Avviso Di Accertamento Per Compensazioni Indebite

Hai ricevuto un avviso di accertamento per compensazioni indebite? L’Agenzia delle Entrate ti contesta l’utilizzo di crediti d’imposta non spettanti o non utilizzabili per pagare tributi tramite modello F24? Ti stai chiedendo cosa fare per difenderti e se rischi anche sanzioni penali?

L’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti o non spettanti è una delle contestazioni più gravi in ambito tributario. Ma non sempre le contestazioni sono corrette: è fondamentale capire la natura del credito e verificare le condizioni di utilizzo.

Cosa si intende per compensazione indebita?
– Utilizzo in F24 di crediti inesistenti, cioè mai maturati
– Utilizzo di crediti spettanti ma non ancora disponibili (es. mancata presentazione della dichiarazione)
– Compensazione di crediti vincolati o non cedibili, usati impropriamente
– Utilizzo di crediti non indicati correttamente nei quadri della dichiarazione

Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate?
– Che il credito non risulta da dichiarazione validamente presentata
– Che è stato ceduto o compensato senza i requisiti normativi
– Che la compensazione è avvenuta senza il rispetto dei limiti o dei codici tributo
– Che si tratta di credito inesistente, con rilevanza anche penale

Quali sono le conseguenze dell’avviso di accertamento?
Recupero delle somme compensate, con interessi e sanzioni
– Sanzione del 30% per crediti non spettanti
– Sanzione del 100% per crediti inesistenti, oltre a interessi
Rischio di denuncia penale, per indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000), se l’importo supera la soglia prevista dalla legge
– Possibile blocco dei pagamenti F24 futuri

Come difendersi da un accertamento per compensazione indebita?
– Verifica la documentazione che attesta l’esistenza del credito (dichiarazioni, bilanci, istanze)
– Controlla che il credito sia stato correttamente indicato nei modelli fiscali
– Dimostra che l’utilizzo è avvenuto nei termini e nei limiti normativi
– Esamina il dettaglio delle contestazioni ricevute: possono esserci errori materiali dell’ufficio
– Se l’accertamento è errato o sproporzionato, presenta memorie difensive o accedi all’accertamento con adesione
– Se necessario, presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per annullare l’atto

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace?
Annullamento totale o parziale dell’avviso, se i crediti sono legittimi
Riduzione delle sanzioni, anche in caso di errore formale o buonafede
Esclusione della responsabilità penale, se si dimostra l’infondatezza dell’accusa
Sospensione della riscossione, per evitare blocchi e pignoramenti

Un errore nella compensazione può avere effetti molto pesanti, ma con una difesa tempestiva è possibile dimostrare la correttezza dell’operazione o sanare eventuali irregolarità.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa da accertamenti fiscali ti spiega come affrontare un avviso per compensazioni indebite, cosa controllare nei tuoi F24 e come difenderti legalmente.

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Introduzione

L’avviso di accertamento per compensazioni indebite è un atto emanato dall’Amministrazione finanziaria quando un contribuente ha utilizzato in compensazione un credito in modo illegittimo, riducendo o azzerando debiti tributari o contributivi che invece avrebbero dovuto essere versati. In altre parole, si tratta della contestazione formale dell’utilizzo di crediti d’imposta o contributivi non spettanti o inesistenti per il pagamento di imposte, sanzioni, contributi o altre somme dovute tramite il modello F24.

La compensazione è normalmente uno strumento lecito e previsto dall’ordinamento tributario italiano (art. 17 D.Lgs. 241/1997) per estinguere debiti fiscali o contributivi usando crediti vantati verso l’Erario o enti previdenziali. Il principio generale della compensazione è sancito anche dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000, art. 8 c.1) come modalità di pagamento ammessa per i tributi. Tuttavia, quando il contribuente utilizza crediti in compensazione senza averne diritto – ad esempio perché il credito non esiste, è stato artificiosamente creato, oppure esiste ma non è spettante in quella misura o non rispettava le condizioni di legge – l’Erario subisce un danno corrispondente alle somme indebitamente non versate. In questi casi scatta la reazione dell’Amministrazione finanziaria, volta a recuperare l’importo del credito indebito, applicare sanzioni e richiedere interessi.

Negli ultimi anni vi è stata una crescente attenzione del legislatore e degli organi di controllo su queste condotte, dato il notevole impatto in termini di evasione. Si sono moltiplicate normative e strumenti per contrastare il fenomeno delle compensazioni indebite, sia sul piano amministrativo-tributario (con sanzioni pecuniarie e procedure di recupero accelerate) sia sul piano penale (introducendo il reato di indebita compensazione oltre una soglia di importo). Una serie di riforme tra il 2022 e il 2024 ha anche ridefinito le regole in materia: in particolare, una sentenza fondamentale delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a fine 2023 ha chiarito i confini tra crediti “non spettanti” e “inesistenti”, influenzando sia i termini entro cui il Fisco può intervenire sia l’entità delle sanzioni applicabili. Tali principi sono stati recepiti dal legislatore con il “Decreto Accertamento” (D.Lgs. 13/2024) che ha introdotto una disciplina organica degli atti di recupero dei crediti indebitamente compensati, nonché con la riforma del sistema sanzionatorio tributario del 2024 (D.Lgs. 87/2024) che ha rimodulato in senso più articolato e, in parte, attenuato le sanzioni amministrative per queste violazioni.

In questa guida esamineremo in dettaglio la normativa italiana aggiornata a luglio 2025 relativa agli avvisi di accertamento per compensazioni indebite, con un taglio avanzato ma divulgativo, rivolto sia a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a imprenditori e privati interessati. Verranno analizzati i riferimenti normativi chiave, le distinzioni concettuali (ad esempio tra credito non spettante e inesistente), le procedure di accertamento e recupero adottate dall’Amministrazione finanziaria, le sanzioni amministrative e le eventuali implicazioni penali, il punto di vista del contribuente-debitore con i suoi diritti di difesa e gli strumenti di tutela (come il ravvedimento operoso, l’accertamento con adesione e il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria). Saranno fornite inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande & Risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni. Infine, verranno citate le più recenti pronunce giurisprudenziali e la prassi istituzionale autorevole (circolari dell’Agenzia delle Entrate, documenti di prassi del MEF) per offrire un quadro il più aggiornato possibile della materia.

Nota terminologica: in questa guida useremo spesso l’espressione “atto di recupero” come sinonimo di avviso di accertamento per compensazione indebita. In effetti, la normativa recente identifica formalmente lo strumento utilizzato dall’Amministrazione finanziaria per queste fattispecie come “atto di recupero dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione”. Tale atto ha natura sostanzialmente accertativa (un atto impositivo) ed è impugnabile dinanzi al giudice tributario come un normale avviso di accertamento. Pertanto, nel linguaggio comune si parla di “avviso di accertamento” riferendosi a esso, sebbene tecnicamente la legge ne disciplini alcuni profili in modo peculiare (come vedremo). Per semplicità espositiva continueremo comunque a utilizzare i termini avviso di accertamento e atto di recupero in modo intercambiabile quando parliamo della contestazione delle compensazioni indebite.

Quadro normativo di riferimento

L’ambito delle compensazioni indebite coinvolge diverse fonti normative nell’ordinamento tributario italiano, che possiamo distinguere in: norme sostanziali (che definiscono cosa è consentito e cosa vietato, nonché le sanzioni previste) e norme procedurali (che disciplinano il modo in cui l’Amministrazione può accertare e recuperare le somme indebitamente compensate). Inoltre, esiste una parallela disciplina penale per i casi più gravi. Di seguito riepiloghiamo le principali norme rilevanti, aggiornate al 2025:

  • Articolo 17 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 – È la norma cardine che consente ai contribuenti di compensare debiti e crediti tributari e contributivi tramite modello F24. Stabilisce che i contribuenti possono estinguere i debiti verso l’Erario o altri enti anche mediante compensazione di crediti vantati, secondo le modalità stabilite da decreti ministeriali. Questa è la base legale che rende possibile la compensazione “orizzontale” (tra tributi/contributi diversi) e “verticale” (stesso tributo, diverse annualità). La compensazione in sé è quindi un istituto lecito e fisiologico del sistema tributario.
  • Articolo 8, comma 1, L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei Diritti del Contribuente) – Richiama il principio per cui l’obbligazione tributaria può estinguersi anche per compensazione, salvo eccezioni stabilite dalla legge. Si tratta di un principio di carattere generale a tutela del contribuente, che riconosce la compensazione come modalità di adempimento.
  • Divieti di compensazione in presenza di debiti iscritti a ruolo oltre soglie prefissate – A partire dal 2010 e con varie modifiche successive, il legislatore ha introdotto limitazioni all’uso della compensazione per i contribuenti che presentano debiti erariali scaduti di importo significativo. L’ultima evoluzione è la norma introdotta con la Legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Legge di Bilancio 2024) e modificata dal D.L. 29 marzo 2024, n. 39, che vieta dal 1° luglio 2024 la compensazione di crediti fiscali se il contribuente ha debiti a ruolo scaduti per imposte erariali (e relativi accessori) superiori a 100.000 euro. Questo divieto, concepito per contrastare l’evasione da riscossione (cioè l’omesso versamento di imposte tramite artifici compensativi), costringe il contribuente a saldare prima almeno in parte i propri debiti (o a ottenere una rateazione) prima di poter utilizzare in F24 eventuali crediti d’imposta maturati. Tale misura preventiva, pur non riguardando direttamente l’avviso di accertamento per crediti indebiti già utilizzati, è parte del contesto normativo di contrasto al fenomeno delle compensazioni indebite e va menzionata per completezza.
  • Articolo 13 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 – Questa disposizione fa parte della normativa sulle sanzioni amministrative tributarie e contiene, ai commi 4 e 5, la definizione e il trattamento sanzionatorio delle violazioni in materia di utilizzo di crediti in compensazione. In particolare:
    • Il comma 4 (ante riforma 2024) puniva l’utilizzo in compensazione di crediti “non spettanti” con una sanzione amministrativa pari al 30% del credito utilizzato. Il concetto di “credito non spettante” indicava un credito formalmente esistente (ad esempio perché risultante da dichiarazione o da norme agevolative) ma utilizzato in misura superiore al dovuto o in violazione delle modalità di legge (si pensi a un credito reale ma usato oltre i limiti quantitativi consentiti, o prima di aver soddisfatto certi adempimenti formali).
    • Il comma 5 (ante riforma 2024) sanzionava invece l’utilizzo di crediti “inesistenti” con una sanzione ben più grave, dal 100% al 200% del credito indebitamente utilizzato. Un credito è considerato “inesistente” quando manca del tutto, in tutto o in parte, il suo presupposto costitutivo previsto dalla legge (e tale inesistenza non è riscontrabile dai controlli automatici o formali delle dichiarazioni). In sostanza, il credito inesistente è un credito fittizio, creato artificiosamente o che comunque non avrebbe mai potuto essere legittimamente maturato dal contribuente. Esempi tipici: un credito d’imposta inventato senza alcuna spesa/incasso a monte, oppure un credito formalmente maturato in dichiarazione ma in realtà già utilizzato o ceduto altrove, o ancora un credito di importo gonfiato fraudolentemente.
    La forte differenza di sanzione (30% vs 100-200%) riflette la maggiore gravità attribuita alle compensazioni con crediti inesistenti, equiparate a comportamenti fraudolenti, rispetto alle compensazioni con crediti non spettanti, viste più come irregolarità o errori, seppur con impatto evasivo. Tale distinzione storicamente era delineata in via interpretativa dalla giurisprudenza e dalla prassi, e a fini sanzionatori già formalizzata nei commi 4 e 5 dell’art.13 citato (come modificati dal D.Lgs. 158/2015).
  • Articolo 13 D.Lgs. 471/1997 – dopo la riforma del 2024 (D.Lgs. 87/2024) – A seguito della delega per la riforma fiscale (L. 111/2023), il Governo ha emanato il D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (in vigore dal 29 giugno 2024) che, tra le altre cose, ha ridisegnato le sanzioni amministrative tributarie in materia di indebita compensazione di crediti. Le modifiche, applicabili alle violazioni commesse dal 1° settembre 2024 in poi (in base alle disposizioni transitorie), sono le seguenti:
    • Introduzione del comma 4-bis nell’art.13: la sanzione per l’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti diventa pari al 25% dell’importo del credito utilizzato. Si tratta di una riduzione rispetto al previgente 30%, probabilmente motivata dalla volontà di rendere più proporzionata la sanzione per violazioni non fraudolente, anche in un’ottica di favorire la compliance spontanea (ad esempio tramite ravvedimento operoso).
    • Modifica del comma 5 dell’art.13: per l’utilizzo di crediti inesistenti, la sanzione viene fissata in misura fissa pari al 70% del credito indebitamente compensato. In altre parole, sparisce la forbice 100-200% che lasciava discrezionalità all’ufficio (in pratica si applicava il minimo del 100% salvo aggravanti), e viene adottata una sanzione unica (70%) più bassa del precedente minimo edittale. Ciò rappresenta una mitigazione significativa del trattamento sanzionatorio di questi casi, coerente con un generale orientamento di riduzione delle sanzioni tributarie. Resta però ferma la valutazione di maggiore gravità rispetto ai crediti non spettanti (70% vs 25%). Inoltre, il nuovo art.13 comma 5 prevede una aggravante in caso di recidiva: se il contribuente nei 3 anni successivi ad una condanna definitiva per indebita compensazione ne commette un’altra, la sanzione del 70% può essere aumentata dalla metà fino al doppio (quindi sino al 140%).
    • Introduzione del comma 5-bis: viene prevista una sanzione fissa di euro 250 (in luogo del 25% ordinario) per talune ipotesi particolari di credito indebitamente utilizzato che, pur rientrando tecnicamente nella definizione di “non spettante”, presentano circostanze attenuanti specifiche. In particolare, la sanzione ridotta a 250 euro si applica se il credito era sostanzialmente spettante (basato su elementi reali rientranti nella disciplina) ma il contribuente lo ha utilizzato in difetto di adempimenti formali richiesti (non essenziali) – ad esempio omissione di una comunicazione o visto di conformità – purché tali adempimenti siano stati poi sanati entro il termine della dichiarazione annuale successiva (o entro un anno dall’omissione, se non c’è dichiarazione). Questa novità mira a distinguere i casi di errori formali rapidamente corretti (puniti simbolicamente) dalle vere compensazioni indebite sostanziali. Se però il contribuente non regolarizza l’adempimento formale entro il termine previsto, torna applicabile la sanzione ordinaria del 25%.
    Nota: Il principio generale del favor rei nelle sanzioni amministrative tributarie (art.3 D.Lgs. 472/1997) fa sì che le nuove misure sanzionatorie più favorevoli (25% anziché 30%, 70% fisso anziché minimo 100%, ecc.) si applichino retroattivamente anche alle violazioni pregresse non ancora definite con provvedimento definitivo. Dunque, un contribuente che abbia in corso un contenzioso o non abbia ancora ricevuto un atto definitivo per una compensazione indebita ante 2024 potrebbe beneficiare delle sanzioni ridotte se più favorevoli (questo aspetto interpretativo è in evoluzione, ma già alcune fonti specializzate confermano l’applicazione retroattiva in virtù del favor rei).
  • Articolo 38-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – Questa è una norma nuova, inserita dal D.Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13 (c.d. “Decreto Accertamento”, attuativo della L. 130/2022), che disciplina specificamente il procedimento di accertamento e recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati in compensazione. L’art. 38-bis DPR 600/73 fornisce per la prima volta un quadro organico e unitario per il recupero sia dei crediti non spettanti che di quelli inesistenti, superando la precedente frammentazione normativa (in passato la materia era regolata principalmente dall’art. 1 commi 421-423 della L. 311/2004 e dall’art. 27 commi 16-20 del D.L. 185/2008, disposizioni ora abrogate dal 30/04/2024). I punti salienti di questo nuovo articolo – che approfondiremo meglio nelle sezioni successive – sono:
    • L’attribuzione all’Agenzia delle Entrate del potere di emettere uno specifico “atto di recupero” motivato per riscuotere i crediti indebitamente compensati, in deroga alle ordinarie procedure di accertamento. Questo atto di recupero è notificato al contribuente con le stesse forme degli avvisi di accertamento (artt.60 e 60-ter DPR 600/73).
    • La fissazione di termini di decadenza differenziati per la notifica di tale atto: entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di utilizzo del credito per i crediti non spettanti, ed entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo per i crediti inesistenti. Questa distinzione temporale recepisce esattamente quanto affermato dalla Cassazione (Sezioni Unite 2023) sull’esigenza di dare più tempo al Fisco per scoprire i crediti totalmente fittizi (spesso più complessi da stanare), rispetto ai crediti semplicemente non spettanti che possono emergere da controlli più semplici. Approfondiremo più avanti la questione dei termini.
    • La previsione che, una volta notificato l’atto, il contribuente debba pagare le somme entro il termine per presentare ricorso (60 giorni) e non possa compensarle a sua volta con altri crediti. Se non paga entro tale termine, le somme vengono iscritte a ruolo anche se l’atto è impugnato (salva poi l’eventuale sospensione in sede giudiziale).
    • L’estensione esplicita della procedura a tutti i tipi di crediti e somme indebitamente non versate: la lettera g) del comma 1 include nell’ambito di applicazione del 38-bis anche il recupero di “tasse, imposte e importi non versati, compresi quelli relativi a contributi e agevolazioni fiscali indebitamente percepiti o fruiti, ovvero a cessioni di crediti d’imposta in mancanza dei requisiti”. Ciò significa che il meccanismo dell’atto di recupero può essere utilizzato non solo per crediti d’imposta “classici” ma anche, ad esempio, per contributi previdenziali indebitamente compensati, per somme derivanti da agevolazioni o incentivi fiscali goduti senza diritto, e perfino per crediti d’imposta ceduti senza averne i requisiti (tema caldo questo, riferito ad esempio ai bonus edilizi ceduti irregolarmente). Si attua così un’armonizzazione: in passato la competenza per recuperare contributi era dell’INPS e potevano esserci dubbi procedurali, ora invece viene chiarito che (salvo disposizioni speciali) è l’Agenzia delle Entrate a curare il recupero con le stesse regole, entro 5 anni dall’irregolarità (fatti salvi termini più lunghi previsti da normative settoriali). In pratica si centralizza il recupero delle indebite compensazioni di qualsiasi natura pagabili via F24.
    • La precisazione che le norme di cui sopra si applicano agli atti di recupero notificati dal 30 aprile 2024 in poi. Dunque, per atti antecedenti (es. un avviso notificato a marzo 2024 relativo a un credito indebito) continuano ad applicarsi le vecchie regole (commi L.311/2004 ecc.), mentre dal 30/04/2024 ogni nuovo atto rientra nel perimetro di questa disciplina unificata.
  • Articolo 10-quater D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – È la norma penale tributaria che punisce il reato di indebita compensazione. Prevede (ante modifiche 2024, ma il testo rimane sostanzialmente invariato) due fattispecie:
    1. Indebita compensazione di crediti non spettanti: reclusione da 6 mesi a 2 anni se non si versano tributi dovuti utilizzando in compensazione crediti non spettanti per importo annuo superiore a 50.000 €.
    2. Indebita compensazione di crediti inesistenti: reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni se l’importo annuo indebitamente compensato con crediti inesistenti supera 50.000 €.
    La soglia di punibilità di 50.000 euro annui va riferita alla somma dei crediti non spettanti/inesistenti utilizzati in ciascun periodo d’imposta. La giurisprudenza ha chiarito che nel calcolo rientrano anche le compensazioni relative a contributi previdenziali: infatti, sebbene il D.Lgs. 74/2000 sia rubricato come reati tributari, la Cassazione ha ormai consolidato l’orientamento estensivo secondo cui “rientrano nel reato tutte le somme dovute versabili con F24, incluse quelle per contributi previdenziali e assistenziali”, poiché il risparmio indebito per il contribuente è analogo sia che si tratti di imposte, sia di contributi. Pertanto, ad esempio, compensare indebitamente contributi INPS con crediti inesistenti configura reato oltre la soglia, esattamente come per l’IVA o altre imposte. Questo punto era controverso sino al 2019 (alcune sentenze escludevano i contributi dalla norma penale), ma le decisioni più recenti (Cass. pen. nn. 289/2021, 23083/2022, 33893/2022) hanno chiuso il dibattito in senso inclusivo. Con la riforma del sistema sanzionatorio del 2024, anche l’art. 10-quater è stato leggermente modificato: è stata introdotta una causa di non punibilità per la fattispecie dei crediti non spettanti (comma 1) quando la non spettanza derivi da condizioni di obiettiva incertezza sulla spettanza del credito per questioni tecniche di interpretazione. Questo per evitare di criminalizzare situazioni dubbie (tipicamente emerse con i crediti ricerca e sviluppo, dove molti contribuenti erano in buona fede convinti di spettanze poi negate). Inoltre, come visto, sono state formalizzate nel D.Lgs. 74/2000 le definizioni di “credito non spettante” e “credito inesistente” coerenti con quelle amministrative (inserendo nuove lettere nell’art.1 D.Lgs.74/2000).
  • Normativa secondaria e prassi: in aggiunta alle leggi sopra elencate, esistono una serie di provvedimenti attuativi, circolari esplicative e documenti di prassi rilevanti. Ad esempio:
    • Il D.M. 10 febbraio 2011, n. 37 (Min. Economia e Finanze) disciplina le modalità di esecuzione delle compensazioni tramite F24 e le cause di scarto dei modelli F24 (ad esempio oggi se nel modello F24 si tenta una compensazione vietata per il superamento di soglie o mancanza di visto, il sistema Entratel la scarta).
    • Le circolari dell’Agenzia delle Entrate hanno fornito chiarimenti nel tempo: da menzionare la Circolare 16/E del 28 giugno 2024 (sui nuovi blocchi alla compensazione per debiti >100.000 €); la Circolare 1/E del 12 febbraio 2020 (sulle misure anti-compensazione indebita introdotte dal DL 124/2019, come l’obbligo di visto di conformità per crediti >5.000 € annui e altre restrizioni); la Risoluzione 36/E dell’8 maggio 2018 (sulle misure introdotte dalla L. 205/2017 sempre in tema di contrasto alle indebite compensazioni). In generale, la prassi ha sempre ribadito che il “momento di commissione” della violazione di indebita compensazione coincide con la data di utilizzo in F24 del credito (rilevante per capire quale legge sanzionatoria si applichi).
    • L’atto di indirizzo MEF n. 18 del 1° luglio 2025 è un documento programmatico con cui il Ministero dell’Economia e Finanze ha fornito indicazioni operative agli uffici sulla gestione dei crediti d’imposta non spettanti o inesistenti, alla luce delle novità normative. In particolare, conferma le nuove definizioni e sanzioni introdotte e sottolinea l’importanza di distinguere correttamente i due tipi di credito per applicare il giusto regime. Si tratta di linee guida interne che testimoniano l’attenzione istituzionale sul tema.

In sintesi, il quadro normativo al 2025 vede:

  • una chiara distinzione normativa tra crediti non spettanti e inesistenti (sia in ambito amministrativo che penale);
  • procedure di recupero specifiche e unificate (art. 38-bis DPR 600/73) con termini di decadenza più lunghi per i casi peggiori;
  • sanzioni amministrative rimodulate (25% e 70% oppure 250 € in casi minori, con possibili aumenti per recidiva);
  • un reato penale per i casi gravi sopra soglia, con anche qui differenziazione (non spettante vs inesistente) e un’esimente per situazioni dubbie;
  • misure preventive per impedire compensazioni quando si hanno grossi debiti scaduti;
  • un’ampia giurisprudenza che ha consolidato i principi applicativi (come vedremo a breve).

Nei capitoli successivi esamineremo nel dettaglio tali aspetti, focalizzandoci sul punto di vista del contribuente che riceve un avviso di accertamento per compensazioni indebite: cosa significa in concreto, come valutare la contestazione, quali diritti e opzioni ha a disposizione per reagire o rimediare.

Crediti “non spettanti” vs “inesistenti”: definizioni e differenze

Una delle colonne portanti per comprendere la materia è la distinzione tra credito d’imposta (o contributo) non spettante e credito inesistente. Come già accennato, questa distinzione ha riflessi pratici enormi: incide sul termine entro cui il Fisco può intervenire, sull’entità delle sanzioni amministrative, e persino sul profilo penale (differenziando le pene detentive). È quindi fondamentale capire cosa significhino esattamente questi termini.

Definizioni normative

Le definizioni ufficiali di credito non spettante e inesistente si rinvengono nella normativa sulle sanzioni tributarie (art. 13 D.Lgs. 471/97, specialmente dopo le modifiche del 2024) e, specularmente, nell’art. 1 del D.Lgs. 74/2000 (come modificato dal D.Lgs. 87/2024). Possiamo riassumerle così:

  • Credito d’imposta “non spettante” (definizione sintetica): è un credito che esiste nella sua fonte, ma il contribuente non aveva diritto di utilizzarlo, quantomeno non nella misura o nelle modalità in cui lo ha fatto. In altre parole, il credito era previsto da una norma e poteva sussistere, però la sua fruizione nel caso concreto non è legittima per ragioni specifiche. L’art.13 comma 4 (nuovo comma 4-bis dal 2024) elenca le principali situazioni:
    1. Violazione delle modalità di utilizzo previste: ad esempio, il credito poteva essere usato solo in compensazione a partire da una certa data o solo previa presentazione di un’istanza, ma il contribuente non ha rispettato queste modalità. Oppure mancava un visto di conformità obbligatorio per crediti >5.000 € e il contribuente ha compensato lo stesso.
    2. Utilizzo del credito in misura eccedente quella spettante: il caso tipico è aver compensato un importo di credito superiore a quello effettivamente maturato. Ad esempio, un contribuente aveva un credito IVA di €10.000 ma per errore ne compensa €12.000; oppure un’impresa spettava un bonus di 100 e ne utilizza 130.
    3. Altre ipotesi particolari: il D.Lgs. 87/2024 ha specificato che rientra nel “non spettante” anche il credito che formalmente avrebbe requisiti oggettivi e soggettivi, ma manca di ulteriori elementi richiesti dalla disciplina per il riconoscimento. Ciò copre situazioni in cui, ad esempio, un credito di ricerca e sviluppo è basato su spese reali ma quelle attività non rientrano, per qualità, tra quelle agevolabili: in tal caso il credito è “non spettante” (perché l’impresa, pur avendo speso, non rientrava nelle condizioni previste dalla legge per godere dell’agevolazione). Infine, è considerato non spettante anche il credito utilizzato omettendo adempimenti amministrativi strumentali previsti a pena di decadenza – ad esempio, se la legge dice che per avere il credito X devi presentare una comunicazione entro il tal termine e non lo fai, il credito diviene non spettante per decadenza.
    In tutti questi casi, sottolineiamo, il credito non è “falso” in senso assoluto: magari deriva da operazioni effettive o da calcoli che potevano dare un risultato a credito, ma non spetta (o non spetta in parte) al contribuente per un vizio normativo (superamento di limiti, difetto di una condizione, errore formale non sanato, ecc.). Spesso il credito non spettante è riscontrabile già a livello di controlli formali o automatizzati sulle dichiarazioni: ad esempio, il sistema può accorgersi che avete compensato più IVA di quella dichiarata a credito, oppure il controllo formale può rilevare che manca il visto di conformità, ecc. Questa “riscontrabilità” è proprio la caratteristica che lo distingue dal credito inesistente.
  • Credito d’imposta “inesistente”: è un credito che in realtà non avrebbe mai dovuto esistere, perché manca il presupposto sostanziale che potesse farlo sorgere. In altre parole, è un credito fittizio. La normativa (art.13 c.5 D.Lgs. 471/97) lo definisce come il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo previsto dalla legge e la cui inesistenza non è riscontrabile dai controlli automatizzati o formali. Questa seconda parte significa che l’inesistenza è tale da non emergere semplicemente confrontando i dati dichiarati: occorre un’attività istruttoria approfondita per smascherarla. Ad esempio, se un contribuente dichiara un inesistente credito d’imposta per investimenti mai effettuati, il sistema informatico non può saperlo automaticamente – servirà un controllo sostanziale (ispezione, verifica documentale). Alcuni esempi di credito inesistente:
    • Un credito totalmente inventato in dichiarazione, privo di spesa o pagamento a monte (es: si indica un credito di imposta su ricerca e sviluppo senza aver fatto alcuna ricerca effettiva né averne i requisiti).
    • Un credito falsificato, ad esempio mediante l’utilizzo di documenti falsi o fatture per operazioni inesistenti per generare un credito IVA.
    • Un credito formalmente esistente ma già utilizzato o ceduto: se un contribuente tenta di usare in compensazione un credito che in realtà era già stato usato in precedenza (doppio utilizzo) o che aveva ceduto a terzi, quel credito è da considerarsi inesistente al momento del secondo utilizzo.
    • Un credito prescritto o decaduto di cui il contribuente tenta tardivamente l’uso: essendo ormai venuto meno il presupposto per utilizzarlo (ad esempio decadenza per mancata indicazione in dichiarazione entro un certo termine), potrebbe configurarsi come inesistente o quantomeno non spettante a seconda dei casi.
    In sintesi, il credito inesistente è quello creato con artifizi e rappresentazioni fraudolente, o comunque privo dei requisiti fondamentali previsti dalla norma agevolativa di riferimento. La Cassazione a Sezioni Unite (sent. 34419/2023 e 34452/2023) ha chiarito che per definire “inesistente” un credito servono due requisiti congiunti: (a) mancanza dei presupposti costitutivi (anche per artificio o simulazione) e (b) non rilevabilità dell’inesistenza tramite controlli ordinari. Se manca il (b), ossia se l’inesistenza è invece rilevabile con un semplice controllo formale, allora la situazione ricade nel “non spettante”. Questo criterio pragmatico è ora la bussola interpretativa: in pratica se è “facile” scoprire l’errore → credito non spettante; se per scoprirlo bisogna indagare a fondo → credito inesistente. Ciò è stato formulato come principio di diritto proprio dalle Sezioni Unite nel 2023.

Differenze in termini di effetti

Chiarite le definizioni, ecco un riepilogo delle differenze chiave tra le due categorie, sia nel regime previgente che in quello attuale riformato:

CaratteristicaCredito NON SPETTANTECredito INESISTENTE
Definizione sinteticaCredito formalmente esistente ma utilizzato senza averne diritto (oltre i limiti, senza condizioni richieste, per quota eccedente) – violazione spesso rilevabile da controlli automatizzati.Credito privo di valida giustificazione sostanziale, creato artificiosamente o decaduto – l’inesistenza emerge solo con indagini sostanziali approfondite.
Esempi tipici– Credito d’imposta spettante per 100, utilizzato per 120 (eccedenza 20 non spettante).– Credito usato senza aver presentato un modello obbligatorio (e poi non sanato nei termini).– Bonus fiscale maturato ma il contribuente non aveva tutte le qualità richieste (es: spesa reale ma attività non agevolabile).– Credito fittizio inserito in dichiarazione senza aver diritto ad alcunché.– Credito di fantasia creato con false fatture o documenti falsi.– Credito in realtà già compensato precedentemente o ceduto, riproposto un’altra volta.– Credito su spese mai effettuate o gonfiate ad arte.
Termine di accertamento (decadenza)5 anni dall’anno di utilizzo (dall’anno successivo, notifica entro 31/12 quinto anno).8 anni dall’anno di utilizzo (notifica entro 31/12 ottavo anno).
Sanzione amministrativa (fino al 31/8/2024)30% del credito utilizzato indebitamente.dal 100% al 200% del credito (generalmente applicato il 100% come minimo).
Sanzione amministrativa (dal 1/9/2024)25% del credito (se violazione sostanziale); €250 fissi se violazione solo formale e sanata in tempo.70% del credito; aumentabile fino a 140% in caso di recidiva grave.
Soglia penale art. 10-quaterOltre €50.000 annui indebitamente compensati → reato, punito con reclusione 6 mesi – 2 anni (non punibile se errore tecnico oggettivamente inevitabile).Oltre €50.000 annui → reato, punito con reclusione 1½ – 6 anni. (No esimenti specifiche, trattandosi di condotta fraudolenta).

Da notare: la distinzione non sempre è di immediata applicazione. Alcune situazioni borderline possono generare dubbi. Ad esempio, un contribuente ritiene di avere un certo credito secondo un’interpretazione normativa poi rivelatasi errata: in tal caso il credito è “non spettante” (non c’è fraudolenza), e se l’incertezza era oggettiva c’è anche l’esimente penale. Oppure, consideriamo i crediti derivanti da errori contabili: se un errore di calcolo in dichiarazione genera un credito inesistente (in quanto sovrastimato) ma il dato errato poteva essere riscontrato con controllo formale (ad esempio un doppio conteggio di detrazioni), probabilmente prevale la qualifica di “non spettante” perché la verifica formale l’avrebbe rilevato. Invece un errore più occulto (es: applicazione creativa di criteri di calcolo non immediatamente contestabili) potrebbe ricadere in inesistente. Insomma, è il grado di verificabilità immediata vs complessità di accertamento a fare spesso da discriminante pratica.

La Cassazione a Sezioni Unite nel 2023, come anticipato, ha fissato un principio di diritto proprio per orientare queste valutazioni: “in tema di compensazione di crediti d’imposta, si applica il termine lungo di 8 anni quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che ricorre quando congiuntamente: (a) il credito è frutto di una rappresentazione artificiosa o mancante dei presupposti previsti dalla legge (ovvero è già estinto al momento dell’utilizzo); (b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli automatizzati o formali… ove invece l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari di accertamento”. Questo principio ora è specchiato nella normativa scritta (D.Lgs. 13/2024 e D.Lgs. 87/2024) e rappresenta una guida autorevole per distinguere i casi.

In pratica, per il contribuente che si trova destinatario di un avviso di accertamento, capire se gli stanno contestando un credito “non spettante” oppure “inesistente” è cruciale. Dall’avviso stesso deve risultare la qualificazione attribuita dall’Ufficio al credito indebito. Se non fosse chiaro, è un primo punto da contestare eventualmente (mancanza di motivazione sull’esatta natura del credito contestato). Inoltre, come vedremo, il termine di notifica dell’atto e la sanzione irrogata dipenderanno proprio da tale qualificazione. Ad esempio, se l’atto arriva oltre 5 anni dopo e l’Ufficio sostiene sia inesistente per giustificare gli 8 anni, ma il contribuente ritiene fosse al più un non spettante facilmente verificabile, potrà impostare la difesa su questa linea per far dichiarare l’atto tardivo (decaduto). Analogamente, se viene applicata la sanzione del 70% ma il contribuente dimostra che era un credito reale non spettante, potrà ottenere la riduzione al 25%. Quindi la distinzione non è solo teorica, ma ha conseguenze concrete sull’esito del procedimento.

Procedura di accertamento e recupero dell’indebita compensazione

Vediamo ora come l’Amministrazione finanziaria accerta e recupera in concreto le compensazioni indebite. Il percorso può variare a seconda della modalità con cui l’irregolarità viene scoperta (controlli automatizzati, controlli formali, verifica fiscale, segnalazione, etc.), ma culmina nell’emissione di un atto impositivo nei confronti del contribuente. Fino al 2023 c’era una distinzione tra “atto di contestazione” ex L. 311/2004 per i crediti non spettanti e “avviso di accertamento” ex DL 185/2008 per quelli inesistenti, differenziati anche nei termini. Dal 2024, con l’art. 38-bis DPR 600/73, c’è un procedimento unificato per entrambi, denominato appunto atto di recupero. Analizziamo le varie fasi:

Scoperta della compensazione indebita

La prima fase è come l’Agenzia delle Entrate (o altro ente) scopre che un contribuente ha utilizzato un credito indebito. Possono verificarsi vari scenari:

  • Controllo automatizzato (art. 36-bis DPR 600/73 o 54-bis DPR 633/72): il sistema informatico dell’Agenzia incrocia i dati delle dichiarazioni e dei versamenti F24. Esempio classico: Tizio presenta la dichiarazione IVA con un credito disponibile di 5.000 €, ma nei modelli F24 dell’anno ha compensato 10.000 € di IVA a credito. Il sistema 36-bis rileva lo sforamento: 5.000 € sono stati compensati in più del dovuto. In questo caso, l’uso indebito è palese e immediatamente quantificabile come “credito non spettante” (eccedenza di 5.000). Il 36-bis genererà una comunicazione di irregolarità chiedendo il versamento del dovuto con sanzione ridotta (se si paga nei 30 giorni successivi). Se il contribuente non risponde o non paga, si passerà all’iscrizione a ruolo o all’atto di recupero formale. – Da notare: con l’introduzione dell’atto di recupero ex art. 38-bis, probabilmente i casi di questo tipo (non spettanze da controllo automatico) potranno essere formalizzati direttamente in un atto di recupero entro il 5° anno, ma la prassi potrebbe continuare a prevedere prima un “avviso bonario” 36-bis per consentire al contribuente di ravvedersi con sanzione ridotta. La norma però non obbliga a tale passaggio, quindi l’Ufficio potrebbe teoricamente emettere subito l’atto di recupero (specie se sono trascorsi i termini per l’avviso bonario).
  • Controllo formale (art. 36-ter DPR 600/73): l’ufficio controlla la documentazione a supporto di detrazioni, crediti, ecc., dopo la presentazione della dichiarazione. Esempio: Caio indica in dichiarazione un credito d’imposta per investimenti in macchinari di 50.000 €. L’ufficio, in sede di controllo formale, chiede i documenti e scopre che Caio non ha la perizia richiesta o non ha inviato la comunicazione preventiva obbligatoria. In tal caso il credito era condizionato a quegli adempimenti: la sua mancanza lo rende non spettante (o addirittura decaduto). Questo emergendo in controllo formale, l’ufficio notificherà una comunicazione ex 36-ter invitando a pagare il dovuto (il credito negato) con sanzione del 30% (o 25% se ormai applicano la nuova misura se violazione recente). Se Caio non paga, si passerà all’atto di recupero.
  • Segnalazione interna o esterna, analisi del rischio: alcuni casi non emergono dai controlli standard, ma l’Agenzia può individuarli grazie alle banche dati o segnalazioni. Ad esempio, controlli incrociati tra dichiarazioni e dati di altro ente: un contribuente compensa crediti INPS per 100.000 € ma l’INPS segnala che quel credito non risulta; oppure emergono schemi anomali (es. molte compensazioni di crediti di un certo tipo da parte di aziende consulite dallo stesso professionista – il che fa scattare un alert per possibili crediti fittizi). In questi casi, l’ufficio può avviare un’attività istruttoria ad hoc: può invitare il contribuente a esibire documenti, oppure procedere direttamente con una verifica fiscale o un accesso mirato presso l’azienda. Questo spesso accade per crediti complessi come quelli da ricerca e sviluppo o altri bonus, dove serve analizzare se i progetti erano eleggibili. Se dall’istruttoria risulta che il credito era in toto o in parte fittizio/non dovuto, l’ufficio preparerà un Processo Verbale di Constatazione (PVC) e successivamente emetterà l’atto di recupero. – Esempio reale: molte imprese hanno fruito del credito R&S su attività che poi l’Agenzia (anche tramite Guardia di Finanza) ha ritenuto non qualificabili come ricerca. Dopo verifiche, si contestano quei crediti come “non spettanti” (perché spese reali ma non agevolabili) e viene emesso l’accertamento per recuperarli.
  • Controlli sui bonus edilizi e cessione crediti: un fenomeno recente riguarda i crediti cedibili (es. Superbonus 110%, bonus facciate, ecc.) spesso compensati da cessionari. L’Agenzia verifica i requisiti delle comunicazioni di cessione e la documentazione tecnica. Se emerge che il credito ceduto era privo dei requisiti (es: lavori fittizi, asseverazioni false), blocca la compensazione e può emettere un atto di recupero verso i cessionari in buona o malafede. Con il nuovo art. 38-bis, questo rientra esplicitamente nell’ambito (crediti ceduti in mancanza dei requisiti). In pratica il cessionario potrebbe ricevere un atto di recupero che annulla il credito compensato e richiede quanto “non versato” indebitamente.
  • Verifiche dell’INPS e altri enti: prima del 2024, se un’azienda compensava indebitamente contributi INPS, era possibile che fosse l’INPS stesso, tramite avvisi di addebito, a chiedere i contributi mancanti e le relative sanzioni civili. Dopo la riforma, formalmente sarà l’Agenzia Entrate a dover emettere l’atto di recupero per quei contributi non versati, coordinandosi con l’ente previdenziale per i dati. Comunque la scoperta spesso origina dall’INPS (ad es. in sede di controllo DURC o altro) che segnala all’Agenzia l’utilizzo di crediti non validati.

Emissione dell’atto di recupero (avviso di accertamento)

Una volta accertata l’indebita compensazione, l’Ufficio procede a emanare l’atto di recupero. Analizziamo il contenuto e le caratteristiche di questo atto:

  • Contenuto dell’atto: Deve indicare in modo chiaro quale credito è contestato, per quale importo e quale annualità, e perché si ritiene indebito. Inoltre, deve quantificare le somme dovute dal contribuente, che tipicamente includeranno:
    • L’importo del credito indebito utilizzato, che di fatto corrisponde all’imposta/contributo non versato. Ad esempio, se ho compensato 10.000 € di un credito inesistente invece di pagare IVA, l’atto recupera quei 10.000 € di IVA.
    • Gli interessi maturati su tale importo dal giorno in cui andava versato (la scadenza originaria dell’F24) fino alla data di emissione. Gli interessi di mora sono calcolati al tasso legale (o al tasso specifico previsto per ritardati versamenti, che nel 2023-2025 è il tasso legale, recentemente 2-5% annuo) e sono dovuti per legge sui tributi non versati.
    • La sanzione amministrativa per l’indebita compensazione, nella misura prevista (come visto, 25% o 70% o 30%/100% a seconda dei casi e del periodo di violazione). L’atto deve specificare la norma sanzionatoria applicata (art.13 c.4 o c.5 D.Lgs 471/97, oppure c.4-bis/c.5 nuovo).
    Esempio di formulazione: “Si contesta l’indebito utilizzo in compensazione, nel modello F24 scadenza 16/06/2023, di un credito di imposta R&S per €50.000, risultato non spettante in quanto relativo a spese non qualificabili come ricerca agevolabile. Pertanto si recuperano €50.000 di imposta non versata (IRES 2022), oltre interessi €X,XX (calcolati al tasso legale dal 16/06/2023) e si irroga sanzione pari al 30% del credito indebitamente utilizzato (€15.000) ai sensi dell’art.13 co.4 D.Lgs.471/97…” etc. Nel caso di credito inesistente, cambieranno i riferimenti sanzionatori.
  • Qualifica giuridica dell’atto: Come anticipato, l’atto di recupero ex art. 38-bis è un atto impositivo autonomo, equiparato per molti versi a un avviso di accertamento. Non a caso, la norma prevede che per le controversie su tali atti si applichi il D.Lgs. 546/92 (processo tributario). Ciò significa che è impugnabile davanti alle Commissioni (ora Corti) tributarie entro 60 giorni. Inoltre, l’atto di recupero non preclude ulteriori accertamenti: la norma dice “fermi restando i poteri di accertamento per i singoli tributi”. Questo vuol dire che se ad esempio l’indebita compensazione deriva anche da un’infedeltà dichiarativa (magari uno si è generato il credito fittizio alterando la dichiarazione dei redditi), l’Ufficio potrà fare un accertamento per il tributo evaso (reddituale) oltre all’atto di recupero credito.
  • Motivazione e contraddittorio: L’atto deve essere motivato. In genere conterrà un richiamo agli esiti del controllo/verifica che hanno accertato l’indebito. Se c’è stato un PVC della Guardia di Finanza o un controllo formale con scambio di documenti, verrà citato. Il contribuente spesso sarà stato già contattato in sede di controllo (ad esempio, avrà ricevuto la richiesta di documenti o un invito), ma non è sempre così. È importante notare che in base alla normativa sul contraddittorio endoprocedimentale, non sempre per questi atti è obbligatorio un preventivo contraddittorio. In particolare, se l’atto scaturisce da un controllo automatizzato/formale, la legge non prevede obbligo di contraddittorio preventivo (si ritiene assolto con la comunicazione di irregolarità); se invece deriva da verifica fiscale con PVC, oggi la legge impone l’invito alla definizione (preavviso) per gli accertamenti ordinari, ma l’estensione specifica agli atti di recupero è stata oggetto di intervento nel 2023-24. Il D.Lgs. 13/2024 ha previsto che il contribuente, pur in mancanza di invito a comparire, può presentare istanza di accertamento con adesione anche per gli atti di recupero, sospendendo così i termini di ricorso e avviando un confronto. Inoltre, se c’è stato un contraddittorio preventivo (ad es. nel caso di adesione al PVC), l’ufficio in sede di eventuale adesione successiva all’atto non può discostarsi da quanto emerso nel contraddittorio già avvenuto. In sintesi: non esiste un obbligo generale per l’Agenzia di invitare il contribuente prima di emettere l’atto di recupero (a parte i casi in cui la legge lo prevede espressamente, come per alcune verifiche in loco se ricadono nello statuto del contribuente art.12 c.7). Tuttavia, il contribuente può sempre richiedere un confronto tramite adesione una volta ricevuto l’atto.
  • Termini di notifica: li ribadiamo qui in sintesi. L’atto di recupero deve essere notificato:
    • entro il 5° anno successivo a quello di utilizzo del credito, se trattasi di credito non spettante;
    • entro l’8° anno successivo, se trattasi di credito inesistente.
    Ad esempio, se un credito indebito è stato utilizzato nel 2021, il 5° anno successivo è il 2026: l’atto per credito non spettante andrà notificato entro il 31/12/2026; se lo qualificano inesistente, hanno tempo fino al 31/12/2029. Attenzione: questi termini, introdotti dal D.Lgs. 13/2024, valgono per gli atti notificati dal 30/04/2024. Prima, per i crediti non spettanti si applicava analogicamente il termine dell’accertamento (in genere il 31/12 del 4° anno successivo alla dichiarazione) o il comma 421 L.311/04 (che prevedeva 31/12 del 2° anno successivo alla violazione, termine in pratica ritenuto troppo breve e spesso di fatto non rispettato grazie a sospensioni). Per i crediti inesistenti vigeva l’art.27 co.16 DL 185/2008 (8 anni). Ora c’è uniformità di fonte e chiarezza.
    Un’ulteriore precisazione: per i crediti diversi dai tributi, inclusi contributi e agevolazioni, l’art.38-bis prevede (lettera g) che, salvo termini più lunghi già previsti, l’atto va comunque entro 5 anni dalla violazione. Quindi per contributi INPS indebitamente compensati, non essendoci altro, resta 5 anni. Idem per benefici incassati indebitamente. Quindi l’8 anni è solo per i crediti tributari inesistenti.
  • Notifica e decorrenza: L’atto di recupero viene notificato secondo le regole ordinarie (generalmente via PEC per imprese e professionisti, oppure tramite messo/posta per altri). Fa fede la data di spedizione per il rispetto del termine di decadenza (come per gli accertamenti). Una volta notificato, il termine per adempiere o ricorrere decorre dalla ricezione.

Esempio pratico di iter

Per chiarire, illustriamo un esempio pratico completo:

  • Scenario: Una SRL nel 2020 ha maturato un credito d’imposta ricerca & sviluppo di €200.000 (dalle sue dichiarazioni). Nel 2021 lo ha compensato interamente con F24 per ridurre IRES e IRAP. Nel 2022, a seguito di controlli, l’Agenzia contesta che metà di quel credito (€100.000) in realtà non era spettante, perché alcune spese non erano qualificabili come ricerca. Inoltre, sospetta che l’altra metà sia addirittura inesistente (spese gonfiate con fatture infragruppo).
  • Attività di controllo: Nel 2022 l’Agenzia invita l’azienda a esibire documentazione. Esamina le relazioni tecniche e fatture. Nel 2023 effettua anche un accesso presso la sede per riscontri. Emerge che €100.000 di spese erano consulenze ordinarie spacciate per ricerca (credito non spettante, in quanto spesa non agevolabile, ma reale) e altri €100.000 erano fatture false (credito inesistente per quella parte).
  • Contestazione: Nel luglio 2023 viene redatto un PVC dalla Guardia di Finanza che dettaglia i rilievi. L’azienda presenta memorie difensive (contraddittorio).
  • Emissione atti: Nel maggio 2024, l’Agenzia emette un atto di recupero ai sensi dell’art. 38-bis: nel frontespizio specifica che parte del credito era non spettante e parte inesistente. Le somme richieste:
    • Imposte non versate: €200.000 (divise magari €120k IRES, €80k IRAP per dire).
    • Interessi legali su tali importi dal 16/06/2021 (data di utilizzo in F24) al 2024.
    • Sanzioni: applica il 30% sui €100k non spettanti (€30k) e il 100% sui €100k inesistenti (€100k), essendo fatti avvenuti nel 2021 (prima della riforma sanzioni 2024). (Se l’atto fosse notificato dopo 1/9/24 e la violazione ancora pendente, forse avrebbero applicato 25% e 70% per favor rei, ma lasciamo così per l’esempio.)
  • Notifica: L’atto viene notificato via PEC alla società.
  • Dopo la notifica: La società ha 60 giorni per pagare o impugnare. Può anche chiedere accertamento con adesione entro lo stesso termine (sospendendo il countdown per 90 giorni). Nelle more, non può compensare quelle somme con altro (devono essere pagate con mezzi liquidi).
  • Impugnazione: la società, ritenendo eccessiva la contestazione, fa ricorso entro 60gg alla Corte di Giustizia Tributaria. Nel frattempo, deve pagare? – Se chiede e ottiene la sospensione dal giudice, no; altrimenti l’Agenzia decorsi 60 giorni può già iscrivere a ruolo provvisoriamente le somme.
  • Giudizio: supponiamo che in primo grado i giudici nel 2025 stabiliscano che effettivamente €50k del credito erano spettanti (riconoscono alcune spese come R&S) e il resto no, e riqualificano parte come non spettante. Di conseguenza riducono sanzioni e imposte. L’Agenzia o la società potranno appellare etc. Alla fine la decisione sarà definitiva.
  • Recupero finale: la parte confermata dovrà essere versata (o era stata già versata se nessuna sospensione). Eventuali sanzioni rideterminate andranno versate con interessi.

Questo esempio mostra come un caso complesso può vedere un accertamento integrato. In situazioni più semplici (es. un credito IVA inesistente, scoperto da incrocio di dati), l’iter sarebbe più snello: scoperta nel 2022 con 36-bis, avviso bonario, atto di recupero nel 2023 se non paga, e così via.

Sanzioni e conseguenze per il contribuente

Quando si riceve un avviso di accertamento per compensazioni indebite, non ci si confronta solo con il recupero del tributo o contributo non versato, ma anche con un corredo di sanzioni pecuniarie e altre conseguenze. Abbiamo già illustrato in dettaglio le sanzioni amministrative previste (25%, 70% ecc.). Qui riepiloghiamo dal punto di vista pratico cosa significano per il contribuente le diverse componenti:

  • Recupero dell’imposta/contributo non versato: il contribuente dovrà pagare l’ammontare che avrebbe dovuto versare se non avesse usato il credito indebito. Questa è la parte “principale” del debito, che coincide col valore del credito indebito. Dal punto di vista contabile/fiscale, se il credito era maturato in dichiarazione e poi disconosciuto, spesso l’Ufficio procede anche alla rettifica della dichiarazione corrispondente (ad esempio riducendo il credito IVA a zero e trasformandolo in maggior IVA dovuta); tuttavia l’atto di recupero tende a concentrarsi sull’aspetto finanziario (somme da pagare).
  • Interessi: come detto, maturano interessi dal momento in cui il versamento doveva essere fatto (di solito la data dell’F24 o delle scadenze periodiche) fino alla data di pagamento effettivo. Il tasso d’interesse è quello legale (2,5% annuo nel 2024, 5% annuo dal 2023, soggetto a variazioni), salvo per alcune fattispecie IVA dove può applicarsi anche il tasso di interesse per ritardata iscrizione a ruolo. In generale comunque il tasso è moderato ma non trascurabile se passano molti anni.
  • Sanzione amministrativa pecuniaria: su questa ci siamo soffermati molto. Dal punto di vista pratico, il contribuente può fruire di alcune riduzioni:
    • Se non impugna l’atto e paga entro 60 giorni, ai sensi dell’art.16 D.Lgs. 472/97 ha diritto a pagare la sanzione nella misura ridotta di 1/3 del minimo. Occorre verificare se questa riduzione si applichi agli atti di recupero: il nuovo art. 38-bis richiama espressamente l’applicabilità degli art.16 c.3 e 17 c.2 D.Lgs.472/97, i quali disciplinano proprio la definizione agevolata delle sanzioni. Dunque sì, anche per la sanzione irrogata in un atto di recupero il contribuente può pagarne solo un terzo (in genere il minimo coincide con la sanzione base in questi casi, non essendoci una forbice se non era inesistente pre-riforma). Questo è un forte incentivo a definire subito se la violazione è palese, perché ad esempio su 70% la riduzione a 1/3 porta a ~23% effettivo, su 25% porta a ~8.3%.
    • Se il contribuente presenta ricorso, la definizione agevolata sopra non è più ammessa (vale solo in acquiescenza). Tuttavia, può sempre durante il processo trovare un accordo con l’ufficio (ad esempio in sede di conciliazione giudiziale) per ridurre sanzioni fino a un terzo in caso di accordo.
    • Ravvedimento operoso: prima dell’emissione dell’atto, il contribuente poteva ravvedersi da solo. Se questi rimorsi avvengono, le sanzioni sono notevolmente ridotte. Ad esempio, se ci si accorge dell’errore entro 1 anno, la sanzione del 30% (o 25%) viene ridotta a 1/8, cioè circa 3,75%. Se il ravvedimento avviene dopo l’anno ma entro due, 1/7 (~4.28%), etc. Per crediti inesistenti, la sanzione 100% (ora 70%) sarebbe ridotta analogamente. Dunque il ravvedimento operoso è lo strumento principe per il contribuente che, prima di essere scoperto, decide di sistemare la compensazione indebita: si presenta una dichiarazione integrativa o si regolarizza il pagamento del dovuto, versando tributo, interessi e la sanzione ridotta. Questo evita l’avviso di accertamento e possibili conseguenze penali. Ovviamente, il ravvedimento è efficace solo se fatto prima che il contribuente abbia avuto formale notizia di controlli o riceva comunicazioni dall’ufficio su quella violazione (dopo, non è più consentito).
    • Nel 2023 c’è stato anche un “ravvedimento speciale” (L.197/2022) che consentiva di sanare violazioni dichiarative pregresse con sanzioni ultraridotte (1/18) a rate. Molti hanno usato questa misura per sistemare crediti non spettanti dichiarati fino al 2021. Inoltre, per il credito R&S 2015-2019 c’è stata la sanatoria “riversamento” (DL 146/2021, riaperta nel 2025) che permetteva di restituire il credito in 3 rate senza sanzioni né interessi, ottenendo anche la non punibilità penale. Queste misure estemporanee dimostrano che talvolta lo Stato offre vie agevolate per chi spontaneamente regolarizza, soprattutto in casi di incertezza diffusa.
  • Iscrizione a ruolo e riscossione: se il contribuente non paga spontaneamente l’atto entro 60 giorni e non ottiene sospensioni, l’importo verrà iscritto a ruolo e trasmesso all’Agente della Riscossione (AdER, ex Equitalia) per l’emissione di una cartella di pagamento. A differenza di un accertamento fiscale “ordinario” dove l’iscrizione provvisoria è frazionata (1/3 dopo primo grado, 2/3 dopo appello), per gli atti di recupero l’art. 15-bis DPR 602/73 (richiamato dall’art.38-bis) prevede che possano andare a ruolo anche se non definitivi, quindi per intero subito. Questo è un aspetto peculiare e svantaggioso per il contribuente: vuol dire che se non paga in 60gg, potrebbe arrivare la cartella anche mentre il ricorso pende, costringendolo eventualmente a chiedere la sospensione al giudice. D’altra parte, l’Agente della Riscossione non procederà ad esecuzione forzata se c’è un processo in corso e magari la sospensiva concessa, ma intanto formalmente il debito va a ruolo.
  • Interessi di mora: se si va a ruolo, scatteranno poi gli interessi di mora sulle somme iscritte (questi decorrono dalla notifica della cartella in poi).
  • Altre conseguenze amministrative: l’utilizzo di crediti indebiti può riflettersi su vari fronti. Ad esempio, un’azienda che ha compensazioni indebite di contributi potrebbe vedersi negare il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), con impatti su appalti e agevolazioni. Infatti l’INPS considera irregolare chi non versa contributi dovuti, e una compensazione indebita è assimilata a un omesso versamento; finché la questione non è sanata, il DURC può risultare negativo.
    Inoltre, dal lato fiscale, se l’Agenzia riscontra frodi gravi (es. crediti inesistenti fraudolenti), potrebbe segnalare la cosa per eventuali misure cautelari (fermo amministrativo, ipoteca) o chiedere sequestro per equivalente in sede penale.
  • Fedina penale e reputazionale: se si supera la soglia penale e viene avviato un procedimento per il reato ex art.10-quater, il contribuente (e i suoi amministratori se società) dovranno affrontare anche il processo penale, con tutti i rischi annessi (confisca dei beni equivalente al profitto, pena detentiva, interdittive). La presenza di un procedimento penale potrebbe peggiorare la posizione negoziale col Fisco in sede di definizione del dovuto, anche se formalmente i due àmbiti restano separati. Va comunque detto che pagando integralmente il debito tributario, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale, si ottiene una causa di non punibilità per i reati di omesso versamento (non però per i crediti inesistenti, art.10-quater comma 2 non ha questa causa). Comunque, la restituzione spontanea del maltolto può pesare come attenuante generale.
  • Reputazione e rapporti con i professionisti: ricevere un avviso del genere può portare anche a riflessi nel rapporto col proprio consulente fiscale. In alcuni casi, se il credito indebito deriva da un errore del commercialista o dal visto di conformità infedele rilasciato da un professionista, il contribuente potrà rivalersi su di essi. Dal canto loro, i professionisti abilitati che appongono visti di conformità rischiano sanzioni disciplinari se con il loro visto hanno avallato crediti inesistenti poi scoperti (è prevista una sanzione pari al 30% del credito anche a loro carico in casi di dolo o colpa grave, e la sospensione in caso di ripetute infrazioni).

Riassumendo, per il contribuente l’avviso di accertamento per compensazione indebita significa dover restituire il vantaggio indebitamente ottenuto (il mancato pagamento), pagare una sanzione (riducibile se agisce tempestivamente), e subire eventuali implicazioni penali se il fatto è rilevante. È una situazione delicata che richiede un’attenta valutazione delle strategie difensive o di regolarizzazione.

Strategie di difesa e tutela del contribuente (punto di vista del debitore)

Dal punto di vista del debitore, ossia del contribuente che ha ricevuto l’atto di recupero, è fondamentale sapere quali sono i suoi diritti e le possibili strategie di reazione. Affrontare un avviso di accertamento di questo tipo può essere complesso, ma il contribuente ha a disposizione strumenti sia preventivi (prima dell’emissione dell’atto) sia successivi per tutelarsi.

Prima dell’emissione dell’atto: prevenzione e ravvedimento

  • Ravvedimento operoso: Abbiamo accennato che finché l’ufficio non vi contesta formalmente nulla, siete sempre in tempo per ravvedervi. Se vi rendete conto di aver usato un credito non spettante (magari il vostro consulente rileva un errore), conviene agire subito: presentare una dichiarazione integrativa a sfavore (se il credito era in dichiarazione) e versare quanto dovuto con sanzione ridotta. Questo vi mette al riparo da atti futuri e in genere la spesa è molto minore (sanzione ridottissima). Anche se avete ricevuto solo un’“avviso bonario” da controllo automatizzato, potete ancora ravvedervi leggermente oltre i termini e pagare con sanzione un po’ aumentata (1/8 del 30% se entro un anno dall’violazione). Insomma, prevenire è meglio che curare.
  • Interlocuzione in sede di controllo: Se siete stati oggetto di verifica o controllo formale e vi è stata contestata un’indebita compensazione, collaborate nel fornire documenti e spiegazioni. Portate all’attenzione eventuali elementi a vostro favore (per esempio, se il credito era stato calcolato su basi fornite da terzi, o se c’è stata confusione normativa). Potreste convincere l’ufficio a classificare la violazione come meno grave (non spettante anziché inesistente) o a riconoscere in parte il credito. Inoltre, se riuscite a dimostrare buona fede e incertezza oggettiva, potrete evitare la denuncia penale per la parte non spettante (grazie alla nuova esimente). Tutto ciò dovrebbe comparire nel PVC o negli atti istruttori, che poi condizioneranno l’avviso finale.
  • Pagamento prima dell’atto: In alcune situazioni, l’ufficio potrebbe proporvi di pagare subito il dovuto (magari con sanzione ridotta ad 1/6 o 1/5) per chiudere lì la faccenda senza emettere l’atto. Ad esempio, se siete pronti a versare e a rinunciare ad ogni contestazione, l’ufficio potrebbe emettere un atto di adesione immediata o darvi la chance di pagare l’avviso bonario con sanzione ridotta. Valutate questa opzione se l’errore è evidente, per evitare aggravi futuri.

Dopo la notifica dell’atto: opzioni di reazione

Una volta notificato l’avviso di accertamento/atto di recupero, il contribuente ha alcune opzioni principali:

  1. Pagare ed eventualmente definire la sanzione ridotta (acquiescenza): se si riconosce la fondatezza della pretesa, pagando entro 60 giorni si ottiene la chiusura della vicenda. Come detto, pagando nei termini potete versare solo 1/3 della sanzione (invece del 100%), beneficiando di uno sconto notevole. L’atto si intenderà definito e non impugnato. Attenzione: l’acquiescenza comporta la rinuncia al ricorso, quindi va scelta solo se siete certi di non avere appigli difensivi o se magari l’ufficio vi ha già fatto uno “sconto” in fase di accertamento.
  2. Accertamento con adesione (post-notifica): entro il termine per ricorrere (60 gg) potete presentare all’Ufficio un’istanza di accertamento con adesione anche dopo aver ricevuto l’atto. Ciò sospende i termini per impugnare per 90 giorni. L’ufficio vi convocherà per discutere. Nell’adesione potete cercare un accordo su somme e sanzioni. Ad esempio, potreste convincere l’ufficio a ridurre la sanzione contestando la qualificazione del credito, o a ridurre l’importo del credito indebito portando nuove prove. Se trovate l’accordo, si formalizza un atto di adesione: pagherete quanto concordato (imposte e interessi integralmente, sanzioni ridotte a 1/3 per legge e ulteriormente abbattute della metà se l’adesione avviene dopo PVC). L’adesione ha il vantaggio di evitare la lite e ottenere sanzioni ridotte. Con le modifiche normative recenti, l’adesione è ammessa anche per gli atti di recupero, opportunità che prima non era chiara.
  3. Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria): se non si aderisce o l’adesione fallisce, il contribuente può impugnare l’atto entro 60 giorni dalla notifica (o 150 giorni se risiede all’estero). Il ricorso va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente (in base al domicilio fiscale). Nel ricorso si possono far valere vizi formali (nullità dell’atto, difetto di motivazione, notifica invalida, ecc.) e vizi sostanziali (inesistenza del credito contestato, spettanza del credito, decadenza dei termini, errata qualificazione come inesistente vs non spettante, errori di calcolo nei conteggi, sanzioni applicate in misura non corretta, etc.). È molto importante, come già evidenziato, verificare se l’Ufficio ha rispettato i termini di decadenza: se ad esempio l’atto è arrivato dopo 6 anni e riguarda un credito che a vostro giudizio era non spettante, potrete eccepire la decadenza (illegittimità per tardività). A tal fine potrebbe essere opportuno nel ricorso sostenere che il credito era riscontrabile da controlli formali, quindi non spettante, quindi l’atto doveva arrivare entro 5 anni. Questo argomento, suffragato dal principio delle SU, può portare all’annullamento totale dell’atto se il giudice concorda. Altra difesa comune è contestare la qualificazione dei fatti: ad esempio, se vi imputano un credito inesistente ma voi dimostrate che avete effettivamente sostenuto quelle spese (solo non erano agevolabili), potete far ricondurre il caso al “non spettante”. Ciò ridurrebbe la sanzione (70%→25% se il giudizio avviene dopo la riforma) e come detto invaliderebbe l’atto se tardivo. Anche contestare errori di motivazione è possibile: se l’atto non spiega chiaramente le ragioni per cui il credito è indebito, potrebbe essere annullabile per difetto di motivazione. Con la mole di dettaglio richiesto oggigiorno però è raro che l’Agenzia non motivi minimamente (specie con richiami a PVC ecc.). Un altro profilo di difesa è la proporzionalità delle sanzioni: si può chiedere al giudice una riduzione per particolare tenuità, ma in ambito tributario c’è poca discrezionalità (le sanzioni sono legali fisse o minime). Tuttavia, se i fatti sono antecedenti e la nuova legge sanzionatoria è più favorevole, va invocato che il giudice applichi quest’ultima (es: violazione 2022, giudizio nel 2025 → sanzione ridotta al 25/70% se più favorevole).
  4. Sospensione e tutela cautelare: se presentate ricorso, potete anche chiedere alla Corte una sospensione dell’esecuzione dell’atto, qualora l’esecuzione (ossia il pagamento) vi arrechi un danno grave e irreparabile e il ricorso presenti profili di fondatezza. Nel caso di importi elevati, è opportuno farlo per evitare di dover pagare subito. La Corte deciderà in tempi rapidi sulla sospensione. Se concessa, l’AdER non potrà procedere alla riscossione finché la causa è pendente o fino a successiva ordinanza.
  5. Conciliazione giudiziale: durante il processo tributario, è possibile in ogni grado tentare una conciliazione con l’Agenzia. Ad esempio, in primo grado prima dell’udienza o in appello, le parti possono accordarsi su una cifra di compromesso. In caso di conciliazione, le sanzioni sono ulteriormente ridotte al 50% di quelle irrogabili e gli interessi fino a rideterminazione. Questo strumento è utile se emergono dubbi reciproci: il contribuente magari riconosce parte del dovuto, l’Ufficio teme di perdere su qualche punto, si viene a patti evitando ulteriori costi di giudizio.
  6. Cassazione: se si arriva fino alla Corte di Cassazione, il tema sarà di puro diritto. In tema di compensazioni indebite, come visto, la Cassazione si è espressa con principi chiari. Quindi se la questione è se era 5 o 8 anni, o se è non spettante vs inesistente, la Cassazione fa valere i suoi principi. Quindi c’è una certa prevedibilità. Arrivare in Cassazione però è lungo e costoso, pertanto auspicabilmente si risolverà prima.

Aspetti particolari di difesa

  • Buona fede e incertezza normativa: se la compensazione indebita deriva da un’interpretazione plausibile poi smentita, sottolineate la vostra buona fede e l’obiettiva incertezza. Ciò può non evitare il recupero del tributo (che va comunque pagato se dovuto), ma può evitare sanzioni penali e magari convincere l’ufficio a rinunciare a sanzioni amministrative o applicare la misura minima. Ad esempio, molti crediti R&S erano basati su prassi ministeriali poi modificate: chi ha seguito la prassi del tempo potrebbe invocare l’esimente di cui all’art.6, c.2 D.Lgs.472/97 (errore scusabile per incertezza normativa). I margini non sono ampi, ma tentare è lecito.
  • Documentazione: in caso di contestazione di un credito per mancanza di documenti (es. mancava la certificazione o la fattura), se riuscite a recuperare dopo tali documenti potete produrli anche in giudizio. Talvolta la Commissione li accetta e ritiene che se il credito c’era e la mancanza era solo formale poi sanata, la sanzione può essere annullata in virtù della nuova norma del 250€ se si rientra nei termini di sanatoria. Ad esempio, se avevate omesso di inviare una comunicazione ma l’avete fatta prima della dichiarazione successiva, portate la prova e chiedete applicazione del 4-ter (€250) o addirittura il riconoscimento pieno del credito se l’adempimento non era essenziale.
  • Prescrizione del reato: se vi contestano penalmente il reato di indebita compensazione, va valutata la decorrenza dei termini di prescrizione (che per il 10-quater attualmente sono 6 anni di base, aumentabili). Può capitare che, essendo reati non di dichiarazione ma di omesso versamento, si individuino quando è troppo tardi per punirli. In sede tributaria questo non incide sul dovuto, ma sul penale sì. Far valere la prescrizione penale evita condanne.
  • Scissione posizioni: se siete una società, distinguete la posizione della società (che paga sanzioni amministrative) da quella degli amministratori (che rispondono penalmente). A volte l’amministratore può dire “non sapevo fosse inesistente, mi sono fidato del consulente”, tentando di scaricare dolo. Ma attenzione, spesso non funziona: l’amministratore è responsabile degli F24 firmati.
  • Coinvolgimento del professionista: se un credito indebito è frutto di un visto di conformità infedele, valutate la possibilità di chiamare in causa il professionista per risarcimento danni o comunque per fargli correggere lui l’errore (ad esempio integrando la dichiarazione). Il professionista può avere una responsabilità solidale su sanzioni e interessi se dal suo visto infedele è scaturito l’indebito (lo prevede l’art.39 D.Lgs. 241/97 e normative successive). Quindi potrebbe dover pagare parte delle sanzioni, alleviando il peso sul contribuente (questo però è un rapporto a latere, l’Agenzia comunque colpisce il contribuente, starà a quest’ultimo rivalersi).
  • Rateizzazione: se dovete pagare importi elevati, potete chiedere la rateazione dopo l’iscrizione a ruolo (le cartelle sono rateizzabili fino a 72 rate ordinarie o 120 straordinarie). Anche l’importo concordato in adesione è rateizzabile (fino a 8 rate trimestrali). Quindi pianificate i pagamenti per non mettere in crisi la liquidità.

Casi particolari e giurisprudenza rilevante

Esploriamo ora alcuni casi particolari che rientrano nelle compensazioni indebite, con riferimenti a sentenze recenti e a situazioni peculiari:

Compensazione indebita di contributi previdenziali

Come già accennato, utilizzare crediti inesistenti o non spettanti per pagare contributi INPS o altri oneri previdenziali è una fattispecie compresa a pieno titolo nell’indebita compensazione. Ad esempio, un’azienda potrebbe compensare un credito fiscale per non pagare i contributi dei dipendenti. Ciò era controverso sul piano penale (risolto ora in senso affermativo: è reato oltre soglia anche per contributi). Sul piano amministrativo, l’INPS in passato notificava verbali e sanzioni civili (che sono diverse: l’INPS applica sanzioni civili da omesso versamento che possono essere > 30% annuo). Tuttavia, oggi, con l’art.38-bis, dovrebbe essere l’Agenzia Entrate a recuperare quel mancato versamento contributivo, applicando le sanzioni tributarie (25%/70%). Questo genera un po’ di confusione: teoricamente potrebbero coesistere le sanzioni civili INPS e quelle tributarie. Ci sarà bisogno di coordinamento inter-ente per evitare doppie punizioni. È probabile che, in pratica, per contributi, l’INPS continui a calcolare le sue sanzioni civili (che però hanno natura risarcitoria) mentre l’Agenzia applichi quelle tributarie come previsto. Dal punto di vista del contribuente, bisognerà vigilare di non pagare due volte per lo stesso. In sede giurisprudenziale, Cassazione penale, sent. n. 33893/2022 ha ribadito l’inclusione dei contributi nel reato di indebita compensazione, consolidando un orientamento ormai univoco. Sul piano amministrativo, non risultano al 2025 ancora sentenze di merito sulla nuova procedura unificata contributi-fisco, ma è verosimile che la competenza esclusiva all’Agenzia (richiamata anche da autorevoli commentatori) verrà confermata.

Crediti d’imposta per Ricerca & Sviluppo (R&S)

Questo merita un approfondimento perché è stato un terreno fertile di compensazioni contestate. Il credito R&S (art.3 DL 145/2013 e succ.) era un’agevolazione molto diffusa 2015-2019, ma soggetta a interpretazioni controverse. Molte imprese si sono viste contestare questi crediti, talora con l’accusa di averli gonfiati (quindi in parte inesistenti) o di aver incluso spese non ammissibili (non spettanti). Nel 2023, come visto, le Sezioni Unite hanno esaminato proprio casi di R&S, definendo i principi generali. Hanno anche confermato che in tema di R&S, se le spese sono reali ma non qualificabili come ricerca, è credito non spettante, quindi 5 anni e sanzione 30% (ora 25%). Questo ha fatto sì che molte cause tributarie pendenti si risolvessero a favore dei contribuenti quando l’Agenzia aveva usato 8 anni per contestare crediti poi ritenuti semplicemente non spettanti. Ad esempio, Cass. n. 11910 del 6/5/2025 (Sez. V civile) ha cassato un accertamento tardivo su un credito R&S poiché la Corte di merito non aveva verificato se il credito fosse inesistente o solo non spettante; ha ordinato un rinvio per applicare il criterio SU. Ciò mostra che la Cassazione vigila sull’esatta qualificazione.

Il legislatore, conscio del caos su R&S, ha predisposto la citata sanatoria “riversamento”: chi entro certe date (riaperto al 3 giugno 2025) riversava i crediti R&S indebitamente fruiti (limitatamente a quelli per spese non ammissibili, non a quelli fittizi fraudolenti), otteneva lo stralcio di sanzioni e interessi e la non punibilità penale. Molte aziende hanno aderito per chiudere la partita. Ovviamente per chi non ha aderito, l’Agenzia procede con gli atti di recupero ordinari. Ma se la vostra azienda rientrava in quella casistica, potrete difendervi anche dicendo: “Vedete, la mia era questione di interpretazione, tant’è che era sanabile senza sanzioni; non trattatemi come frodatore”. Non è una difesa giuridica in sé, ma può influenzare la percezione del giudice sulla buona fede.

Bonus edilizi e cessione crediti

Altro caso esplosivo: i bonus edilizi (Ecobonus, Sismabonus, Superbonus 110% ecc.) spesso sono stati trasformati in crediti e compensati da cessionari (banche, imprese). L’Agenzia ha scoperto enormi truffe con crediti inesistenti (lavori mai fatti, asseverazioni false). Per bloccarle, ha congelato e controllato molte compensazioni. In caso di crediti inesistenti, l’atto di recupero verrà notificato ai soggetti che li hanno utilizzati in compensazione. Questi soggetti (spesso intermediari finanziari) potranno rivalersi sui cedenti truffaldini, ma intanto rischiano di dover pagare. La difesa in questi casi può essere complessa: alcuni cessionari hanno eccepito di essere terzi in buona fede. Tuttavia, nel sistema attuale se il credito era inesistente all’origine, la buona fede non salva dal recupero (salva forse da sanzioni penali, se uno prova di non sapere, ma amministrativamente il debito resta). Aspettiamo pronunce di merito: finora, alcune Commissioni hanno dato ragione a cessionari in buona fede, ritenendo che l’Agenzia avrebbe dovuto vigilare a monte e che punire il cessionario ignaro è contrario ai principi (ci sono state pronunce favorevoli ai cessionari soprattutto su crediti ante DL 157/2021, che ha introdotto verifiche più stringenti). Ma altre decisioni confermano il recupero anche al cessionario, salvo rivalersi civilmente. Nel 2025 il dibattito è aperto. In ogni caso, formalmente l’atto di recupero colpirà chi ha compensato, quindi va preparata una difesa magari basata sull’affidamento incolpevole (non facile in tributi).

Compensazione di debiti erariali con crediti verso la PA

Un caso peculiare: un’impresa ha un credito commerciale verso la Pubblica Amministrazione (es: fornitore dello Stato non pagato per €200.000) e decide di compensarlo con cartelle esattoriali o debiti fiscali. Questa pratica, se non autorizzata da apposite norme (ci sono stati di anno in anno provvedimenti per compensare crediti PA certificati con debiti fiscali, ma con procedure ad hoc), costituisce indebita compensazione perché la legge non consente di usare crediti extra-fiscali liberamente. Quindi quell’impresa potrebbe ricevere un avviso di recupero per aver non pagato le imposte, ritenendo di poter opporre il credito verso la PA. Purtroppo l’ordinamento non ammette l’autotutela compensativa in questi casi, se non appunto in contesti regolati. Pertanto, chi dovesse adottare questa soluzione “fai da te” andrebbe incontro a sanzione piena e recupero. La difesa qui è praticamente impossibile sul merito (la compensazione non era permessa). Al più si può invocare la non punibilità per forza maggiore se senza quella compensazione l’azienda falliva, ma raramente attacca. Meglio evitare simili mosse se non autorizzate.

Giurisprudenza di merito sul “cumulo giuridico” delle sanzioni

Un tema tecnico: se un contribuente compensa indebitamente crediti in più anni o riferiti a più tributi, si tratta di violazioni distinte o unitarie? In genere, ogni modello F24 in cui avviene la compensazione indebita costituisce una violazione a sé. Quindi se per 3 anni di fila hai compensato indebitamente, avrai tre atti (o un atto unico ma con tre addebiti e sanzioni cumulate). Esiste il principio del “cumulo giuridico” (art.12 D.Lgs.472/97) che prevede, per violazioni della stessa indole commesse in tempi diversi, una sanzione unica aumentata, invece che la somma aritmetica. Ad esempio, se hai 3 violazioni da 25% ciascuna, in cumulo paghi 25% + aumento dal 1/4 al doppio. Molti ricorrenti chiedono l’applicazione di questo cumulo per le compensazioni indebite commesse in più periodi d’imposta, sostenendo che siano della stessa indole. La giurisprudenza su questo ha dato esiti contrastanti: in alcuni casi si è riconosciuto (specie se l’atto unico contestava più anni come spesso succede con i crediti R&S pluriennali). In altri casi no, trattando ciascun anno separatamente. Con la riforma 2024 che ha modificato sanzioni e definizioni, sarà interessante vedere se considereranno ad esempio compensare indebitamente un credito IVA e un credito IRAP nello stesso anno come due violazioni distinte di diversa indole (essendo tributi diversi) o stessa indole (violazioni compensative). Tendenzialmente si propende per stessa indole se ricade tutto sotto l’art.13 commi 4-bis/5, e quindi si può chiedere il cumulo. Questa eccezione può ridurre l’esborso sanzionatorio totale.

Caso di errore del software o terzo: esimenti?

Un caso di scuola: se la compensazione indebita è avvenuta per un errore informatico (es: il software del commercialista duplicava un credito) e il contribuente in buona fede non se n’è accorto, si può evitare la sanzione per mancanza di dolo/colpa? Le sanzioni amministrative tributarie richiedono quantomeno la colpa. Se dimostro che l’errore non è ragionevolmente imputabile a me (mi affidavo a un programma certificato, c’è stata una anomalia), potrei invocare l’esimente dell’assenza di colpevolezza (art. 6, c.3 D.Lgs.472/97). Non è facile, ma in qualche caso le Commissioni hanno annullato sanzioni se l’errore era davvero imprevedibile. Naturalmente il tributo va comunque versato.

Abbiamo evidenziato una serie di situazioni: l’importante per il contribuente è mantenere un approccio proattivo, documentare tutto, farsi assistere da esperti (un avvocato tributarista può fare la differenza in questi contenziosi complessi), e valutare bene costi/benefici di andare in fondo o transare.

Passiamo ora a una sezione di Domande e Risposte riassuntiva, per chiarire i dubbi frequenti in materia.

Domande e Risposte frequenti

Che cos’è un avviso di accertamento per compensazioni indebite?

Risposta: È un provvedimento con cui l’Agenzia delle Entrate (o altro ente competente) contesta al contribuente di aver utilizzato un credito non spettante o inesistente in compensazione, omettendo così il pagamento di somme dovute. L’atto quantifica l’ammontare indebitamente compensato (che va versato) e applica le relative sanzioni e interessi. In pratica, è l’equivalente di un accertamento fiscale, specifico però per il recupero di crediti d’imposta (o contributivi) utilizzati senza averne diritto. Può essere chiamato anche “atto di recupero crediti indebitamente compensati”. Ad esempio, se hai usato un credito d’imposta fittizio di €10.000 per non pagare IVA, l’avviso di accertamento ti chiederà quei €10.000 di IVA, più sanzione e interessi, poiché quel credito era indebito.

Quando si configura una “compensazione indebita” di crediti?

Risposta: Quando utilizzi in F24 (o comunque in compensazione) un credito al quale non avevi diritto (credito non spettante) oppure un credito che in realtà non esiste affatto (credito inesistente). I casi tipici sono:

  • Crediti non spettanti: crediti reali ma usati oltre il dovuto o senza rispettare le regole. Esempi: compensi più credito di quello maturato, oppure usi un credito prima del periodo consentito, o senza visto obbligatorio, ecc.. Il credito formalmente c’era, ma tu non potevi usufruirne in quel modo/momento.
  • Crediti inesistenti: crediti fittizi, creati con artifici o errori clamorosi. Esempi: crediti d’imposta inventati, basati su operazioni inesistenti o su requisiti falsi. In sostanza hai “pagato” tasse o contributi con un credito che era carta straccia.
    In entrambe le situazioni hai abbattuto un debito tributario/previdenziale senza in realtà averne titolo. Quindi hai omesso di fatto un versamento dovuto. Questo configura la violazione di indebita compensazione.

Quali sanzioni si applicano in caso di compensazioni indebite?

Risposta: Sul piano amministrativo, fino ad agosto 2024 si applicavano:

  • Sanzione del 30% dell’importo compensato indebitamente, se il credito era non spettante.
  • Sanzione dal 100% al 200% (in pratica almeno 100%) se il credito era inesistente.
    Dal 1° settembre 2024, per le violazioni successive (e retroattivamente se favorevole), la riforma ha introdotto:
  • Sanzione pari al 25% del credito non spettante utilizzato.
  • Sanzione pari al 70% del credito inesistente utilizzato.
    Inoltre, se il credito era sostanzialmente spettante ma usato con irregolarità formali poi sanate, la sanzione può ridursi a €250 fissi (nuovo comma 4-ter art.13 D.Lgs.471).
    Le sanzioni sono dovute oltre al recupero del tributo e agli interessi. Esistono possibilità di riduzione: ad esempio, se paghi senza impugnare l’avviso hai diritto a versare solo 1/3 della sanzione, e con il ravvedimento operoso la sanzione si riduce molto prima dell’accertamento.
    Sul piano penale, se l’importo indebitamente compensato supera €50.000 annui, scatta il reato ex art. 10-quater D.Lgs.74/2000:
  • Crediti non spettanti >50k: reclusione 6 mesi – 2 anni.
  • Crediti inesistenti >50k: reclusione 1 anno e 6 mesi – 6 anni.
    Quindi attenzione: oltre alle multe, se eccedi quella soglia rischi un processo penale. (Nota: se c’era oggettiva incertezza sul credito, la legge esclude la punibilità penale per i non spettanti).

Qual è la differenza tra un “credito non spettante” e un “credito inesistente”?

Risposta: In breve, un credito non spettante è un credito vero che però tu non avevi diritto di utilizzare (ad esempio, perché ne hai usato troppo, o perché non hai rispettato una condizione formale), mentre un credito inesistente è un credito falso, che non ha base reale. La differenza sta nel fatto che nel primo caso il credito poteva legittimamente esistere ma tu ne hai abusato, nel secondo caso il credito è frutto di un artificio o errore fondamentale. Questa distinzione ha conseguenze importanti:

  • Solo per i crediti inesistenti l’Amministrazione ha 8 anni per notificarvi l’atto (per i non spettanti 5 anni).
  • I crediti inesistenti scontano sanzioni molto più alte (prima 100-200%, ora 70%) rispetto ai non spettanti (30% o ora 25%).
  • Penalmente, crediti inesistenti sono più gravi (pena fino a 6 anni) vs non spettanti (fino a 2 anni).
    La Cassazione ha spiegato che un credito è “inesistente” quando manca il presupposto e la sua falsità non è rilevabile da controlli formali; se invece l’errore è facilmente riscontrabile sulle carte, allora si tratta di credito “non spettante”. Esempio: dichiari un credito per una spesa mai fatta = inesistente; dichiari un credito per spese fatte ma non agevolabili = non spettante.

Entro quanto tempo può arrivare un avviso di accertamento per compensazione indebita?

Risposta: Dipende dalla natura del credito contestato:

  • Se il credito era non spettante, l’atto deve esserti notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui hai usato il credito. Ad esempio, hai compensato indebitamente nel 2020, il Fisco ha tempo fino al 31/12/2025.
  • Se il credito era inesistente, il termine è più lungo: entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo. Quindi per un uso indebito nel 2020, fino al 31/12/2028.
    Questi termini sono fissati dall’art. 38-bis DPR 600 (in vigore dal 2024) e recepiscono la giurisprudenza (prima c’erano 2 anni per non spettanti e 8 per inesistenti, ma il termine di 2 anni era troppo breve e non applicato; ora è 5 anni). Per atti emessi prima del 2024, spesso si faceva riferimento ai termini ordinari d’accertamento (5 anni) o ad altre norme. In pratica oggi puoi aspettarti:
  • Se si tratta di un controllo automatico (errore palese), l’avviso arriva di solito entro 2-3 anni dall’utilizzo (spesso preceduto da una comunicazione).
  • Se è una verifica complessa, potrebbero prendersi più tempo, ma comunque devono stare dentro i 5 o 8 anni a seconda del caso.
    Ricorda: se arrivano oltre 5 anni sostenendo sia inesistente per coprire 8 anni, e tu invece provi che era non spettante, potresti far valere la decadenza. Viceversa, se era veramente fraudolento, fino a 8 anni sei “a rischio”.

Cosa fare se ricevo un avviso di accertamento per compensazioni indebite?

Risposta: Innanzitutto, niente panico: analizza attentamente l’atto (meglio con l’aiuto di un professionista) e verifica:

  • Quale credito ti contestano e di quale anno? È un credito che effettivamente hai utilizzato in F24? Risulta dalle tue dichiarazioni?
  • Viene qualificato come non spettante o inesistente? Quali motivi hanno scritto?
  • Hanno rispettato i termini (è arrivato entro 5 o 8 anni)?
  • L’importo e il conteggio delle sanzioni sono corretti?
    Dopodiché hai alcune opzioni:
  1. Se riconosci l’errore e non hai margini di difesa, valuta di aderire subito: puoi pagare entro 60 giorni per chiudere la questione, sfruttando la sanzione ridotta a 1/3. Ad esempio, ti contestano €1.000 di credito non spettante, sanzione 25% = €250, pagando subito paghi solo ~€83 di sanzione + interessi e chiudi.
  2. Se credi che la contestazione sia parzialmente o totalmente sbagliata, prepara la difesa: puoi presentare un’istanza di accertamento con adesione per discutere con l’ufficio (sospendendo i termini), oppure andare direttamente in ricorso entro 60 giorni. Nella difesa puoi ad esempio sostenere che il credito in realtà spettava (quindi nulla da pagare), oppure che era un non spettante e non inesistente (riducendo sanzioni o facendo cadere l’atto tardivo), o ancora segnalare vizi formali dell’atto. È consigliabile farsi assistere da un avvocato tributarista o dal commercialista, perché sono questioni tecniche.
  3. Chiedi eventualmente la sospensione se l’importo è grande e fai ricorso: presentando istanza al giudice tributario per sospendere la riscossione fino a sentenza.
  4. Non ignorare l’atto: se non fai nulla entro 60 giorni, diventa definitivo e dovrai pagare tutto, magari con cartella e ulteriori aggiunte. Quindi agisci entro le scadenze.
    In sintesi: verifica, scegli se pagare con sconto o contestare, e muoviti tempestivamente. Tenere un atteggiamento proattivo può farti risparmiare soldi (aderendo con sanzioni ridotte se hai torto) o annullare l’atto (se hai ragione e lo dimostri).

Posso regolarizzare spontaneamente una compensazione indebita (ravvedimento operoso)?

Risposta: Sì. Finché non ti arriva un avviso di accertamento (o una formale contestazione) puoi sempre fare ravvedimento operoso. In pratica:

  • Calcoli le imposte/contributi che avresti dovuto pagare se non avessi usato il credito indebito.
  • Le versi (magari presentando un F24 integrativo o una dichiarazione integrativa).
  • Paghi anche gli interessi maturati (al tasso legale) dal giorno in cui avresti dovuto pagare originariamente.
  • Applichi su quel tributo una sanzione ridotta: la sanzione base sarebbe 30% (o 25%) se non spettante o 100% (o 70%) se inesistente, ma col ravvedimento la riduci in base al ritardo. Ad esempio, se ravvedi entro 1 anno, paghi solo 1/8 della sanzione base. Quindi per 30% sarebbe 3.75%.
  • Indichi il ravvedimento magari anche in dichiarazione successiva (per sanare aspetti dichiarativi).
    Facendo ciò volontariamente eviti l’arrivo di sanzioni piene e soprattutto eviti il penale. Infatti, se ti ravvedi e paghi, non potranno più contestarti il reato (perché il reato è “non versare”, ma tu hai versato seppur tardi; per i crediti inesistenti oltre soglia formalmente il reato c’è comunque fino al ravvedimento, ma in pratica difficilmente procederanno se hai sistemato tutto).
    Quindi, se ti accorgi dell’errore prima che lo faccia il Fisco, ravvediti! È la strada meno costosa e senza strascichi. Anche dopo un eventuale avviso bonario (tipo comunicazione 36-bis) puoi ravvederti con sanzione ridotta 1/6 se entro termini leggermente maggiori (c’è una finestra prevista dalla legge di Bilancio 2023 per “ravvedimento speciale” su violazioni fino al 2021 con 1/18 di sanzioni – se rientra, ancora meglio).
    Tieni presente che dopo che hai in mano un PVC di verifica o un atto di accertamento, il ravvedimento “ordinario” non è più ammesso. Potrai magari transare con adesione ma non col ravvedimento unilaterale.

Se la compensazione indebita supera una certa soglia, rischio conseguenze penali?

Risposta: Sì. Se l’ammontare indebitamente compensato (non spettante o inesistente) supera €50.000 in un anno, scatta il reato di indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs.74/2000). Le pene:

  • €50.000 di crediti non spettanti: reclusione fino a 2 anni (minimo 6 mesi).
  • €50.000 di crediti inesistenti: reclusione fino a 6 anni (minimo 1 anno e mezzo).
    In pratica per crediti inesistenti la pena massima è molto più alta. Inoltre, c’è differenza perché per i non spettanti c’è ora una clausola di non punibilità se c’era incertezza tecnica sul credito, mentre per gli inesistenti no (sono considerati frodi). Va chiarito che la soglia di 50k si riferisce al credito indebito utilizzato per anno: quindi se in un anno solare hai compensato 60k tra IVA e contributi non dovuti, sei sopra soglia. Se hai fatto 30k in un anno e 30k l’anno dopo, singolarmente non superi soglia (anche se sommati sono 60, penalmente contano separati per anno di imposta).
    Le conseguenze penali comportano processo, e possibili misure come il sequestro dei beni fino a concorrenza del profitto (ti possono sequestrare beni per l’importo non versato), la condanna comporta la confisca di tali beni e ovviamente precedenti penali.
    Da notare: se paghi tutto il dovuto (imposta, interessi, sanzioni amministrative) prima che si apra il dibattimento penale, per i crediti non spettanti la punibilità è esclusa (reato non punibile). Per i crediti inesistenti la legge non lo prevede espressamente, ma il pagamento integrale potrebbe comunque portare a esiti sanzionatori minori (attenuanti). In generale, ravvedersi o saldare il debito il prima possibile aiuta moltissimo per evitare guai penali.
    Infine, come detto, la soglia vale anche per contributi INPS ecc., non solo tasse. Quindi non pensare “era contributo, niente penale” – non è così, contribuisce al conteggio se compensato via F24.

Il divieto di compensazione con debiti > 100.000 € (dal 2024) cosa comporta?

Risposta: Dal 1° luglio 2024 è in vigore una norma che vieta ai contribuenti con debiti erariali a ruolo scaduti sopra 100mila € di utilizzare in compensazione crediti fiscali. In pratica, se hai cartelle esattoriali o accertamenti definitivi non pagati per imposte statali oltre 100.000 €, non potrai più presentare F24 in compensazione (verrebbero scartati). Devi prima ridurre quel debito sotto soglia (pagando o almeno rateizzandolo).
Questo non è retroattivo, ma da luglio 2024 in poi se provi a compensare e hai quel profilo, l’F24 non passerà. Se per assurdo un F24 passasse e poi si scopre che non doveva, credo rientrerebbe nel concetto di compensazione indebita (perché stai compensando in violazione di un divieto di legge). Quindi attenzione: se rientri in quella casistica, regolarizza il debito a ruolo magari chiedendo una rateazione (la norma infatti dice che se hai una rateazione attiva torni a poter compensare). Questo serve a evitare che grossi debitori continuino a non pagare accumulando debiti su debiti con scappatoie di crediti.
In sintesi, per la guida: il divieto è una misura preventiva, non ti fa proprio usare il credito. Se comunque tu riuscissi a farlo (magari con qualche workaround), sarebbe sicuramente contestato come indebito.

Vale anche per crediti INPS o altri crediti non tributari?

Risposta: Sì. La normativa (specialmente dal 2024) include qualsiasi credito compensato in F24. Inizialmente c’era un dubbio se i contributi previdenziali fossero compresi: oggi è chiaro di sì. Il reato penale copre qualsiasi “somma dovuta” versata con F24, quindi anche contributi e premi INAIL ecc. Amministrativamente, l’art. 38-bis DPR 600/73 menziona espressamente “contributi e agevolazioni indebitamente fruiti” e “crediti d’imposta ceduti senza requisiti” nel suo ambito. Quindi ad esempio:

  • Se hai usato un credito INPS non spettante (esempio: un credito per un esonero contributivo che non ti spettava), l’Agenzia Entrate potrà emettere atto di recupero allo stesso modo di un credito fiscale, entro 5 anni.
  • Se hai compensato un credito di agevolazione (tipo un credito per investimento al Sud) poi revocato perché non avevi i requisiti, idem, recupero.
  • Se hai comprato un credito edilizio rivelatosi fasullo e lo hai compensato, rientri tra le “cessioni di crediti d’imposta in mancanza dei requisiti” da recuperare.
    In passato magari l’INPS faceva per conto suo (chiedeva i contributi non versati con avviso di addebito). Ora c’è questo coordinamento, vedremo come si muoveranno nella pratica. Ma per te cambia poco: il risultato è che se hai “saltato” dei pagamenti contributivi o altro usando crediti non validi, vieni colpito allo stesso modo.

Se il credito contestato in parte mi spettava davvero, cosa succede?

Risposta: Può capitare che l’Ufficio ti contesti un importo maggiore ma tu riesci a dimostrare che almeno una parte del credito era legittima. In sede di difesa (adesione o ricorso) si cercherà di far riconoscere la parte spettante. L’atto di recupero allora verrà parzialmente annullato o rideterminato. Pagherai solo la quota relativa al credito effettivamente indebito. Anche la sanzione verrà ricalcolata su quella parte. Ad esempio: ti contestano 50k come indebito, ma 20k erano ok – alla fine pagherai 30k di tributo, più sanzioni su 30k e non su 50k. Per questo è importante documentare bene eventuali pezzi di credito spettanti. Se avevi già tutta la documentazione anche prima, forse l’atto non sarebbe arrivato: a volte però ci sono valutazioni qualitative (es: riconoscere un progetto come R&S). Il giudice tributario può anche nominare un CTU (consulente tecnico) per valutare queste cose, specie per crediti tecnici (edilizia, R&S, ecc.).
Insomma, l’accertamento non è “tutto o niente”: puoi vincere anche parzialmente. In quel caso di solito le spese processuali si compensano e ognuno paga il suo legale, ma almeno hai risparmiato parte dei soldi.

L’avviso di accertamento per compensazione indebita può essere impugnato come un normale accertamento?

Risposta: Sì, esattamente. Devi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (nuovo nome delle Commissioni Tributarie) entro 60 giorni, come faresti per un accertamento su IRPEF o IVA. Si segue il D.Lgs. 546/92, quindi con le stesse regole di processo tributario. Puoi far valere sia vizi formali sia di merito. Il giudice potrà annullare o modificare l’atto. L’atto di recupero è un atto “impositivo”, quindi rientra a pieno titolo tra quelli impugnabili in giustizia tributaria (non è considerato mera sanzione amministrativa, ma un atto di accertamento e irrogazione sanzioni insieme).
Una particolarità: talvolta l’Agenzia potrebbe averti notificato un semplice “atto di contestazione sanzioni” se magari il tributo l’avevi poi versato spontaneamente. Anche quello è impugnabile allo stesso modo. Ma di solito se scoprono un credito indebito, l’importo del tributo manca, quindi è un atto che contiene sia tributo che sanzione.

Quali sono le principali difese che posso opporre per annullare o ridurre l’atto?

Risposta: Riassumendo quanto detto:

  • Eccepire la decadenza: se l’atto è arrivato tardi (oltre 5 anni per non spettante o oltre 8 per inesistente). Devi però dimostrare che, se loro si appellano agli 8 anni dicendo “inesistente”, in realtà era un credito verificabile e quindi non spettante (5 anni). Questa è una difesa tecnica ma molto efficace se applicabile.
  • Contestare la qualificazione: sostenere che il credito era spettante (quindi l’atto sarebbe completamente infondato), oppure se non lo era, era però non spettante e non inesistente (per ridurre sanzioni e termini).
  • Vizi formali: ad esempio, difetto di motivazione (se l’atto non spiega abbastanza il perché, ma di solito lo fa citando la verifica o gli esiti del controllo). Oppure notifica nulla (es. inviata alla PEC sbagliata, o firmata da soggetto non competente). Questi possono portare ad annullamento totale.
  • Errori di calcolo: controlla se hanno calcolato giusti interessi e sanzioni. Se c’è un errore, va segnalato e l’atto va corretto di conseguenza.
  • Buona fede/compliance: non è una difesa che annulla il debito, ma può convincere i giudici a interpretare a tuo favore dubbi. Ad esempio, se c’era incertezza interpretativa, il giudice potrebbe applicare l’esimente sanzionatoria per incertezza normativa (quindi togliere sanzioni).
  • Cumulo giuridico: se l’atto copre più anni o violazioni, chiedi che si applichi l’art.12 D.Lgs.472 (sanzione unica con aumento). Può ridurre l’ammontare sanzionatorio.
  • Prova documentale: porta tutte le carte che supportano l’esistenza del credito, anche se l’ufficio le ha ignorate. Il giudice potrebbe essere convinto dalla documentazione e riconoscerti il credito.
  • Irrilevanza del fatto (in sede penale più che tributaria): se l’importo è modesto, nel penale esiste la particolare tenuità (ma nel tributario amministrativo no, devi pagare anche 1 euro se dovuto). Comunque per sanzioni amministrative, l’art. 6 comma 5-bis D.Lgs.472/97 dà discrezionalità di non applicare sanzioni se la violazione è minima e senza danno all’erario; però una compensazione indebita genera danno, difficile invocarlo.
    Ogni caso è a sé, quindi la difesa va cucita su misura. Però questi sono i filoni più comuni su cui basarsi.

Dopo aver ricevuto l’avviso, posso ancora rateizzare o devo pagare tutto in una volta?

Risposta: Allora, entro i 60 giorni se vuoi definire con acquiescenza devi pagare tutto subito (con sanzione ridotta a 1/3). Se però impugni o lasci scadere, la somma andrà a ruolo. Una volta emessa la cartella di pagamento, potrai chiedere la rateizzazione all’Agente della Riscossione (di solito fino a 72 rate mensili per importi sopra €120, oppure fino a 120 rate se dimostri grave difficoltà). Anche in sede di adesione, la legge ti consente fino a 8 rate trimestrali (2 anni) per pagare l’importo concordato. Quindi sì, c’è modo di non pagare tutto insieme se l’importo è alto. Importante: se rateizzi con l’AdER, devi comunque rinunciare al ricorso (o ritirarlo) perché la rateizzazione della cartella implica accettazione del debito. Se sei in causa, puoi chiedere al giudice di sospendere la riscossione, ma il debito non è rateizzabile finché pende la causa (lo sarebbe solo dopo sentenza e iscrizione a ruolo, salvo tu faccia conciliazione). In adesione invece è contestuale: firmi l’accordo e paghi la prima rata, poi le altre. Se salti una rata l’adesione decade e si riprende con l’atto iniziale.
In pratica: prima dei 60gg, niente rate, solo sconto 1/3 se paghi; dopo i 60gg, aspetti la cartella e rateizzi con AdER; in adesione, 8 rate max.
Se ti serve dilazione prima, a volte l’Agenzia, su importi grossi, propone di rateizzare l’acquiescenza stessa facendoti più accertamenti (ma è una prassi non standard). Comunque la via ordinaria è quella detta.


Di seguito, per comodità, riportiamo una sezione con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate nella guida.

Fonti (normativa, prassi e giurisprudenza)

  • Decreto Legislativo 12 febbraio 2024, n. 13 – Introduzione dell’art. 38-bis nel DPR 600/1973 sul recupero dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione. Pubblicato in G.U. il 14 febbraio 2024.
  • Decreto Legislativo 14 giugno 2024, n. 87 – Riforma del sistema sanzionatorio tributario (attuazione L. 111/2023). Modifiche all’art. 13 D.Lgs. 471/1997 (sanzioni su crediti non spettanti/inesistenti) e all’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000. In vigore dal 29 giugno 2024, disposizioni applicabili alle violazioni dal 1° settembre 2024.
  • Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13 – Sanzioni per omessi versamenti e indebite compensazioni. Versione ante e post riforma 2024.
  • Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater – Reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti (soglia €50.000). Come modificato dal D.Lgs. 75/2020 e D.Lgs. 87/2024 (introduzione comma 2-bis esimente).
  • Legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Legge di Bilancio 2024), art. 1 comma 94 – Divieto di compensazione con crediti fiscali in presenza di debiti erariali > €100.000 scaduti. Modificato da D.L. 29 marzo 2024, n. 39.
  • Legge 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1 commi 421-423 – Disciplina previgente del recupero crediti indebitamente utilizzati (abrogata dal 30/4/2024).
  • Decreto-Legge 29 novembre 2008, n. 185, art. 27 commi 16-20 – Termini 8 anni per crediti inesistenti (previgenti, abrogati dal 2024).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 16/E del 28.06.2024 – Chiarimenti sul divieto di compensazione con debiti >100.000 €.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 1/E del 12.02.2020 – Misure anti-frode in compensazione introdotte dal DL 124/2019 (visto di conformità > €5.000, sospensione F24 anomali, ecc.).
  • Risoluzione Agenzia Entrate n. 67/E del 06.12.2023 – Chiarimenti sul momento di commissione della violazione di indebita compensazione (rileva la data di utilizzo in F24).
  • Sentenza Corte di Cassazione – SS.UU. civili n. 34419 dell’11.12.2023 e n. 34452 dell’11.12.2023. Principi di diritto sulla distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti (termini accertamento e sanzioni).
  • Sentenza Corte di Cassazione – Sez. Unite penali n. 30365 del 24.07.2024. Chiarimenti sul calcolo della soglia di punibilità di €50.000 per il reato di indebita compensazione (va riferita all’importo dei crediti indebitamente utilizzati per singolo periodo d’imposta).
  • Sentenza Corte di Cassazione – Sez. III penale n. 33893 del 12.09.2022. Consolidamento giurisprudenziale: anche i contributi previdenziali rientrano nel reato di indebita compensazione ex art.10-quater D.Lgs.74/2000.
  • Sentenza Corte di Cassazione – Sez. V civile n. 11910 del 06.05.2025. In tema di credito R&S non spettante, conferma applicazione termine quinquennale (no otto anni) se l’inesistenza era rilevabile; rinvio al giudice di merito per qualificazione conforme ai principi SS.UU..
  • Atto di indirizzo MEF 01.07.2025 n. 18 – “Crediti d’imposta non spettanti o inesistenti” – Linee guida operative post-riforma sanzioni (anticipato da comunicati stampa e approfondimenti vari: es. Diritto Bancario, 09.07.2025).

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Le compensazioni fiscali, se non correttamente effettuate, possono dare luogo a pesanti sanzioni, iscrizioni a ruolo immediate e, nei casi più gravi, denunce per indebita compensazione. Ma molti errori sono formali o recuperabili, e puoi difenderti efficacemente.


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  • ✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e compensazioni fiscali
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Conclusione

Un avviso di accertamento per compensazioni indebite non va ignorato, ma può essere contestato con efficacia se agisci subito.
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