Hai ricevuto un avviso di liquidazione per imposta di successione? L’Agenzia delle Entrate ti chiede il pagamento di somme che non ti aspettavi o che ritieni eccessive? È importante capire da dove nasce questo avviso, quali sono i tuoi diritti e come puoi reagire in modo corretto.
L’avviso di liquidazione è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate calcola e richiede il pagamento dell’imposta di successione dovuta in base alla dichiarazione presentata o ai controlli effettuati d’ufficio. Ma non sempre è corretto, e puoi contestarlo se contiene errori o vizi.
Quando arriva un avviso di liquidazione per successione?
– Dopo la presentazione della dichiarazione di successione
– Se l’Agenzia ha riscontrato omissioni, errori o sottovalutazioni nei valori indicati
– In caso di successioni senza dichiarazione, su iniziativa dell’Ufficio
– Se è emersa una donazione non dichiarata, considerata come anticipo ereditario
– Se ci sono immobili, conti o quote societarie non correttamente dichiarati
Cosa può contenere l’avviso di liquidazione?
– Il calcolo dell’imposta di successione e delle imposte ipocatastali
– Gli interessi di mora per il ritardo nel pagamento
– Le sanzioni in caso di omessa, infedele o tardiva dichiarazione
– La richiesta di integrazione della dichiarazione presentata
– Un invito al pagamento entro un termine preciso
Cosa puoi fare se ricevi un avviso di liquidazione che non condividi?
– Esaminare attentamente il contenuto dell’avviso e verificare i calcoli
– Confrontare i valori indicati con quelli reali o documentati (es. perizie, valori catastali)
– Verificare se l’Ufficio ha rispettato i termini di notifica e le procedure corrette
– Contestare eventuali errori nella base imponibile o nella quota ereditata
– Presentare una richiesta di autotutela o avviare un ricorso tributario, se necessario
– Chiedere, in caso di importi elevati, la rateizzazione del pagamento
Quando un avviso di liquidazione è illegittimo o viziato?
– Se è stato notificato oltre i termini di legge
– Se contiene errori nei calcoli, nell’applicazione dell’aliquota o nella franchigia
– Se l’imposta è stata già pagata e non è stato considerato il versamento
– Se si basa su valori presuntivi non giustificati
Cosa puoi ottenere con la giusta difesa?
– L’annullamento dell’avviso, se fondato su presupposti errati
– La riduzione dell’imposta, in base a documenti correttivi
– La sospensione del pagamento, in attesa dell’esito del ricorso
– La possibilità di rateizzare il debito per evitare aggravamenti
L’avviso di liquidazione per imposta di successione non è una condanna automatica: puoi verificare la correttezza dell’atto e contestarlo se necessario, proteggendo i tuoi diritti e il tuo patrimonio.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e successioni ereditarie ti spiega come affrontare un avviso di liquidazione per imposta di successione, quali controlli fare e come difenderti in modo efficace.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate sulla successione? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo l’atto e ti diremo se puoi annullarlo, ridurlo o impugnarlo con successo.
Introduzione
L’avviso di liquidazione per imposta di successione è un atto formale emesso dall’Agenzia delle Entrate che richiede al contribuente (erede o altro soggetto obbligato) il pagamento di un importo dovuto a titolo di imposta di successione, spesso comprensivo di interessi e sanzioni. Si tratta, in sostanza, di una comunicazione con cui il Fisco liquida (calcola) l’imposta basandosi su dati già dichiarati nella dichiarazione di successione o emersi da controlli, riscontrando che quanto versato (se versato) non è sufficiente. È bene distinguere questo atto dall’avviso di accertamento: mentre l’avviso di accertamento presuppone normalmente la scoperta di materia imponibile non dichiarata o altre violazioni sostanziali (es. un bene ereditario occultato), l’avviso di liquidazione riguarda il ricalcolo di un’imposta su basi già note o dichiarate, ovvero il recupero di un’imposta dovuta ma non versata o versata in misura insufficiente. In altre parole, l’avviso di liquidazione mette formalmente in mora il contribuente rispetto a somme aggiuntive da pagare in relazione alla successione.
Dal punto di vista del debitore (contribuente) che riceve un avviso di liquidazione per imposta di successione, è fondamentale sapere come agire: quali verifiche effettuare, entro quando pagare o impugnare l’atto, quali strumenti di tutela sono disponibili (dall’adesione all’autotutela, fino al ricorso in Commissione tributaria), e quali sono le conseguenze del mancato pagamento. Questa guida, aggiornata a luglio 2025, affronta in modo approfondito tutti questi aspetti, con un linguaggio tecnico-giuridico ma accessibile, offrendo anche tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte per chiarire i dubbi più frequenti. Il tutto ponendosi nell’ottica del contribuente destinatario dell’atto (sia esso un privato erede, un imprenditore coinvolto in un passaggio generazionale, o il professionista che lo assiste), e facendo riferimento alle fonti normative italiane vigenti e alle più recenti sentenze rilevanti in materia.
Prima di entrare nel dettaglio delle azioni da intraprendere, richiamiamo brevemente il contesto normativo dell’imposta di successione e in quali casi l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di liquidazione.
Normativa di riferimento e contesto
In Italia, l’imposta sulle successioni è regolata dal Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni (D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, detto TUS). Questa imposta, abolita nel 2001, è stata reintrodotta a decorrere dal 2006 e nuovamente disciplinata (per quanto compatibile) dal TUS del 1990. Il sistema attuale prevede aliquote e franchigie differenti a seconda del grado di parentela tra il defunto (de cuius) e i beneficiari dell’eredità, come illustrato più avanti.
Nel 2023-2024 il legislatore ha operato una riforma significativa della fiscalità successoria, attuata con il D.lgs. 18 settembre 2024 n. 139 (in attuazione della legge delega n. 111/2023). Le novità, efficaci dal 1° gennaio 2025, riguardano soprattutto le procedure di liquidazione e versamento dell’imposta. In particolare:
- È stato introdotto l’obbligo di autoliquidazione dell’imposta di successione da parte degli eredi/contribuenti stessi, analogamente a quanto già avveniva per le imposte ipotecaria e catastale. Ciò significa che, per le successioni aperte dal 2025, sono i soggetti obbligati a calcolare l’imposta dovuta in base alla dichiarazione di successione e a versarla spontaneamente entro termini prefissati (vedi oltre).
- L’Agenzia delle Entrate effettuerà successivamente controlli sulla dichiarazione e sull’autoliquidazione eseguita. Se dal controllo risulta dovuta un’imposta maggiore, l’ufficio notificherà un apposito avviso di liquidazione con le correzioni del caso. In altri termini, l’avviso di liquidazione in ambito successorio diventa (dal 2025) uno strumento per recuperare differenze d’imposta a seguito di errori od omissioni nella liquidazione operata dal contribuente, anziché lo strumento ordinario per liquidare l’imposta in tutti i casi.
- I termini decadenziali per l’emissione di tali avvisi e le tempistiche di pagamento sono stati rivisti (come dettagliato più avanti, l’avviso di liquidazione deve essere notificato entro 2 anni e pagato entro 60 giorni).
- Sono state confermate le aliquote e franchigie vigenti (nessun aumento delle aliquote né riduzione delle soglie esenti), ma sono state introdotte alcune novità in materia di base imponibile (ad es., abolizione del “coacervo” tra donazioni pregresse e successione, imponibilità di taluni trasferimenti da trust, ecc.), nonché semplificazioni procedurali (dichiarazione telematica obbligatoria, abolizione di taluni documenti prima richiesti in allegato, ecc.).
Vale la pena sottolineare che, per le successioni aperte fino al 31 dicembre 2024, continua ad applicarsi la disciplina previgente: l’imposta di successione viene liquidata dall’ufficio dell’Agenzia in base ai dati della dichiarazione presentata e l’atto tipico con cui viene richiesta è proprio l’avviso di liquidazione notificato all’erede. In tali casi “transitori”, dunque, l’avviso di liquidazione conserva la sua funzione tradizionale di calcolo iniziale dell’imposta dovuta. Per le successioni dal 2025 in poi, invece, l’imposta è calcolata e pagata direttamente dagli eredi, e l’avviso di liquidazione interviene solo in sede di controllo ex-post per riscuotere eventuali differenze (imposta complementare) o errori riscontrati. In ogni caso, l’avviso di liquidazione per imposta di successione rimane a tutti gli effetti un atto impositivo impugnabile, disciplinato dalle norme generali sul contenzioso tributario (D.lgs. 546/1992) e soggetto alle garanzie previste dallo Statuto del contribuente (L. 212/2000), come vedremo nelle sezioni dedicate ai ricorsi e alle tutele del contribuente.
Quando e perché viene emesso un avviso di liquidazione (successioni)
In quali circostanze specifiche l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di liquidazione relativo all’imposta di successione? Possiamo distinguere due situazioni principali, a seconda che la successione si sia aperta prima o dopo l’entrata in vigore della riforma del 2025:
- Successioni aperte fino al 2024 (regime previgente) – In questo caso, dopo la morte del de cuius gli eredi (o altri obbligati) presentano la dichiarazione di successione entro il termine di legge (12 mesi dall’apertura della successione). Non è richiesto il pagamento immediato dell’imposta principale al momento della dichiarazione (si versano però contestualmente le imposte ipotecaria e catastale dovute per la voltura degli immobili, come vedremo). Sarà l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, ricevuta la dichiarazione, a procedere al calcolo dell’imposta di successione dovuta sui beni e diritti dichiarati (tenendo conto di franchigie, aliquote e di eventuali passività deducibili). L’avviso di liquidazione è quindi notificato dall’ufficio al contribuente con l’importo dell’imposta da versare (detto imposta principale), entro il termine di decadenza di tre anni dalla data di presentazione della dichiarazione. Questo era (ed è tuttora, per le successioni ante 2025) il meccanismo ordinario: l’erede attende la “bolletta” dall’Agenzia. Ad esempio, se Tizio eredita un immobile e liquidità, presenta la dichiarazione e poi riceve un avviso di liquidazione calcolato sull’asse ereditario netto eccedente le franchigie: l’avviso indicherà l’importo da pagare entro 60 giorni (tipicamente, l’imposta 4% sull’eccedenza, più interessi e eventuali importi fissi dovuti).
- Nota: Oltre all’imposta “principale” calcolata in base a quanto dichiarato, l’Agenzia può emettere successivamente – se emergono difformità – un avviso di rettifica e liquidazione per imposta complementare: ciò avviene se la dichiarazione era infedele o incompleta (ad esempio, se erano stati omessi beni, o indicati valori inferiori al reale). In tal caso, l’ufficio procede a rettificare i dati ed emette un nuovo avviso per la maggiore imposta dovuta, entro due anni dal pagamento dell’imposta principale originaria. Questa distinzione tra avviso di liquidazione (imposta principale) e avviso di rettifica e liquidazione (imposta complementare) era prevista dal TUS e comportava differenti requisiti di motivazione (come approfondiremo nella sezione sulla giurisprudenza, v. Cass. 5669/2023). Inoltre, se il contribuente non presenta affatto la dichiarazione di successione, l’imposta viene accertata d’ufficio senza i benefici delle franchigie, con termine di decadenza più lungo (generalmente quinquennale, analogamente agli accertamenti tributari ordinari).
- Successioni aperte dal 2025 (nuovo regime) – Per i decessi avvenuti dal 1° gennaio 2025 in poi, gli eredi devono comunque presentare la dichiarazione di successione (entro 12 mesi, telematicamente). La differenza cruciale è che devono calcolare autonomamente l’imposta di successione dovuta e versarla spontaneamente entro i termini stabiliti. In pratica, già nel modulo di dichiarazione (nuovo “Modello 2025” telematico) si prevede una sezione dedicata al calcolo dell’imposta di successione autoliquidata dovuta in base ai beni dichiarati e al grado di parentela degli eredi. Il pagamento deve essere effettuato entro 90 giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione (termine che, ricordiamo, è solitamente 12 mesi dalla morte; quindi, in genere, l’imposta va pagata entro 15 mesi dall’apertura della successione, se la dichiarazione è presentata a ridosso della scadenza). È ammesso il pagamento rateale: almeno 20% dell’imposta entro lo stesso termine di 90 giorni e il resto in 8 rate trimestrali (fino a 12 rate trimestrali se l’importo dovuto supera 20.000 €), con interessi sulle rate successive. Non è consentita la rateazione per importi inferiori a 1.000 €. L’ufficio delle Entrate, una volta ricevuta la dichiarazione, effettua controlli formali sulla correttezza del calcolo e dei versamenti effettuati. Se tutto combacia, non verrà emesso alcun atto ulteriore (la posizione è definita). Se invece emergono errori di calcolo, omissioni o dati non corretti, l’Agenzia procederà a riliquidare l’imposta dovuta e notificherà al contribuente un avviso di liquidazione per recuperare la differenza (detta imposta complementare), entro il termine di decadenza di due anni dalla data di presentazione della dichiarazione di successione. In tale avviso saranno indicate le correzioni apportate e l’invito a pagare le somme aggiuntive entro 60 giorni. In altre parole, anche nel nuovo regime permane la possibilità di avvisi di liquidazione in materia successoria, ma in un ruolo diverso: non più per il primo calcolo dell’imposta (che spetta all’erede), bensì come strumento di controllo ex post sulle autoliquidazioni eseguite.
- Esempio: Caio presenta nel 2025 la dichiarazione di successione per il decesso di sua madre, indicando il valore di un immobile secondo la rendita catastale. Calcola e versa l’imposta di successione autoliquidata (ipotizziamo 4% sull’eccedenza oltre franchigia, come dettaglieremo) entro 90 giorni dalla dichiarazione. Successivamente l’Agenzia delle Entrate verifica che il valore dichiarato per l’immobile era inferiore al valore venale di mercato e rettifica la base imponibile (supponiamo aumentando il valore di 100.000 €, con conseguente imposta aggiuntiva di 4.000 €). Entro due anni dall’invio della dichiarazione, l’ufficio notificherà a Caio un avviso di liquidazione indicando la maggiore imposta dovuta (4.000 €), gli interessi e la sanzione prevista per l’insufficiente versamento. Caio a quel punto dovrà seguire le indicazioni dell’avviso, potendo però contestare nel merito la valutazione (ad esempio dimostrando che il valore dichiarato era corretto) attraverso gli strumenti di tutela descritti più avanti (ricorso, ecc.).
Perché arriva l’avviso? Le cause tipiche che danno origine a un avviso di liquidazione su successione – in base ai casi sopra esposti – sono:
- Omesso o insufficiente versamento dell’imposta principale dovuta. Nel vecchio regime, l’avviso di liquidazione iniziale arriva semplicemente perché l’ufficio quantifica l’imposta dovuta sugli elementi dichiarati (ad es. se il patrimonio ereditario eccede la franchigia esente) e ne chiede il pagamento. Nel nuovo regime, un avviso può arrivare se il contribuente non ha versato affatto l’imposta autoliquidata, oppure se l’ha versata solo parzialmente (ad es. versato il 20% ma poi omesso le rate successive): l’avviso recupererà l’importo non pagato, con sanzione e interessi.
- Errori di calcolo o di applicazione di aliquote/franchigie. Può accadere che nella dichiarazione l’erede abbia sbagliato i calcoli (es. ha applicato un’aliquota ridotta non spettante, oppure non ha considerato che un determinato legato era tassabile separatamente). L’ufficio, in sede di liquidazione, corregge gli errori materiali e di calcolo e liquida l’imposta dovuta. In questi casi l’avviso evidenzierà le correzioni effettuate (come previsto dall’art. 33 TUS). Esempio: gli eredi hanno erroneamente indicato un bene tra quelli esenti, ma non lo era – l’avviso richiederà l’imposta dovuta su quel bene.
- Detrazioni, passività o franchigie non spettanti. Analogamente, se erano state sottratte dall’asse ereditario passività non deducibili per legge, o era stata applicata una franchigia non spettante (es. si era ritenuto erroneamente di poter cumulare più franchigie), l’ufficio procederà ad escludere queste voci e liquiderà la maggiore imposta conseguente.
- Beni non dichiarati o valori non corretti (rettifica). Questo caso rientra negli avvisi di rettifica e liquidazione: se l’Agenzia scopre che nell’asse ereditario vi erano beni o diritti non inclusi nella dichiarazione (es: un conto bancario all’estero non dichiarato, titoli, immobili sfuggiti) oppure che i valori dichiarati sono significativamente inferiori al valore di mercato (in particolare per gli immobili, l’ufficio può procedere a una valutazione in base ai criteri dell’art. 14 TUS o ad accertamenti diretti), allora viene emesso un avviso di liquidazione per l’imposta complementare dovuta su tali maggiori valori. In questo caso l’atto deve essere motivat[o] in fatto e diritto: l’Agenzia deve spiegare le ragioni della rettifica (quali beni sono stati aggiunti o quale nuovo valore è stato attribuito e in base a quale criterio), pena la nullità dell’atto. Vedremo più avanti (nel paragrafo sul contenzioso) che la Cassazione ha più volte ribadito la necessità di motivare adeguatamente gli avvisi che modificano la dichiarazione dell’erede, distinguendoli dai semplici avvisi di liquidazione per errori aritmetici.
- Decadenza o revoca di agevolazioni ed esenzioni. Un caso particolare è quando l’erede aveva beneficiato di un’esenzione o agevolazione sull’imposta di successione, subordinata a certe condizioni, e tali condizioni vengano meno. Ad esempio, l’esenzione prevista dall’art. 3 comma 4-ter del TUS per il trasferimento di aziende o partecipazioni al coniuge o ai discendenti (cosiddetta agevolazione sulle aziende di famiglia) richiede che i beneficiari proseguano l’esercizio dell’attività o mantengano il controllo societario per almeno 5 anni. Se questa condizione non è rispettata (come nel caso in cui uno degli eredi non sottoscriva l’impegno quinquennale richiesto), l’Agenzia può revocare parzialmente l’esenzione e notificare un avviso di liquidazione per recuperare l’imposta che era stata esentata. Ancora, si pensi alle agevolazioni “prima casa” in caso di successione: se un immobile ereditato godeva dell’aliquota agevolata dell’imposta di registro o ipotecaria, ma l’erede vende l’immobile prima dei termini di legge, l’ufficio può emettere avviso di liquidazione per recuperare la differenza d’imposta e sanzioni (questo riguarda più l’imposta di registro/ipotecaria che la successione in sé, ma spesso l’avviso contiene entrambe le pretese).
In sintesi, l’avviso di liquidazione in ambito successorio ha come presupposto l’esistenza di un’obbligazione tributaria non soddisfatta appieno, emergente dalla dichiarazione o dai controlli su di essa. Non vi è contestazione di evasione “occulta”, bensì un ricalcolo di quanto dovuto secondo legge sugli elementi noti. Per questo, storicamente tali avvisi potevano anche essere piuttosto stringati come motivazione (limitandosi a riportare la differenza dovuta), mentre quelli emessi a seguito di rettifiche più sostanziali devono dettagliare le ragioni giuridiche e fattuali.
Calcolo dell’imposta di successione: aliquote, franchigie e base imponibile
Per comprendere l’importo richiesto in un avviso di liquidazione, è necessario padroneggiare i criteri di calcolo dell’imposta di successione. Di seguito riepiloghiamo le aliquote vigenti e le relative franchigie (soglie di esenzione), nonché i criteri principali per la determinazione della base imponibile. Queste regole sono fondamentali sia per verificare la correttezza dell’avviso ricevuto, sia per calcolare eventualmente l’imposta dovuta in sede di dichiarazione (nel regime di autoliquidazione post-2025).
Aliquote e franchigie attuali (2025) – Il TUS prevede aliquote diverse in base al rapporto di parentela con il defunto, applicate sul valore complessivo netto dei beni e diritti ereditati da ciascun beneficiario (erede o legatario), al netto di eventuali passività deducibili. Le franchigie sono importi entro i quali l’eredità è esente da imposta (per quella quota). In tabella:
Grado di parentela del beneficiario | Aliquota imposta successione | Franchigia (importo esente) per beneficiario |
---|---|---|
Coniuge e parenti in linea retta (figli, genitori, nipoti in linea diretta, etc.) | 4% | € 1.000.000 per ciascun beneficiario |
Fratelli e sorelle | 6% | € 100.000 per ciascun beneficiario |
Altri parenti fino al 4° grado, affini in linea collaterale fino al 3° grado (es. zii, cugini, nipoti collaterali) e affini in linea retta (es. suocero-genero) | 6% | Nessuna franchigia (tassazione dall’euro primo) |
Altri soggetti (estranei, non rientranti nelle categorie precedenti) | 8% | Nessuna franchigia |
Beneficiario portatore di handicap grave (legge 104/1992 art.3 c.3) – Nota: questa condizione speciale si cumula con le categorie sopra | Aliquota come da grado di parentela | € 1.500.000 per beneficiario disabile grave (franchigia sostitutiva, più elevata) |
Note: Le franchigie si applicano per ciascun erede in rapporto al suo grado di parentela con il defunto. Ad esempio, se il decuius lascia € 2 milioni al coniuge e € 2 milioni al figlio, entrambi godranno di €1.000.000 esenti e pagheranno il 4% sull’eccedenza dei rispettivi €2 milioni (quindi €40.000 ciascuno). Le franchigie non sono cumulabili tra più eredi, né frazionabili: ciascuno utilizza la propria. Per le persone con disabilità grave riconosciuta, la franchigia è elevata a 1,5 milioni (in luogo di quella ordinaria eventualmente prevista per il loro grado di parentela). Se, ad esempio, un figlio disabile eredita, beneficia di €1.500.000 esenti (anziché €1.000.000).
Base imponibile – beni e diritti tassabili. L’imposta si applica sul valore netto della quota ereditaria spettante a ciascun erede. Il valore lordo comprende tutti i beni trasferiti mortis causa al beneficiario: denaro, titoli, beni mobili, immobili, aziende, crediti del defunto, etc. Dal valore lordo si deducono le passività deducibili (debiti del defunto pagati dagli eredi, spese mediche dell’ultimo semestre, spese funerarie entro certi limiti, ecc., secondo artt. 21-24 TUS). Dopo tali deduzioni, si applicano le franchigie previste per quel beneficiario: solo il valore eccedente la franchigia è tassato all’aliquota corrispondente. Alcune tipologie di trasferimenti sono esenti o escluse per legge (art.3 TUS e leggi speciali), ad esempio: i titoli di Stato italiani e equiparati sono esenti; l’azienda o le partecipazioni trasferite a coniuge o discendenti sono esenti se ricorrono le condizioni di cui all’art.3 comma 4-ter TUS (impegno a proseguire attività per 5 anni); le donazioni manuali di modico valore e le cosiddette liberalità d’uso non sono soggette a imposta; le polizze vita corrisposte agli eredi sono fuori dall’asse ereditario (non tassate come successione). È importante verificare nell’avviso di liquidazione se l’ufficio ha eventualmente disconosciuto alcune esenzioni o riduzioni che l’erede riteneva applicabili – in tal caso bisogna valutare se ciò sia legittimo e motivato.
Valutazione dei beni: per i beni immobili, il valore dichiarato (e tassato) può essere determinato sulla base della rendita catastale (moltiplicata per i coefficienti di legge) se l’immobile non è di lusso: questa prassi è accettata per il calcolo delle imposte ipotecarie e catastali, ma ai fini dell’imposta di successione l’ufficio può rettificare il valore se ritiene che quello dichiarato sia inferiore al valore di mercato (valore venale in comune commercio ai sensi dell’art. 14 TUS). Spesso, se il valore catastale appare molto basso rispetto ai valori OMI o di mercato, l’Agenzia effettua un ricalcolo o richiede una perizia. Per i titoli e partecipazioni non quotati, vi sono criteri specifici (valore proporzionale del patrimonio sociale, ultimo bilancio approvato, etc.). I beni mobili di modesto valore (arredi, ecc.) vengono di regola inclusi con una percentuale forfettaria del 10% dell’asse attivo (salvo diversa indicazione). I conti correnti e depositi bancari sono valutati al saldo alla data del decesso. Particolare menzione va fatta per i beni detenuti all’estero dal defunto: se emergono solo successivamente (ad es. grazie a procedure di collaborazione volontaria, “voluntary disclosure”), essi costituiscono sopravvenienze ereditarie imponibili che richiedono la presentazione di una dichiarazione integrativa e il pagamento della relativa imposta. La Cassazione ha chiarito che l’emersione postuma di capitali all’estero del defunto impone un’integrativa ex art.28 comma 6 TUS, configurando un incremento dell’attivo ereditario tassabile. Dunque, un avviso di liquidazione potrebbe notificare imposta complementare anche a distanza di tempo se vengono individuati beni esteri non dichiarati originariamente (rispettando comunque i termini di decadenza dall’accertamento, salvo il caso di dichiarazione omessa che mantiene più a lungo aperta la possibilità di accertamento).
Esempio di calcolo: Il Sig. Rossi muore lasciando un patrimonio composto da: un appartamento del valore (venale) di €800.000, un conto bancario di €300.000 e un deposito titoli con €200.000 in BOT. Ha due figli come unici eredi in parti uguali. Ciascun figlio eredita dunque beni per €650.000 (metà di 800k + metà di 300k, i BOT sono esenti da successione). Ogni figlio ha diritto a €1.000.000 di franchigia: in questo caso il valore di ciascuna quota (€650.000) non supera la franchigia, quindi non è dovuta imposta di successione. Gli eredi dovranno però versare: imposta ipotecaria 2% sugli immobili e catastale 1% sugli immobili (in genere, 2%+1% sul valore catastale, con un minimo di €200 ciascuna, salvo agevolazioni prima casa) – queste imposte ipotecaria/catastale si pagano in autoliquidazione al momento della dichiarazione di successione. Nel caso in esempio, se l’immobile vale catastalmente ad es. €300.000, le imposte ipocatastali sarebbero €6.000 + €3.000, da dividersi tra gli eredi. Se però uno dei due figli fosse disabile grave ex L.104, la sua franchigia diventerebbe €1.500.000: anche ereditando di più non pagherebbe comunque imposta finché la sua quota non supera tale soglia. – Avviso di liquidazione: se in questo esempio l’Agenzia riscontrasse, poniamo, che l’appartamento valeva in realtà €1.200.000 sul mercato, allora ciascuna quota ereditata salirebbe di €200.000 (50% di 400k in più), portando la quota di ciascun figlio a €850.000. Resterebbero comunque sotto la franchigia da 1 milione, per cui non si creerebbe imposta successione; l’ufficio potrebbe però chiedere un conguaglio sulle imposte ipotecaria/catastale, perché quelle sì sarebbero dovute in più (3% su 200k di maggior valore, diviso due). Se invece l’asse ereditario fosse di dimensioni maggiori, l’avviso di liquidazione avrebbe richiesto la sola imposta di successione complementare sulle eccedenze.
Contenuto dell’avviso di liquidazione: cosa verificare
Quando si riceve un avviso di liquidazione per imposta di successione, è fondamentale leggerlo con attenzione e verificarne ogni aspetto. Un avviso di liquidazione tipicamente contiene:
- Intestazione e riferimenti: l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate emittente, il numero di riferimento dell’atto e la data di notifica. Verificare la data, poiché da questa decorrono i 60 giorni per pagare o impugnare.
- Dati del contribuente e del defunto: nome dell’erede o soggetto obbligato a cui è intestato l’atto, e riferimento alla successione (generalmente nome del decuius e data del decesso).
- Importi dovuti dettagliati: l’avviso suddivide l’ammontare richiesto tipicamente in: imposta principale (o complementare) dovuta, sanzione amministrativa applicata, interessi di mora calcolati. Spesso è presente una tabella di liquidazione con queste voci. Ad esempio potrebbe indicare: “Imposta sulle successioni € XX, sanzioni € YY, interessi € ZZ, TOTALE € XYZ”. Nel caso di atti misti (successione + ipocatastali) potrebbero essere elencate separatamente le diverse imposte.
- Motivazione/calcolo: la parte forse più importante da controllare. Deve essere indicato come l’ufficio è arrivato a quei conteggi. Se l’avviso riguarda il calcolo “ordinario” sulla dichiarazione, sarà spesso indicato il valore imponibile dei beni e il calcolo dell’aliquota sull’eccedenza rispetto alla franchigia, con eventuali correzioni di errori materiali. Le correzioni e le esclusioni fatte dall’ufficio devono risultare espressamente nell’avviso: ad esempio, se sono state escluse certe passività perché non deducibili, l’atto deve elencarle; se è stato aumentato il valore di un immobile, deve dirlo e possibilmente indicare il criterio (es. stima UTE, OMI, ecc.). Attenzione: se l’avviso comporta una rettifica (maggior imposta non derivante da un mero ricalcolo aritmetico ma da una modifica di dati dichiarati), esso deve contenere una motivazione adeguata, cioè le ragioni di fatto e di diritto della pretesa, a pena di nullità. La Cassazione ha chiarito che non basta indicare genericamente “imposta principale insufficiente” o formule simili: l’atto deve mettere il contribuente in condizione di capire quali elementi sono stati rideterminati, così da potersi difendere. Dunque, verificate se la motivazione è chiara: se ad esempio l’avviso disconosce una franchigia, dovrebbe citare la norma e il perché (es. “non spettante in quanto il beneficiario non è figlio né coniuge”); se aggiunge un bene, dovrebbe descriverlo (“conto corrente presso XYZ con saldo … non presente in dichiarazione”); se ricalcola un valore, dovrebbe almeno menzionare il nuovo valore e il criterio (es. “rideterminato valore immobile ai sensi dell’art.14 TUS”). Qualora l’avviso non riporti adeguate spiegazioni su variazioni sostanziali, ciò potrà costituire un motivo di ricorso (difetto di motivazione).
- Termine di pagamento e modalità: normalmente l’avviso indica che il pagamento va effettuato entro 60 giorni dalla notifica. È importante annotare questa scadenza. Viene inoltre specificato come pagare: oggi in genere tramite il modello F24, sezione “Erario”, utilizzando i codici tributo appropriati per l’imposta successione e relativi interessi/sanzioni. Dal 2020 in poi la prassi è di includere nell’avviso un facsimile di modello F24 già precompilato con codici e importi, oppure le istruzioni per la compilazione (ad esempio, il codice tributo “A152” per gli interessi da avviso di liquidazione successioni, il codice “A139” per la sanzione da avviso, ecc., secondo quanto stabilito dalla Risoluzione Agenzia Entrate n. 2/E 2025). Se l’avviso riguarda più imposte (successione, ipotecaria, catastale) saranno indicati più codici. In alternativa al modello F24, alcuni uffici consentono il pagamento tramite bollettini o PagoPA: verificare quanto indicato sull’atto stesso.
- Avvertenze su impugnazione: L’atto in genere riporta la dicitura che trattasi di atto impugnabile entro 60 giorni dinanzi la Commissione Tributaria competente (ora denominata “Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado”) e può contenere l’invito a prendere contatto con l’ufficio per eventuali chiarimenti o per l’eventuale definizione in acquiescenza. Talvolta, viene menzionata la possibilità di chiedere annullamento in autotutela all’ufficio stesso qualora vi siano evidenti errori. Queste informazioni standardizzate ricordano i diritti del contribuente, ma è bene sapere che l’impugnazione formale richiede il rispetto di procedure specifiche (trattate più avanti).
In sintesi, alla ricezione di un avviso di liquidazione bisogna subito:
- Controllare il termine per il pagamento/ricorso (annotare la data esatta di scadenza dei 60 giorni).
- Verificare gli importi richiesti confrontandoli con i propri calcoli o con la propria dichiarazione di successione: l’imposta corrisponde a quella attesa? C’è una differenza inaspettata? Se sì, capire da cosa nasce (omissione, errore, nuova valutazione…).
- Esaminare la motivazione e le eventuali correzioni: l’ufficio ha spiegato chiaramente eventuali maggiorazioni di valore o esclusione di voci? In caso contrario, prendere nota perché ciò potrebbe essere vizio di legittimità.
- Verificare i riferimenti normativi indicati (spesso l’avviso cita articoli di legge, es. “art. 13 D.lgs 471/1997” per la sanzione, “art. 7 L.212/2000” per la motivazione, etc.): questo aiuta a capire la base giuridica delle varie voci (ad es., sapere che la sanzione è per “omesso versamento” ex art.13 significa 30%…).
- Controllare se si è effettivamente soggetti passivi: sembra banale, ma come vedremo vi sono casi in cui il destinatario potrebbe non essere tenuto all’imposta (es. perché ha rinunciato all’eredità, o perché il testamento su cui si basava la sua chiamata è stato revocato). Se ritenete di non essere dovete nulla in quanto non eredi, l’avviso potrebbe essere illegittimo (si vedano le sentenze Cass. 5777/2023 e Cass. 14063/2025 discusse più avanti).
Ogni elemento dell’avviso (soprattutto importi e motivazione) guiderà le azioni successive: ad esempio, se l’importo è modesto e la pretesa appare corretta, probabilmente si opterà per pagare entro 60 giorni, magari beneficiando della riduzione sanzione; se invece c’è un errore palese dell’ufficio, si potrà richiedere un annullamento in autotutela; se c’è una controversia di valore o di principio, si valuterà il ricorso. Nei prossimi paragrafi affronteremo proprio cosa fare in queste diverse ipotesi.
Importi aggiuntivi: sanzioni e interessi nell’avviso di liquidazione
Un avviso di liquidazione per imposta di successione non si limita a richiedere l’imposta dovuta, ma (quando c’è un’integrazione d’imposta rispetto al dovuto) comprende anche una sanzione amministrativa e gli interessi maturati. È importante capire la natura di queste somme accessorie:
- Sanzione per omesso o carente versamento: Se dall’avviso risulta un’imposta in più da pagare, significa che il contribuente non aveva versato spontaneamente tale importo entro i termini dovuti. Ciò configura un’omissione o insufficiente versamento, sanzionato ai sensi dell’art. 13 del D.lgs. 471/1997. La sanzione base è il 30% dell’imposta non versata. Nell’avviso, spesso viene indicata come “sanzione amministrativa art.13 D.lgs 471/97”. Tuttavia, è prevista una riduzione: se il pagamento avviene entro il termine indicato (60 giorni), la sanzione è ridotta ad un terzo. In pratica, pagare tempestivamente l’avviso comporta che la sanzione scende dal 30% al 10% dell’imposta dovuta. Esempio: imposta complementare €5.000, sanzione piena 30% = €1.500; se paghi entro 60 giorni pagherai sanzione €500 (un terzo di 1500). Questa riduzione è applicabile d’ufficio: spesso l’avviso stesso potrebbe già indicare la sanzione ridotta (o specificare “sanzione ridotta se pagato nei 60 gg”). In caso di mancato pagamento entro i 60 giorni, invece, la sanzione resta intera al 30% e l’importo sarà affidato alla riscossione coattiva con ulteriori aggravamenti (si veda oltre). Si noti che se l’avviso riguarda un’imposta complementare dovuta per fatti sopravvenuti (es. revoca di agevolazione), la sanzione viene comunque trattata come omesso versamento. Qualora invece l’avviso derivi da dichiarazione omessa (nessuna dichiarazione presentata entro l’anno), allora vi è una diversa sanzione per omessa dichiarazione (dal 120% al 240% dell’imposta, art. 50 TUS) ma questo esula dal caso di specie standard, dove l’avviso di liquidazione segue comunque una dichiarazione sia pure infedele.
- Interessi di mora: L’avviso richiede anche gli interessi calcolati sull’imposta non pagata, decorrenti dalla data in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata fino alla data dell’avviso (o fino al pagamento effettivo, a seconda dei casi). Per le successioni ante-2025, l’imposta principale avrebbe dovuto essere pagata entro 60 giorni dall’avviso originario (quindi gli interessi su un’imposta complementare decorrono in genere dalla scadenza di pagamento dell’imposta principale). Per le successioni post-2025, l’imposta avrebbe dovuto essere pagata entro 90 giorni dalla dichiarazione: dunque se non è stata versata o è stata versata parzialmente, gli interessi decorrono da quella scadenza. Gli interessi moratori sui tributi sono determinati da decreti ministeriali e variano nel tempo: attualmente (secondo semestre 2025) il saggio di interesse è del 2,15% annuo come tasso base, maggiorato di 8 punti per gli interessi di mora, il che porta il tasso effettivo di interesse moratorio al 10,15% annuo. Fino a qualche anno fa il TUS conteneva un tasso fisso (4,5% a semestre) ma la norma è stata modificata per rinviare alla disciplina generale (ora il tasso viene aggiornato semestralmente dal MEF). Dunque, gli interessi calcolati dall’ufficio servono a compensare il ritardo nel pagamento dell’imposta. Verificate in avviso il periodo di riferimento: es. “interessi dal 01/01/2023 al 10/07/2025”. Se il contribuente ritarda oltre i 60 giorni, ulteriori interessi di mora continueranno a maturare, e in caso di successiva iscrizione a ruolo se ne chiederà il pagamento fino alla data di effettivo versamento.
- Importi minimi non dovuti: Per legge (art. 37, c.3 TUS modificato), non si effettua il pagamento se le somme dovute, comprensive di interessi e sanzioni, non superano €10. Quindi, se un avviso liquidasse ad esempio €5 di imposta e €3 di sanzioni/interessi (totale €8), nulla sarebbe dovuto. In pratica però difficilmente l’Agenzia notifica atti sotto tale soglia.
- Imposte ipotecarie, catastali e altre: Spesso l’avviso di liquidazione in materia successoria può contenere anche il recupero delle imposte ipotecaria e catastale. Queste imposte (2% e 1% sul valore degli immobili) sono autoliquidate dal contribuente già in dichiarazione: se però l’ufficio accerta che non sono state pagate, o che il valore degli immobili era più alto, l’avviso includerà anche queste somme. Le sanzioni per omesso versamento di ipotecaria/catastale sono anch’esse del 30%, ridotte a 1/3 se pagate entro 60 giorni, esattamente come per l’imposta di successione. Attenzione: l’imposta di bollo e la tassa ipotecaria fissa (che si pagano in misura fissa, es. €64, €200) pure devono essere versate con la dichiarazione; se mancanti, l’avviso le conterrà (di solito senza sanzione se importi fissi). Insomma, l’avviso può essere “complesso” sommando più voci. Nell’atto sarà distinguibile a quale imposta si riferisce ciascun importo: verificate quindi se, ad esempio, oltre all’imposta di successione, vi stanno chiedendo anche €X per imposta ipotecaria, €Y per catastale, €Z per bollo, con relative sanzioni.
In pratica, un avviso tipico potrebbe recitare: “Imposta sulle successioni complementare €10.000; sanzione art.13 D.lgs 471/97 (ridotta a 1/3) €1.000; interessi €500; Imposta ipotecaria €2.000; sanzione imposta ipotecaria €200; interessi €50; Imposta catastale €1.000; sanzione imposta catastale €100; interessi €25; Totale €14.875”. In tal caso bisogna pagare quell’importo complessivo (14.875) se si vuole definire l’atto.
Verifica degli importi: È opportuno rifare (anche con l’aiuto di un professionista) i calcoli dell’imposta per capire se la cifra richiesta è corretta. Ad esempio, se l’avviso segnala un valore maggiore per un immobile, applicare l’aliquota e vedere se l’imposta torna. Oppure, se c’erano più eredi, controllare che l’imposta sia stata suddivisa correttamente o attribuita solo a chi di dovere (tendenzialmente l’avviso viene emesso in solido a tutti, ma spesso ne notificano copia a ciascun erede per l’intero, vedi dopo sul vincolo di solidarietà). In caso di difformità macroscopiche (importo apparentemente errato, magari un decimale messo male, ecc.), è possibile ci sia un errore di calcolo dell’ufficio: in tal caso si può chiedere spiegazioni o correzione immediata.
Ricordiamo infine che l’avviso di liquidazione non include mai sanzioni penali o simili (l’ambito penale tributario non si applica all’imposta di successione in sé, ma solo ad eventuali reati dichiarativi se la dichiarazione fosse infedele con sottrazione d’imposta superiore a soglie altissime – circostanza rara, e comunque il penale seguirebbe altro iter). Si tratta dunque “solo” di somme pecuniarie amministrative.
Pagamento dell’avviso: modalità e possibilità di rateazione
Una volta esaminato il contenuto dell’avviso, se si ritiene di non contestarlo nel merito (ovvero se l’importo è dovuto o comunque non si intende presentare ricorso), la strada da seguire è il pagamento di quanto richiesto entro 60 giorni dalla notifica. Alcuni punti importanti riguardo al pagamento:
Modalità di pagamento: Attualmente l’Agenzia delle Entrate richiede il pagamento tramite modello F24 (il modello utilizzato per la gran parte dei versamenti tributari), compilato in base alle istruzioni fornite. Come accennato, la Risoluzione 2/E del 10/1/2025 ha istituito specifici codici tributo per i versamenti connessi alla dichiarazione di successione e agli avvisi di liquidazione. In particolare:
- Per l’imposta di successione autoliquidata in sede dichiarativa si utilizza il codice tributo 1539 (Sezione Erario, anno di riferimento = anno del decesso). Lo stesso codice potrebbe essere impiegato per eventuali integrazioni dell’imposta principale.
- Per la sanzione da avviso di liquidazione imposta successioni è previsto il codice A139, da usare con indicazione del codice ufficio e codice atto (riportati sull’avviso stesso).
- Per gli interessi da avviso si usa il codice A152.
- Imposte ipotecarie e catastali eventuali andranno nei codici propri (es. 1530, 1531 per quelle autoliquidate, o A142 per somme liquidate da ufficio), e così via.
In pratica, il contribuente può recarsi in banca, posta o usare il banking online per compilare un F24 con i codici opportuni. Se l’avviso allega un F24 precompilato, conviene utilizzare quello per evitare errori. In alternativa, alcuni uffici allegano un bollettino da pagare presso qualsiasi sportello postale. Verificate sull’atto se indica modalità alternative (PagoPA): la digitalizzazione in corso potrebbe portare l’Agenzia a fornire link o QR Code per pagare telematicamente. Se avete dubbi sulla compilazione, contattate il numero di telefono indicato nell’avviso o consultate un professionista: un errore nel versamento (es. codice sbagliato) potrebbe complicare la chiusura del debito.
Pagamento parziale? Attenzione: se non intendete ricorrere ma non riuscite a pagare l’intero importo entro 60 giorni, non è sufficiente pagare una parte. Il pagamento parziale non sospende le procedure esecutive sul residuo, né evita la sanzione piena. Dopo 60 giorni, sul residuo non pagato scatterà l’iscrizione a ruolo (vedi oltre) con sanzione intera e interessi di mora. Dunque, è necessario trovare una soluzione per l’intero importo.
Rateazione con Agenzia Entrate (fase amministrativa): Diversamente dagli avvisi di accertamento (per imposte dirette o IVA), per gli avvisi di liquidazione non esiste una procedura di rateazione automatica concessa dall’Agenzia in questa fase (fatta salva la rateazione “preventiva” di cui all’art.38 TUS in sede di autoliquidazione). In altri termini, l’Agenzia delle Entrate non prevede di per sé la possibilità di chiedere a priori una dilazione del pagamento dell’avviso dopo la sua notifica: o si paga entro 60 giorni (usufruendo della sanzione ridotta) oppure, scaduto il termine, l’importo verrà iscritto a ruolo per la riscossione coattiva. Tuttavia, una chance di rateazione si riapre dopo che l’importo è passato all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia): in quella sede è possibile chiedere un piano di dilazione delle somme iscritte a ruolo, secondo le regole generali (fino a 72 rate mensili per importi ordinari, o piani straordinari fino a 120 rate in caso di grave e comprovata difficoltà per importi elevati). Ovviamente, arrivare alla fase della riscossione significa aver perso il beneficio della sanzione ridotta e dover pagare anche spese aggiuntive. È quindi fortemente consigliabile, se si hanno difficoltà a pagare, prima della scadenza dei 60 giorni tentare un approccio con l’ufficio: in certi casi, l’Ufficio può suggerire soluzioni (ad esempio, se mancano pochi mesi perché si liberi liquidità da un bene ereditato, si può chiedere di attendere con una semplice istanza – non c’è obbligo per l’Agenzia di concederlo, ma a volte mostrano flessibilità). In generale comunque, la regola è che non c’è rateazione amministrativa oltre il termine di legge per pagare.
Rateazione ex art.38 TUS (preventiva): Vale la pena ricordare che, per le successioni dal 2025, la legge prevede la possibilità di dilazionare l’imposta in 8 o 12 rate in fase di autoliquidazione, e che per le successioni antecedenti esisteva una norma (art.38 TUS vecchio testo) che consentiva ai contribuenti, in caso di difficoltà, di chiedere di versare l’imposta successione in forma dilazionata (quando per esempio vi erano immobili indivisibili e poca liquidità). Tale possibilità, coordinata con il nuovo regime, rimane formalmente nel TUS ma riguarda appunto la fase di autoliquidazione. Una volta emesso l’avviso, quell’opportunità è sostanzialmente sfumata.
Caso di più eredi (responsabilità in solido): Spesso, quando ci sono più eredi obbligati all’imposta, l’Agenzia notifica l’avviso a ciascuno di essi per l’intero importo. Ciò non significa che voglia incassare due volte: si tratta di una conseguenza della responsabilità solidale dei coobbligati prevista dall’art.36 comma 3 del TUS. Tale norma stabilisce che “fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità […] rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti”. In pratica, fintanto che tutti gli eredi non hanno accettato e pagato la loro quota, l’Amministrazione può rivolgersi ad uno qualsiasi di essi (entro i limiti del valore di ciò che quello possiede dell’eredità) per ottenere il pagamento dell’intera imposta. Di solito, per semplicità, l’avviso viene inviato in duplicato a tutti, ma è poi sufficiente che uno degli eredi paghi per liberare anche gli altri (notificate all’ufficio l’avvenuto pagamento, così che chiuda la posizione di tutti). Se invece uno paga solo una parte, permane il debito solidale sul resto. Nel caso in cui un coerede abbia già pagato la sua quota prima dell’avviso (ad es. tramite autoliquidazione), l’avviso dovrebbe riguardare solo i rimanenti. Qualora vi arrivi un avviso per l’intero pur avendo pagato la vostra parte, contattate l’ufficio per chiarire e documentare il pagamento effettuato, al fine di ottenere lo sgravio per la vostra quota.
Acquiescenza e definizione agevolata: In materia di avvisi di liquidazione, non vi sono speciali riduzioni per “acquiescenza” come esistono per gli avvisi di accertamento (che prevedono sanzioni ridotte a 1/3 se non si fa ricorso). Qui la riduzione della sanzione al 1/3 è già incorporata se pagate entro 60 giorni. Dunque, non c’è un ulteriore beneficio nel rinunciare al ricorso, a parte evitare il contenzioso e le spese relative. Se però ritenete di aver subito un evidente torto, valutate il ricorso perché – a differenza degli accertamenti – qui non perdete alcuna ulteriore agevolazione scegliendo di litigare (avete già la sanzione minima pagando nei 60 gg, e quella resterà 10% anche se poi il giudizio dura, non aumenta).
Ravvedimento operoso: È utile segnalare che prima dell’emissione dell’avviso, il contribuente ha la possibilità di ravvedersi spontaneamente. Ad esempio, se ci si accorge di aver dimenticato un bene in dichiarazione o di aver sottostimato un valore, finché l’Agenzia non notifica nulla si può presentare una dichiarazione integrativa e versare la maggiore imposta con sanzione ridotta (il ravvedimento art.13 D.lgs. 472/97 prevede sanzioni a scalare: 1/8 del 30% se si paga entro un anno dall’omissione, 1/5 se entro due anni, ecc.). In sede di dichiarazione integrativa, si useranno i codici tributo appositi (ad esempio il codice 1549 per la sanzione da ravvedimento per tardiva dichiarazione di successione). Questo può evitare l’avviso o far sì che l’avviso richieda solo minimi conguagli. Tuttavia, una volta notificato l’avviso, il ravvedimento non è più ammesso sulla parte contestata (si può ravvedere solo ciò che non è stato ancora formalizzato in un atto impositivo). Quindi, se avete ricevuto l’avviso, siamo oltre la fase del ravvedimento e bisogna gestire l’atto stesso.
Riassumendo le opzioni sul pagamento:
- Pagare l’intero dovuto entro 60 giorni: chiudete la pendenza con sanzioni ridotte (10%).
- Se impossibilitati a pagare subito: valutare ricorso (per guadagnare tempo e magari trattare, ma dovrete poi eventualmente chiedere rate alla riscossione) oppure contattare l’ufficio per soluzioni (non garantite).
- Non pagare e non ricorrere: dopo 60 giorni l’importo verrà iscritto a ruolo e l’Agente della Riscossione procederà a notificarvi una cartella di pagamento o un altro atto esecutivo, con aggiunta della maggiorazione di legge (sanzione al 30% intero, interessi di mora aggiuntivi dal 61° giorno, aggio di riscossione). A quel punto potrete solo richiedere una dilazione all’Agente (per evitare pignoramenti), ma avrete perso la possibilità di contestare nel merito (il debito sarà definitivo).
È quindi cruciale decidere entro i 60 giorni se pagare o impugnare. Nei prossimi capitoli vediamo le vie di tutela (autotutela e ricorso) qualora non si intenda accettare l’avviso così com’è.
Come contestare un avviso di liquidazione: rimedi e strategie (autotutela, ricorso, sospensione)
L’avviso di liquidazione, in quanto atto impositivo, può essere contestato dal contribuente qualora lo ritenga illegittimo o infondato, utilizzando gli strumenti offerti dall’ordinamento tributario. Di seguito analizziamo i principali rimedi, dal più informale (richiesta di autotutela) al formale ricorso in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria), passando per eventuali procedure “deflative” come l’accertamento con adesione. Vedremo inoltre come chiedere la sospensione della riscossione in pendenza di giudizio. È importante valutare attentamente questi strumenti entro i tempi giusti, perché i termini sono stringenti.
Autotutela (richiesta di annullamento/riduzione in via amministrativa)
L’autotutela è il potere-dovere della Pubblica Amministrazione di correggere o annullare i propri atti quando risultino viziati da errori o illegittimità evidenti. In ambito tributario, ciò significa che l’Agenzia delle Entrate può annullare d’ufficio, in tutto o in parte, un avviso di liquidazione se riconosce che è stato emesso per errore (ad esempio, persona sbagliata, calcolo sbagliato, duplicazione di pagamento, ecc.) oppure se sussistono evidenti cause di non debenza.
Il contribuente può attivare l’autotutela presentando una istanza motivata all’ufficio emittente, spiegando l’errore e allegando eventuale documentazione probante. Ad esempio, se l’avviso richiede imposta a un soggetto che aveva rinunciato all’eredità, si allegherà la copia della dichiarazione di rinuncia autenticata, chiedendo l’annullamento totale perché la persona non è soggetto passivo. Oppure, se c’è un errore di calcolo aritmetico, si mostrerà il calcolo corretto. L’autotutela può essere chiesta in qualsiasi momento, anche dopo i 60 giorni (non ha termini di decadenza formali); ma attenzione: la presentazione dell’istanza di autotutela non sospende il termine per fare ricorso né quello per pagare. Quindi, se mancano pochi giorni alla scadenza e l’ufficio non ha ancora risposto, bisogna comunque valutare di fare ricorso per non perdere i diritti, oppure pagare per evitare la mora.
L’ufficio non è obbligato ad accogliere l’autotutela (è discrezionale). In genere la utilizza per errori palesi. In materia di successione, esempi tipici di autotutela accolta: l’avviso era indirizzato a un soggetto estraneo (magari omonimia, codice fiscale errato), oppure l’imposta era già stata pagata (si documenta l’F24 versato e l’ufficio annulla l’avviso duplicato), oppure ancora la notifica è avvenuta quando ormai l’atto era decaduto (fuori termine) – l’ufficio, constatato di essere fuori termine, potrebbe annullare per evitare un contenzioso perso.
Presentare un’istanza di autotutela in forma scritta è fortemente consigliato (raccomandata A/R, PEC, o consegna a mano all’ufficio protocollo facendosi dare ricevuta) per avere traccia. Nel testo vanno indicati gli estremi dell’avviso, il motivo per cui si chiede l’annullamento (o la correzione) e i riferimenti normativi/di documenti a sostegno. Ad esempio: “Il sottoscritto… ricevuto avviso di liquidazione n… chiede in autotutela l’annullamento, in quanto non ha mai acquistato la qualità di erede essendo stato integralmente pretermesso dal testamento del defunto e avendo rinunciato all’azione di riduzione; si allega copia del testamento successivo che lo esclude e sentenza Cass. n.5777/2023 a supporto…”. È utile citare eventuali circolari o risoluzioni dell’Agenzia se conosciute, o pronunce a favore (pur non vincolando l’ufficio, mostrano che la pretesa è errata in diritto).
Se l’autotutela viene accolta, l’atto viene annullato (in toto o in parte) e, se avete già pagato, avete diritto al rimborso delle somme non dovute. Se l’ufficio respinge o ignora l’istanza, purtroppo non c’è un diritto al ricorso contro il diniego di autotutela (non è un atto autonomamente impugnabile). L’unica via rimane il ricorso sul merito originario.
In sintesi, conviene tentare l’autotutela nei casi chiari di errore: spesso l’Agenzia preferisce annullare da sé un atto evidentemente sbagliato piuttosto che andare in causa e perderla. Ma fate attenzione a non affidarvi esclusivamente all’autotutela se il termine di ricorso sta per scadere: la prudenza suggerisce di presentare comunque il ricorso (che può sempre essere ritirato se poi l’ufficio annulla).
Accertamento con adesione (definizione concordata)
L’accertamento con adesione è uno strumento deflattivo del contenzioso che consente al contribuente e all’ufficio di raggiungere un accordo sul contenuto dell’atto impositivo, riducendo le sanzioni. Tecnicamente, è previsto per gli avvisi di accertamento e anche per gli avvisi di liquidazione che contengano accertamenti di valore o rettifiche (ad esempio in materia di imposta di registro, catasto e, per analogia, successioni).
Nel contesto di un avviso di liquidazione per successione, si potrebbe valutare l’adesione se la controversia riguarda questioni di valore o di interpretazione su cui è possibile negoziare. Ad esempio, se l’ufficio ha attribuito ad un immobile un valore di €500.000 e l’erede ritiene sia €400.000, le parti possono trovarsi “a metà strada” concordando per esempio €450.000 come base imponibile; oppure se vi è una passività dedotta contestata in parte, si può trovare un accordo sull’importo deducibile.
Per attivare l’adesione, il contribuente deve presentare una istanza di accertamento con adesione all’ufficio prima di presentare il ricorso (entro il termine per ricorrere). L’istanza sospende il termine di impugnazione per 90 giorni. Durante questi 90 giorni si avvia un dialogo: l’ufficio vi convocherà (o potete sollecitare un incontro) e discuterete la questione. Se si raggiunge un accordo, verrà redatto un atto di adesione con i nuovi importi concordati. I vantaggi: le sanzioni vengono ridotte ad 1/3 di quelle minime (nel caso di omesso versamento, la sanzione base 30% ridotta a 10% già con pagamento entro 60gg; in adesione formalmente sarebbe 1/3 del minimo, quindi 10% – di fatto lo stesso valore, quindi niente di più conveniente sulla sanzione in questo caso). Il vero vantaggio è evitare la lite e magari spuntare una base imponibile inferiore a quella iniziale. Lo svantaggio è che comunque dovrete pagare (in genere entro 20 giorni dalla firma) l’importo concordato, seppur rateizzabile in alcune ipotesi.
Nella pratica delle successioni, l’adesione non è molto frequente perché spesso l’avviso verte su questioni o molto semplici (errori materiali, in cui l’ufficio tende a risolvere in autotutela) o su questioni di principio (es: spettanza di franchigia) in cui l’Agenzia difficilmente transige. Tuttavia, se la disputa è su valutazioni estimative, l’accertamento con adesione è l’arena ideale: portando ad esempio una perizia di parte, si può convincere l’ufficio a rivedere (al ribasso) la stima di un immobile pur di chiudere la vicenda, evitando al contribuente l’incertezza del giudizio.
In sintesi, l’adesione è facoltativa ma consigliabile quando intravedete margini di accordo. Non preclude comunque di fare ricorso se non ci si accorda entro i 90 giorni sospensivi. L’importante è ricordarsi di presentare l’istanza di adesione tempestivamente (entro i 60 giorni dall’avviso, prima di proporre ricorso): dopo non sarà più possibile.
Il ricorso alla Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria)
Se l’avviso di liquidazione presenta profili di illegittimità o errori che l’ufficio non ha riconosciuto, oppure se si contesta proprio il merito della pretesa (es. “il bene non vale così tanto”, “io non dovevo pagare perché non sono erede”, “l’atto è nullo per difetto di motivazione”, etc.), lo strumento di tutela ordinario è il ricorso giurisdizionale avanti al giudice tributario. Questa è una vera e propria causa in cui si chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto.
Giurisdizione competente: le controversie sull’imposta di successione rientrano nella giurisdizione tributaria. Il ricorso va presentato alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) competente per territorio, ora denominata Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado (a seguito della riforma del 2022). La competenza territoriale in genere è determinata dal domicilio fiscale del contribuente o dalla sede dell’ufficio che ha emesso l’atto (spesso coincidono). Sul retro dell’avviso talvolta è indicato quale Commissione è competente.
Termini: il ricorso deve essere notificato (alla Direzione Provinciale Entrate che ha emesso l’avviso) entro 60 giorni dalla data di notifica dell’avviso. Questo termine è perentorio: scaduto senza ricorso, l’atto diventa definitivo. (Se il 60° giorno cade di sabato, domenica o festivo, slitta al primo giorno lavorativo successivo). Eventuali istanze di adesione sospendono questo termine per 90 giorni, come detto. Inoltre, se avete proposto istanza di reclamo/mediazione – istituto che però dal 2024 non è più obbligatorio per valore, in quanto abolito per importi fino a 50.000 € – in tal caso la presentazione del reclamo vale come ricorso e sospende termini per 90gg in attesa di mediazione. Ma la norma sul reclamo è stata abrogata dal 2024 per cui attualmente si può ricorrere direttamente anche per valori bassi.
Entro 30 giorni dalla notifica del ricorso all’Agenzia, occorre poi costituirsi in giudizio depositando (telematicamente, tramite il Portale Giustizia Tributaria) il ricorso notificato con relata, gli allegati e l’atto di avvenuta notifica. Questa seconda scadenza di 30gg è meno perentoria (il ricorso resta valido ma il ritardo comporta inammissibilità se eccepita), quindi va rispettata per sicurezza.
Forma del ricorso: Il ricorso tributario deve contenere, a pena di inammissibilità, almeno i seguenti elementi:
- L’indicazione della Commissione tributaria provinciale adita.
- I dati del ricorrente (contribuente) e dell’eventuale difensore (avvocato, commercialista abilitato – obbligatorio se il valore della causa supera €3.000, sotto tale soglia ci si può difendere personalmente).
- L’ente convenuto (Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di …).
- L’atto impugnato (estremi dell’avviso di liquidazione) e l’oggetto della domanda (es: “annullamento dell’avviso” o “rideterminazione dell’imposta”).
- I motivi del ricorso: qui si espongono in forma sintetica ma chiara le ragioni di fatto e di diritto per cui si contesta l’atto. Ad esempio: “Violazione di legge – Erronea applicazione art.X TUS: l’ufficio ha negato la franchigia di €1.000.000 sebbene il ricorrente sia figlio del de cuius”; oppure “Eccesso di potere – Difetto di motivazione: l’avviso non espone le ragioni della rettifica del valore dell’immobile, in violazione dell’art.7 L.212/2000 e art.34 co.2-bis TUS, come da Cass. 5669/2023”.
- L’indicazione delle prove (documenti, perizie, testimonianze – queste ultime ammesse in modo limitato nel processo tributario) di cui il ricorrente intende avvalersi.
- La sottoscrizione del difensore (o della parte se sta in proprio).
È fondamentale allegare al ricorso copia dell’avviso impugnato e di ogni documento utile (es. dichiarazione di successione presentata, eventuale certificato di morte, documenti sull’errore, sentenze se si invocano giudicati, ecc.).
Motivi di ricorso più frequenti: Senza pretesa di esaustività, in materia di avvisi di liquidazione successione, i motivi di ricorso possono riguardare:
- Vizi formali: difetto di motivazione (come detto, se l’atto non spiega i calcoli/rettifiche); notifica nulla (es: invio a indirizzo sbagliato o a persona deceduta); decadenza dei termini (avviso notificato oltre il termine di legge: es. oltre 3 anni dalla dichiarazione per imposta principale ante-2025, o oltre 2 anni per complementare, o oltre 5 anni se dichiarazione omessa); errore sul destinatario (es: avviso intestato a soggetto non obbligato).
- Vizi sostanziali: interpretazione delle norme (es: si contesta che un certo bene fosse imponibile; o che una franchigia non spettasse; o che un’agevolazione era applicabile); contestazione sulla qualità di erede (es: ricorrente sostiene di non essere soggetto passivo perché ha rinunciato all’eredità o era solo legatario, etc., come in Cass. 5777/2023); contestazione su valore dei beni (offrendo magari perizia di parte che attesti un minor valore, contro quello accertato dall’ufficio); contestazione su passività (l’ufficio ha non riconosciuto un debito deducibile che invece era documentato); ecc.
- Violazione di norme procedimentali: ad esempio, in alcuni casi dottrinali si è discusso se l’ufficio dovesse instaurare un contraddittorio prima di emettere un avviso di rettifica (attualmente per le imposte d’atto non c’è un obbligo generalizzato di contraddittorio anticipato se non in particolari ipotesi).
Procedimento e decisione: Dopo il deposito del ricorso, la causa seguirà l’iter processuale. L’Agenzia delle Entrate si costituirà depositando memorie difensive (di solito entro 60 gg dal ricevimento del ricorso) e il tutto andrà in decisione davanti ai giudici tributari. Di norma, per valori sotto €3.000 il tribunale deciderà in camera di consiglio senza udienza pubblica; oltre, è prevista un’udienza (anche se spesso durante la pandemia e oltre molte udienze sono svolte da remoto o solo su carta). Il tempo per una sentenza di primo grado può variare (6-18 mesi tipicamente). La Commissione emetterà quindi una sentenza, che potrà confermare l’avviso (rigettando il ricorso), annullarlo totalmente, o annullarlo parzialmente (es: accogliere alcuni motivi e ridurre l’importo). La sentenza è appellabile alla Commissione Tributaria Regionale (ora Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado) e infine eventualmente in Cassazione.
Costi e rischi: Il ricorso tributario comporta il versamento di un contributo unificato in base al valore della causa (per valori fino a €5.000 è €30; sale con scaglioni – ad es. valore 5k-25k = €60, 25k-75k = €120, ecc.). Inoltre, se ci si avvale di un difensore, vi sono i costi legali (che però in caso di vittoria possono essere posti a carico dell’ufficio, a discrezione del giudice). Non ci sono sanzioni in caso di soccombenza, se non la condanna alle spese di giudizio. Quindi l’unico “rischio” economico è dover pagare, oltre al dovuto, anche gli interessi di mora per l’attesa e le eventuali spese legali di controparte se si perde (in genere qualche centinaio di euro). In alcune situazioni, il contribuente può ritenere utile pagare intanto l’imposta e fare ricorso solo su principi (questo per non far correre interessi; ma nel caso di sconfitta non c’è rimborso di spese, quindi spesso si aspetta l’esito prima di pagare).
Da notare: la presentazione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione dell’atto impugnato. Ciò significa che, trascorsi 60 giorni, l’ufficio potrebbe comunque iscrivere a ruolo le somme (ma la legge oggi – D.Lgs. 546/92 art. 19 come modificato – prevede una sospensione parziale automatica per gli accertamenti esecutivi: tuttavia per gli avvisi di liquidazione non sempre è chiaro se si applichi; prudenzialmente, conviene chiedere una sospensione esplicita). Ecco quindi il tema della sospensione che trattiamo subito.
Sospensione della riscossione
Se si propone ricorso, il contribuente può trovarsi nella situazione di dover attendere anni per la decisione. Nell’attesa, l’importo contestato è tecnicamente iscritto a ruolo dopo 60 giorni e potrebbe essere riscosso coattivamente. Per evitare che il contribuente subisca un danno (es. dover pagare e poi magari vincere in giudizio anni dopo, attendendo il rimborso), l’ordinamento prevede la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato.
Ci sono due vie:
- Sospensione amministrativa (in autotutela): L’Agenzia delle Entrate, su istanza motivata, può decidere di sospendere essa stessa la riscossione fino all’esito del ricorso. Ciò accade raramente e solo in casi davvero palesi di errore o quando la stessa Agenzia riconosce che la questione è dubbia e c’è rischio di dover poi rimborsare. Non è un diritto per il contribuente, è discrezionale. Si può comunque provare a chiederla, soprattutto se esistono circolari che suggeriscono cautela in attesa di giudizi pilota (talvolta succede per questioni di massa).
- Sospensione giudiziale: Questa è la via principale. Il contribuente, nel ricorso (o con istanza separata) chiede alla Commissione Tributaria adita di sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato. Bisogna dimostrare due cose: a) che il ricorso non è pretestuoso (fumus boni iuris), ossia vi sono validi motivi che fanno presumere che la pretesa possa essere illegittima; b) che dall’esecuzione (quindi dal pagamento immediato) deriverebbe un danno grave e irreparabile per il contribuente. Ad esempio, il danno grave può consistere nel fatto che l’importo elevato costringerebbe a vendere la casa, o che l’azienda ereditaria dovrebbe essere liquidata per pagare le imposte, etc. La Commissione fissa di solito una camera di consiglio urgente (entro 30-40 giorni) per decidere sulla sospensiva. Se accoglie, l’Agenzia non potrà procedere alla riscossione finché non c’è sentenza di primo grado (la sospensione dura fino a quella data, salvo revoca). Se respinge, l’Agente della riscossione potrà andare avanti (notificare cartella, ipoteche, ecc.). In caso di rigetto, è comunque possibile riproporre la domanda di sospensione in appello se si impugna la sentenza, o chiedere una sospensione “monocratica” d’urgenza al Presidente della CTR in casi eccezionali.
Nel contesto di importi non troppo elevati e con contribuenti solvibili, spesso l’Agenzia attende l’esito di primo grado senza avviare misure aggressive: in passato la legge prevedeva l’obbligo di pagare intanto un terzo del tributo in caso di impugnazione, ma quelle norme sono cambiate. Attualmente per gli accertamenti esecutivi c’è l’obbligo di pagare 1/3 dopo la sentenza di primo grado se si vuole andare in appello, ma per gli avvisi di liquidazione la disciplina non prevede pagamenti frazionati automatici. Quindi, ottenuta la sospensione dal giudice, si è al sicuro; se la sospensione non viene concessa, l’Agenzia potrebbe comunque scegliere di non attivare subito la riscossione coattiva aspettando almeno la sentenza di primo grado (specie se l’importo è consistente e la questione dubbia, a volte l’Agenzia evita di creare contenziosi su pignoramenti inutili). Però questa è solo una possibilità: per legge, dopo 60 giorni l’atto è esecutivo.
Perciò, se ricevete un avviso di liquidazione di importo alto e decidete di ricorrere, presentate subito istanza di sospensione nel ricorso evidenziando l’eventuale grave pregiudizio. Ad esempio: “il pagamento immediato esporrebbe il contribuente a dover svendere l’immobile ereditato per far fronte all’esborso, pregiudicando irreversibilmente il patrimonio familiare; si chiede quindi la sospensione ex art.47 D.lgs.546/92”. Allegate, se possibile, documenti: es. situazione reddituale, eventuali finanziamenti in corso, ecc., per far capire al giudice lo scenario.
Ricordate anche che, se per caso l’Agenzia delle Entrate Riscossione vi notifica una cartella di pagamento mentre il ricorso è pendente (può succedere se non c’è sospensione), anche la cartella può essere impugnata (ma essendo basata su atto già impugnato, di solito viene unita al ricorso principale). Meglio prevenire con la sospensione.
Esiti possibili del contenzioso
Se il ricorso va a buon fine e la Commissione annulla l’avviso (totalmente o parzialmente),:
- Se non avevate pagato grazie a sospensione, la vicenda si chiude (salvo appello dell’Agenzia); se la sentenza diventa definitiva l’imposta non sarà più dovuta.
- Se avevate pagato (ad esempio perché niente sospensione e avete dovuto versare, o per scelta), in caso di vittoria avete diritto al rimborso di quanto non dovuto. Bisognerà presentare istanza di rimborso all’Agenzia allegando la sentenza passata in giudicato. L’amministrazione dovrà restituire le somme con interessi legali.
Se invece il ricorso viene respinto e diventa definitiva la sconfitta, l’importo dovrà essere pagato (se già non riscosso) con gli interessi maturati. Vale la pena segnalare che, nelle materie come l’imposta di successione, spesso la giurisprudenza di legittimità (Cassazione) ha dato orientamenti precisi: conviene sempre controllare se esistono precedenti favorevoli al contribuente sulla specifica questione, perché citarli può aiutare sin dal primo grado. Nei prossimi paragrafi esamineremo alcune sentenze recenti significative, che rappresentano principi utili nella difesa contro gli avvisi di liquidazione.
Giurisprudenza aggiornata: casi rilevanti in materia di avvisi di liquidazione per successione
In anni recenti la Corte di Cassazione e le commissioni tributarie sono intervenute spesso su questioni legate all’imposta di successione e agli avvisi di liquidazione. Presentiamo qui alcune delle pronunce più significative (aggiornate al 2025), perché forniscono orientamenti utili sia agli operatori che ai contribuenti. Citare o conoscere queste sentenze può fare la differenza nell’impostare un ricorso o nel decidere il da farsi.
- Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 5669 del 23/02/2023: questa sentenza ha affermato un principio importante sulla motivazione degli avvisi. In quel caso, due contribuenti avevano ricevuto un avviso di liquidazione di maggior imposta di successione dovuto alla revoca parziale di un’esenzione (quella per il trasferimento di azienda ai discendenti, art.3 c.4-ter TUS) perché non tutti gli eredi avevano firmato l’impegno a mantenere la partecipazione sociale per 5 anni. L’Agenzia aveva emesso un semplice avviso di liquidazione, senza una compiuta motivazione delle ragioni del recupero. La Cassazione ha stabilito che avviso di liquidazione e avviso di rettifica e liquidazione sono atti diversi quanto a funzione e requisiti motivazionali:
- L’avviso di liquidazione (art.33 TUS) serve a calcolare l’imposta in base ai dati dichiarati, correggendo errori materiali, e non richiede una motivazione puntuale oltre all’indicazione delle correzioni effettuate. È un atto “automatismo”, legato a dati forniti dallo stesso contribuente (dunque evidenti).
- L’avviso di rettifica e liquidazione (art.34 TUS) serve a modificare o integrare i dati della dichiarazione quando questa è incompleta/infedele. Deve essere motivato a pena di nullità, in riferimento alle ragioni di fatto e diritto che fondano la maggiore imposta pretesa. Questo è espressamente previsto dall’art.34 co.2-bis TUS (introdotto dal 2013) e, più in generale, dall’art.7 dello Statuto del Contribuente (L.212/2000). Lo scopo è consentire al contribuente di comprendere perché deve pagare di più e preparare un’adeguata difesa.
- Nella vicenda concreta, l’Ufficio non aveva solo corretto errori di calcolo (non si trattava di un banale ricalcolo) ma aveva disconosciuto un’agevolazione, rideterminando l’imposta dovuta. Dunque avrebbe dovuto emettere un avviso di rettifica motivato, non un mero avviso di liquidazione contenente solo l’importo. La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso del contribuente su questo punto, richiamando anche un precedente del 2011. In definitiva, la Suprema Corte ha ribadito che, al di là del nome formale dell’atto, conta la sostanza: se l’atto fa una rettifica (integra i dati dichiarati, nega benefici, ecc.), deve avere una motivazione congrua “come un avviso di accertamento”, altrimenti è nullo. Questo orientamento è prezioso: significa che in tutti i casi in cui l’Agenzia con l’avviso di liquidazione modifica i presupposti dichiarati (valori, voci, esenzioni), occorre controllare la motivazione. Se l’atto indica solo “pagamento insufficiente” senza dettaglio (come a volte accade), si può eccepire la nullità per difetto di motivazione, e Cass. 5669/2023 fa da supporto autorevole.
- Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 5777 del 24/02/2023: questa pronuncia affronta un caso particolare relativo alla soggettività passiva dell’imposta di successione. Riguardava un legittimario pretermesso, cioè un figlio totalmente escluso dal testamento del padre (che aveva nominato erede universale la nuova moglie, e assegnato qualcosa alla sorella ma nulla al figlio). Il figlio, pur essendo legittimario, aveva deciso di non impugnare il testamento (quindi di non esercitare l’azione di riduzione per ottenere la legittima). Ciononostante, l’Agenzia gli notificò un avviso di liquidazione dell’imposta di successione, ritenendolo corresponsabile come “chiamato all’eredità” ai sensi dell’art.36 comma 3 TUS. In altre parole, il Fisco pretendeva che anche il figlio “diseredato” pagasse (solidalmente) l’imposta sull’eredità del padre. La Cassazione, confermando la decisione di merito favorevole al contribuente, ha sancito un principio chiaro: il legittimario completamente pretermesso da un testamento non acquista la qualità di chiamato all’eredità, a meno che non eserciti con successo l’azione di riduzione. In ambito fiscale, è vero che la soggettività passiva all’imposta di successione “correlata alla chiamata all’eredità” (ovvero l’imposta è dovuta anche se non si è accettato ancora, basta essere chiamati); però se un testamento esclude una persona, questa persona non è neppure chiamata (diventerà chiamata solo se il testamento viene annullato). Nel caso specifico, il figlio aveva addirittura formalizzato una rinuncia all’azione di riduzione (quindi rinunciato a far valere i suoi diritti di legittima). La Cassazione ha affermato che, così come il chiamato che rinuncia all’eredità non è tenuto all’imposta (perché la rinuncia ha effetto retroattivo, art.521 c.c., come già riconosciuto da altre sentenze), allo stesso modo il legittimario pretermesso che rinuncia a contestare il testamento non diviene mai erede né chiamato. Dunque “chi figura in un testamento poi revocato (o inefficace) non può essere considerato tra i successibili, e non può dunque divenire soggetto passivo dell’imposta”. Il fatto generatore dell’imposta (art.1 TUS) è il trasferimento di beni agli eredi; se una persona non diventa mai erede, non c’è presupposto d’imposta per lei. Quindi l’avviso all’ex legittimario è stato annullato.
- Questo principio è stato poi ribadito e ampliato da un’ancor più recente sentenza, la n. 14063/2025, che affrontiamo di seguito.
- Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 14063 del 27/05/2025: questa pronuncia (pubblicata a maggio 2025) si inserisce nel filone del caso precedente, affrontando la situazione del testamento revocato. In breve, Tizio nomina erede Caio in un testamento; successivamente fa altri testamenti nominando Sempronio; Caio (primo nominato) nel frattempo aveva presentato dichiarazione di successione e fatto atti come se fosse erede. L’Agenzia pretende l’imposta da Caio, ma emerge che i testamenti successivi hanno revocato quello a favore di Caio. La Cassazione ha stabilito che la revoca di un testamento rende inefficace ab origine la vocazione ereditaria derivante da quel testamento. Dunque Caio, il cui status di chiamato derivava da un testamento poi revocato, non deve pagare l’imposta. Anche un’eventuale accettazione tacita compiuta da Caio prima di sapere della revoca è priva di effetti, perché manca il titolo legittimante (il testamento) essendo stato annullato retroattivamente dalla revoca. Inoltre, la Cassazione sottolinea che l’art.43 TUS contempla proprio che l’imposta, se pagata su un testamento poi risultato invalido, va rimborsata e vanno presentate dichiarazioni integrative. Questo caso indica che la presentazione della dichiarazione di successione da parte di un falso chiamato non consolida affatto l’obbligo d’imposta: se la chiamata viene meno (per testamento revocato o annullato), l’imposta non è dovuta e va restituita. In definitiva, Cass. 14063/2025 afferma: “Il testamento revocato è inefficace ab origine; chi vi era istituito erede non è mai divenuto tale, né chiamato, e quindi l’imposta di successione non è dovuta da costui”. Questa sentenza è stata ripresa anche da note autorevoli (ad es. commento su Il Sole 24 Ore: “Testamento revocato: niente imposta di successione”).
- Implicazione pratica: se un contribuente si trova destinatario di un avviso perché magari aveva avviato pratiche successorie basate su un testamento poi caducato da uno successivo, può opporre questo principio per non pagare. L’Agenzia spesso, per praticità, tassa la situazione risultante al momento (anche se c’è lite tra eredi). Ma come sottolinea la Corte, l’amministrazione non può pretendere imposte da chi poi risulterà non aver titolo sui beni. Il corretto approccio è che l’imposta venga versata poi da chi effettivamente risulterà erede (con conguagli e rimborsi in base a esiti delle liti private, secondo art.43 TUS).
- Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 6081 del 28/02/2023: già citata, tratta il tema delle attività estere emerse dopo la successione (voluntary disclosure). Ha valore in quanto definisce che l’emersione di beni esteri del defunto dopo la dichiarazione di successione costituisce una sopravvenienza ereditaria che va tassata con imposta complementare, mediante dichiarazione integrativa ex art.28 c.6 TUS. La Corte ha quindi confermato che, presentando una procedura di collaborazione volontaria relativa a capitali detenuti all’estero dal de cuius, si innesca l’obbligo di dichiarazione integrativa di successione e maggior imposta di successione (oltre alle sanzioni per violazione monitoraggio fiscale, ma questo è altro). È un indirizzo che tutela l’Erario: il contribuente non può sostenere che essendo emerse dopo, quelle somme non siano tassabili per decadenza – vengono considerate nuovi elementi scoperti e l’ufficio può emettere avviso entro due anni dalla dichiarazione integrativa (o anche 5 anni se originariamente omessa, anche se qui c’è dibattito). In ogni caso, per gli eredi che aderiscono a disclosure di capitali esteri, è bene aspettarsi un possibile avviso di liquidazione di imposta successione complementare se non hanno già incluso quei valori.
- Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 14821 del 02/06/2025: questa pronuncia (giugno 2025) interviene su un’altra questione di calcolo: la franchigia in caso di donazioni pregresse (coacervo). Ha confermato – uniformandosi a un orientamento già consolidato – che donazioni e successioni non si sommano più ai fini del calcolo della franchigia per l’imposta di successione. In passato, prima del 2001, vigeva il “coacervo” per cui le donazioni fatte in vita al chiamato andavano sommate all’eredità per determinare l’aliquota. Oggi non è così: una donazione a favore di un figlio utilizza la franchigia a sé, e la successiva successione rinnova la franchigia per intero. La Cassazione 14821/2025 ha richiamato come l’abolizione del coacervo sia stata sancita dal DL 262/2006 (che reintroducendo l’imposta non ha riproposto quella regola). Dunque, se l’ufficio tentasse di fare coacervo (caso raro ormai), l’avviso sarebbe impugnabile e annullabile. La riforma fiscale 2024 ha peraltro esplicitamente abolito ogni residuo dubbio sul coacervo successorio.
- Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 5669/2012 e n. 8190/2011 (precedenti): oltre alle recenti, val la pena citare questi precedenti che già delineavano i principi poi ripresi. Cass. 8190/2011, ad esempio, fu tra le prime a affermare che nell’avviso di liquidazione l’ufficio deve analiticamente indicare le voci escluse per permettere difesa. Cass. 14027/2012 specificò che in tema di rettifica del valore di immobili è sufficiente indicare i criteri di stima ma non necessariamente ogni elemento di fatto (es: dire “valore determinato con criterio comparativo OMI” può bastare, il contribuente poi può contestare quel criterio). Questi principi di fine motivazione e difesa del contribuente sono ora patrimonio consolidato.
In conclusione, la giurisprudenza recente tutela il contribuente su vari fronti: motivazione degli atti (nullità se mancante), corretta individuazione dei soggetti passivi (niente imposta a chi non è erede effettivo), rispetto di franchigie (no coacervo), corretta tassazione di sopravvenienze (sì tassazione nuovi beni emersi, con integrativa). È fondamentale, in caso di ricorso, citare queste sentenze e i principi in esse contenuti, adattandoli al proprio caso. Ad esempio, se contestate un difetto di motivazione, menzionare Cass.5669/2023; se siete un legittimario pretermesso, citare Cass.5777/2023 e Cass.14063/2025; se c’è di mezzo un trust o un’azienda familiare, verificare se ci sono pronunce specifiche (ad es. Cass. 5023/2022 su trust come vincoli e tassazione differita). Le fonti istituzionali come queste decisioni di legittimità danno autorevolezza alle vostre ragioni di fronte al giudice tributario.
Esempi pratici e casi risolti (simulazioni)
Per concretizzare quanto discusso, esaminiamo un paio di casi ipotetici ispirati a situazioni reali, illustrando il possibile iter e la soluzione.
Esempio 1: Errore di calcolo dell’ufficio – passività deducibili.
Scenario: Il Sig. Bianchi eredita dal padre €800.000 in beni (tra immobili e liquidità). Nella dichiarazione di successione, elenca debiti del defunto per €100.000 (un mutuo residuo) e spese funebri €1.500, deducendoli dall’asse. L’ufficio emette avviso di liquidazione calcolando l’imposta come se nessuna passività fosse deducibile, dunque applica l’aliquota (poniamo 6% perché l’erede è un fratello) sull’intero lordo di €800.000 eccedente franchigia (€700k eccedenti €100k franchigia fratelli) invece che sul netto €698.500. Ne risulta un’imposta richiesta di €42.000, mentre secondo i conteggi dell’erede doveva essere circa €41.910 (6% di 698.500). Inoltre l’avviso non specifica nulla sulle passività.
Analisi: L’ufficio probabilmente ha commesso un errore nel non considerare le passività, oppure ha ritenuto (magari erroneamente) che non fossero documentate. Tuttavia, l’avviso non motiva l’eventuale esclusione di quelle voci (violazione dell’art.33 co.3 TUS). Ciò configura un difetto di motivazione. Il Sig. Bianchi può prima di tutto contattare l’ufficio: magari è sufficiente esibire la quietanza del mutuo e la fattura funeraria perché riconoscano l’errore in autotutela. Se l’ufficio annulla parzialmente l’avviso rideterminando l’imposta, bene (magari riliquidano correttamente a €41.910). Se l’ufficio invece non coopera, il Sig. Bianchi può presentare ricorso eccependo: (a) errore di calcolo (imposta computata su base imponibile errata), (b) difetto di motivazione (omessa indicazione delle ragioni di esclusione delle passività), (c) violazione di legge (le passività dovevano essere dedotte ex art.21 TUS). È un caso in cui probabilmente l’Agenzia, vista l’evidenza, potrebbe desistere in giudizio o perdere. Il contribuente pagherebbe eventualmente solo la parte non contestata (si potrebbe valutare di pagarne comunque il grosso per evitare interessi su 42k: qui però la differenza è piccola). Esito probabile: annullamento parziale dell’avviso: la Commissione ridurrebbe l’imponibile riconoscendo le passività dedotte, e l’atto verrebbe annullato per la parte eccedente (il contribuente dovrebbe quindi pagare l’importo corretto, se non già versato). Le spese di giudizio probabilmente sarebbero compensate in un caso così (trattandosi di errore materiale).
Esempio 2: Avviso a erede che ha rinunciato.
Scenario: La Sig.ra Rossi, insieme a due fratelli, risulta chiamata all’eredità di uno zio. Però ella formalizza la rinuncia all’eredità davanti a un notaio. I suoi fratelli accettano e presentano la dichiarazione di successione (dove indicano come eredi solo loro due). Per un disguido, l’Agenzia invia lo stesso un avviso di liquidazione anche alla Sig.ra Rossi (magari perché inizialmente dai registri anagrafici risultavano 3 nipoti). L’importo richiesto è di €5.000. La Sig.ra Rossi si vede recapitare l’atto, ma sa di aver rinunciato e di non aver ricevuto nulla.
Che fare: Questo è un classico caso di intervento in autotutela: la Sig.ra potrà inviare immediatamente all’ufficio una copia autentica dell’atto di rinuncia, spiegando che non essendo erede non è tenuta all’imposta. Chiederà l’annullamento totale dell’avviso in autotutela. Con ogni probabilità l’ufficio annullerà rapidamente, riconoscendo che la responsabilità solidale ex art.36 c.3 TUS non può estendersi a chi ha rinunciato con effetto retroattivo. Se – caso remoto – l’ufficio ignorasse l’istanza, la Sig.ra Rossi dovrebbe fare ricorso, allegando la rinuncia e citando la giurisprudenza (Cass. 5777/2023: “il legittimario pretermesso o chiamato che rinuncia non è soggetto passivo”). Vincerebbe sicuramente. In questo caso difficilmente bisogna arrivare al ricorso: l’errore è palese e l’Agenzia lo può correggere da sé.
Esempio 3: Rivalutazione di immobili e adesione.
Scenario: Il Sig. Verdi eredita un fabbricato commerciale, che dichiara in successione al valore catastale di €300.000. L’Agenzia, ritenendo l’immobile di valore maggiore (reddito alto, mercato vivace), notifica avviso di liquidazione assumendo un valore di €500.000 e chiedendo imposta complementare 8% sui €200.000 in più (caso: erede non parente, aliquota 8%), quindi €16.000 di imposta, più €1.600 sanzione ridotta, più interessi €800 (totale ~€18.400). Il Sig. Verdi ritiene però che €500.000 sia esagerato, ma ammette che €300.000 era sottostima. Egli fa fare una perizia giurata, che stima il valore in €400.000.
Opzioni: Il Sig. Verdi può avviare un’adesione con l’ufficio: presenta istanza di accertamento con adesione entro 60gg. All’incontro mostra la perizia e spiega che l’immobile era locato con scarse prospettive, ecc. L’ufficio potrebbe accettare un compromesso: ad esempio fissare valore €420.000. In tal caso si redige atto di adesione: imposta dovuta 8% su €120.000 (eccedenza oltre i 300k originari) = €9.600; sanzione ridotta 1/3 (qui base 30% di 9.600 = 2.880, un terzo = €960); interessi recalcolati su importo minore, diciamo €500. Totale concordato ~€11.060. Il Sig. Verdi paga questa somma entro 20 giorni dalla firma e la controversia finisce qui, con soddisfazione reciproca (lui ha risparmiato circa €7.000 rispetto all’avviso iniziale; l’erario incassa subito senza litigio). – Se invece l’ufficio fosse rigido e insistesse su €500k, il Sig. Verdi potrebbe non aderire e fare ricorso, dove la perizia la farà valutare al giudice. Il rischio in giudizio però è che il CTU (consulente tecnico d’ufficio) possa anche stimare €450k o più. Quindi l’adesione in questi casi offre certezza. – Esito ipotetico: raggiunto accordo a valore medio, il contribuente paga e l’atto non arriva neanche in Commissione. Sanzione comunque ridotta (in adesione era già 10% come in acquiescenza). Ricordiamo che, se avesse pagato entro 60gg senza discutere, avrebbe comunque pagato ~€18.400: l’adesione gli ha fatto risparmiare ben €7.000 (frutto dei €80.000 di minor imponibile accordato). E l’ufficio risparmia tempi e incertezza.
Ogni caso concreto presenta peculiarità, ma questi esempi mostrano: (1) se l’ufficio sbaglia, di solito si può far correggere senza bisogno di battaglie; (2) se il contribuente non è realmente obbligato, la legge e i giudici lo tutelano (basta far valere le prove: rinunce, testamenti nuovi, etc.); (3) se c’è margine su valutazioni, conviene dialogare con l’ufficio (adesione) per evitare il “tutto o nulla” del giudizio. Naturalmente, quando si ritiene l’atto totalmente infondato o illegittimo, vale la pena combattere in Commissione: l’importante è farlo con argomenti solidi e supportati da norme e sentenze.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito raccogliamo alcune domande comuni in tema di avviso di liquidazione per imposta di successione, con risposte sintetiche ma puntuali:
D: Ho ricevuto un avviso di liquidazione successione: posso ignorarlo se penso sia sbagliato?
R: No. Ignorare l’avviso significa lasciarlo diventare definitivo dopo 60 giorni. Anche se lo ritieni sbagliato, devi comunque agire: o presenti ricorso entro i termini, oppure almeno contatti l’ufficio chiedendo autotutela (meglio se formalizzata per iscritto) e contestualmente, per sicurezza, presenti ricorso (se i 60 giorni stanno per scadere). Se non fai nulla, l’atto diverrà inoppugnabile e l’Agenzia procederà a riscuoterlo forzatamente.
D: Posso trattare direttamente con l’Agenzia per farmi ridurre l’importo senza fare ricorso?
R: Sì, lo strumento previsto è l’accertamento con adesione. Devi presentare istanza di adesione prima del ricorso (entro 60 giorni). L’ufficio ti convocherà per discutere. Se trovate un accordo su un imponibile o su alcune questioni, verrà formalizzato e pagherai quanto concordato (con sanzioni ridotte). Questo evita il ricorso. Tieni presente che l’ufficio non tratta sulle regole di legge (non può decidere di condonarti per simpatia): aderisce solo se c’è incertezza su valori o interpretazioni e preferisce chiudere in via transattiva. In mancanza di adesione, l’unica via di “trattativa” potrebbe essere il reclamo/mediazione (per cause fino a 50 mila €, se fosse ancora applicabile), ma dal 2024 tale procedura obbligatoria è stata abrogata. Resta comunque possibile che l’Agenzia, anche senza adesione formale, in seguito a un reclamo scritto decida in autonomia di ridurre/annullare l’atto (in autotutela). Ma è discrezionale.
D: L’avviso di liquidazione è sempre impugnabile?
R: Sì, gli avvisi di liquidazione rientrano tra gli atti impugnabili elencati nell’art.19 D.lgs.546/92. Non vi sono preclusioni: anche se l’avviso concerne imposta principale liquidata su dichiarato, l’hai diritto di impugnarlo per contestare ad esempio errori di calcolo o l’applicazione scorretta di norme. Fa eccezione solo il caso in cui l’avviso rispecchi esattamente una tua richiesta (ma negli atti di successione non succede, non è come l’autoaccertamento). Quindi, ogni avviso di liquidazione può essere portato davanti al giudice tributario.
D: Ho già pagato l’avviso, posso ancora fare ricorso?
R: Sì. Il pagamento di quanto richiesto non preclude la possibilità di impugnare l’atto (art.19 non lo esclude). Potresti aver pagato per evitare sanzioni maggiori e poi decidere di ricorrere per riavere indietro i soldi se vinci. Tuttavia, se paghi e non fai ricorso entro 60gg, poi non potrai più contestare (il pagamento in sé non chiude il rapporto, è il mancato ricorso che lo chiude). Quindi: pagare e ricorrere è lecito (in caso di vittoria ti sarà rimborsato). Ricorrere senza pagare è pure possibile (ma valuta il rischio di dover pagare dopo con più interessi se perdi). Pagare senza ricorrere chiude la questione (acquiescenza).
D: Quali sono le sanzioni se non pago entro i 60 giorni?
R: Trascorsi i 60 giorni, la sanzione non gode più della riduzione a 1/3. Diventa quindi dovuta al 30% dell’imposta. Inoltre iniziano a maturare interessi di mora aggiuntivi (dal giorno successivo alla scadenza) al tasso vigente (circa 10% annuo in questo periodo). L’importo viene poi iscritto a ruolo: ciò comporta anche l’addebito dell’aggio di riscossione e delle spese di notifica della cartella. In poche parole, se non paghi nei 60 gg (e non hai sospensioni), pagherai di più: es. su un’imposta di 10.000 € avresti sanzione 3.000 invece di 1.000, più interessi (che possono crescere di qualche centinaio di euro), più circa il 3% di aggi (300 €) e 5-10 € di spese.
D: Posso chiedere una rateizzazione del pagamento all’Agenzia Entrate?
R: Di per sé, no per l’avviso già emesso – non esiste un diritto alla rateazione in fase di pagamento spontaneo oltre i termini. L’unica rateizzazione “in ufficio” è quella prevista dall’art.38 TUS per l’autoliquidazione (20% + rate trimestrali), ma se non ne hai usufruito prima e ora hai l’avviso, l’Agenzia non ha una procedura formale di dilazione. Potresti provare a chiedere all’ufficio se permettono un pagamento frazionato, ma ufficialmente non sono tenuti a concederlo e raramente lo fanno (se l’importo è modesto, no di certo; se alto, potrebbe suggerirti di fare intanto adesione magari per allungare i tempi). Invece, dopo che l’importo viene affidato all’Agente della Riscossione (cartella), puoi chiedere a quest’ultimo una rateazione in base alle regole generali (72 rate standard, 120 rate se grave difficoltà). Ma a quel punto la sanzione sarà intera.
D: Se faccio ricorso, devo pagare intanto un terzo dell’imposta?
R: No, non in modo automatico. Questa regola (pagamento di un terzo) valeva per gli avvisi di accertamento esecutivi su imposte dirette e IVA dal 2011, e comunque come condizione per il ricorso in appello dopo una sentenza sfavorevole. Per le imposte di successione (imposte indirette) non vi è prelievo frazionato obbligatorio all’atto del ricorso. In sostanza, presentando ricorso non devi versare nulla subito; l’atto però rimane esecutivo quindi, come detto, se non ottieni sospensione l’Agente può richiedere il pagamento (anche fino al 100%). Ma non c’è un “tot da pagare per essere ammessi al ricorso”.
D: Durante la causa devo pagare interessi?
R: Sull’importo in contestazione continuano a maturare interessi moratori fino al pagamento. Se hai la sospensione, l’Agente non può riscuotere ma gli interessi comunque si accumulano (e li dovrai se perdi). Se vinci, ovviamente non pagherai nulla e ti restituiranno l’eventuale pagato, con interessi legali. Quindi c’è un rischio finanziario nel ricorrere: se perdi dopo 3 anni, pagherai i 3 anni di interessi in più. È una valutazione da fare: su somme grandi, gli interessi non sono trascurabili (anche ~10% annuo). A volte un contribuente che ha liquidità preferisce pagare subito per fermare gli interessi, e poi ricorre per riavere i soldi – è lecito.
D: Non ho presentato la dichiarazione di successione entro 12 mesi, e ora l’Agenzia mi ha mandato un avviso con una grossa sanzione: posso fare qualcosa?
R: La omessa/tardiva dichiarazione di successione comporta una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (art.50 TUS), con un minimo di €250. Se però non c’era imposta dovuta (es. eredità tutta esente), la sanzione fissa è da €250 a €1.000. In genere l’ufficio applica il minimo o poco più. Ad esempio, se hai ereditato come figlio €500.000 (niente imposta) ma hai tardato di 6 mesi, potrebbero sanzionarti €300. In un avviso di liquidazione questo può comparire. Puoi ravvederti prima che l’ufficio contesti: se non hai ancora l’avviso, presenta subito la dichiarazione tardiva e paga la sanzione ridotta (1/10 del minimo entro un anno di ritardo – quindi €25) per chiudere. Se invece l’avviso è arrivato con sanzione piena €250, puoi solo sperare di chiedere clemenza in autotutela (a volte per ritardi modesti possono ridurre sanzioni, ma non c’è certezza). Se ci sono motivi validi del ritardo (forza maggiore, errore scusabile) potresti fare ricorso chiedendo l’applicazione del minimo o l’esclusione della sanzione, ma è difficile vincere su questo. Meglio ravvedersi prima.
D: Ci sono più eredi e uno non vuole pagare la sua parte di imposta: l’Agenzia può chiedere a me tutto?
R: Sì, come spiegato, vige la solidarietà passiva tra co-eredi (o chiamati) per l’imposta di successione. L’Agenzia può pretendere l’intero da uno solo di voi, lasciandovi poi regolare i conti tra di voi. Nella prassi, come detto, notificano a tutti l’avviso intero: se uno paga, bene; se nessuno paga, colpiranno magari il più capiente. Tra di voi, siete tenuti ognuno in proporzione alla propria quota ereditaria – se tu paghi anche per altri, avrai diritto di regresso verso di loro per recuperare le loro quote. Ma all’Erario interessa incassare, non come vi dividete l’onere. Dunque fate attenzione: se avete fratelli inaffidabili, rischiate di pagare voi per evitare guai (ipoteche sui beni comuni ecc.) e poi doverli rincorrere legalmente. Conviene mettersi d’accordo prima e pagare ognuno il suo.
D: L’avviso riguarda imposte ipotecarie/catastali e registro, posso fare ricorso nello stesso?
R: Sì, se l’avviso contiene più voci di imposta (successione, registro, ipotecaria), di solito puoi impugnarlo unitariamente per tutte le parti. Sarà il medesimo atto. Potrai articolare motivi dedicati: ad esempio contestare sia la maggiore imposta di successione sia la revoca di agevolazione registro prima casa se del caso. La Commissione valuterà ciascun aspetto. L’importante è indicare chiaramente quale parte dell’atto impugni e perché.
D: Ho presentato ricorso, ma poi voglio pagare e chiudere senza aspettare la sentenza: posso?
R: Puoi sempre fare acquiescenza all’atto anche dopo aver presentato ricorso, purché entro 60 giorni dalla notifica avviso. Paghi con sanzione ridotta a 1/3 e ritiri il ricorso (o lo lasci decadere). Dopo i 60gg, se hai fatto ricorso, formalmente hai perso l’opportunità dell’acquiescenza agevolata (ma in questo caso l’avevi già, perché entro 60gg era ridotta a 1/3 comunque). Potresti comunque decidere di pagare integralmente in corso di causa (magari perché hai perso in primo grado e non vuoi andare avanti): in tal caso dichiari in appello di rinunciare. La sanzione però rimane quella non ridotta una volta trascorsi i termini. Insomma, puoi sempre cessare la materia del contendere pagando, ma fallo presto se vuoi le riduzioni.
D: In caso di vittoria in giudizio, riavrò anche le spese legali?
R: Di regola, sì, il giudice tributario può condannare l’Agenzia a rifondere le spese di lite al contribuente vittorioso. Spesso però nei giudizi tributari, soprattutto in primo grado, c’è la tendenza a compensare le spese (cioè ognuno le paga le proprie) magari motivando con la complessità della materia. Se vinci nettamente per errore palese del Fisco, hai buone chance che ti liquidino qualche spesa (mai integrale quanto paghi di avvocato, ma secondo parametri ministeriali). Diciamo che non bisogna contare di rifarsi dei costi legali, ma è possibile ottenere un rimborso parziale.
D: L’imposta di successione cambierà? Ci saranno aumenti di aliquote in futuro?
R: Al luglio 2025, la riforma fiscale in atto non ha modificato aliquote e franchigie, confermandole espressamente. È rimasto il dibattito pubblico sulla possibilità di aumentare la tassazione sulle grandi eredità in futuro, ma al momento nulla di concreto. Le uniche modifiche normative da segnalare sono quelle procedurali di cui abbiamo parlato (autoliquidazione, semplificazioni) e l’abolizione definitiva del coacervo tra donazioni e successione. Per il resto, chi eredita somme entro le franchigie non paga nulla, chi supera paga con aliquote 4%, 6% o 8% a seconda del grado di parentela.
D: La successione internazionale: se il defunto aveva beni all’estero o gli eredi sono esteri, come funziona l’avviso?
R: La legge italiana tassa in base alla residenza del defunto: se era residente in Italia, l’imposta di successione italiana si applica su tutti i beni ovunque nel mondo (creditando però eventuali imposte di successione pagate all’estero su immobili esteri). Se il defunto era residente estero, si tassano solo i beni situati in Italia. L’avviso di liquidazione seguirà queste regole. Se ci sono beni esteri dichiarati, non compariranno nell’avviso (perché fuori campo se il decuius estero). Se l’erede risiede all’estero, nulla cambia nella liquidazione (potrebbe cambiare solo la notifica dell’atto, fatta via posta internazionale o per tramite consolati). Non di rado errori capitano su questo fronte: es. l’Agenzia tassa un immobile all’estero benché il defunto fosse residente all’estero – doppio errore. In tal caso si ricorre eccependo l’inapplicabilità territoriale. Anche qui, documentare residenza e pagamenti esteri è essenziale.
D: Cos’è questa “precompilata successioni” di cui ho sentito parlare dal 2025?
R: L’Agenzia delle Entrate sta introducendo un servizio di dichiarazione di successione precompilata (in via sperimentale dal luglio 2025). Ciò riguarda la fase dichiarativa: il Fisco fornirà un modello con alcuni dati già inseriti (immobili noti ecc.). Ma la responsabilità di integrare i dati, accettare e inviare la dichiarazione resta dell’erede. In prospettiva, questo dovrebbe ridurre errori e forse in futuro ridurrà anche il numero di avvisi di liquidazione, se il calcolo autoliquidato sarà verificato a monte. Tuttavia, per ora l’avviso di liquidazione rimane lo strumento se dal controllo emergono discrepanze. Insomma, la “precompilata” è un aiuto, ma non significa che non riceverete avvisi se qualcosa sfugge.
Conclusione
Affrontare un avviso di liquidazione per imposta di successione può sembrare complesso, ma con le giuste informazioni e tempestività si può gestire al meglio. Riassumendo i punti chiave dal punto di vista del debitore:
- Conoscere i propri diritti e doveri: l’avviso è un atto ufficiale, con scadenze precise. Occorre leggerlo attentamente, capire perché viene richiesto un importo e sapere che esistono strumenti per replicare (autotutela, ricorso). Come contribuente, hai diritto a una motivazione chiara e a non pagare imposte non dovute (es. se non sei erede). In caso di errore palese, l’Agenzia dovrebbe correggere; in caso di controversia, hai diritto ad un giudice terzo.
- Agire entro i termini: 60 giorni passano in fretta. Non attendere l’ultimo momento: decidi se pagare (magari dopo aver consultato un esperto) o se presentare ricorso/sospensione. L’inazione porta solo aggravamenti (sanzioni piene, interessi, riscossione coattiva).
- Valutare costi-benefici: Se l’importo non è elevato e la pretesa appare corretta, probabilmente pagare subito evitando ulteriori conseguenze è la scelta migliore. Se ci sono incertezze su valutazioni, considera l’accertamento con adesione: può farti risparmiare tempo e denaro, come visto negli esempi. Se invece ritieni l’avviso sbagliato su questioni di diritto o gravi errori, non esitare a ricorrere: le Commissioni tributarie, suffragate anche dalla Cassazione, spesso accolgono ragioni valide del contribuente (specialmente sui vizi procedurali e sul rispetto delle norme esenzioni).
- Documentare tutto: sia che tu chieda autotutela, adesione o ricorso, la forza sta nelle prove e nei riferimenti normativi. Conserva atti di successione, ricevute di pagamento, atti di rinuncia, perizie. E richiama sempre le fonti normative (articoli di legge, circolari) e le sentenze pertinenti. Ciò conferisce credibilità alla tua posizione anche agli occhi dell’Ufficio (che talvolta, vedendo un ricorso ben fondato, desiste).
- Attenzione al nuovo regime: per gli anni a venire, con l’autoliquidazione, molti eredi pagheranno da sé l’imposta di successione. Si prevedono quindi meno avvisi di liquidazione “iniziali” ma forse più avvisi di liquidazione di controllo, specie su quelle voci che potrebbero essere facilmente sottostimate (immobili, crediti contestati, ecc.). Diventa cruciale compilare con cura la dichiarazione di successione e allegare tutta la documentazione (es. per dedurre un debito, allegare atto di mutuo; per applicare un’esenzione azienda, allegare l’impegno firmato da tutti gli aventi causa). Ciò ridurrà il rischio di futuri avvisi.
- Consulenza professionale: la materia è complessa e coinvolge aspetti civilistici (successione, accettazioni, testamenti) e fiscali. È spesso utile farsi assistere da un professionista (notaio, avvocato tributarista, commercialista) soprattutto in casi di valore elevato o controversi. Ad esempio, nel calcolo autoliquidato post-2025 un commercialista può aiutare ad evitare errori e quindi evitare avvisi; in caso di contenzioso, un avvocato può impostare al meglio il ricorso e la difesa, citando la giurisprudenza più aggiornata.
In definitiva, l’avviso di liquidazione non è la “fine” ma l’inizio di un percorso: o verso il pagamento definitivo dell’imposta, oppure verso una verifica e revisione (in autotutela o in giudizio) di quanto realmente dovuto. Conoscere gli strumenti a disposizione del debitore-contribuente è fondamentale per evitare di pagare più del giusto e per far valere i propri diritti nell’ambito di una procedura che, sebbene tecnicamente complessa, è comunque governata da norme a tutela di entrambe le parti.
Seguono, per ulteriore approfondimento, le principali fonti normative, di prassi e giurisprudenziali citate in questa guida.
Fonti e riferimenti
Normativa e prassi:
- D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 – Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni (TUS).
- D.lgs. 18 settembre 2024, n. 139 – Decreto attuativo riforma fiscale 2022 (c.d. “Decreto successioni e donazioni”), in vigore dal 01/01/2025: introduce autoliquidazione e modifica artt. 33, 37, 38 TUS.
- Legge 14 luglio 2023, n. 111 – Delega per la riforma fiscale 2023, art. 10: principi per la semplificazione delle imposte indirette (successori e donazioni).
- Art. 19, D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – Atti impugnabili dinanzi al giudice tributario (inclusi avvisi di liquidazione).
- Art. 47, D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – Sospensione dell’atto impugnato in pendenza di giudizio.
- D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13 – Sanzione per omesso/tardivo versamento di tributi (30% ridotto in caso di pagamento entro termini specifici).
- D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13 – Ravvedimento operoso (riduzione delle sanzioni in caso di regolarizzazione spontanea).
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), art. 7 – Obbligo di motivazione degli atti tributari e allegazione documenti.
- Risoluzione Agenzia Entrate n. 2/E del 10 gennaio 2025 – Istituzione codici tributo per versamenti F24 imposta di successione autoliquidata e avvisi di liquidazione. (Introduce cod. 1539, A139, A152, ecc. per pagamento imposta, sanzioni, interessi).
- Circolare Agenzia Entrate n. 3/E del 22 gennaio 2008 – Imposta sulle successioni – reintroduzione e chiarimenti applicativi. (Conferma aliquote, franchigie e disciplina post DL 262/2006; abolizione coacervo).
- Decreto MEF 14 luglio 2025 – Fissazione tasso di interesse per ritardata riscossione tributi II semestre 2025 (tasso = 2,15% annuo base, interessi mora 10,15% annuo).
Giurisprudenza:
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 23 febbraio 2023, n. 5669: obbligo di motivazione puntuale per avvisi che rettificano la dichiarazione di successione; distinzione tra avviso di liquidazione ex art.33 TUS (meri calcoli) e avviso di rettifica ex art.34 TUS (maggiori imponibili). Nullità dell’atto se manca motivazione sulle ragioni della maggiore imposta (richiama Statuto contrib. art.7).
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 24 febbraio 2023, n. 5777: il legittimario escluso (pretermesso) dal testamento non è chiamato all’eredità finché non esperisce vittoriosamente l’azione di riduzione, e se vi rinuncia non assume mai la qualità di erede. Pertanto non è dovuta l’imposta di successione da parte sua. L’obbligo d’imposta è correlato alla chiamata ereditaria effettiva; la rinuncia (o la mancata azione) ha effetto retroattivo ed esclude soggettività passiva.
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 27 maggio 2025, n. 14063: revoca del testamento – Il testamento successivo che revoca il precedente rende tamquam non esset la chiamata ereditaria iniziale. Un soggetto nominato erede in un testamento poi revocato non deve l’imposta (eventuale accettazione implicita priva di effetti per mancanza di titolo). La presenza di giudizi civili pendenti non fa rivivere la chiamata originaria finché non sia annullato il testamento successivo con giudicato. Confermato l’obbligo di integrativa/rimborso ex art.43 TUS in caso di mutamento devoluzione. (Cass. n.14063/2025, caso “testamento revocato: niente imposta” come sintetizzato da Sole24Ore).
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 28 febbraio 2023, n. 6081: emersione postuma di capitali esteri del de cuius (voluntary disclosure) – costituisce sopravvenienza ereditaria ex art.28 c.6 TUS e comporta obbligo di dichiarazione integrativa e pagamento imposta successione complementare. (Conferma Cass. 31729/2018).
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 2 giugno 2025, n. 14821: abolizione coacervo – Ribadito che ai fini delle franchigie e aliquote, donazioni e successioni non si sommano. Le franchigie per successione sono autonome rispetto a quelle già fruite su donazioni anteriori. (Conforme a Cass. 24940/2013, Cass. 26050/2010; inoltre la riforma D.lgs.139/2024 ha confermato abolizione coacervo).
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 10 gennaio 2020, n. 310: in tema di imposta di registro (principio estensibile), la Corte ha ribadito che l’avviso di liquidazione deve analiticamente indicare le voci escluse o rettificate, non bastando dizioni generiche come “pagamento insufficiente”, al fine di garantire il diritto di difesa del contribuente.
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 11 aprile 2011, n. 8190: (precedente richiamato) – Differenza tra motivazione “criteri astratti” e “elementi di fatto”: nell’avviso che rettifica il valore di un bene ereditario, l’ufficio deve indicare il criterio di valutazione adottato (es. comparazione mercuriale, stima UTE), ma non necessariamente i singoli elementi di fatto, in quanto noto il criterio il contribuente può difendersi. Tuttavia resta fermo l’obbligo di elencare le poste disconosciute (passività, detrazioni) in maniera specifica.
- Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado di Milano, sent. n. 1946/2022: (esempio di merito) – Ha annullato un avviso di liquidazione che pretendeva imposta da un chiamato che aveva rinunciato, richiamando l’efficacia retroattiva ex art.521 c.c. e Cass.26050/2010. Conferma come anche i giudici di merito applichino tali principi in linea con la Cassazione.
- Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sent. 1601/2020: – Ha riconosciuto che l’intempestività dell’avviso (notificato oltre il termine di decadenza) ne comporta la nullità, rigettando la tesi dell’ufficio di una proroga dei termini in caso di integrazioni tardive. Evidenzia l’importanza di eccepire sempre la decadenza se maturata (es: avviso emesso dopo oltre 3 anni dalla dichiarazione nel regime ante 2025).
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