’integrativa e i versamenti, sanando la posizione. Effetti: il contribuente avrà assolto i propri obblighi con una sanzione minima. Inoltre, come già accennato, l’effettuazione del ravvedimento operoso esclude le sanzioni penali eventualmente configurabili: l’art. 13 D.Lgs. 74/2000, comma 2, stabilisce la non punibilità per i reati di omessa o infedele dichiarazione (nonché dichiarazione fraudolenta) se i debiti tributari relativi – comprese sanzioni e interessi – sono estinti mediante integrale pagamento prima che l’autore del reato abbia formale conoscenza di attività di accertamento o procedimenti penali. Ciò significa che, se il contribuente paga tutto spontaneamente in sede di ravvedimento prima di essere formalmente “scoperto” (la lettera di compliance non costituisce ancora formale inizio di accertamento), non potrà essere perseguito penalmente per quelle omissioni. In sostanza, il ravvedimento funge da “scudo penale” in virtù della norma di favore introdotta dal D.L. 124/2019.

E se il contribuente non è d’accordo con la segnalazione? In tal caso, come visto in Tabella 2, la strada è fornire risposta motivata all’Agenzia. Alcuni scenari tipici:

  • Residenza fiscale contestata/AIRE: Il contribuente riceve una lettera perché considerato residente in Italia (magari perché non iscritto AIRE) mentre egli ritiene di essere residente all’estero. Questo è un caso comune segnalato dagli esperti: molti contribuenti omissis non si iscrivono all’AIRE pur essendosi trasferiti, e l’Agenzia li considera residenti italiani che non hanno dichiarato redditi esteri. In simili situazioni, la difesa richiede di dimostrare la propria effettiva residenza estera per l’anno in questione. Bisogna produrre documenti come certificati di residenza fiscale rilasciati dall’Autorità estera, contratti di lavoro o locazione all’estero, bollette, attestati di iscrizione a sistema sanitario estero, ecc., e inviarli all’ufficio. Inoltre, è fondamentale invocare la Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il Paese estero: se entrambe le legislazioni nazionale qualificano il soggetto come residente, la Convenzione prevede criteri “tie-breaker” (abitazione permanente, centro degli interessi vitali, soggiorno abituale, cittadinanza) per attribuire un’unica residenza fiscale. Nella risposta all’Agenzia, il contribuente dovrebbe richiamare questi criteri, mostrando ad esempio di avere l’abitazione permanente e la famiglia all’estero, e allegare il certificato fiscale estero che comprova la tassazione ivi. L’Agenzia in questi casi concede in genere solo 15 giorni per esibire prove, ma data la complessità può essere necessario interloquire e chiedere più tempo. Se la documentazione è convincente, l’ufficio potrebbe riconoscere la non-residenza in Italia e quindi archiviare la posizione (eventualmente coinvolgendo anche l’ufficio centrale per valutare la convenzione). Diversamente, si andrà a contenzioso (vedi fase successiva).
  • Redditi esteri già tassati o esenti: Un’altra difesa possibile è provare che i redditi segnalati erano già stati tassati all’estero e secondo convenzione non ulteriormente imponibili in Italia, oppure rientravano in casi di esenzione. Ad esempio, dividendi esteri soggetti a participation exemption, o redditi da lavoro estero non imponibili ex art. 51 TUIR comma 8-bis perché lavorati almeno 183 gg all’estero, ecc. In tali casi, il contribuente nella risposta dovrebbe citare la norma applicabile e allegare prova del pagamento delle imposte estere (o della natura del reddito). Se si tratta di credito per imposte estere non fatto valere, l’Agenzia potrebbe comunque richiedere la dichiarazione integrativa per farlo emergere formalmente, ma senza applicare sanzioni perché l’imposta italiana netta era zero (attenzione però: l’omessa dichiarazione di un reddito anche se con credito pari all’imposta dovuta è tecnicamente una violazione; ma si può discutere in ottica equitativa).
  • Errori formali o duplicazioni: Qualora la lettera citi importi errati (capita quando, ad esempio, un conto cointestato è segnalato per l’intero saldo a ciascun cointestatario, “raddoppiando” i valori), il contribuente deve far presente la circostanza. Idem se un conto risulta chiuso prima dell’anno indicato (magari errore di anno). Una spiegazione chiara, con documenti (es. estratto conto finale) può portare l’ufficio a rettificare l’anomalia e non procedere oltre.

Autotutela in questa fase: La lettera di compliance di per sé non è un atto impugnabile, ma se l’ufficio, dopo le spiegazioni del contribuente, riconosce di aver sbagliato, può in via di autotutela decidere di non portare avanti l’azione. Di fatto, fornire chiarimenti è un sollecito all’autotutela: si chiede all’ufficio di valutare le prove e non emettere accertamento. È nell’interesse dell’ufficio evitare accertamenti destinati a soccombere, quindi spesso, in presenza di elementi solidi, la questione si chiude in questa fase senza formalità ulteriori.

In sintesi, dopo la lettera il contribuente ha due strade pacifiche: regolarizzare pagando il dovuto (se in torto) oppure convincere l’ufficio che non deve nulla (se in regola). Entrambe vanno percorse tempestivamente. La miglior difesa è la collaborazione attiva: ignorare la lettera è decisamente la scelta più pericolosa.

Fase 2: Accertamento e contenzioso – difendersi legalmente

Se la fase “amichevole” non risolve la questione – ad esempio il contribuente non ha fatto nulla, oppure l’ufficio non ha accolto le sue giustificazioni – si passa al livello successivo: l’Agenzia può emettere un atto impositivo formale. Potrebbero esserci diverse tipologie di atti:

  • Un Avviso di Accertamento (ex art. 42 DPR 600/73) per i maggiori redditi imponibili accertati, con recupero delle imposte evase e irrogazione delle relative sanzioni (infedele dichiarazione). Questo accade se vi sono imposte su redditi esteri non dichiarati.
  • Un Atto di contestazione di sanzioni specifico per la violazione del monitoraggio (Quadro RW), ai sensi degli artt. 16 e 17 D.Lgs. 472/97. Spesso l’Agenzia può emetterlo congiuntamente all’avviso di accertamento, oppure separatamente. Talora, le sanzioni RW vengono incluse direttamente nell’avviso di accertamento, ma dato che non attengono a imposta ma a obbligo dichiarativo, è più corretto un atto separato.
  • Un Avviso di Accertamento parziale (art. 41-bis DPR 600/73) nel caso in cui l’ufficio voglia velocemente contestare una componente (es. un reddito estero) lasciando il resto della dichiarazione invariato.

Quando il contribuente riceve un tale atto, inizia il contenzioso tributario potenziale. A questo punto le strategie difensive cambiano: non c’è più la riduzione delle sanzioni per ravvedimento (ormai precluso), ma ci sono altre possibilità:

1. Adesione e definizione agevolata: prima di impugnare, il contribuente può valutare di utilizzare gli strumenti deflattivi del contenzioso:

  • Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/97): dopo aver ricevuto l’avviso di accertamento (o anche prima, su invito), il contribuente può presentare istanza di adesione per discutere con l’ufficio e cercare un accordo sulla quantificazione. Nel caso di redditi esteri, se ci sono elementi incerti (ad es. quantificazione di un imponibile, crediti d’imposta esteri da riconoscere, ecc.), in sede di adesione si può ottenere uno sconto. Vantaggio principale: in caso di definizione, le sanzioni applicate nell’avviso vengono ridotte di 1/3 automaticamente. Ad esempio, se l’avviso aveva sanzione 150%, aderendo la si paga al 100%. Inoltre si possono chiedere rateazioni fino a 8 rate. L’adesione va chiesta entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto; l’istanza sospende i termini per il ricorso per 90 giorni. Se la trattativa fallisce, il contribuente ha tempo extra per il ricorso.
  • Acquiescenza agevolata: se l’accertamento appare corretto e il contribuente preferisce pagare ed evitare il contenzioso, può prestare acquiescenza all’avviso entro 60 giorni, beneficiando in tal caso di una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (un terzo) del minimo edittale ex art. 15 D.Lgs. 218/97. Nel caso di specie, però, attenzione: la sanzione per infedele dichiarazione ha già un minimo edittale (90%). L’avviso di solito applica il minimo o poco più. Se applicato il minimo 90%, con acquiescenza si paga il 30%. Ma se nel frattempo sono passati >2 anni dal fatto, il ravvedimento avrebbe dato 1/7 (~12.8%). Quindi l’acquiescenza è molto meno vantaggiosa del ravvedimento precedente. Resta però un’opzione se ormai non si può più ravvedere. Per la sanzione RW, il minimo 3% ridotto a 1/3 fa 1%. Quindi è un discreto sconto.
  • Conciliazione giudiziale o Definizioni speciali: se si va in giudizio, esiste la possibilità di conciliare in corso di causa con riduzione sanzioni ad 1/3. Inoltre, in alcuni periodi il legislatore ha offerto definizioni agevolate dei giudizi (nel 2023 con la “tregua fiscale” legge 197/2022, ad esempio). Queste misure sono contingenti; in una guida aggiornata al 2025 segnaliamo che il DL 34/2023 (convertito L. 56/2023) ha escluso dalla definizione agevolata delle violazioni tributarie (c.d. ravvedimento speciale) proprio le violazioni RW, mentre ha incluso eventuali redditi esteri non dichiarati purché non emersi da controlli automatizzati. Insomma, non è scontato accedere a “sanatorie” per questi casi, meglio giocare di anticipo.

2. Ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria: se non si trova accordo o se il contribuente è convinto che l’accertamento sia illegittimo o infondato, può presentare ricorso al giudice tributario. Dal 2023 le Commissioni Tributarie si chiamano Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, ma la sostanza del processo non cambia.

  • Il ricorso va notificato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (accertamento/contestazione). Nel ricorso si dovranno articolare motivi di diritto e/o di fatto per annullare o ridurre l’atto.

Possibili motivi di ricorso in materia di redditi esteri:

  • Contestazione della residenza fiscale: si sostiene che il contribuente non era residente in Italia (ad es. perché domiciliato all’estero, iscritto AIRE tardivamente ma con sostanza all’estero). Si adducono le prove già viste e si invoca eventualmente l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni (i giudici tributari tengono conto delle tie-breaker rules: in passato pronunce hanno riconosciuto non dovute imposte italiane a chi provava il centro interessi all’estero). Norme da citare: art. 2 TUIR (criteri di residenza), Convenzione specifica, art. 169 TUIR e art. 75 DPR 600/73 (prevalenza diritto convenzionale sul nazionale). Cassazione ha più volte ribadito che l’iscrizione AIRE è elemento formale ma non decisivo: conta la effettiva residenza di fatto. Quindi un contribuente può vincere dimostrando di aver vissuto stabilmente all’estero nonostante l’omessa iscrizione AIRE.
  • Contestazione del merito dell’accertamento: ad esempio, l’ufficio presume un certo ammontare di redditi esteri in base ai dati finanziari (magari applicando la presunzione di cui al vecchio art. 12 DL 78/09 se ancora rilevante per anni pre-2016). Il contribuente può provare che i movimenti su quel conto non erano redditi imponibili ma trasferimenti di capitali già tassati o risparmi. Oppure, se l’ufficio ha ricostruito per via induttiva entrate estere, il contribuente può fornire in giudizio una ricostruzione analitica che contraddice. La prova contraria contro la presunzione che i capitali esteri siano redditi evasi è ammessa: occorre però dimostrare la diversa provenienza delle somme (ad es. documentare che un versamento su conto estero era un prestito ricevuto, come nel caso esaminato in Cass. 28077/2024 dove una parte dei fondi esteri era un finanziamento da società e fu riconosciuto non sanzionabile).
  • Vizi procedurali: verificare sempre se l’accertamento ha seguito la procedura corretta. Per i redditi esteri solitamente l’ufficio invia prima un questionario o invito (come nel caso in Cassazione citato); se ciò non fosse avvenuto, oppure se manca l’invito al contraddittorio obbligatorio (dal 2020 per i controlli fiscali il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio in certi casi, pena nullità dell’atto, salvo urgenza motivata). Un altro vizio può essere la notifica irregolare dell’atto (ad esempio se il contribuente è all’estero e l’atto non viene notificato correttamente via consolato o PEC).
  • Prescrizione/Decadenza: controllare gli anni accertati e le norme sui termini. Se, ad esempio, l’accertamento riguarda l’anno 2014 e l’atto è notificato dopo il 31/12/2019, potrebbe essere decaduto (a meno di raddoppio per reati). In Cass. 28077/2024 il contribuente eccepì proprio la decadenza del potere sanzionatorio per anni remoti e la non applicabilità del raddoppio termini ex DL 78/09. La Cassazione in quella sentenza ha affrontato la questione, e in generale oggi, come detto, per anni dal 2016 in poi niente raddoppio per esterovestizione, mentre per anni precedenti dipende se c’era reato. Se l’ufficio ha comunque agito oltre i termini consentiti, il ricorso su questo punto porterà all’annullamento totale.
  • Ne bis in idem e proporzionalità: si può sostenere in via subordinata che sommare la sanzione RW e infedele violi il principio del ne bis in idem sostanziale (divieto di doppia sanzione per lo stesso fatto). La Corte di Giustizia UE e la Corte EDU hanno talora sanzionato doppi binari sanzionatori. Tuttavia, la giurisprudenza italiana tende a ritenere le sanzioni amministrative tributarie e penali compatibili (vedi caso Grande Stevens per market abuse, e in ambito tributario per IVA i sistemi “doppi” sono stati rimodulati). Nel nostro caso, essendo due sanzioni amministrative, la difesa potrebbe invocare l’art. 4 Protocollo 7 CEDU ma è incerto l’esito: l’Amministrazione argomenterà che sono violazioni diverse (una dichiarativa, una sostanziale). Comunque, è un tema di possibile rilevanza europea che un legale ben informato potrebbe sollevare, almeno per provocare una riduzione sanzioni (magari chiedendo l’applicazione del cumulo giuridico come interpretazione conforme a CEDU). Ad oggi però non risultano sentenze definitive su ne bis in idem in questo specifico contesto.
  • Sproporzione sanzioni (art. 7 D.Lgs. 472/97): altra linea difensiva è appellarsi al principio di proporzionalità delle sanzioni. Se l’importo risulta esorbitante magari per tanti anni cumulati, si può chiedere al giudice una riduzione. Per esempio, se un contribuente ha dimenticato di indicare €20.000 su 10 anni: sanzione RW potenziale 3%*10=30% del capitale (6k€) + se su quei capitali ha evaso 26% di interessi, sanzione 120% su quel 26%. Si potrebbe sostenere che punire due volte è eccessivo. La CTR Piemonte in Cass. 28077/2024 aveva annullato le sanzioni proprio considerandole sproporzionate perché la violazione non aveva arrecato imposta evasa; la Cassazione però ha cassato tale approccio, ritenendo la sanzione legittima in quanto violazione non formale. Quindi i margini sono stretti, ma in qualche caso i giudici di merito potrebbero ridurre se la somma appare “manifestamente sproporzionata” (specie confrontandola con parametri UE).
  • Nel ricorso, il contribuente può richiedere la sospensione dell’atto se il pagamento immediato gli creerebbe danno grave. Il giudice, in caso di pericolo di grave danno patrimoniale, può sospendere la riscossione delle somme fino alla sentenza. Per le somme relative a sanzioni monitoraggio o imposte rilevanti, questa istanza è spesso opportuna (d’altronde, già presentare ricorso sospende automaticamente la riscossione oltre 1/3 dell’imposta accertata, ma non per le sole sanzioni).
  • Il processo tributario si svolgerà con scambio di memorie, discussione e sentenza. Se in primo grado l’esito è sfavorevole, il contribuente può appellare in secondo grado e infine eventualmente in Cassazione, seguendo le regole ordinarie.

Aspetti penali-tributari: bisogna considerare che per omissioni di una certa entità l’Agenzia delle Entrate, parallelamente all’accertamento, potrebbe trasmettere notizia di reato alla Procura della Repubblica (obbligatorio per reati tributari, art. 331 cpp). I reati potenzialmente configurabili in materia di redditi esteri:

  • Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs.74/2000): se il contribuente non ha presentato affatto la dichiarazione dei redditi pur essendo residente e le imposte evase superano €50.000. Caso non frequentissimo nelle lettere di compliance, poiché di solito hanno presentato qualcosa ma non tutto. Qualora succeda (ad es. contribuente che si è trasferito all’estero senza AIRE e non ha più dichiarato nulla in Italia), potrebbe scattare.
  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs.74/2000): se i redditi esteri non dichiarati hanno portato a evadere oltre €100.000 di imposta e superano il 10% del totale dichiarato o comunque > €2.000.000 di base non dichiarata. Esempio: Tizio dichiara €30.000 di redditi italiani, ma ne nasconde €300.000 esteri su cui avrebbe dovuto pagare €120.000 di IRPEF – qui soglia superata, reato punibile con reclusione 2 a 4.5 anni (aumento di 1/3 se paradisi fiscali).
  • Autoriciclaggio (art.648-ter1 c.p.): in ipotesi estreme, se i capitali esteri provengono da reati fiscali e il contribuente li ha occultati all’estero per reimpiegarli, potrebbe profilarsi anche questo, ma è più materia penale finanziaria.

Come gestire la difesa penale: se si è fatto ravvedimento prima dell’accertamento, come detto, i reati sopra sono non punibili per legge. Se invece arriva l’accertamento e si entra nel penale: la strategia migliore è comunque quella di estinguere il debito tributario il prima possibile. L’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede anche un’altra causa di non punibilità: per i reati di omesso versamento (non rilevanti qui) vale il pagamento integrale prima del dibattimento; per infedele/omessa dichiarazione (reati “dichiarativi” come i nostri) vale solo il ravvedimento prima dell’inizio di verifiche o accertamenti. Quindi tecnicamente, una volta notificato l’avviso di accertamento, quella via di non punibilità si chiude. Tuttavia, resta sempre possibile ottenere attenuanti significative se si paga tutto prima del giudizio penale: l’art. 13-bis D.Lgs. 74/2000 concede una circostanza attenuante speciale se il debito tributario (imposta + interessi + sanzioni amministrative) è pagato per intero, che può ridurre molto la pena. Inoltre, se si paga e si ricade sotto soglia, l’accusa può cadere.

Dal punto di vista pratico, quando si riceve la lettera di compliance, se si intravede il rischio di soglie penali, è caldamente consigliato agire subito con ravvedimento: ciò garantisce di evitare qualsiasi procedimento penale. Se invece si è già in fase di accertamento e la Procura viene coinvolta, conviene affidarsi a un legale penalista esperto di reati tributari. Spesso, la difesa penale punterà a dimostrare l’assenza dell’elemento doloso (es. il contribuente ignorava di dover dichiarare quei redditi, pensava fossero esenti, ecc.) oppure l’errore scusabile se norme complesse, per ottenere magari l’archiviazione. In parallelo, ripianare il dovuto aiuta anche in penale (a volte i PM chiedono il sequestro preventivo dei beni per assicurare il pagamento: se il contribuente ha già pagato, quel pericolo viene meno).

Il punto di vista del contribuente (debitore): conclusioni operative

Difendersi efficacemente dalle lettere di compliance su redditi esteri significa giocare d’anticipo, essere trasparenti e conoscere i propri diritti. Riassumendo i consigli chiave dal punto di vista del contribuente:

  • Non sottovalutare la lettera: ignorarla può portare a conseguenze ben peggiori. Anche se la lettera non è un atto ufficiale, rappresenta un chiaro segnale che il Fisco sa qualcosa.
  • Analizzare subito la propria posizione: verificare se l’anomalia segnalata è fondata. In caso di dubbio, consultare un esperto tributario. Spesso piccoli dettagli (come un credito d’imposta non indicato, o un conto cointestato) possono cambiare il quadro.
  • Agire tempestivamente: se c’è da regolarizzare, farlo al più presto per usufruire della massima riduzione delle sanzioni. Il ravvedimento entro 1 anno è più favorevole che dopo 3 anni, ad esempio. Ogni giorno di ritardo aumenta leggermente gli interessi dovuti e in generale peggiora la posizione.
  • Documentare tutto: se si ritiene di essere in regola, preparare un dossier documentale chiaro e completo da inviare all’Agenzia. Nel farlo, mantenere un tono collaborativo e rispettoso, ma fermo sui propri argomenti giuridici. Citare norme, circolari (ad es. la recente Circolare n. 20/E del 4/11/2024 in tema di residenza fiscale internazionale, che ha chiarito punti sul tie-breaker e va a favore del contribuente attento ai trattati), e magari giurisprudenza, può dimostrare all’ufficio che la questione è ben compresa e supportata.
  • Utilizzare i canali giusti: il servizio CIVIS Compliance è molto utile – traccia le comunicazioni ed evita malintesi. Se per esempio inviate via PEC, assicuratevi di avere ricevuta di consegna. Tenete copia di tutto.
  • Chiedere un confronto diretto se necessario: talvolta una riunione (anche da remoto) con i funzionari può risolvere dubbi. Se la questione è complessa (es. trust esteri, residenza complicata), meglio parlarne. La nuova impostazione dell’Agenzia è più dialogante in questa fase, proprio per aiutare la compliance.
  • Conoscere i propri limiti e opportunità: se l’ufficio ha ragione e l’importo è significativo, fare ravvedimento è la scelta più saggia. Se invece l’ufficio insiste ma siete convinti di avere ragione, sappiate di poter far valere le vostre ragioni in giudizio, dove il giudice terzo valuterà prove e convenzioni internazionali. In caso di contenzioso, valutate i costi/benefici (valore in gioco vs. spese legali, rischio penale, etc.) e magari provate prima una definizione agevolata se offerta (il legislatore a volte apre finestre di sanatoria, come nel 2023, e conviene approfittarne se siete borderline).
  • Aggiornarsi sulle norme: le regole in materia internazionale cambiano spesso. Ad esempio, l’esclusione della Svizzera dalla black list dal 2024 citata prima, o la possibile entrata in vigore di DAC8 per le cripto, etc. Un contribuente con asset esteri farebbe bene a seguire le novità o a farsi assistere continuativamente da un fiscalista, per evitare errori in origine.

Domande frequenti (FAQ) su lettere di compliance esteri – Domande & Risposte

D1: Che cos’è esattamente una “lettera di compliance” che ho ricevuto dall’Agenzia delle Entrate?
R: È una comunicazione non sanzionatoria con cui il Fisco ti segnala una presunta irregolarità nella tua dichiarazione, invitandoti a verificarla e a metterti in regola spontaneamente. In pratica, l’Agenzia ti informa di avere dati (spesso provenienti da banche estere via scambi internazionali) che indicano, ad esempio, redditi o investimenti all’estero non dichiarati. La lettera ti offre la chance di correggere l’errore senza subire subito un accertamento formale, beneficiando di sanzioni ridotte tramite ravvedimento operoso. Non è un atto impositivo (non devi pagar nulla immediatamente), ma è un campanello d’allarme da non ignorare.

D2: Ho ricevuto una lettera per “redditi di capitale esteri non dichiarati”. Cosa devo fare per regolarizzare?
R: Devi presentare una dichiarazione integrativa per l’anno in questione, includendo quei redditi esteri dimenticati, e versare la maggiore imposta dovuta su di essi. Contestualmente applichi il ravvedimento operoso: calcoli la sanzione per infedele dichiarazione (90% dell’imposta evasa) ridotta secondo i parametri di legge (ad es. 1/8 se sono passati oltre 1 anno), più gli interessi legali. Compili un modello F24 pagando imposta, sanzione ridotta e interessi. Infine invii il modello Redditi integrativo. Facendo ciò entro i termini indicati, la sanzione sarà molto bassa e non subirai ulteriori provvedimenti. Inoltre, se il ravvedimento avviene prima che il Fisco ti contesti ufficialmente il reato, sarai non punibile penalmente per tale omissione.

D3: Cosa succede se ignoro la lettera di compliance e non faccio nulla?
R: In assenza di tue azioni, l’Agenzia delle Entrate procederà con i normali controlli: molto probabilmente emetterà un avviso di accertamento per recuperare le imposte non dichiarate, applicando le sanzioni nella misura piena (senza alcuna riduzione). Potresti quindi ricevere dopo qualche mese un atto formale che ti intima il pagamento delle tasse evase più sanzioni del 120% (minimo) e interessi. Se erano coinvolte molte imposte (sopra soglia penale), l’Agenzia segnalerà il fatto alla Procura e potresti avere anche un procedimento penale per evasione fiscale. Inoltre, perdendo la possibilità del ravvedimento, non avrai più diritto agli sconti sulle sanzioni. In poche parole, ignorare la lettera aggrava molto la tua posizione: pagherai di più e rischierai anche conseguenze penali. Meglio quindi agire quando sei ancora in tempo per mitigare i danni.

D4: Entro quanto tempo devo rispondere o regolarizzare dopo aver ricevuto la lettera?
R: La lettera in genere suggerisce di dare un primo riscontro (o regolarizzarsi) entro 15 giorni o comunque “quanto prima”. I 15 giorni non sono un termine perentorio di legge, ma rispettarli è fortemente consigliato. Se non riesci a completare tutto (es. hai bisogno di più tempo per la dichiarazione integrativa), almeno contatta l’ufficio entro quel termine, manifestando l’intenzione di aderire o spiegando la situazione. Ciò potrebbe farti guadagnare tempo e mostrarti collaborativo. In ogni caso, il ravvedimento operoso rimane esercitabile anche oltre (finché l’ufficio non ti notifica un atto). Tieni presente però che se il Fisco, passati quei giorni, elabora già l’accertamento, potresti trovarti fuori gioco per il ravvedimento su quell’anno. Quindi la finestra effettiva è breve; muoviti velocemente.

D5: La lettera parla di “scambio automatico di informazioni – CRS”. Che significa?
R: Significa che l’anomalia è emersa grazie ai dati che la tua banca estera (o altro intermediario estero) ha comunicato alle autorità fiscali estere, le quali a loro volta li hanno trasmessi all’Italia tramite il sistema Common Reporting Standard. In pratica, la tua banca all’estero ha riferito che tu, residente in Italia, hai un conto con tot saldo e tot interessi, e l’Agenzia delle Entrate ha confrontato quell’informazione con la tua dichiarazione, non trovando corrispondenza. Lo scambio automatico CRS è un accordo internazionale che consente questo flusso di dati annuale tra decine di Paesi. Quindi il Fisco italiano non ha bisogno di indagini sul posto: riceve automaticamente i dati finanziari dall’estero. La lettera te lo cita per trasparenza e per farti capire che l’informazione è attendibile (fornita dalla banca estera stessa).

D6: Io però nel 2019 ero residente all’estero, anche se non avevo fatto l’AIRE. La lettera mi chiede di dichiarare redditi esteri del 2019: devo farlo?
R: Se riesci a dimostrare che nel 2019 la tua residenza fiscale era effettivamente all’estero (nonostante la mancata iscrizione all’AIRE), allora in teoria non eri tenuto a dichiarare quei redditi in Italia. Dovrai comunicarlo all’Agenzia, fornendo le prove: ad esempio il certificato di residenza fiscale rilasciato dallo Stato estero per il 2019, bollette, contratto di lavoro estero, ecc.. Dovrai anche invocare l’applicazione dell’eventuale Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e quell’altro Stato, che con i criteri tie-breaker assegna la residenza a uno solo dei due (abitazione permanente, interessi vitali, soggiorno). Se l’ufficio accetta la tua tesi, non dovrai fare integrativa (perché quei redditi non erano imponibili in Italia). Se invece l’ufficio insiste che eri residente in Italia, potresti dover pagare e poi eventualmente far valere le tue ragioni in contenzioso. In ogni caso, non ignorare la lettera: rispondi subito spiegando la situazione. L’iscrizione all’AIRE è un elemento formale: contano i fatti. Molti hanno vinto in giudizio dimostrando la residenza estera di fatto nonostante AIRE mancante, ma è un percorso da gestire con attenzione, possibilmente con un legale, perché l’Agenzia in prima battuta tende a considerarti residente se non eri iscritto all’AIRE.

D7: Ho già dichiarato in Italia quei redditi esteri (li avevo inseriti nel quadro RL come “altri redditi”). Perché mi arriva la lettera lo stesso?
R: Potrebbe trattarsi di un disallineamento nei dati. Forse i redditi li hai dichiarati ma in modo tale che il sistema non li ha riconosciuti. Ad esempio, se hai dichiarato un reddito estero al lordo e poi credito d’imposta estero, talvolta l’incrocio automatico può fallire. Oppure hai usato un codice differente. In questi casi, la cosa migliore è rispondere all’ufficio tramite CIVIS, spiegando: “I redditi segnalati (es. interessi da conto estero) in realtà sono stati inclusi nella dichiarazione al rigo X come redditi diversi”, allegando copia della dichiarazione presentata. L’ufficio così potrà verificare e, se conferma la corrispondenza, considererà la situazione già regolare e annullerà l’anomalia. È importante farlo per evitare che per un mero equivoco ti arrivi un accertamento infondato.

D8: La lettera riguarda un conto estero cointestato con il mio coniuge, e ciascuno di noi ha ricevuto la stessa comunicazione per l’intero importo. Non rischiamo di pagare due volte?
R: Questo è un caso frequente di “doppia segnalazione”. L’Agenzia potrebbe avere ricevuto il dato del conto cointestato e lo associa interamente a ciascun cointestatario (perché ai fini CRS ogni titolare effettivo è riportato sull’intero saldo). Ovviamente, se regolarizzate, dovrete dichiarare ciascuno la propria quota parte (di solito il 50%). È opportuno che entrambi segnaliate all’ufficio il fatto della cointestazione, per chiarire che non si tratta di due conti diversi ma di uno solo condiviso. In sede di integrativa, ognuno dichiarerà il 50% del valore del conto in RW e i redditi pro-quota. L’importante è non ignorare pensando “se ne occuperà l’altro”: formalmente entrambi siete responsabili della dichiarazione della vostra quota. Segnalando subito all’Agenzia, eviterete che calcolino due volte l’imposta sull’intero. L’ufficio, compresa la situazione, potrebbe persino emettere un solo atto condiviso o comunque coordinare la verifica. In sintesi: comunicate l’informazione e regolarizzate ciascuno per la propria parte.

D9: Quali sono le sanzioni precise se mi faccio trovare in difetto?
R: Se non correggi spontaneamente e l’Agenzia ti contesta ufficialmente le violazioni, andrai incontro a:

  • Sanzione per omessa dichiarazione RW: tra il 3% e il 15% dell’intero importo degli investimenti esteri non dichiarati, per ciascun anno (raddoppiata 6%-30% se paese black list). L’ufficio in genere applica il minimo edittale se sei collaborativo, altrimenti può salire.
  • Sanzione per infedele dichiarazione di redditi: tra il 90% e il 180% dell’imposta evasa sui redditi esteri, aumentata di 1/3 essendo esteri (quindi effettivamente 120%-240%). Anche qui spesso applicano il minimo (120% dell’imposta evasa).
    Queste due sanzioni, come chiarito nel 2025 dalla Cassazione, si sommano e non vengono unificate. Quindi, ad esempio, se non hai dichiarato €10.000 di interessi esteri (imposta evasa ~€2.600) e un conto di €100.000, potresti vederti applicare ~€3.000 di sanzione RW (3%) + ~€3.120 di sanzione infedele (120% di 2.600). Totale ~€6.120, oltre a dover pagare i €2.600 di imposta e interessi. Se però regolarizzi spontaneamente, pagheresti solo circa 1/8 delle sanzioni: nell’esempio, ~€765 (invece di 6.120) – vedi la differenza! In caso di definizione bonaria (adesione) successiva, potresti avere sanzioni ridotte a 1/3 di 6.120 = ~€2.040. Se vai in giudizio e vinci su qualcosa, potresti ridurle ulteriormente o annullarle. Ma in linea generale queste sono le cifre con cui fare i conti. Ovviamente se gli importi sono più grandi, la sanzione cresce proporzionalmente. Ricorda infine la sanzione fissa minima di €258 se presenti RW entro 90gg dal termine (caso tardivo lieve).

D10: Posso andare in contro a un procedimento penale?
R: Sì, se l’ammontare dei redditi esteri non dichiarati è elevato oltre soglia, scatta il reato di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione. In particolare: se l’imposta evasa supera €100.000 (e i redditi non dichiarati >10% del totale o >€2 mln) c’è il reato di dichiarazione infedele (punibile con reclusione fino a 4 anni e mezzo); se addirittura non hai presentato la dichiarazione e l’imposta evasa >€50.000 c’è omessa dichiarazione (fino a 5 anni di reclusione). Però c’è una valvola di sicurezza: se paghi tutto il dovuto spontaneamente prima che ti sia formalmente notificato un controllo o un’indagine, non sei punibile penalmente (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Ciò significa che se ricevi la lettera di compliance e ti ravvedi pagando, il capitolo penale è chiuso sul nascere. Se invece arrivi all’accertamento, potresti comunque evitare il carcere pagando il dovuto prima del dibattimento (in quel caso la punibilità per infedele non è più automatica, ma il pagamento integrale può condurre a patteggiamenti con pene molto basse o alla causa di non punibilità introdotta nel 2023 per chi rateizza e paga entro termini dati). In ogni caso, la prevenzione è fondamentale: meglio risolvere prima. Se ti trovassi comunque sotto procedimento penale (ad es. perché l’Agenzia ha inviato denuncia per importi grandi), sarà indispensabile un avvocato penalista esperto. Ma, ripetiamo, attivando il ravvedimento operoso nei tempi della lettera, neutralizzi quasi completamente il rischio penale.

D11: Se pago quanto richiesto nell’accertamento, poi posso fare causa per riavere i soldi?
R: In teoria sì, puoi pagare un avviso di accertamento (o aderire) e successivamente presentare ricorso per il rimborso se ritieni non dovute le somme. Tuttavia, è una strategia poco comune e con insidie procedurali: una volta che hai accettato/versato, il giudice potrebbe considerare che hai prestato acquiescenza. Formalmente, potresti pagare per evitare more o sanzioni maggiori e poi impugnare come “atto impugnabile il diniego implicito di rimborso”, ma è complesso. Più lineare è presentare ricorso e chiedere sospensione per non pagare subito almeno le sanzioni e i 2/3. Se temi il penale e vuoi pagare per quello, sappi che il pagamento può essere fatto anche durante il processo penale per estinguere il reato (entro il dibattimento di primo grado). Quindi, la strada usuale è: o definisci in adesione (e allora rinunci al contenzioso) o fai ricorso senza pagare (salvo 1/3 imposte che è obbligatorio). Pagare e poi litigare è rischioso, perché potresti perdere il diritto al ricorso se non lo presenti nei termini. Quindi, valuta bene con un tributarista: di solito, se vuoi contestare, non paghi tutto subito ma impugni; se vuoi chiudere, aderisci o acquiesci e non contesti più. Fare entrambe le cose potrebbe incasinare la posizione processuale.

D12: In futuro come posso evitare di trovarmi in queste situazioni?
R: La lezione è chiara: se sei residente fiscale in Italia, devi dichiarare annualmente tutti i tuoi redditi esteri e monitorare tutte le attività detenute all’estero. Non dare per scontato che certi redditi “non li scopriranno”: con CRS e FATCA, li scopriranno. Fai attenzione anche ai piccoli conti PayPal, alle piattaforme di trading, alle cripto su exchange stranieri: entro pochi anni anche quelle informazioni saranno scambiate. Quindi, il consiglio è di essere diligente nella compilazione del Quadro RW e dei quadri reddituali: segnala i conti anche se sotto la soglia (male non fa, e se poi superi 15k a metà anno rischi sanzione se non li avevi indicati). Assicurati di capire la convenzione fiscale: se hai un reddito tassato all’estero e non imponibile in Italia per convenzione, indicalo magari in dichiarazione tra i redditi esenti o annotazioni, così resta traccia e non avrai noie. Se ti trasferisci davvero all’estero, iscriviti all’AIRE immediatamente e informa l’AdE se ti arrivano lettere erronee. In sostanza, giocare a carte scoperte con il Fisco – per quanto possa costare in termini di tasse – nel medio termine è più sicuro ed economico che cercare di nascondere e poi incorrere in sanzioni elevate. Per investimenti rilevanti, valuta di affidarti a un fiscalista esperto in internazionale che possa annualmente controllare la tua dichiarazione (spesso le lettere arrivano anche per errori banali di compilazione, che un esperto avrebbe evitato). Con il mondo odierno, la compliance fiscale internazionale non è più facoltativa; tanto vale gestirla proattivamente.

Fonti e Riferimenti Normativi

  • Normativa italiana:
    • D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito con mod. in L. 4 agosto 1990, n. 227 – “Rilevazione ai fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”. In particolare, art. 4 (obbligo di monitoraggio attività estere) e art. 5 (sanzioni per violazione monitoraggio).
    • D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – art. 2 (criteri di residenza fiscale delle persone fisiche) e art. 3 (principio della tassazione mondiale dei residenti).
    • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 – art. 1 (sanzioni per infedele dichiarazione) c.2 e c.3 (aumento 1/3 per attività estere).
    • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – art. 13 (ravvedimento operoso) e art. 12 (cumulo giuridico delle sanzioni).
    • D.Lgs. 74/2000 – art. 4 (reato di dichiarazione infedele), art. 5 (reato di omessa dichiarazione), art. 13 (cause di non punibilità per pagamento del debito tributario).
    • D.L. 1° luglio 2009, n. 78, art. 12, co. 2 – presunzione di redditività capitali esteri e raddoppio termini accertamento (in vigore per annualità fino al 2015). Abrogato dall’art. 2, c.36-vicies quater, DL 16/2012 e modifiche L. 208/2015.
    • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente) – art. 10, co.3 (non punibilità violazioni formali senza impatto d’imposta). N.B.: non applicabile alle omesse RW secondo Cassazione.
    • Convenzioni per evitare le doppie imposizioni Italia-XX (specifiche per paese, ad es. Convenzione Italia-Svizzera, Italia-UK, etc.), in particolare art. 4 (residenza fiscale) e relative tie-breaker rules.
    • Provvedimento Agenzia Entrate n. 40601 del 24/02/2022 – “Estensione delle comunicazioni per la promozione della compliance fiscale – annualità d’imposta 2017-2018”. (Ha avviato l’invio massivo di lettere per redditi esteri emersi da CRS).
    • Circolare Agenzia Entrate n. 19/E del 8 agosto 2019Linee guida contrasto evasione 2019-2021. Contiene istruzioni sulla gestione delle lettere di compliance estero: es. in caso di contestazione sulla titolarità/ammontare investimenti esteri, l’ufficio valuta documentazione del contribuente e può coinvolgere lo Stato estero.
    • Circolare Agenzia Entrate n. 10/E del 13 luglio 2015 – chiarisce che l’obbligo RW si estende a investimenti esteri anche senza redditi e che dal 2015 non opera più il raddoppio termini monitoraggio in caso di collaborazione volontaria (voluntary disclosure).
    • Circolare Agenzia Entrate n. 20/E del 4 novembre 2024“Commento alle novità in tema di residenza fiscale e lavoratori impatriati”. Ha chiarito che la prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è pacifica (art.169 TUIR) e ribadito criteri per doppia residenza, evidenziando abitazione permanente, interessi vitali, etc., per tie-breaker. Utile nei contenziosi di residenza estero.
    • Convenzione Multilaterale OCSE sullo scambio automatico di informazioni finanziarie firmata a Berlino il 29/10/2014 (Common Reporting Standard – CRS). Recepita in UE con Dir. 2014/107/UE (DAC2) e in Italia con D.Lgs. 29/2017.
    • Accordo Italia-USA FATCA, ratificato con L. 18 giugno 2015, n. 95, e Provv. Ag. Entrate 2015 per attuazione.
  • Giurisprudenza recente:
    • Cassazione Civ., Sez. Trib., ordinanza 14 marzo 2025 n. 6752: ha escluso l’applicabilità del cumulo giuridico tra sanzione monitoraggio RW (art.5 DL 167/90) e sanzione infedele dichiarazione (art.1 D.Lgs.471/97). Ha affermato che si tratta di distinte violazioni commesse con azioni diverse, poiché la dichiarazione dei redditi e il quadro RW infedele costituiscono omissioni eterogenee. L’art.12 D.Lgs.472/97 consente il cumulo solo per una medesima azione lesiva di più norme. (Sentenza di riferimento per sanzioni cumulate in materia estera).
    • Cassazione Civ., Sez. Trib., sentenza 30 ottobre 2024 n. 28077/5: ha stabilito che l’omessa indicazione di attività finanziarie estere nel Quadro RW non è violazione meramente formale, ma sostanziale, rispondendo alla finalità di monitoraggio dei flussi finanziari esteri. Ha ritenuto legittima la sanzione 5% (ratione temporis) applicata anche se l’omissione non comportava evasione d’imposta. Nella vicenda, per gli anni 2005-2006 il contribuente aveva omesso RW su movimenti esteri; l’Agenzia aveva applicato sanzione 5% minimi con cumulo giuridico tra anni. La Cassazione ha cassato la decisione di merito che le aveva annullate per sproporzione, ribadendo che l’obbligo RW ha rilevanza autonoma e le sanzioni sono dovute anche se l’Erario non ha perso imposta. Importante anche per confermare che dopo il 2010 (DL 78/09) i termini di accertamento per RW erano raddoppiati per paesi black list, salvo modifiche 2015.
    • Cass. ord. 17 febbraio 2022 n. 5501: ha escluso l’operatività del raddoppio termini accertamento in mancanza di superamento soglie penali. Nella sostanza, per le annualità fino al 2015 il raddoppio per investimenti black list opera solo se c’è stata concreta presentazione di denuncia penale entro termini ordinari (recependo principi del DLgs 128/2015). (Sentenza non direttamente sugli esteri, ma su principio del raddoppio in generale).
    • CTR Lombardia, sent. 2674/2021: esempio di giudizio di merito che ha riconosciuto la non imponibilità in Italia di redditi esteri per contribuente non iscritto AIRE ma residente di fatto all’estero, applicando tie-breaker della Convenzione (abitazione permanente all’estero) e annullando accertamento italiano. (Indicativa tendenza merito).
    • Corte EDU, sentenza Grande Stevens vs. Italia (2014): ha sancito il divieto di doppio procedimento penale/amministrativo per i medesimi fatti (in quel caso, manipolazione mercato). In ambito tributario, combinato a sentenza A e B vs. Norvegia (2016) che ha ammesso doppio binario “sufficientemente coordinato”. Per ora, sanzioni tributarie amministrative + penali restano entrambe possibili in Italia, ma il dibattito è aperto.

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Con lo scambio automatico di informazioni internazionali (CRS), l’Agenzia delle Entrate conosce ormai tutti i movimenti e le posizioni finanziarie detenute all’estero. Ma non sempre i dati sono corretti e non tutte le omissioni sono sanzionabili.


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Conclusione

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