Hai ricevuto un accertamento fiscale fondato sui movimenti del conto corrente della tua convivente? L’Agenzia delle Entrate ti contesta redditi non dichiarati basandosi su versamenti, bonifici o prelievi effettuati su un conto non intestato a te? Ti stai chiedendo se è legittimo e come puoi difenderti?
L’Agenzia può estendere i controlli bancari anche ai conti di familiari o conviventi, ma non può automaticamente attribuire quei movimenti al contribuente senza prove concrete. È fondamentale sapere quali sono i tuoi diritti e come contestare accertamenti basati solo su presunzioni.
Quando può partire un accertamento sui conti della convivente?
– Quando emerge che il contribuente non ha conti intestati, ma utilizza abitualmente quelli altrui
– Se vi sono versamenti o accrediti sospetti a favore del convivente
– In presenza di trasferimenti ricorrenti tra conti
– Se l’Agenzia sospetta una intestazione fittizia per nascondere redditi o patrimoni
Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate?
– Che i movimenti sul conto della convivente siano in realtà riferibili al contribuente
– Che il convivente gestisca fondi per conto del contribuente
– Che il conto corrente venga usato come strumento per eludere imposte
– Che i versamenti non giustificati siano ricavi in nero non dichiarati
Come difendersi da un accertamento fondato su conti non propri?
– Dimostra che non sei titolare né delegato del conto
– Prova che i movimenti riguardano redditi o attività esclusivamente della convivente
– Documenta la separazione patrimoniale e l’autonomia economica tra i due
– Spiega con prove concrete la natura di ogni singolo movimento contestato
– Richiedi l’accesso agli atti e presenta memorie difensive dettagliate
– Se necessario, presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento dell’accertamento
Cosa puoi ottenere con una difesa ben impostata?
– Annullamento dell’accertamento, se mancano elementi oggettivi di collegamento
– Sospensione della riscossione, per evitare pignoramenti e blocchi
– Esclusione dell’obbligo dichiarativo, se non vi è prova che i fondi siano tuoi
– Tutela della tua posizione fiscale e familiare, evitando conseguenze ingiuste
L’Agenzia delle Entrate non può attribuire movimenti a te solo perché sei convivente: serve un nesso diretto tra quei fondi e la tua attività o capacità contributiva.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in accertamenti bancari e contenzioso tributario ti spiega come difenderti da contestazioni fondate su conti intestati a conviventi, cosa deve provare il Fisco e quali strumenti legali hai a disposizione.
Hai ricevuto un avviso ingiusto legato al conto di un familiare o convivente? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo ogni movimento e ti diremo come annullare l’accertamento e difendere i tuoi diritti.
Introduzione
In Italia il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutto il suo patrimonio presente e futuro. Ciò significa che, in linea generale, i creditori (incluso il Fisco) possono aggredire solo i beni del debitore e non quelli di terzi. I beni e i conti di una convivente di fatto, in quanto persona distinta, non sono aggredibili di per sé. Il principio è sancito dall’art. 2740 c.c.: «Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni». In assenza di eccezioni legislative, non è ammissibile colpire direttamente i beni di un terzo estraneo all’obbligazione.
Anche la normativa sulla convivenza di fatto (legge n. 76/2016) conferma che patrimoni e redditi dei conviventi restano separati. Solo tramite un esplicito contratto di convivenza i partner possono optare per la comunione dei beni; in difetto, i beni acquistati rimangono di proprietà esclusiva di chi li ha comprati. In sintesi, non esiste un vincolo patrimoniale automatico tra conviventi: ciascuno risponde dei propri debiti con i propri beni.
Il pignoramento presso terzi e i conti della convivente
Il pignoramento presso terzi (artt. 543 e ss. c.p.c.) consente a un creditore di vincolare crediti del debitore detenuti da terzi. Tipicamente si esegue mediante atto notificato al terzo (es. banca) che detiene il credito (ad es. somme sul conto corrente). Tuttavia, questo strumento colpisce soltanto i crediti del debitore: un conto non intestato a lui non rientra normalmente nel suo patrimonio. Come spiegato da una recente analisi giuridica, «l’ufficiale giudiziario può sequestrare beni o crediti intestati al debitore; se un bene risulta intestato a un familiare (coniuge, convivente) questi è considerato terzo rispetto all’esecuzione e gode del diritto di opporsi». In sostanza, i beni intestati alla convivente sono tutelati: non possono essere pignorati di per sé, a meno di prova contraria. In particolare, una tabella ricostruttiva evidenzia che i «Beni del convivente more uxorio del debitore» sono “in generale non pignorabili, salvo prova di effettiva titolarità del debitore”. Se il conto è intestato solo alla partner, essa può opporsi al pignoramento come terzo, dimostrando – ad esempio con certificati di residenza o stato di famiglia – la separazione patrimoniale.
Se invece il conto è cointestato tra debitore e convivente (analogamente al conto coniugale), vige la regola della contitolarità solidale: i cointestatari sono presunti avere eguale titolarità e imputabilità delle operazioni. La Cassazione ha affermato che «i cointestatari si presumono contitolari solidali del rapporto di conto corrente», superabile solo da prova contraria assai rigorosa. In caso di pignoramento su conto cointestato, l’ufficiale giudiziario vincolerà l’intero saldo (o almeno la quota del debitore). La convivente potrà poi in sede di opposizione rivendicare la sua quota, recuperando la parte non spettante al debitore.
In sintesi:
- Conto intestato al debitore: pignorabile integralmente (possibilità di opposizione non rilevante per il convivente).
- Conto intestato alla convivente: di norma inalienabile ai fini dell’esecuzione: il debitore non ne può disporre, a meno di (dimostrata) intestazione fittizia dei fondi.
- Conto cointestato (conviventi): presumibilmente controllato congiuntamente; può essere pignorata la quota del debitore, mentre la convivente può opporsi per recuperare la propria parte.
Il convivente non debitore deve opporsi tempestivamente: l’azione tipica è l’opposizione di terzo (artt. 615 e ss. c.p.c.), da depositare entro 15 giorni dalla notificazione del pignoramento. Nel ricorso l’opponente dovrà esibire prove documentali (visure, certificati, contratti) che rendano «verosimile la titolarità» del bene. La Cassazione sottolinea che non è sufficiente una dichiarazione verbale: di solito occorrono elementi concreti, come ad esempio lo stato di famiglia, la residenza separata o atti notarili che attestino la proprietà esclusiva. Se il terzo riuscisse a dimostrare in giudizio che il bene (o le somme) sono effettivamente riconducibili al debitore (ad esempio in caso di interposizione fittizia), il pignoramento potrebbe essere convalidato.
Accertamenti bancari e indagini fiscali
Sul fronte fiscale, l’Amministrazione può svolgere indagini finanziarie (art. 32 DPR 600/1973). Tale norma attribuisce all’Agenzia il potere di richiedere a banche, Poste e istituti vari informazioni su «qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata» dai contribuenti. In altre parole, gli uffici possono ottenere estratti conto e dati relativi ai movimenti anche su conti riconducibili alla convivente. Dal punto di vista formale, questi elementi possono essere utilizzati per costruire l’avviso di accertamento (artt. 38-41 DPR 600) a carico del contribuente. Tuttavia, l’uso di tali dati è regolato: le somme riscontrate in sede di indagine vanno poste a base di rettifica solo se il contribuente non prova di averle già dichiarate o della loro irrilevanza.
Una questione chiave è se e come questi dati provenienti dai conti terzi possano essere imputati al contribuente. L’art. 37, comma 3, DPR 600/1973 stabilisce che i redditi di altri soggetti sono attribuibili al contribuente solo se emergono presunzioni gravi, precise e concordanti di «effettivo possesso per interposta persona». In sostanza serve dimostrare l’intestazione fittizia di un conto intestato alla convivente. Su questo punto la Cassazione ha più volte pronunciato un principio importante: non è necessario provare formalmente che il conto sia «fittiziamente intestato» al contribuente, ma basta che risultino collegamenti reali. In Cass. 13473/2014 si legge infatti che «non è necessaria… la dimostrazione di una intestazione fittizia dei conti, ma è sufficiente all’accertamento di maggior reddito anche solo l’utilizzazione, sia pure parziale, del conto (intestato a terzi realmente) per operazioni riferibili al contribuente». In pratica, se il contribuente ha movimentato dal conto della convivente somme riferibili alla propria attività economica, l’Agenzia può imputarne l’ammontare a suo reddito, a meno che il contribuente non produca prova contraria.
La tendenza della giurisprudenza recente è comunque a circoscrivere il potere investigativo. Nell’ordinanza n. 13761/2025 la Cassazione ha chiarito che i conti di familiari o conviventi possono finire nel mirino solo se ci sono indizi concreti di frode. In altri termini, l’estensione dell’indagine richiede elementi specifici (e non generiche analogie) che facciano ritenere probabile l’interposizione fittizia. Se tali presupposti mancano, l’accertamento esteso al conto della convivente è illegittimo.
Dal punto di vista probatorio, la regola è a carico del contribuente: se il Fisco imputa somme non dichiarate tramite indagini su conti di terzi, spetta al contribuente stesso dimostrare le ragioni di quelle somme. I dati ottenuti non devono essere “convertiti” automaticamente in imposta, ma costituiscono un presupposto di accertamento che il contribuente può contestare. Viceversa, in sede contenziosa il Tribunale tributario valuterà se le presunzioni sono sussistenti o se il contribuente ha fornito giustificazioni attendibili (es. bonifici di donazioni, rimborsi, introiti leciti).
Difese e rimedi del debitore
Opposizione di terzo (procedura civile)
Se l’ufficiale giudiziario pignora il conto della convivente, questa può agire in sede civile. L’opposizione di terzo (art. 615 c.p.c. e seguenti) permette di far valere il proprio diritto di proprietà o titolarità sul conto contestato. Bisogna depositarla presso il giudice dell’esecuzione entro 15 giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento. Nel ricorso il terzo deve provare la titolarità del conto o delle somme. Come visto, è necessario esibire documenti certi: certificato di residenza, stato di famiglia, atto di acquisto del conto o fondi, estratti conto, dichiarazioni fiscali, accordi formali di separazione patrimoniale, ecc. Cass. ord. 10543/2019 ha sottolineato che spesso non basta la testimonianza, ma serve «documentazione (visure, contratti, certificati)» che attesti la non convivenza o la titolarità esclusiva. Se il giudice accoglie l’opposizione, annulla il pignoramento sull’ammontare contestato o rimuove il vincolo sulle somme rivendicate.
Contenzioso tributario
Se l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento basato su indagini sui conti della convivente, il contribuente può impugnare l’atto davanti alla Commissione tributaria provinciale. In appello e in Cassazione si discuteranno l’ammissibilità e la correttezza delle indagini. Il contribuente dovrà dimostrare la mancanza di motivi legittimi (ad esempio, assenza di indizi di frode) e fornire prove contrarie: se il Fisco ha calcolato un maggior reddito imputando i movimenti del conto al contribuente, occorrerà fornire giustificazioni realistiche (es. fatture, contratti di vendita di beni, prove di terzi). La recente giurisprudenza (Cass. 13761/2025) va incontro a questa difesa, richiedendo che l’accertamento bancario sui conti di terzi sia motivato da elementi concreti.
Rimedi risarcitori
Il titolare del conto che subisce prelievi non autorizzati dal convivente-debitore può anche agire separatamente per il risarcimento del danno o ripetizione di indebito (art. 2033 c.c.). Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 5841/2025) hanno ribadito che ogni movimentazione uscita dal conto «operata in assenza di disposizioni in tal senso dell’intestatario» è atto illecito che consente un’azione risarcitoria o restitutoria. Ciò significa che, se il debitore ha illegalmente utilizzato i fondi della convivente, lei può chiedere indietro le somme (e il debitore non può appellarsi al fatto di aver estinto il proprio debito intestando i soldi a lei, perché quel movimento illecito rimane distinto dall’erogazione iniziale). In pratica, se il conto è stato sacrificato per frodare i creditori, la convivente potrà chiedere giustizia anche in sede civile.
Domande e risposte
- D: Il Fisco può controllare il conto corrente intestato alla mia convivente senza autorizzazione?
R: L’Agenzia delle Entrate può ottenere informazioni bancarie su ogni cittadino, compresi i familiari e conviventi, solo previa autorizzazione e nei limiti previsti dall’art. 32 DPR 600/1973. Le banche infatti sono obbligate a fornire dati delle operazioni. Tuttavia, ciò non equivale a eseguire automaticamente un accertamento: serve una motivazione seria. In base alla Cassazione 13761/2025, il controllo sui conti di conviventi è lecito solo se esistono indizi concreti di frode o intestazione fittizia. In assenza di elementi del genere, il solo fatto di essere convivente non giustifica indagini su quel conto. - D: Che succede se io uso il conto della convivente per la mia attività?
R: Secondo la giurisprudenza tributaria, anche l’uso parziale del conto di terzi può far scattare un accertamento. Cass. 13473/2014 ha stabilito che «non è necessaria la prova di intestazione fittizia»: infatti basta che risulti un collegamento contabile con il contribuente. In pratica, se dai movimenti bancari emerge che eri tu a versare/incassare sul conto di lei e usavi quei fondi per i tuoi affari, l’Agenzia può considerare quelle somme come tuoi redditi non dichiarati, fino a prova contraria. - D: Come posso difendermi se arriva un pignoramento sul conto della convivente?
R: La convivente (terzo estraneo) deve subito fare opposizione di terzo (art. 615 c.p.c.) nel termine di 15 giorni. Nel ricorso dovrà documentare la sua proprietà esclusiva del conto. Importante è produrre atti ufficiali che attestino la titolarità: certificato di residenza, stato di famiglia, contratto di vendita dell’immobile eventualmente usato a garanzia, estratti conto a suo favore, ecc. La Cassazione evidenzia che «per bloccare il pignoramento è necessaria documentazione… che indichi chiaramente la proprietà del bene». Se convince il giudice, il pignoramento cadrà o sarà limitato a ciò che eventualmente appartiene al debitore. - D: E se il conto è cointestato tra me e la convivente?
R: Allora si presume una contitolarità solida. In base a Cass. 28772/2023, siete solidalmente titolari del rapporto bancario. Se viene pignorato tutto il conto, l’ufficiale trattiene l’intero saldo, salvo poi dividere il ricavato dopo l’esproprio. La convivente potrà rivendicare la sua quota nella procedura. In fase di esecuzione, può però chiedere sin dall’inizio di determinare il pignoramento limitato alla sola quota imputabile al debitore, presentando prove (es. dichiarazioni congiunte, versamenti separati) che smentiscano la solidarietà al 100%. In assenza di prove, comunque, la cointestazione facilita il creditore. - D: Quali documenti mi servono per dimostrare che le somme non sono mie?
R: Vanno prodotti documenti che spieghino l’origine delle somme sul conto. Ad esempio, contratti che giustifichino pagamenti ricevuti (vendite, locazioni), ricevute di bonifici da terzi legittimi, fatture emesse (se imprenditrice), estratti conto di altri conti, o contratti di lavoro che attestino il proprio reddito. Anche certificati anagrafici sono utili: uno stato di famiglia o un certificato storico di residenza separata dimostra che non eravate strettamente conviventi al momento della transazione. In generale, ogni elemento che renda «gravi, precisi e concordanti» i fatti a favore del terzo può vincere le presunzioni del Fisco.
Tabelle riepilogative
Situazione | Pignorabilità (debito civile) | Accertamento fiscale |
---|---|---|
Conto intestato al debitore | Pignorabile integralmente (tutti i suoi beni rispondono ai creditori) | L’Agenzia considera legalmente tutte le movimentazioni (prelievi/versamenti) come sue; l’onere è del contribuente provare l’esattezza della propria dichiarazione. |
Conto intestato alla convivente | In genere non pignorabile (bene di terzo), salvo provi l’ufficio; il convivente può opporsi con opposizione di terzo | L’Agenzia può indagare i movimenti bancari ma può imputare al contribuente solo ciò che esiste una presunzione di possesso (indizi di intestazione fittizia). |
Conto cointestato (conviventi) | Pignorabile la quota imputabile al debitore; l’altro cointestatario può chiedere la propria parte | L’intero conto può essere oggetto di controllo; ogni operazione può essere imputata al contribuente fino a prova contraria da parte del terzo. |
Movimenti sospetti su conto altrui | Non pignorabile di per sé, ma l’uso effettivo può far scattare l’imputazione fiscale | L’uso parziale o totale del conto altrui per fini del contribuente è presunzione legale di redditualmente rilevante. |
Simulazioni pratiche
- Simulazione 1 – Indagini fiscali: Mario, titolare di azienda, versa parte dei propri incassi sul conto corrente intestato alla convivente Anna. L’Agenzia delle Entrate, in base all’art. 32 DPR 600/73, ottiene gli estratti conto di Mario e Anna. Vede bonifici da clienti al conto di Anna che in parte coprono fatture emesse da Mario. Senza ulteriori prove, il Fisco potrebbe sospettare un trasferimento illecito. Tuttavia, in mancanza di evidenze precise, Anna potrebbe opporsi richiedendo la documentazione: ad esempio, prova che quelle somme sono frutto di una donazione regolare, di un investimento comune o del suo reddito. L’ordinanza Cass. 13761/2025 richiede proprio che esistano «indizi che possano portare a ipotizzare trasferimenti sospetti di denaro». Se Mario e Anna dimostrano la liceità dei movimenti, l’accertamento sarà annullato nella sua estensione al conto di Anna.
- Simulazione 2 – Esecuzione civile: Un creditore ottiene sentenza esecutiva contro Giovanni. Scopre che Giovanni versa spesso stipendi e affitti sul conto di Paola (convivente). Tenta di pignorare quel conto presso la banca. Paola, ricevuto l’atto, deposita opposizione di terzo. Nel ricorso espone di non aver mai avuto obblighi fiscali connessi alla ditta di Giovanni e allega contratto di locazione a suo nome, dichiarazioni dei redditi personali e certificato di residenza indipendente. Il giudice valuta che non esistono motivi concreti per considerare il conto di Paola come mero alter ego di Giovanni; annulla così il pignoramento sulle somme di Paola. Nel contempo, Paola potrebbe anche agire in via civile per il risarcimento qualora Giovanni avesse indebitamente prelevato denaro dal suo conto (illecito ex art. 2041 c.c.).
In entrambe le simulazioni, è cruciale intervenire rapidamente con i ricorsi opportuni: nel pignoramento si agisce con l’opposizione di terzo, mentre nell’accertamento con i ricorsi tributari.
Fonti normative
- Codice Civile, art. 2740 (responsabilità patrimoniale del debitore).
- Codice di Procedura Civile, artt. 543-562 (pignoramento presso terzi) e artt. 615-619 (opposizione di terzo).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 (poteri di indagine finanziaria).
- L. 20 maggio 2016, n. 76 (nuove norme sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto).
Giurisprudenza principale
- Cass. Civ., ord. n. 13761/2025 – estende a conviventi i controlli bancari solo con elementi indiziari concreti.
- Cass. Civ., ord. n. 13473/2014 – anche l’uso parziale di conto intestato a terzi consente accertamento fiscale senza necessità di dimostrare intestazione fittizia.
- Cass. Civ., ord. n. 28772/2023 – principio di contitolarità solidale dei conti cointestati tra coniugi/conviventi.
- Cass. Civ., Sez. U., n. 5841/2025 – prelievo non autorizzato dal conto altrui è illecito risarcibile.
- Cass. Civ., ord. n. 10543/2019 – occorre documentazione (es. stato di famiglia) per bloccare pignoramenti su conti terzi.
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Conclusione
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