Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate? Il Fisco ti segnala delle anomalie, delle incongruenze o dei presunti errori nelle dichiarazioni già presentate? Ti stai chiedendo se sei obbligato a rispondere, cosa comporta e come puoi difenderti?
La lettera di compliance non è un accertamento, ma rappresenta un invito a fornire chiarimenti o a regolarizzare spontaneamente la posizione fiscale. Ignorarla può però portare a conseguenze gravi, come avvisi di accertamento con sanzioni più alte. Rispondere in modo corretto, invece, ti consente spesso di evitare il contenzioso.
Quando può arrivare una lettera di compliance?
– Se ci sono disallineamenti tra dichiarazione dei redditi e dati in possesso dell’Agenzia
– Se risultano redditi esteri non dichiarati o non compilato il quadro RW
– In caso di omessa fatturazione, anomalie nei corrispettivi o incassi elettronici
– Se l’Agenzia ha rilevato incongruenze tra dichiarazione IVA e pagamenti F24
– In presenza di indici sintetici di affidabilità (ISA) anomali
Cosa ti chiede la lettera di compliance?
– Di verificare la tua posizione alla luce degli elementi indicati
– Di fornire chiarimenti entro un termine (di solito 15 giorni)
– Di regolarizzare, se riconosci l’errore, tramite ravvedimento operoso
Cosa succede se ignori la lettera?
– L’Agenzia può emettere un avviso di accertamento con sanzioni più elevate
– Perderai il beneficio della riduzione delle sanzioni prevista in caso di ravvedimento
– Potresti subire accertamenti bancari o controlli approfonditi
– La tua posizione fiscale potrebbe essere segnalata alla Centrale Rischi
Come difendersi e rispondere in modo efficace?
– Verifica con attenzione le anomalie indicate nella lettera
– Consulta il tuo cassetto fiscale e confronta i dati dichiarati
– Se l’anomalia è reale ma non grave, valuta il ravvedimento operoso per regolarizzare con sanzioni minime
– Se invece ritieni che la segnalazione sia infondata, predisponi una risposta documentata
– In caso di errori formali o dati non aggiornati, spiega la situazione con precisione e allega prove
– Se il rischio è elevato, chiedi assistenza legale per evitare errori che possono aggravare la posizione
Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– Chiusura della posizione senza accertamento, se fornisci chiarimenti esaustivi
– Accesso al ravvedimento operoso, con sanzioni ridotte fino a 1/9 del minimo
– Prevenzione di accertamenti futuri, anche per annualità successive
– Tutela della tua immagine fiscale, soprattutto se sei imprenditore o professionista
Una lettera di compliance non va sottovalutata: è un’occasione per risolvere un potenziale contenzioso prima che inizi, ma va gestita con attenzione, metodo e – se serve – supporto legale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in accertamenti, ravvedimenti e difesa tributaria ti spiega come reagire a una lettera di compliance, quando regolarizzare e quando opporsi.
Hai ricevuto una segnalazione dall’Agenzia delle Entrate? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione e ti diremo se e come rispondere, per evitare sanzioni e proteggere il tuo profilo fiscale.
Introduzione
Una “lettera di compliance” dell’Agenzia delle Entrate – chiamata formalmente comunicazione per la promozione dell’adempimento spontaneo – è un avviso non sanzionatorio inviato al contribuente per segnalare possibili anomalie o discrepanze nella sua posizione fiscale. In altre parole, l’Agenzia riscontra che alcuni redditi, ricavi o altri elementi potrebbero non essere stati dichiarati correttamente e invita il contribuente a verificarli. Lo scopo è favorire la collaborazione e la regolarizzazione volontaria (“tax compliance”) prima di emettere atti formali di accertamento.
Ricevere una simile comunicazione non equivale ad un avviso di accertamento: la lettera di compliance ha carattere informativo e preventivo, non impone pagamenti immediati né sanzioni definitive. Essa offre però al contribuente un’opportunità: sanare spontaneamente eventuali violazioni (ad esempio presentando una dichiarazione integrativa e pagando il dovuto con sanzioni ridotte) oppure fornire chiarimenti se ritiene di essere in regola. In entrambi i casi, agendo in questa fase si può evitare che l’anomalia si traduca in futuro in un avviso di accertamento vero e proprio.
In questa guida approfondiremo in dettaglio come difendersi da una lettera di compliance dal punto di vista del contribuente (sia esso un privato cittadino, un imprenditore o una società). Vedremo la normativa di riferimento, il contenuto tipico di queste comunicazioni, e le strategie per reagire correttamente: regolarizzare gli errori con i benefici previsti, fornire le proprie ragioni e documentazione, o eventualmente prepararsi a contestare formalmente solo in seguito. Saranno analizzati i profili giuridici e tecnici – incluse le conseguenze penali in caso di evasione significativa – con un taglio avanzato ma dal linguaggio chiaro e comprensibile.
Troverete inoltre tabelle riepilogative (ad es. sulle differenze tra lettera di compliance e altri atti fiscali, sulle sanzioni applicabili nelle varie fasi, sui principali reati tributari e relative soglie) e una sezione di domande e risposte frequenti. Il tutto è aggiornato a luglio 2025, con riferimenti a norme e prassi più recenti e con citazione di sentenze attuali e documenti ufficiali autorevoli. L’obiettivo è fornire una guida completa per contribuente e professionisti, in modo da affrontare con consapevolezza una lettera di compliance dell’Agenzia delle Entrate e difendere al meglio i propri diritti, beneficiando degli strumenti di collaborazione messi a disposizione dalla legge.
Normativa di riferimento sulla compliance fiscale
Le lettere di compliance sono frutto di una strategia introdotta a partire dal 2015, con l’obiettivo di migliorare il rapporto Fisco-contribuente attraverso forme di comunicazione preventiva. La Legge 23 dicembre 2014 n.190 (Legge di Stabilità 2015) ha previsto ai commi 634-636 dell’art.1 che l’Agenzia delle Entrate metta a disposizione del contribuente (anche tramite tecnologie telematiche) gli elementi e le informazioni in suo possesso relativi a possibili anomalie, affinché il contribuente possa prenderne conoscenza e correggere spontaneamente errori od omissioni. In pratica, la norma ha istituzionalizzato l’invio di comunicazioni contenenti i dati in possesso del Fisco su redditi, ricavi, volume d’affari, ecc., che risultano non coerenti con quanto dichiarato dal contribuente, dando a quest’ultimo la chance di segnalare eventuali elementi non conosciuti al Fisco o di regolarizzare la propria posizione.
La stessa legge ha demandato a provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate la definizione delle modalità attuative di tali comunicazioni. Negli anni, l’Agenzia ha quindi emanato una serie di provvedimenti attuativi per diverse tipologie di anomalie e periodi d’imposta. Ad esempio, un Provvedimento del 12 giugno 2024 ha individuato gli elementi da comunicare ai soggetti che non hanno presentato la dichiarazione IVA 2023 o l’hanno presentata incompleta, utilizzando i dati delle fatture elettroniche emesse e dei corrispettivi telematici per rilevare le omissioni. Allo stesso modo, con Provvedimenti successivi vengono annualmente attivate campagne di compliance su vari fronti (omessi redditi nelle dichiarazioni dei redditi, anomalie negli indici ISA, mancata registrazione di aiuti di Stato, ecc.), sempre in attuazione della norma originaria del 2014.
Un aspetto normativo fondamentale è che la legge del 2014 ha modificato le disposizioni sul ravvedimento operoso (art.13 D.Lgs. 472/1997) per favorire la regolarizzazione post-comunicazione. In particolare è stato inserito nell’art.13 il comma 1-ter, il quale stabilisce che – per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate – non opera la preclusione al ravvedimento dovuta alla constatazione della violazione, fintanto che non siano notificati atti di liquidazione o di accertamento (comprese le comunicazioni ex artt.36-bis, 36-ter DPR 600/1973 e 54-bis DPR 633/1972). Ciò significa che la ricezione di una lettera di compliance non preclude affatto il ravvedimento operoso per sanare l’irregolarità segnalata – anzi, è proprio quanto auspicato – mentre invece la notifica di un avviso bonario o di un atto impositivo formale blocca la possibilità di avvalersi del ravvedimento su quella specifica violazione. In altre parole, finché siamo nella fase “bonaria” della compliance, il contribuente mantiene intatto il diritto di ravvedersi con sanzioni ridotte.
Dal 2015 in poi il ravvedimento operoso stesso è stato potenziato e reso più flessibile. Le modifiche normative (Legge 190/2014 e successivi decreti attuativi) hanno eliminato i vecchi limiti annuali: oggi è possibile ravvedersi anche oltre un anno dalla violazione, fino a quando non intervenga un atto impositivo o un controllo formale avviato dal Fisco. Sono state introdotte nuove misure di riduzione delle sanzioni commisurate al tempo trascorso dall’omissione. Ad esempio, per errori sanati entro 90 giorni la sanzione è 1/9 del minimo, entro un anno 1/8, entro due anni 1/7 e oltre due anni 1/6 del minimo edittale. Ciò consente, come vedremo, di applicare sanzioni ridotte (anche a 1/6) in sede di compliance, anche se l’errore risale a più di due anni prima.
Infine, va ricordato che il Decreto Legislativo 24/2015 n.158 (riforma delle sanzioni) e normative successive hanno rivisto l’entità delle sanzioni di base per alcune violazioni: in particolare la sanzione per dichiarazione infedele (omessa indicazione di redditi) è stata recentemente ridotta dal 90% al 70% dell’imposta evasa per le violazioni commesse dal 2024 in avanti. Analogamente la sanzione per omesso versamento è scesa dal 30% al 25%. Questi cambiamenti (introdotti dal D.Lgs. 14 giugno 2024 n.87) rendono ancora più convenienti i ravvedimenti dal 2024 in poi, perché la base su cui applicare la riduzione è più bassa (ad esempio, un’imposta non dichiarata nel 2024 sconta una sanzione base del 70% anziché 90%, riducibile a 1/6 ≈ 11,67%). Tuttavia, per le violazioni riferite ad anni precedenti restano applicabili le aliquote previgenti (es. 90% minimo per infedele fino al 2023, 30% per omesso versamento fino ad agosto 2024, ecc.).
Riassumendo i riferimenti chiave:
- Legge 190/2014, art.1 commi 634-636: istituisce le comunicazioni di compliance e prevede il provvedimento attuativo; sancisce lo scambio di informazioni preventivo col contribuente.
- Art.13 D.Lgs. 472/1997 (ravvedimento): modificato dalla L.190/2014 (commi 637 e seguenti) per consentire ravvedimento anche dopo rilievi del Fisco, finché non vi sia atto formale notificato. Introduzione delle nuove frazioni di riduzione sanzioni (1/9, 1/8, … 1/6).
- Provvedimenti del Direttore AE: es. Provv. n.264078/2024 (omessa dichiarazione IVA 2023); Provv. n.221010/2024 (irregolarità “Aiuti di Stato”); Provv. vari annuali per anomalie dichiarative (redditi non dichiarati, ISA, etc.). Questi atti definiscono in concreto i dati incrociati e le modalità di comunicazione (PEC, cassetto fiscale, etc.).
- Statuto del Contribuente (L.212/2000): pur non disciplinando direttamente le lettere di compliance, fornisce i principi generali di collaborazione e buona fede tra Fisco e contribuente (art.10) e trasparenza nell’attività amministrativa. Le comunicazioni di compliance si inseriscono in questo solco di leale cooperazione prima dell’azione autoritativa.
Caratteristiche della lettera di compliance e differenze con altri avvisi
Una lettera di compliance non è un atto impositivo né un provvedimento sanzionatorio: si tratta di una comunicazione informale con cui l’Agenzia delle Entrate avvisa il contribuente di una presunta anomalia. Questo la distingue nettamente da documenti come la comunicazione di irregolarità (cd. avviso bonario) o l’avviso di accertamento. Vediamo le differenze in sintesi:
- Lettera di compliance: È preventiva e volontaria. Segnala un’anomalia (es: redditi non dichiarati, incoerenze IVA, ecc.) e invita il contribuente a verificare. Non quantifica formalmente imposte da versare né impone sanzioni in questa fase. Non è impugnabile, in quanto non contiene una pretesa definita. Consente al contribuente di regolarizzare spontaneamente con ravvedimento (sanzioni ridotte) o di spiegare perché ritiene la dichiarazione corretta. Se il contribuente agisce, può evitare del tutto un successivo accertamento. Se il contribuente non fa nulla, non subisce conseguenze immediate: la lettera non è un atto esecutivo, ma l’Agenzia potrà in seguito emettere un accertamento vero e proprio sulla base dei dati segnalati.
- Comunicazione di irregolarità (Avviso “bonario”): È emessa a seguito di controlli automatizzati sulle dichiarazioni (ex art.36-bis DPR 600/73 e 54-bis DPR 633/72). In pratica, quando dal controllo automatizzato risultano errori materiali o versamenti insufficienti, l’Agenzia invia questa comunicazione con l’indicazione delle imposte dovute, interessi e sanzioni (normalmente ridotte al 10% se pagate entro 30 gg). Pur essendo “bonario” nel tono, in realtà quantifica un debito preciso: se il contribuente paga, si sistema con sanzioni ridotte; se non paga o non segnala correzioni, dopo 30 giorni la comunicazione si trasforma in un ruolo esecutivo (cartella di pagamento). È impugnabile? Tradizionalmente no, perché non era un atto impositivo definitivo. Tuttavia una recente evoluzione giurisprudenziale (Cass. SS.UU. n.9542/2017) ha ammesso l’impugnabilità immediata degli avvisi bonari in alcune circostanze, considerando che contengono già una pretesa definita. In ogni caso, l’avviso bonario preclude il ravvedimento: essendo già stato riscontrato l’errore e notificata la comunicazione con somme dovute, non è più possibile ravvedersi su quell’omissione. Il contribuente può però correggere eventuali errori presentando deduzioni o documenti all’Agenzia entro 30 giorni.
- Avviso di accertamento: È l’atto formale con cui l’Agenzia accerta una maggiore imposta (IRPEF, IRES, IVA, registro, ecc.) rispetto al dichiarato, applicando sanzioni piene (ad es. 90% dell’imposta evasa per infedele dichiarazione, o altra percentuale prevista) e interessi. Viene notificato al contribuente a chiusura di un controllo (automatico, formale o accertamento vero e proprio) e ha forza impositiva: se non impugnato né definito, diventa definitivo e quindi esecutivo (passa alla riscossione coattiva). È impugnabile davanti al giudice tributario entro 60 giorni. In alcuni casi, prima della notifica dell’accertamento l’ufficio deve attivare un contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio (es: accertamenti da studi di settore/ISA, ovvero l’invito a comparire); ma ciò è distinto dalla lettera di compliance volontaria. Dopo la notifica, il contribuente può definire l’accertamento mediante adesione o acquiescenza per ottenere sconti sulle sanzioni (vedremo oltre), oppure fare ricorso. Un avviso di accertamento impedisce il ravvedimento (a quel punto l’errore è constatato) e rappresenta la pretesa fiscale ufficiale contro cui eventualmente difendersi in giudizio.
Possiamo riassumere alcune differenze chiave in tabella:
Caratteristica | Lettera di compliance | Avviso bonario (36-bis) | Avviso di accertamento |
---|---|---|---|
Natura | Comunicazione informativa, invito a regolarizzare | Comunicazione esito controllo automatico, con somme dovute | Atto impositivo formale (accertamento) |
Contenuto | Segnalazione di anomalie (no quantificazione ufficiale del tributo dovuto); invito a correggere errori o a dare spiegazioni | Calcolo delle maggiori imposte dovute, interessi e sanzioni ridotte (tipicamente 10%) | Accertamento di maggior imposta + sanzione piena (es. 70–90% imposta evasa) + interessi; motivazione dell’atto |
Effetto immediato | Nessun obbligo di pagamento immediato; nessuna sanzione irrogata in questa fase | Obbligo di pagare entro 30 giorni per evitare iscrizione a ruolo; se si paga importi ridotti, altrimenti seguirà cartella | Obbligo di pagare entro termini per evitare ulteriori interessi/mora; esecutivo dopo 60 giorni se non impugnato |
Ravvedimento operoso | Consentito: la lettera non preclude il ravvedimento (nemmeno se anomalia già nota al Fisco) | Non consentito: la notifica del 36-bis blocca il ravvedimento su quei rilievi | Non consentito dopo notifica (violazione già accertata); possibili altre definizioni (adesione, ecc.) |
Impugnabilità | Non impugnabile: non è atto impositivo (il contribuente non può fare ricorso, deve attendere eventuale accertamento). | In genere no, salvo eccezioni giurisprudenziali; normalmente si impugna l’atto successivo (ruolo/cartella) se si contesta. | Impugnabile entro 60 gg davanti alla Commissione/“Corte” Tributaria. |
Come difendersi | Verificando i dati; se corretti, presentando dichiarazione integrativa e pagando sanzioni ridotte; se si ritiene errore del Fisco, fornendo elementi chiarificatori (via CIVIS, PEC, ecc.). Nessuna sanzione se chiarimenti accettati; nessun atto se tutto ok. | Controllare la liquidazione; se errore dell’Agenzia, segnalare entro 30 gg chiedendo sgravio in autotutela; altrimenti, pagare per evitare aggravio. Possibile chiedere rateazione (per importi >5.000€). | Valutare adesione all’accertamento (riduzione sanzioni a 1/3) o acquiescenza (pagamento entro 60 gg con sanzioni ridotte a 1/3); in alternativa preparare ricorso in Commissione Tributaria contestando nel merito o su vizi formali. |
In sintesi, la lettera di compliance è un alert collaborativo: mette in guardia il contribuente che qualcosa non quadra nei dati dichiarati e gli dà la possibilità di giocare d’anticipo. Non c’è (ancora) una pretesa fiscale esigibile, ma solo un “consiglio forzato” a verificare e correggere. Si tratta di una fase in cui il tempo gioca a favore del contribuente: finché si è in regime di compliance bonaria, è ancora possibile il ravvedimento e si può chiarire tutto direttamente con l’ufficio. Al contrario, se si ignora la lettera, si rischia un successivo accertamento con sanzioni ben più gravose. Dunque, difendersi da una lettera di compliance non significa fare ricorso (non si può), ma sfruttare al meglio questa finestra: o correggendo l’errore alle condizioni agevolate offerte, oppure predisponendo le proprie difese (documenti, spiegazioni) per convincere l’Agenzia che la segnalazione è infondata.
Contenuto tipico e modalità di comunicazione
Vediamo ora cosa contiene esattamente una lettera di compliance e come arriva al contribuente. Queste comunicazioni, infatti, hanno un formato standard (con fac-simile pubblicati sul sito dell’Agenzia) e vengono inviate con specifiche modalità.
Contenuto della lettera: in apertura si trova solitamente un testo introduttivo personalizzato, ad esempio:
“Gentile Contribuente, desideriamo informarla di una possibile anomalia nella sua dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2020. In particolare… risultano non dichiarate le seguenti somme: …”.
La lettera prosegue elencando in maniera dettagliata quali redditi o importi risultano non dichiarati oppure quali altri dati incoerenti sono emersi. Spesso è inclusa una tabella di dettaglio con le categorie reddituali o imponibili e gli importi che, secondo l’Agenzia, mancano all’appello nella dichiarazione. Ad esempio, per persone fisiche potrebbe elencare: “Redditi di lavoro dipendente: € X non dichiarati; Redditi da locazione: € Y non dichiarati”, ecc., indicando anche le fonti (sostituto d’imposta, registri contratti di locazione, anagrafe tributaria) da cui risultano tali redditi.
In allegato alla lettera vengono fornite:
- Istruzioni operative per utilizzare i servizi online dedicati (“Cassetto fiscale” e funzione “L’Agenzia scrive”) e per predisporre un’eventuale dichiarazione integrativa.
- Uno o più prospetti di dettaglio con i dati in possesso dell’Agenzia. Ad esempio, nel caso di redditi non dichiarati, un prospetto precompilato con le fonti: nome del datore di lavoro che ha versato compensi non dichiarati, dati dell’immobile affittato di cui non risulta il reddito, ecc. Per le anomalie IVA, il prospetto può contenere elenchi di fatture emesse/ricevute o corrispettivi registrati che non trovano riscontro nella dichiarazione IVA.
- Nel caso di determinati redditi, modelli precompilati: ad esempio, per i redditi da locazione l’Agenzia può allegare un fac-simile di modello Redditi integrativo con i nuovi importi da dichiarare, oppure un calcolo preimpostato della maggiore imposta dovuta. Per l’IVA, potrebbero allegare il modello di dichiarazione IVA mancante.
- Codice atto: in alto a sinistra la lettera riporta un codice identificativo univoco (“codice atto” o “numero identificativo della comunicazione”) e l’anno d’imposta di riferimento. Questo codice andrà indicato poi nel modello F24 per il pagamento in caso di ravvedimento.
Modalità di invio: L’Agenzia delle Entrate invia queste comunicazioni:
- Via PEC (Posta Elettronica Certificata) ai soggetti obbligati ad averla. Dunque le società e titolari di partita IVA riceveranno la lettera tramite PEC (all’indirizzo risultante dall’Indice INI-PEC). Anche le persone fisiche dotate di PEC possono riceverla su tale canale.
- Via posta ordinaria (lettera cartacea) ai contribuenti privati per cui non è disponibile una PEC attiva. La busta arriva generalmente con il logo Agenzia Entrate; non è una raccomandata notificata, trattandosi di comunicazione semplice.
- Online: indipendentemente dall’invio postale, la comunicazione è sempre messa a disposizione nell’area riservata del sito dell’Agenzia, sezione Cassetto fiscale > L’Agenzia scrive. Qui il contribuente (o il suo intermediario) può loggarsi e trovare copia della lettera, i prospetti di dettaglio e gli eventuali link per predisporre la dichiarazione integrativa online. Ciò è utile anche per verificare l’autenticità della lettera ricevuta (basta controllare se compare nel cassetto fiscale).
- Talvolta, l’Agenzia annuncia l’invio massivo di queste lettere anche tramite comunicati stampa o note sul proprio sito (ad es. “in arrivo XX mila lettere per…”) per avvisare i contribuenti interessati.
Una volta ricevuta la lettera, il contribuente ha generalmente un certo lasso di tempo per reagire prima che l’Agenzia passi eventualmente ad un accertamento formale. La lettera stessa potrebbe indicare una scadenza suggerita per regolarizzare. Ad esempio, in campagne passate relative a controlli formali, l’Agenzia ha concesso tempo fino al 2 ottobre (per lettere ricevute tra maggio e luglio di quell’anno) per rispondere o rimediare agli errori segnalati. In altre campagne non c’è una scadenza fissa, ma si invita comunque ad agire tempestivamente. In ogni caso, fintanto che non interviene l’avviso di accertamento (che deve rispettare i termini decadenziali di legge, solitamente il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di dichiarazione), il contribuente può regolarizzare di sua iniziativa.
Esempio pratico di lettera: Una comunicazione tipica per redditi non dichiarati includerà:
- Oggetto: “Invito a regolarizzare possibili errori dichiarazione dei redditi anno ____”.
- Identificativo atto, data.
- Elenco dei redditi o compensi non dichiarati con importi.
- Frase tipo: “La invitiamo a presentare una dichiarazione integrativa per correggere l’errore e versare le maggiori imposte dovute, con sanzioni ridotte a 1/6, evitando così ulteriori controlli”.
- Istruzioni: come accedere al cassetto fiscale per visualizzare dettaglio (es. prospetto precompilato per integrativa); come inviare documenti a discolpa (CIVIS, PEC); contatti utili (numero verde o ufficio locale).
- Allegati: prospetto anomalie (es. elenco CU che attestano redditi non dichiarati), guida al ravvedimento, facsimile F24 con codici tributo e codice atto, ecc.
Autenticità e attenzione alle truffe: Poiché la lettera arriva a volte via posta ordinaria o email, è lecito chiedersi come distinguere una vera comunicazione dell’Agenzia da eventuali phishing o truffe. In genere:
- La PEC mittente sarà un indirizzo certificato del tipo
agenziaentrate.gov.it
. - La lettera cartacea riporta logo e riferimenti ufficiali; ma soprattutto, come detto, la presenza nel cassetto fiscale conferma che è autentica. In caso di dubbio, si consiglia sempre di accedere col proprio SPID/CIE/Fisconline al cassetto fiscale e controllare la sezione “L’Agenzia scrive”: lì si troveranno tutte le comunicazioni ufficiali a proprio nome.
- L’Agenzia non chiede mai in queste lettere di comunicare dati sensibili via email né di aprire link esterni strani: invita piuttosto a utilizzare i canali istituzionali (sito, CIVIS, uffici) per regolarizzare. Quindi se si ricevono email sospette che chiedono di inserire credenziali o simili, bisogna diffidare. La lettera autentica semmai fornisce informazioni e invita a fare accesso al sito ufficiale o contattare gli uffici.
Conosciuto il contenuto e verificata l’autenticità, passiamo ora a illustrare come comportarsi di fronte alla lettera di compliance, esaminando le possibili strategie di difesa o di regolarizzazione.
Cosa fare quando si riceve la lettera: opzioni del contribuente
Di fronte ad una comunicazione di compliance, il contribuente ha fondamentalmente tre possibili approcci:
- Riconoscere l’errore/anomalia segnalata e regolarizzare spontaneamente la propria posizione (pagando il dovuto con sanzioni attenuate tramite ravvedimento operoso).
- Ritenere di essere in regola e fornire chiarimenti e prove all’Agenzia per dimostrare che la segnalazione è infondata o deriva da dati incompleti.
- Non reagire (ignorare la lettera) e attendere eventuali sviluppi. (Spoiler: questa è generalmente la scelta meno consigliabile, salvo casi particolari, perché può portare a un successivo accertamento con maggior aggravio.)
Esaminiamo ciascuna opzione nel dettaglio dal punto di vista difensivo, ovvero come attuarla correttamente per tutelare i propri interessi.
1. Regolarizzare con ravvedimento operoso (adesione alla lettera)
Se, esaminando il contenuto della comunicazione, il contribuente si accorge che effettivamente c’è stata un’omissione o errore nella propria dichiarazione, la scelta più saggia è procedere quanto prima alla regolarizzazione spontanea. Questo significa sostanzialmente:
- Presentare una dichiarazione integrativa per l’anno d’imposta in questione, inserendo i redditi o i dati mancanti che la lettera segnala.
- Effettuare il versamento della maggiore imposta dovuta, degli interessi maturati e della sanzione in misura ridotta prevista per il ravvedimento operoso.
Vantaggi: Regolarizzando in questa fase, il contribuente evita future contestazioni su quei dati. L’Agenzia, infatti, di norma non procederà con un accertamento una volta che la posizione è stata sanata (anzi spesso nella lettera stesso si promette: “Collaborando in tal senso, il contribuente eviterà nuovi futuri controlli su detta dichiarazione”). Inoltre beneficia delle sanzioni minimali: grazie al ravvedimento, paga solo 1/6 della sanzione base per infedele dichiarazione (e come visto, se l’infedele è riferita ad anni fino al 2023, la base minima è 90%, quindi 15%; per anni dal 2024 base 70%, quindi ~11,7%).
Esempio: Se in dichiarazione non erano stati dichiarati €10.000 di redditi e l’IRPEF evasa corrispondente è poniamo €2.500, la sanzione base per infedele (90%) sarebbe €2.250. Con ravvedimento a 1/6, la sanzione sarà €375 (circa il 15% dell’imposta), oltre naturalmente ai €2.500 di imposta e relativi interessi (interessi di mora al tasso legale annuo, pochi punti percentuali). Pagando queste somme, ci si mette in regola.
Modalità pratiche per regolarizzare:
- Dichiarazione integrativa: va compilato il modello di dichiarazione relativo all’anno in oggetto, inserendo tutti i dati originari corretti più i dati aggiuntivi. Non basta indicare solo i redditi mancanti: occorre ripresentare l’intera dichiarazione di quell’anno (modellata come dichiarazione integrativa, barrando l’apposita casella) includendo i nuovi importi. Ad esempio, se l’anno in questione è il 2020, si utilizzerà il modello Redditi PF 2021 (anno imposta 2020) come integrativa, riportando sia i redditi già dichiarati che quelli omessi.
- L’Agenzia spesso fornisce un facilitazione telematica: nel cassetto fiscale, sezione “L’Agenzia scrive – Invito alla Compliance”, per alcune campagne è disponibile una procedura guidata per compilare e inviare online la dichiarazione integrativa. In alternativa, ci si può rivolgere a un intermediario abilitato (commercialista, CAF) incaricandolo di trasmettere la dichiarazione integrativa.
- Importante: la dichiarazione integrativa va inviata esclusivamente per via telematica (non su carta). Dopo l’invio, si otterrà ricevuta di avvenuta presentazione.
- Calcolo di imposte, sanzioni, interessi: Il contribuente può calcolare da sé le somme dovute oppure utilizzare i tool messi a disposizione dall’Agenzia. Sul sito, nella sezione dedicata alla compliance, spesso è presente un software di calcolo o “calcolatore” che, inserendo i nuovi redditi, determina l’imposta in più, gli interessi e la sanzione ridotta. L’Agenzia ha ad esempio pubblicato tool speciali per il calcolo del ravvedimento su cedolare secca o affitti non dichiarati.
- La sanzione ridotta da versare è indicata chiaramente: per infedele dichiarazione generalmente 1/6 di 90% = 15% dell’imposta evasa (se regime ordinario). In caso di regimi sostitutivi particolari (es. cedolare secca, vedi riquadro più avanti) la percentuale può differire, ma la lettera stessa spesso lo specifica.
- Interessi: calcolati al tasso legale (1,25% annuo per il 2020, 1,5% nel 2021, 1,25% nel 2022, 5% nel 2023, 2,5% dal 2024… i tassi legali variano ogni anno) sul tributo non versato, maturati giorno per giorno dal momento in cui avrebbero dovuto pagarsi (es. dal 30/6 dell’anno successivo per IRPEF a saldo) fino al giorno del ravvedimento.
- Pagamento con modello F24: Tutti gli importi devono essere versati tramite F24. Nel modello vanno indicati separatamente:
- Il tributo (usando il codice tributo relativo, es. “4001” per IRPEF saldo, “1991” per IVA annuale, ecc.).
- Gli interessi (codice tributo specifico, es. “1989” interessi da ravvedimento IRPEF).
- La sanzione ridotta (codice tributo per sanzione da dichiarazione infedele ravveduta, es. “8924” per IRPEF).
- Codice atto: va riportato nell’apposito campo del modello F24, per collegare il versamento alla lettera ricevuta. Il codice atto è indicato in alto sulla lettera. Questo è importante affinché l’ufficio sappia che quel pagamento è effettuato in adesione alla comunicazione.
- Nessuna rateazione: Di norma gli importi derivanti da ravvedimento non sono rateizzabili. Il contribuente deve pagare in un’unica soluzione quanto calcolato. Se la somma è elevata e si ha difficoltà, può contattare l’ufficio per valutare soluzioni, ma non esiste nel ravvedimento la dilazione che invece è prevista per cartelle o avvisi (non essendo, appunto, un provvedimento impositivo). Meglio quindi attivarsi subito per reperire le somme dovute (ad esempio, valutando se utilizzare eventuali crediti d’imposta in compensazione, se consentito).
Una volta presentata la dichiarazione integrativa e pagato l’F24, cosa succede? In genere non arriva una risposta formale di “ok, tutto a posto”. Semplicemente, l’Agenzia prende atto della regolarizzazione. Se tutto è corretto, non invierà alcun ulteriore atto per quella annualità su quel tema. Talvolta, per scrupolo, l’interessato può comunicare all’ufficio l’avvenuto ravvedimento (ad esempio inviando via PEC una breve lettera in cui si allega copia dell’F24 pagato e si dichiara di aver presentato l’integrativa). Non è obbligatorio, ma può facilitare la chiusura della pratica.
L’Agenzia, dal canto suo, potrebbe aggiornare lo stato nel cassetto fiscale (a volte compare l’esito della comunicazione). Ad esempio, nel caso di controlli formali (lettere su redditi 2013 inviate nel 2016), il contribuente aveva tempo fino a ottobre per rispondere e l’Agenzia poi segnalava chi aveva ottemperato e chi no. In questa fase bonaria comunque non scattano sanzioni aggiuntive: o il contribuente paga la sanzione ridotta come da ravvedimento, oppure se fornisce giustificazioni ritenute valide, la questione decade.
Se l’errore era parziale? È possibile che il contribuente, esaminando i rilievi, concordi solo in parte. Ad esempio la lettera segnala €50.000 di redditi non dichiarati, ma il contribuente si accorge che solo €30.000 sono effettivamente omissioni, mentre gli altri €20.000 erano redditi esenti o già inclusi altrove (magari l’Agenzia li ha considerati due volte). In tal caso si può procedere in doppia azione: regolarizzare la parte dovuta (integrativa per i €30.000) e contestualmente, per l’altra parte, fornire spiegazioni come nel caso 2 seguente. Non c’è nulla che lo vieti. Si dovrebbe magari informare l’ufficio che si è provveduto parzialmente e motivare perché per il resto non si ritiene dovuto (inviando documenti). L’Agenzia valuterà: se concorda con le spiegazioni, chiuderà lì; se non concorda, potrebbe limitare l’eventuale futuro accertamento solo a quella parte residua.
Conservare la documentazione: Dopo aver ravveduto, è buona norma conservare con cura tutta la documentazione relativa: copia della lettera di compliance, la dichiarazione integrativa trasmessa, ricevute di invio, ricevuta F24 pagato. Questo “dossier” attesta il comportamento diligente del contribuente. Se malauguratamente in futuro ci fossero contestazioni (ad esempio errori nel ravvedimento stesso), tali documenti serviranno a dimostrare la volontà di collaborazione e la chiusura della pendenza.
2. Fornire chiarimenti e documenti (contestare l’anomalia)
Se il contribuente non condivide quanto segnalato – ovvero ritiene di aver dichiarato correttamente o di avere comunque elementi che giustificano l’apparente anomalia – allora la strada da percorrere è interlocutoria: bisogna comunicare all’Agenzia le proprie spiegazioni e inviare eventuale documentazione a supporto. Lo scopo è convincere l’ufficio che non c’è stata violazione, evitando così un futuro accertamento.
Esempi di situazioni in cui contestare la segnalazione:
- La lettera segnala “redditi di lavoro dipendente non dichiarati” per €10.000, ma in realtà il contribuente li aveva inclusi: magari li ha indicati in un altro rigo (es. come redditi assimilati) oppure quell’importo era frutto di un conguaglio già tassato. Potrebbe trattarsi di un errore dell’incrocio dati.
- Oppure la lettera evidenzia “omessa dichiarazione di plusvalenza da vendita immobile”, ma il contribuente sa che quell’immobile era esente (es. era prima casa venduta dopo 5 anni, quindi la plusvalenza non imponibile).
- O ancora, per un’azienda: l’Agenzia segnala ricavi non dichiarati incrociando i pagamenti elettronici, ma l’impresa può dimostrare che alcuni incassi rilevati come “pagamenti elettronici” non erano vendite ma acconti poi stornati o rimborsi, ecc.
In tutti questi casi, difendersi subito fornendo i chiarimenti può far sì che l’Agenzia archivi la posizione senza procedere oltre.
Come inviare i chiarimenti:
- Il canale più immediato è il servizio online CIVIS (Consultazione telematica delle comunicazioni). Accedendo al portale Fisconline/Entratel, c’è l’opzione “CIVIS – Comunicazioni di compliance” dove si può inviare un messaggio all’ufficio. Si potranno allegare documenti digitalizzati (PDF) e scrivere una nota spiegando la situazione.
- In alternativa, la lettera spesso fornisce contatti diretti: ad esempio un numero verde dedicato (800.90.96.96 da fisso, 06/96668907 da mobile) attivo dal lun al ven, opzione “Servizi con operatore > comunicazioni per adempimento spontaneo”. Chiamando, si parla con un funzionario al quale si possono illustrare le proprie ragioni. Ovviamente per formalizzare occorrerà comunque inviare documenti, ma intanto si apre il dialogo.
- Ulteriore alternativa: contattare via PEC o email l’ufficio territoriale dell’Agenzia indicato nella lettera (di solito è la Direzione Provinciale competente). La lettera talvolta contiene l’indirizzo PEC/Email di riferimento. Scrivendo a quell’indirizzo, si può allegare la documentazione e chiedere conferma di ricezione.
- Infine, è sempre possibile recarsi di persona presso gli sportelli dell’Agenzia (meglio su appuntamento) portando copia della lettera e dei documenti giustificativi. Tuttavia, strumenti come PEC e CIVIS rendono spesso non necessario l’accesso fisico.
Documenti e informazioni da fornire: Bisogna essere precisi e puntuali. Nella risposta occorre:
- Riferire il codice atto e la data della comunicazione, per permettere all’ufficio di collegare i documenti alla pratica.
- Elencare in modo strutturato i rilievi contestati e per ciascuno fornire la spiegazione. Ad esempio: “Reddito di lavoro dipendente € X: era già compreso nella CU 12345 del datore Y, ed è stato regolarmente dichiarato al rigo… come evidenziato nell’allegata dichiarazione. L’anomalia deriva forse da un duplicato di CU.”. Oppure: “Plusvalenza immobile: esente ai sensi art.67 co.1 lett.b) TUIR, immobile ceduto dopo oltre 5 anni dall’acquisto (vedasi rogito allegato).”
- Allegare copia dei documenti comprovanti: Certificazione Unica, contratto di vendita, ricevute di pagamento tasse, ogni cosa utile a provare che non c’era omissione.
- Se pertinente, indicare riferimenti normativi (es. quell’esenzione di plusvalenza, o che quell’importo non andava dichiarato perché già tassato alla fonte).
Ricordiamo che l’Agenzia non conosce ciò che non le è stato comunicato: se c’è un elemento che spiega l’apparente anomalia ma che non risultava dai database, è il momento di farlo presente. Ad esempio, l’Agenzia vede che Tizio non ha dichiarato redditi da fabbricati per un immobile, ma Tizio potrebbe replicare che quell’immobile non produceva reddito perché dato in comodato gratuito – circostanza non desumibile dalle banche dati se non dichiarata.
E dopo aver inviato i chiarimenti? L’ufficio li valuterà. Se li ritiene convincenti e sufficienti, probabilmente non darà ulteriori comunicazioni e la faccenda finirà lì. Talvolta il contribuente potrà vedere sul cassetto fiscale che la comunicazione risulta “chiusa con esito: spiegazioni fornite” o simile. In alcuni casi, i funzionari rispondono via PEC o tramite CIVIS, confermando l’esito: ad esempio “abbiamo ricevuto la documentazione, dalle verifiche risulta che la sua posizione è regolare, non seguiranno ulteriori atti”. Questa è la situazione ideale.
Se invece i chiarimenti sono parziali o non convincono, l’ufficio potrebbe:
- Richiedere ulteriori informazioni. Ad esempio potrebbe telefonare o scrivere (tramite CIVIS o PEC) chiedendo un dettaglio aggiuntivo, oppure invitare il contribuente a un incontro.
- Oppure, se ritiene comunque fondata l’anomalia, ignorare le spiegazioni e procedere comunque con un avviso di accertamento. In tal caso, però, avere già prodotto quelle prove potrà essere utile in sede di eventuale ricorso (mostrando al giudice che si era già provato a chiarire, magari l’ufficio non le ha correttamente considerate).
È importante sottolineare che fornire chiarimenti non espone ad alcun rischio aggiuntivo: alcuni contribuenti esitano, temendo che contattare l’ufficio possa “peggiorare le cose”. In realtà, nella fase di compliance l’Agenzia auspica il dialogo. Rispondere indicando elementi in proprio favore non costituisce ammissione di colpa, al contrario mostra collaborazione e buona fede. Anche se poi l’ufficio non si convince, difficilmente questo potrà pregiudicare la posizione: al massimo si finirà per discutere in contenzioso con un avviso, ma con il vantaggio di aver già messo sul tavolo le proprie prove.
Dunque, se si ha la ragionevole convinzione di essere nel giusto, la strategia migliore è produrre subito una memoria difensiva. Questo potrebbe perfino evitare la causa in futuro. È anche possibile farsi assistere da un professionista (commercialista o avvocato tributarista) nella redazione della risposta, specialmente se la questione è complessa: ad esempio, può impostare da subito la difesa come farebbe in un ricorso, citando norme e circolari, in modo da persuadere l’ufficio.
3. Ignorare la comunicazione (e relative conseguenze)
L’ultima opzione – tacere e non fare nulla – è in generale sconsigliata, a meno che il contribuente, ben consigliato, decida consapevolmente di correre il rischio di un accertamento successivo magari confidando di vincere in contenzioso. Ignorare la lettera significa che:
- Il contribuente non presenta alcuna integrativa né paga spontaneamente.
- Non contesta né spiega niente all’ufficio.
Quali sono le conseguenze? Nell’immediato, nessuna: come detto, la lettera di compliance di per sé non ha efficacia esecutiva, quindi il contribuente non subisce immediatamente sanzioni o iscrizioni a ruolo. Tuttavia, trascorso un certo tempo (variabile da caso a caso, può essere pochi mesi o anche un anno), l’Agenzia può procedere ad un accertamento formale. In pratica i dati segnalati verranno tramutati in un avviso di accertamento con:
- Recupero delle imposte non versate.
- Sanzioni piene (generalmente dal 90% al 180% dell’imposta evasa per dichiarazione infedele, a seconda dei casi, o 120% – 240% se omessa dichiarazione).
- Eventuali sanzioni aggiuntive se si tratta di omessa dichiarazione IVA o altre violazioni formali.
- Interessi e oneri vari.
Facciamo un esempio per capire il costo dell’inerzia: prendiamo il caso precedente di €2.500 di imposta evasa. Con la compliance si sarebbero potuti pagare €375 di sanzione in ravvedimento. Se si ignora e arriva un accertamento:
- La sanzione minima applicata sarà 90% (o 100% se il periodo è più recente, comunque attorno a quella cifra). Quindi €2.250.
- Se il contribuente, a quel punto, volesse chiudere senza lite, con acquiescenza avrebbe una riduzione a 1/3 della sanzione (art.15 D.Lgs 218/97): pagherebbe quindi €750 di sanzione (invece dei 375 possibili prima). Più interessi nel frattempo maturati, più eventuali spese di notifica ecc.
- Se invece facesse ricorso e perdesse, pagherebbe l’intero €2.250 (più interessi e spese legali).
Inoltre, ignorare una segnalazione che poi risulta fondata può comportare anche la perdita di alcune tutele: per esempio, in sede contenziosa il contribuente non potrà sostenere di non aver avuto occasione di chiarire in contraddittorio, poiché l’occasione era stata data con la lettera. I giudici tributari spesso valutano positivamente chi ha aderito o almeno fornito spiegazioni nella fase pre-contenziosa, mentre potrebbero guardare con minor favore chi non ha colto l’opportunità di ravvedersi.
Quando potrebbe essere una scelta ragionevole non aderire? Solo in casi rari: ad esempio se il contribuente è assolutamente certo che l’Agenzia non potrà provare la pretesa in giudizio, o se la questione riguarda un interpretazione controversa della norma e preferisce farla decidere dal giudice. Oppure se l’ammontare in ballo è esiguo e il contribuente preferisce rischiare la sanzione intera (magari confidando in prescrizioni o condoni futuri). Ad esempio, su differenze di pochi euro a volte si lascia correre (ma spesso l’Agenzia neanche accerta per importi minimi, quindi la lettera in quei casi potrebbe essere l’unico sollecito informale).
In ogni caso, tacere non impedisce all’Agenzia di proseguire le sue attività di controllo. Anzi, può dare all’ufficio la percezione che il contribuente sia inadempiente consapevole. Non di rado, ignorare la compliance comporta poi un trattamento più rigido in sede di accertamento (nessun ulteriore sconto oltre quelli di legge). Mentre, se si è collaborato, talvolta gli uffici mostrano maggior apertura (ad esempio, può capitare che in sede di accertamento con adesione siano più propensi a compromessi se vedono che il contribuente aveva almeno in parte aderito o spiegato).
Dunque, la difesa inerziale – ossia non fare nulla – va considerata come extrema ratio e comunque preparandosi nel frattempo: se proprio si intende non aderire, è opportuno comunque raccogliere tutte le prove e tenersi pronti per un eventuale ricorso. In pratica, è una scelta che dovrebbe essere valutata con un esperto, calcolando costi/benefici e probabilità di vittoria in contenzioso.
Si può impugnare direttamente la lettera? Come già detto, no. Non esiste un’azione giudiziaria diretta contro la comunicazione bonaria. L’unica sarebbe impugnare il successivo avviso di accertamento. Quindi ignorare la lettera non significa “faccio subito ricorso”: bisogna comunque aspettare l’eventuale atto formale.
In sintesi, la miglior difesa contro una lettera di compliance è l’attacco: ossia reagire attivamente, o correggendo o spiegando. L’inazione non è in realtà una difesa, ma solo un rinvio che spesso peggiora la posizione.
Il ravvedimento operoso: come funziona e perché conviene
Abbiamo più volte menzionato il ravvedimento operoso come lo strumento principe per regolarizzare dopo aver ricevuto la lettera. È utile quindi approfondirne il funzionamento, specie alla luce delle novità normative recenti, per capire esattamente quali sconti offre e in quali condizioni.
Cos’è il ravvedimento operoso? È un istituto previsto dall’art.13 del D.Lgs. 472/1997 che consente al contribuente di regolarizzare spontaneamente omissioni o infrazioni tributarie prima di essere scoperto dall’Amministrazione, beneficiando di una riduzione delle sanzioni proporzionata alla tempestività del ravvedimento. In altre parole: se ti accorgi (o vieni informalmente avvisato, come nel nostro caso) di aver sbagliato, e corri ai ripari pagando il dovuto, la legge “premia” il tuo comportamento riducendo le multe.
Quando è ammesso? Il ravvedimento è possibile solo se:
- La violazione non è già stata contestata o scoperta formalmente. Più precisamente, non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento delle quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza. Questo punto è fondamentale nel contesto compliance: la lettera di compliance non è considerata un’attività formale di accertamento (non è un processo verbale di constatazione, né un avviso). Dunque riceverla non preclude il ravvedimento. Se però, poniamo, il contribuente riceve la visita della Guardia di Finanza (accesso ispettivo) prima di aver regolarizzato, quel fatto chiude la porta al ravvedimento da lì in avanti. In sintesi: bisogna ravvedersi prima che il Fisco arrivi con strumenti di controllo ufficiali.
- Non siano già stati notificati atti impositivi o di liquidazione relativi a quella violazione (come avvisi bonari o accertamenti). Se è già arrivata la comunicazione 36-bis con importi dovuti o peggio l’avviso di accertamento, è troppo tardi per il ravvedimento ordinario su quelle somme.
- Nel caso di omessa dichiarazione, questa può essere ravveduta solo entro un certo limite: attualmente la dichiarazione omessa può essere validamente presentata entro 90 giorni dal termine (in tal caso è considerata “tardiva”, non omessa). Oltre 90 giorni, la dichiarazione è considerata omessa a tutti gli effetti e non è ravvedibile. Questo significa che se uno non ha proprio presentato la dichiarazione dei redditi (o IVA) e riceve una lettera dopo molti mesi, formalmente non può beneficiare della riduzione sanzioni per omessa dichiarazione. Ciò non toglie che possa comunque presentare la dichiarazione anche tardivamente: l’Agenzia la considererà ai fini del calcolo delle imposte dovute, ma la sanzione per omessa dichiarazione (120% min dell’imposta) potrebbe essere applicata intera. Su questo punto c’è un vuoto di tutela nel ravvedimento: la circolare AE 42/E/2016 ha ribadito che oltre 90 giorni non si può ravvedere l’omissione totale. In pratica, in questi casi l’ufficio potrebbe procedere con accertamento d’ufficio. Spesso, tuttavia, in ottica pragmatica, l’Agenzia se riceve comunque la dichiarazione tardiva e pagamento spontaneo prima di emettere l’accertamento, tende ad applicare la sanzione minima senza ulteriori aggravi. Dunque è comunque consigliabile farlo.
Nel contesto delle lettere di compliance, generalmente si tratta di dichiarazioni presentate ma incomplete (infedeli). Se invece la lettera riguarda dichiarazioni non presentate (es. omessa dichiarazione IVA), occorre valutare caso per caso con l’ufficio perché formalmente non c’è riduzione di legge oltre 90 gg, ma l’ufficio potrebbe invitare lo stesso a presentare la dichiarazione per evitare guai peggiori.
Riduzioni delle sanzioni: Il ravvedimento prevede differenti riduzioni in base al momento in cui si effettua:
- Ravvedimento sprint: entro 14 giorni dalla scadenza, sanzione ridotta a 1/15 del minimo per giorno di ritardo (applicabile più a versamenti ritardati che a dichiarazioni).
- Entro 30 giorni: sanzione ridotta a 1/10 del minimo (per es. per versamenti tardivi, 1/10 di 30% = 3%).
- Entro 90 giorni: sanzione a 1/9 del minimo.
- Entro 1 anno dall’omissione (o entro il termine presentazione dichiarazione anno successivo, se si tratta di errori in dichiarazione): sanzione a 1/8 del minimo.
- Entro 2 anni: sanzione a 1/7 del minimo.
- Oltre 2 anni (ma prima di accertamento): sanzione a 1/6 del minimo.
Queste ultime due misure (1/7 e 1/6) sono quelle che spesso entrano in gioco nelle compliance, perché di solito l’Agenzia segnala anomalie di uno o due anni precedenti: ad esempio nel 2025 ti segnalano l’anno d’imposta 2022; siamo entro 2 anni → sanzione 1/7; se segnalano 2020 nel 2023 → sanzione 1/6 perché >2 anni. Nota: minimo edittale nel caso di infedele dichiarazione era 90%, ora 70% dal 2024. Quindi 1/6 di 90% = 15%; 1/6 di 70% ≈ 11,67%. L’Agenzia per semplicità arrotonda di solito in valore percentuale intero (nel passato sui redditi affitti con cedolare calcolavano 30% e 40% che sono 1/6 di 180 e 240).
Una tabella rapida delle principali sanzioni e riduzioni utili qui:
Violazione (esempi) | Sanzione base | Sanzione con ravvedimento |
---|---|---|
Dichiarazione infedele (omessi redditi in dichiarazione) – anni fino al 2023 | 90% imposta evasa (minimo) | 15% imposta evasa (se ravvedimento oltre 2 anni = 1/6 di 90%); 12,86% se entro 2 anni (1/7); 11,25% se entro 1 anno (1/8); 10% se entro 90gg (1/9 di 90%). |
Dichiarazione infedele – violazioni dal 2024 in poi | 70% imposta evasa (minimo, abbassato da D.Lgs 87/2024) | ~11,7% imposta (1/6 di 70%) se ravvedimento oltre 2 anni; 10% circa se entro 2 anni; ecc. (riduzioni analoghe come sopra). |
Omessa dichiarazione (dichiarazione non presentata oltre 90 gg) | 120% imposta dovuta (minimo, fino a 240%) | Non ravvedibile oltre 90gg. Se presentata entro 90gg: sanzione 1/10 (dich. tardiva) = 12%. Se oltre, si applica piena in accertamento (ma se regolarizza spontaneamente prima dell’accertamento, l’ufficio può usare il minimo 120%). |
Omesso versamento (di imposta dichiarata) – fino metà 2024 | 30% dell’importo non versato | 1/8 se entro 1 anno = 3,75%; 1/6 se oltre 1 anno = 5% (max sconto). (Spesso ravv. su omessi versamenti avviene entro 1 anno per evitare iscrizione a ruolo). |
Omesso versamento – dopo 1/9/2024 | 25% dell’importo (sanzione ridotta dal 30 al 25%) | 1/6 = 4,17% se ravvedimento oltre 1 anno. |
Nel caso tipico della compliance, ciò che interessa è la dichiarazione infedele (perché la dichiarazione è stata presentata ma con dati incompleti). Quindi l’attenzione è su quella riga: pagare il 15% (o poco più) invece del 90% di sanzione è il grande vantaggio di chi aderisce spontaneamente.
Come si versano sanzioni e interessi? Abbiamo già illustrato: con modello F24, utilizzando i codici tributo appositi e il codice atto. Vale la pena ricordare che se per caso il contribuente ha dei crediti d’imposta disponibili (ad es. un credito IRPEF dall’anno successivo), potrebbe compensarli nel F24 per pagare parte del dovuto. La compensazione è ammessa anche in sede di ravvedimento, purché i crediti siano utilizzabili.
Controlli successivi: Effettuato il ravvedimento, l’Agenzia potrebbe controllarne la correttezza. Se, ad esempio, un contribuente sbaglia a calcolare e versa meno del dovuto, l’ufficio comunicherà l’integrazione. Ma se il ravvedimento è completo, il capitolo è chiuso.
Ravvedimento frazionato: E se non si riesce a pagare tutto subito? La norma (art.13 D.Lgs 472/97) consente il ravvedimento anche in modo frazionato: per esempio, un contribuente potrebbe ravvedere in due tempi diversi diverse violazioni, o diversi periodi. Ma per la stessa violazione, il pagamento deve essere integrale per ottenere la non punibilità penale (vedremo tra poco) e la definizione amministrativa. Non c’è una vera rateazione, ma nulla vieta di fare due ravvedimenti successivi man mano che si hanno fondi, con la penalità che il secondo ravvedimento sarà semplicemente un po’ meno “scontato” se avviene più tardi (es. la parte pagata dopo 2 anni è a 1/6 invece che 1/7 se prima). Tuttavia, meglio evitare confusioni: l’ideale è un unico ravvedimento completo.
In conclusione, il ravvedimento è uno strumento potentissimo di difesa preventiva: pagando il dovuto spontaneamente prima di essere formalmente colti in fallo, si evita il grosso delle sanzioni e si disinnesca gran parte del contenzioso. L’ordinamento tributario italiano negli ultimi anni ha sempre più puntato su questo meccanismo, estendendolo anche ai casi più gravi (come i reati tributari, vedi oltre) proprio per incentivare la compliance.
Nel contesto delle lettere bonarie, il ravvedimento è la risposta che l’Agenzia si aspetta, tanto che nelle lettere viene espressamente indicato come procedere e quali benefici si avranno. Difendersi tramite ravvedimento significa, di fatto, chiudere il contenzioso sul nascere a condizioni molto favorevoli.
(Nei prossimi paragrafi vedremo alcune casistiche particolari – ad es. l’applicazione del ravvedimento su affitti non dichiarati, con diverse aliquote sanzionatorie – e i profili penali, dove il ravvedimento gioca un ruolo cruciale per evitare imputazioni.)
Casistiche particolari di lettere di compliance
Le comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate per promuovere l’adempimento spontaneo possono riguardare molteplici imposte e situazioni. In questa sezione analizziamo alcune tra le principali casistiche riscontrate in pratica, evidenziando per ciascuna i profili specifici di difesa e regolarizzazione:
- Compliance su redditi delle persone fisiche non dichiarati (es. lavoro dipendente, autonomo, fabbricati – incluse locazioni – redditi esteri, plusvalenze).
- Compliance su imposte indirette: in particolare IVA (omessa dichiarazione annuale, omesse liquidazioni periodiche, anomalie tra fatture e dichiarato) e registro (contratti di locazione non registrati o redditi da affitto non dichiarati).
- Anomalie relative agli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) o ex studi di settore.
- Comunicazioni speciali, es. su Aiuti di Stato dichiarati in modo errato.
- Altre tipologie: ad esempio confronto pagamenti elettronici vs corrispettivi, compensazioni di crediti anomale, ecc., già in parte anticipati nei piani 2025 dell’Agenzia.
Ciascuna di queste situazioni presenta peculiarità. Vediamole in dettaglio.
Redditi delle persone fisiche non dichiarati (Irpef)
È una delle casistiche più frequenti. L’Agenzia incrocia i dati dell’Anagrafe Tributaria (Certificazioni Uniche dei datori di lavoro, canoni di locazione registrati, bonifici per ristrutturazioni, vincite, ecc.) con quanto il contribuente ha indicato in dichiarazione. Se emergono redditi non dichiarati in tutto o in parte, scatta la lettera.
Esempi tipici:
- Redditi di lavoro dipendente o pensione: l’Agenzia confronta le CU (ex CUD) inviate dai sostituti con la dichiarazione del contribuente. Se quest’ultimo ha dimenticato di includere un CUD (magari un secondo datore di lavoro per pochi mesi) oppure non ha proprio presentato la dichiarazione pur avendo avuto redditi oltre soglia, viene avvisato. Anche somme erogate come arretrati, TFR tassati separatamente, possono generare confusione.
- Redditi da lavoro autonomo occasionale: se un contribuente ha ricevuto compensi occasionali certificati tramite CU (con ritenuta d’acconto) e non li ha dichiarati, l’Agenzia li vede e li segnala.
- Redditi da fabbricati (affitti): come visto, se c’è un contratto di locazione registrato (o altri dati come utenze attive su un immobile non occupato dal proprietario) e non risultano dichiarati i relativi canoni, arriva la comunicazione. Questa è stata un’importante campagna (ad es. 60 mila lettere nel 2016 per affitti 2012).
- Redditi di partecipazione: soci di società di persone o S.r.l. trasparenti che non hanno indicato il reddito di partecipazione comunicato dalla società.
- Assegni periodici corrisposti dal coniuge: se il coniuge erogante li ha dedotti, il Fisco controlla che il beneficiario li abbia dichiarati. Se manca, parte la lettera.
- Plusvalenze: ad esempio vendita di terreni agricoli divenuti edificabili, cessione di partecipazioni qualificate, ecc., che risultano da atti notarili ma non in dichiarazione.
- Redditi esteri: con lo scambio di informazioni internazionale (Common Reporting Standard), l’Agenzia riceve dati su conti esteri, interessi, dividendi di cittadini italiani all’estero. Molte lettere in anni recenti hanno riguardato capitali esteri non dichiarati (quadro RW, Ivafe, ecc.). Ad esempio, se risulta che il contribuente Tizio ha ricevuto €5.000 di interessi da un conto in Svizzera, e Tizio non li ha dichiarati nel quadro RL, ciò genera una comunicazione.
Come difendersi in questi casi: Le opzioni restano le due viste:
- Ravvedimento operoso: presentare integrativa includendo i redditi omessi, e versare le relative imposte + interessi + sanzione 1/6 (o altro coefficiente a seconda del timing).
- Se i redditi erano soggetti a tassazione separata (es. TFR, arretrati), comunque vanno dichiarati e verrà ricalcolata l’imposta relativa.
- Per redditi esteri, occorrerà probabilmente compilare anche il quadro RW se erano attività finanziarie estere (il ravvedimento coprirà sia l’Irpef sui redditi, sia l’eventuale Ivafe/Ivie non pagata, sia la sanzione per omessa dichiarazione RW – ridotta a 1/6 anch’essa, ricordo che la sanzione RW base è 3% o 6% dell’asset non dichiarato).
- Fornire spiegazioni: se il contribuente aveva motivo per non dichiarare quei redditi. Ad es:
- I redditi erano esenti (pensioni estere esenti in Italia per convenzione, assegni di mantenimento per figli – non tassabili – erroneamente segnalati, ecc.).
- Oppure redditi già compresi altrove: ex. un contribuente dichiara un reddito da lavoro autonomo in Unico e il sostituto invia anche una CU, generando un doppio conteggio nelle banche dati; il contribuente può dimostrare che non era reddito separato ma lo stesso già dichiarato.
- O ancora, il reddito non era dovuto: es. quell’affitto non dichiarato in realtà non era percepito perché l’inquilino moroso, ma il contratto risultava registrato. Attenzione: in tal caso giuridicamente il reddito da fabbricato andrebbe comunque dichiarato salvo sfratto per morosità, però il contribuente potrebbe chiedere la non imponibilità se ha titolo (es. canoni non riscossi in caso di intimazione di sfratto entro certi termini).
- Parziale: come detto, può capitare di ravvedere una parte e spiegare un’altra parte.
Caso delle locazioni “in nero” e cedolare secca: Questo merita un focus. L’Agenzia ha inviato lettere specifiche a chi non aveva dichiarato affitti di immobili:
- Se il contribuente non aveva optato per la cedolare secca, i canoni evasi vanno a tassazione IRPEF ordinaria e la sanzione infedele è quella ordinaria (90%→15% ravvedimento).
- Se invece il contribuente aveva aderito al regime della cedolare secca (ovvero il contratto era registrato in cedolare, ma poi non ha dichiarato i redditi in Unico, oppure li ha indicati solo in parte), la sanzione per infedele dichiarazione è diversa. In base alla normativa, se non dichiari canoni in cedolare secca:
- Sanzione base 180% dell’imposta sostitutiva evasa, se i canoni sono stati dichiarati solo in parte.
- Sanzione base 240% se addirittura non sono stati dichiarati per nulla.
- Questo perché l’omessa dichiarazione di redditi fondiari in cedolare comporta anche la decadenza dall’aliquota agevolata, aggravando la sanzione.
- La lettera idealista citava che la sanzione ridotta in ravvedimento in tali casi è pari al 30% della maggiore imposta per canoni parzialmente dichiarati, e 40% se completamente omessi. Infatti 30% = 1/6 di 180%, 40% = 1/6 di 240%.
- Quindi chi aveva affitti in cedolare e li ha nascosti paga un po’ di più nel ravvedimento (30% o 40% dell’imposta sostitutiva) rispetto a chi stava in IRPEF (15%). Resta comunque molto conveniente rispetto al 180 o 240 intero in caso di accertamento.
- Inoltre, attenzione: se l’affitto non è stato registrato affatto, siamo fuori dallo scenario “compliance” classico (perché l’Agenzia potrebbe non sapere dell’esistenza del contratto se completamente in nero, se non incrociando magari utenze o segnalazioni). In questi casi, spesso l’accertamento dell’affitto in nero comporta sanzioni sia sul registro (120% imposta di registro evasa) che sull’IRPEF (dichiarazione omessa) e addirittura la norma (DL 23/2011) prevede la famosa locazione in deroga (canone imponibile forfettizzato al triplo della rendita catastale per 4 anni). Non sempre però l’Agenzia invia lettere bonarie per contratti mai registrati – di solito va dritta all’accertamento se li individua. Comunque, se dovesse inviare un invito (magari basato su utenze o segnalazioni di Comuni), il contribuente potrebbe cogliere la palla al balzo, registrare tardivamente il contratto (pagando registro con sanzioni ridotte) e dichiarare i redditi con ravvedimento: ciò potrebbe mitigare in parte le conseguenze (ed evitargli la sanzione derivante dalla registrazione d’ufficio con canone ricostruito).
Redditi esteri e quadro RW: Chi riceve una lettera per redditi esteri non dichiarati (interessi, dividendi, stipendi da estero, ecc.) spesso ha anche omesso di compilare il quadro RW (monitoraggio patrimoniale) e di pagare le imposte patrimoniali (IVAFE su conti, IVIE su immobili esteri). Il ravvedimento in questo caso è complesso perché:
- Va presentata una dichiarazione integrativa includendo i redditi nel quadro RL/RT, ecc. e anche compilando il quadro RW relativo ai patrimoni detenuti all’estero in quell’anno.
- Versare l’IRPEF evasa più sanzione 90%→15%.
- Versare IVAFE/IVIE dovuta per quell’anno (imposta sul valore degli investimenti esteri).
- Versare la sanzione per omessa dichiarazione RW, che è molto salata (base 3% annuo del valore non dichiarato, raddoppiata 6% se paesi black list). Fortunatamente, c’è ravvedimento anche su questa: la sanzione RW rientra tra quelle tributarie amministrative e si può ridurre a 1/6 del minimo. Esempio: se uno aveva €100k in Svizzera (white list dal 2017) non dichiarati, sanzione base 3% = €3k, ridotta a 1/6 = €500 per quell’anno. Non poco, ma meglio di €3k o peggio €6k.
- La lettera di compliance su redditi esteri in genere non menziona esplicitamente RW/IVAFE, perché spesso i dati in possesso riguardano i redditi prodotti (es. interessi). Tocca al contribuente, con l’aiuto del professionista, capire che se c’era un conto, va regolarizzato anche il monitoraggio. In ravvedimento conviene farlo contestualmente per evitare poi altre sanzioni.
Soglie penali: Se i redditi non dichiarati sono ingenti, c’è il tema potenziale penale (v. sezione successiva). Per ora basti dire: dichiarazione infedele diventa reato se l’imposta evasa supera €100.000 e/o i redditi non dichiarati superano il 10% di quelli dichiarati e comunque €2 milioni. Dunque lettere per omessi redditi di importi importanti possono preludere a rischi penali (che però possono essere neutralizzati col ravvedimento tempestivo, come vedremo).
Compliance IVA (omesse dichiarazioni, liquidazioni, anomalie fatture)
L’IVA è un altro ambito cruciale. L’Agenzia oggi dispone di enormi moli di dati sulle operazioni IVA (fatturazione elettronica, corrispettivi telematici, esterometro, etc.). Le comunicazioni di compliance IVA riguardano spesso:
- Omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA: ad esempio, a giugno 2024 l’Agenzia ha inviato PEC a tutte le partite IVA che non avevano presentato la dichiarazione IVA 2023 (anno imposta 2022) oppure l’avevano presentata in bianco o con volume d’affari dichiarato < €1.000, pur avendo fatture emesse. L’Agenzia, incrociando i dati delle e-fatture e corrispettivi, ha individuato chi in realtà aveva operazioni eppure non ha dichiarato. La lettera chiede di rimediare inviando la dichiarazione IVA mancante e versando l’IVA dovuta.
- Come detto, qui il problema è che l’omessa dichiarazione IVA oltre 90gg è una violazione non ravvedibile. Tuttavia, l’obiettivo dell’Agenzia è far emergere il debito IVA spontaneamente. Nella pratica, il contribuente dovrebbe: presentare comunque la dichiarazione IVA tardiva (anche se formalmente “omessa”, verrà presa in carico) e versare l’IVA dovuta con sanzione piena del 120%? Oppure c’è margine per ravvedere almeno il versamento? Spesso gli uffici, se l’interessato si fa avanti prima dell’accertamento, applicano il minimo edittale (120%) senza ulteriori aggravanti, e magari con possibilità di definizione agevolata (adesione con 1/3).
- Conviene sempre provare il ravvedimento: alcuni professionisti suggeriscono di versare comunque sanzione 1/6 di 120% = 20% dell’IVA e indicare codice atto, per mostrare la volontà di adeguarsi; se poi l’ufficio vuole il resto, lo notificherà.
- Questa è una zona grigia: l’art.13-bis D.Lgs 472/97 introdotto nel 2019 ha confermato il limite del 90gg. Dunque formalmente non c’è riduzione. Tuttavia, la lettera di compliance offre l’opportunità almeno di evitare il processo verbale GdF e un accertamento d’ufficio con possibili extrapolazioni.
- Difesa: se l’Iva non dichiarata era dovuta ma per qualche ragione non versata, l’unica è presentare la dichiarazione ora e pagare il dovuto. Se invece la partita IVA era cessata o inattiva e l’Agenzia erroneamente la considera operativa, si dovrà chiarire (es. mostrando che le fatture emesse a suo nome erano poche e magari erronee, etc.).
- Omesse Liquidazioni periodiche (LIPE): L’Agenzia, a partire dal 2021-2022, controlla trimestralmente se chi ha fatture attive non ha trasmesso le comunicazioni delle liquidazioni periodiche IVA (LIPE). Nel piano 2025 è previsto l’invio di lettere trimestrali a chi risulta avere vendite ma non presenta la liquidazione. La lettera invita a presentare la LIPE mancante e versare l’IVA dovuta per quel trimestre se non pagata.
- Ravvedimento qui sicuramente possibile (mancata presentazione di LIPE ha sanzione fissa per omessa comunicazione, ravvedibile, e eventuale tardivo versamento IVA anch’esso ravvedibile).
- Difesa: magari l’impresa aveva crediti e non doveva versare IVA, ma se non ha presentato la LIPE risulta anomalia. In tal caso basta presentare la comunicazione tardiva (sanzione fissa 500€ ridotta a 1/9, ad esempio) e chiarire la situazione del credito.
- Discrepanze e-fatture vs dichiarazione annuale: Incrociando il totale delle fatture emesse registrate (dati SdI) con il volume d’affari dichiarato, emergono contribuenti che hanno dichiarato meno di quanto risulta dalle fatture. Ad es. se dalle e-fatture risulta che Tizio ha fatto operazioni per €200.000, ma nella dichiarazione IVA ne ha indicati solo 150.000, c’è anomalia. L’Agenzia invia lettera segnalando la differenza, invitando a controllare e, se del caso, presentare dichiarazione integrativa IVA pagando l’imposta su quei €50.000 mancanti.
- Difesa: può darsi che la differenza sia dovuta a errori formali (es. fatture stornate, note credito non considerate nel dato grezzo) oppure a un effettivo omesso dichiarazione di alcune fatture. Se è errore, vanno forniti i dettagli (magari l’Agenzia nelle informazioni fornisce anche l’elenco fatture in difetto).
- Se è effettivamente IVA non versata, conviene integrativa + ravvedimento. Sanzione infedele IVA 90%→15%.
- Discrepanze comunicazione annuale dati IVA vs dichiarazione: In passato c’era l’adempimento della Comunicazione annuale dati IVA (oggi abolito), e a volte le compliance segnalavano incongruenze tra quella comunicazione e la dichiarazione presentata dopo. Ora non più attuale.
- Esterometro vs dichiarazione: L’Agenzia potrebbe segnalare, per esempio, operazioni estere (acquisti intra, etc.) risultanti dalle comunicazioni transfrontaliere non coerenti con il dichiarato.
- Frodi o operazioni inesistenti: Se dal cross-check risultano fatture emesse nei confronti del soggetto che però questi non ha riportato, potrebbe trattarsi di fatture false (magari acquisite a sua insaputa? poco probabile). In casi di frode IVA, però, di solito l’approccio non è la lettera bonaria, ma un controllo diretto o verifiche della GdF. Difficile che il Fisco mandi letterina a un sospetto frodatore seriale; le compliance IVA sono rivolte a omissioni più che a frodi. Un caso di lettera riguardante fatture false fu quello discusso da Cassazione Penale 26274/2023: qui Tizio aveva usato fatture false e fu chiamato a chiarimenti durante verifica a terzi, ma riuscì a ravvedersi prima di un suo controllo. Tuttavia, ciò esula dalla prassi comune di compliance (era già fase di verifica).
Consigli pratici per compliance IVA:
- Se non hai presentato la dichiarazione IVA annuale e ricevi lettera, presentala subito (anche se oltre 90 gg) e paga almeno l’IVA dovuta con interessi. La sanzione formale verrà poi determinata, ma intanto eviti l’accertamento d’ufficio con base induttiva.
- Se hai dimenticato di dichiarare alcune fatture (quindi hai presentato dichiarazione IVA ma incompleta), fai integrativa e paga la differenza d’imposta con ravvedimento. Questo eviterà che l’ufficio ti contesti l’infedele con sanzioni piene.
- Verifica sempre se i dati che l’Agenzia ti comunica (elenchi fatture o importi) sono corretti: potrebbero includere operazioni non imponibili o reverse charge già assolte dall’altra parte, ecc. In tal caso, spiega all’ufficio presentando ad es. registri IVA e evidenziando le voci.
- Attento ai crediti IVA dichiarati: alcune compliance riguardano anche l’utilizzo indebito di crediti IVA. Ad es., se risulta che hai compensato un credito IVA inesistente (magari perché non avevi presentato dichiarazione), potrebbero invitarti a regolarizzare versando il dovuto. Qui siamo nel campo del ravvedimento su utilizzo crediti non spettanti (sanzione 30% dell’ammontare, ridotta). È un tema più specialistico, ma che può emergere.
In generale, con l’incrocio massivo dei dati IVA, aspettarsi che l’Agenzia intensifichi queste comunicazioni. Nel 2025, come da programma AE, ci saranno lettere su:
- Omesse LIPE trimestrali.
- Confronto incassi elettronici vs corrispettivi dichiarati (per scovare chi magari non batte tutti gli scontrini).
- Altre anomalie IVA generiche come dichiarazioni con crediti anomali, etc.
Chi riceve queste lettere dovrà attivarsi con il commercialista per sanare eventuali mancanze: spesso sono questioni tecniche (modelli non inviati, ecc.) risolvibili con un invio tardivo e modeste sanzioni.
Locazioni e imposta di registro (affitti non registrati o non dichiarati)
Abbiamo già coperto in parte il tema affitti da un punto di vista Irpef (redditi non dichiarati). Ma c’è anche il profilo registro: registrare un contratto di locazione è obbligatorio entro 30 giorni e l’imposta di registro (se dovuta) va pagata annualmente.
Due situazioni:
- Contratto registrato ma canone non dichiarato in redditi: Caso tipico trattato prima: il Fisco vede dal registro che esiste un contratto, e controlla che il proprietario abbia dichiarato quel reddito. La compliance qui viene inviata generalmente dall’AE fiscalità diretta (per l’Irpef), ma l’informazione arriva dalla banca dati registro. La difesa è dichiarare il reddito (ravvedimento su Irpef) e nulla in ambito registro perché il contratto era registrato (a meno che contestualmente non abbia anche saltato di pagare qualche annualità di registro).
- Da notare: se il proprietario aveva cedolare secca attiva, non paga registro. Se invece regime ordinario, l’imposta di registro annuale il più delle volte è stata pagata (specie se registrato tramite agenzia/telematico di solito c’è addebito automatico ogni anno). Se però risultassero anche annualità di registro impagate, potrebbe arrivare separatamente un avviso di liquidazione dall’ufficio territoriale (le banche dati in tal caso incrociano l’avvenuta dichiarazione del canone con i pagamenti F24 Elide). Non rientra strettamente nella “compliance” ma succede.
- Contratto non registrato (affitto in nero): Qui di norma la scoperta avviene tramite altri canali: segnalazioni inquilini, controlli incrociati su utenze domestiche, ecc. L’Agenzia potrebbe decidere di fare un accertamento vero (che comporta sanzione registro 120-240%, sanzione Irpef 90-180%, più la già citata misura punitiva sul canone). Negli ultimi anni però alcuni Comuni e l’AdE hanno avviato progetti per far emergere spontaneamente gli affitti in nero: ad esempio inviando lettere ai proprietari di case in zone turistiche, incrociando Airbnb o Booking, ecc., invitandoli a regolarizzare registrando contratti e dichiarando i redditi.
- Se si riceve una tale comunicazione, conviene correre a registrare il contratto (o i contratti) anche se tardivamente. Il ravvedimento sull’imposta di registro funziona così: l’omessa registrazione ha sanzione dal 120% al 240% dell’imposta evasa (tipicamente il 2% annuo del canone, quindi se il contratto durava 4 anni, imposta evasa 2%canoneanni). Col ravvedimento, se registri spontaneamente prima di ispezioni, la sanzione può essere ridotta: 1/8 se entro 1 anno, 1/7 entro 2, 1/6 oltre 2 anni. Quindi se uno registra dopo 3 anni, sanzione 1/6 di 120% = 20% dell’imposta di registro dovuta. Non male, rispetto al 120% pieno. Chiaramente va pagata anche l’imposta di registro arretrata con relativi interessi.
- In parallelo occorre dichiarare i redditi non dichiarati come visto e pagare l’Irpef (o aderire a cedolare se possibile per il futuro, ma sul passato non si può retroattivamente).
- La cosa positiva è che regolarizzando prima di accertamenti, si evita la sanzione-fantasma del canone ridotto: quella norma punisce chi viene scoperto d’ufficio con il canone fissato al triplo rendita, ben peggiore. Se invece registri tardivamente, quell’effetto non scatta (perché ormai hai registrato).
- Dunque, da un punto di vista difensivo, chi ha affitti in nero farebbe bene a muoversi prima di ricevere accertamenti, e una lettera bonaria è un chiaro ultimo avviso.
In sintesi, per le locazioni:
- Se arriva una lettera su redditi di affitto non dichiarati, trattala come redditi PF omessi (ravvedimento su Irpef o cedolare) e verifica la posizione registro.
- Se segnala contratti non registrati (meno comune, di solito è accertamento se lo sanno con certezza), allora regolarizza subito contratto e redditi.
- Lato difensivo, c’è poco da contestare di solito, a meno di casi come: “non è reddito mio ma di mio figlio”, “l’immobile era vuoto”, ecc., che però se smentiti dai fatti non reggono. Invece se l’Agenzia sbaglia immobile (magari ti scrive per una casa che hai venduto anni fa), fornisci i documenti (atto di vendita) e chiarisci.
Anomalie ISA (ex studi di settore)
Le lettere di compliance possono anche riguardare risultanze anomale dagli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), evoluti succedanei degli studi di settore. Ad esempio, l’Agenzia individua contribuenti che hanno omesso di presentare i dati ISA o li hanno compilati in modo incoerente. Oppure, con gli studi di settore un tempo si segnalavano ricavi non in linea, invitando ad adeguarsi.
Nel piano 2025 c’è menzione di comunicazioni per “Anomalie dichiarazione dati ISA”. Possibili scenari:
- Un contribuente regime ISA non ha compilato il modello ISA obbligatorio, pur dovendolo. L’Agenzia può inviare lettera chiedendo di sanare inviando i dati (anche se la dichiarazione è stata presentata, i dati ISA mancanti comportano sanzione).
- Oppure ha indicato indicatori che risultano incongruenti con altri dati (ad es. margini impossibili, rimanenze anomale, etc.), e l’Agenzia “avverte” di ricontrollare.
- Nel passato (studi di settore) l’Agenzia inviava lettere di anomalia (costi troppo bassi o alti rispetto ai ricavi, etc.) dando chance di correggere.
Difesa: qui spesso non c’è un’imposta evasa immediata, ma segnalazione di possibili futuri controlli. Il contribuente dovrebbe:
- Se ha effettivamente saltato di inserire i dati ISA, può presentare una dichiarazione integrativa per aggiungerli. Non cambia imposta, ma evita la sanzione fissa per omissione dati (che è intorno a €2.000 riducibile col ravvedimento).
- Se i dati sono giusti ma anomali per motivi particolari, si può farlo presente in una nota. Ad es. attività nuova con ricavi bassi nonostante costi alti – situazione che genera punteggio ISA basso. Uno potrebbe spiegare e allegare bilancio, in vista di possibili controlli futuri.
- In generale, conviene verificare perché l’algoritmo ISA ha segnalato problemi e correggere ora se c’è stato errore nella compilazione.
In breve, le lettere ISA sono un tipo di compliance “preventiva” per spingere il contribuente a migliorare l’attendibilità dei propri dati ed evitare essere selezionato per verifica. Non comportano di per sé pagamenti, ma se ignorate possono portare a un accertamento induttivo nel medio termine se davvero i ricavi fossero sottostimati.
Comunicazioni su Aiuti di Stato dichiarati (RNA, de minimis)
Una casistica peculiare emersa di recente: l’Agenzia invia lettere ai soggetti beneficiari di Aiuti di Stato (contributi, crediti d’imposta) che hanno commesso errori nelle autodichiarazioni relative a tali aiuti.
Nel maggio 2024 sono partite lettere di compliance ai beneficiari di aiuti Covid (decreto Rilancio, ecc.) che nel modello Redditi 2021 hanno compilato in modo errato il prospetto Aiuti di Stato, tanto che il Ministero non è riuscito a registrarli nei registri ufficiali (RNA, SIAN, SIPA). In sostanza:
- Se l’impresa ha indicato male qualche codice (settore, dimensione, ecc.) nella comunicazione degli aiuti ricevuti, l’aiuto non è stato convalidato nei registri.
- La lettera invita a regolarizzare presentando una dichiarazione integrativa che corregga quei campi.
- Se invece l’aiuto ricevuto non spettava (perché superava i massimali o altre condizioni), invita a restituire l’aiuto indebitamente fruito, con interessi.
Questo tipo di compliance è un po’ diverso: riguarda agevolazioni e non tributi evasi. Tuttavia, il meccanismo è analogo: o spieghi perché pensi di aver diritto (se ritieni di aver compilato bene), oppure correggi l’errore.
Come difendersi:
- Se l’errore è di compilazione (codici ATECO, dimensione impresa etc.), basterà integrativa senza esborso di imposta (gli aiuti erano esenti), ma evitando sanzioni future. Non credo siano previste sanzioni per errata compilazione aiuti se correggi spontaneamente – la lettera non parla di sanzioni, solo di sistemare per iscrivere l’aiuto.
- Se l’aiuto era indebito (es. hai sforato il de minimis o cumulato troppi aiuti), allora occorre ridare quei soldi. La lettera dice chiaramente: presentare integrativa e restituire integralmente l’aiuto illegittimo con interessi. In pratica devi autotassarti dell’importo del contributo ricevuto e versarlo (immagino con F24 o altra modalità indicata, forse senza sanzioni se volontario). Se non lo fai, rischi un successivo atto di recupero coattivo con sanzioni (in materia di aiuti, se considerato indebito, possono agire per recupero erariale).
- Qui la “difesa” è limitata: o paghi o se pensi che l’aiuto fosse spettante provi a interloquire con l’ufficio motivando perché ritieni di non dover restituire. Ma se la norma dice che non spettava, c’è poco margine.
Questa vicenda mostra come il concetto di compliance si estenda anche oltre le tasse dovute: riguarda in generale la correttezza dichiarativa. L’Agenzia collabora con altri enti (Ministero sviluppo per RNA, ecc.) per far sistemare le posizioni amministrative dei contribuenti.
Altre anomalie e settori
Ci possono essere molte altre tipologie:
- Confronto pagamenti elettronici vs corrispettivi: indicato nel piano 2025. Significa: per i commercianti al dettaglio, l’Agenzia incrocia le transazioni elettroniche (dati da banche su POS) con i corrispettivi dichiarati. Se risultano, ad esempio, €100k di incassi su POS e il negoziante ha dichiarato corrispettivi totali (contanti+POS) 80k, qualcosa non torna (o ha registrato male i contanti o ha evaso). Lettera in arrivo per spiegare o correggere dichiarazione IVA e redditi.
- Indebite compensazioni di crediti: se un contribuente utilizza in F24 crediti fiscali inesistenti o non spettanti (es. crediti di imposta non maturati realmente), l’Agenzia spesso lo scopre e invia una comunicazione per invitarlo a sanare (ossia versare quanto indebitamente compensato con sanzione 30% ridotta). Questo è borderline tra compliance e controllo formale, ma esistono comunicazioni di questo tenore.
- Contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi ma hanno percepito redditi soggetti a CU: oltre ai casi visti, ce ne possono essere decine di migliaia. Spesso le lettere per omessa dichiarazione IRPEF arrivano perché il soggetto ha superato soglia minima di reddito imponibile ma non ha fatto 730/Unico. Viene invitato a farlo. La sanzione per omessa dichiarazione (se dovuta imposta > €50.000, peraltro, è anche reato) è altissima, ma se rimedia spontaneamente di solito l’ufficio limita i danni. Come detto, oltre 90gg ravvedimento non ufficiale, però conviene presentare quell’Unico tardivo prima che arrivi l’accertamento.
- Errori formali: a volte vengono segnalati errori apparentemente secondari ma che potrebbero avere impatto. Ad esempio: codice fiscale incongruente tra CU e dichiarazione (magari uno ha invertito due cifre, e risulta non dichiarato un reddito che invece c’era ma sotto CF errato); oppure doppia indicazione di detrazioni, etc. Non è escluso che alcune comunicazioni invitino a rettificare errori documentali per evitare sanzioni.
In tutti i casi, la strategia di difesa segue i soliti binari:
- Capire bene cosa l’Agenzia ha trovato e se ha ragione.
- Se sì, correggere subito per minimizzare conseguenze.
- Se no, raccogliere prove e chiarire la posizione.
Un consiglio generale: non sottovalutare mai una lettera di compliance, anche se sembra un dettaglio. È segno che il Fisco ha già un certo livello di informazione su di te. Ignorarla sperando che “si dimentichino” è azzardato. Al contrario, rispondere puntualmente – sia con ravvedimento sia con spiegazioni – spesso porta l’ufficio a chiudere la questione lì, perché ottengono ciò che volevano (il pagamento o le info).
Nei prossimi paragrafi, dopo aver visto queste casistiche tributarie, affrontiamo un aspetto cruciale: le implicazioni penali. Cosa succede se le somme non dichiarate erano così elevate da configurare reato tributario? Come incide il fatto di aver aderito o meno alla compliance su un’eventuale processo penale per evasione? Lo vediamo subito.
Profili penali: reati tributari e cause di non punibilità
Quando un’omissione fiscale è particolarmente grave, non ci si limita alle sanzioni amministrative: può scattare la denuncia per reato tributario ai sensi del D.Lgs. 74/2000. I principali reati rilevanti nel contesto di una lettera di compliance sono:
- Dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000): scatta se l’imposta evasa > €100.000 e contestualmente l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione supera il 10% del totale degli elementi attivi dichiarati, oppure comunque supera €2 milioni. Pena: reclusione 2 anni – 4 anni e 6 mesi.
- Omessa dichiarazione (art.5): scatta se non si presenta una dichiarazione dovuta (redditi o IVA) entro il termine di 90gg e l’imposta evasa > €50.000. Pena: 2 – 5 anni.
- Dichiarazione fraudolenta (art.2 o 3): riguarda l’uso di fatture false o altri artifici. Meno attinente alla compliance bonaria, perché come detto casi di frode conclamata non li trattano con letterine. Comunque soglie: indipendenti dall’imposta, reato in ogni caso di frode documentale.
- Omesso versamento IVA (art.10-ter): non c’entra con la dichiarazione infedele, ma con il mancato pagamento dell’IVA dichiarata, per importi > €250.000. Anche qui talvolta la compliance c’entra: se uno ha dichiarato ma non versato, prima del penale c’è la chance di ravvedersi pagando (questo reato ha specifica non punibilità se paghi prima del dibattimento).
- Indebita compensazione (art.10-quater): utilizzo di crediti falsi > €50.000, reato. Se la compliance letter evidenzia crediti non spettanti, attenzione che è area penalmente rilevante.
Come si intrecciano questi reati con la fase di compliance e ravvedimento?
La legge – sempre più orientata a privilegiare l’incasso del tributo rispetto alla punizione – prevede all’art.13 D.Lgs.74/2000 alcune cause di non punibilità proprio collegate al pagamento integrale del dovuto da parte del contribuente. In breve:
- Se il contribuente paga tutto prima che inizi il processo (entro apertura dibattimento), per i reati di omesso versamento (ritenute, IVA) e indebita compensazione la punibilità è esclusa. Questa è l’originaria causa di non punibilità del comma 1 art.13 (introdotta nel 2015).
- Per i reati “dichiarativi” (dichiarazione infedele, omessa, fraudolenta), il comma 2 dell’art.13 prevede la non punibilità se il contribuente estingue integralmente il debito tributario (imposta + sanzioni + interessi) tramite ravvedimento operoso o presentazione della dichiarazione omessa entro il termine dell’anno successivo, purché ciò avvenga prima che abbia avuto formale conoscenza di attività di accertamento o procedimenti penali. In altre parole, se ti ravvedi spontaneamente (o presenti l’Unico mancante entro l’anno dopo) e paghi tutto prima che il Fisco ti faccia un controllo o ti mandi la Guardia di Finanza, allora i reati di infedele/omessa dichiarazione (nonché di frode se applicabile) non sono punibili.
- Tradotto sul caso pratico: se uno riceve la lettera di compliance e a quel punto paga tutto col ravvedimento, ha ottime possibilità di sfuggire anche al penale. La lettera infatti non è considerata “formale conoscenza di un accertamento”. Quindi chi si attiva in quel momento rientra nella causa di non punibilità ex art.13 co.2.
Un esempio chiarirà: Supponiamo che Caio non abbia dichiarato €300.000 di ricavi IVA per l’anno X, evadendo €66.000 di IVA e €80.000 di IRES. Questo configurierebbe reato di infedele dichiarazione (imposta evasa totale €146k > soglia 100k, e ricavi non dichiarati >10% totali) e anche reato di omesso versamento IVA (66k > 250k? No, sotto soglia per quell’anno, quindi non quest’ultimo). L’Agenzia incrocia i dati, manda lettera. Se Caio ignora e subisce accertamento, l’ufficio probabilmente farà segnalazione alla Procura per dichiarazione infedele (superando soglia). Caio rischia un processo penale. Se invece Caio, prima di qualunque ispezione, aderisce: presenta integrativa, paga tutti i €146k più sanzioni amministrative e interessi, allora per la legge penale il fatto non è punibile. Perché ha pagato a seguito di ravvedimento operoso prima di avere formale conoscenza di accertamenti. In tal caso l’Agenzia incasserà i soldi e non partirà la denuncia (o se partita, Caio potrà opporre la causa di non punibilità in giudizio).
C’è giurisprudenza in merito: la Cassazione Penale ha chiarito che:
- La richiesta di chiarimenti da parte dell’Agenzia (come appunto una lettera di compliance o un invito informale) non equivale a formale accertamento ai fini della preclusione del ravvedimento penale. In una sentenza del 2023, ha stabilito che se l’attività ispettiva è avviata formalmente verso un altro soggetto o è solo esplorativa, il contribuente può ancora ravvedersi validamente. Solo un’attività formale diretta a lui (accesso, verifica nei suoi confronti) chiude la porta. Dunque, se ricevo lettera o anche se vengo invitato a un colloquio, finché non c’è un PVC o una notifica a me, posso salvare capra e cavoli pagando.
- Hanno anche confermato che il pagamento integrale comprensivo di sanzioni amministrative è richiesto. Quindi per essere al sicuro penalmente occorre pagare anche la sanzioncina ridotta. Non basta versare il tributo.
- Se uno paga solo a rate e finisce dopo l’inizio del dibattimento, allora non rientra nella non punibilità ma potrà eventualmente avere un attenuante (art.13-bis D.Lgs.74/2000 prevede attenuante fino a 1/2 pena se paghi tutto entro pronuncia di primo grado).
Che fare dunque in ottica difesa penale:
- Se ricevi la lettera e sai di superare soglie penali, agisci immediatamente! Ravvedersi prima di qualsiasi ispezione è doppiamente fondamentale. Non solo eviti sanzioni altissime, ma ti immunizzi da possibili condanne penali.
- Inviare eventuali spiegazioni senza pagare non ti salva dal penale se poi risulta che dovevi pagare. Cioè, la causa di non punibilità è legata al pagamento del debito, non al fatto di aver cooperato a parole. Quindi, se la segnalazione è fondata e riguarda importi sopra soglia, l’unico scudo è pagare.
- Fortunatamente, la soglia di punibilità per infedele è abbastanza alta (100k imposta). Molte lettere riguardano errori minori. Ma attenzione: soglia IVA omessa 50k è più bassa e facile da superare se non si è presentata la dichiarazione IVA. Dunque in quell’ambito anche importi “medi” generano rilevanza penale. Ad esempio, omessa dichiarazione IVA con €60k dovuti è reato: se regolarizzi prima, non punibile; se aspetti accertamento, scatta denuncia.
- E se ho già ricevuto la visita della Finanza? In quel caso, purtroppo, la finestra ravvedimento ai fini penali è chiusa. Però esiste la causa di non punibilità del comma 1 art.13 per omessi versamenti: se hai un reato ex art.10-bis o 10-ter (ritenute o IVA non versate) puoi ancora salvarlo pagando tutto prima del dibattimento (anche se lo hai saputo formalmente). Ma per infedele/omessa dichiarazione no, quella richiede ignoranza di verifiche.
- Lo scenario peggiore è ignorare la lettera e poi, quando arriva la Guardia di Finanza o la Procura, decidere di pagare: a quel punto la non punibilità ex comma 2 è persa, e rimane solo un’attenuante (riduzione di pena) se paghi prima della sentenza (art.13-bis). Meglio di niente, ma significa comunque condanna (se reato provato) con pena ridotta da attenuante.
Cassazione 2023 n.26274 (casa illustrata prima) è interessante: il contribuente aveva già avuto un sentore di essere sotto controllo (era stato chiamato a chiarimenti durante verifica ad altri) e comunque ha pagato tutto. La Cassazione ha detto: siccome la verifica non era formalmente a suo carico, vale come ravvedimento valido. Ciò rafforza l’idea che la lettera di compliance – addirittura meno di un invito a chiarimenti formale – lascia pieno diritto al ravvedimento salvifico. In pratica la Cass. ha affermato il principio che il limite è solo l’attività ispettiva formalmente avviata nei confronti del contribuente. Quindi finché siamo a livello di comunicazioni “amichevoli” o controlli su terzi, il contribuente può bonificare il suo peccato e non essere punito.
Riassumendo gli elementi chiave difensivi penali:
- Le lettere di compliance, spingendo al ravvedimento, sono anche un mezzo per evitare processi penali: il legislatore ha volutamente legato le due cose per massimizzare la riscossione.
- Dunque il miglior consiglio per chi teme il penale è: aderisci e paga tutto prima che sia troppo tardi.
- Fornire solo chiarimenti ma non pagare può essere utile sul piano amministrativo, ma se poi dal chiarimento emerge un’evasione sopra soglia, quell’aver spiegato non ti esime dal reato (a meno che convinca che non c’era evasione).
- Se ritieni di poter contestare l’addebito anche penalmente (es: non era reddito mio, ecc.), attenzione: se la contestazione fallisce e i giudici confermano che era tuo reddito evaso, a quel punto è tardi per pagare ed evitare la condanna. Insomma è un azzardo: a volte conveniene pagare comunque per sicurezza penale e poi semmai ricorrere in Commissione per farsi restituire se si aveva ragione (strategia prudenziale ma costosa).
- Da notare: la causa di non punibilità richiede di pagare anche le sanzioni amministrative. Quindi ad esempio se l’Agenzia erroneamente avesse detto “va bene paga solo l’imposta e poi la sanzione vedremo”, penalmente potrebbe essere un problema. Meglio pagare tutto il ravvedimento come da legge.
Responsabilità delle società e reati tributari: Un aspetto correlato: attualmente, i reati di infedele/omessa dichiarazione non comportano responsabilità amministrativa dell’ente (D.Lgs. 231/2001), tranne per alcuni reati come dichiarazione fraudolenta con fatture false in caso di vantaggio per l’ente (in passato esclusi, poi si è discusso di includerli). Dunque per la società in sé non c’è sanzione 231, salvo per alcune fattispecie di frodi IVA comunitarie. Comunque il management e i rappresentanti legali rischiano personalmente. Dal punto di vista del debitore societario, quindi, la compliance serve a evitare sia l’accertamento fiscale societario sia eventuali denunce a carico degli amministratori.
Profili penali specifici IVA: Va ricordato che per omesso versamento IVA oltre 250k, la lettera bonaria potrebbe arrivare prima che scatti il termine penale (il reato di omesso versamento scatta dopo la scadenza del versamento annuale – tipicamente 27 dicembre per l’acconto o 16 marzo per il saldo dell’anno dopo). Se uno non versa quell’IVA, l’anno dopo può ravvedersi entro la scadenza del dibattimento (comma 1 art.13). La lettera potrebbe sollecitare il pagamento entro un certo termine (es. prima che arrivi la comunicazione di irregolarità o la denuncia automatica). Pagare quell’IVA tardivamente ma spontaneamente evita il penale (purché prima del dibattimento, come legge). Qui la lettera agisce come moral suasion: “guarda che sei oltre soglia, paga se no…”. Non è comune, di solito su omessi versamenti l’Agenzia manda direttamente il sollecito o l’atto, poi semmai la Procura.
Conclusione sezione penale: La miglior difesa penale è la prevenzione tramite ravvedimento. Le lettere di compliance vanno viste non come un preludio certo al reato, ma come una chance di pentimento: se colta, il Fisco incassa e il contribuente, pur pagando, si salva da possibili guai giudiziari. Come ha affermato la Cassazione, la ratio è far prevalere la pretesa erariale su quella punitiva, incentivando comportamenti virtuosi (pagamento) da parte del contribuente. Dal punto di vista pratico, quindi, l’avvocato del contribuente valuterà sempre anche questo scenario: difendere il cliente non è solo evitare la sanzione, ma a volte proteggere la sua fedina penale – obiettivo che in casi di compliance si raggiunge consigliando di sanare tempestivamente.
Dopo la compliance: accertamento e contenzioso
Supponiamo ora che, nonostante la fase di compliance, la questione non si sia risolta bonariamente. O perché il contribuente ha ignorato la lettera, o perché pur avendo fornito spiegazioni l’Agenzia le ha ritenute insufficienti, oppure magari ha regolarizzato solo in parte. Cosa succede? Si entra nella fase “ordinaria” dell’accertamento tributario. È importante sapere come difendersi anche in questa fase successiva, avendo a mente cosa è avvenuto prima.
Emissione dell’avviso di accertamento: L’Agenzia, scaduto un certo tempo dalla lettera, può emettere un avviso di accertamento. L’avviso deve essere motivato e indicherà:
- Gli elementi non dichiarati (es. “redditi di lavoro autonomo per €X non dichiarati”).
- Le fonti (ad es. “da comunicazioni dell’Inps risulta…”).
- L’ammontare dell’imposta evasa e la sanzione applicata (di regola la sanzione piena: 90% imposta, o più se aggravanti, per infedele; 120% per omessa dich.; ecc.).
- Eventuali riduzioni: spesso l’avviso già prevede che se paghi entro 30 giorni senza fare ricorso, la sanzione è ridotta di 1/3 (acquiescenza ex art.15 D.Lgs.218/97). Quindi ad esempio mette 90% ma poi “sanzione riducibile a 30% in caso di definizione nei termini”.
- Modalità e termini per impugnare.
L’avviso può anche nascere da un processo verbale (PVC) se c’è stata un’ispezione. Ma se parliamo di compliance, di solito l’ufficio fa un accertamento da “scrivania” basato sulle stesse informazioni della lettera, eventualmente aggiornate (magari includeranno che il contribuente ha fornito spiegazioni che non hanno modificato la pretesa – e lo diranno nella motivazione).
Notifica: L’avviso arriva per raccomandata o PEC (società via PEC obbligatoriamente). Da quel momento il contribuente ha 60 giorni per decidere se ricorrere oppure no.
Opzioni difensive a questo punto:
- Accertamento con adesione: è uno strumento che consente, entro 60 giorni dalla notifica, di presentare un’istanza di adesione e avviare un contraddittorio con l’ufficio. Si “sospendono” i termini per il ricorso e ci si siede a tavolino. Se il contribuente non aveva chiarito prima, è un’ulteriore chance di discussione. Spesso però, se la compliance è già stata una sorta di contraddittorio, è difficile portare elementi nuovi in adesione a meno di non averli proprio taciuti prima. Comunque in sede di adesione si può cercare un accordo su quanto dichiarare (magari riducendo un po’ l’imponibile accertato). Il vantaggio: se si firma l’adesione, la sanzione viene ridotta ad 1/3 del minimo. Tipicamente, se l’atto aveva 90%, con adesione diventa 30%. Questa è spesso la stessa riduzione che avresti avuto in acquiescenza, ma con l’adesione hai potuto trattare anche il merito eventualmente (es. riducendo l’imponibile). E la somma può essere rateizzata fino a 8 rate (se >€50k, 16 rate).
- Acquiescenza (definizione agevolata): se il contribuente condivide pienamente l’accertamento o comunque decide di pagarne gli importi per evitare il contenzioso, può pagare entro 30 giorni dalla notifica. Così facendo ha diritto a riduzione della sanzione a 1/3 (due terzi di abbuono). Questo di solito è già calcolato nell’avviso. Ad esempio, atto accertamento: imposta €10.000, sanzione 90% = €9.000, ma se paghi entro 30 gg sanzione = €3.000. L’acquiescenza è fattibile anche parziale su singoli rilievi accertati (ma in tal caso, per i restanti rilievi su cui fai ricorso, perdi lo sconto).
- In ottica difesa: potrei aver ignorato la compliance perché pensavo di essere a posto, ma quando arriva l’atto mi rendo conto che l’Agenzia ha ragione ed è inutile litigare. Posso allora “arrendermi” con acquiescenza, e comunque ho una sanzione ridotta (non più minima come ravvedimento, ma 1/3 di quella ordinaria). Economicamente è peggiorativo rispetto al ravvedimento, ma meglio che andare in causa se so di perdere.
- Ricorso in Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria): se non si è trovato accordo o non si vuole pagare, si impugna l’atto entro 60 giorni (o 150 se si è fatta istanza di adesione nel frattempo). Si fanno valere le proprie ragioni davanti al giudice.
- Qui la difesa ricalca molto quelle spiegazioni che magari erano già state date in sede di compliance. Infatti sovente le memorie inviate all’ufficio durante la compliance costituiscono una base per il ricorso: si trasformano in motivi di impugnazione se l’ufficio li ha rigettati.
- Il giudice valuterà la legittimità dell’accertamento, inclusa la corretta motivazione. Da notare: se il contribuente aveva risposto alla lettera fornendo documenti, l’avviso di accertamento deve tenerne conto nella motivazione, altrimenti potrebbe essere considerato viziato per difetto di motivazione (ignora elementi addotti dal contribuente). La legge richiede infatti che l’accertamento dia conto delle deduzioni difensive presentate dal contribuente in sede pre-contenziosa (es. risposta ad inviti). Non è codificato che le risposte alle lettere di compliance rientrino formalmente tra quelle dell’art. 7 L.212/2000 (che riguarda il contraddittorio obbligatorio in certi casi), ma è buona prassi farlo.
- Nel ricorso si può evidenziare se l’ufficio non ha considerato prove già fornite. Non è un vizio automatico invalidante, ma fa peso.
- Sanzioni in contenzioso: se si fa ricorso, non si beneficia più delle riduzioni sanzioni citate. Se si perde completamente, si pagherà la sanzione intera come da atto (salvo che il giudice possa ridurla se eccede i minimi, raramente).
- Se si vince parzialmente, il giudice di solito ricalcola sanzioni proporzionalmente sull’imposta rideterminata.
- Nelle liti minori (fino €50.000) è anche possibile optare per la conciliazione giudiziale, ottenendo una riduzione sanzione al 40% in primo grado o 50% in appello, se si trova un accordo col fisco in udienza. È un altro strumento deflattivo.
Ricapitolando le sanzioni nelle varie fasi, consideriamo un caso di infedele dichiarazione con €10.000 di imposta evasa (sanzione base 90% = €9.000):
- Ravvedimento in compliance: sanzione €1.500 (15%).
- Accertamento con adesione: sanzione €3.000 (30%, cioè 1/3 di 90%) se si firma adesione.
- Acquiescenza (pagamento entro 30 gg): sanzione €3.000 (come sopra, per legge uguale esito di adesione).
- Ricorso e sconfitta: sanzione €9.000 (100% di quella accertata, salvi casi di riduzione per vittoria parziale ecc.).
Ecco una tabella riassuntiva:
Fase e strumento | Sanzione applicata | Vantaggi/Svantaggi |
---|---|---|
Compliance – Ravvedimento (prima di atto) | 1/6 del minimo edittale (infedele: ~15% dell’imposta evasa; omessa dich.: ravv. solo entro 90gg con 1/10). | Vantaggio: minima sanzione possibile. Svantaggio: bisogna autodenunciarsi e pagare spontaneamente subito. |
Accertamento con Adesione (dopo atto, accordo con ufficio) | 1/3 della sanzione applicata (di solito sanzione minima). Es: infedele 90% diventa 30%. | Vantaggio: si può negoziare l’importo, ottenere sconto su imposta e sanzione. Rateizzabile. Svantaggio: sanzione doppia rispetto a ravvedimento; implica riconoscere buona parte della pretesa. |
Acquiescenza (pagamento senza ricorso) | 1/3 della sanzione (identico a adesione). | Vantaggio: semplice e veloce, evita contenzioso, stesso sconto di adesione. Svantaggio: nessuna trattativa sul merito, si accetta tutto l’accertamento. |
Ricorso (Conciliazione giudiziale) (accordo in giudizio) | 40% della sanzione in primo grado (se conciliazione entro sentenza di CTP); 50% in appello. | Vantaggio: sanzione un po’ ridotta rispetto al pieno, ed evita rischio spese di soccombenza. Svantaggio: sconto minore (40%) e occorre cedere parzialmente in giudizio. |
Ricorso (sentenza) (se il contribuente perde) | 100% della sanzione accertata (salvo diverse disposizioni del giudice). | Vantaggio: (solo se vince: può annullare tutto o parte). Svantaggio: se perde, paga tutto + interessi + eventuali spese legali; nessuno sconto sanzione. |
Questa comparazione evidenzia come, a livello sanzionatorio ed economico, la scelta migliore in termini di convenienza monetaria è ravvedersi subito. Ogni step successivo porta a sanzioni via via maggiori. Ciò rispecchia la filosofia del sistema: premiare chi collabora presto e penalizzare chi resiste fino alla fine (a meno che vinca in giudizio).
Ovviamente, la scelta non è solo economica: c’è anche una valutazione di merito (ho ragione o torto?) e di tempistiche di esborso (pagare subito vs magari mai se vinco).
In ottica di difesa a 360°:
- Se durante la compliance il contribuente ha anche solo parzialmente ragione, conviene tentare di farlo valere subito. Magari ravvedere ciò su cui concorda e discutere il resto.
- Arrivati al contenzioso, le argomentazioni difensive saranno quelle tecniche: errori procedurali dell’ufficio, interpretazione delle norme, prove che contraddicono i rilievi. La lettera di compliance di per sé non è impugnabile, ma può essere menzionata nel ricorso magari per evidenziare qualcosa (es: se l’ufficio non ha rispettato i 60 gg dall’eventuale PVC, o non ha fatto contraddittorio dove obbligatorio – ma in compliance non c’è obbligo formale di contraddittorio, quindi quell’argomento non è vincente in sé).
- Un’altra cosa: la ricezione di una lettera di compliance di per sé non sospende i termini di decadenza dell’accertamento (non essendo un atto impositivo né un PVC). Quindi l’Agenzia deve comunque emettere l’avviso entro il termine legale (il 31/12 del 5° anno successivo, o 7° se omessa dichiarazione). Se tardano e il termine passa, l’accertamento è decaduto e impugnabile per quello. Non può dire “eh ma le abbiamo mandato la lettera quindi…”. Quindi il contribuente deve monitorare i termini: se arriva un accertamento oltre tempo, potrà eccepire la decadenza. Finora non risulta che inviino lettere per allungare i termini (non c’è base normativa per estenderli con una semplice lettera).
In definitiva, difendersi dopo la compliance significa cadere nelle regole ordinarie della difesa tributaria, con l’unica differenza che spesso si è già anticipato un confronto informale. Chi si è mostrato collaborativo prima può trovarsi in posizione migliore anche di fronte al giudice, quantomeno a livello di immagine di buona fede. Al contrario, ignorare la compliance potrebbe spingere l’Agenzia, in sede contenziosa, a chiedere persino al giudice la condanna alle spese aggravata perché “il contribuente aveva avuto la chance di evitare il giudizio e non l’ha fatto”.
Considerazione finale: La lettera di compliance è come un cartellino giallo: un avvertimento che permette di evitare il cartellino rosso (accertamento e multe salate). Il contribuente avveduto cercherà di fermarsi al giallo, sistemando l’irregolarità o provando la propria innocenza immediatamente. Se si arriva al rosso, il gioco diventa più duro, e le difese più complesse e costose.
Passiamo ora ad una sezione più discorsiva con alcune domande frequenti e risposte concise sul tema, che aiuteranno a fissare i concetti chiave emersi.
Domande frequenti (FAQ) su lettere di compliance
D: Che cos’è esattamente una “lettera di compliance” dell’Agenzia delle Entrate?
R: È una comunicazione non sanzionatoria che il Fisco invia al contribuente segnalando possibili errori o omissioni nella dichiarazione (redditi non dichiarati, anomalie IVA, etc.). Invece di emettere subito un accertamento, l’Agenzia invita a regolarizzare spontaneamente la posizione o a fornire chiarimenti. In sostanza è un avviso bonario preventiva per favorire il pagamento volontario delle imposte dovute.
D: Ricevere questa lettera significa essere già sotto accertamento fiscale?
R: No. La lettera di compliance non è un atto di accertamento formale, né una verifica aperta. È un invito collaborativo. Significa che il Fisco ha riscontrato un potenziale problema, ma sta ancora nella fase amichevole. Non c’è, in quel momento, alcuna cartella o atto esecutivo e non scattano sanzioni piene. Tuttavia, indica che l’Agenzia possiede informazioni e potrebbe procedere ad un accertamento se il contribuente non risponde.
D: È obbligatorio rispondere o fare qualcosa?
R: Non c’è un obbligo legale immediato di risposta, in quanto la lettera non è un ordine. Tuttavia, ignorare la comunicazione è molto rischioso. Se non si fa nulla, l’Agenzia con ogni probabilità procederà con gli strumenti ordinari (avviso di accertamento) per recuperare le imposte. In pratica, pur non essendoci sanzioni per la mancata risposta, conviene fortemente prendere in carico la questione ed agire (sanare o spiegare).
D: Entro quanto tempo devo reagire?
R: La lettera spesso indica un termine consigliato (ad esempio “entro 30 giorni” o “entro la data X”), ma non è perentorio come una scadenza legale. Significa che trascorso quel periodo l’ufficio potrebbe iniziare a preparare l’accertamento. Meglio dunque non procrastinare: è opportuno rispondere o ravvedersi il prima possibile. Alcune campagne fissano scadenze (es. 2 ottobre per lettere estive) come gentile concessione. In generale, agire entro 30-60 giorni dalla ricezione è consigliato per stare nei tempi dell’Agenzia.
D: Cosa succede se la ignoro completamente?
R: Nel breve termine nulla (non arriva il giorno dopo la finanza a casa). Ma dopo qualche mese l’Agenzia emetterà verosimilmente un avviso di accertamento per le imposte non versate, con sanzioni ben più alte (90% o più) e interessi. Inoltre, se le somme evase superano soglie penali, partirà anche una segnalazione alla Procura per reato tributario. Ignorare la lettera significa quindi rinunciare ai benefici (sanzioni ridotte) e affrontare poi un contenzioso fiscale (e forse penale) più gravoso.
D: Posso impugnare la lettera davanti al giudice tributario?
R: No. La lettera di compliance non è impugnabile perché non è un provvedimento impositivo né un atto che determini un obbligo di pagamento. È semplicemente un invito. L’eventuale ricorso potrà essere presentato solo contro l’atto successivo (es. l’avviso di accertamento) se arriverà. Quindi non ha senso (né è ammesso) fare ricorso in Commissione Tributaria appena pervenuta la lettera: bisogna prima rispondere all’Agenzia o attendere l’atto formale.
D: La lettera potrebbe essere frutto di un errore dell’Agenzia?
R: Sì, è possibile. I controlli automatici si basano su dati che a volte possono essere incompleti o mal interpretati. Ad esempio, potrebbero averti segnalato un reddito “non dichiarato” che invece hai dichiarato sotto altra voce, oppure un importo esente. Oppure potrebbe trattarsi di scambi di persona (magari un codice fiscale simile). Se ritieni l’anomalia infondata, sta a te fornire la prova dell’errore. In molti casi le spiegazioni del contribuente fanno emergere che il Fisco aveva considerato due volte lo stesso reddito, o non sapeva di una particolare esenzione. Dunque sì, la lettera non è infallibile: va verificata criticamente.
D: Come distinguo una vera lettera dell’Agenzia da possibili truffe/phishing?
R: Le vere comunicazioni cartacee riportano il logo ufficiale e un codice atto; soprattutto, puoi verificarne la presenza nel tuo Cassetto fiscale online. Quelle via PEC provengono da un indirizzo PEC dell’Agenzia (dominio @pec.agenziaentrate.it o simili). L’Agenzia non chiede mai di fornire password, PIN o dati bancari via email, né invita a cliccare link sospetti per pagare. Se hai dubbi, accedi con SPID al sito AE: nella sezione “L’Agenzia ti scrive” troverai la copia autentica della lettera. In caso di email dubbie non presenti lì, probabilmente sono tentativi fraudolenti.
D: Ho ricevuto la lettera a un vecchio indirizzo di residenza e l’ho vista in ritardo, sono fuori tempo?
R: Come detto non c’è un termine legale per rispondere; anche se l’hai vista tardi, puoi comunque ravvederti o mandare spiegazioni. Finché non ti è arrivato un accertamento, sei ancora nella fase bonaria. Certo, se è passato molto tempo (es. un anno) potresti già aver ricevuto o star per ricevere l’atto formale. Ma tentar non nuoce: se l’ufficio non ha ancora chiuso l’istruttoria, prenderà comunque in considerazione il tuo ravvedimento tardivo. In pratica, meglio tardi che mai: anche a ridosso di un eventuale accertamento puoi provare a regolarizzare, magari convincendo l’ufficio a soprassedere sull’atto.
D: Posso rateizzare l’importo da pagare col ravvedimento?
R: No, il ravvedimento operoso di per sé non prevede rateazione. Devi pagare quanto calcolato (imposta, sanzione ridotta, interessi) in un’unica soluzione con F24. Se l’importo è molto elevato e non disponi della liquidità immediata, una strategia potrebbe essere ravvedere per gradi (es. prima presentare l’integrativa, e pagare magari l’imposta e un po’ di sanzione, poi il resto entro pochi mesi). Ma formalmente, se paghi solo parzialmente, il ravvedimento non è perfezionato e potresti perdere l’agevolazione sulla parte non versata. In alternativa, puoi contattare l’ufficio e spiegare la situazione: in alcuni casi, se vedono la volontà di pagamento, attendono qualche tempo prima di emettere accertamento. Tuttavia, ufficialmente la rateazione è possibile solo dopo un avviso (adesione, cartella, etc.). Quindi, se puoi, trova le risorse e paga in una volta per sicurezza.
D: È consigliabile farmi assistere da un professionista (avvocato tributarista o commercialista) in questa fase?
R: Sì, spesso è consigliabile. Se la situazione è semplice (es: hai davvero dimenticato un reddito, sai quanto devi pagare e puoi farlo), potresti anche fare da solo con un CAF. Ma se l’anomalia è contestata o di importo rilevante, un professionista può:
- Analizzare la fondatezza della pretesa fiscale.
- Calcolare esattamente imposte, sanzioni e interessi da ravvedere (evitando errori).
- Redigere la lettera di risposta con riferimenti normativi appropriati, se scegli di contestare.
- Valutare rischi penali e darti un quadro completo (cose che un non addetto magari ignora).
- Interfacciarsi con l’ufficio a tuo nome, anche per un eventuale contraddittorio informale.
Il costo del professionista va commisurato al risparmio potenziale (ad es. evitarti un accertamento da decine di migliaia di euro). Quindi per casi complessi o importi alti, coinvolgere un esperto è parte integrante di una buona difesa.
D: Dopo aver risposto/regolarizzato, come faccio a sapere se è tutto a posto?
R: In genere, se hai fatto un ravvedimento completo e corretto, non riceverai ulteriori comunicazioni: in un certo senso “nessuna nuova, buona nuova”. L’Agenzia non invia attestati di regolarità (salvo a volte su CIVIS scrivono due righe di presa d’atto). Puoi comunque controllare nel cassetto fiscale: spesso l’esito della comunicazione viene aggiornato lì (ad es. “definita tramite dichiarazione integrativa pervenuta il…”). Se invece hai fornito chiarimenti e vuoi conferma, puoi provare a contattare l’ufficio dopo qualche settimana per chiedere se sono stati ritenuti sufficienti. In alcuni casi rispondono con lettera di archiviazione. In altri, semplicemente non procedono ad accertamento (lo scopri col tempo). Diciamo che il silenzio dell’Agenzia, dopo un tuo ravvedimento/risposta, di solito equivale a consenso.
D: Ho parzialmente concordato e pagato, e parzialmente contestato. Posso fare entrambe le cose?
R: Sì. Non è frequente ma possibile. Ad esempio, la lettera indicava due questioni: per una dai ragione al Fisco e ti ravvedi, per l’altra no e mandi spiegazioni. Questo è lecito e anzi sensato quando solo parte della pretesa è fondata. L’ufficio quindi incasserà intanto la parte pagata (e non accerterà più quella), e valuterà il resto. Se poi emette accertamento, riguarderà solo la porzione non ravveduta. In un eventuale contenzioso dopo, risulterà che tu hai già riconosciuto il dovuto su una parte (quindi la lite si restringe). È un approccio pragmatico e ben visto, perché dimostra buona fede sul dovuto e contenzioso solo sul contestato.
D: Se aderisco e pago col ravvedimento, poi l’Agenzia potrebbe comunque farmi un accertamento?
R: In linea di massima no, non sullo stesso oggetto. Se hai fatto tutto correttamente, hai definito quella annualità per quei redditi. L’Agenzia non avrebbe motivo né base giuridica per accertare ulteriore imposta su quei medesimi importi (a meno che scopra altri errori diversi non inclusi nella comunicazione). Inoltre la lettera spesso specifica che regolarizzando si eviteranno controlli futuri su quel punto. Tuttavia, tecnicamente, l’Agenzia potrebbe comunque avviare un controllo se sospetta altre irregolarità. Ma se tu hai pagato ciò che segnalavano, difficilmente spenderanno risorse per approfondire oltre, salvo casi eclatanti. Diciamo che un ravvedimento completo chiude al 99% la vicenda.
D: La lettera riguarda la società di cui sono amministratore: cosa devo fare dal punto di vista della società e mio personale?
R: La gestione è analoga: la società (tramite i suoi amministratori) deve verificare e decidere se ravvedersi o no. Fiscalmente, si farà la dichiarazione integrativa della società e i versamenti a nome della società. Dal punto di vista del rappresentante, attento ai profili penali: se la società ha evaso molto, come legale rappresentante potresti risponderne tu. Quindi conviene far ravvedere la società per mettere al riparo anche te da denunce. Se la società è in crisi di liquidità e non può pagare tutto, valuta col professionista eventuali altre soluzioni (es. pagamento parziale, adesione, richiesta dilazione post-accertamento). Ma sappi che la lettera alla società va presa sul serio tanto quanto quelle ai privati. Inoltre, le società di persone passano le imposte ai soci: se è questo il caso e la società non reagisce, poi gli avvisi arriveranno anche ai soci per le loro quote di reddito non dichiarato. Dunque, difendi la società per tutelare anche i soci.
D: E se ho già ricevuto un avviso bonario per lo stesso periodo?
R: In teoria non dovrebbe succedere: un avviso bonario deriva da controlli automatici della dichiarazione presentata (ad esempio liquidazione 36-bis per piccoli errori), la lettera di compliance invece verte su dati non dichiarati noti da fonti esterne. Possono coesistere se riguardano cose diverse. Se però ti sembra che la lettera duplichi qualcosa di già contestato in un 36-bis, segnalalo all’ufficio. Potrebbe trattarsi di incoordinazione interna. In ogni caso, l’avviso bonario ha un suo iter (30 gg per pagare con 10% sanzione). La lettera di compliance su altre materie segue il suo. Gestiscili separatamente, assicurandoti di non pagare due volte per la stessa cosa. Se hai dubbi, questo è proprio un caso in cui un consulente fiscale può aiutare a coordinare la difesa.
In sintesi finale: la lettera di compliance va vista non come un atto ostile, ma come una seconda chance offerta al contribuente. Difendersi in questa fase significa collaborare strategicamente: riconoscere gli errori reali e correggerli subito, e al contempo saper contestare con dati di fatto le pretese errate. Così si possono minimizzare costi, evitare sanzioni severe e anche precludere scenari penali. Al contrario, un atteggiamento passivo o ostruzionistico porta quasi sempre a maggior danno economico e giuridico.
Di fronte al Fisco che “ti scrive”, la miglior difesa è farsi trovare preparati: documenti in ordine, normative conosciute (anche quelle a tuo favore), e volontà di risolvere. Con questa guida, si auspica che professionisti, imprenditori e privati abbiano strumenti più chiari per affrontare a testa alta – ma con prudenza e cognizione di causa – la famigerata lettera di compliance dell’Agenzia delle Entrate.
Fonti e riferimenti normativi
- Provvedimento AE n.264078 del 12/06/2024 – “Comunicazioni per l’adempimento spontaneo IVA 2023”. Documento ufficiale che attua la compliance per omessa/mancata dichiarazione IVA: l’Agenzia userà i dati delle e-fatture e corrispettivi telematici per individuare chi non ha presentato la dichiarazione annuale IVA 2023 o l’ha presentata con volume d’affari irrisorio. Stabilisce l’invio via PEC della comunicazione e la messa a disposizione nel cassetto fiscale. Rilevante per illustrare il meccanismo di segnalazione anomalie IVA.
- Cassazione Penale, sez. III, sent. 19 giugno 2023 n. 26274 – (commento Osservatorio Giustizia Tributaria). Pronuncia fondamentale sulla nozione di “formale conoscenza” che preclude la non punibilità ex art.13 D.Lgs.74/2000. La Corte ha stabilito che la causa di non punibilità opera anche se erano in corso controlli fiscali, purché non formalmente avviati nei confronti diretti del contribuente. Nel caso di specie, la richiesta di chiarimenti dell’AE rivolta all’imputato (durante verifica su terzi) non è stata considerata conoscenza formale di accertamento, consentendo il ravvedimento con non punibilità. Questa sentenza avvalora il fatto che la lettera di compliance (analoga a una richiesta informale) non preclude il ravvedimento “penale” e sottolinea la ratio premiale dell’art.13.
- Normativa di riferimento:
- Legge 23 dicembre 2014 n.190, art.1 commi 634-636: istituzione delle comunicazioni per l’adempimento spontaneo. Comma 636 delega ai Provvedimenti AE le modalità (coinvolgimento Guardia di Finanza, tipi di informazioni da fornire, livelli di assistenza e “rimedi per la correzione degli errori”).
- Legge 190/2014, art.1 commi 637-638: modifiche al ravvedimento operoso. In particolare ha inserito in art.13 D.Lgs.472/97 il comma 1-ter che esclude la preclusione del ravvedimento per i tributi AE salvo notifica atti di accertamento o comunicazioni ex 36-bis/ter. Ha introdotto nuove fasce di riduzione sanzioni (1/9,1/8,…1/6).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997 n.472, art.13: disciplina del ravvedimento operoso (aggiornato). Vedi in particolare comma 1 e 1-bis (riduzioni sanzioni), comma 1-ter (esclusione preclusioni salvo atti notificati), comma 2-ter (divieto ravvedimento per dichiarazione oltre 90gg).
- D.Lgs. 74/2000, art.13: cause di non punibilità penale. Comma 1 (omessi versamenti, pagamento integrale prima del dibattimento); comma 2 (dichiarazione fraudolenta, infedele, omessa – non punibili se ravvedimento/presentazione tardiva entro anno succ., prima di formale conoscenza accertamenti).
- D.Lgs. 74/2000, art.4 e 5: definizione dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione con relative soglie (100k imposta, 2M attivo; 50k imposta).
- D.Lgs. 158/2015 e D.Lgs. 87/2024: interventi di riforma sulle sanzioni amministrative (riduzione aliquote infedele e omessi versamenti).
Lettera di compliance dell’Agenzia delle Entrate? Fatti Difendere da Studio Monardo
Hai ricevuto una lettera di compliance da parte dell’Agenzia delle Entrate?
Ti invitano a verificare e correggere la dichiarazione dei redditi per presunte anomalie, omissioni o incongruenze?
La lettera di compliance non è un accertamento, ma è il primo passo per sollecitare il contribuente a sanare presunti errori. Tuttavia, non sempre ciò che il Fisco segnala è corretto. E intervenire in modo sbagliato può aggravare la tua posizione.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la comunicazione e i dati indicati come anomali
- 📌 Verifica se l’anomalia segnalata è fondata o frutto di errori dell’Agenzia
- ✍️ Ti assiste nella risposta alla lettera e nella compilazione corretta dell’eventuale ravvedimento
- ⚖️ Presenta istanze o controdeduzioni per evitare sanzioni e accertamenti futuri
- 🔁 Ti guida passo dopo passo nel correggere solo ciò che è realmente necessario
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in compliance fiscale e contenzioso tributario
- ✔️ Specializzato in difesa da controlli su redditi, bonus, quadro RW e fatture elettroniche
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Una lettera di compliance non va ignorata, ma non va nemmeno affrontata da soli.
Con l’assistenza giusta puoi evitare errori, rispondere correttamente e tutelarti da contestazioni future.
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