Come Posso Uscire Da Un Indebitamento

Ti trovi in una situazione in cui i debiti stanno diventando insostenibili? Non riesci più a far fronte a rate, bollette, finanziamenti o cartelle esattoriali? Ti stai chiedendo come puoi uscire da un indebitamento e riprendere il controllo della tua vita economica?

Il sovraindebitamento non è una colpa, ma una condizione che può colpire famiglie, lavoratori autonomi, ex imprenditori e anche pensionati. Fortunatamente, esistono strumenti legali concreti per uscire dal tunnel del debito e ripartire senza essere schiacciati da interessi, sanzioni e minacce di pignoramento.

Quando sei in stato di sovraindebitamento?
– Quando le entrate mensili non bastano più a coprire le spese fisse e i debiti
– Se hai accumulato rate impagate, scoperti, cartelle o ingiunzioni
– Se mutui o prestiti sono fuori controllo e il tuo reddito è insufficiente
– Se rischi pignoramenti su conto, stipendio o pensione
– Se non riesci a gestire il rapporto con banche, finanziarie, Agenzia Entrate o INPS

Quali sono le soluzioni per uscire dal debito?
– La procedura di sovraindebitamento (Legge 3/2012 aggiornata dal Codice della Crisi)
– Il piano del consumatore, per chi ha solo debiti personali
– L’accordo di composizione della crisi, per ex imprenditori o professionisti
– La liquidazione controllata, se non hai più patrimonio da offrire
– Il saldo e stralcio, per chi ha debiti con privati, banche o società di recupero
– La transazione fiscale o previdenziale, per ridurre debiti con il Fisco o l’INPS

Cosa prevede la procedura di sovraindebitamento?
– L’assistenza di un avvocato e di un gestore della crisi (OCC)
– Una proposta da presentare al tribunale per pagare solo una parte dei debiti, in base al reddito e al patrimonio
– Il blocco immediato di pignoramenti e azioni esecutive
– L’opportunità di azzerare i debiti residui dopo il pagamento della quota approvata

Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– L’annullamento parziale o totale dei debiti
– La tutela della casa, del reddito e dei beni essenziali
– La possibilità di ripartire legalmente da zero, senza paura del recupero crediti
– La ricostruzione della tua affidabilità economica e personale

Come iniziare a uscire dall’indebitamento?
– Fai un’analisi completa dei debiti (rate, scadenze, creditori, importi)
– Verifica se hai i requisiti per accedere alla composizione negoziata o al sovraindebitamento
– Affidati a un avvocato esperto per valutare il percorso migliore
– Scegli una strategia concreta e sostenibile per riconquistare la tua libertà finanziaria

Non sei solo, e non devi affrontare tutto da te. Le leggi oggi ti permettono di affrontare i debiti in modo dignitoso, legale e risolutivo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi da sovraindebitamento e difesa legale dai creditori ti spiega come uscire da un indebitamento, quali strumenti esistono e come ripartire davvero.

Se la tua situazione ti sembra senza via d’uscita, richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme i tuoi debiti e costruiremo una strategia su misura per liberarti e tornare a vivere.

Introduzione

Trovarsi sommersi dai debiti è una condizione che può colpire sia i privati cittadini che le imprese, con conseguenze pesantissime sul piano economico e personale. Uscire da una situazione di sovraindebitamento (cioè l’impossibilità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni) è possibile grazie agli strumenti previsti dall’ordinamento italiano, i quali sono stati profondamente riformati negli ultimi anni per offrire al debitore onesto una seconda chance. In questa guida aggiornata a luglio 2025, esamineremo in dettaglio tali strumenti – sia soluzioni stragiudiziali (accordi volontari, piani di rientro) sia procedure concorsuali previste dalla legge – con un taglio avanzato e pratico, adatto a avvocati, privati e imprenditori. Verranno analizzati tutti i tipi di indebitamento, dalle obbligazioni personali (mutui, finanziamenti, debiti fiscali, ecc.) ai debiti d’impresa, considerando anche i profili di responsabilità degli amministratori in caso di insolvenza aziendale. Il punto di vista adottato è quello del debitore, ossia di chi cerca una soluzione per liberarsi dai debiti, nel rispetto della normativa vigente e dei diritti dei creditori.

Struttura della guida: dopo aver chiarito le nozioni chiave e le categorie di debitori rilevanti, illustreremo le possibili soluzioni stragiudiziali per gestire il debito (ad esempio rinegoziazioni o piani di pagamento volontari). Successivamente, approfondiremo le procedure giudiziali di composizione della crisi da sovraindebitamento riservate a consumatori, professionisti e piccole imprese (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, esdebitazione dell’incapiente). Passeremo poi alle procedure concorsuali ordinarie per le imprese di maggiori dimensioni (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale ex fallimento), evidenziando come anche in tali contesti il legislatore persegua finalità di risanamento o “fresh start” del debitore in buona fede. Un capitolo a parte sarà dedicato ai debiti fiscali, data la presenza di strumenti specifici (rateizzazioni, “rottamazione” delle cartelle, transazione fiscale) per alleviare il peso dei debiti tributari e contributivi. Affronteremo infine i profili di responsabilità personale degli amministratori e dei soci per i debiti della società, così che l’imprenditore possa comprendere in quali casi il patrimonio personale può essere aggredito dai creditori sociali.

La guida include tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni (ad esempio: posso evitare di perdere la casa?, in quanto tempo si cancellano i debiti?, quali debiti non si possono cancellare?, cosa succede se non rispetto il piano? ecc.). Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate (leggi, articoli del Codice della crisi, sentenze aggiornate) sono riportate in fondo, nella sezione Fonti, per consentire ulteriori approfondimenti. Procediamo dunque ad esaminare come uscire da un indebitamento, passo dopo passo, attraverso gli strumenti offerti dal diritto italiano al luglio 2025.

Tipologie di debitori e di indebitamento

Prima di scegliere la via d’uscita da una crisi debitoria, è fondamentale individuare che tipo di debitore si ha di fronte e che natura hanno i debiti accumulati. L’ordinamento italiano infatti distingue tra debitori “fallibili” (soggetti alle ordinarie procedure concorsuali come fallimento/liquidazione giudiziale) e debitori “non fallibili” (ai quali si applicano le speciali procedure di sovraindebitamento). Questa distinzione incide sulle soluzioni disponibili.

  • Debitore consumatore (privato non imprenditore): è la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale (es. familiari, personali). Tipici esempi: mutui o finanziamenti al consumo, bollette e affitti arretrati, carte di credito, debiti fiscali personali. Il consumatore non è soggetto al fallimento, ma può accedere alle procedure di sovraindebitamento dedicate (come il piano del consumatore, oggi “ristrutturazione dei debiti del consumatore”).
  • Piccolo imprenditore o imprenditore minore: è l’imprenditore commerciale che non supera determinati parametri dimensionali fissati dalla legge. In base all’art. 2, lett. d) del Codice della Crisi, si definisce “impresa minore” quella che nei tre esercizi precedenti la domanda presenta congiuntamente: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi annui ≤ €200.000 e debiti ≤ €500.000. Sotto tali soglie l’impresa non è assoggettata a liquidazione giudiziale (ex fallimento). Fanno parte dei non fallibili anche l’imprenditore agricolo (indipendentemente dalle dimensioni, per espressa esclusione di legge) e le start-up innovative iscritte nell’apposita sezione del registro imprese. Questi soggetti, se in crisi, possono accedere alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata, etc.) invece che al fallimento.
  • Professionisti, artisti e lavoratori autonomi: anche i titolari di debiti derivanti dall’attività professionale (avvocati, commercialisti, artigiani, artisti, ecc.) rientrano tra i debitori non fallibili. Parimenti, enti non commerciali, start-up e società semplici tra professionisti possono accedere alle procedure di sovraindebitamento.
  • Imprenditore “fallibile” (soggetto a liquidazione giudiziale): include le imprese commerciali di maggiori dimensioni, cioè che superano anche uno solo dei parametri di cui sopra. Per tali debitori restano applicabili le procedure concorsuali ordinarie previste dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII): in primis il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale (nuova denominazione del fallimento). Anche società di capitali, società di persone e altri enti collettivi che esercitano attività d’impresa commerciale rientrano in questa categoria (salvo le eccezioni viste, es. società agricole). Va precisato che, con la riforma, alcune tutele tipiche delle procedure di sovraindebitamento si applicano anche agli imprenditori maggiori: ad esempio, l’istituto dell’esdebitazione (liberazione dai debiti residui) ora è previsto sia per l’ex fallito persona fisica sia, in certe condizioni, persino per società ed enti, in linea con i principi UE sul fresh start. In ogni caso, le strategie per uscire dai debiti differiranno a seconda che il debitore sia una persona fisica consumatore, una piccola impresa o una società di più grandi dimensioni.

Un altro aspetto da considerare sono i tipi di debito contratti, poiché alcune normative offrono soluzioni specifiche in base alla natura del credito:

  • Debiti bancari e finanziari: derivanti da mutui, prestiti personali, scoperti di conto, leasing. Questi in genere possono essere rinegoziati con le banche o inclusi in piani di ristrutturazione; spesso sono assistiti da garanzie (ipoteche, fideiussioni) che vanno tenute presenti (il creditore garantito ha diritti di prelazione).
  • Debiti commerciali: verso fornitori, affitti di azienda, canoni leasing, ecc. Rientrano tipicamente nelle passività d’impresa e possono essere oggetto di accordi stragiudiziali o di falcidia nelle procedure concorsuali.
  • Debiti fiscali e contributivi: verso l’Erario (Agenzia Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione) o enti previdenziali (INPS, casse previdenza). Questi debiti godono per legge di privilegio e in alcuni casi di cause di prelazione speciali. La normativa prevede strumenti ad hoc come la rateizzazione o la definizione agevolata (cosiddetta rottamazione delle cartelle). Nelle procedure concorsuali, i debiti fiscali possono essere trattati tramite transazione fiscale, con possibilità di stralciare sanzioni e interessi e pagare parzialmente l’imposta, previa adesione o quanto meno nel rispetto di soglie di soddisfacimento minimo.
  • Debiti da finanziamenti soci o intra-gruppo: in ambito societario, se vi sono finanziamenti da parte dei soci, in caso di insolvenza essi sono postergati (pagati dopo gli altri crediti) e spesso sono rinunciati per favorire la ristrutturazione.
  • Debiti personali da cause di forza maggiore: ad esempio spese mediche impreviste, perdita del lavoro, garanzie escusse. Queste situazioni sono spesso all’origine di sovraindebitamento dei consumatori “meritevoli” (in buona fede).
  • Debiti derivanti da condotte illecite: come sanzioni amministrative, multe, risarcimenti per fatti illeciti. Attenzione: alcuni di questi debiti non sono “cancellabili” neppure tramite esdebitazione. In particolare, obblighi di mantenimento e alimentari, debiti per risarcimento danni da fatto illecito extracontrattuale e sanzioni penali o amministrative pecuniarie (non accessorie a debiti estinti) restano comunque dovuti. Il debitore dovrà quindi tenerne conto: le procedure concorsuali non potranno cancellare tali debiti privilegiati particolari.

Riassumendo, per uscire dalla spirale dei debiti è necessario individuare il percorso adatto al tipo di debitore (privato consumatore, piccolo imprenditore, società) e alla natura dei debiti contratti (bancari, fiscali, ecc.). Nei prossimi capitoli esamineremo le opzioni disponibili: inizieremo dalle soluzioni stragiudiziali, per poi affrontare le procedure giudiziali di esdebitazione previste dal legislatore italiano.

Soluzioni stragiudiziali (accordi volontari e piani di rientro)

Prima di ricorrere a tribunali o procedure formali, è spesso opportuno tentare soluzioni stragiudiziali, ossia accordi volontari con i creditori che consentano di gestire o ridurre l’indebitamento. Queste soluzioni richiedono la disponibilità dei creditori a collaborare, ma presentano il vantaggio della flessibilità e di minori costi e tempi rispetto a un procedimento giudiziario. Ecco alcune strategie stragiudiziali comuni per affrontare i debiti:

  • Rinegoziazione del debito con i creditori: Il debitore può contattare ciascun creditore (banche, finanziarie, fornitori) e negoziare condizioni più sostenibili, ad esempio un allungamento dei termini di pagamento (piano di rientro in rate mensili più piccole) o una riduzione dell’importo dovuto (saldo e stralcio). Il saldo e stralcio consiste nell’offrire al creditore un pagamento immediato di importo inferiore al debito originario, in cambio della rinuncia al resto: è efficace soprattutto con banche o finanziarie di fronte a crediti deteriorati, che preferiscono incassare subito una percentuale piuttosto che attivare lunghe esecuzioni con esito incerto. Ad esempio, un debito di €50.000 potrebbe essere chiuso pagando €20.000 subito se il creditore accetta di stralciare il residuo 60%. Queste trattative avvengono privatamente e vanno preferibilmente formalizzate per iscritto (accordo transattivo).
  • Consolidamento o rifinanziamento: Una strada praticabile, se la situazione non è ancora troppo compromessa, è quella di ottenere un nuovo prestito di consolidamento che estingua tutti i debiti pregressi accorpandoli in un’unica obbligazione, magari con durata più lunga e rata più bassa. Ad esempio, il debitore con più finanziamenti attivi può chiedere alla banca un unico mutuo a 10 anni che chiuda tutti i prestiti, restituendo poi solo la rata di tale mutuo. Ovviamente ciò richiede che il debitore abbia ancora un merito creditizio sufficiente o garanzie da offrire; inoltre spesso il consolidamento comporta costi aggiuntivi e va valutato attentamente.
  • Intervento di un terzo garante o acquirente: In alcuni casi un familiare o socio può intervenire apportando liquidità per ridurre il debito. Un parente potrebbe ad esempio offrire una somma per chiudere un finanziamento arretrato (es. pagare €10.000 su un debito di €20.000 ottenendo lo stralcio del restante). Oppure, se il debitore possiede beni pignorabili, un terzo potrebbe acquistarli (a prezzo equo) fornendo liquidità al debitore per pagare i creditori. Tali soluzioni extra-giudiziali spesso accompagnano anche le procedure formali (si pensi all’“apporto di risorse esterne” che vedremo nel concordato minore), ma possono avvenire anche fuori dal contesto giudiziario con accordi privati.
  • Moratorie e sospensioni legali o convenzionali: In situazioni di crisi sistemica o pandemica, il legislatore può prevedere moratorie straordinarie (come avvenuto per mutui e leasing durante l’emergenza Covid-19) che sospendono temporaneamente l’obbligo di pagamento. Fuori da tali ipotesi, il debitore può comunque chiedere volontariamente al creditore una sospensione o riduzione temporanea delle rate (ad esempio molte banche aderiscono a protocolli ABI che consentono la sospensione delle rate mutuo prima casa per 6-12 mesi in caso di difficoltà, o la rinegoziazione del tasso).
  • Assistenza di organismi specializzati: Oltre agli approcci individuali, esistono enti o professionisti che aiutano i debitori a gestire le esposizioni. In Italia operano ad esempio le Organizzazioni di composizione delle crisi da sovraindebitamento (OCC) istituite presso enti pubblici (Camere di commercio, Ordini professionali) alle quali il debitore può rivolgersi per essere guidato nella scelta tra opzioni stragiudiziali o procedure concorsuali. Vi sono poi associazioni dei consumatori e consulenti del debito che possono negoziare con i creditori per conto del debitore.

Le soluzioni stragiudiziali richiedono comunque credibilità e trasparenza: il debitore deve presentare un piano realistico ai creditori, dimostrando la volontà di soddisfarli meglio di quanto questi otterrebbero altrimenti (ad esempio da un pignoramento o da un fallimento). Spesso conviene fornire documentazione sulla propria situazione (entrate, uscite, beni posseduti) per convincere i creditori ad aderire. Va detto che questi accordi non vincolano i dissenzienti: se uno o più creditori non accettano, potranno comunque agire per conto proprio (pignoramenti, decreti ingiuntivi, ecc.), vanificando in parte lo sforzo. Inoltre, un accordo stragiudiziale non sospende automaticamente le azioni esecutive in corso: il debitore dovrà eventualmente trovare un’intesa anche con chi ha avviato un pignoramento affinché lo sospenda.

Quando ricorrere alle procedure giudiziali? Se il debito è troppo elevato o i creditori sono troppi/disorganizzati, le soluzioni volontarie potrebbero non bastare. In tali casi il debitore può valutare le procedure concorsuali che, attraverso l’intervento del tribunale, impongono un accordo o una soluzione ai creditori dissenzienti. Nel prossimo paragrafo analizzeremo in dettaglio queste procedure, a partire da quelle riservate ai consumatori e piccoli imprenditori in stato di sovraindebitamento (disciplinate dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza). Tali procedure – comunemente note come “legge salva-suicidi” (dal nome dato alla Legge n.3/2012 poi assorbita nel Codice) – rappresentano oggi il principale strumento per consentire al debitore civile di ridurre il proprio debito e ripartire da zero, vediamole dunque in dettaglio.

Procedure di sovraindebitamento per consumatori e imprese minori

Dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore in Italia il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che ha riordinato anche la disciplina del sovraindebitamento (precedentemente regolata dalla Legge 3/2012). Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono concepite per i debitori non fallibili – consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, start-up, ecc. – che si trovino in uno stato di crisi o insolvenza tale da non poter più pagare regolarmente i propri debiti. L’obiettivo è duplice: da un lato soddisfare in modo equilibrato i creditori, per quanto possibile, e dall’altro liberare il debitore onesto dai debiti residui (mediante l’esdebitazione), evitandogli di rimanere perseguitato a vita per obbligazioni che non potrà mai pagare.

Le principali procedure oggi previste (Titolo IV, Capo II, CCII) sono quattro:

  1. Ristrutturazione dei debiti del consumatore (già nota come Piano del consumatore): una procedura giudiziale basata su un piano di pagamento proposto dal debitore consumatore, senza necessità di accordo con i creditori (decide il giudice). È uno strumento individuale e modellato sulla situazione del consumatore, pensato per riequilibrare la sua posizione debitoria tutelando al contempo i beni essenziali.
  2. Concordato minore (già accordo di composizione): una procedura simile a un concordato preventivo “in miniatura”, aperta a imprenditori minori, professionisti o anche consumatori che preferiscano un accordo con i creditori. Si basa sul consenso della maggioranza dei creditori su una proposta di ristrutturazione, poi omologata dal tribunale.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (già liquidazione del patrimonio): la procedura liquidatoria in cui il patrimonio del debitore (persona fisica o soggetto non fallibile) viene liquidato da un commissario nominato dal giudice e il ricavato distribuito ai creditori. Rappresenta la soluzione residuale quando non sia fattibile un piano o concordato. Al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti rimasti).
  4. Esdebitazione del debitore incapiente: introdotta di recente, è una procedura speciale che consente al debitore persona fisica privo di qualsiasi risorsa di ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza pagare nulla, a certe condizioni. È un beneficio concesso una tantum solo ai debitori meritevoli ma totalmente incapienti, come vedremo.

Esaminiamo singolarmente queste procedure, evidenziandone funzionamento, condizioni e vantaggi, anche con l’ausilio di tabelle di sintesi.

Ristrutturazione dei debiti del consumatore

La ristrutturazione dei debiti del consumatore è l’evoluzione del vecchio piano del consumatore previsto dalla L.3/2012. Può accedervi esclusivamente il debitore consumatore persona fisica, cioè colui che ha debiti di natura estranea ad attività d’impresa. Si tratta di una procedura individuale in cui il debitore, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e di un gestore nominato, predispone un piano di pagamenti sostenibile, da presentare al tribunale. Caratteristica chiave: non occorre l’accordo dei creditori – questi non votano sul piano. Sarà il giudice a valutare ed eventualmente omologare il piano, verificati i requisiti di legge, anche in presenza di creditori contrari.

Requisiti principali: il consumatore deve essere meritevole, ovvero non aver causato la propria insolvenza con dolo o colpa grave (ad es. spese voluttuarie sproporzionate, frodi ai creditori). Inoltre deve offrire ai creditori almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione dei suoi beni (principio del best interest of creditors). Non può accedere chi ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. (Nota: una modifica del Correttivo 2024 ha eliminato l’ostacolo del semplice utilizzo di una procedura nei 5 anni: ora conta solo l’aver già beneficiato di una cancellazione debiti, non l’aver tentato un piano senza esdebitazione).

Contenuto del piano: il piano del consumatore è altamente flessibile. Può prevedere la dilazione dei pagamenti anche per diversi anni (tipicamente piani da 4–5 anni), il pagamento parziale di alcuni debiti (stralcio delle quote non pagabili dei crediti chirografari), la moratoria fino a 24 mesi sui crediti privilegiati, nonché eventuali cessioni di beni non indispensabili per ricavare liquidità. L’importante è che il piano sia sostenibile per il debitore – tenendo conto del suo reddito disponibile al netto delle spese di sostentamento – e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. Un aspetto cruciale è la possibilità di salvaguardare la prima casa: se il debitore ha un mutuo ipotecario ed è in regola con i pagamenti, il piano può escludere l’abitazione dalla liquidazione e permettere di continuare a pagare le rate, mantenendo la casa. Anche in caso di qualche rata arretrata, il giudice può autorizzare il debitore a pagare separatamente le rate scadute del mutuo per evitare l’esecuzione ipotecaria. Questa facoltà, chiarita dalla riforma del 2024, consente al debitore di non perdere l’immobile ove ciò non pregiudichi i creditori (ad esempio perché l’alternativa – vendere la casa – sarebbe meno vantaggiosa se il mutuo residuo è alto rispetto al valore). In sintesi, il piano mira a risanare la posizione debitoria senza annientare le basi di vita del debitore, proteggendo per quanto possibile i beni essenziali (casa di abitazione, auto per lavorare, redditi minimi) e offrendo ai creditori ciò che è realisticamente pagabile.

Procedimento: il debitore deposita il piano presso il tribunale competente, corredato da tutta la documentazione richiesta (elenchi di creditori, certificati fiscali, stato patrimoniale e reddituale) e soprattutto dalla relazione particolareggiata dell’OCC. Questa relazione deve attestare la veridicità dei dati forniti e la fattibilità del piano. Il giudice, ricevuta l’istanza, notifica il piano a tutti i creditori e fissa un’udienza. I creditori non votano formalmente, ma possono presentare opposizioni o osservazioni (ad esempio contestare la convenienza della proposta o la meritevolezza del debitore). All’udienza, il tribunale verifica una serie di elementi:

  • che il debitore sia effettivamente un consumatore (no debiti professionali/imprenditoriali nascosti);
  • la meritevolezza: se emergono atti in frode (es. aver nascosto beni, simulato vendite) o un indebitamento aggravato da colpa grave (ricorso spropositato al credito senza motivo), la procedura viene dichiarata inammissibile;
  • la sostenibilità del piano per il debitore e la convenienza per i creditori (devono ricevere almeno quanto ricaverebbero da una liquidazione competitiva dei beni);
  • l’assenza di cause di inammissibilità specifiche (es: esdebitazione nei 5 anni) e la regolarità formale.

Se tutto è in regola, il tribunale emette il decreto di omologazione del piano. Da quel momento il piano omologato diventa obbligatorio per tutti i creditori coinvolti, anche per quelli che si erano opposti. Inoltre scattano tutele importanti per il debitore:

  • Sospensione delle azioni esecutive individuali: i creditori non possono iniziare né proseguire pignoramenti o altre esecuzioni per i crediti inclusi nel piano. Eventuali procedure in corso vengono bloccate e accodate alle previsioni del piano (salvo eccezioni specifiche autorizzate dal giudice, ad esempio se il piano prevede la vendita di un bene già pignorato, quell’esecuzione potrà proseguire ma secondo le modalità e tempistiche del piano). Nota: la Corte di Cassazione ha precisato che il semplice avvio di una procedura di sovraindebitamento non sospende automaticamente le esecuzioni in corso – occorre attendere il provvedimento del giudice. Una volta omologato però, il divieto di azioni esecutive opera con pienezza.
  • Vigilanza sull’esecuzione: il debitore deve dare attuazione al piano (pagare le rate concordate, vendere i beni promessi, ecc.) sotto la supervisione dell’OCC o di un eventuale commissario nominato dal giudice. In genere l’Organismo verifica periodicamente il rispetto del piano e riferisce al giudice.
  • Esdebitazione finale: se il debitore adempie integralmente gli obblighi previsti dal piano, ottiene la cancellazione definitiva di tutti i debiti residui inclusi nel piano e non soddisfatti. In altri termini, i crediti vengono considerati estinti per la parte eccedente quanto effettivamente pagato. Ad esempio, se un creditore aveva €10.000 e il piano ne fa pagare €4.000 (40%), il restante 60% (€6.000) è legalmente inesigibile dopo la positiva esecuzione: il creditore non potrà più pretendere quel saldo. L’esdebitazione nel piano del consumatore è intrinseca all’omologazione: il decreto che approva il piano già stabilisce che, a fronte dell’esatto adempimento, il debitore sarà liberato dai debiti ulteriormente non pagati. Ciò semplifica la procedura (non è necessario fare separata istanza di esdebitazione a fine piano, a differenza di quanto avviene per la liquidazione).

Se invece il debitore non rispetta il piano senza giustificato motivo – ad esempio smette di pagare le rate concordate – i creditori possono chiedere la revoca dell’omologazione: in tal caso tornano ad essere dovuti tutti i debiti originari (detraendo quanto pagato nel frattempo). Il mancato rispetto del piano fa perdere i benefici dell’esdebitazione, salvo che il giudice, in presenza di circostanze eccezionali, conceda una modifica del piano per rimediare (la riforma ha introdotto una certa flessibilità, consentendo al debitore di proporre correttivi entro 15 giorni se emergono problemi formali). Ma se il piano diventa definitivamente inattuabile, l’alternativa sarà il ricorso alla liquidazione controllata del patrimonio.

Esempio pratico: Mario, impiegato con stipendio netto €1.500/mese, ha accumulato debiti per €60.000 (di cui €20.000 con la banca per prestiti, €5.000 bollette e affitti arretrati, €35.000 con Agenzia Entrate per tasse). Non ha casa (vive in affitto) e possiede solo un’auto utilitaria; può destinare al massimo €300 al mese ai creditori, il resto gli serve per vivere. È un tipico caso di sovraindebitamento da eventi sfortunati (spese mediche, periodo di disoccupazione) e meritevole. Attraverso un OCC, Mario elabora un piano del consumatore così strutturato:

  • paga €300 al mese per 5 anni (60 mesi) ai creditori chirografari (banca, fornitori vari), per un totale di €18.000 da ripartire pro-quota, pari a ~40% dei loro crediti;
  • paga all’Agenzia delle Entrate €10.000 in 60 rate (incluse nei €300 mensili totali). Propone di stralciare sanzioni e interessi di mora e di pagare solo parte dell’imposta dovuta: su €35.000 di cartelle (di cui larga parte sanzioni), ipotizza che il debito “pulito” sia €20.000 e ne offre il 50%;
  • prevede clausole di salvaguardia: se avrà entrate straordinarie (es. un bonus, TFR), una parte andrà a incrementare i pagamenti ai creditori;
  • mantiene la sua auto necessaria per il lavoro, ma si impegna a venderla e sostituirla con un mezzo più economico se dovesse trovarsi in grave difficoltà a rispettare le rate.

In totale, in 5 anni Mario pagherà circa €28.000 rispetto ai €60.000 dovuti, ossia ~46% complessivo. La banca è scontenta (recupera solo 40% in 5 anni) ma non può opporsi in modo decisivo, perché non ha garanzie e il piano rispetta la legge. Il tribunale valuta che il piano sia fattibile e conveniente (i creditori prenderebbero meno se Mario fosse liquidato, dato che non ha immobili né altri beni) e omologa il piano. Mario esegue regolarmente i pagamenti mensili. Dopo 5 anni, ottene l’esdebitazione: i circa €32.000 di debiti non pagati sono cancellati. Mario è così libero dai vecchi debiti e può ricominciare senza pendenze. Questo esempio mostra come la ristrutturazione dei debiti del consumatore consenta una soluzione sostenibile per il debitore e comunque vantaggiosa per i creditori rispetto all’inazione.

Di seguito una tabella di sintesi dei punti chiave della procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore:

Ristrutturazione dei debiti del consumatore – Sintesi

CaratteristicheDescrizione
Chi può accederviPersone fisiche consumatori (debiti contratti per scopi estranei ad attività d’impresa o professionale).
Accordo dei creditoriNon richiesto. I creditori non votano; possono solo fare osservazioni. Se il piano rispetta i requisiti di legge, il giudice lo omologa d’ufficio, vincolando tutti i creditori inclusi.
Requisiti specificiDebitore meritevole (assenza di dolo o colpa grave nell’indebitamento). Preclusa l’ammissione se il debitore ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. Il piano deve offrire ai creditori non meno di quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni del debitore (best interest test).
Cosa prevedeUn piano di pagamenti su misura in base alle capacità del debitore: rateizzazioni pluriennali, possibili moratorie fino a 2 anni sui crediti privilegiati, stralcio parziale dei debiti chirografari, vendita di beni non essenziali, apporto di terzi ecc. Deve essere sostenibile e garantire equilibrio tra i creditori (rispetto delle cause di prelazione).
Vantaggi per il debitoreMantiene il controllo del proprio patrimonio (nessuna liquidazione forzata salvo quanto previsto dal piano). Può evitare di perdere la prima casa se continua a pagare l’eventuale mutuo. Ottiene la sospensione di pignoramenti e azioni esecutive non appena il piano è omologato. Se esegue il piano, ottiene l’esdebitazione dei debiti residui non pagati.
Effetti per i creditoriDevono rispettare il piano omologato. Stop alle azioni individuali: i creditori non possono agire al di fuori del piano. Ricevono pagamenti pro-quota secondo le % e tempistiche stabilite; eventuali importi non soddisfatti sono cancellati a fine procedura. I creditori privilegiati/ipotecari mantengono la prelazione entro il valore del bene e, se il pagamento è dilazionato oltre 24 mesi, hanno diritto agli interessi legali sulle quote privilegiate.
Norme di riferimentoArtt. 67-73 Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019, come aggiornato). Ispirato al previgente “piano del consumatore” ex L.3/2012.

Concordato minore

Il concordato minore è la procedura concorsuale “negoziata” prevista per i debitori non fallibili che coinvolge attivamente i creditori. Concettualmente è analogo a un piccolo concordato preventivo, calibrato però su dimensioni ridotte e sulla semplicità delle situazioni da sovraindebitamento. Possono proporre un concordato minore:

  • un imprenditore minore in crisi (anche teoricamente fallibile, purché scelga questa via e non superi troppo i limiti; ad esempio un’impresa sotto soglia con debiti relativamente contenuti può preferire il concordato minore per evitare la liquidazione giudiziale fallimentare);
  • un professionista o lavoratore autonomo sovraindebitato;
  • un consumatore, qualora non voglia o non possa seguire la procedura specifica del piano del consumatore. Ad esempio un consumatore potrebbe optare per il concordato minore se il suo comportamento passato non è del tutto meritevole e teme un rigetto da parte del giudice: nel concordato minore, infatti, il giudizio di meritevolezza è meno stringente dal punto di vista formale (non è requisito espresso), affidandosi piuttosto al giudizio dei creditori. Oppure, se il debitore ha sia debiti personali sia qualche debito derivante da piccola attività d’impresa, potrebbe preferire un’unica procedura unitaria (il concordato minore) anziché separare le posizioni.

Nel concordato minore, il debitore presenta ai creditori una proposta di accordo per ristrutturare i debiti. Tale proposta diventa vincolante solo se ottiene l’approvazione da parte dei creditori stessi e la conseguente omologazione da parte del tribunale. È quindi una procedura a natura contrattuale/collettiva: a differenza del piano del consumatore, qui il debitore ha bisogno del voto favorevole dei creditori (anche se poi la maggioranza vincola eventuali dissenzienti).

Modalità di proposta e voto: Con l’ausilio dell’OCC, il debitore prepara una proposta dettagliata indicando come intende risanare la propria posizione. Può prevedere tutte le soluzioni già viste per il piano: pagamenti parziali e dilazionati, cessione di beni, nuovi apporti di denaro da terzi, eventualmente la continuazione dell’attività se c’è un piano di rilancio. Una differenza rispetto al piano del consumatore è l’enfasi sulle “risorse esterne”: spesso nel concordato minore si prevede che terzi (familiari, soci) conferiscano somme per aumentare l’attivo a disposizione dei creditori. La riforma 2024 ha chiarito che per risorse esterne si intendono effettivi apporti aggiuntivi al patrimonio al momento della domanda (denaro fresco o nuovi beni), e non semplici ipotesi di migliori percentuali future. Questo per facilitare il controllo di fattibilità da parte del tribunale.

La proposta viene comunicata a tutti i creditori che hanno diritto di voto. La legge fissa le maggioranze necessarie: di regola serve l’adesione di almeno il 60% dei crediti ammessi al voto. È possibile suddividere i creditori in classi omogenee (es. privilegiati separati da chirografari); in tal caso occorre il voto favorevole della maggioranza delle classi e dei crediti complessivi. Se la proposta raggiunge il quorum richiesto, si forma l’accordo vincolante. I creditori che non hanno aderito sono comunque obbligati se l’accordo è omologato dal giudice.

Il tribunale, prima di omologare, verifica anch’esso i requisiti di legge, tra cui la convenienza per i creditori dissenzienti (nessun concordato minore può lasciare a un creditore meno di quanto otterrebbe da una liquidazione). Inoltre valuta l’assenza di abusi o frodi. Formalmente il Codice non richiede che il debitore sia “meritevole” nel concordato minore (non compare la parola), ma ciò non significa che comportamenti gravemente scorretti siano irrilevanti: in parte, saranno gli stessi creditori a non accettare proposte da chi non ritengono affidabile; in più il giudice può comunque rilevare profili di abuso o malafede e negare l’omologazione. La Cassazione ha chiarito che la condotta del debitore è rilevante in tutte le procedure di sovraindebitamento: anche dove non è prevista espressamente come requisito di ammissibilità, essa influisce sull’esito in termini di fiducia e funzione del piano. Ad esempio, è stato cassato un accordo omologato in cui non era stato considerato che il debitore aveva reiteratamente evaso le imposte e contemporaneamente acquistato un immobile aggravando il debito: tale condotta doveva influire sul giudizio di affidabilità e quindi sulla decisione.

Cause di inammissibilità specifiche: il Codice prevede che il concordato minore non sia ammissibile se il debitore ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. È invece consentito riprovarci se semplicemente si è fatto ricorso a un’altra procedura di sovraindebitamento nei 5 anni ma senza ottenere esdebitazione (come detto, il correttivo ha eliminato questo divieto).

Se la maggioranza approva e il tribunale omologa l’accordo (verificata regolarità e fattibilità), gli effetti sono simili a quelli visti per il piano:

  • Il concordato omologato diventa vincolante per tutti i creditori inclusi, anche per quelli dissenzienti o non votanti. Eventuali azioni esecutive devono fermarsi (il tribunale, già all’apertura, può aver concesso misure protettive per sospendere i pignoramenti pendenti, analoghe all’automatic stay).
  • È possibile includere nel concordato minore anche i debiti fiscali e contributivi tramite la cosiddetta transazione fiscale (art. 63 CCII). Il debitore propone il trattamento parziale dei crediti tributari/previdenziali – ad es. pagando solo una quota dell’imposta e abbattendo sanzioni e interessi – ma l’adesione dell’ente (Agenzia Entrate o INPS) è necessaria al voto. La legge però consente un cram-down fiscale: se il Fisco vota contro ma la maggioranza degli altri creditori approva, il giudice può ugualmente omologare il concordato anche in mancanza del voto favorevole dell’Erario, purché al Fisco sia offerto almeno l’importo minimo previsto dalla legge. In pratica, l’erario dissenziente può essere crammed-down se riceve almeno la percentuale minima stabilita (che dipende dalla prevalenza o meno dei crediti fiscali sul totale). Questo meccanismo è innovativo e evita che uno Stato-creditore “inamovibile” possa bloccare procedure altrimenti valide.
  • Una volta eseguite le obbligazioni previste (pagamenti, cessioni, ecc.), il debitore ottiene l’esdebitazione per i debiti residui come nel piano del consumatore. Ciò significa che, se ad esempio il concordato stabiliva di pagare il 50% a tutti i chirografari, pagata tale percentuale, il restante 50% viene cancellato e nessun creditore potrà pretenderlo successivamente. L’esdebitazione interviene a fine concordato minore (a differenza del piano del consumatore, qui è implicita ma subordinata alla completa esecuzione dell’accordo).

Se il debitore non adempie al concordato, i creditori potranno rivolgersi al giudice per risolvere l’accordo e farlo decadere dai benefici, ripristinando i debiti originari (dedotti gli importi eventualmente incassati). Di norma l’inadempimento sostanziale di un concordato minore porta all’apertura di una liquidazione controllata (in caso di soggetto non fallibile) o, se fosse un imprenditore poi divenuto fallibile, anche a una liquidazione giudiziale.

Esempio pratico: Luigi è un piccolo imprenditore edile (ditta individuale) con debiti totali €200.000, di cui €50.000 verso banche (finanziamenti), €80.000 verso fornitori, €70.000 di debiti fiscali. Possiede un capannone del valore stimato €100.000 (ipotecato per €60.000 dalla banca) e pochi macchinari; l’attività è in crisi ma Luigi vorrebbe evitare il fallimento e magari proseguire su scala ridotta. Presenta quindi un concordato minore proponendo: vendere il capannone e con il ricavato pagare interamente il debito bancario garantito e in parte il Fisco; per il resto dei chirografari (fornitori) offrire una percentuale del 30% da versare in 3 anni con i proventi dell’attività continuativa (Luigi continua a lavorare accettando commesse più piccole, generando cassa per €2.000/mese di cui €500 destinati ai creditori). I creditori votano: la banca (ipotecaria) non vota sui chirografari ma è soddisfatta (recupera il 100% mediante l’ipoteca), il Fisco aderisce (meglio 30-40% subito che rischiare nulla), i fornitori in maggioranza approvano (preferiscono prendere 30% in 3 anni che vedere Luigi fallire e forse incassare zero). Raggiunto il 60% di consensi, il tribunale omologa. Luigi vende il capannone, paga il Fisco e la banca, e nei 3 anni seguenti versa puntualmente €500/mese ai fornitori. Al termine, Luigi ha pagato ad esempio il 100% dei privilegiati (banca e parte dell’Erario) e il 30% ai chirografari; il restante 70% ai fornitori viene cancellato per esdebitazione. Luigi ha così evitato la liquidazione fallimentare, ha salvato la sua attività (pur ridimensionata) e si ritrova senza debiti pendenti, potendo proseguire l’impresa. I creditori hanno ottenuto in tempi certi quello che il patrimonio di Luigi permetteva (probabilmente di più di quanto avrebbero ottenuto con un fallimento, detratte spese, tempi e incognite).

Segue una tabella riassuntiva del concordato minore:

Concordato minore – Sintesi

CaratteristicheDescrizione
Chi può accederviDebitori non fallibili in stato di crisi o insolvenza: imprenditori minori, professionisti, start-up innov., enti non commerciali. Ammesso anche il consumatore sovraindebitato che opti per questa procedura.
Accordo dei creditoriNecessario. Si forma se aderisce una maggioranza qualificata (es. 60% dei crediti). I creditori votano sulla proposta; in caso di approvazione, l’accordo vincola anche i dissenzienti dopo l’omologazione.
Requisiti e condizioniIl debitore deve presentare una proposta fattibile e conveniente (rispetto alla liquidazione) per i creditori dissenzienti. Non è richiesta espressamente la “meritevolezza” del debitore, ma condotte fraudolente o scorrette possono far negare l’omologazione per abuso. Inammissibile se il debitore ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti.
Cosa prevedeProposta di ristrutturazione dei debiti con vari strumenti: pagamento parziale dei crediti chirografari, dilazioni pluriennali, eventuale cessione di beni, apporto di risorse esterne (denaro di terzi). Possibile prevedere la continuazione dell’attività (concordato in continuità minore) oppure la liquidazione di tutti i beni non necessari. Si possono suddividere i creditori in classi e prevedere trattamenti differenziati, nel rispetto delle cause di prelazione.
Vantaggi per il debitoreEvita la liquidazione giudiziale/fallimento; mantiene una certa gestione della crisi e può proseguire l’attività se il piano lo contempla. Durante la procedura ottiene misure protettive (sospensione delle azioni esecutive). Se l’accordo viene eseguito, ottiene l’esdebitazione delle passività non soddisfatte (liberazione dai debiti residui).
Effetti per i creditoriDevono aderire in numero sufficiente affinché l’accordo sia approvato; una volta omologato, anche i creditori dissenzienti ne sono vincolati. Ricevono quanto previsto nell’accordo in via satisfattiva e perdono il diritto di agire al di fuori di esso. I crediti eventualmente non pagati oltre le percentuali concordate sono annullati a fine procedura. Il trattamento dei crediti privilegiati deve rispettare almeno il valore di realizzo dei beni su cui insiste la garanzia, salvo diverso accordo della classe di appartenenza. È possibile includere una transazione fiscale per i crediti erariali/contributivi: l’Erario può partecipare al voto accettando un pagamento parziale di imposte con stralcio di sanzioni e interessi. In caso di voto contrario del Fisco ma di maggioranza raggiunta dagli altri, il giudice può omologare ugualmente se il Fisco viene soddisfatto almeno nella misura minima di legge (cram-down).
Norme di riferimentoArtt. 74-83 CCII (Codice della Crisi). Ispira e sostituisce l’accordo di composizione della crisi ex L.3/2012. Prevede rinvii alle norme sul concordato preventivo in quanto compatibili. Art. 63 CCII disciplina la transazione fiscale applicabile nel concordato minore.

Liquidazione controllata del sovraindebitato

La liquidazione controllata è la procedura concorsuale destinata a liquidare il patrimonio del debitore sovraindebitato sotto la direzione del tribunale. Corrisponde, per i soggetti non fallibili, a ciò che il fallimento (ora liquidazione giudiziale) rappresenta per gli imprenditori maggiori. Si ricorre alla liquidazione controllata quando il debitore è insolvente e non è praticabile un accordo o un piano di ristrutturazione. Può accedervi tanto il consumatore quanto l’imprenditore minore o altro soggetto sovraindebitato (anche società non fallibili).

Accesso e iniziativa: la liquidazione controllata può essere richiesta dallo stesso debitore sovraindebitato, oppure dai creditori o dal Pubblico Ministero (in alcuni casi). Ad esempio, se un debitore non riesce a proporre un piano fattibile, può volontariamente chiedere la liquidazione dei suoi beni per chiudere la situazione debitoria in modo controllato. Anche un creditore potrebbe istigare la procedura per evitare di proseguire con esecuzioni individuali inefficaci e ottenere invece la parità di trattamento con gli altri creditori in sede concorsuale.

Effetti dell’apertura: il tribunale, verificati i presupposti (stato di insolvenza o sovraindebitamento conclamato), dichiara aperta la liquidazione controllata e nomina un liquidatore (solitamente un professionista terzo). Da quel momento:

  • Il patrimonio del debitore diviene oggetto della procedura: tutti i beni vengono sottoposti a liquidazione, eccetto quelli impignorabili per legge (es. stipendi nei limiti, beni di stretta necessità, etc.). Il debitore conserva la titolarità formale dei beni ma ne perde la disponibilità.
  • Sospensione delle azioni individuali: analogamente al fallimento, tutte le azioni esecutive e i pignoramenti dei creditori rimangono sospesi. I creditori devono partecipare alla liquidazione collettiva e non possono perseguire separatamente il debitore (a parte alcune eccezioni per crediti impignorabili o personali).
  • Formazione dello stato passivo: i creditori sono invitati a presentare le proprie domande di ammissione al passivo. Il liquidatore, con l’eventuale supervisione di un giudice delegato, forma l’elenco dei crediti ammessi e delle rispettive cause di prelazione (privilegi, ipoteche, pegni).
  • Liquidazione dei beni: il liquidatore procede a vendere i beni del debitore con procedure competitive (aste, etc.) o a riscuotere i crediti, trasformando in denaro l’attivo. Questa fase è “controllata” dal tribunale: ad esempio le vendite immobiliari seguono regole simil-aste giudiziarie.
  • Distribuzione ai creditori: il ricavato viene distribuito secondo l’ordine delle cause di prelazione (prima i creditori con privilegio speciale sui singoli beni venduti, poi eventuali privilegi generali e via via i chirografari). Se il patrimonio è insufficiente, i creditori chirografari ricevono solo una percentuale del loro credito, proporzionalmente (spesso nulla in caso di attivo molto scarso). La procedura si chiude quando tutto l’attivo è stato liquidato e distribuito, oppure quando si accerta che non c’è nulla da liquidare.

Durata massima e chiusura anticipata: una novità importante introdotta dal Codice della Crisi (in attuazione di principi UE) è che la liquidazione controllata deve concludersi di regola entro 3 anni dall’apertura. Se trascorsi 3 anni non tutti i beni sono venduti, il debitore persona fisica ha comunque diritto all’esdebitazione residua (vedi oltre) e la procedura si chiude, salvo proroghe in casi eccezionali. Inoltre, se prima del triennio si realizzano tutti i beni, la procedura può chiudersi anticipatamente.

Esdebitazione del debitore: il punto cruciale per il debitore persona fisica è che, a differenza del passato, non occorre una domanda separata per ottenere la liberazione dai debiti residui: l’esdebitazione opera “di diritto” al momento della chiusura della liquidazione (o dopo 3 anni dall’apertura, se anteriore). In pratica, tutti i debiti non soddisfatti con la liquidazione vengono cancellati, salvo alcune eccezioni di legge (alimenti, risarcimenti danni da illecito, multe: v. oltre). Questa liberazione automatica è concessa a condizione che il debitore abbia rispettato i propri doveri durante la procedura e non sia indegno. Il Codice elenca precise condizioni: ad esempio il debitore non dev’essere stato condannato per bancarotta fraudolenta o reati simili, non deve aver sottratto o nascosto beni, deve aver cooperato lealmente con il liquidatore, e non deve aver già ottenuto esdebitazioni nei 5 anni precedenti (né più di due volte in totale). Se queste condizioni sono soddisfatte, al provvedimento di chiusura la liberazione dai debiti è immediata e non richiede ulteriore giudizio. In caso contrario (ad es. frodi o condotte scorrette), il giudice – su istanza dei creditori o d’ufficio – può escludere l’esdebitazione.

È importante evidenziare che l’esdebitazione non libera eventuali coobbligati o garanti: se un terzo aveva garantito un debito del debitore, quel terzo resta obbligato. Parimenti, i debiti esclusi (alimenti, danni da fatto illecito, sanzioni) restano dovuti per intero. Tutti gli altri crediti concorsuali invece sono definitivamente cancellati (per la parte non pagata, oltre la percentuale distribuita ai chirografari).

Debitore incapiente: se durante la liquidazione il liquidatore rileva che il debitore non possiede alcun attivo da liquidare, la procedura può concludersi per mancanza di attivo. In tal caso il debitore potrebbe valutare, in alternativa, di ricorrere direttamente alla procedura speciale di esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII (vedi paragrafo seguente) per ottenere la cancellazione dei debiti in modo più rapido e mirato.

La liquidazione controllata, pur essendo dolorosa (il debitore perde i suoi beni), ha quindi il pregio di porre fine all’indebitamento in un tempo limitato e con una liberazione garantita in favore del debitore onesto. La storia creditizia del debitore ripartirà da zero (certo, con gli effetti negativi di un’insolvenza pregressa, ma senza più obbligazioni pendenti). Dal lato dei creditori, essi ottengono il massimo ricavabile dal patrimonio del debitore secondo regole di parità e priorità legali, rinunciando però a pretendere in futuro la parte non soddisfatta (salvo agire contro eventuali coobbligati esterni).

Norme di riferimento: Artt. 268-277 CCII disciplinano la liquidazione controllata. Molte norme rinviano alla vecchia procedura di liquidazione del patrimonio e ad aspetti del fallimento semplificati. Il Codice prevede inoltre (art. 282) la disciplina dell’esdebitazione del sovraindebitato post-liquidazione, integrando quanto previsto dall’art. 14-terdecies L.3/2012.

Esdebitazione del debitore incapiente

L’esdebitazione del debitore incapiente è una misura straordinaria introdotta nel nostro ordinamento prima con la L.176/2020 (di conversione del “Decreto Ristori”) e ora recepita nell’art. 283 CCII. È pensata per il caso estremo in cui il debitore persona fisica non abbia alcuna risorsa da offrire ai creditori, né immediata né prospettica. In tali condizioni, anche le procedure standard (piano, concordato, liquidazione) risultano inutili, perché non c’è materia da ristrutturare né da liquidare. Per evitare che il debitore resti comunque oppresso dai debiti senza via d’uscita, la legge consente una volta nella vita di ottenere l’esdebitazione integrale senza alcun pagamento.

Chi può ottenerla: solo le persone fisiche (no società) che siano completamente incapienti, ossia prive di beni e di redditi pignorabili, e che si trovino in tale situazione senza colpa grave o dolo. Tipici esempi: disoccupati di lungo periodo, nullatenenti, persone che hanno solo una pensione minima o un reddito appena sufficiente alla sopravvivenza, e che magari hanno accumulato debiti pregressi (es. per bollette non pagate, piccole fideiussioni, ecc.) assolutamente impagabili. È fondamentale che il sovraindebitamento non sia frutto di frode o colpa grave del debitore (se uno ha dissipato patrimonio volontariamente o fatto debiti avventati recentemente, non è “meritevole” di questa clemenza).

Quando si può chiedere: l’esdebitazione incapiente si può chiedere in alternativa alle altre procedure, quando il debitore non ha nulla da offrire. Se invece possiede anche pochi beni liquidabili o margini di reddito, dovrebbe percorrere le vie ordinarie (piano, concordato o liquidazione controllata). È dunque una procedura da usare in casi limite. Inoltre è ammessa solo una volta (procedura una tantum): la legge richiede che il debitore non abbia già beneficiato in precedenza di un’esdebitazione, e preclude di reiterarla per almeno 5 anni (in realtà, date le norme generali, è proprio “una volta nella vita” salvo rarissime eccezioni). La Legge di Bilancio 2025 ha previsto persino un apposito Fondo pubblico per coprire le spese della procedura incapienti, così da non gravare neppure di questi costi chi non può permetterseli. Tale fondo (dotazione €500.000) copre i compensi dell’OCC e le spese vive, evitando che il debitore totalmente povero rinunci per impossibilità di pagare i costi.

Come funziona: la domanda va presentata tramite un OCC al tribunale competente. Il debitore deve allegare un minimo di documentazione e soprattutto una relazione particolareggiata dell’OCC che attesti l’assenza di patrimonio e redditi utilmente liquidabili, la situazione di assoluta incapacienza e la buona fede del debitore (nessun illecito, nessuna prospettiva di miglioramento a breve). Il tribunale esamina la richiesta e, se ritiene verificati i presupposti, emette un decreto di esdebitazione del debitore incapiente. Con tale provvedimento vengono cancellati tutti i debiti del richiedente, senza alcun pagamento ai creditori. È la massima forma di sollievo prevista: il debitore esce immediatamente libero da qualunque obbligazione pregressa.

Condizioni e obblighi: naturalmente, data la “generosità” dello strumento, la legge impone qualche condizione a tutela dei creditori:

  • Se entro 4 anni dal decreto di esdebitazione il debitore incapiente dovesse sopravvenire in possesso di utilità rilevanti (es. un’eredità, una vincita, un notevole incremento di reddito), scatta l’obbligo di pagare comunque i creditori, entro i limiti di quelle utilità e fino a concorrenza di almeno il 10% dei crediti totali. In sostanza, il debitore deve comunicare eventuali “colpi di fortuna” entro 4 anni e utilizzarli per soddisfare parzialmente i vecchi creditori (fino a un massimo del 10% dell’intero monte debitorio, se le risorse lo consentono). Questa clausola evita che furbi ottengano l’esdebitazione e poi, poco dopo, incassino somme ingenti senza nulla dare ai creditori. La presenza di un obbligo di informativa annuale al giudice sulle proprie condizioni (per 3 anni) assicura un controllo su tali sopravvenienze.
  • Il debitore, nei 3 anni successivi, dev’essere di condotta trasparente: obbligo di dichiarare ogni significativo miglioramento patrimoniale, e divieto di assumere comportamenti che nascondano eventuali risorse arrivate. In caso di inadempimento a questi obblighi (mancata comunicazione di sopravvenienze, reticenze, ecc.), il tribunale può disporre la revoca dell’esdebitazione.

Trascorsi tre anni di “osservazione”, se nulla è cambiato, i creditori restano definitivamente a mani vuote. Ma d’altronde, erano destinati a non recuperare nulla comunque, dati i presupposti: l’esdebitazione dell’incapiente formalizza semplicemente una situazione di inesigibilità già esistente, dando però al debitore la possibilità di ripartire da zero subito, anziché rimanere tecnicamente debitore a vita.

Effetti per i creditori: subiscono la cancellazione giudiziale dei loro crediti. Hanno però, come visto, una possibilità residua: se entro 4 anni il debitore ottiene risorse insperate, possono chiedere la riapertura per recuperare fino al 10% (complessivamente) dei loro crediti. Di fatto, accettano un rischio: se nulla cambia, non vedranno nulla (ma realisticamente non avrebbero visto nulla lo stesso, visto che il debitore era nulla tenente).

Norme di riferimento: Art. 283 CCII. La misura è stata introdotta con L.176/2020 modificando la L.3/2012 e ora trasfusa nel Codice della Crisi. La Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024, art.1 c.893) ha istituito il Fondo per l’esdebitazione degli incapienti con dotazione di €500.000 per coprire spese e compensi OCC inerenti a tali procedimenti.

In definitiva, l’esdebitazione del debitore incapiente è un istituto di “ultima istanza” per situazioni gravissime di esclusione economica, e rappresenta un’applicazione estrema del principio del fresh start: anche il debitore più sfortunato e privo di mezzi può, almeno una volta, essere sollevato dal fardello dei debiti e tornare ad una vita economicamente normale, pur con l’attenzione a eventuali future capacità contributive.

Tabella di sintesi – Esdebitazione del debitore incapiente

CaratteristicheDescrizione
Chi può ottenerlaSolo persone fisiche (no società) che si trovano in condizione di assoluta incapienza: nessun bene né reddito aggredibile, situazione non dovuta a dolo o colpa grave. Esempi: nullatenenti, disoccupati senza entrate, soggetti con solo pensione sociale, ecc., oberati da debiti pregressi impagabili.
Quando si chiedeIn alternativa alle altre procedure concorsuali, quando il debitore non ha nulla da offrire ai creditori. È una procedura una tantum: può essere concessa solo una volta (non ripetibile a breve distanza). Preclusa se il debitore ha già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale.
Cosa comportaIl tribunale, verificati i requisiti, emette un decreto che cancella tutti i debiti del debitore incapiente senza alcun pagamento ai creditori. Il debitore è liberato immediatamente da ogni obbligazione pregressa (salvo obblighi futuri in caso di miglior fortuna).
Obblighi post-decretoPer i 3 anni successivi, il debitore deve mantenere una condotta trasparente: obbligo di comunicare annualmente al giudice la propria situazione e segnalare qualsiasi incremento patrimoniale significativo. Se entro 4 anni sopravvengono nuove risorse che permetterebbero di pagare almeno il 10% dei debiti, il debitore deve utilizzarle per pagare i creditori fino a tale limite.
Effetti per il debitoreLiberazione immediata da ogni azione di riscossione: i creditori non possono più pretendere nulla per i debiti anteriori. Il debitore può ricominciare da zero, uscendo dall’angoscia debitoria. Deve però rispettare gli obblighi informativi per 3-4 anni: se riceve un reddito significativo, ne dovrà destinare la parte eccedente a soddisfare (parzialmente) i vecchi creditori. Trascorsi 4 anni senza miglioramenti, ogni successiva risorsa resterà sua definitivamente.
Effetti per i creditoriI creditori vedono i propri crediti dichiarati inesigibili per ordine del giudice. Mantengono per 3-4 anni una speranza residuale: se il debitore ottiene risorse insperate, possono richiederne la distribuzione proporzionale fino al 10% dei loro crediti complessivi. Se nulla cambia, non recupereranno nulla (ma era altamente probabile comunque) e i crediti restano definitivamente cancellati.
Norme di riferimentoArt. 283 CCII. Introdotta con L.176/2020 (che modificò la L.3/2012) e ora nel Codice della Crisi. L. 207/2024 (Legge di Bilancio 2025) art.1 c.893 ha istituito un Fondo statale per coprire le spese di procedura e i compensi OCC nei procedimenti ex art. 283.

Nota: l’esdebitazione incapiente è un rimedio eccezionale. Il debitore deve valutare attentamente, possibilmente con l’aiuto di un legale o di un OCC, se rientra davvero nei parametri di incapacità totale e meritevolezza richiesti. Un’istanza infondata potrebbe essere respinta, esponendo magari il debitore a iniziative dei creditori. D’altro canto, per chi davvero non possiede nulla e non intravede possibilità di ripresa economica, rappresenta una via d’uscita provvidenziale dal circolo vizioso dell’indebitamento.

Strumenti per la crisi d’impresa di maggiori dimensioni (imprese “fallibili”)

Finora abbiamo trattato delle procedure per i debitori non fallibili (privati e piccole imprese). Passiamo ora alle soluzioni disponibili per le imprese commerciali più grandi e, in generale, per i debitori assoggettabili alle procedure concorsuali ordinarie. L’approccio del nuovo Codice della Crisi (CCII) per le imprese maggiori è improntato a favorire, dove possibile, la continuità aziendale e la ristrutturazione, in linea con la Direttiva UE 2019/1023, e in subordine a regolare la liquidazione in modo ordinato. Dal punto di vista del debitore imprenditore, “uscire dall’indebitamento” può significare due cose: salvare l’azienda riducendo/riscadenzando il debito (soluzione di risanamento) oppure, se ciò non è realistico, liquidare l’impresa eliminando i debiti residui (soluzione liquidatoria con eventuale esdebitazione per l’imprenditore persona fisica). Esaminiamo i principali strumenti:

  • Composizione negoziata per la crisi d’impresa: è una procedura stragiudiziale assistita, introdotta dal D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) e ora inserita nel CCII. L’imprenditore in stato di crisi (anche solo probabile insolvenza futura) può chiedere la nomina di un esperto indipendente che lo affianchi nel tentativo di raggiungere un accordo con i creditori. La composizione negoziata è volontaria e riservata: l’obiettivo è individuare soluzioni (accordi di ristrutturazione, piani attestati, accesso a concordato, ecc.) senza dover aprire subito una procedura concorsuale giudiziale. Durante la negoziazione l’imprenditore può ottenere misure protettive temporanee (sospensione delle azioni esecutive) e ha il vantaggio di confrontarsi con i creditori in modo strutturato, con la regia di un esperto terzo. Se la negoziazione riesce, si formalizza nell’accordo raggiunto (che può essere un semplice accordo stragiudiziale ratificato oppure sfociare in uno degli strumenti concorsuali sotto indicati). Se fallisce, l’imprenditore può comunque optare per una procedura concorsuale successiva. In sintesi è un tentativo guidato di soluzione stragiudiziale per evitare l’insolvenza conclamata.
  • Piani attestati di risanamento (art. 56 CCII): sono l’evoluzione dei vecchi “piani attestati ex art. 67 L.F.”. Si tratta di un piano di risanamento predisposto dall’imprenditore, con l’assistenza di professionisti, e asseverato da un esperto indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Il piano deve essere idoneo a portare l’impresa fuori dalla situazione di crisi. Non richiede omologazione giudiziaria né accordo formale con tutti i creditori (è un accordo privato con eventuali creditori strategici). Il suo vantaggio principale è che, se eseguito regolarmente, protegge da azioni revocatorie fallimentari in caso di successivo fallimento: pagamenti e garanzie concessi in esecuzione del piano attestato non sono revocabili (salvo frodi). Inoltre, se il piano coinvolge banche/finanziatori, spesso esso consente nuova finanza e ristrutturazione dei debiti bancari senza passare per il tribunale. Tuttavia, essendo un accordo non omologato, vincola solo chi vi aderisce. In pratica l’imprenditore cerca con il piano attestato di convincere i principali creditori ad aderire spontaneamente a un progetto di risanamento, basato sul loro interesse (ad esempio, una banca può aderire rinegoziando il credito in vista del recupero dell’azienda). Se troppi creditori sono ostili, il piano attestato perde efficacia, e l’impresa dovrà ricorrere a strumenti più cogenti (concordato o liquidazione).
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (Artt. 57-64 CCII): l’accordo di ristrutturazione è un accordo omologato dal tribunale, stipulato tra il debitore e una parte dei suoi creditori (almeno il 60% dei crediti, soglia ordinaria). A differenza del concordato, non coinvolge necessariamente tutti i creditori: occorre raggiungere l’accordo con i creditori rappresentanti quella percentuale, e i creditori non aderenti restano fuori (dovranno essere pagati per intero, salvo diversa previsione di legge). Esistono però varianti come l’accordo ad efficacia estesa e l’accordo agevolato (introdotte dal 2022): ad esempio, se si raggiunge il 75% di consensi, l’accordo può essere esteso anche ai dissenzienti appartenenti alla stessa categoria omogenea, inclusi eventuali creditori finanziari dissenzienti (c.d. cram-down settoriale); l’accordo agevolato invece riduce la soglia di adesione necessaria al 30% in certi casi, ma richiede comunque il pagamento integrale dei non aderenti (quindi è utile quando i non aderenti sono pochi o insignificanti). In sintesi, gli accordi di ristrutturazione sono strumenti flessibili che consentono di cucire intese con i creditori più rilevanti, convalidandole con un decreto di omologazione che dà loro forza legale. Possono essere accompagnati da una transazione fiscale (art. 63 CCII vale anche qui) per includere il Fisco, e permettono anch’essi di ottenere misure protettive durante le trattative (moratoria delle azioni esecutive su istanza al tribunale). Dal punto di vista del debitore, un accordo omologato “congela” la situazione debitoria e la ridefinisce: il piano di ristrutturazione allegato all’accordo stabilisce nuove scadenze, eventuali stralci sui creditori aderenti, ecc. Una volta omologato, vincola gli aderenti secondo i nuovi termini. Rimane però il problema dei creditori non aderenti, che vanno necessariamente soddisfatti fuori accordo (o prima dell’omologazione, o contestualmente se sono stati pagati integralmente). Gli accordi di ristrutturazione sono quindi utili quando c’è un numero relativamente ristretto di creditori o comunque quando si riesce a compensare i dissenzienti.
  • Concordato preventivo: è la procedura concorsuale tradizionale per risolvere la crisi dell’impresa fallibile. Il concordato preventivo (disciplinato dagli artt. 84-120 CCII) consente all’imprenditore insolvente (o in crisi) di proporre ai creditori un piano di concordato che può essere di due tipi principali: concordato in continuità aziendale (se prevede la prosecuzione dell’attività, magari attraverso una ristrutturazione, cessione d’azienda o affitto a terzi) oppure concordato liquidatorio (se prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio, ma con un apporto esterno minimo del 10% ai chirografari). Il concordato preventivo richiede l’approvazione delle maggioranze (maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata in percentuale, e maggioranza di eventuali classi) e l’omologazione giudiziale. È più complesso del concordato minore, e riservato alle imprese maggiori. Per il debitore, il concordato preventivo offre la possibilità di ridurre significativamente l’ammontare dei debiti (anche falcidiando crediti privilegiati se eccedono il valore dei beni su cui vantano prelazione) e di cristallizzare la situazione al riparo dalle azioni esecutive individuali. Durante il concordato, l’impresa opera in stato di “protetto” e sotto vigilanza di un commissario giudiziale. Se il concordato viene omologato e poi adempiuto, l’impresa esce dalla procedura con la posizione debitoria ridotta come da piano. Se invece in corso di concordato emergono insolvenze non risolvibili (mancato pagamento delle quote promesse, ecc.), si può passare alla liquidazione giudiziale (ex fallimento).

Dal punto di vista del debitore imprenditore persona fisica (es. il titolare di una ditta individuale fallibile), è rilevante ricordare che dopo una liquidazione giudiziale può ottenere l’esdebitazione personale dei debiti residui non pagati, alle condizioni di onestà e collaborazione previste (analoghe a quelle viste per la liquidazione controllata). Questa era già la norma con la legge fallimentare (art. 142 L.F.) e il CCII l’ha confermata: l’ex fallito persona fisica, se meritevole, dopo la chiusura del fallimento ottiene dal tribunale un decreto che lo libera dai debiti rimasti insoddisfatti. Novità del Codice è che l’esdebitazione in liquidazione giudiziale è stata estesa anche alle società cessate e soci illimitatamente responsabili, purché – semplificando – gli amministratori e i soci non abbiano commesso irregolarità gravi nei tre anni precedenti la procedura. Tuttavia, per una società la rilevanza pratica è limitata, poiché una volta liquidata e cancellata, i debiti sociali sarebbero comunque inesigibili (se non nei confronti di soci garantiti). Probabilmente la previsione mira a tranquillizzare gli stakeholder che, chiusa la procedura, né la società (quando anche fosse “resuscitata”) né gli eventuali soci rimasti possano subire ulteriori pretese per i debiti concorsuali.

Transazione fiscale nei concordati e accordi: va aggiunto che sia nei concordati preventivi che negli accordi di ristrutturazione ordinari, il trattamento dei crediti fiscali e contributivi segue l’art. 63 CCII (ex art. 182-ter L.F.). È possibile proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, con stralcio di sanzioni e interessi, ma ciò richiede un livello minimo di soddisfacimento. In particolare, se il credito erariale supera il 50% dei debiti totali, il concordato preventivo (anche minore) è omologabile solo se il Fisco riceve almeno il 30% del proprio credito chirografario, salvo casi di particolare eccezionalità. Questo vincolo assicura che lo Stato non sia trattato in maniera eccessivamente deteriore. Nei concordati in continuità però è possibile anche pagare meno del 30%, se il piano ne dimostra la necessità e ottiene comunque il voto (questo aspetto è molto tecnico e soggetto a evoluzione giurisprudenziale). In generale, la tendenza attuale è di consentire il cram-down del Fisco in certe condizioni, come già visto per il concordato minore, per favorire il risanamento delle imprese.

Sommario delle procedure imprese fallibili:

  • Strumenti stragiudiziali assistiti: Composizione negoziata (fase volontaria, protetta, con esperto) – esito: accordi privati o ingresso in concorsuali.
  • Strumenti concorsuali non liquidativi: Piani attestati (nessuna omologazione, ma protezione limitata); Accordi di ristrutturazione (omologati con 60% adesioni, varianti estese/agevolate); Concordato preventivo in continuità (accordo con creditori su piano di rilancio, con eventuale finanza esterna, affitto d’azienda, etc.).
  • Strumenti liquidativi: Concordato preventivo liquidatorio (se apporto 10% ai chirografari esterni); Liquidazione giudiziale (ex fallimento) – totale spossessamento dell’impresa, liquidazione beni da curatore, possibile esercizio provvisorio se utile, chiusura e cancellazione società.
  • Esdebitazione post-fallimento: per imprenditore persona fisica e soci illimitati, su istanza, decorsi termini (3 anni) e con requisiti di meritevolezza; per società, di fatto chiusura definitiva pendenze.

Dal punto di vista del debitore-imprenditore, la scelta dello strumento dipende dalla gravità della crisi e dalle prospettive di salvataggio. Se esiste un nucleo sano di attività, conviene tentare inizialmente la negoziazione assistita o un accordo di ristrutturazione: questi strumenti lasciano maggior controllo all’imprenditore e possono evitare l’onta del fallimento, pur richiedendo accordo sostanziale dei creditori principali. Se la situazione è troppo deteriorata o i creditori sono troppi/divergenti, il concordato preventivo è lo strumento principe per ristrutturare con intervento del tribunale. In caso estremo, quando l’insolvenza è irreversibile, la liquidazione giudiziale resta la soluzione inevitabile: l’imprenditore perderà l’azienda, ma almeno potrà aspirare all’esdebitazione personale e a ripartire in futuro con nuove iniziative (il legislatore raccomanda che la liberazione arrivi entro 3 anni, in linea con la “second chance” comunitaria).

Va osservato che negli ultimi anni, con l’entrata in vigore del CCII (2022) e i successivi correttivi (fino al D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024), l’accento è posto su una gestione anticipata della crisi: l’organo amministrativo ha l’obbligo di dotare la società di assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c. come modificato) per rilevare precocemente segnali di difficoltà e attivarsi per evitarne l’aggravamento. La violazione di questi doveri può generare responsabilità per l’organo di gestione (vedi paragrafo seguente) e influire sul giudizio di accesso ad alcune procedure. Dunque, l’imprenditore deve essere proattivo: appena l’azienda mostra squilibri importanti, meglio avviare trattative o procedure di composizione, anziché attendere il precipitare in insolvenza conclamata, quando le opzioni di salvataggio si restringono.

Debiti fiscali: rateizzazioni, rottamazioni e transazione fiscale

Un capitolo cruciale nella gestione dell’indebitamento – sia di privati che di imprese – è quello dei debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali. I debiti tributari (imposte, IVA, tasse locali) e i debiti contributivi (INPS, casse professionali) sono spesso tra i più gravosi, per via di sanzioni e interessi che fanno lievitare l’importo dovuto, e tra i più pericolosi, perché l’Agente della Riscossione ha poteri esecutivi rapidi e penetranti. Esaminiamo le principali possibilità per un debitore di gestire i debiti fiscali, distinguendo tra strumenti amministrativi (offerti dall’ordinamento tributario) e strumenti concorsuali (nell’ambito di piani concordatari o accordi di sovraindebitamento).

Cartelle esattoriali e riscossione coattiva: quando un contribuente non paga volontariamente un tributo o una multa, l’ente creditore (Agenzia Entrate per imposte, Comune per multe, INPS per contributi, etc.) iscrive a ruolo l’importo dovuto e ne affida la riscossione all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdeR). AdeR emette quindi la cartella di pagamento (detta volgarmente cartella esattoriale), che ingiunge il pagamento entro 60 giorni. Se il debitore non paga né impugna (entro i termini di legge), la cartella diventa definitiva e la Riscossione può avviare le azioni esecutive previste: fermo amministrativo su veicoli (per debiti > €1.000), ipoteca su immobili (debiti > €20.000), pignoramenti di stipendi, conti correnti, immobili etc., il tutto con procedure semplificate (AdeR non deve passare dal tribunale per ottenere il titolo esecutivo, la cartella stessa vale come titolo). Pertanto un debitore con debiti fiscali vede arrivare cartelle e, se resta inadempiente, può subire in tempi relativamente brevi pignoramenti sul conto corrente, trattenute su stipendio/pensione (nei limiti di legge), ipoteche e potenzialmente la vendita all’asta dei beni pignorati.

Diventa quindi prioritario, per chi ha debiti fiscali e non riesce a pagarli subito, attivare uno degli strumenti di definizione agevolata o dilazione per evitare tali azioni. Le principali opzioni sono:

  • Rateizzazione ordinaria delle cartelle: è la prima linea di difesa. La normativa vigente consente di ottenere un pagamento rateale del debito iscritto a ruolo chiedendolo ad AdeR. In particolare, per debiti fino a €120.000 (importo elevato dal 2022, prima era €60.000) la rateizzazione è concessa in automatico su semplice richiesta, senza bisogno di dimostrare lo stato di difficoltà. Per importi superiori occorre documentare la temporanea situazione di obiettiva difficoltà. Le rate mensili standard sono fino a 72 (6 anni). Recenti riforme hanno esteso la durata in via eccezionale: per le richieste presentate nel 2025-2026 si possono ottenere fino a 84 rate (7 anni); nel 2027-2028 fino a 96 rate; dal 2029 in poi fino a 108 rate (9 anni). Si tratta di un ampliamento graduale introdotto per favorire i contribuenti post-pandemia. La rateizzazione sospende le azioni esecutive (purché presentata prima che inizi un pignoramento) e consente di pagare comodamente. Attenzione però: il piano decade se non si pagano 10 rate anche non consecutive (soglia anch’essa ampliata, prima bastavano 5 rate non pagate) – dunque occorre essere costanti nei pagamenti. La domanda di rateizzazione va presentata all’Agenzia Entrate-Riscossione; con l’accoglimento, eventuali fermi o ipoteche in corso vengono congelati (salvo quelli già eseguiti, che restano finché il piano non è completato). Il tasso di interesse sulle rate è relativamente contenuto (intorno al 2% annuo al 2025, variabile su base semestrale).
  • Definizione agevolata (“rottamazione” delle cartelle): negli ultimi anni il legislatore ha introdotto varie edizioni della cosiddetta rottamazione delle cartelle esattoriali. Si tratta di provvedimenti con cui si permette ai debitori di pagare le somme iscritte a ruolo senza sanzioni né interessi di mora, in un numero definito di rate, estinguendo così il debito. Ad esempio, con la “Rottamazione-ter” (2018) e la “Rottamazione-quater” (2023) molti contribuenti hanno potuto sanare cartelle risparmiando sulle sanzioni. La rottamazione-quater, prevista dalla Legge di Bilancio 2023, consentiva di definire i carichi affidati ad AdeR dal 2000 al 30/6/2022 pagando solo l’imposta e gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo, in un massimo di 18 rate (5 anni) senza sanzioni né interessi di mora, e con stralcio delle micro-cartelle < €1.000 risalenti a prima del 2015. I termini per aderire alla rottamazione-quater sono scaduti nel 2023; tuttavia, è possibile che in futuro, considerata la cronica esposizione fiscale di molti, il legislatore introduca nuove definizioni agevolate (non è garantito, ma la prassi dell’ultimo decennio le ha viste ricorrenti). Per il debitore: se è aperta una finestra di rottamazione, conviene valutare l’adesione perché il risparmio è notevole (abbuono integrale di sanzioni e interessi di mora). Bisogna però essere in grado di sostenere il pagamento del restante importo nelle rate previste. La presentazione dell’istanza sospende le azioni esecutive in corso e blocca i termini di prescrizione.
  • Saldo e stralcio per contribuenti in difficoltà: una misura particolare fu il “saldo e stralcio” introdotto dalla L. 145/2018 per i debitori persone fisiche con ISEE < €20.000, che consentiva di pagare solo una percentuale ridotta (16%, 20% o 35% a seconda della situazione) dei carichi affidati ad AdeR dal 2000 al 2017, cancellando il resto. Era una forma di condono mirato ai contribuenti in grave difficoltà economica. Quella misura era straordinaria e non è attualmente replicata; tuttavia, viene citata per ricordare che di tanto in tanto lo Stato adotta strumenti straordinari per dare respiro a specifiche categorie di debitori. Ad oggi (2025) non è attivo un saldo e stralcio generalizzato salvo la rottamazione-quater menzionata.
  • Transazione fiscale nell’ambito concorsuale: come già accennato, se il debitore sceglie di intraprendere una procedura concorsuale (concordato preventivo o minore, piano del consumatore, accordo di ristrutturazione), può includere i debiti tributari in una proposta di transazione fiscale. In pratica, propone di pagare parzialmente le imposte dovute, falcidiando le somme a titolo di sanzioni e interessi, e pagando solo una quota del tributo. Questa proposta va formulata rispettando i vincoli di legge (ad esempio, non si può falcidiare l’IVA sotto una certa soglia di soddisfazione, essendo un tributo armonizzato UE, salvo normative emergenziali). L’adesione dell’Agenzia Entrate è espressa col voto nel concordato/accordo. Se l’Agenzia approva, si forma il vincolo; se rifiuta ma la maggioranza dei creditori approva, come visto il giudice può imporre il cram-down se il piano offre al Fisco almeno la soglia minima (es. 30%). All’interno di procedure di sovraindebitamento, la transazione fiscale consente di ottenere risultati analoghi a una rottamazione ma nell’ambito di un piano giudiziale: sanzioni e interessi possono essere totalmente stralciati, e la quota di imposta da pagare può essere ridotta a quanto il debitore può permettersi (purché non inferiore a quanto otterrebbe in una liquidazione). Ad esempio, nel caso del consumatore Mario sopra, si è proposto di pagare circa il 50% dell’imposta al Fisco stralciando sanzioni e mora: questo, di fatto, è una transazione fiscale di fatto nel piano del consumatore (anche se formalmente in tale procedura non c’è accordo del Fisco, decide il giudice, ma il risultato è analogo).
  • Sospensione e annullamento automatico di vecchi debiti: segnaliamo infine che normative recenti hanno disposto l’annullamento automatico di alcuni debiti minori. Ad esempio, la L. 197/2022 ha previsto lo stralcio dei debiti fino a €1.000 affidati ad AdeR tra il 2000 e il 2015, con cancellazione al 31/3/2023 (tranne quote di solo capitale, in cui comunque sanzioni e interessi sono stati rimossi). Inoltre, con vari interventi, durante il periodo Covid vennero sospesi i termini di pagamento delle cartelle, poi ripresi a fine agosto 2021. Questi elementi potrebbero aver ridotto il carico per alcuni debitori. È sempre opportuno per il debitore controllare la propria situazione debitoria con l’AdER (tramite estratto di ruolo) per vedere se alcune partite sono decadute o annullate ex lege.

In conclusione, il debitore con debiti fiscali ha interesse a utilizzare per tempo gli strumenti di definizione agevolata e dilazione previsti dal sistema tributario, sia per evitare le misure esecutive immediate (fermi, pignoramenti) sia per ridurre l’importo dovuto (eliminando sanzioni e interessi). Qualora l’entità del debito fiscale sia tale da non poter essere gestita con queste misure – o qualora vi siano anche molti altri debiti – sarà allora opportuno ricorrere alle procedure concorsuali (sovraindebitamento, concordato) dove, attraverso la transazione fiscale, si potrà trattare globalmente il debito erariale insieme agli altri, con l’intervento del giudice. Da notare che, secondo la Cassazione, l’apertura di una procedura di sovraindebitamento non sospende di per sé le esecuzioni fiscali se non interviene un provvedimento specifico; quindi, in fase di passaggio, è bene coordinare le istanze di protezione con eventuali pignoramenti in corso (il tribunale, su richiesta, può disporre la sospensione delle esecuzioni non appena viene depositata la domanda di omologazione). Una volta omologato un piano o concordato con dentro la transazione fiscale, però, il Fisco è vincolato al nuovo accordo e non potrà discostarsene.

Per completezza, segnaliamo che gli enti locali (Comuni, Regioni) spesso seguono procedure simili a quelle statali: anche le multe stradali o i tributi locali non pagati finiscono in cartella esattoriale (gestita sempre da AdeR in molti casi) e possono rientrare nelle definizioni agevolate nazionali. Per i contributi previdenziali, l’INPS concede dilazioni analoghe (72 rate, con soglie e condizioni simili) e partecipa alle transazioni nei concordati.

Responsabilità degli amministratori per i debiti delle società

Una delle preoccupazioni maggiori per gli imprenditori e i manager di società indebitate è capire se e quando i debiti della società possano “ricadere” sul patrimonio personale degli amministratori o dei soci. In linea generale, nelle società di capitali vige il principio della autonomia patrimoniale perfetta: la società risponde dei propri debiti solo con il suo patrimonio e gli amministratori non ne sono personalmente obbligati verso i creditori sociali. Tuttavia, l’ordinamento prevede diverse situazioni in cui l’amministratore (o in certi casi i soci) possono essere chiamati a rispondere in proprio di obbligazioni sociali, specie se hanno tenuto condotte scorrette o violato specifici doveri. Approfondiamo i principali profili di responsabilità civile (tralasciando qui le responsabilità penali, come i reati fallimentari, che esulano dallo scopo ma vanno ovviamente tenute presenti: es. bancarotta fraudolenta, omesso versamento IVA, ecc.).

Responsabilità verso la società (azione sociale): gli amministratori hanno per legge (art. 2392 c.c. per S.p.A., art. 2476 c.c. per S.r.l.) il dovere di gestire la società con diligenza e nell’interesse sociale. Se violano i loro obblighi e ciò causa un danno al patrimonio sociale, essi sono tenuti a risarcire la società per i danni causati. Ad esempio, un amministratore che aggrava indebitamente la situazione finanziaria, o compie operazioni imprudenti che portano a perdite, può essere responsabile dei danni subiti dalla società (che si manifestano anche come incapacità di pagare i debiti sociali). Questa responsabilità è normalmente fatta valere tramite l’azione sociale di responsabilità, promossa dalla società stessa (con delibera dei soci) oppure, in caso di fallimento/liquidazione giudiziale, dal curatore nell’interesse dei creditori. Infatti, quando la società fallisce, il curatore può esercitare l’azione di responsabilità contro gli ex amministratori se il loro comportamento ha contribuito a creare o aggravare il dissesto. I creditori sociali beneficiano indirettamente di questa azione, perché l’eventuale risarcimento va a incrementare l’attivo fallimentare.

Un punto fondamentale è che la riforma del 2019 (art. 378 CCII) ha introdotto nel codice civile un criterio per quantificare automaticamente il danno a carico degli amministratori che abbiano violato gli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in caso di scioglimento della società. In particolare, è stato aggiunto il terzo comma all’art. 2486 c.c., che recita: “Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura, e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento…. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili (o sono inattendibili), il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura. In parole semplici: se gli amministratori hanno proseguito l’attività nonostante una causa di scioglimento (es. perdita del capitale sociale), violando l’obbligo di conservazione, il danno che devono risarcire è presunto per legge essere la differenza tra il patrimonio netto reale al momento della cessazione (o del fallimento) e quello che c’era al momento in cui avrebbero dovuto liquidare la società. In pratica, si quantifica il peggioramento del patrimonio netto durante il periodo di gestione “irregolare”. E se mancano i bilanci, si prende come riferimento il deficit fallimentare (differenza tra attivo e passivo nel fallimento). Questa norma, immediatamente applicabile dal 2019, ha l’intento di facilitare i curatori e i creditori nel dimostrare il danno: non serve una perizia complessa, si applica la presunzione legale (salvo che l’amministratore provi che il danno effettivo è diverso, magari minore). Quindi, se gli amministratori hanno tardato a portare i libri in tribunale e nel frattempo la situazione debitoria si è aggravata, ora si dà per scontato che il danno risarcibile sia quell’aggravamento.

Responsabilità verso i creditori sociali (azione dei creditori): oltre all’azione sociale (che tutela la società nel suo complesso), esiste anche un’azione specifica riconosciuta ai creditori sociali ex art. 2394 c.c. (per S.p.A.) e 2476 c.c. (per S.r.l.): se il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i crediti, i creditori possono agire contro gli amministratori accusandoli di non aver conservato l’integrità del patrimonio sociale. Si tratta di un’azione di natura aquiliana (extracontrattuale) che mira a far ottenere ai creditori il risarcimento per la “diminuzione garanzia patrimoniale” causata da cattiva gestione. In pratica, però, questa azione dei creditori confluisce quasi sempre nell’azione del curatore fallimentare: quando c’è fallimento, solo il curatore può esercitarla ut universi (per tutti i creditori). Se non c’è fallimento (es. società estinta senza fallimento), i creditori potrebbero tentare un’azione individuale, ma devono dimostrare il nesso causale tra condotta degli amministratori e insufficienza patrimoniale, il che non è banale. Dunque nella prassi, la responsabilità verso i creditori viene fatta valere anch’essa dal curatore come componente dell’azione di responsabilità generale.

Violazione degli obblighi nella crisi: con il CCII si sono accentuati i doveri degli amministratori in chiave prenvenziva. L’art. 2086 c.c. secondo comma impone agli amministratori di Srl e Spa di istituire assetti adeguati a rilevare tempestivamente la crisi e di attivarsi senza indugio per adottare uno degli strumenti di regolazione della crisi (negoziazione, concordato, etc.). La violazione di questi doveri (ad esempio ignorare segnali di insolvenza e continuare ad indebitarsi per ritardare il fallimento) può costituire un elemento di colpa grave rilevante sia nelle azioni di responsabilità, sia come potenziale causa di inibizione di benefici (un amministratore che abbia colposamente aggravato il dissesto potrebbe vedersi negare l’esdebitazione se fosse anche socio fallito, per dire). La giurisprudenza sta iniziando a tenere conto di questi nuovi obblighi per valutare la responsabilità degli amministratori nel dissesto.

Responsabilità per debiti tributari e previdenziali: in linea di principio, i debiti fiscali e contributivi sono della società (nel caso di società di capitali) e non ricadono sugli amministratori. Tuttavia, vi sono due importanti eccezioni:

  1. Sanzioni per omessi versamenti e frodi fiscali: se l’amministratore commette il reato di omesso versamento di IVA o ritenute, oppure altri reati tributari (es. dichiarazione fraudolenta), potrà subire sanzioni penali e le relative pene (anche pecuniarie) colpiranno lui personalmente. Inoltre, se il debito deriva da violazioni imputabili all’amministratore come illecito personale, vi possono essere sanzioni amministrative contestate direttamente a lui (alcune norme puniscono l’“amministratore di fatto” per certe condotte). Ma parlando di debito tributario in sé (imposte evase), la regola è che resta a carico della società; però entra in gioco l’art. 36 del DPR 602/1973.
  2. Responsabilità solidale ex art. 36 DPR 602/1973: questa norma prevede che, in caso di liquidazione della società, se sono stati distribuiti beni ai soci prima di pagare le imposte dovute, i soci, i liquidatori e anche gli amministratori possono essere chiamati a rispondere del debito tributario non pagato, nei limiti di quanto hanno ricevuto o dell’attivo indebitamente destinato altrove. In pratica, significa che gli amministratori o liquidatori che abbiano ripartito attivo ai soci senza aver soddisfatto il Fisco rendono se stessi e i soci obbligati in solido per quelle imposte. Ad esempio, se una Srl si scioglie, distribuisce €100.000 ai soci come residuo attivo ma ha un debito fiscale di €50.000 non pagato, l’Agenzia Entrate potrà pretendere quei €50.000 dai soci (fino a concorrenza di quanto ricevuto: ciascun socio al massimo per la quota incassata) e dagli amministratori/liquidatori se hanno concorso alla violazione. La giurisprudenza ha chiarito che tale responsabilità opera in proporzione a quanto ciascun soggetto ha ricevuto o all’apporto causale. Ad esempio Cass. SS.UU. 3625/2025 ha confermato la responsabilità tributaria post-estinzione a carico dei soci, delineandone criteri. Inoltre, i liquidatori di società rispondono verso il Fisco se pagano altri debiti preferendo questi alle imposte dovute e non resta attivo per il Fisco (art. 36 DPR 602). Quindi un amministratore che, sapendo di dover cessare l’attività, decida di pagare solo alcuni creditori (magari banca o fornitori) e lasciare le imposte insolute, potrebbe essere inseguito personalmente dal Fisco.

Va notato che per le sanzioni tributarie vige un principio per cui non sono mai trasferite ai soci o terzi (art. 7 D.L.269/2003): restano a carico esclusivo del trasgressore (la società). La Cassazione però nel 2024 ha chiarito che, se viene trasferito ai soci il debito d’imposta, anche le sanzioni “collegate” seguono nei limiti di quanto percepito. In generale, comunque, i soci non rispondono delle sanzioni tributarie societarie salvo abbiano commesso essi stessi frodi.

Responsabilità nelle società di persone: Finora abbiamo parlato di società di capitali. Nelle società di persone (S.n.c., S.a.s.), i soci illimitatamente responsabili (tutti i soci nella S.n.c., i soci accomandatari nelle S.a.s.) rispondono personalmente e solidalmente di tutti i debiti sociali, sia durante la vita della società sia dopo lo scioglimento. Questo significa che, ad esempio, se una S.n.c. non paga un fornitore, quest’ultimo può escutere direttamente i soci sui loro beni personali (previo escussione del patrimonio sociale, art. 2268 c.c.). Dopo l’estinzione, i creditori non pagati possono agire contro ciascun socio illimitato, che dovrà pagare l’intero e poi eventualmente rivalersi sugli altri soci. Quindi, nelle società di persone, l’uscita dall’indebitamento societario coincide sempre con l’uscita dall’indebitamento personale dei soci, perché i due piani si sovrappongono. I soci illimitati possono però cercare tutela nelle stesse procedure concorsuali: ad esempio, in un concordato preventivo di una Sas, i creditori sociali vengono soddisfatti secondo il piano e i soci accomandatari, se il concordato è eseguito, beneficiano anch’essi dell’esdebitazione per la parte non pagata (principio di estensione ai soci illimitati se le condizioni sono rispettate). In fallimento, i soci illimitati sono dichiarati falliti insieme alla società e possono anch’essi chiedere l’esdebitazione personale a fine procedura, come persone fisiche.

Altri casi particolari di responsabilità personale:

  • Fideiussioni e garanzie personali: spessissimo gli amministratori o soci di società di capitali rilasciano garanzie personali (fideiussioni) a favore di banche o fornitori, per ottenere credito alla società. Se la società non paga, il garante (spesso l’amministratore stesso) diventa debitore a titolo personale. Questa non è una “responsabilità da amministratore” in senso tecnico (è una obbligazione volontaria), ma dal punto di vista pratico porta l’amministratore ad essere indebitato su due fronti: la società e lui stesso come garante. In caso di dissesto, il garante potrà dover affrontare procedure sul proprio patrimonio. Tuttavia, il garante ha la facoltà di utilizzare le procedure da sovraindebitamento personali per liberarsi da tali debiti di regresso: ad esempio, se la società fallisce e la banca escute la fideiussione per €100.000 contro l’amministratore, quest’ultimo – qualora impossibilitato a pagare – può proporre un piano del consumatore o concordato minore personale includendo quel debito da fideiussione, per ridurlo o esdebitarsi.
  • Responsabilità per violazioni specifiche di legge: certi debiti o obblighi sono posti a carico degli amministratori direttamente da norme speciali. Ad esempio, il Codice Civile prevede che se gli amministratori ripartiscono utili fittizi ai soci, debbano restituirli e rispondano con i sindaci in solido (art. 2433 c.c.); oppure nel caso di capitalizzazione insufficiente, potrebbero emergere profili di abuso di personalità giuridica (in casi estremi di confusione tra patrimonio sociale e personale, il giudice può dichiarare gli amministratori di fatto responsabili come se fossero soci illimitati, secondo teorica piercing the corporate veil – applicazione ancora rara in Italia, ma qualche spiraglio giurisprudenziale esiste per società usate come schermo fraudolento).

In sintesi, l’amministratore di società corre rischi di responsabilità personale principalmente quando:

  • Gestisce male la società aggravandone il dissesto: può essere citato per danni dalla curatela o dai creditori (azioni di responsabilità) e dover risarcire somme che andranno ai creditori.
  • Viola l’obbligo di non pagare alcuni creditori a scapito di altri in liquidazione: ad esempio pagando soci o se stesso anziché il Fisco, scatenando la responsabilità ex art.36 DPR 602/73.
  • Ha garantito personalmente debiti sociali: in tal caso risponde contrattualmente come fideiussore e può essere escusso sui suoi beni.
  • Nelle società personali: è socio illimitato e quindi risponde per legge di tutto, salvo esdebitazione a fine procedure.
  • Commette reati o illeciti tributari/lavoristici: può dover rispondere di sanzioni pecuniarie e obblighi risarcitori verso terzi (es: amministratori possono essere civilmente responsabili per infortuni sul lavoro causati da violazioni di norme di sicurezza).

Tutela dell’amministratore onesto: Va comunque detto che l’amministratore diligente, che non commette frodi né malagestio, di norma non diventa debitore personalmente dei debiti aziendali. Il rischio maggiore è il coinvolgimento in un’azione di responsabilità, ma qui l’amministratore potrà difendersi dimostrando di aver agito con la diligenza richiesta e che eventuali perdite non sono imputabili a sue inadempienze. La recente normativa (presunzioni di danno art.2486 c.c.) pone un onere probatorio non lieve a suo carico in caso di dissesto, ma non una condanna automatica: egli può provare che le perdite erano inevitabili a prescindere o che il patrimonio netto non è calato per colpa sua. Inoltre, nel contesto del concordato preventivo, se l’amministratore rimane in carica per gestire l’impresa in continuità durante la procedura, le sue azioni sono soggette ad autorizzazione del giudice e al controllo del commissario, riducendo i rischi di errori.

Giurisprudenza aggiornata: Sul tema responsabilità amministratori segnaliamo pronunce recenti come Cass. civ. Sez. I, 20840/2023 e 20686/2022, che ribadiscono il principio che il creditore insoddisfatto può agire contro gli amministratori solo se dimostra una distribuzione di utili o attivo ai soci pregiudizievole (la Cass. 20840/2023 ha ammesso l’azione anche se non vi è stata formale distribuzione di utili, in una “s.r.l. a base ristretta” dove i soci-amministratori di fatto beneficiavano dell’attivo in altro modo). Le Sezioni Unite 3625/2025 hanno fatto chiarezza sulla portata dell’art.36 DPR 602/73, affermando la responsabilità solidale dei soci per i debiti tributari non soddisfatti entro i limiti di quanto percepito e confermando la sopravvivenza dell’obbligazione tributaria fino a 5 anni post cancellazione della società. In tema di quantificazione del danno, decisioni di merito post riforma 2019 stanno applicando il criterio dei netti patrimoniali di cui all’art.2486 c.c., pur con qualche dibattito sulla sua natura (c’è chi la considera presunzione iuris tantum e chi quasi una liquidazione equitativa ex lege). Si registra anche enfasi sull’obbligo di attivarsi tempestivamente: un tribunale ha condannato amministratori ex art.2486 comma 3 per aver procrastinato la chiusura nonostante perdite rilevanti, quantificando il danno nel deficit peggiorato.

Conclusione sulla responsabilità amministratori: per un amministratore o socio che voglia “uscire” dai debiti aziendali, la strategia migliore è gestire correttamente la crisi: attivare subito i rimedi concorsuali per l’impresa (concordati, liquidazione) quando capisce di non poter pagare tutti, in modo da minimizzare il danno a creditori. Così facendo, limiterà la propria esposizione a contestazioni di responsabilità. Se invece tenta di continuare l’attività accumulando debiti e svuotando magari l’attivo, con l’idea di “farci provare”, rischia in prima persona azioni risarcitorie pesanti. In ogni caso, è saggio per l’amministratore farsi affiancare da professionisti (avvocati, commercialisti esperti in crisi) sin dai primi segnali di insolvenza, sia per individuare soluzioni di risanamento, sia per tutelarsi legalmente rispetto alle scelte da compiere.


Di seguito, per chiarire gli ultimi dubbi, presentiamo alcune domande e risposte frequenti sul tema dell’uscita dai debiti, rivolte dal punto di vista pratico del debitore.

Domande frequenti (FAQ)

D: Ho troppi debiti e non riesco più a pagarli: qual è la prima cosa che dovrei fare?
R: Il primo passo è fare il punto della situazione: elenca tutti i tuoi debiti (importi, creditori, scadenze, eventuali garanzie) e le tue risorse disponibili (redditi, beni liquidabili). Se prevedi di non poter più sostenere le rate o i pagamenti, non aspettare che i creditori agiscano legalmente. Consulta subito un professionista (avvocato o commercialista esperto in crisi da sovraindebitamento) o un OCC. Valuta la possibilità di rinegoziare con i creditori un piano di rientro. Spesso si riesce a ottenere una riduzione delle rate o una dilazione. In parallelo, informati sulle procedure concorsuali applicabili al tuo caso: ad esempio, se sei un consumatore sovraindebitato potresti accedere al piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti); se sei un piccolo imprenditore, valuta il concordato minore; se non hai nulla da offrire, esiste l’esdebitazione del debitore incapiente. In ogni caso, agire tempestivamente ti darà più soluzioni: se aspetti le esecuzioni dei creditori, rischi pignoramenti su stipendi o beni che complicheranno la composizione.

D: Quali debiti possono essere cancellati con l’esdebitazione e quali no?
R: In generale, attraverso le procedure di sovraindebitamento o fallimentari, quasi tutti i debiti possono essere cancellati (“esdebitati”) una volta completato il piano o la liquidazione, tranne alcune eccezioni specifiche. Le eccezioni principali (art. 282 co.3 CCII) sono: gli obblighi di mantenimento e alimentari (es. assegni di mantenimento al coniuge o ai figli), i debiti da risarcimento per fatti illeciti extracontrattuali (es. danni per lesioni personali causate deliberatamente, salvo diversa decisione del giudice) e le sanzioni penali o amministrative pecuniarie non accessorie (multe, ammende). Questi restano dovuti per intero. Tutti gli altri debiti (finanziamenti, mutui, debiti commerciali, debiti fiscali e contributivi, bollette, scoperti di conto, ecc.) possono essere soggetti a falcidia e poi esdebitati, a patto di rispettare le regole delle procedure (ad esempio offrire il minimo dovuto ai creditori privilegiati, ecc.). Ricorda anche che coobbligati e garanti dei tuoi debiti non sono liberati dalla tua esdebitazione: se tuo padre ha garantito un tuo prestito, e tu ottieni l’esdebitazione, la banca potrà rivalersi su di lui per la parte non pagata. Infine, l’esdebitazione non copre gli debiti nuovi che contrai dopo l’omologazione della procedura: se ad esempio durante un piano fai altri debiti, quelli restano fuori e dovrai gestirli a parte.

D: Posso evitare di perdere la casa di abitazione se accedo a una procedura di sovraindebitamento?
R: Sì, è possibile in certi casi salvare la prima casa. Nel piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore), è previsto che se la casa è gravata da un mutuo ipotecario e il debitore è in regola con i pagamenti, può continuare a pagare il mutuo e tenersi la casa fuori dal piano. Anche se ci sono alcune rate scadute, il giudice può autorizzare il pagamento separato di quegli arretrati per impedire alla banca di procedere al pignoramento. Insomma, la legge cerca di proteggere l’abitazione principale se mantenerla è sostenibile e non danneggia i creditori (perché magari vendendola non si ricaverebbe comunque molto, specie se gravata da ipoteca). Nel concordato minore o concordato preventivo, il destino della casa dipende dal piano concordatario: puoi proporre di escluderla dalla vendita, ma dovrai allora compensare i creditori in altro modo per il valore che rinunciano ad aggredire. Se invece finisci in liquidazione controllata o fallimentare, purtroppo la regola generale è che la casa (se di proprietà) venga venduta dal liquidatore per soddisfare i creditori, a meno che non sia di valore trascurabile o non ci siano crediti ipotecari. Detto ciò, c’è una tutela: l’esecuzione sulla prima casa da parte del Fisco oggi è molto limitata (AdeR non può pignorare la prima casa se non per debiti oltre 120 mila € e con altre condizioni). Ma i creditori ipotecari privati (banche) possono comunque agire. Quindi, se tieni alla casa e hai un reddito sufficiente per pagarci il mutuo, conviene optare per un piano che preveda la continuazione del mutuo e la conservazione dell’immobile. Ovviamente dovrai continuare a pagare quelle rate regolarmente, altrimenti la banca potrà comunque pignorare nonostante il piano.

D: Ho già usufruito di un piano del consumatore qualche anno fa (senza esdebitazione perché ho pagato tutto il debito in quel caso). Posso accedere di nuovo a una procedura di sovraindebitamento ora?
R: Sì, a seguito delle modifiche normative recenti, puoi accedere di nuovo perché conta soltanto se hai già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti, non il semplice uso di una procedura. In passato la legge 3/2012 prevedeva un divieto di presentare nuove domande se il debitore aveva anche solo fatto ricorso a una procedura nei 5 anni precedenti. Il Decreto Correttivo 2024 ha eliminato questo vincolo e ora l’art. 69 CCII stabilisce che l’inammissibilità scatta solo se il debitore ha già beneficiato di un’esdebitazione (cancellazione debiti) nei cinque anni precedenti. Dunque, se tu avevi fatto un piano ma hai pagato integralmente i creditori (senza residui da cancellare) o comunque non c’è stato un provvedimento di esdebitazione, non sei escluso. In pratica, la legge vuole impedire che una persona “approfitti” della cancellazione debiti più di una volta ogni 5 anni (e comunque massimo due volte in totale), ma non punisce chi ha cercato di gestire i debiti con una procedura precedente senza azzerarli. Questo significa che se ora hai nuovi debiti o residui non risolti, puoi presentare una nuova domanda. Naturalmente dovrai spiegare nella relazione dell’OCC la tua storia precedente, ma non sarà un motivo automatico di rigetto. Attenzione però: se nel caso precedente non hai ottenuto esdebitazione perché hai revocato il piano o sei decaduto per inadempimento, il giudice potrebbe valutare con maggior rigore la tua meritevolezza attuale. L’importante è che formalmente non hai “già goduto” di un’esdebitazione.

D: Quanto dura la procedura di sovraindebitamento? Rischio di rimanere bloccato per anni?
R: Dipende dalla procedura scelta, ma i tempi non sono eccessivi e comunque sono più gestibili che subire esecuzioni sparse. Un piano del consumatore o concordato minore tipicamente prevede pagamenti che possono durare anche diversi anni (3, 5 o anche 7 anni) a seconda di quanto serve per soddisfare i creditori. Però durante quel periodo tu sei protetto dalle azioni esecutive e sai esattamente cosa devi pagare (rate sostenibili). La fase processuale iniziale per l’omologazione può richiedere qualche mese (diciamo da 4 a 8 mesi in media, a seconda del carico del tribunale e delle eventuali opposizioni dei creditori). Una volta omologato, seguirai il piano: se è quinquennale, per 5 anni dovrai fare i pagamenti. Finito ciò, arriva l’esdebitazione. Nel caso della liquidazione controllata, la legge prevede espressamente una durata massima: 3 anni dall’apertura. In pratica, il liquidatore vende i beni e ripartisce il ricavato; se dopo 3 anni non tutto è venduto, la procedura si chiude lo stesso e tu ottieni l’esdebitazione (salvo casi eccezionali in cui il tribunale può prorogare un po’). Quindi sai che in massimo 3 anni uscirai dai debiti, indipendentemente dal fatto che i creditori siano stati soddisfatti o meno (quel che non è stato pagato viene cancellato, salve eccezioni). Questo limite triennale è stato messo per uniformarsi alla direttiva UE che vuole dare al debitore una fresh start rapida. Ovviamente se in liquidazione hai beni difficili da vendere, potresti voler tu chiedere di prolungare per venderli meglio, ma hai la possibilità di chiudere al terzo anno. Per il debitore incapiente, i tempi sono ancora più brevi: la decisione di esdebitazione arriva in pochi mesi e poi c’è quell’arco di 3-4 anni di “osservazione”, ma non è una procedura aperta in senso tradizionale, devi solo presentare relazioni annuali e comunicare eventuali miglioramenti. Insomma, non rimarrai bloccato a vita, anzi l’obiettivo delle procedure è risolvere tutto e chiudere in tempi ragionevoli (qualche anno al massimo). Questo è molto meglio che essere inseguito dai creditori con pignoramenti: quelli sì che potrebbero trascinarsi per decenni se non intervieni!

D: Durante una procedura di ristrutturazione dei debiti, possono ancora pignorarmi lo stipendio o il conto?
R: Una volta che la procedura è ammessa o omologata, no, i creditori compresi nella procedura non possono proseguire con i pignoramenti. Nelle procedure di sovraindebitamento, il tribunale di solito emette subito, all’apertura, un provvedimento di sospensione delle azioni esecutive (stay). Ad esempio, presentato un piano del consumatore completo, il giudice può sospendere i pignoramenti in corso. Sicuramente, dopo l’omologazione, c’è un espresso divieto: i creditori soggetti al piano non possono iniziare né proseguire esecuzioni individuali. Quindi niente pignoramenti su stipendi, pensioni, conti, auto, ecc., salvo eventualmente quelli già in essere che potrebbero proseguire solo secondo le modalità previste dal piano (es: se nel piano concordi che un certo bene venga venduto, quel pignoramento prosegue per attuare la vendita come da piano, ma sotto il controllo del giudice della procedura). Attenzione: nel periodo prima che la procedura venga ammessa od omologata, se non chiedi misure protettive, i creditori potrebbero provare a pignorare. La Cassazione ha chiarito che il deposito della domanda di sovraindebitamento non sospende automaticamente i pignoramenti in corso. È necessario che tu, tramite l’OCC o il tuo avvocato, chieda al giudice una sospensione cautelare. Quasi tutti i tribunali, quando ricevono un piano ben fatto, emettono un decreto di protezione che ferma le esecuzioni fino all’omologazione (questo è previsto dall’art. 54 CCII per i concordati preventivi e applicato in analogia per i sovraindebitati). Quindi, coordinati col tuo avvocato per presentare l’istanza di sospensione delle esecuzioni insieme alla domanda di omologazione. Una volta ottenuta la sospensione (o a maggior ragione una volta omologato il piano), un eventuale ufficiale giudiziario che tentasse di pignorare qualcosa dovrà fermarsi. Se un creditore prova ugualmente a pignorare violando il divieto, il suo atto sarebbe nullo. In pratica, stai certo che dopo l’omologazione i tuoi beni e redditi saranno al sicuro da nuovi pignoramenti, purché tu rispetti il piano.

D: Ho un mutuo e vari prestiti: se faccio un piano del consumatore, dovrò includerli tutti? Posso tenerne fuori qualcuno che voglio continuare a pagare regolarmente?
R: In linea di principio, nel piano dovresti dichiarare tutti i debiti che hai, per trasparenza, però non sei obbligato a includerli tutti nella ristrutturazione attiva. Ad esempio, se hai un mutuo per la casa e decidi di continuare a pagarlo integralmente fuori piano, puoi farlo: nel piano lo menzionerai e spiegherai che quel mutuo rimane estraneo al piano (continuerai a pagarlo a parte). Questo scenario è comune e consentito, come dicevamo per salvare la casa. Quei creditori esclusi (es. la banca del mutuo) non saranno vincolati dal piano, ma dato che li paghi regolarmente, a loro sta bene. Attenzione però: se lasci fuori un debito, devi dimostrare che pagando quello fuori piano riesci ancora a sostenere il piano per gli altri crediti. Cioè il giudice valuterà la tua capacità di onorare sia il mutuo fuori piano sia le rate del piano per gli altri. Non puoi lasciare fuori troppi debiti se questo rende il piano insostenibile. Di solito si lasciano fuori i debiti garantiti da ipoteca sul bene che vuoi mantenere, continuando a pagare le rate, e magari i debiti piccoli che stai già pagando regolarmente (ma piccoli importi mensili). Nel concordato minore o preventivo, similmente, puoi decidere di non trattare certi creditori nel concordato (pagandoli integralmente fuori, prima o durante); li devi comunque indicare, ma se dichiari che li pagherai integralmente fuori, non partecipano al voto e non subiscono decurtazioni. In pratica è come se non fossero in procedura perché non danneggiati. Ad esempio, potresti tenere fuori un prestito tra parenti che vuoi restituire integralmente per ragioni personali (anche se in verità i crediti postergati o non chirografari non li consideri nel piano attivo). Quello che non puoi fare è escludere un creditore e non pagarlo: se lo escludi dal piano devi pagarlo a parte integralmente, altrimenti avrebbe titolo per agire fuori dal piano e questo creerebbe il caos. Quindi, in sintesi: sì, puoi modulare il piano includendo solo i debiti che vuoi ristrutturare e pagando gli altri normalmente, ma devi dichiarare tutto e assicurare il pagamento integrale dei creditori esclusi. Un buon OCC saprà consigliarti su quali tenere dentro o fuori in base alla convenienza e alla fattibilità.

D: Cosa succede se, dopo l’omologazione del piano o del concordato, perdo il lavoro o mi capita un imprevisto e non riesco più a pagare le rate?
R: Questa è una circostanza delicata ma prevista. Se hai difficoltà temporanee, la prima cosa è informare l’OCC o il liquidatore/commissario nominato. Il Codice della Crisi ha introdotto una certa flessibilità: ad esempio, se emerge un problema minore, il debitore può proporre modifiche al piano entro 15 giorni per correggere errori formali o piccoli aggiustamenti. Ma se il problema è grave (es. perdita del reddito che finanziava il piano), la soluzione dipende dalla situazione: il tribunale potrebbe concedere una sospensione delle rate per un certo periodo o autorizzare una modifica sostanziale del piano (ad esempio allungando la durata) se intravede possibilità di ripresa e se i creditori non subiscono un pregiudizio eccessivo. In alcuni casi, specie nei concordati, si può convocare i creditori per approvare una modifica del piano. Tuttavia, se la perdita di entrate rende impossibile attuare il piano, purtroppo il piano rischia di andare in risoluzione. Significa che il tribunale dichiara risolto il piano/concordato e i creditori riacquistano il diritto per l’intero importo originario (detratto quanto eventualmente hai pagato). In un piano del consumatore, ciò si traduce nella revoca dell’omologazione su istanza dei creditori e questi possono riprendere le azioni interrotte. Nel concordato, si aprirebbe probabilmente una liquidazione giudiziale (fallimento) subito dopo la risoluzione. Insomma, l’inadempimento senza rimedio fa perdere i benefici. La legge però tutela il debitore in buona fede che subisce un colpo di sfortuna: ad esempio, se dopo aver pagato almeno la metà delle rate, perdi il lavoro, potresti chiedere di essere ammesso comunque all’esdebitazione dei residui per merlito, ma questo è più facile a dirsi che da ottenere (dipende dal giudice e dal caso concreto). La cosa importante è: comunica immediatamente le difficoltà, non nascondere le inadempienze. Spesso il giudice, se vede che hai pagato tutto regolarmente per lungo tempo e poi hai un incidente di percorso, tende a trovare soluzioni piuttosto che mandare tutto a monte. Ad esempio, potrebbe convertire la procedura: se un piano salta, puoi chiedere la conversione in liquidazione controllata, così da liquidare quel che hai e ottenere l’esdebitazione comunque, sebbene per altra via. In definitiva, c’è il rischio di perdere i benefici se non paghi, ma l’ordinamento cerca di permettere aggiustamenti in corsa. Chiedi al tuo OCC quali margini ci sono: a volte è possibile reperire risorse alternative (es. vendere un bene non previsto originariamente) per tamponare e portare a termine il piano.

D: Le banche o finanziarie possono opporsi alla mia richiesta di piano del consumatore e impedirne l’approvazione?
R: No, non possono impedirlo se tu rispetti i requisiti di legge. Possono certo fare opposizione e presentare osservazioni al giudice, ma non hanno potere di veto. Nel piano del consumatore, i creditori non votano proprio. Quindi, anche se tutte le finanziarie e banche si lamentano, il giudice può omologare comunque il piano purché soddisfi le condizioni (meritevolezza tua, rispetto del best interest, fattibilità). La loro opposizione potrebbe influire se portano elementi seri, ad esempio se la banca mostra che hai occultato un reddito, il giudice potrebbe negare l’omologa per indegnità. Ma se la loro opposizione è “non mi paga abbastanza, non sono d’accordo”, il giudice la rigetta se tu offri quanto dovuto per legge (es. almeno quanto avrebbero da liquidazione). La Cassazione ha definitivamente chiarito che il comportamento del debitore (onestà) e la convenienza oggettiva sono i parametri, e non conta il mero dissenso del creditore. Diverso è nel concordato minore o preventivo: lì i creditori votano e serve la maggioranza. Ma anche lì, se ad esempio una banca dissenziente viene messa in minoranza dagli altri, resta vincolata. Quindi, se sei un consumatore, le finanziarie non possono bloccare un buon piano. Se sei un imprenditore in concordato e temi l’opposizione di una banca grossa, puoi valutare la strada dell’accordo di ristrutturazione (magari ti bastano poche adesioni) oppure assicurarti di coinvolgere quella banca per ottenerne il sì (es. offrendo trattamento migliore). In ogni caso, l’ultima parola spetta al giudice, che valuta l’equità e legalità della proposta. Infine, ricorda: la legge prevede che nessun creditore possa essere trattato peggio di altri pari grado – quindi se il piano è sbilanciato, potrebbe essere un problema. Ma se è equilibrato, l’opposizione “pretestuosa” di una banca non verrà accolta.

D: Ho sentito dire che queste procedure “ti segnalano come cattivo pagatore”. Che succede al mio credit score e alla possibilità di ottenere prestiti in futuro?
R: È vero che l’accesso a una procedura concorsuale viene registrato nelle banche dati ufficiali e porta con sé conseguenze sulla reputazione creditizia. Ad esempio, se fai un concordato o un piano del consumatore, il tuo nominativo appare sul Registro pubblico delle procedure di insolvenza (tenuto presso i tribunali) e probabilmente vieni segnalato alla Centrale Rischi come soggetto in procedura concorsuale. Tuttavia, tieni presente che anche i pignoramenti, le morosità e i protesti ti marchiano come cattivo pagatore. Se non fai nulla e lasci che i debiti vadano a sofferenza, verrai iscritto nelle centrali rischi private (CRIF, Experian ecc.) con segnalazioni negative che permangono per anni. Almeno con la procedura concorsuale c’è un termine: una volta ottenuta l’esdebitazione e chiusa la procedura, comincia la riabilitazione. La legge sul sovraindebitamento è stata anche chiamata “legge salva suicidi” proprio perché l’intento è reinserire il debitore nell’economia regolare. Dopo l’esdebitazione, tu non hai più debiti pendenti: molte banche a quel punto (magari dopo qualche anno di osservazione in cui dimostri di essere stabile) potrebbero tornare a concederti credito, se hai reddito. Certo, all’inizio sarà difficile: dovrai ricostruire la fiducia. È probabile che per un po’ di anni troverai sbarrate le porte di nuovi prestiti, e dovrai accontentarti di strumenti base (conto corrente, bancomat). Ma in linea di massima, meglio un’“onta” ufficiale temporanea con ripartenza, che restare sommerso di debiti e insolvenze per sempre. Nota inoltre che i dati creditizi negativi vengono cancellati dopo un certo periodo (in Crif circa 36 mesi dopo regolarizzazione). L’importante è, dopo la procedura, gestire in modo prudente le finanze: cerca di non contrarre nuovi debiti almeno per un po’, ricostruisci storico di pagamenti regolari (bollette, affitto, ecc.). Così migliorerai il credit score gradualmente. In sintesi, sì, nel breve periodo le procedure ti classificano come insolvente, ma servono a pulire il passato e darti modo di rifarti una reputazione col tempo, cosa impossibile se restassi inadempiente cronico verso 10 finanziarie.

D: La procedura di sovraindebitamento può risolvere anche i debiti da conto corrente in rosso e fidi bancari?
R: Assolutamente sì. I debiti bancari non garantiti (scoperto di conto, fido, carta di credito revolving) rientrano tra i debiti chirografari e possono essere inclusi nella procedura come qualsiasi altro. In un piano del consumatore, ad esempio, il tuo scoperto di conto verrà elencato tra i debiti verso banche e potrai prevedere di pagarne una percentuale (a seconda delle tue risorse) oppure dilazionarlo. Le banche verranno trattate come creditori chirografari (se il conto era non garantito), quindi riceveranno la stessa percentuale proposta agli altri chirografari e poi dovranno rinunciare al resto. Spesso le banche votano contro nei concordati (per i piani non votano), ma come detto ciò non impedisce l’omologa se il piano è corretto. Un caso a parte: se il conto rosso è di una ditta individuale fallibile, la banca potrebbe ipotecare o avere garanzie personali; allora si considererà quella prelazione. Ma nella sovraindebitamento classica, di solito parliamo di privato con conto in rosso: la banca ha un credito chirografo semplice. Idem per le carte di credito non pagate. Quindi, includi tranquillamente questi debiti. Tieni presente che alcune banche possono cercare di compensare lo scoperto con eventuali depositi che hai altrove presso di loro (diritto di compensazione bancaria) – se prevedi una procedura, sarebbe opportuno spostare eventuali risparmi su altra banca per evitare che si compensino con il debito pre-procedura. Ma una volta ammesso al piano, la banca non può più compensare autonomamente, salvo autorizzazioni del giudice. In conclusione, sì: i debiti da conto corrente, fidi, leasing, mutui (per la parte eventualmente scoperta o unsecured), sono tutti gestibili nella procedura.

D: Sono socio e amministratore di una S.r.l. che probabilmente dovrà andare in liquidazione perché piena di debiti. I debiti della società diventeranno miei? Come posso tutelarmi personalmente?
R: Se la S.r.l. è insolvente, prima di tutto valuta con i consulenti se vi sono chance di concordato preventivo per salvare l’attività; se no, prepara una liquidazione ordinata. Come amministratore, devi stare attento a due fronti:

  1. Non aggravare il dissesto: evita di fare nuovi debiti sapendo che non potrai pagarli; non sviare fondi a te stesso o ad alcuni creditori preferiti. Così ridurrai il rischio di responsabilità per mala gestione.
  2. Debiti verso Erario e dipendenti: se ci sono debiti IVA o ritenute non versate, valuta di pagarli se possibile perché l’omesso versamento oltre soglie è reato. Se non puoi, sappi che potresti avere conseguenze penali (a prescindere dal fallimento). Per i contributi dipendenti: vanno versati, l’omissione è reato se dolosa.

In generale, i debiti sociali di una S.r.l. non diventano tuoi per magia. I creditori sociali non possono chiedere a te il pagamento dei debiti della S.r.l., a meno che:

  • Tu abbia firmato garanzie personali (fideiussioni) verso quei creditori – in tal caso, sì, dovrai pagarli come garante, e se non puoi, potresti usare la tua procedura personale per liberartene.
  • Tu abbia commesso illeciti: ad esempio hai distratto beni sociali, oppure hai chiuso la società distribuendo attivo ai soci senza pagare i creditori – in tali casi i creditori o il curatore potrebbero farti causa per danni. O il Fisco per imposte non pagate in caso di distribuzioni (ex art.36 DPR 602).
  • La società venga dichiarata fallita e il curatore trovi che hai violato obblighi gestionali: potrà citarti per responsabilità (come spiegato prima, art.2486 c.c. ecc.). Se condannato, dovrai risarcire la massa fallimentare.

Quindi, per tutelarti, la parola chiave è correttezza e trasparenza: accompagnare la società al fallimento (o liquidazione) con tutte le carte in regola, cooperare col curatore se ce ne sarà uno, e non fare favoritismi. Documenta di aver informato i soci e preso decisioni collegiali se opportuno (assemblee). Quando la società si scioglierà e cancellerà, i creditori insoddisfatti potranno agire solo entro certi limiti: contro i soci, fino a concorrenza di quanto hanno riscosso in liquidazione (quindi se non avete preso nulla, non potranno nulla); contro di te come amministratore, solo se c’è stata colpa tua specifica. Se ritieni di aver agito correttamente e la crisi è dovuta a sfortuna o mercato, difficilmente sarai condannato: dovranno provare tue colpe gravi. D’altra parte, se sai di aver magari tirato avanti troppo senza capitalizzare l’azienda, preparati alla possibilità di un’azione ex art.2486 c.c.: il curatore potrebbe sostenere che avresti dovuto liquidare prima e chiederti il delta negativo. Per ridurre tale rischio, anticipa tu stesso la liquidazione volontaria se vedi che il capitale è perso: mostrati proattivo. Se riesci a portare la società in concordato preventivo, e lo adempie, i debiti residui verso i creditori concorsuali si estinguono e nessuno potrà più avanzare pretese né verso la società né verso di te (salvo reati). Addirittura, se la società fallisce ma tu nei 3 anni pre-fallimento hai fatto il possibile e non hai frodi a carico, potresti ottenere l’esdebitazione estesa pure alla società (poco rilevante per la società in sé, ma rilevante per soci illimitati, non il tuo caso in srl).

Riassumendo: i tuoi beni personali sono al sicuro dai creditori della srl nella misura in cui hai rispettato la separazione patrimoniale e agito diligentemente. Per sicurezza, separa nettamente conti personali e aziendali (nessun prelievo anomalo dal c/c aziendale per scopi personali). Qualora dovessi incorrere in obblighi risarcitori (speriamo di no), sappi che potresti considerare a tua volta una procedura di sovraindebitamento personale se sei sommerso dalle richieste (es. se il curatore ti chiedesse un maxi risarcimento che non puoi pagare, potresti far valere l’esdebitazione dopo aver messo a disposizione il tuo patrimonio personale, purché tu non abbia commesso dolo). Ma entriamo in ipotesi estreme; concentrati ora sul chiudere bene la vicenda societaria con il minimo strascico.

D: Dopo la chiusura della procedura e l’esdebitazione, i miei ex creditori possono perseguitarmi in qualche modo?
R: No. Una volta ottenuto il decreto di esdebitazione (o se è implicito nell’omologa a condizioni attese), i creditori per legge non possono più pretendere nulla da te per quei debiti. È un fresh start a tutti gli effetti. Se qualcuno provasse a farti causa o a intimarti pagamenti su debiti perdonati, potrai opporre il provvedimento di esdebitazione e l’azione sarebbe rigettata. Anzi, un creditore che agisse sapendo dell’esdebitazione potrebbe essere passibile di sanzioni processuali. Tuttavia, sappi che l’esdebitazione opera verso i crediti anteriori e ammessi a procedura: se un creditore non era noto e non ha partecipato, tecnicamente il debito verso di lui è esdebitato solo per la parte eccedente quella che avrebbe preso se avesse partecipato. In pratica però, quasi sempre si includono tutti i creditori noti. Quindi assicurati di non aver dimenticato nessuno. I coobbligati e garanti, come detto, rimangono invece obbligati: quindi quel creditore potrebbe rifarsi su di loro (ma non più su di te). Unico caso: se emergono frodi commesse da te, l’esdebitazione può essere revocata su ricorso di creditori entro determinate tempistiche, ma se sei stato onesto non accadrà. Dunque, dopo la procedura, i creditori devono archiviare la pratica nei tuoi confronti. Ti potrà capitare ancora per qualche tempo di ricevere qualche sollecito standard (magari da società cessionarie di crediti che non sanno del tuo esdebitamento): in tal caso, rispondi inviando copia del decreto di esdebitazione. Giuridicamente sei libero dai debiti e, salvo tu volontariamente decidessi di rimborsare qualcuno per ragioni etiche (sei libero di farlo, ma non sei tenuto), nessuno potrà legalmente costringerti a pagare quei vecchi debiti.


Conclusione: Uscire da una situazione di indebitamento grave richiede coraggio nell’affrontare la realtà, competenza nell’adoperare gli strumenti giuridici disponibili e impegno nel seguire il percorso scelto. L’ordinamento italiano, aggiornato al 2025, offre molteplici vie – dall’accordo bonario alla completa esdebitazione giudiziale – per consentire al debitore meritevole di superare la crisi e ritornare ad una condizione di equilibrio finanziario. Speriamo che questa guida, con le sue analisi normative, riferimenti giurisprudenziali, tabelle riassuntive ed esempi pratici, sia stata utile a chiarire il funzionamento di queste vie d’uscita. Ricorda sempre di rivolgerti a professionisti qualificati per applicare questi principi al tuo caso concreto. Uscire dai debiti si può, a patto di agire con consapevolezza e tempestività.

Fonti

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, in vigore dal 15 luglio 2022), art. 2 lett. d (definizione di imprenditore minore), art. 67-73 (ristrutturazione debiti del consumatore), art. 74-83 (concordato minore), art. 268-277 (liquidazione controllata), art. 282-283 (esdebitazione sovraindebitato e incapiente), art. 63 (transazione fiscale).
  • Camera di Commercio RC – OCC: “Cosa si intende per sovraindebitamento?”, definizione ex D.Lgs. 14/2019: stato di crisi o insolvenza di debitore non soggetto a procedure concorsuali ordinarie. Elenco dei soggetti che possono accedere (consumatori, imprenditori minori con requisiti €300k/€200k/€500k, imprenditori agricoli, start-up innovative, professionisti, enti non commerciali, etc.) e di chi non può (soggetto fallibile, debitore già esdebitato <5 anni, debitore colpevole di frode/dolo).
  • Corte di Cassazione, Sez. Unite, 8 aprile 2021 n.61: legittimità cost. art.14-quater L.3/2012, in tema di requisiti soggettivi sovraindebitamento (questioni inammissibili ma Corte sottolinea poteri del debitore di scelta procedura) – fonte: sovraindebitamento.info (indicata da Pianodebiti).
  • Corte di Cassazione, SS.UU. 22 febbraio 2010 nn.4060-4062: effetti estintivi della cancellazione società e legittimazione creditori vs soci.
  • Cass. civ. 30/07/2019 n.31933: principio della successione dei soci nei debiti residui società estinte (successione a titolo universale sui debiti: i soci subentrano pro quota ecc.).
  • Cass. civ. 18/07/2023 n.20840 e 28/06/2022 n.20686: responsabilità soci “a base ristretta” anche senza utili formalmente distribuiti; onere probatorio del creditore verso soci limitatamente responsabili.
  • Cass. civ. 29/08/2024 n.23341: soci rispondono (fino al percepito) anche di sanzioni tributarie collegate ai debiti d’imposta in caso di estinzione società.
  • Cass. civ. SS.UU. 12/02/2025 n.3625: confermata responsabilità tributaria post-estinzione società a carico di soci ex art.36 DPR 602/73 e chiariti rapporti con termini accertamento (5 anni).
  • Art. 36 DPR 29/09/1973 n.602: responsabilità solidale di liquidatori, soci e amministratori per il pagamento delle imposte dovute dalla società in caso di violazione ordine di preferenza (non pagamento imposte dovute prima di distribuire attivo ai soci).
  • Art. 2495 c.c.: dopo cancellazione società, i creditori insoddisfatti possono far valere i loro crediti verso i soci (fino a concorrenza di quanto ricevuto) e verso i liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.
  • Cass. civ. 07/05/2024 n.12449 (SS.UU.): (menzionata in rassegna mensile Corte) presumibilmente su coordinamento tra procedure concorsuali e giudizi, non esplicitamente citata qui ma rileva eventuali principi generali (non riportato nel testo per mancanza estratto utilizzabile).
  • Legge 30/12/2022 n.197 (Bilancio 2023): art.1 commi 231-252 (definizione agevolata “rottamazione-quater” e stralcio automatico mini-debiti fino €1.000). Elevazione a 8-10 anni piani rateazione per domande dal 2023 in poi (DL 51/2023 conv. L. 87/2023).
  • D.Lgs. 13 ottobre 2022 n.83: (secondo correttivo CCII) e D.Lgs. 13 giugno 2023 n.73 (poi confluito nel D.Lgs.136/2024) – modifiche al Codice crisi, tra cui flessibilità procedure, tutela prima casa nel piano del consumatore (cit. come “Correttivo 2024”).
  • Telegrammi giurisprudenziali Diritto della Crisi: Cass. 27/11/2024 n.30538 – comportamento del debitore rilevante in ogni procedura di sovraindebitamento; Cass. 8/10/2024 n.26300 – avvio procedura non sospende esecuzioni in corso.

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