Studio Legale Per Assistenza Su Accertamenti E Indagini Fiscali: Cosa Fa

Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate, un invito al contraddittorio, una verifica fiscale o un avviso di accertamento? Oppure sei stato oggetto di una perquisizione, acquisizione di documenti o accesso della Guardia di Finanza? Ti stai chiedendo cosa fa uno studio legale specializzato in accertamenti e indagini fiscali, e in che modo può aiutarti a difenderti efficacemente?

In presenza di un controllo fiscale o di un’indagine tributaria, è fondamentale essere assistiti da avvocati esperti in diritto tributario e penale-tributario, in grado di intervenire subito, analizzare gli atti ricevuti e costruire una strategia difensiva mirata, tempestiva e documentata.

Cosa fa uno studio legale per la difesa in caso di accertamento o indagine fiscale?
– Esamina tutti gli atti ricevuti: inviti al contraddittorio, PVC, avvisi di accertamento, atti di contestazione
– Verifica la legittimità delle prove acquisite, dei calcoli effettuati e delle presunzioni fiscali usate
– Analizza se sono stati rispettati i termini e le procedure di legge (es. contraddittorio preventivo, motivazione, notifiche)
– Redige e presenta memorie difensive, istanze di accesso, richieste di annullamento o autotutela
– Accompagna il contribuente nel percorso di adesione, mediazione o ricorso tributario
– In caso di indagine penale, assicura la difesa tecnica davanti alla Procura o al GIP
– Collabora con consulenti fiscali e periti per elaborare ricostruzioni contabili alternative
– Tutela il cliente anche sul piano patrimoniale, prevenendo pignoramenti e iscrizioni a ruolo

Quando serve rivolgersi subito a uno studio legale esperto in difesa tributaria?
– Se ricevi un invito a comparire o una richiesta di documentazione
– Se sei stato sottoposto a verifica fiscale o accesso presso la sede dell’attività
– Se ti notificano un avviso di accertamento fondato su presunzioni, ISA, ricarichi o controlli bancari
– Se ricevi una contestazione penale per dichiarazione infedele, omessa o frode fiscale
– Se vuoi regolarizzarti con il ravvedimento operoso, ma hai bisogno di un supporto legale per evitare errori

Quali sono i vantaggi di affidarti a un avvocato specializzato in accertamenti fiscali?
– Ottieni una valutazione legale dettagliata della tua posizione fiscale e patrimoniale
– Eviti errori strategici o documentali che potrebbero compromettere la difesa
– Riduci o annulli le sanzioni grazie a una difesa tecnica tempestiva
– Proteggi il tuo patrimonio personale e aziendale da azioni esecutive
– Hai un unico interlocutore per gestire sia la parte fiscale che quella penale, se coinvolta

Ogni accertamento o indagine può avere vizi formali, errori di calcolo, omissioni procedurali: la chiave è intervenire subito, con assistenza professionale, per evitare che l’accertamento diventi definitivo o che partano azioni esecutive.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in accertamenti fiscali, indagini tributarie e difesa penale-tributaria ti spiega cosa fa realmente uno studio legale in questi casi e perché è fondamentale agire fin dai primi atti notificati.

Hai ricevuto un atto dell’Agenzia delle Entrate o stai subendo una verifica fiscale? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua situazione e ti diremo come difenderti subito con una strategia legale efficace.

Introduzione

Gli accertamenti fiscali e le indagini tributarie sono procedure attraverso cui l’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza) verifica la correttezza delle dichiarazioni e dei pagamenti dei tributi da parte dei contribuenti. Dal punto di vista del contribuente (il debitore verso il Fisco), subire un accertamento o un’indagine fiscale può risultare complesso e gravoso. Negli ultimi anni (in particolare entro luglio 2025) il quadro normativo e giurisprudenziale in materia si è evoluto significativamente: è stato introdotto l’obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo (cioè il diritto del contribuente a essere ascoltato prima dell’emissione di un avviso), sono cambiate le regole sull’accertamento sintetico (nuovo redditometro o evasometro), e sono state varate riforme del processo tributario e dei termini di decadenza degli accertamenti.

Di fronte a tali novità, l’assistenza di un avvocato specializzato in diritto tributario è fondamentale: uno studio legale esperto in accertamenti e indagini fiscali tutela i diritti del contribuente in ogni fase, previene errori procedurali dell’ente impositore, valuta le strategie difensive e le soluzioni deflattive (cioè volte a evitare il contenzioso) più opportune. Questa guida avanzata, rivolta sia ai professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a privati e imprenditori, analizza tutte le categorie di accertamenti e verifiche fiscali previste dall’ordinamento italiano, illustrandone le caratteristiche e le novità normative e giurisprudenziali fino a luglio 2025.

Seguiranno inoltre delle tabelle riepilogative per confrontare i diversi metodi di accertamento e gli strumenti di difesa, una sezione di FAQ (domande e risposte) sui dubbi più comuni, ed alcuni casi pratici simulati che mostrano, dal punto di vista del contribuente-debitore, come uno studio legale può intervenire efficacemente. Il linguaggio utilizzato è giuridico ma divulgativo: ogni concetto è accompagnato da riferimenti a norme (D.P.R. 600/1973, D.P.R. 633/1972, Statuto del Contribuente – L. 212/2000, D.Lgs. 218/1997, D.Lgs. 546/1992, ecc.) e a sentenze recenti di Cassazione e Corte Costituzionale, mantenendo però un taglio pratico. L’obiettivo è duplice: informare il contribuente dei propri diritti e obblighi durante un accertamento fiscale e chiarire il ruolo dello studio legale nell’offrire assistenza tecnica, negoziale e giudiziale per ottenere il miglior esito possibile (annullamento dell’atto illegittimo, riduzione delle sanzioni, piani di pagamento sostenibili, ecc.).

In sintesi, uno studio legale specializzato in accertamenti e indagini fiscali: (a) aiuta a prevenire o gestire al meglio le verifiche (preparando la documentazione, partecipando al contraddittorio, garantendo il rispetto delle garanzie del contribuente); (b) esamina la legittimità formale e sostanziale di eventuali avvisi di accertamento notificati, individuando vizi che possano comportarne l’annullamento; (c) propone soluzioni deflattive (come l’accertamento con adesione, la mediazione o conciliazione) per definire bonariamente la pretesa fiscale quando conviene; (d) in caso di contenzioso, predispone ricorso dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria e rappresenta il contribuente in giudizio; (e) assiste il debitore anche negli aspetti di riscossione coattiva (cartelle di pagamento, fermi, ipoteche) e nei profili eventualmente penali delle violazioni tributarie. Il tutto alla luce delle ultime riforme e orientamenti giurisprudenziali, per fornire una difesa aggiornata ed efficace.

Categorie di accertamento fiscale

La legge italiana prevede diverse tipologie di accertamento tributario, ciascuna con presupposti, metodi di calcolo e normative specifiche. L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente un’imposta dovuta maggiore di quella dichiarata (o non dichiarata) e applica le relative sanzioni. A seconda delle modalità con cui viene determinata questa maggior pretesa impositiva, si distinguono varie categorie principali di accertamento:

  • Accertamento analitico (o “contabile”) – È la forma tradizionale e puntuale di accertamento, basata sull’analisi dettagliata dei singoli elementi di reddito dichiarati dal contribuente. L’ufficio finanziario verifica le scritture contabili, le fatture, i registri IVA, le dichiarazioni dei redditi, e rettifica in modo analitico (voce per voce) le poste ritenute infedeli o inesatte. Ad esempio, può riprendere a tassazione costi considerati indeducibili o ricavi non contabilizzati che emergono da fatture o documenti rinvenuti. La norma di riferimento per le imposte sui redditi è l’art. 39, co.1, lett. d del D.P.R. 600/1973, mentre per l’IVA è l’art. 54 del D.P.R. 633/1972. L’accertamento analitico richiede che la contabilità del contribuente sia attendibile nelle linee generali: l’Amministrazione rettifica solo determinati elementi, fondandosi su dati certi (documenti) o su presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti. Novità 2025: non vi sono cambiamenti sostanziali nel metodo analitico puro, ma la giurisprudenza continua a chiarirne i limiti probatori. Ad esempio, la Cassazione ha ribadito che anche comportamenti antieconomici (es. vendite sistematicamente sottocosto) possono giustificare accertamenti presuntivi: in una sentenza ha ritenuto legittimo ricostruire maggiori ricavi qualora un’impresa dichiari margini di profitto irrisori rispetto al settore, a meno che il contribuente fornisca una prova convincente del perché (es. svendita per fine attività, prodotti obsoleti, ecc.). In pratica, l’accertamento analitico può fondersi con elementi induttivi quando il risultato d’esercizio appare irragionevole rispetto ai parametri economici (si parla infatti di accertamento “analitico-induttivo” in questi casi, v. infra).
  • Accertamento analitico-induttivo – Si tratta di un accertamento “ibrido” in cui l’ufficio parte dai dati contabili del contribuente, ma – riscontrando gravi incongruenze, omissioni o anomalie nella contabilità – procede a integrare le risultanze con presunzioni semplici (non assistite da presunzione legale). In sostanza, la base imponibile viene rettificata sia analiticamente sia tramite stime fondate su elementi indiretti. È previsto dall’art. 39, co.1, lett. d-bis D.P.R. 600/1973 (introdotto dal D.L. 78/2009) per le imposte sui redditi: l’ufficio può desumere redditi non dichiarati anche in parte prescindendo dalle scritture, se queste, pur formalmente corrette, risultano inattendibili nella sostanza. Indizi tipici che legittimano l’accertamento analitico-induttivo sono: ricavi dichiarati sproporzionatamente bassi rispetto ai costi (indice di redditività anomalo), margini o ricarichi inferiori a quelli medi di settore, forte discordanza tra dati contabili e realtà aziendale (ad esempio magazzino inverosimile, elevati sprechi non giustificati, etc.). Esempio: se un negozio riporta a bilancio un utile irrisorio e percentuali di ricarico (mark-up) sui prodotti molto inferiori alla media del settore, il Fisco può presumere che parte delle vendite non siano state fatturate e ricostruire i ricavi applicando il ricarico medio di settore agli acquisti effettuati. In tal caso spetterà al contribuente, in sede di contraddittorio o di ricorso, fornire prova contraria (ad es. dimostrare che i prezzi bassi erano dovuti a merce obsoleta venduta sotto costo, o che vi sono state cause straordinarie che giustificano margini ridotti). Novità giurisprudenziali: la Cassazione ha confermato che gli indizi antieconomici possono costituire presunzioni gravi, precise e concordanti di maggior reddito. Tuttavia, ha anche chiarito che l’ufficio deve sempre indicare nell’avviso da quali fatti o dati trae le presunzioni: non è ammesso un accertamento arbitrario e totalmente sganciato da basi fattuali. Il contribuente dal canto suo può sfruttare ogni elemento per “smontare” la presunzione (onere della prova contraria), poiché in caso di dubbio non risolto da prove, le presunzioni restano valide.
  • Accertamento induttivo puro (o extracontabile) – È il metodo di accertamento più radicale e discrezionale, utilizzato quando manca del tutto la dichiarazione fiscale, oppure la contabilità è talmente irregolare o inesistente da non consentire ricostruzioni analitiche. In tali situazioni, l’Agenzia delle Entrate determina induttivamente il reddito d’impresa o di lavoro autonomo del contribuente prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili (art. 39, co.2 D.P.R. 600/1973 per le imposte dirette; art. 55 D.P.R. 633/1972 per IVA). Si parla anche di accertamento “ex art. 41” (il vecchio accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione, ora riformulato). In pratica l’ufficio può basarsi su qualsiasi elemento anche solo presuntivo – listini prezzi, consumi di materie prime, movimenti bancari, coefficienti, confronti con altri contribuenti – pur di determinare un imponibile attendibile. Esempi tipici: azienda che non presenta la dichiarazione annuale – il Fisco procede d’ufficio stimando ricavi e utili con ampio margine (spesso utilizzando i dati dei versamenti IVA periodici o altri riscontri); oppure, ristorante che non ha memorizzato scontrini – i verificatori induttivamente calcolano i coperti serviti a partire dagli acquisti di cibo (es. tot kg di pasta acquistati, porzioni vendibili, etc.). L’accertamento induttivo puro può includere l’uso di percentuali forfettarie o coefficienti presuntivi stabiliti per legge, soprattutto in caso di omessa dichiarazione. Va sottolineato che, sebbene l’ufficio abbia mano libera, l’avviso deve essere motivato con i criteri seguiti: ad esempio “visti i movimenti bancari non giustificati per €100.000 si presume un ricavo non dichiarato di pari importo”. Il contribuente, in assenza di contabilità, ha difficoltà difensive, ma può comunque dimostrare l’eventuale errore o eccesso della ricostruzione (ad es. contestando i calcoli presuntivi, provando che parte delle materie prime non si è trasformata in vendite perché rimasta invenduta o sprecata, ecc.). Novità normative: il metodo induttivo in sé non è cambiato negli ultimi anni; tuttavia, con la riforma 2023-2025 si è previsto che anche tali atti “estracontabili” rientrino nel generale obbligo di contraddittorio (salvo eccezioni): dal 2024 infatti ogni avviso di accertamento è preceduto da un invito al contraddittorio (art. 6-bis Statuto) a pena di nullità, tranne quelli esclusi dal legislatore. E tra gli atti esclusi rientrano proprio gli accertamenti d’ufficio in caso di omessa dichiarazione e alcuni accertamenti induttivi immediati (come i controlli formali ex art. 36-ter). Su questo torneremo parlando del contraddittorio obbligatorio. In breve, oggi anche per un accertamento induttivo puro – se non espressamente escluso – il contribuente deve avere la possibilità di un confronto preventivo.
  • Accertamento sintetico (redditometro, evasometro) – L’accertamento sintetico è uno strumento rivolto principalmente alle persone fisiche e mira a ricostruire il reddito complessivo del contribuente partendo dalle manifestazioni di capacità contributiva, anziché dalle risultanze contabili. Storicamente è noto come “redditometro”, basato su indicatori di spesa e di tenore di vita: l’ufficio presume un certo reddito minimo in base alle spese sostenute dal contribuente (acquisto di beni di lusso, immobili, vetture, barche, ecc.) o ad elementi patrimoniali in suo possesso. La normativa originaria (art. 38, commi 4-7 D.P.R. 600/1973) prevedeva parametri standard fissati con decreto ministeriale (es. spesa media ISTAT per componenti del nucleo familiare, ecc.). Evoluzione recente: questo strumento è stato profondamente riformato nell’ambito della “delega fiscale” 2023 (attuata con D.Lgs. 111/2023 e correttivi del 2024). In particolare, il D.Lgs. 5 agosto 2024 n.108 ha abrogato definitivamente il vecchio redditometro basato su coefficienti fissi e lo ha sostituito con un accertamento sintetico “puro”, maggiormente basato su dati reali di spesa. Sono state introdotte soglie di tolleranza più elevate, per concentrare i controlli sui casi più rilevanti: oggi l’accertamento sintetico scatta solo se il reddito complessivo accertabile eccede di almeno il 20% quello dichiarato e, in valore assoluto, di almeno 10 volte l’importo dell’assegno sociale annuo. Ad esempio, se un contribuente dichiara 30.000 € di reddito e dal tenore di vita risulta un reddito presunto di 35.000 €, lo scostamento è 5.000 € (circa 16%) e comunque sotto ~70.000 € (10× assegno sociale), dunque non si attiverebbe alcun redditometro. Viceversa, differenze ampie (es. dichiarato 20.000 €, spese per reddito stimato 50.000 €) superano entrambe le soglie e giustificano l’accertamento sintetico. Inoltre, il nuovo redditometro non utilizza più le vecchie tabelle di spesa media, ma si basa su un’analisi personalizzata delle spese effettive del contribuente (come risultano da Anagrafe Tributaria, pagamenti elettronici, comunicazioni immobiliari, etc.) incrociando molteplici banche dati. In pratica è un vero “evasometro”, ossia un algoritmo che confronta entrate dichiarate e uscite sostenute: se queste ultime sono troppo elevate rispetto alle prime, la differenza può essere considerata reddito non dichiarato. Resta ferma la possibilità per il contribuente di difendersi dimostrando che le spese sono state finanziate con redditi diversi da quelli del periodo (es. utilizzo di risparmi accumulati negli anni precedenti, redditi esenti o già tassati, aiuti familiari, liquidazione TFR, ecc.). La norma infatti specifica una serie di giustificazioni ammesse, e la Cassazione ha ulteriormente chiarito che non esistono limiti rigidi alla prova contraria: ad esempio, anche l’uso di riserve di risparmio pregresse può spiegare uno scostamento, non essendo la difesa ristretta alle sole voci tassativamente elencate (redditi esenti o di terzi). Novità 2024: dal 18 gennaio 2024 l’avviso di accertamento sintetico è divenuto atto impugnabile autonomamente (prima era preceduto da invito a comparire e non immediatamente impugnabile) e rientra quindi nell’obbligo di contraddittorio preventivo generalizzato. Inoltre, come detto, dal 2024 sono operative le nuove soglie di legge e criteri del D.Lgs. 108/2024, superando definitivamente il redditometro versione 2012-2017. Questo comporta controlli più mirati: l’Agenzia delle Entrate incrocia i dati finanziari, bancari, immobiliari, assicurativi, etc., per individuare situazioni di spesa palesemente incompatibili col reddito dichiarato. Si tenga presente che l’accertamento sintetico riguarda il reddito complessivo della persona e non entra nel dettaglio delle singole fonti: dopo aver stimato un maggiore reddito globale, l’Ufficio invita il contribuente a fornire chiarimenti (fase di contraddittorio obbligatorio) e solo in seguito emette un avviso con l’imponibile sintetico. Le sanzioni applicabili, in caso di esito negativo, sono quelle per infedele dichiarazione sul maggior reddito accertato.
  • Accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione – Quando un contribuente non presenta la dichiarazione dei redditi (o IVA) entro i termini, l’Amministrazione finanziaria procede a determinare l’imponibile con potestà sostitutive ampie. Si parla comunemente di accertamento d’ufficio, ed è disciplinato dall’art. 41 D.P.R. 600/1973 (oggi confluito nell’art. 39 comma 2) per i redditi e dall’art. 55 D.P.R. 633/1972 per l’IVA. In tali casi l’Ufficio non è vincolato ai dati eventualmente risultanti dalle scritture (se esistenti) e può avvalersi di ogni informazione disponibile per ricostruire il giro d’affari. Spesso utilizza i dati dei versamenti IVA effettuati dal contribuente (liquidazioni periodiche) come base per stimare il volume d’affari annuo, oppure dati comunali (ad es. rendite catastali per stimare redditi fondiari non dichiarati). L’avviso di accertamento d’ufficio riporta l’imposta calcolata, interessi e sanzioni molto elevate per omessa dichiarazione (dal 120% al 240% dell’imposta evasa, minimo €250). Poiché l’omessa dichiarazione costituisce anche reato tributario se l’imposta evasa supera una certa soglia (art. 5 D.Lgs. 74/2000), spesso a tali accertamenti si accompagna una segnalazione alla Procura (si veda oltre la parte penale). Il contribuente può difendersi dimostrando, ad esempio, che alcuni redditi tassati nell’accertamento in realtà non erano dovuti (perché esenti, o già tassati alla fonte) oppure che l’ufficio ha sovrastimato il volume d’affari. Novità procedurali: come anticipato, gli accertamenti per omessa dichiarazione rientrano tra quelli esclusi dall’obbligo di contraddittorio ex art. 6-bis Statuto (perché l’interesse fiscale al rapido recupero in assenza di dichiarazione è considerato preminente). Ciò significa che l’ufficio può notificare direttamente l’atto senza previo invito, anche dopo il 2024. Ciononostante, è sempre raccomandabile per il contribuente contattare un legale non appena ricevuto l’avviso: spesso entro i 60 giorni di impugnazione è possibile avviare un dialogo informale o una procedura di accertamento con adesione per ridurre le sanzioni e concordare l’importo (l’adesione è applicabile anche agli omessi dichiarativi). Va ricordato che, in base ai termini decadenziali attuali, un’omessa dichiarazione 2020 è accertabile sino al 31 dicembre 2027 (termine di 7 anni).
  • Accertamento parziale – Introdotto nell’ordinamento per consentire interventi mirati e tempestivi, l’accertamento parziale (art. 41-bis D.P.R. 600/1973 per le imposte dirette; art. 54, co.5 D.P.R. 633/1972 per IVA) è un avviso che rettifica singoli elementi del reddito o IVA senza attendere un accertamento complessivo. Di norma scaturisce da segnalazioni specifiche o dal confronto con banche dati: ad esempio, la scoperta di un conto estero non dichiarato, la vendita di un immobile non riportata, compensi indicati in certificazioni ma non dichiarati, ecc. In questi casi l’Agenzia delle Entrate può emettere un accertamento parziale limitato al recupero dell’imponibile relativo a quell’elemento. Il vantaggio per il Fisco è procedere più velocemente (spesso l’atto parziale non richiede un Processo Verbale di Constatazione preventivo) e non preclude ulteriori accertamenti sullo stesso anno per altri fatti. Per il contribuente, trovarsi davanti a un parziale significa dover contestare immediatamente quella specifica pretesa, sapendo però che l’anno rimane “aperto” per eventuali altre contestazioni separate. Esempi di accertamento parziale: 1) l’Anagrafe dei conti segnala ingenti versamenti non giustificati su un conto – l’ufficio emette un parziale per redditi non dichiarati di pari importo, fondato sui soli dati bancari; 2) incroci con Agenzia del Territorio rilevano la cessione di un immobile – se il relativo plusvalore non è stato tassato, arriva un parziale su quel reddito. In passato l’accertamento parziale non era impugnabile se non insieme all’eventuale successivo avviso completo, ma la giurisprudenza e la prassi hanno chiarito che anche il parziale è un autonomo atto impugnabile. Contraddittorio: la riforma ha previsto che l’obbligo di contraddittorio preventivo non si applichi ad alcuni atti, tra cui gli accertamenti parziali e gli esiti di controlli automatizzati. Ciò significa che un parziale può essere notificato senza invito al contraddittorio (confermato dal D.M. MEF 4.4.2024). Tuttavia, la Cassazione negli ultimi anni aveva già teso a richiedere un minimo di interlocuzione anche per i parziali basati esclusivamente su studi di settore o su indagini finanziarie: ad esempio, ha annullato accertamenti parziali da studi di settore emessi senza contraddittorio (ordinanza n. 9554/2024). Dal 2024 questa giurisprudenza diventa meno rilevante perché vige il nuovo art. 6-bis L.212/2000 che fa salve espressamente le eccezioni di legge: dunque il parziale legittimamente rientra tra le eccezioni. Ciò non toglie che il contribuente, se non condivide i risultati del parziale, possa comunque utilizzare gli strumenti deflattivi (presentare istanza di adesione entro 30 giorni) oppure direttamente il ricorso in Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria) entro 60 giorni. Un fatto peculiare: se il contribuente aderisce a un accertamento parziale, definendo quella materia, e poi l’Ufficio effettua un secondo accertamento sullo stesso anno, la sanzione per l’omessa dichiarazione di quella materia non può essere ridotta di 1/3 tramite acquiescenza perché l’atto precedente definito ha reso definitiva la dichiarazione su quel punto (questo aspetto è complesso ma è stato discusso in prassi). Per semplicità, conviene considerare ogni atto come indipendente ai fini difensivi.
  • Accertamento integrativo (o modificativo) – L’Amministrazione finanziaria ha la possibilità di emanare ulteriori avvisi di accertamento sul medesimo periodo d’imposta di un contribuente, in aggiunta al primo, qualora emergano nuovi elementi o si debbano correggere errori. L’art. 43, co.3 del D.P.R. 600/1973 (come modificato dal D.Lgs. 193/2016) permette l’accertamento integrativo a favore o sfavore del contribuente entro i termini decadenziali (5 o 7 anni). Ciò significa, ad esempio, che se dopo un primo accertamento l’ufficio scopre altre fonti di reddito occultate, può integrare con un secondo avviso (purché notificato entro la scadenza prevista per quell’anno). Si distingue dall’accertamento suppletivo del passato (non più previsto espressamente) in quanto si tratta di nuovi atti autonomi. Inoltre, con la riforma 2023 è stato esplicitato che l’ufficio può anche procedere in autotutela sostitutiva: ovvero, se un primo avviso presenta un vizio o un errore, l’Amministrazione può annullarlo in autotutela e contestualmente emetterne uno nuovo corretto, anche con contenuto peggiorativo per il contribuente. Questo punto era controverso ma le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 30051/2024 hanno stabilito la legittimità di tale prassi, chiarendo che non viola il divieto di doppia imposizione sullo stesso fatto, purché il primo atto venga ritirato. Dunque, oggi l’ufficio può scegliere: se l’errore è parziale, fare un integrativo limitato; se l’errore è radicale (es. notifica nulla, ecc.), annullare e rifare l’atto ex novo. Dal lato del contribuente, un accertamento integrativo si impugna come ogni altro, potendo eccepire eventualmente l’illegittimità se riguarda elementi già definiti o se è stato notificato oltre il termine. Accertamento sostitutivo è un termine usato quando l’atto nuovo sostituisce integralmente il precedente (tipicamente dopo autotutela): in tal caso il processo sul primo atto diventa improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse (se pende un ricorso, va dichiarato estinto perché l’atto impugnato non esiste più).
  • Accertamento esecutivo (titolo esecutivo per la riscossione) – L’aggettivo “esecutivo” riferito agli avvisi di accertamento è entrato in uso a seguito delle norme che, dal 2010, hanno unificato la fase di accertamento e riscossione. In particolare, il D.L. 78/2010 (conv. L. 122/2010) ha previsto che gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate per imposte sui redditi, IVA e IRAP divengano esecutivi decorso il termine per ricorrere (60 giorni dalla notifica). Ciò significa che trascorso tale termine senza pagamento o impugnazione, l’atto vale come titolo per iscrivere a ruolo le somme e avviare la riscossione coattiva senza necessità di notifica di una cartella di pagamento. In pratica, l’avviso stesso contiene l’intimazione ad adempiere entro 30 giorni dall’affidamento in riscossione (che avviene dopo i 60 giorni) e viene poi seguito soltanto da un avviso bonario di presa in carico da parte dell’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione). Questo meccanismo ha velocizzato la riscossione, ma impone ai contribuenti una maggiore attenzione: l’inerzia post-notifica è molto pericolosa, perché allo scadere dei termini l’accertamento esecutivo porta direttamente a fermi amministrativi, pignoramenti o ipoteche, senza ulteriori passaggi giudiziari. Tutela del contribuente: per bilanciare il sistema, la legge prevede che se il contribuente presenta ricorso entro 60 giorni, l’affidamento al riscossore è sospeso per un periodo (di norma 90 giorni dall’affidamento, quindi circa 180 giorni dalla notifica) durante il quale il contribuente può chiedere al giudice tributario la sospensione dell’atto. Inoltre, l’avviso esecutivo deve indicare la possibilità di chiedere dilazione (rateizzazione) delle somme: attualmente, presentando istanza all’Agente Riscossione entro 60 giorni dalla notifica, si può ottenere la dilazione fino a 8 rate trimestrali (2 anni) per importi fino a €50.000, e fino a 16 rate (4 anni) per importi superiori – o piani più lunghi in caso di temporanea difficoltà grave (fino a 72 rate, 6 anni) secondo l’art. 19 D.P.R. 602/1973. In ogni caso, l’introduzione dell’accertamento esecutivo ha reso ancora più importante agire tempestivamente: tramite il legale, il contribuente valuterà se presentare ricorso e contestuale istanza di sospensiva per bloccare la riscossione, oppure se eventualmente definire l’atto con acquiescenza (pagamento con sanzioni ridotte, v. oltre) o con adesione, evitando l’iscrizione a ruolo. Novità: dal 2021 in poi tutti gli avvisi di accertamento per periodi d’imposta dal 2016 sono emessi in forma esecutiva. Nel 2023-2025 non vi sono modifiche sostanziali al regime, ma si segnala che è stata abolita la proroga Covid di 85 giorni che prolungava i termini di decadenza: pertanto gli atti notificati dal 2025 in poi non beneficiano più di quel prolungamento (vedi sezione successiva sui termini). Inoltre, il decreto correttivo del 2025 (D.Lgs. 81/2025) ha stabilito che dal 31 dicembre 2025 non si applica più la sospensione feriale dei termini per gli atti impositivi emessi da Agenzia Entrate – in altre parole, gli accertamenti esecutivi d’ora innanzi potranno essere emessi anche nel mese di agosto senza slittamenti dei termini (norma che ha sollevato qualche perplessità in ordine alla tutela del contribuente, ma è in vigore).

Tabella riepilogativa – Tipologie di accertamento

Di seguito una tabella che sintetizza le principali caratteristiche delle diverse tipologie di accertamento fiscale in Italia, con riferimenti normativi e note sulle novità introdotte fino al 2025:

Tipo di AccertamentoNorme principaliQuando si applicaCaratteristiche e Novità
Analitico (contabile)Art. 39 c.1 lett. d DPR 600/73 (redditi); Art. 54 DPR 633/72 (IVA)Contabilità regolare ma rettifiche puntualiRettifica di singole voci con prove certe o presunzioni semplici (gravi, precise, concordanti). Ammesso se contabilità nel complesso attendibile. Novità: giurisprudenza 2022-2024 legittima presunzioni da incongruenze economiche (comportamenti antieconomici).
Analitico-induttivoArt. 39 c.1 lett. d-bis DPR 600/73Contabilità attendibile formale ma dati anomaliMisto analitico + stime su basi indirette (es. applicazione di margini medi). Presuppone gravi incongruenze (ricavi troppo bassi, costi sproporzionati, ecc.). Novità: obbligo per l’Ufficio di motivare da quali fatti trae le presunzioni; contraddittorio ora obbligatorio (salvo atti esclusi).
Induttivo puroArt. 39 c.2 (ora 41) DPR 600/73; Art. 55 DPR 633/72Omessa dichiarazione o scritture inattendibili totaliRicostruzione extracontabile del reddito d’impresa/prof.le. Ampio uso di presunzioni anche non qualificate. Novità: dal 2024 generalmente soggetto a invito al contraddittorio, eccetto omessi dichiarativi (esclusi per legge). Nessuna proroga Covid oltre 2025 per termini.
Sintetico (redditometro)Art. 38 c.5-6 DPR 600/73 (nuovo D.Lgs. 108/2024)Persone fisiche – controllo tenore di vitaRicostruzione reddito complessivo da spese effettive o indicatori di ricchezza. Scatta se reddito accertato > 20% di quello dichiarato e > 10× assegno sociale. Novità 2024: abolite vecchie tabelle, ora “evasometro” con incrocio dati. Contraddittorio sempre obbligatorio prima dell’avviso.
D’ufficio (omessa dich.)Art. 41 DPR 600/73 (ora art. 39 c.2)Omessa dichiarazione annualeStima del reddito con ampia discrezionalità. Termini di decadenza più lunghi (7 anni). Sanzione per omessa dich. 120%-240%. Novità: contraddittorio non dovuto per legge (atto escluso). Spesso rilevanza penale se imposta evasa alta (segnalazione Procura).
ParzialeArt. 41-bis DPR 600/73; Art. 54 c.5 DPR 633/72Dati particolari (conto estero, atto non dichiarato, etc.)Atto mirato su singolo reddito/IVA non dichiarato. Non preclude altri accert. sull’anno. Novità: tra atti esclusi dal contraddittorio generalizzato. Possibile definizione in adesione o impugnazione immediata.
Integrativo/sostitutivoArt. 43 c.3 DPR 600/73Emergenza di nuovi elementi; correzione erroriUlteriore avviso sullo stesso periodo per fatti nuovi o per correggere (peggiorare) il precedente. Novità Cass. 2024: legittimo annullare un avviso viziato e sostituirlo con uno nuovo più oneroso. Termine decadenziale invariato (non si prolunga).
EsecutivoArt. 29 DL 78/2010 conv. L.122/2010Avvisi AE imposte 2007+ (ora tutti dal 2011)Avviso vale anche come cartella esattoriale: dopo 60g diventa titolo esecutivo. Novità: abolita proroga 85gg Covid dal 2025; dal 2025 niente sospensione feriale termini per atti AE. Possibile rateizzare entro 60g o sospendere con ricorso.

(Legenda: AE = Agenzia delle Entrate; ISA = Indici Sintetici di Affidabilità fiscale; IVA = Imposta sul Valore Aggiunto; IRES = imposta reddito società; IRAP = imposta regionale attività produttive.)

Fasi del procedimento di verifica e accertamento

Un accertamento fiscale non è un evento improvviso che si esaurisce con la notifica dell’avviso: esso è il risultato finale di un procedimento che si articola in più fasi. Conoscere queste fasi aiuta il contribuente e il suo difensore a muoversi correttamente e a far valere i propri diritti in ogni momento opportuno. In generale, dalla selezione del contribuente da controllare si passa all’attività istruttoria (che può includere accessi, ispezioni, richieste di documenti, indagini finanziarie), quindi all’eventuale contraddittorio endoprocedimentale (il confronto prima dell’emissione dell’atto), per giungere infine alla redazione del processo verbale (se c’è stata verifica sul campo) e alla notifica dell’avviso di accertamento. Vediamo le principali fasi e strumenti dell’accertamento tributario.

Accessi, ispezioni e verifiche fiscali (controlli in loco)

La verifica fiscale sul posto è spesso il primo passo di un accertamento approfondito, soprattutto nei confronti di imprese o professionisti. Consiste nell’accesso dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate) o della Guardia di Finanza presso la sede del contribuente, per esaminare la documentazione contabile, ispezionare i beni aziendali, svolgere conteggi di cassa, etc. Tali accessi sono regolati dall’art. 52 D.P.R. 633/1972 (per IVA, applicabile anche alle imposte sui redditi): i verificatori devono essere muniti di autorizzazione della loro Direzione e, se l’accesso avviene in locali privati non aperti al pubblico, occorre anche il decreto del Procuratore della Repubblica (a tutela dell’inviolabilità del domicilio, art. 52 co.2). Durante l’accesso, i funzionari possono sequestrare documenti (o meglio, farne copie conformi), ispezionare merci, richiedere informazioni ai presenti. Il contribuente ha il diritto di farsi assistere dal proprio consulente (avvocato o commercialista) durante le operazioni. Al termine del controllo in loco (che per Statuto del Contribuente, art. 12 co.5 L.212/2000, non dovrebbe superare 30 giorni lavorativi, salvo proroghe in casi complessi o oltre 15 giorni per piccole imprese), i verificatori redigono un Processo Verbale di Constatazione (PVC) in cui elencano i rilievi trovati. Il PVC viene consegnato al contribuente, il quale ha 60 giorni per presentare osservazioni e memorie difensive (nel frattempo l’ufficio non può emettere l’accertamento, salvo casi di particolare e motivata urgenza) – questo è un diritto storico previsto dall’art. 12 co.7 dello Statuto. Importante: dal 2023 questo art. 12 co.7 è stato abrogato e sostituito dall’obbligo generalizzato di contraddittorio (art. 6-bis L.212/2000). Di fatto, però, per le verifiche in loco permane la prassi di attendere 60 giorni dopo il PVC, che si coordina col nuovo invito al contraddittorio (spesso il PVC stesso vale come invito a discutere).

Durante la verifica, il ruolo dello studio legale è cruciale: l’avvocato può intervenire per assicurarsi che i controlli avvengano nel rispetto delle regole (ad esempio, verificare le autorizzazioni all’accesso, evitare sequestri illegittimi di documenti non pertinenti, impedire domande irrilevanti o inquisitorie). Inoltre, assiste il contribuente nel fornire le informazioni richieste in modo appropriato, evitando ammissioni inconsapevoli che possano pregiudicare la difesa futura. Tutto ciò che emerge in sede di verifica confluisce nel PVC, che rappresenta la base dell’accertamento: eventuali irregolarità procedurali nella verifica (ad es. mancato rispetto dei diritti del contribuente, permanenza dei verificatori oltre i termini, ecc.) possono essere motivo di contestazione dell’accertamento. Occorre però distinguere la valenza amministrativa da quella penale di eventuali violazioni: la Cassazione ha affermato che le verifiche fiscali sono attività amministrative, distinte dalle indagini di polizia giudiziaria; quindi una prova raccolta senza le forme previste resta utilizzabile in ambito tributario in mancanza di espressa sanzione d’inutilizzabilità (non vigendo il principio di esclusione delle prove illegittime come nel processo penale). Ciò significa, ad esempio, che un documento trovato durante una perquisizione domiciliare senza le dovute autorizzazioni potrebbe comunque essere usato per accertare un’imposta, sebbene magari inutilizzabile in giudizio penale (salvo violazione di diritti costituzionali fondamentali come la libertà personale, domicilio, ecc., casi in cui anche in ambito tributario la prova va espunta). In sostanza, non esiste un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite nel diritto tributario, a differenza del penale. Questo orientamento (espresso di recente dalla Cass. n. 8452/2025) va tenuto presente: rende ancor più importante prevenire eventuali abusi durante la verifica, perché difficilmente potranno essere completamente neutralizzati in fase contenziosa.

Indagini finanziarie e controlli bancari

Uno strumento investigativo potentissimo in mano al Fisco è costituito dalle indagini finanziarie. L’art. 32 del D.P.R. 600/1973 (e art. 51 D.P.R. 633/72 per IVA) consente agli uffici di ottenere dagli istituti di credito e finanziari tutti i dati sui conti correnti e rapporti finanziari intestati al contribuente sottoposto a controllo. In pratica, previa autorizzazione del Direttore, l’Agenzia delle Entrate invia richiesta alle banche per avere l’estratto conto completo, i movimenti, gli investimenti, ecc. Una volta in possesso di questi dati, l’Ufficio li analizza alla ricerca di anomalie: in particolare, la norma prevede (presunzione legale relativa) che i versamenti non giustificati sul conto siano considerati ricavi tassabili (per imprese e lavoratori autonomi), e i prelevamenti non giustificati siano considerati acquisti in nero quindi ricavi non dichiarati, almeno per gli imprenditori (per i professionisti la presunzione sui prelevamenti è stata oggetto di controversie: la Corte Costituzionale già nel 2014 ne ha limitato l’applicazione, e con sent. n. 10/2023 ha confermato la non illegittimità della presunzione per gli imprenditori, mentre per i non imprenditori resta esclusa). Dunque, se dal conto emergono versamenti non presenti in contabilità o in dichiarazione, spetta al contribuente provare che non sono redditi (es. trasferimenti tra conti, prestiti ricevuti, restituzioni di finanziamenti, ecc.), altrimenti l’accertamento li sommerà ai redditi dichiarati.

Negli ultimi anni l’Amministrazione si avvale di sistemi informatici avanzati (il cosiddetto “evasometro”) per selezionare proprio tramite i dati finanziari i soggetti a rischio evasione. Dal 2019, l’archivio dei rapporti finanziari viene analizzato con algoritmi che incrociano saldi, movimenti e redditi noti per far emergere discrepanze importanti (ad esempio, saldi di molto superiori ai redditi dichiarati o volumi di transazioni incompatibili). Superate alcune resistenze del Garante Privacy, nel 2023-2024 questo sistema è divenuto operativo: se risulta un debito fiscale potenziale sopra €50.000 in base ai flussi monitorati, scattano verifiche più approfondite. Si noti che l’“evasometro” non emette sanzioni in automatico, ma serve a individuare chi controllare; successivamente si procede con gli strumenti tradizionali: invito al contraddittorio o accesso mirato. Diritto di difesa: quando al contribuente vengono contestati movimenti bancari, è fondamentale predisporre in sede di contraddittorio una memoria con la giustificazione dettagliata di ogni versamento (o prelevamento) anomalo, allegando prove (es. se un versamento è un prestito da un parente, esibire una scrittura privata o dichiarazione del familiare, ecc.). La Cassazione ha più volte ribadito che la prova contraria è libera: ad esempio, anche una dichiarazione scritta del terzo che attesta di averti dato una somma a titolo di mutuo può essere valutata, così come l’indicazione di aver usato disponibilità pregresse di denaro contante (compatibile col tenore di vita pregresso). Se il contribuente non fornisce alcuna spiegazione, invece, l’Ufficio legittimamente riprenderà a tassazione tutti gli importi sospetti, e in giudizio tali presunzioni reggeranno salvo elementi che ne inficino la gravità/logicità.

Dal punto di vista procedurale, le indagini finanziarie devono essere attivate previa autorizzazione interna e comunicate al contribuente (di solito con un elenco dei conti e periodi oggetto di accesso ai dati bancari). Se tale iter non è rispettato, si può eccepire l’invalidità dell’uso di quei dati, ma attenzione: la giurisprudenza, come detto, tende a non invalidare l’accertamento per mere irregolarità formali nell’acquisizione di prove, a meno che non sia violata una norma che sancisca espressamente l’inutilizzabilità. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto utilizzabili anche i movimenti bancari acquisiti senza la preventiva autorizzazione del direttore, poiché la mancanza di autorizzazione non comporta una nullità espressa (fermo restando eventuali sanzioni disciplinari interne). Tuttavia, è sempre opportuno far valere ogni irregolarità, perché in alcune pronunce i giudici di merito hanno annullato accertamenti fondati su indagini bancarie avviate ultra vires.

Una volta conclusa l’analisi, se le giustificazioni fornite (in risposta a richiesta di esibizione o in contraddittorio) non hanno chiarito tutti i punti, i risultati delle indagini finanziarie confluiranno nell’accertamento (analitico o parziale). Lo studio legale, in questa fase, svolge un ruolo chiave nel redigere le controdeduzioni tecniche ai rilievi bancari, nel consigliare al cliente eventuali integrazioni documentali (ad esempio recuperare copie di assegni, contratti di prestito, ecc.) e nel contestare eventuali errori di calcolo dell’ufficio (spesso la ricostruzione bancaria è onerosa e soggetta a inesattezze: voci conteggiate due volte, entrate già tassate ma non riconosciute come tali, ecc.). Un avvocato esperto può anche valutare se sia il caso di chiedere una perizia contabile indipendente sui flussi finanziari, da opporre alle pretese del Fisco.

Inviti al contraddittorio e questionari (controlli “a tavolino”)

Non tutti i controlli fiscali prevedono un accesso fisico presso il contribuente. Molte verifiche vengono svolte “a tavolino” negli uffici dell’Agenzia delle Entrate, incrociando banche dati e segnalazioni (ad es. liste selettive, controlli automatizzati delle dichiarazioni, info dall’esterometro, comunicazioni polizia valutaria, segnalazioni UIF anti-riciclaggio, ecc.). In tali casi, prima di emettere un avviso di accertamento, l’Ufficio può (e oggi nella generalità dei casi deve) inviare al contribuente un invito a fornire chiarimenti. Questo può avvenire in due forme principali:

  • Questionario fiscale: previsto dagli artt. 32 DPR 600/73 e 51 DPR 633/72, è una lettera con cui l’ufficio pone una serie di domande scritte al contribuente o chiede l’invio di determinati documenti, per verificare specifici dati. Ad esempio: “si invita il contribuente a spiegare la differenza tra il fatturato dichiarato e i movimenti sul conto XY” oppure “fornire elenco clienti e fornitori per l’anno…”, ecc. Il contribuente ha l’obbligo giuridico di rispondere entro il termine indicato (mai inferiore a 15 giorni); la mancata risposta comporta sia una sanzione amministrativa fissa (attualmente da €250 a €2.000) sia, soprattutto, l’inutilizzabilità in sede difensiva dei documenti non esibiti: ciò vuol dire che se il contribuente, pur avendoli, non produce dei documenti in risposta al questionario, poi non potrà usarli in ricorso a proprio vantaggio (salvo non li avesse proprio). Dunque è fondamentale rispondere puntualmente ai questionari. Lo studio legale può aiutare a predisporre la risposta in modo completo ma prudente, fornendo solo le informazioni richieste ed evitando di generare nuovi sospetti.
  • Invito al contraddittorio (formale): è una convocazione (in genere ai sensi dell’art. 5-ter D.Lgs. 218/1997 o oggi dell’art. 6-bis L.212/2000) a comparire presso l’ufficio per discutere prima dell’emissione di un possibile avviso. Nell’invito l’Agenzia illustra in sintesi le ipotesi di rilievo (es: “dai controlli eseguiti risulterebbero ricavi non dichiarati per €…, si invita a fornire controdeduzioni o a aderire in via breve”) e fissa una data per la comparizione. Dal 2020 era previsto l’obbligo di invito per alcune materie (studi di settore, redditometro), ma dal 2024 l’invito è generalizzato per (quasi) tutti gli atti impositivi impugnabili. L’invito viene recapitato almeno 60 giorni prima dell’eventuale avviso definitivo e, novità, deve contenere anche l’informazione che il contribuente può chiedere l’accertamento con adesione entro 30 giorni. In pratica oggi l’invito ha duplice funzione: aprire il contraddittorio e, volendo, far partire subito la procedura di adesione (vedi oltre) con sospensione dei termini. Se il contribuente non aderisce né contesta entro 60 giorni, l’ufficio può emettere l’accertamento definitivo.

Vale la pena sottolineare che ignorare un questionario o non presentarsi a un invito non impedisce all’ufficio di procedere: anzi, il contribuente rinuncerebbe a un’importante chance difensiva. Inoltre, come detto, la mancata risposta al questionario comporta sanzione e preclusioni probatorie. D’altro canto, presentarsi al contraddittorio senza un’adeguata preparazione può essere controproducente: è consigliabile farsi assistere da un professionista che sappia quali documenti fornire e quali argomentazioni usare. L’avvocato tributarista, in occasione dell’invito, esamina preventivamente il caso, individua i possibili punti deboli della posizione fiscale del cliente e prepara una memoria difensiva da depositare all’ufficio, così che rimanga traccia scritta delle giustificazioni fornite (utile poi in giudizio). Nel dialogo orale con i funzionari, il legale aiuta a chiarire eventuali malintesi e può sondare la disponibilità dell’ufficio a una soluzione bonaria (es. accertamento con adesione).

Contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio (dal 2024)

Il contraddittorio endoprocedimentale è, in generale, il diritto del contribuente a essere interpellato dall’Amministrazione prima che venga emesso un atto impositivo a suo carico, in modo da poter esporre le proprie ragioni e osservazioni. In passato, questo principio non era riconosciuto in via generale in Italia: esisteva solo in casi specifici (es. post-verifica in loco, studi di settore, redditometro) e per i tributi “armonizzati” dall’UE (IVA, dazi) su spinta della giurisprudenza europea. Per altre situazioni (accertamenti da tavolino su imposte dirette) la Cassazione a Sezioni Unite nel 2015 aveva negato l’esistenza di un obbligo generale di contraddittorio. Questa disparità ha creato incertezze applicative e contenziosi sul cosiddetto “vizio da mancato contraddittorio”.

Dal punto di vista del debitore fiscale, il contraddittorio è una garanzia fondamentale: poter parlare con il Fisco prima che questo cristallizzi in un avviso la propria pretesa consente spesso di ridurre o eliminare gli errori (sia a favore del contribuente, segnalando elementi a discarico, sia a favore dell’Erario, ottenendo chiarimenti). È l’applicazione del brocardo “audiatur et altera pars” – sia ascoltata l’altra parte.

Svolta normativa 2023-2024: con il D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 (attuativo della L. 130/2022 e L. 111/2023), entrato in vigore il 18 gennaio 2024, l’Italia ha finalmente introdotto un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo in materia tributaria. È stato inserito l’art. 6-bis nello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) che stabilisce che tutti gli atti impositivi impugnabili dinanzi ai giudici tributari devono essere preceduti da un vero contraddittorio, a pena di nullità dell’atto. Ci sono però delle eccezioni previste per legge: atti per i quali il contraddittorio non è richiesto data la natura automatica o urgente del controllo. Tali eccezioni sono state elencate da un apposito decreto ministeriale (DM 4 aprile 2024) e comprendono, ad esempio, i controlli automatizzati delle dichiarazioni (c.d. avvisi bonari ex art. 36-bis DPR 600/73), i controlli formali ex art. 36-ter, gli accertamenti parziali ex art. 41-bis e gli atti di recupero di crediti d’imposta. Al di fuori di queste ipotesi, ogni avviso di accertamento, atto di irrogazione sanzioni, avviso di liquidazione, ecc., deve essere anticipato da uno “schema di atto” comunicato al contribuente, con invito a presentare osservazioni entro 60 giorni (o a chiedere adesione entro 30 giorni, come visto). L’art. 6-bis prevede che il contraddittorio sia effettivo e documentato; inoltre, nell’eventuale atto finale, l’ufficio deve dare conto delle osservazioni ricevute e motivare in caso di rigetto (pena un vizio di legittimità dell’atto). In caso di urgenza motivata, l’ufficio può emettere l’atto senza attendere i 60 giorni ma deve darne conto nelle motivazioni, e comunque il contraddittorio potrà avvenire post (a fini di eventuale autotutela o conciliazione).

Validità temporale: le nuove regole si applicano agli atti emessi dal 1° luglio 2023 in poi (c’era un regime transitorio, poi dal 30/4/2024 l’obbligo è divenuto pienamente operativo). La Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che per gli atti emessi prima dell’entrata in vigore permane il vecchio regime (quindi distinzione tributi UE/non UE). Dunque, ad esempio, un accertamento notificato a marzo 2024 per IRPEF senza contraddittorio non è automaticamente nullo perché all’epoca la legge non lo imponeva – si dovrà valutare con le regole previgenti (principio del 2015 e prova di resistenza in caso di IVA, come illustrato in un caso pratico sotto).

Impatto pratico: da ora in avanti, uno studio legale ha a disposizione un potente strumento per annullare un accertamento vizionato: se l’ufficio dovesse emanare un atto senza aver effettuato l’invito obbligatorio (e non rientrante nei casi di esclusione), il ricorso del contribuente potrà eccepire la nullità dell’atto per difetto di contraddittorio, che il giudice dovrà dichiarare senza entrare nel merito. Già tra il 2024 e 2025 si sono avute pronunce che annullano avvisi per mancato rispetto del neo-introdotto art. 6-bis (ad es. Commissioni Tributarie hanno invalidato avvisi non preceduti da invito, rilevando la nullità “automatica” sancita dalla norma). Anche la Cassazione (ord. n. 9554/2024) ha ribadito che un accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore è nullo se emesso senza contraddittorio – ma ora ciò vale in generale, senza più bisogno di distinguere la tipologia di accertamento.

Dal lato del contribuente, tuttavia, c’è una responsabilità aggiuntiva: sfruttare attivamente il contraddittorio. Non è prudente attendere solo l’errore formale dell’ufficio per far annullare l’atto. Bisogna invece utilizzare l’invito a comparire per portare quante più prove e argomenti a proprio favore, perché se ci si limita a presenziare passivamente o – peggio – non ci si presenta affatto, poi in giudizio non si potrà far valere efficacemente il contraddittorio omesso/viziato. Le corti tributarie potrebbero considerare che comunque il contribuente non avrebbe avuto elementi difensivi da offrire. Al contrario, se durante il contraddittorio si presentano memorie e documenti e l’ufficio li ignora totalmente, questo sarà un elemento a favore in fase contenziosa: la Cassazione ha annullato avvisi in cui l’ufficio aveva omesso di menzionare le difese del contribuente, segno che il contraddittorio era stato meramente “fittizio”. Con la norma attuale, vige l’obbligo di dar conto delle risposte: l’Amministrazione deve motivare perché eventualmente non accoglie le osservazioni. Ciò migliora la trasparenza e la qualità degli atti, e al contempo fornisce spunti alla difesa per evidenziare eventuali carenze logiche dell’accertamento (es: se l’ufficio respinge le giustificazioni con motivazione generica, il giudice potrà rilevare un difetto di motivazione).

Eccezioni al contraddittorio obbligatorio: come detto, il legislatore ha escluso alcuni tipi di atti, tra cui: avvisi derivanti da liquidazioni automatiche e controlli formali (in sostanza gli avvisi bonari da 36-bis e 36-ter, che infatti non sono propriamente accertamenti ma comunicazioni di irregolarità), atti di recupero di aiuti di Stato, accertamenti parziali, atti catastali. Anche in questi casi, comunque, l’orientamento dell’Agenzia sarà probabilmente di offrire una possibilità di interlocuzione informale: il Vice Ministro dell’Economia ha emanato nel febbraio 2024 un Atto di Indirizzo invitando gli uffici a garantire il contraddittorio in ogni situazione in cui possibile, pure oltre i minimi di legge. Ciò a conferma di una direzione ormai intrapresa: il rapporto fisco-contribuente dev’essere improntato a trasparenza e collaborazione, per quanto compatibile con le esigenze di gettito. Un riflesso di ciò è anche lo sviluppo dell’adempimento collaborativo (cooperative compliance) e degli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità) per premiare i contribuenti “affidabili”, ma questo esula dal nostro focus.

Conclusione su questo punto: dal 2024, uno studio legale ha uno strumento procedurale in più per difendere il contribuente: se l’accertamento nasce senza contraddittorio, farlo annullare in toto è ora molto più semplice e immediato, senza bisogno di dimostrare la famosa “prova di resistenza” (ossia che il contraddittorio avrebbe potuto cambiare l’esito). Il contribuente deve però attivarsi: entro 60 giorni dall’eventuale avviso irregolare va presentato ricorso eccependo questo vizio, altrimenti l’atto diventa definitivo. In altre parole, la nullità non opera d’ufficio: bisogna farla valere tempestivamente. Da qui l’importanza di rivolgersi subito a un avvocato appena ricevuta qualsiasi contestazione fiscale.

(Per i risvolti giurisprudenziali del contraddittorio e alcuni esempi pratici, si vedano la sezione “Giurisprudenza recente” e i “Casi pratici” infra. In particolare, Cass. SS.UU. 24823/2015 e Cass. SS.UU. 7966/2024 delineano il prima e dopo riforma contraddittorio.)

Garanzie e diritti del contribuente nel procedimento

Durante tutte le fasi sopra descritte, vigono diverse garanzie a tutela del contribuente, sancite dallo Statuto dei Diritti del Contribuente (L. 212/2000) e da altre disposizioni. Un avvocato tributarista ha il compito di conoscere e far rispettare tali diritti, eventualmente eccependo la nullità o l’illegittimità dell’operato dell’ufficio se queste garanzie sono violate. Ecco un elenco dei principali diritti del contribuente durante accertamenti e verifiche fiscali:

  • Diritto alla conoscenza e informazione: Il contribuente ha diritto a essere informato dell’inizio di qualsiasi attività di controllo formale. La legge 212/2000, art. 6, prevede che gli atti dell’Amministrazione finanziaria siano comprensibili e motivati, e che in caso di richiesta documenti o questionari sia esplicitato il motivo della richiesta. Inoltre, art. 7 L.212/2000 prescrive che ogni atto impositivo rechi l’indicazione delle norme violate e dei criteri di calcolo (pena nullità in caso di motivazione mancante o per relationem a documenti non allegati). Applicazione pratica: l’avvocato verifica sempre che l’avviso di accertamento sia motivatamente adeguato, cioè che spieghi i fatti contestati e l’iter logico; se mancano pezzi (es: riferimenti a PVC non allegati, o a dati non noti al contribuente), può chiedere l’annullamento per difetto di motivazione.
  • Diritto al rispetto dei termini e limiti temporali: Lo Statuto stabilisce che le verifiche in azienda non possano protrarsi oltre 30 giorni (prorogabili di altri 30 in casi complessi). Questo per evitare che i verificatori soggiornino presso il contribuente indefinitamente, paralizzandone l’attività. Inoltre c’è la famosa “sospensione feriale” dei termini processuali dal 1° al 31 agosto, che tradizionalmente comportava anche il differimento dei termini per rispondere a richieste fiscali o per l’emissione di atti. Novità: come accennato, il D.Lgs. 81/2025 ha escluso gli atti dell’Agenzia Entrate dall’ambito della sospensione feriale dal 31/12/2025, il che ha creato un po’ di allarme tra i difensori (significa che un invito al contraddittorio potrà avere scadenza anche in agosto, ecc.). In ogni caso, restano valide le sospensioni dei termini a favore del contribuente: ad esempio, se l’Agenzia notifica un PVC, deve attendere 60 giorni per l’avviso; se il contribuente chiede adesione, i termini di impugnazione e decadenza si sospendono per 90 giorni, ecc. Un buon difensore monitora attentamente queste scadenze: talvolta accertamenti vengono annullati perché l’ufficio ha notificato oltre il termine decadenziale (ad es. per l’anno X notificato dopo il 31/12 quinto anno successivo). Attenzione però alle proroghe Covid: come discusso, per il 2020 c’era una proroga di 85 giorni che ha spostato il termine di accertamento 2015 e seguenti. La Cassazione ha interpretato estensivamente questa proroga, ma poi il legislatore l’ha abolita dal 2025 in avanti. Ciò significa: l’anno d’imposta 2018 (scadenza ordinaria 31/12/2024) è stato accertabile fino al 26/03/2025; l’anno 2019 invece, dopo l’abolizione, scade al 31/12/2025 (senza più trascinamento all’anno successivo). Uno studio legale deve quindi calcolare bene i termini in base alle norme in vigore nel periodo, per sfruttare eventuali decadenze a favore del contribuente. Se l’avviso è tardivo, è nullo.
  • Diritto alla riservatezza e inviolabilità dei locali: Come già detto, per accedere in locali adibiti anche ad uso abitativo serve il decreto del magistrato (Procura). Il contribuente può rifiutare l’ingresso se i verificatori non lo esibiscono. Per i locali commerciali, nessun decreto è richiesto, ma comunque i funzionari devono rispettare la dignità e i diritti dei presenti (ad esempio non possono effettuare perquisizioni personali se non come PG in ambito penale, non possono aprire cassetti privati senza autorizzazione se non pertinenti, etc.). I dati raccolti sono coperti da segreto d’ufficio e privacy: il contribuente può pretendere che i propri dati non siano divulgati a terzi estranei.
  • Diritto all’assistenza del professionista di fiducia: Il contribuente può farsi assistere da un difensore già in fase amministrativa. In genere, alla notifica dell’avvio di verifica, conviene nominare subito un professionista delegato (anche solo per quella fase), comunicandolo ai verificatori: questo garantisce un interlocutore tecnico che parla con i funzionari, riducendo il rischio di fraintendimenti o atteggiamenti intimidatori. Se la verifica avviene in un’azienda, spesso il commercialista interno segue le operazioni; un avvocato può intervenire per questioni legali (verbali da firmare, contestazioni su autorizzazioni, etc.). L’avvocato può anche consigliare il contribuente di non rispondere a certe domande sul momento se queste esulano dall’obbligo di collaborazione, per evitare autodenunce (ricordiamo però che in sede amministrativa non vige un vero “diritto al silenzio” come in penale; tuttavia nessuna sanzione penale può derivare dal tacere: se c’è rischio penale, il legale valuterà come calibrare le dichiarazioni, vedi oltre).
  • Diritto al non aggravamento e alla buona fede: Lo Statuto (art. 10 L.212/2000) sancisce che i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede reciproca. Questo principio generale si traduce in vari corollari: l’Amministrazione non può richiedere adempimenti inutilmente gravosi, non può esigere documenti già in suo possesso presso altri uffici, deve consentire correzioni se l’errore è evidente e scusabile (es. errori di calcolo). Inoltre, se il contribuente ha fatto affidamento in buona fede su indicazioni dell’Agenzia (es. una circolare, o una risposta a interpello) poi cambiate, non dovrebbe subire sanzioni. È previsto che non siano irrogate sanzioni quando il contribuente si è conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione poi risultati errati o modificati (art. 10 co.2). In sede di accertamento, invocare la buona fede può essere utile per chiedere la disapplicazione di sanzioni o un trattamento più mite (ad esempio, se un comportamento fiscale è stato adottato seguendo una prassi poi sconfessata da una sentenza, il contribuente può sostenere la sua non colpevolezza). L’avvocato farà valere questi elementi, se pertinenti, per ridurre o annullare le sanzioni nel contesto dell’accertamento o in fase di conciliazione.
  • Diritto al contraddittorio e alla difesa (già trattato): Si ribadisce qui che questo è ormai un diritto sancito per legge (art. 6-bis) e prima ancora derivante dai principi costituzionali di difesa e buon andamento. Ogni violazione di esso può essere fatta valere. Anche nel processo, il contribuente ha diritto a un giusto processo: ad esempio, se l’ufficio produce documenti nuovi in appello, il contribuente ha diritto a controdedurre, ecc.
  • Diritto di richiedere l’autotutela: Il contribuente può sempre presentare un’istanza all’ente impositore affinché riesamini l’atto emesso (in autotutela) qualora ravvisi errori o vizi. Questo non sospende i termini di ricorso, ma è una facoltà importante. L’ufficio dovrebbe rispondere motivatamente. Se annulla in autotutela, come visto, l’atto cessa i suoi effetti. L’avvocato tipicamente prepara istanze di autotutela mirate quando ci sono errori macroscopici (es. persona scambiata per un’altra, calcoli palesemente errati, ecc.), poiché l’Agenzia in questi casi a volte annulla o corregge senza costringere al contenzioso.
  • Diritto al rimborso delle spese di giudizio in caso di vittoria: Nel processo tributario, se il contribuente vince, il giudice di norma condanna l’ente soccombente a rimborsare le spese legali (di recente ciò avviene in base ai parametri forensi). Questo funge anche da garanzia per scoraggiare atti impositivi infondati. Inoltre, se il contribuente aveva pagato delle somme in pendenza di giudizio e vince, ha diritto al rimborso accelerato entro 90 giorni dalla sentenza definitiva.
  • Tutela penale dei diritti individuali: Qualora l’attività di verifica sconfini in ambito penal-tributario (ad es. se la GdF rileva un reato e agisce come polizia giudiziaria), allora scattano le garanzie del codice di procedura penale: diritto di essere assistito da difensore, di non autoincriminarsi (diritto al silenzio), garanzie contro le perquisizioni e intercettazioni illegittime, ecc. La Cassazione ha distinto chiaramente i due binari: finché la GdF agisce per la verifica amministrativa, non valgono le regole penali, ma appena inizia ad agire come PG (ad es. eseguendo un decreto di perquisizione per reato tributario), allora ai fini penali va osservato il cpp. Il contribuente in quei frangenti deve essere avvisato dei propri diritti (es. facoltà di nomina di difensore). Un coordinamento tra avvocato tributarista e avvocato penalista è essenziale in tali situazioni per proteggere la persona da autodenunce inconsapevoli: per esempio, potrebbe essere opportuno non far rendere dichiarazioni scritte al contribuente durante la verifica se si sospetta un reato, finché non si chiarisce la posizione, poiché tali dichiarazioni potrebbero essere usate contro di lui.

Riassumendo, il compito dello studio legale è vigilare che il Fisco rispetti tutte queste garanzie e, in caso contrario, utilizzare la violazione come argomento per annullare o attenuare l’accertamento. È bene precisare che non ogni violazione formale porta automaticamente all’annullamento dell’atto: i giudici tributari a volte adottano un criterio di “sostanziale difesa”: se ritengono che il contribuente non sia stato leso, potrebbero considerare il vizio come non incidente. Ad esempio, se la verifica dura 32 giorni invece di 30, ma il contribuente non dimostra alcun concreto pregiudizio, difficilmente annulleranno l’accertamento solo per questo. Invece, vizi più gravi (come la mancanza di contraddittorio quando obbligatorio, o un termine di decadenza superato) comportano nullità insanabile. Un buon avvocato saprà graduare le eccezioni e concentrarsi su quelle vincenti.

Strumenti deflattivi del contenzioso tributario (adesione, accordi, sanatorie)

Di fronte a una pretesa fiscale emersa (sia essa ancora in fase di contraddittorio, sia già formalizzata in un avviso di accertamento), il contribuente non è obbligato a imboccare per forza la strada del contenzioso giudiziale. L’ordinamento mette a disposizione vari strumenti deflattivi, cioè procedure che consentono di definire la controversia senza arrivare a sentenza, spesso con benefici in termini di riduzione delle sanzioni. Uno Studio Legale esperto saprà consigliare se e quale strumento deflattivo conviene utilizzare caso per caso, con l’obiettivo di ottenere il risultato più favorevole (a volte è preferibile pagare qualcosa in meno subito piuttosto che affrontare anni di causa con esito incerto e rischio di maggiori aggravi). Analizziamo i principali istituti deflattivi aggiornati al 2025:

Accertamento con adesione (definizione concordata)

L’accertamento con adesione (disciplinato dal D.Lgs. 218/1997) è un procedimento di natura negoziale tra il contribuente e l’Ufficio, finalizzato a raggiungere un accordo sul quantum della pretesa tributaria prima che l’accertamento diventi definitivo. In pratica, è una trattativa: il contribuente riconosce (in tutto o in parte) l’imponibile contestato e l’Agenzia, in cambio della rinuncia al contenzioso, riduce le sanzioni e talvolta rivede parzialmente al ribasso l’imposta accertata. I vantaggi principali dell’adesione sono: sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo previsto (in luogo, ad esempio, del 100% per infedele dichiarazione si paga circa il 33%); possibilità di pagamento dilazionato in otto rate trimestrali (12 se importi oltre 50.000 €); sospensione dei termini di impugnazione durante la procedura; eliminazione del rischio di dover pagare spese di giudizio e interessi di mora prolungati.

Come funziona: Tradizionalmente, dopo la notifica di un avviso di accertamento, il contribuente aveva 60 giorni per presentare istanza di accertamento con adesione, facendo partire la procedura. L’Ufficio lo convocava entro 15 giorni per un incontro. Con la riforma 2023-24 il sistema è stato raffinato: ora l’adesione si può attivare anche in fase di contraddittorio preventivo. Infatti, l’art. 5-ter D.Lgs. 218/97 come modificato consente al contribuente, ricevuto l’invito al contraddittorio, di richiedere adesione entro 30 giorni (anziché aspettare l’avviso). In tal caso, le due fasi si coordinano: la presentazione dell’istanza interrompe i 60 giorni dell’invito e apre la trattativa di adesione. Se durante il contraddittorio emergono margini per accordarsi, le parti possono direttamente formalizzare un atto di adesione. In ogni caso, anche dopo l’emissione dell’avviso, resta possibile chiedere l’adesione (entro 60 giorni dalla notifica). La procedura sospende il termine per fare ricorso per 90 giorni. Nel corso degli incontri di adesione, il contribuente – di solito assistito dal difensore – espone le proprie contestazioni all’accertamento e può proporre una quantificazione alternativa. L’ufficio dal canto suo può accettare riduzioni su alcuni rilievi se li ritiene deboli, oppure può proporre una mediazione sulla cifra. È importante sapere che la discrezionalità dell’ufficio in questa fase è ampia: può ad esempio rinunciare a contestare alcune voci minori per concentrarsi su quelle principali, oppure accettare documenti giustificativi che prima non aveva valutato.

Novità normative 2023-2025: La riforma fiscale ha rafforzato l’istituto dell’adesione. In particolare:

  • Non è più richiesto che l’adesione sia conseguente a un precedente accertamento notificato. Significa che ora si può attivare un’adesione anche per regolarizzare crediti indebitamente compensati o altre violazioni, senza che ci sia stato prima un avviso formale. È un’estensione importante: si può definire in adesione un atto di recupero crediti d’imposta senza passare da un accertamento completo.
  • In sede di adesione, il contribuente può far valere perdite fiscali pregresse da scomputare dagli imponibili accertati. La legge ora prevede che l’istanza di adesione contenga l’eventuale richiesta di scomputo delle perdite relative all’anno oggetto di verifica. L’ufficio, nell’atto di definizione, terrà conto di queste perdite, riducendo così il maggior imponibile su cui calcolare l’imposta. Ciò evita che il contribuente debba attendere un futuro rimborso per le perdite non considerate nell’avviso originario.
  • Vengono meglio coordinati contraddittorio obbligatorio e adesione: se durante il contraddittorio emergono i presupposti per un accordo, le parti “hanno sempre facoltà” di avviare l’adesione di comune accordo. In sostanza, anche se l’invito non si chiude con un’intesa orale, basta che entrambe le parti lo vogliano per trasformare il contraddittorio in adesione (formalizzandola poi).
  • La normativa ha introdotto cause di inammissibilità dell’adesione in alcuni casi (ad esempio, non è ammessa adesione per avvisi bonari da controllo automatizzato, né – ovviamente – per atti non impositivi come le cartelle, v. FAQ).

Ruolo dello studio legale nell’adesione: un avvocato tributarista preparato, spesso in sinergia col commercialista, può far sì che l’adesione risulti vantaggiosa. Prima di tutto, valuta la convenienza: se l’accertamento è totalmente infondato, può essere meglio non aderire e puntare al ricorso (dove si può vincere integralmente). Se invece vi sono rilievi corretti o rischiosi da contestare in giudizio, l’adesione può risparmiare tempo e denaro. L’avvocato durante l’adesione:

  • evidenzia all’ufficio i punti deboli dell’accertamento (facendo intuire che in giudizio potrebbero portare all’annullamento parziale), così da strappare uno sconto sull’imponibile;
  • cura che nel verbale di adesione venga riportato esattamente l’accordo e che le sanzioni siano effettivamente ridotte ad 1/3;
  • verifica le condizioni di pagamento (calendario rate, importi) e informa il cliente sugli obblighi (perfezionare l’adesione pagando la prima rata entro 20 giorni dalla firma, altrimenti l’accordo decade);
  • tutela il cliente da implicazioni penali: aderire significa riconoscere un debito tributario, ma la Cassazione penale ha chiarito che ciò non equivale a confessione di reato. Dunque il contribuente può aderire senza timore che automaticamente sia considerato colpevole in sede penale. Tuttavia, se vi è già un procedimento penale in corso (es. per infedele dichiarazione), è opportuno muoversi con cautela e magari coinvolgere anche un penalista: le dichiarazioni rese in sede di adesione potrebbero comunque essere acquisite nel fascicolo penale, sebbene non siano di per sé prova di reato.

In caso di esito positivo, l’adesione viene formalizzata con un atto sottoscritto dal contribuente e dal Capo Ufficio. Da quel momento, l’avviso accertamento originario si consolida sulle somme concordate e non è più impugnabile. Se il contribuente poi non versa le somme pattuite, non torna in vita l’accertamento iniziale ma l’Ufficio iscrive a ruolo gli importi dell’atto di adesione (con sanzioni al 45% invece che 30% se decadi da rateazione). Quindi, è essenziale rispettare il piano di pagamento.

Acquiescenza all’accertamento (definizione agevolata senza ricorso)

L’acquiescenza è la scelta di non impugnare un avviso di accertamento e pagarlo spontaneamente usufruendo però di uno sconto sulle sanzioni. Prevista dall’art. 15 D.Lgs. 218/1997, l’acquiescenza comporta la riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo (che è lo stesso beneficio dell’adesione). Per ottenerla, il contribuente deve pagare entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso l’intero importo richiesto (imposta + interessi + sanzioni ridotte a un terzo). In alternativa può chiedere rateazione (ma deve versare entro 60 gg almeno la prima rata). Effettuato il pagamento, l’avviso si considera definito e non più impugnabile.

Quando conviene l’acquiescenza? In genere quando il contribuente riconosce la correttezza (o l’inevitabilità) dell’accertamento e vuole evitare spese e ritardi. Ad esempio, in caso di errori formali facilmente sanabili o di importi non troppo elevati. Oppure quando l’ufficio ha già concesso in sede di contraddittorio uno sconto e l’avviso notificato ha sanzioni dimezzate del 50% (ad esempio per adesione ai PVC, circostanza speciale). Va considerato che rinunciando al ricorso si evita l’ulteriore 50% di sanzione che graverebbe in caso di soccombenza in giudizio, e si blocca la maturazione di interessi di mora.

Novità normative: Il decreto correttivo 2025 ha specificato che se l’avviso è parzialmente annullato in autotutela entro i termini di ricorso, il contribuente può fare acquiescenza sulla parte residua e godere delle sanzioni ridotte. In passato c’era incertezza su questo (la norma pare disporre che l’istanza di autotutela presentata entro 60gg, se porta a sgravio parziale, comunque consente l’agevolazione sulle sanzioni per la parte restante). Inoltre, altre leggi speciali (es. leggi di bilancio 2019 e 2023) hanno talvolta previsto acquiescenze agevolate con sanzioni ulteriormente ridotte o condonate, ma si tratta di misure straordinarie (ad es. “definizione liti pendenti” 2023 permetteva di chiudere alcuni contenziosi con pagamento del solo 20% o 5% a seconda degli esiti di primo/secondo grado). Tali misure rientrano nelle cosiddette “pacificazioni fiscali” e vanno di volta in volta valutate quando presenti.

Differenza con adesione: L’acquiescenza è unilaterale – il contribuente accetta l’atto così com’è (salvo lo sconto di legge sulle sanzioni). Non c’è contrattazione con l’ufficio. Quindi può essere meno conveniente se l’avviso contiene degli errori contestabili. Se invece l’avviso è solido, l’acquiescenza fa risparmiare tempo e garantisce comunque la riduzione sanzionatoria significativa.

Lo studio legale aiuta a formalizzare l’acquiescenza (tramite eventuale comunicazione all’ente) e soprattutto a verificare che venga effettuata correttamente: ad esempio, occorre calcolare la sanzione ridotta e pagare quell’importo (l’avviso originario riporta la sanzione intera, sarà il contribuente a auto-applicare il 1/3). Se per errore si versa meno del dovuto, l’acquiescenza potrebbe non perfezionarsi. L’avvocato inoltre consiglia se è opportuno accompagnare il pagamento con una lettera in cui si accetta espressamente l’accertamento ai fini del beneficio (non obbligatorio, ma prudente).

Mediazione/reclamo tributario

La mediazione tributaria (istituto del “reclamo e mediazione”) è stata introdotta dal 2012 (art. 17-bis D.Lgs. 546/1992) come filtro obbligatorio per le controversie di valore minore. Fino al 2023, per gli atti di importo fino a €50.000 era necessario presentare un reclamo all’ente impositore prima di poter accedere al giudice: il ricorso era anticipato all’ufficio stesso e valeva anche come proposta di mediazione, in risposta alla quale l’Agenzia poteva formulare un accordo con riduzione delle sanzioni al 35% (questo era il beneficio se la mediazione andava a buon fine). Dal 2023, con la riforma del contenzioso (L. 130/2022), la soglia potrebbe essere stata elevata (si era ipotizzato 100.000 €, ma a luglio 2025 risulta ancora 50k in attesa di decreti attuativi). In ogni caso, la mediazione è un deflattivo giudiziale: avviene quando ormai l’atto è stato emanato ed impugnato. Nel 2023 è stata prevista la possibilità di conciliazione anche in appello e persino in Cassazione (per i ricorsi pendenti al 4/1/24), ma la mediazione in senso stretto attiene al primo grado.

Poiché la mediazione è gestita da un diverso ufficio (l’ufficio legale o un funzionario diverso da chi ha emesso l’atto), costituisce una sede per rinegoziare l’accertamento. Spesso, però, era percepita come un formalismo: l’Agenzia raramente concedeva sconti oltre quelli ottenibili con adesione. Con le riforme recenti, l’orientamento è semplificare: potenzialmente potrebbe essere abolita la mediazione obbligatoria se si rafforzano altri strumenti di conciliazione in giudizio. Infatti la tendenza è sostituire il reclamo con la conciliazione giudiziale anticipata.

Per il contribuente, comunque, presentare il reclamo/mediazione con l’assistenza legale è utile per due motivi: (a) sospende per 90 giorni il termine per il giudizio e la riscossione; (b) può portare, in caso di accordo, alla definizione della lite con sanzioni ridotte del 35%. Quindi conviene tentare se la controparte (Agenzia) si mostra disponibile.

Conciliazione giudiziale

La conciliazione è uno strumento deflattivo utilizzabile dopo l’instaurazione del processo tributario, dunque quando è pendente un ricorso davanti al giudice. Prevista dagli artt. 48 e 48-bis D.Lgs. 546/1992, può essere di due tipi:

  • Conciliazione giudiziale fuori udienza (concordata tra le parti): le parti – contribuente e Agenzia – possono depositare in Commissione (Corte Giust. Trib.) un accordo con cui risolvono la lite riducendo parzialmente la pretesa. Tipicamente, il contribuente accetta di pagare un po’ meno di quanto chiesto, l’Agenzia rinuncia al resto. Il giudice emette quindi una sentenza che prende atto dell’accordo (cessata materia del contendere).
  • Conciliazione in udienza (proposta dal giudice o dalle parti): durante l’udienza, spesso il giudice stesso invita le parti a trovare un accordo. Se queste concordano l’importo, redigono un verbale di conciliazione.

Benefici: in caso di conciliazione, le sanzioni vengono ulteriormente abbattute al 50% del minimo edittale (se si concilia in primo grado) o al 60% se in secondo grado. Gli interessi moratori si dimezzano. Le spese processuali di solito non si pagano o sono compensate. Dunque è uno strumento appetibile quando in giudizio la pretesa fiscale potrebbe essere solo parzialmente annullata: tanto vale trovare un punto d’incontro prima.

Novità 2023-2024: come accennato, la conciliazione è stata resa possibile anche in Cassazione per le liti pendenti al 2024, ampliando lo spettro. Inoltre, da luglio 2023 è stato introdotto il rito “ader” per le controversie fino a €50.000: in caso di impugnazione, l’Agenzia può formulare direttamente una proposta di conciliazione nella risposta al ricorso, obbligando il contribuente a esprimersi. Questo per favorire la chiusura anticipata delle liti minori. È una sorta di “mediazione invertita”.

Lo studio legale, in ipotesi di conciliazione, negozia con l’Avvocatura dello Stato o l’ufficio legale dell’ente le condizioni migliori possibili. Spesso si conciliano le liti che riguardano questioni di interpretazione o valutazioni quantitative: ad esempio, l’ufficio contesta costi per €100k, il ricorrente pensa che €50k siano sicuramente deducibili – ci si accorda per tassarne €50k e il resto no, evitando di lasciare al giudice la scelta binaria.

Una volta omologata la conciliazione, il contribuente paga l’importo concordato (anche qui rateizzabile in 8 rate se sopra €50k). Se paga nei termini, la causa finisce lì. Se non paga, la conciliazione decade e la causa può riaprirsi per l’importo residuo (ma questo è raro).

Ravvedimento operoso

Il ravvedimento operoso è uno strumento preventivo, poiché consente al contribuente di sanare spontaneamente violazioni tributarie prima che il Fisco avvii un accertamento o comunque gliele contesti formalmente. Previsto dall’art. 13 D.Lgs. 472/1997, il ravvedimento permette di pagare la maggiore imposta dovuta (o il minor tributo versato) insieme agli interessi e a una sanzione ridotta in misura tanto minore quanto più tempestivo è il ravvedimento. Ad esempio: se ci si accorge di non aver versato un IVA entro la scadenza, pagando entro 30 giorni si applica una sanzione ridotta al 1,5% (1/10 del 15%); entro 90 giorni al 1/9 del minimo, e così via, fino a 1/8, 1/7, 1/6, ecc. Le riduzioni arrivano fino a 1/5 se il ravvedimento avviene oltre 2 anni ma prima di notifica di accertamento.

Novità: dal 2015 il ravvedimento è stato esteso fino a coprire l’intero periodo di accertabilità: oggi ci si può ravvedere anche dopo l’inizio di accessi o verifiche (purché non sia già notificato un PVC o avviso). In teoria, si può ravvedere anche dopo aver ricevuto una comunicazione bonaria, beneficiando ancora di riduzioni (ridotte). Ci sono stati anche ravvedimenti speciali offerti dal legislatore: la L. 197/2022 (Bilancio 2023) ha introdotto un ravvedimento speciale per violazioni dichiarative 2021 e precedenti con sanzioni ridotte a 1/18 e pagamento in 8 rate. Tale finestra era limitata al 31/03/2023. In ogni caso, il ravvedimento resta strumento principe per chi vuole regolarizzarsi volontariamente ed evitare un futuro accertamento. È consigliabile quando il contribuente si rende conto di un errore e il Fisco ancora non lo sa. Ad esempio, emissione di fatture attive dimenticate in dichiarazione: ravvedendo prima di un controllo, si paga la sanzione minima e si evita la ben più grave contestazione futura (che porterebbe sanzioni piene e forse profili penali se importi alti).

Il ruolo dello studio legale in tema di ravvedimento è di consulenza preventiva: spesso collabora col commercialista per individuare le posizioni irregolari e pianificare il ravvedimento, calcolando esattamente somme e interessi. Inoltre verifica che il ravvedimento sia ammissibile: non sempre lo è, ad es. se è già arrivata una formale contestazione, è tardi. Ma attenzione: secondo giurisprudenza, se il ravvedimento avviene mentre è in corso una verifica ma prima del PVC, esso è valido (il PVC è l’atto che preclude il ravvedimento, non la mera presenza dei verificatori).

Un aspetto importante: il ravvedimento operoso, se integrale e tempestivo, esclude la punibilità penale per alcuni reati tributari (omesso versamento IVA o ritenute) se avviene prima che l’autore abbia formale conoscenza di accessi/Ispezioni o procedimenti penali (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Dunque, ravvedersi può salvare anche dal reato di omesso versamento se fatto prima della contestazione penale. Questo è un altro elemento che il legale deve considerare quando c’è rischio di soglie penali.

Autotutela (annullamento o rettifica d’ufficio dell’atto)

L’autotutela tributaria è il potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria di annullare o modificare i propri atti impositivi quando li riconosca illegittimi o infondati (Circolare Min. Fin. n. 198/1998). Non è un vero strumento deflattivo “negoziale” perché avviene unilateralmente dall’ente, ma spesso interviene su sollecitazione del contribuente tramite un’istanza. L’autotutela può essere:

  • Totale: l’atto viene annullato in toto (sgravio).
  • Parziale: l’ufficio riduce l’imponibile o le sanzioni correggendo errori.
  • Sostitutiva: come visto, può arrivare a ritirare l’atto viziato e sostituirlo con uno nuovo (peggiorativo o migliorativo).

Prima della riforma contraddittorio, l’autotutela era uno spiraglio per correggere ex post la mancanza di contraddittorio (spesso le Direzioni annullavano per autotutela atti emessi senza ascolto se il contribuente portava elementi forti). Ora con l’obbligo ex lege, ci sarà probabilmente meno spazio per “sanare” in autotutela, perché l’atto sarebbe nullo in radice. Tuttavia, per errori di merito o di calcolo l’autotutela rimane centrale.

Il contribuente non ha un diritto soggettivo all’autotutela (non può costringere l’ufficio ad annullare l’atto), ma ha diritto a una valutazione e risposta. Dal 2020 è previsto che in caso di diniego espresso di autotutela su atti definitivi si possa fare ricorso per ottemperanza solo per eccesso di potere amministrativo (caso raro).

Novità giurisprudenza: La Cassazione SS.UU. 30051/2024, come già detto, ha affermato chiaramente che l’autotutela peggiorativa è legittima, fugando dubbi. Ha enunciato tre principi: (1) l’ufficio può procedere in integrativa o in autotutela, a sua discrezione; (2) se l’atto originario ha un vizio insanabile, è meglio annullarlo totalmente e farne un altro (anche con maggior pretesa, purché nei termini); (3) se ha piccoli errori, può emettere integrativo. Ciò ovviamente a scapito del contribuente, che può vedersi recapitare un secondo avviso più salato mentre il primo viene annullato – eventualità da tenere in conto se si vince “troppo facilmente” in sede amministrativa: lo Studio Legale in questi casi valuta se l’ufficio possa riprovarci e avvisa il cliente che l’autotutela dell’ufficio non è sempre un regalo finale.

In pratica, l’avvocato presenta l’istanza di autotutela quando opportuno (ad es. per ottenere subito l’annullamento di una cartella duplicata, o di un avviso notificato alla persona sbagliata, ecc.), ma non fa mai affidamento esclusivo su di essa: si cautela presentando ricorso entro 60 giorni, eventualmente chiedendo al giudice rinvio della trattazione in attesa dell’esito autotutela. Questo perché se l’ufficio tace o rifiuta, il contribuente resterebbe scoperto oltre i termini.

Esempio: Tizio riceve un accertamento per doppia imposizione su redditi già tassati all’estero (errore palese). L’avvocato chiede autotutela allegando prove e, parallelamente, prepara ricorso (che magari deposita l’ultimo giorno utile se l’ufficio non annulla in tempo). Spesso, di fronte a errori evidenti, l’ufficio annulla subito – come fu il caso di una CT di Lecce che annullò 50 milioni di avvisi su presunzioni illegittime su input dell’ufficio legale (fonte: Studio Villani, 2023). Ma se così non fosse, il ricorso è già pronto.

Sospensione e tutela cautelare

Un breve cenno alla possibilità di ottenere la sospensione giudiziale dell’atto: se un accertamento esecutivo o una cartella rischiano di mettere in grave difficoltà il contribuente (es. importi altissimi, imminente pericolo per l’azienda), il legale può presentare al giudice tributario un’istanza di sospensione dell’esecuzione. I criteri sono: fumus boni iuris (motivi di ricorso non pretestuosi) e periculum in mora (danno grave se si attende la sentenza). Se concessa, la riscossione viene bloccata fino alla sentenza di primo grado. Dal 2023, i presidenti delle nuove Corti di Giustizia Tributarie tendono a fissare udienze abbastanza rapide, dunque la sospensiva è concessa di frequente solo se la trattazione del merito non è vicina. In ogni caso, per completezza, questa è una tutela urgente che lo studio legale attiva quando necessario.

Va ricordato inoltre che l’iscrizione a ruolo delle somme dovute a seguito di accertamento esecutivo è automaticamente sospesa (ex lege) se il contribuente ha presentato ricorso e non sono decorsi 180 giorni dalla notifica dell’avviso. In pratica: si notifica accertamento il 1° marzo, ricorso il 20 aprile – l’Agenzia Entrate-Riscossione non potrà iniziare azioni coattive prima del 27 febbraio dell’anno seguente (circa). Questo dà un po’ di respiro fino alla decisione sulla sospensiva. Se poi la sospensiva viene concessa, la stasi perdura fino alla sentenza.

Strumenti straordinari e definizioni agevolate (2023-2025)

Negli ultimi anni il legislatore ha introdotto diverse definizioni agevolate straordinarie – spesso chiamate “pace fiscale” o “tregua fiscale”. Pur non essendo strumenti ordinari, meritano una citazione perché uno Studio Legale attento deve cogliere queste opportunità per i propri clienti debitori. Tra le misure più recenti:

  • Rottamazione-quater (2023): definizione agevolata delle cartelle esattoriali fino al 2017, con abbuono di sanzioni e interessi (pagamento solo dell’imposta e aggio). Termine adesione 30/6/2023, pagamento in 18 rate fino al 2027. Il D.Lgs. 108/2024 ha prorogato il pagamento della rata 31/7/24 al 15/9/24.
  • Stralcio mini-cartelle: la L. 197/2022 ha disposto l’annullamento automatico dei debiti sotto €1.000 affidati dal 2000-2015.
  • Definizione liti pendenti 2023: possibilità di chiudere i giudizi tributari in cui l’Agenzia fosse soccombente in primo o secondo grado pagando un importo ridotto (dal 15% al 40% del valore). Scadenza adesione 30/6/2023.
  • Sanatoria errori formali 2023: definizione di irregolarità formali versando €200 per periodo d’imposta, entro 31/03/2023 e 31/03/2024.

Queste misure, quando attive, comportano moduli e procedure specifiche. Il ruolo dello studio legale è informare i clienti e assisterli nelle domande di adesione, evitando errori che possano precludere il beneficio.

Conclusione su deflattivi: come si vede, l’ordinamento offre un ventaglio di soluzioni per comporre le controversie senza battaglie giudiziarie prolungate. Un avvocato esperto valuterà sempre, accanto alla strategia di ricorso, anche l’opzione di chiudere prima, se conviene. Non c’è un approccio unico: dipende dalla fondatezza delle ragioni del contribuente, dalla sua situazione economica, dal precedente storico (es. aderire può essere opportuno per chi vuole evitare precedenti giudiziari negativi che potrebbero influire su future classificazioni di rischio). In ogni caso, conoscere approfonditamente questi istituti (e le loro novità fino al 2025, come contraddittorio integrato, adesione potenziata, conciliazione estesa) consente allo studio legale di offrire al cliente la soluzione migliore, personalizzata.

Di seguito, una tabella riepilogativa dei principali strumenti deflattivi e relativi benefici:

Strumento deflattivoQuando si usaBeneficio sanzioniNote
Accertamento con adesioneDopo PVC o invito, oppure entro 60g da avvisoSanzioni ridotte a 1/3Rate fino a 8 (o 16) trimestrali. Dal 2024 attivabile già su invito (30g). Necessaria firma accordo col Fisco.
AcquiescenzaEntro 60g dalla notifica dell’avviso (nessun ricorso)Sanzioni ridotte a 1/3Pagamento immediato (o prima rata). Nessuna trattativa: si accetta l’atto così com’è (errori inclusi).
Mediazione tributariaObbligatoria (fino €50k) prima del giudizio di primo gradoSanzioni ridotte al 35% (in caso di accordo)Procedura di reclamo all’ente. Diventa conciliazione se l’accordo si perfeziona.
Conciliazione giudizialeDurante il processo (primo o secondo grado, ora anche Cassazione)Sanzioni 50% (primo grado) o 60% (appello)Richiede accordo tra contribuente e AdE davanti al giudice. Formalizzata con sentenza di conciliazione.
Ravvedimento operosoPrima che violazione sia contestata (o entro limiti previsti)Sanzioni variabili ridotte (da 0,1% giorno a 1/5)Pagamento spontaneo di imposta+interessi+sanzione ridotta. Estingue anche reati omissivi se totale e tempestivo.
AutotutelaDopo emissione atto (anche definitivo) – su istanza contribuenteAnnullamento comporta zero sanzioni su parte annullataPotere discrezionale dell’ufficio. Possibile anche aggravamento se rifanno atto (entro termini).
Definizioni agevolate straordinariePeriodi straordinari previsti da legge (es. rottamazioni, sanatorie)Variano (es. sanzioni zero in rottamazione)Opportunità temporanee previste da leggi speciali. Necessario monitorare scadenze e condizioni di legge.

(Legenda: AdE = Agenzia delle Entrate.)

Contenzioso tributario e difesa in giudizio

Se non si perviene a una soluzione bonaria, l’ultima parola spetta al giudice tributario. Dal 2023, le Commissioni Tributarie sono state rinominate Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado) e la disciplina del processo è stata ritoccata (L. 130/2022 e D.Lgs. 119/2022). Uno studio legale specializzato offre la propria assistenza lungo tutto l’iter processuale, che in sintesi prevede:

  • Ricorso introduttivo: va presentato dal contribuente entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (accertamento, cartella, provvedimento fiscale impugnabile). Il ricorso deve contenere i motivi di fatto e di diritto per cui si chiede l’annullamento/riforma dell’atto. Dal 2023 il processo è telematico e il difensore può attestare la conformità delle copie senza autentica notarile.
  • Costituzione in giudizio: il ricorso si deposita telematicamente sul portale Giustizia Tributaria, cui hanno accesso difensori e uffici. L’ufficio (AdE) si costituisce depositando atto di risposta e controdeduzioni.
  • Primo grado – Corte Giustizia Tributaria di Primo Grado: è composta da giudici tributari (ora in parte togati). Fissa l’udienza (o tratta in camera di consiglio se richiesto). All’udienza, se pubblica, le parti discutono oralmente. A seguire, i giudici decidono in camera di consiglio segreta subito dopo e il presidente legge il dispositivo in udienza oppure entro 7 giorni lo deposita. La sentenza completa viene depositata con motivazioni successivamente (entro 30 giorni, ma spesso di più).
  • Secondo grado – Corte Giustizia Tributaria di Secondo Grado: analogamente, è l’appello. Dal 2023 l’appello non è più generale sul merito, ma tende a essere un riesame limitato (sono state introdotte parziali restrizioni ai nova in appello). L’appellante deve specificare i motivi di impugnazione della sentenza di primo grado. L’udienza d’appello si svolge come il primo grado.
  • Ricorso per Cassazione: contro la sentenza d’appello è ammesso ricorso in Cassazione (Sez. Trib.), solo per motivi di legittimità (errori di diritto o vizi motivazione entro limiti). Il ricorso va proposto entro 60 giorni dalla notifica della sentenza d’appello (o 6 mesi se non notificata). La Cassazione può decidere nel merito se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, altrimenti rimanda.
  • Esecuzione della sentenza: con la riforma, le somme pagate in eccesso dal contribuente a seguito di accertamento devono essere rimborsate d’ufficio entro 90 giorni da quando la sentenza che le riconosce è notificata (non più solo dopo sentenza di primo grado: ora la norma parla di sentenza della corte di giustizia tributaria, quindi anche d’appello).

Il ruolo dello studio legale è ovviamente centrale in ogni fase: redige gli atti (ricorso, appello, controricorso, etc.) impostando le strategie difensive (vizi procedurali, eccezioni di legittimità, questioni pregiudiziali UE, nel merito consulenze tecniche se servono, testimoni ora ammessi per alcuni casi post riforma, ecc.). In udienza, l’avvocato illustra al collegio i punti salienti (anche se spesso la decisione è basata sugli scritti).

Una tendenza post-riforma è l’incentivo a definire prima: infatti è ora ammessa la conciliazione in appello e persino in Cassazione (come visto). Inoltre, i giudici tributari dal 2023 possono condannare la parte soccombente per lite temeraria (fino al 5% del valore) se il ricorso o l’appello sono pretestuosi o dilatori. Questo vale anche per l’Amministrazione se fa appello pretestuoso: un motivo in più per valutare bene quando resistere.

Nel contenzioso tributario, diversamente dal civile, vige il principio dispositivo ma con qualche peculiarità: il giudice può compensare le spese liberamente (anche se ora la soccombenza deve essere valutata seriamente) e non esistono pienamente i poteri d’ufficio sul merito, ma su questioni procedurali sì (ad es. rileva l’inesistenza della notifica d’ufficio).

Punto di vista del debitore: affrontare un processo tributario può essere lungo (anche 2-3 anni per il primo grado in certe regioni, un altro paio per l’appello). Nel frattempo, se non ha ottenuto sospensive, il contribuente potrebbe dover pagare una parte (ad esempio, si versa 1/3 in pendenza di primo grado e un altro 1/3 dopo la sentenza di primo grado sfavorevole, salvo sospensioni). Con la riforma, se il contribuente vince, il rimborso è d’ufficio veloce, il che è un miglioramento. Il legale deve informare il cliente di questi rischi e costi (il contenzioso ha un costo in parcelle e in tempo immobilizzato). Spesso, come detto, l’avvocato cerca di definire transattivamente la controversia (se l’ufficio è disponibile) per chiudere il capitolo.

Sentenze di riferimento aggiornate: Nel periodo 2023-2025 la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale hanno prodotto pronunce di principio importanti:

  • Cass. SS.UU. 8500-8502/2021: sul regime delle prove nel processo tributario, e sul fatto che il giudicato penale di assoluzione non vincola il giudice tributario (principio dell’autonomia dei due giudizi).
  • Cass. SS.UU. 34447/2019: sul giudicato interno in caso di omessa impugnazione di capi autonomi.
  • Cass. 18448/2018 e SU 16354/2018: sulla soggettività passiva delle società esterovestite (stabile organizzazione occulta) – tema di accertamenti internazionali.
  • Corte Cost. 47/2023: sulla spinta a introdurre il contraddittorio generalizzato (sopra citata).
  • Corte Cost. 10/2023: su presunzioni prelevamenti (già discussa).
  • Cass. pen. SS.UU. 27/2022 (Troise): su ne bis in idem tra sanzioni tributarie e penali (ha escluso il bis in idem considerandole sistemi diversi con finalità diverse, in linea con Corte EDU).
  • Cass. pen. 1823/2022: su confisca nel reato tributario anche se il debito è definito in via amministrativa.

In generale, l’avvocato tributarista aggiorna costantemente la strategia difensiva in base a questi orientamenti. Ad esempio, se la Cassazione cambia rotta su una certa detrazione IVA, bisognerà tenerne conto per non fare liti dall’esito prevedibilmente negativo.

Aspetti peculiari – spese e rimborsi: come già detto, se il contribuente vince, va chiesto il rimborso delle somme eventualmente pagate in eccedenza. Prima si richiedeva all’ufficio, ora la restituzione è d’ufficio entro 90gg, altrimenti scattano interessi. Se il contribuente perde, spesso aveva versato solo una parte (due terzi) grazie alla sospensione ex lege; il residuo un terzo andrà pagato con interesse modesto (0,5% annuo circa). Le sanzioni invece non aumentano oltre quanto stabilito (salvo che il giudice riduca/incrementi in sentenza).

In conclusione, il contenzioso è l’extrema ratio, ma resta talvolta inevitabile. Uno studio legale tributarista fornisce la difesa tecnica necessaria per far valere i motivi di illegittimità dell’accertamento e, in caso di esito sfavorevole, valutare l’appello e fino alla Cassazione. I successi in giudizio dipendono molto dalla qualità della preparazione difensiva: ecco perché è fondamentale rivolgersi a professionisti dedicati.

Giurisprudenza recente in materia di accertamento fiscale

L’evoluzione normativa degli ultimi anni è stata accompagnata (e spesso anticipata) da una ricca produzione giurisprudenziale, sia di legittimità (Corte di Cassazione, Sezioni Unite in particolare) che di merito, nonché dalle Corti europee (Corte di Giustizia UE) e dalla Corte Costituzionale. Dal punto di vista del contribuente, alcune sentenze hanno ampliato le tutele, altre hanno consolidato orientamenti favorevoli al Fisco. Presentiamo una rassegna dei principi più significativi espressi fino a luglio 2025, suddivisi per tema:

Presunzioni fiscali e onere della prova

  • Cass. Sez. Trib. n. 26635/2022: ha affermato che in caso di comportamenti palesemente antieconomici da parte dell’impresa (ad esempio vendite a prezzi inferiori al costo reiterate nel tempo), l’Amministrazione può fondare l’accertamento su tale anomalia come presunzione di maggior reddito. In tal caso, spetta al contribuente provare che vi erano ragioni non elusive (es. svendita per chiusura attività, beni invendibili, ecc.), altrimenti la rettifica è legittima. Questo principio rafforza la possibilità di accertamenti induttivi in presenza di incongruenze economiche gravi.
  • Cass. Sez. Trib. n. 21105/2021: ha stabilito che la definizione mediante adesione all’accertamento fa venir meno l’interesse a proseguire il processo, poiché l’accordo transattivo chiude ogni contestazione. In particolare, ha affermato che la sottoscrizione dell’atto di adesione costituisce accettazione definitiva del debito tributario e preclude ulteriori questioni sul merito della pretesa in giudizio. (Questo per sottolineare che, una volta aderito, il contribuente non può più impugnare l’accertamento né contestare le somme concordate).
  • Cass. Sez. Trib. n. 10701/2022: in tema di rapporti IVA vs imposte dirette, ha chiarito che se un’operazione è ritenuta inesistente ai fini IVA (es. fatture false) ciò comporta normalmente rettifiche simmetriche sui redditi, ma ha anche sottolineato come le differenze strutturali tra i due tributi possano giustificare esiti non perfettamente paralleli. Questa pronuncia invita a considerare separatamente le diverse imposte in accertamento, sebbene derivate dagli stessi fatti.
  • Cass. ord. n. 31568/2023: (richiamata in alcuni stralci) ha ribadito che nel redditometro il contribuente può fornire qualsiasi prova per superare la presunzione, non limitata alle fonti di reddito tassate o esenti già codificate. Il giudice deve valutare anche giustificazioni come l’uso di risparmi accumulati o aiuti informali. Ciò estende la possibilità di difesa nel nuovo accertamento sintetico.

Contraddittorio e diritto di difesa

  • Cass. Sez. Unite n. 24823/2015: pietra miliare sul contraddittorio: stabilì (ante riforma) che per i tributi “armonizzati” (IVA) l’assenza di contraddittorio endoprocedimentale comporta la nullità dell’atto, ma per i tributi non armonizzati (es. imposte sui redditi) non esisteva un obbligo generalizzato. Introdusse inoltre la “prova di resistenza” per l’IVA: il contribuente doveva indicare quali elementi avrebbe potuto far valere se interpellato, altrimenti la nullità non veniva pronunciata in automatico. Importanza attuale: questa sentenza ha retto fino alla riforma 2024. Oggi, dopo l’introduzione dell’art. 6-bis Statuto, le distinzioni crollano: contraddittorio dovuto per tutti i tributi (non solo armonizzati) e nullità automatica in caso di omissione. La prova di resistenza rimane rilevante solo per atti ante 2024.
  • Cass. Sez. Unite n. 7966/2024 (depositata 25/03/2024): ha affrontato il problema della decorrenza temporale del nuovo obbligo di contraddittorio. Ha sancito che gli atti impositivi emessi prima del 18/01/2024 restano soggetti alla disciplina previgente. Quindi, per quelli, continua a valere la regola SU 2015 (obbligo solo per IVA e tributi UE, con prova resistenza). Gli atti successivi invece ricadono sotto l’art. 6-bis e, in caso di omissione contraddittorio, sono nulli a prescindere. Questo chiarisce ogni dubbio di diritto intertemporale.
  • Cass. ord. n. 9554/2024: ha dichiarato la nullità di un accertamento basato esclusivamente su studi di settore qualora l’ufficio non abbia attivato il contraddittorio con il contribuente. Pur riferita a fatti anteriori alla riforma (quando gli studi di settore erano uno dei pochi casi dov’era già previsto l’obbligo di contraddittorio per legge), la pronuncia conferma l’indirizzo secondo cui il confronto con il contribuente è elemento essenziale per validare le risultanze presuntive degli studi (oggi ISA). Post-riforma, la pronuncia è ancor più significativa perché estende il principio: anche un accertamento “a tavolino” oggi non può bypassare il contraddittorio, pena nullità.
  • Cass. n. 16873/2024: ha statuito che, in tema di accertamento “a tavolino” IVA, il contraddittorio può dirsi soddisfatto anche attraverso lo scambio di comunicazioni scritto, ad esempio mediante una richiesta di documenti seguita dalla risposta del contribuente. Ciò significa che non è obbligatorio un incontro fisico o un invito formale per avere contraddittorio: se l’ufficio ha inviato al contribuente una richiesta di chiarimenti e questi ha potuto replicare, questo scambio può costituire un effettivo contraddittorio. Tale principio sarà da coordinare con l’art. 6-bis, che formalizza l’invito: probabilmente, dopo il 2024, sarà la forma istituzionale a prevalere. Ma resta un monito: la sostanza prevale sulla forma; se c’è stata reale interlocuzione (anche informale), l’ufficio può difendere la validità del contraddittorio.
  • Cass. penale, Sez. III, n. 859/2024: (ambito penal-tributario) – ha chiarito che l’adesione fiscale (accertamento con adesione) è un accordo transattivo sul piano tributario e non implica una confessione ai fini penali. Dunque, il contribuente che aderisce non si auto-accusa automaticamente di evasione fraudolenta o altri reati. Questo principio tutela il diritto di difesa: si può definire la pendenza tributaria senza timore che tale condotta sia usata come prova di colpevolezza nel parallelo procedimento penale. Ovviamente, però, i fatti rimangono: se c’è reato, l’adesione non lo estingue (tranne i casi specifici di integrale pagamento per i reati di omesso versamento, come da art. 13 D.Lgs.74/2000 – ma questo è un effetto legale, non una conseguenza “confessoria”). In sintesi, la Cassazione penale invita a non equiparare adesione = ammissione di evasione dolosa. Ciò rassicura i contribuenti in sede di contraddittorio: possono collaborare per ridurre il carico fiscale senza rinunciare a difendersi se accusati penalmente.
  • Cass. Sez. Trib. n. 28321/2024: ha toccato il tema del redditometro (accertamento sintetico), ribadendo che di fronte alla spesa accertata, il giudice non può disapplicare la presunzione stabilita dalla legge (nel senso: se c’è scostamento oltre soglia, il reddito presunto è quello; il giudice non può abbatterlo arbitrariamente), ma può solo valutare la prova contraria offerta dal contribuente circa la provenienza non reddituale di quelle spese. In altre parole, una volta che l’ufficio dimostra spese per X e reddito dichiarato molto inferiore, scatta la presunzione legale; il processo verte tutto sulle giustificazioni del contribuente. Se queste mancano o sono deboli, il giudice deve confermare l’accertamento; se sono solide (es. spese finanziate da risparmi pregressi, come da documenti), allora può annullare o ridurre l’atto. Questo orientamento rafforza la struttura dell’accertamento sintetico 2.0, rendendo ancora più cruciale il ruolo del contraddittorio (dove presentare le prove contrarie).

Utilizzabilità delle prove e rapporti con il penale

  • Cass. Sez. Trib. n. 8452/2025 (depositata 31/03/2025): principio di diritto: “non esiste nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite”. La Corte ha evidenziato che il principio ex art. 191 c.p.p. (prova illecita inutilizzabile) vale solo nel processo penale e non si estende automaticamente al procedimento tributario. Dunque, elementi raccolti irritualmente dal Fisco (in violazione di norme procedurali amministrative) rimangono impiegabili per emettere accertamenti, salvo che si tratti di violazioni di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati (es: domiciliarità, libertà personale). In quest’ultimo caso – ad es. documenti sequestrati con perquisizione domiciliare senza decreto – anche in ambito tributario quei documenti dovrebbero essere espunti, perché ottenuti violando norme poste a tutela di diritti primari. La sentenza 8452/2025 richiama precedenti (Cass. 8605/2015, 20358/2020, 24923/2021) e rimarca la separazione tra accertamento tributario e processo penale: durante le verifiche amministrative, pur se emergono indizi di reato, le garanzie del codice penale scattano solo ai fini penalistici (art. 220 disp. att. cpp). Implicazione pratica: il contribuente può far annullare un accertamento per vizi procedurali solo se la norma violata prevede espressamente quella sanzione (nullità/inutilizzabilità). Altrimenti l’atto resta valido, potendo lamentarsi al più in sede penale. Questo sprona i difensori a individuare sempre basi normative solide per contestare prove (es: omessa autorizzazione indagini finanziarie non ha sanzione espressa, quindi non basta per annullare l’atto). Resta comunque la possibilità di far valere la violazione come elemento valutativo di minor attendibilità della prova, ma non di per sé di esclusione.
  • Cass. Sez. Trib. n. 959/2018: (richiamata da Cass. 2025) ha distinto le indagini GdF amministrative vs penali: quando la Guardia di Finanza agisce su delega dell’Agenzia per accertamenti tributari, le eventuali irregolarità non comportano inutilizzabilità automatica delle risultanze in ambito fiscale. Se invece la GdF svolge indagini come polizia giudiziaria per reati tributari, deve seguire il cpp e le prove raccolte per il penale (ad es. intercettazioni, pedinamenti) possono poi essere usate dal Fisco (spesso vengono trasfuse in PVC), ma attenzione: se nel penale furono dichiarate inutilizzabili, si potrebbe discutere se il Fisco possa averle comunque. In genere, la Cassazione dice di sì: la inutilizzabilità penale non travolge l’autonomo accertamento amministrativo, salvo diritti fondamentali. La Corte Costituzionale ad oggi non ha imposto il frutto dell’albero avvelenato nel tributario.
  • Cass. Pen. n. 32282/2024: (menzionata nei risultati) – ha chiarito il calcolo del profitto confiscabile nei reati tributari, in relazione all’adesione fiscale. Ha detto che la definizione fiscale non fa venir meno il profitto del reato già consumato, ma se il contribuente paga quanto dovuto, quella somma va detratta dal profitto confiscabile (evitando doppia sottrazione). Questo conferma che aderire/pagare riduce i guai penali (evita confisca per equivalente se hai già pagato il tributo).

In complesso, la giurisprudenza 2022-2025 mostra un doppio binario: da un lato, maggiori garanzie procedurali per i contribuenti (grazie anche all’intervento normativo sul contraddittorio, spinto dalla Corte Cost.), dall’altro una conferma della linea dura su certe tematiche (presunzioni bancarie, importanza delle prove indiziarie, irrilevanza di vizi formali se non c’è un concreto pregiudizio). Il debito tributario resta un’obbligazione civile, ma con molte influenze penal-pubblicistiche, e l’indirizzo è di isolare l’ambito tributario come specialità: da qui la tesi Cassazione 2025 sull’utilizzabilità delle prove.

Uno studio legale deve quindi muoversi con attenzione: non dare per scontato che un vizio procedurale annulli l’atto (a meno che la legge lo dica: es. contraddittorio omesso ora sì, è nullità testuale), e preparare bene le prove contrarie e le argomentazioni di merito per convincere il giudice dell’infondatezza della pretesa.

Riassumendo i principi chiave emersi:

  • Contraddittorio obbligatorio per tutti gli atti dal 2024, nullità automatiche in caso di violazione.
  • Nessuna inutilizzabilità generalizzata delle prove irrituali in campo tributario (salvo eccezioni per diritti fondamentali).
  • Onere del contribuente di provare circostanze giustificative nelle presunzioni (redditometro, versamenti bancari, studi settore) – Cassazione richiede prova chiara, altrimenti prevalgono le presunzioni.
  • Adesione e accordi fiscali non equivalgono a confessione in sede penale.
  • Possibilità per l’Amministrazione di correggere i propri errori (anche peggiorando la pretesa) legittimata in pieno.
  • Necessità di cooperazione e buona fede: la stessa giurisprudenza UE (Sopropé 2008, Kamino 2014) ricordata nelle sentenze ha permeato il sistema, e ora è legge interna.

Corte Costituzionale e UE: ultimi interventi

  • Corte Cost. n. 47/2023: ha dichiarato inammissibile (per ragioni procedurali) una questione di legittimità che chiedeva di introdurre l’obbligo di contraddittorio generalizzato per violazione di artt. 3, 24, 97 Cost., però contestualmente ha “sollecitato” il legislatore ad intervenire. Questa sentenza ha fatto da preludio all’emanazione del D.Lgs. 219/2023 che infatti, pochi mesi dopo, ha inserito l’art. 6-bis nello Statuto. Dunque, la Corte Costituzionale ha giocato un ruolo moral suasion determinante nella riforma.
  • Corte Cost. n. 10/2023: come analizzato, ha rigettato la questione sulla presunzione legale di ricavi da prelevamenti bancari ingiustificati per gli imprenditori, reputandola non fondata. Ha ritenuto che la norma (art. 32 co.2 DPR 600) non viola il principio di capacità contributiva né il diritto di difesa, in quanto (a) è assistita da praesumptio iuris tantum superabile con prova contraria, (b) si applica a categorie (imprenditori) dove i prelevamenti hanno razionalmente attinenza con costi aziendali. La Corte ha tuttavia ricordato che tale presunzione non si estende ai lavoratori autonomi non imprenditori (già esclusa con sent. 228/2014). Quindi oggi: se accertano un professionista su base prelevamenti, l’atto è illegittimo (e molte CTP lo annullano rifacendosi a Corte Cost. 228/2014). Per imprenditori, invece, i prelievi non giustificati restano un grattacapo; al più, si può eccepire che quell’art. 32 deve essere interpretato restrittivamente (ad es. almeno sopra certe soglie giornaliere, come era un tempo 1.000 € al giorno, 5.000 € mese, poi abolito). Ma la Corte 10/2023 indica che il confine è tra imprenditori e non.
  • Giurisprudenza UE (Corte di Giustizia): negli ultimissimi anni nessuna sentenza clamorosa come in passato (tipo Sopropé, Kamino sul contraddittorio). La CGUE ha però emanato decisioni in materia di IVA: ad esempio sulle frodi carosello, ha puntualizzato quando negare la detrazione se il fornitore è in frode (cause C-227/21 HA.EN., 2022). Inoltre, su temi come il ne bis in idem tra sanzioni tributarie e penali, la Corte EDU e la CGUE hanno leggermente allentato la pressione, ammettendo un doppio binario se le sanzioni amministrative non sono eccessivamente punitive e c’è coordinamento (sentenza Grande Stevens c. Italia 2014, A&B c. Norvegia 2016, per cui l’Italia ha adattato l’art. 12 D.Lgs. 472/97 mettendo tetto 100% alle sanzioni tributarie se c’è condanna penale). Insomma, sul piano sovranazionale non vi sono novità dirompenti dal 2020 in poi, essendosi recepite in Italia le istanze principali (contraddittorio, ne bis in idem, ecc.).

In conclusione, aggiornarsi sulle sentenze è vitale: un buon difensore citerà in ricorso i precedenti più calzanti (specie SU e Corte Cost.) per sostenere l’illegittimità dell’atto o la correttezza della propria posizione. Nella sezione Fonti a fine guida, elenchiamo i riferimenti normativi e giurisprudenziali citati, che rappresentano l’ossatura legale su cui basare la difesa negli accertamenti fiscali odierni.

FAQ – Domande frequenti sull’accertamento tributario

Di seguito una serie di domande comuni che i contribuenti (privati, imprenditori, professionisti) spesso pongono riguardo agli accertamenti fiscali e al ruolo dello studio legale, con risposte basate sulla normativa aggiornata al 2025 e sull’esperienza pratica:

Domanda 1: Quali sono i termini di decadenza per l’emissione di un avviso di accertamento?
Risposta: I termini ordinari (salvo frode) attualmente sono: 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (per imposte sui redditi e IVA), oppure 31 dicembre del settimo anno se la dichiarazione è stata omessa. Ad esempio, per il periodo d’imposta 2020 (dichiarazione presentata nel 2021) il termine è il 31/12/2026; se la dichiarazione 2020 non è stata presentata, il termine è il 31/12/2028. Questi termini sono stati unificati nel 2016 (prima erano 4 anni + eventuale raddoppio in caso di reato, ma il raddoppio è stato eliminato). Attenzione: a causa della sospensione Covid del 2020, per alcuni anni c’è stato uno slittamento: in sostanza gli atti in scadenza al 31/12/2020 sono slittati di 85 giorni (fino al 26/3/2021) e questo ha avuto effetto a catena su annualità successive. La Cassazione ha chiarito che la proroga si applicava anche ai termini in corso nel 2020 (quindi ad esempio l’anno 2015, che scadeva al 31/12/2020, è stato prorogato al 26/3/2021). Novità: Il legislatore ha abolito questa proroga per il futuro: dal 31/12/2025 non si applica più l’estensione di 85 giorni. Pertanto, ad esempio, l’anno d’imposta 2019, che avrebbe avuto scadenza ordinaria 31/12/2024 prorogata a 26/3/2025, torna ad avere scadenza 31/12/2025 (senza ulteriori proroghe). In sintesi: 5 anni (dich. presentata) o 7 anni (omessa). Per i tributi locali (es. IMU, TARI) in genere il termine è 5 anni dal’anno successivo a quello in cui il tributo doveva essere versato. I termini di decadenza sono perentori: se l’Agenzia notifica l’avviso oltre il termine, l’atto è nullo e lo studio legale farà valere la decadenza in ricorso. Inoltre, se il contribuente ha adeso ai PVC (processi verbali) entro il 31/12/2023, talvolta il termine era prorogato di +1 anno per l’atto (norma speciale), ma nel 2023 quella norma è stata abrogata.

Domanda 2: Cosa succede se il contribuente non risponde a un questionario o a un invito al contraddittorio dell’Agenzia?
Risposta: La mancata risposta a un questionario (art. 32 DPR 600/73) comporta intanto una sanzione amministrativa da €250 a €2.000 per omesso riscontro. Inoltre, i documenti non esibiti in risposta a questionario non potranno essere prodotti più tardi in sede contenziosa a favore del contribuente (c.d. inutilizzabilità in base all’art. 32 cit.) – questo può pregiudicare la difesa. Quindi ignorare il questionario è fortemente sconsigliato: meglio rispondere, anche chiedendo eventualmente proroga se servono più giorni. Per quanto riguarda l’invito al contraddittorio (art. 6-bis Statuto): se il contribuente non partecipa né presenta deduzioni scritte entro 60 giorni, l’ufficio può procedere a notificare l’avviso. La mancata adesione all’invito non è sanzionata pecuniariamente, ma priva il contribuente di un’occasione di far valere le proprie ragioni anticipatamente. In giudizio non potrà eccepire la nullità per mancato contraddittorio (perché l’invito c’era, è lui che non l’ha colto). Può semmai ancora attivare l’adesione entro 60g dall’avviso ma ormai post atto. Dunque, il consiglio è sempre di interagire: se non ci si presenta, il messaggio all’Agenzia è di chiusura totale, e l’accertamento sarà emesso presumendo che non si avessero controdeduzioni. Se proprio non si riesce ad andare di persona, è possibile inviare una memoria scritta con le proprie osservazioni entro i 60 giorni dall’invito: l’ufficio dovrà valutarla prima di emettere l’atto. In sintesi, non rispondere o non presentarsi peggiora la posizione del contribuente. Lo studio legale può in tali casi inviare una lettera motivando eventualmente l’impossibilità di comparire (ad es. per motivi di salute, chiedendo differimento) oppure, se si intende aderire all’atto, può scegliere di non contraddire (ma conviene farlo comunque per cercare di ottenere un esito migliore nell’adesione eventuale).

Domanda 3: Qual è la differenza tra Processo Verbale di Constatazione (PVC) e avviso di accertamento?
Risposta: Il PVC è il verbale redatto dai verificatori (Agenzia Entrate o Guardia di Finanza) al termine di una verifica fiscale in loco. Esso constata i fatti e le eventuali violazioni rilevate durante il controllo, ma non contiene la pretesa tributaria quantificata in termini di imposta e sanzioni esigibili. In pratica, è un rapporto istruttorio: elenca ad esempio “sono stati trovati ricavi non contabilizzati per €100.000” oppure “trovate fatture per operazioni inesistenti per €50.000 di IVA”, ecc. Viene consegnato al contribuente, che può presentare osservazioni entro 60 giorni (diritto di difesa anticipata). L’avviso di accertamento, invece, è l’atto impositivo formale emanato dall’Ufficio (Agenzia Entrate) con cui si accerta il maggior tributo dovuto e si irrogano le sanzioni. È impugnabile davanti al giudice ed equivale a un titolo esecutivo se decorrono i termini. Spesso l’avviso recepisce le conclusioni del PVC, ma può anche discostarsene (l’Ufficio può archiviare qualche rilievo o aggiungerne). In alcuni casi può esserci un PVC senza poi accertamento (se l’ufficio accoglie tutte le osservazioni del contribuente, ad esempio, potrebbe chiudere lì). Il PVC da solo non è impugnabile dal contribuente, perché non gli richiede nulla (salvo contenga già l’invito a definire per adesione, ma comunque non è un atto impositivo). Fa eccezione il PVC con esito nullo – se i verificatori concludono che tutto è regolare, quello non darà luogo ad avvisi. Per prassi, il PVC è allegato all’accertamento (specie se emanato prima dei 60 giorni per urgenza). In passato, come garanzia, l’art. 12 Statuto imponeva di attendere 60 giorni dal PVC prima di emettere l’avviso, pena nullità dell’accertamento: ora quell’articolo è stato sostituito dal contraddittorio obbligatorio generalizzato, ma in sostanza la stessa garanzia rimane (non possono notificare l’atto immediatamente senza confronto, salvo urgenza motivata). Quindi: PVC = verbale di chiusura della verifica; avviso = atto finale di accertamento e richiesta imposte/sanzioni. Uno studio legale entra spesso in gioco proprio tra PVC e avviso, preparando le memorie difensive sui rilievi del PVC per cercare di evitare o ridurre l’avviso.

Domanda 4: Se ricevo un avviso di accertamento esecutivo, posso chiedere una rateazione o una sospensione per evitare che l’Agente della Riscossione mi pignori?
Risposta: Sì. L’avviso di accertamento esecutivo stesso reca l’indicazione che, entro 60 giorni dalla notifica, il contribuente può pagare (o impugnare) per evitare l’affidamento a riscossione. Inoltre indica che è possibile chiedere pagamento rateale all’Agenzia delle Entrate-Riscossione dopo la scadenza dei 60 giorni. In pratica, se non riesci a pagare tutto subito, conviene presentare un’istanza di rateazione all’Agente della Riscossione appena il debito viene caricato (di solito ciò avviene al 61° giorno dalla notifica, salvo ricorso). Le regole attuali (art. 19 DPR 602/73) permettono: fino a €100.000 di debito, 8 rate trimestrali; sopra €100.000, 16 rate trimestrali. In caso di temporanea difficoltà grave, si possono chiedere fino a 72 rate mensili (6 anni) con prova del calo fatturato > 33% e rapporto rata/reddito < 1/5. Importante: se presenti ricorso contro l’accertamento entro 60 giorni, la riscossione è automaticamente sospesa per 90 giorni dall’affidamento (cioè circa 6 mesi dalla notifica dell’avviso). Inoltre puoi contestualmente chiedere al giudice tributario la sospensione cautelare dell’atto, che se concessa blocca ogni azione esecutiva fino alla sentenza. Quindi per evitare pignoramenti ci sono queste opzioni: (a) presentare ricorso tempestivo, così per legge l’AdER aspetta almeno 6 mesi e nel frattempo ottenere eventualmente la sospensiva dal giudice; (b) se non fai ricorso e vuoi rate, devi comunque attivarti entro 60gg chiedendo rateazione (in realtà la legge dice che la rateazione su avviso esecutivo può essere chiesta dopo l’affidamento a ruolo, ma l’AdER ha reso possibile anticipare la richiesta anche prima che parta la cartella). Una volta concessa la rateazione, decade se salti due rate anche non consecutive: quindi va rispettata. Durante la rateazione, l’Agente non può procedere ad esecuzione forzata (salvo ipoteca o fermo auto se salti rate). In alternativa, se fai ricorso e ottieni sospensiva, il ruolo rimane sospeso e nulla succede finché non c’è decisione o fine sospensione. Quindi, in concreto, appena arrivi l’accertamento: valuta con l’avvocato se ci sono motivi validi per ricorrere; se sì, ricorso e chiedere sospensiva. Se no (cioè se conviene pagare/definire), considera l’adesione entro 60g per sanzioni ridotte; se non aderisci, almeno chiedi la dilazione a riscossione. Lo studio legale ti aiuterà a fare queste mosse nei tempi giusti per evitare sorprese. Vale pure la pena ricordare: prima di iscrivere ipoteca o pignorare, l’Agente Riscossione invia in genere una intimazione o sollecito (non obbligatorio, ma prassi e principio di leale collaborazione), quindi proprio all’improvviso di rado colpisce se c’è dialogo.

Domanda 5: Cos’è e quando conviene il ravvedimento operoso?
Risposta: Il ravvedimento operoso consiste nel sanare spontaneamente una violazione tributaria prima che il Fisco la contesti. Con il ravvedimento paghi la differenza d’imposta dovuta + interessi + una sanzione ridotta (molto minore delle sanzioni ordinarie). Esempio: se ti sei accorto di non aver dichiarato un reddito, puoi presentare una dichiarazione integrativa e versare l’imposta evasa con sanzione ridotta (che dipende da quando ravvedi: se entro 90 giorni la sanzione è 1/9 del 90%, quindi 10%; se entro 1 anno è 1/8, ~12,5%; entro 2 anni 1/7, ~14%; oltre 2 anni 1/6, ~16,67%). Se la violazione è omesso versamento, la sanzione minima è 30%: col ravvedimento entro 30gg diventa 1/10, cioè 3%. Conviene perché evita un futuro accertamento con sanzioni piene (normalmente 90% imposta evasa, più interessi e sanzioni accessorie). Ed evita anche eventuali effetti penali: ad esempio, per omesso versamento IVA sopra soglia (€250k), il reato è estinto se paghi integralmente il debito prima della dichiarazione dibattimentale in penale. Il ravvedimento fatto prima di ricevere controlli ti mette al riparo sia dall’accertamento sia dal reato (nei casi di omesso versamento e indebite compensazioni, la legge prevede la non punibilità se paghi prima). Quando farlo: appena ti accorgi dell’errore e se ancora non hai ricevuto notifiche di verifiche o accertamenti su quella violazione. Infatti, il ravvedimento è precluso quando sono già iniziati controlli formali sulla specifica violazione (esempio: se hai ricevuto un PVC con la contestazione, ormai è tardi per ravvedere quell’importo). Tuttavia, la norma oggi consente ravvedimento anche dopo accessi, ispezioni o verifiche, purché non ti abbiano ancora notificato un atto che formalizza la violazione (c’è un po’ di dibattito, ma in pratica se c’è un PVC già che individua l’evasione, l’AdE non accetta ravvedimento su quella imposta). Lo studio legale, con il commercialista, può aiutarti a quantificare e presentare un ravvedimento corretto. Il ravvedimento conviene soprattutto per violazioni palesi e incontrovertibili (es. ti sei accorto di aver dimenticato una fattura attiva): ravvedi e dormi tranquillo. Se invece la questione è dubbia (es. deduzione di un costo incerta) magari puoi attendere eventuali controlli e giocartela, ma rischi sanzioni piene se poi avevi torto. Nota bene: dal 2015 si può ravvedere anche oltre l’anno successivo (prima era limitato). Quindi, volendo, potresti ravvedere un 2019 nel 2023, pagando 1/6 sanzioni (~16.67%). Sempre meglio che farsi accertare con 90% + interessi. In alcuni casi nel 2023 c’è stato il ravvedimento speciale (sanzione 1/18) per errori dichiarazioni 2021 e precedenti – scaduto a marzo 2023 – che era ultra conveniente. In generale, il ravvedimento operoso conviene sempre se sai di avere un debito e hai liquidità per sistemarlo. È un atto di pentimento fiscale apprezzato dal sistema.

Domanda 6: Ho ricevuto un accertamento per redditi non dichiarati ricostruiti col redditometro. È vero che devo provare da dove ho preso i soldi per le mie spese?
Risposta: , in buona sostanza funziona così: l’ufficio ha individuato spese o investimenti (es. acquisto auto, mutuo casa, spese carte di credito, ecc.) tali per cui stima che il tuo reddito effettivo fosse più alto di quello che hai dichiarato. In base alla legge (art. 38 DPR 600/73), se la differenza supera il 20% e almeno 10× assegno sociale, scatta la presunzione di maggior reddito pari a quell’extra spesa. A questo punto tocca a te dimostrare che quelle spese le hai finanziate con risorse non imponibili: ad esempio, avevi risparmi accumulati negli anni precedenti (soldi dal conto corrente vecchio), oppure ti ha aiutato un familiare, oppure erano redditi esenti (tipo una vincita, una donazione, un’eredità, ecc.). Puoi anche provare che l’ufficio ha sovrastimato la spesa: magari l’AdE presume che per mantenere 2 auto servano 10.000€/anno ma tu dimostri con fatture che ne hai spesi 5.000€ (quindi la base va ridotta). Se non fornisci alcuna giustificazione valida, la presunzione regge e l’accertamento verrà confermato. Se fornisci giustificazioni parziali, il reddito accertato può essere ridotto in parte. Esempio: su €50.000 di spese non coperte da reddito dichiarato, dimostri che €20.000 provenivano da una tua liquidazione TFR (tassata separatamente) – allora quell’importo non è reddito nuovo, e l’ufficio dovrà abbattere la pretesa a €30.000. Ma sei tu a doverlo segnalare e provare. In pratica il redditometro (ora accertamento sintetico) ribalta l’onere: l’AdE dice “hai speso troppo rispetto a quanto guadagni, quindi avrai altri redditi in nero”, e sta a te smentire trovando le fonti lecite di quei soldi. È dura ma è concepita così. Lo studio legale in questi casi ti aiuta a raccogliere le prove necessarie: visure conti correnti per mostrare risparmi pregressi, lettere di parenti che attestano donazioni, eventuali polizze riscattate, vendita di oggetti, ecc. Tieni conto che contano i fatti: dire “avevo risparmi sotto il materasso” se non puoi dimostrarlo almeno con prelievi bancari in passato o testimonianze di terzi, non sempre convince. In Cassazione (ord. 31568/2023) hanno però detto che il giudice deve valutare qualsiasi prova anche logica o presuntiva a tuo favore (es. se un soggetto anziano spende molto potrebbe essere intaccando risparmi ereditati). Quindi, sì, devi prepararti a spiegare dove hai preso i soldi. Talvolta, se non hai spiegazioni, può convenire valutare un’adesione, perché magari ottieni uno sconto sanzioni. Se invece hai valide ragioni, porta tutto al contraddittorio e poi eventualmente al giudice, che potrà annullare l’accertamento se giudica convincente la tua prova contraria.

Domanda 7: In caso di perdita in giudizio del contribuente, ci sono sconti sulle sanzioni?
Risposta: Se si arriva a sentenza definitiva e il contribuente perde, le sanzioni applicate restano quelle dell’atto (piene). Non ci sono sconti automatici post-sentenza. Gli sconti sulle sanzioni sono previsti solo se il contribuente deflaziona prima: in adesione (–2/3), in acquiescenza (–2/3), in conciliazione (–1/2 o –40%), ecc. Se invece si giunge a fine processo, significa che non si è trovato accordo e quindi le sanzioni si pagano intere. Tuttavia, esiste un’ipotesi: se il contribuente perde in primo grado e decide di non appellare, la legge prevede che le sanzioni restano al 90% di quelle irrogate (quindi uno sconto del 10%). Similmente, se perde in appello e non va in Cassazione, le sanzioni restano al 100% di quelle dell’atto (credo intendendo che se in appello erano state ridotte, restano quelle ridotte). In passato (D.Lgs. 218/97) c’era l’istituto dell’acquiescenza alla sentenza, che dava uno sconto del 40% delle sanzioni in caso di soccombenza in primo grado se pagavi e non appellavi; ma poi questa norma fu abrogata e sostituita da quella sul 90%. Dunque attualmente: perdere e non appellare → sanzioni ridotte del 10%. Non è un grande incentivo, infatti la gente di solito appella se pensa di aver ragione, altrimenti aveva conciliato prima. Invece, un vantaggio di chiudere prima è sulle spese di giudizio: se perdi in primo grado e appelli perdi anche in appello, pagherai spese doppie. Se ti fermi prima, eviti le spese successive e riduci interessi di mora accumulati. Insomma, arrivare a fine giudizio deve valerne la pena per contestare imposta, più che per le sanzioni. Lo sconto vero sulle sanzioni l’hai solo deflazionando prima (adesione, ecc.). Una volta arrivata la condanna finale, tutto il dovuto va pagato, con sanzioni intere. L’unica consolazione: avendo fatto ricorso, hai usufruito della sospensione parziale (pagato solo 1/3 in attesa, ecc.), ma sul rimanente pagherai interessi dal 60° giorno dall’atto. Lo studio legale te lo chiarirà sempre: “se andiamo avanti e perdiamo, pagherai sanzioni piene e magari pure spese legali dell’Erario; se troviamo un accordo ora, le sanzioni scendono e chiudiamo”.

Domanda 8: Cosa significa strumenti deflattivi e posso usarne più di uno insieme?
Risposta: Gli strumenti deflattivi del contenzioso sono quelli che risolvono la controversia senza arrivare a sentenza (o evitano proprio il ricorso). Ad esempio: adesione, acquiescenza, conciliazione giudiziale, mediazione, ravvedimento. In genere, questi strumenti si escludono a vicenda sulle stesse somme, nel senso che non puoi avere due benefici sovrapposti sulla medesima imposta. Ad esempio, non puoi fare adesione e poi anche conciliazione sullo stesso rilievo: se hai aderito, la questione è chiusa e non arrivi neanche in giudizio. Oppure, non puoi presentare ricorso (attivando la mediazione) e contemporaneamente presentare istanza di adesione: sono due vie alternative (o trovi l’accordo prima col Fisco o fai ricorso). Però potresti usare strumenti diversi in fasi diverse: es. se l’adesione fallisce (non trovate accordo), allora presenti ricorso e magari fai conciliazione in giudizio. Oppure, se un atto contiene più rilievi, potresti definirne uno in acquiescenza e impugnare gli altri. In tal caso, l’atto viene scisso (tecnicamente sarebbe auspicabile che l’Ufficio annulli in autotutela la parte definita e prosegua il contenzioso sul resto). Diciamo che in parallelo non ne applichi due sullo stesso oggetto, ma sequenzialmente sì: primo tenti l’adesione, se non va impugni e provi conciliazione, se non va arrivi a sentenza. Anche il ravvedimento è incompatibile con altri: ravvedi finché l’ufficio non ti contesta nulla; se ravvedi e poi comunque ti contestano (perché magari ravvedimento incompleto), potrai al massimo mediare su quel residuo. Un’altra cosa: non è possibile cumulare riduzioni sanzioni: ogni istituto ha la sua (ravvedimento riduce a 1/10-1/8 ecc; adesione 1/3; conciliazione 1/2; mediazione 35%; acquiescenza 1/3). Quindi, se fai adesione non è che poi in conciliazione hai un ulteriore sconto, no – uno esclude l’altro. Uno scenario di combinazione parziale: supponi un accertamento con 3 rilievi, decidi di acquiescere a uno (pagando con 1/3 sanzioni), e impugni gli altri due; su questi due in giudizio magari fai conciliazione riducendo sanzioni al 50%. È lecito, solo va gestito proceduralmente bene (chiedendo stralcio parziale dell’atto su cui hai acquiesciuto). Va detto che la riforma 2023 ha semplificato certe cose: ad esempio oggi la mediazione confluisce di fatto nella conciliazione se c’è accordo. Quindi non hai due riduzioni, ma una sola del 35% in mediazione. Lo studio legale saprà consigliarti il miglior percorso deflattivo: spesso si tenta il più conveniente (adesione, sanzioni 1/3) e, se fallisce, si passa al successivo (ricorso e proposta di conciliazione). Quindi sì, puoi usarne più d’uno in successione, ma non contemporaneamente sullo stesso importo.

Domanda 9: L’Agenzia delle Entrate mi ha annullato in autotutela un avviso di accertamento che avevo impugnato; cosa succede al ricorso pendente?
Risposta: Se l’ufficio ha annullato integralmente l’atto impugnato, la causa diventa improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (il giudice di norma prende atto che l’atto non c’è più, quindi non c’è più materia del contendere). In pratica, hai vinto: l’Amministrazione riconoscendo l’errore ha chiuso la partita. Dovrai però comunicare al giudice che l’atto è stato annullato (di solito l’AdE stessa deposita un’istanza di estinzione del giudizio). Attenzione però: se l’annullamento è parziale (tipo l’ufficio riconosce un errore di calcolo e riduce l’imponibile), e tu vuoi contestare anche il resto, il ricorso prosegue per la parte residua. Spesso in questi casi l’ufficio emette un nuovo atto sostitutivo per la parte rimasta: il vecchio viene annullato, il nuovo prende il suo posto e dovrai eventualmente impugnare quest’ultimo (magari adeguando i motivi di ricorso). Non è raro: es. annullano l’atto perché notifica nulla e ne notificano uno nuovo; oppure annullano un rilievo su tre, e per gli altri due ti dicono “riproporremo atto parziale” o li lasciano nell’aria – qui dipende. Se annullano completamente e non rifanno l’atto, sei a posto. Se rifanno l’atto, dovrai impugnarlo (ma se è identico al precedente tranne correzioni, farai ricorso reiterando i motivi precedenti, con nuovi termini). In tribunale, dunque, se l’atto originario è annullato: la tua causa viene dichiarata estinta (o accolta per cessata materia del contendere). Puoi chiedere le spese di lite comunque, perché tu avevi ragione a ricorrere: spesso l’Agenzia, nell’atto di autotutela, propone la compensazione delle spese se riconosce l’errore suo. Su questo deciderà il giudice. Lo studio legale monitorerà la pubblicazione del provvedimento di autotutela e ne informerà la Corte. Nota: se il tuo ricorso includeva anche una domanda di rimborso (di somme versate) e l’ufficio non l’ha ancora eseguito, potresti avere interesse residuo sulle spese o sul rimborso. Ma in genere, la definizione in autotutela risolve tutto. Quindi complimenti, il ricorso ha portato l’AdE a darti ragione prima ancora della sentenza.

Domanda 10: Un avviso bonario (liquidazione automatica) o una cartella di pagamento possono essere oggetto di accertamento con adesione?
Risposta: No, l’accertamento con adesione si applica agli avvisi di accertamento in senso proprio, non alle comunicazioni di irregolarità (c.d. avvisi bonari da controllo automatico o formale) né alle cartelle esattoriali. Le comunicazioni 36-bis/36-ter prevedono già un meccanismo di riduzione sanzioni al 10% se paghi entro 30 giorni, ma non c’è contraddittorio formale: puoi solo segnalare errori materiali all’ufficio, che se riconosce annulla in autotutela (c’è un canale di assistenza, ma non è un’adesione negoziata). Per le cartelle (ruoli), se contengono importi da accertamento già definitivo non c’è nulla da definire: o paghi o impugni per vizi formali. Non c’è adesione su cartella perché l’adesione mira a concordare l’imponibile e la cartella è solo uno strumento di riscossione. Ci sono però altre definizioni: se la cartella si riferisce a un accertamento non impugnato, puoi fare acquiescenza (ma ormai la cartella indica che sei oltre 60g, quindi niente sconto sanzioni); oppure puoi vedere se rientra in qualche rottamazione (nel 2023 ad esempio c’era la rottamazione-quater che definiva cartelle sgravando sanzioni e interessi). Quindi: adesione vale per accertamenti di imposte e IVA, e dal 2023 pure per atti di recupero crediti di imposta (tipo bonus indebiti). Ma non per atti meramente liquidatori o riscossivi. Se ricevi un avviso bonario con cui non sei d’accordo, conviene rispondere entro 30 giorni indicando l’errore o documentando l’anomalia: se l’Agenzia accoglie, ti manderà un nuovo avviso bonario corretto. Se non accoglie, ti manderà la cartella e a quel punto dovrai fare ricorso in Commissione contro la cartella (contestando l’errore originario). Per le cartelle derivanti da accertamenti definitivi (non impugnati o sentenziati), l’unica via deflattiva è la rateizzazione o rottamazione se prevista. Non c’è adesione perché non c’è un imponibile discutibile: è già cristallizzato. Quindi attenzione: non confondere l’avviso bonario con l’avviso di accertamento. Il bonario non è impugnabile (salvo casi di calcolo interessi errati) e non dà luogo ad adesione; l’accertamento sì (60g ricorso o 30g adesione). Lo studio legale saprà distinguere e, se per caso hai perso il treno dell’adesione, valuterà se c’è rottamazione cartelle o eventualmente la “definizione agevolata delle controversie” (se era in giudizio).

Queste FAQ coprono i dubbi più frequenti. Per qualsiasi situazione specifica – ad esempio cosa fare se arriva la Guardia di Finanza in azienda, come comportarsi se si riceve un questionario complesso, come gestire un pignoramento su conto per cartelle esattoriali – è sempre consigliabile consultare uno studio legale specializzato che possa offrire consulenza mirata e tempestiva.

Esempi pratici (simulazioni)

Per comprendere meglio come si sviluppa un accertamento fiscale nella realtà e in che modo l’assistenza legale incide sull’esito, presentiamo alcuni casi pratici simulati basati su situazioni tipiche. Questi esempi, pur semplificati, illustrano il punto di vista del debitore (contribuente) e le strategie adottate dallo studio legale per tutelarlo:

Caso 1: Accertamento ordinario risolto con contraddittorio e adesione
Rossi S.r.l. è una società di servizi che nel maggio 2024 riceve un invito al contraddittorio relativo alla dichiarazione IVA 2023. L’Agenzia delle Entrate, incrociando i corrispettivi telematici e i movimenti bancari, contesta ricavi non dichiarati per €50.000. La società si rivolge subito allo Studio Legale specializzato. Nei 60 giorni concessi, con l’aiuto del legale e del commercialista, presenta osservazioni scritte ben documentate: emergono fatture di vendita registrate a gennaio 2024 ma di competenza 2023 (per €20.000) che giustificano parte degli accrediti bancari contestati. Inoltre, alcuni versamenti sul conto erano finanziamenti soci (capitali propri immessi) e non ricavi. All’incontro di contraddittorio, il legale della Rossi S.r.l. illustra queste prove. L’ufficio, preso atto, accoglie parzialmente le difese: riconosce che €20.000 erano elementi regolari e riduce il rilievo a €30.000 di imponibile non giustificato. Su tale importo residuo notifica, un mese dopo, un avviso di accertamento esecutivo con IVA e sanzioni al 90% sul maggior imponibile. A questo punto, la società – valutato con il consulente che i €30.000 contestati effettivamente corrispondono a ricavi non fatturati (il rischio di causa sarebbe alto) – decide di definire col Fisco per evitare un lungo contenzioso. Entro 30 giorni dalla notifica, presenta istanza di accertamento con adesione. Durante l’incontro di adesione, il legale evidenzia che ci sono ancora un paio di aspetti incerti (ad es. alcuni costi correlati non dedotti che potrebbero abbassare l’utile non dichiarato). L’ufficio, per chiudere la trattativa, propone di abbattere l’imponibile da 30.000 a 25.000 €. Rossi S.r.l. accetta. Si formalizza l’atto di adesione firmato da entrambe le parti, con il quale la società si impegna a versare imposte e sanzioni ridotte a 1/3. Calcolatrice alla mano: su 25.000 € di imponibile, IVA 22% = €5.500; sanzione base 90% = €4.950, ridotta a 1/3 = €1.650. Totale dovuto circa €7.150, rateizzabile. Si concordano 8 rate trimestrali. Rossi S.r.l. paga la prima rata di circa €894 e perfeziona l’accordo. Esito: grazie al contraddittorio, la pretesa iniziale di €50k è stata ridotta del 50% (a €25k); grazie all’adesione, le sanzioni sono state abbattute a un terzo e la società ottiene tempo per pagare. Inoltre, evitato un processo tributario. In questa vicenda, il ruolo dello studio legale è stato determinante nel: individuare fin da subito le prove a discarico per il contraddittorio, condurre una negoziazione tecnica in adesione mostrando anche le possibili incertezze che l’ufficio avrebbe in giudizio (questo ha favorito l’ulteriore sconto a 25k), assicurare che nell’atto di adesione fossero correttamente conteggiate imposte e sanzioni ridotte. Rossi S.r.l. ha quindi risolto l’accertamento in pochi mesi, pagando meno della metà di quanto rischiava inizialmente e dilazionando l’esborso, con soddisfazione e recuperando serenità nella gestione fiscale.

Caso 2: Accertamento senza contraddittorio (ante 2024) e difesa procedurale in giudizio
Bianchi S.p.A. è un’azienda manifatturiera di grandi dimensioni. Nel marzo 2024 (prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 6-bis) riceve un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2019, con cui l’Agenzia rettifica al rialzo i ricavi di vendita di €1.000.000, basandosi su un controllo a tavolino dei bilanci: in pratica contesta che i margini dichiarati erano troppo bassi e li riallinea alle medie di settore (metodo analitico-induttivo). Problema: l’avviso è stato emesso il 15/3/2024 senza alcun invito o confronto preventivo. Bianchi S.p.A., tramite il suo studio legale tributario, presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex CTP). Nel ricorso si eccepisce innanzi tutto la nullità dell’atto per violazione del contraddittorio endoprocedimentale. Essendo l’anno 2019, i legali ricordano che la Cass. SU 2015 negava l’obbligo generalizzato, però notano che l’accertamento riguarda anche IVA (essendo legato a ricavi, c’è IVA correlata). Quindi invocano la giurisprudenza UE e nazionale per cui sull’IVA l’omesso contraddittorio comporta nullità se il contribuente dimostra il pregiudizio sofferto (la famosa prova di resistenza). Nel ricorso infatti la difesa dettaglia quali elementi Bianchi S.p.A. avrebbe rappresentato se fosse stata sentita: ad esempio, che l’apparente calo di margini nel 2019 era dovuto a una crisi temporanea di mercato, a svendite strategiche per liquidare magazzino e a costi straordinari quell’anno – elementi che avrebbero potuto evitare la rettifica se presentati prima. Queste argomentazioni vengono provate allegando documenti (report di settore sul calo domanda 2019, bilanci 2020-21 che mostrano un rimbalzo, ecc.). All’udienza, l’Agenzia controbatte che per IRES/IRAP (tributi non armonizzati) all’epoca non c’era obbligo di contraddittorio (cita Cass. SU 24823/2015) e per l’IVA sostiene che la società non ha comunque dimostrato che se ascoltata l’esito sarebbe cambiato. La Corte emette sentenza accogliendo parzialmente il ricorso: riconosce che per la parte IVA l’omissione del contraddittorio è un vizio, ma applicando la prova di resistenza valuta che Bianchi S.p.A. non ha fornito elementi sufficientemente specifici per convincerli che il confronto avrebbe evitato l’accertamento (le spiegazioni generiche sul calo di mercato non quantificano l’impatto sui ricavi non dichiarati). Inoltre, per le imposte sui redditi conferma la giurisprudenza 2015 che all’epoca non prevedeva obbligo. Quindi, la Commissione respinge l’eccezione procedurale e passa al merito: qui, dato che Bianchi non era riuscita a scalfire i calcoli dell’ufficio (i margini medi, a parte dire che c’era crisi, non aveva dati precisi diversi), la Commissione finisce per confermare l’accertamento sul merito. Esito: Bianchi S.p.A. perde in primo grado – dovrà pagare l’imposta e sanzioni (salvo appello). Tuttavia, la sentenza annota (obiter dictum) che dal 2024 in poi una situazione del genere non potrà più accadere senza conseguenze: infatti cita la nuova norma che impone l’invito obbligatorio, a pena nullità automatica. In altre parole, Bianchi S.p.A. è stata “sfortunata” ad avere l’avviso poco prima della riforma; se fosse stato post-30/4/24, avrebbe vinto facile per nullità. Il caso evidenzia sia l’importanza della tempistica normativa, sia la difficoltà della prova di resistenza (il contribuente deve portare elementi solidi, altrimenti il giudice può dire “anche se sentito non avrebbe cambiato esito”). Lo studio legale in questo scenario ha fatto il possibile: ha sollevato tutti i punti di diritto, preservando magari appello su IVA. Potrà ora consigliare Bianchi se appellare (magari puntando su qualche altro vizio o su perizia di parte per dimostrare i margini reali). Ad ogni modo, questo esempio mostra come prima della riforma i contribuenti avessero oneri probatori pesanti per far valere il diritto al contraddittorio, mentre dopo la riforma, situazioni simili risulterebbero in annullamento immediato dell’accertamento senza bisogno di ulteriori prove. Dunque, oggi uno studio legale ha vita più facile nel far annullare atti viziati sotto questo profilo, grazie al nuovo quadro normativo.

Caso 3: Verifica con Guardia di Finanza e connessione penale – strategia difensiva integrata
Verdi & Co. SAS (studio professionale associato) è soggetta a una verifica della Guardia di Finanza nel 2025 su segnalazione di indicatori ISA molto bassi per il 2023 (affidabilità scarsa). La GdF avvia un controllo incrociato e trova anomalie: fatture di acquisto ritenute false per €100.000 e un conto estero non dichiarato. Durante l’accesso in studio, i verificatori acquisiscono PC e documenti. Lo studio legale che assiste Verdi SAS adotta subito una doppia strategia: in sede amministrativa collabora presentando i documenti reali (es. spiegando che alcune spese contestate in realtà erano regolari con altri giustificativi) e cercando di dimostrare che i compensi bassi erano dovuti a cause eccezionali (uno dei soci malato per lungo periodo, riduzione dell’attività – allegando certificati medici). Contemporaneamente, i legali penalisti (coinvolti perché le fatture false configurano reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs.74/2000, e il conto estero non dichiarato oltre €50k potrebbe configurare omessa dichiarazione ex art.4) consigliano ai soci di non rendere dichiarazioni spontanee in sede di PVC su quei fatti penalmente rilevanti, per evitare autoincriminazioni. Si punta a far emergere tutto in modo controllato. Al termine, la GdF redige un PVC segnalando rilievi: ricavi non dichiarati €40.000 (dedotti dall’ISA e da movimenti esteri), costi indeducibili €100.000 (fatture false). Propone anche la denuncia penale. Lo Studio Legale, entro i 60 giorni dal PVC, presenta una memoria dettagliata: porta prove che alcuni movimenti sul conto estero erano trasferimenti infragruppo non imponibili, che parte di quei costi erano supportati da documenti alternativi (riducendo l’importo delle fatture contestate). Risultato: L’Agenzia, valutate le controdeduzioni, annulla in autotutela il rilievo sui ricavi (accetta la giustificazione della malattia e documenti su riduzione attività) e riduce il disconoscimento di costi da 100k a 60k (riconoscendo che 40k erano spese effettive). Emana quindi un avviso di accertamento parziale per imponibili maggiori €60.000. Nel frattempo la denuncia penale fa il suo corso, ma i legali hanno concordato con la Procura la possibilità di patteggiamento condizionato al pagamento del debito tributario. Dunque Verdi SAS, tramite il difensore, concilia in sede amministrativa definendo l’avviso 60k (adesione, sanzioni 1/3). Pagando le somme dovute, può dimostrare in sede penale l’attenuante del risarcimento del danno erariale. Esito: L’aspetto fiscale si chiude con il pagamento concordato di imposte e sanzioni ridotte; l’aspetto penale si chiude con un patteggiamento a pena sospesa (grazie al pagamento integrale e alla tenuità residua). Questo esempio mostra un caso complesso in cui lo studio legale ha dovuto gestire sia la difesa nel merito fiscale (dimostrando l’infondatezza parziale dei rilievi), sia la tutela penale dei clienti (evitando ammissioni potenzialmente usate contro di loro, ma comunque collaborando per ridurre l’evasione contestata). Si evidenzia come la linea sottile tra collaborazione e diritto al silenzio vada gestita da professionisti: ad esempio, in sede di contraddittorio i legali hanno fornito spiegazioni su parti “innocue” (malattia, calo attività) ma su quelle critiche (fatture false) si sono limitati a fornire documenti senza far dichiarare nulla ai soci. Così hanno vinto parzialmente sul fisco e al contempo non hanno aggravato la posizione penale. Questo caso conferma: quando entrano di mezzo possibili reati tributari, un team integrato (tribuarista + penalista) è essenziale per uscire col minor danno su entrambi i fronti.


Da questi esempi concreti risulta evidente il valore aggiunto dello studio legale: la conoscenza delle procedure permette di far valere diritti (come il contraddittorio) e di scegliere la strategia ottimale (negoziale o contenziosa) caso per caso, con beneficio economico e gestionale per il contribuente.

Conclusione

Gli accertamenti e le indagini fiscali rappresentano momenti delicati nella vita di un’azienda o di un contribuente: sono situazioni in cui è facile commettere passi falsi e in cui si rischiano esborsi significativi, sanzioni pesanti e perfino implicazioni penali. In questo contesto, il ruolo di un competente Studio Legale tributario è fondamentale.

Come abbiamo visto, dal punto di vista del debitore fiscale, l’assistenza legale:

  • Garantisce il rispetto di tutti i diritti procedurali (dalla corretta notifica, al contraddittorio obbligatorio, ai termini di decadenza, al non abuso dei poteri ispettivi).
  • Permette di sfruttare appieno le novità normative e giurisprudenziali a favore del contribuente: ad esempio, oggi un avviso emesso senza contraddittorio può essere annullato immediatamente; una prova raccolta illegalmente può essere contestata in giudizio; un comportamento antieconomico presunto può essere giustificato con le dovute pezze d’appoggio per evitare accertamenti.
  • Offre una valutazione strategica sulle opzioni disponibili: conviene fare ricorso o aderire? Meglio una conciliazione rapida o combattere per un annullamento totale? Ogni scelta ha pro e contro che il legale spiega al cliente, quantificando i costi/benefici. L’obiettivo è sempre trovare la soluzione più vantaggiosa e sostenibile per il contribuente, minimizzando l’esborso e i rischi.
  • Fornisce una tutela tecnica in giudizio qualora si arrivi al contenzioso: redazione di ricorsi efficaci, indicazione di orientamenti giurisprudenziali favorevoli, gestione del processo tributario (che ha regole sue particolari), con possibilità di ottenere anche il rimborso delle spese in caso di vittoria.
  • Negli accertamenti più gravi, funge da scudo per il contribuente anche sul lato penale: l’avvocato tributarista sa quando coinvolgere un penalista, come coordinare le difese per evitare che una mossa in ambito fiscale pregiudichi la posizione nel procedimento penale (e viceversa). Ciò permette, ad esempio, di regolarizzare il debito tributario senza autoincriminarsi, oppure di usare il pagamento del dovuto come leva per ottenere clemenza penale (cause di non punibilità, patteggiamenti etc.).

Inoltre, rivolgervi a uno Studio Legale specializzato sin dalle prime avvisaglie (es. una lettera di compliance, un questionario, l’avvio di una verifica) può spesso trasformare un possibile contenzioso in una soluzione concordata meno traumatica. Il legale, giocando d’anticipo, può presentare documenti e argomenti al Fisco prima che si irrigidisca su una posizione, talvolta risolvendo la questione prima ancora che nasca formalmente un contenzioso. Allo stesso tempo, se l’errore è effettivamente del contribuente, un avvocato potrà contrattare la definizione più conveniente possibile (sanzioni ridotte, piani di pagamento, nessuna segnalazione penale oltre il dovuto).

In conclusione, fronteggiare un accertamento o un’indagine fiscale da soli espone a elevati rischi: si può perdere un termine, non cogliere un vizio che avrebbe annullato l’atto, non sfruttare uno sconto di legge, o al contrario confessare ingenumente qualcosa di penalmente rilevante. Affidarsi a un Studio Legale esperto in diritto tributario significa invece affrontare la vicenda con gli strumenti giusti: competenza normativa aggiornata (come abbiamo evidenziato con fonti fino al 2025), esperienza nel trattare con gli uffici (molti accertamenti si chiudono meglio a livello amministrativo se c’è un interlocutore qualificato), e determinazione nel far valere i diritti del contribuente anche contro eventuali abusi o errori dell’Amministrazione.

Come recita lo Statuto del Contribuente, il rapporto col Fisco deve essere improntato a collaborazione e buona fede reciproca. Lo studio legale tributarista incarna proprio questo spirito: collabora con l’Amministrazione per chiarire e, se possibile, ridurre la pretesa (perché spesso l’evasione contestata è frutto di fraintendimenti o situazioni sanabili), e al contempo agisce con fermezza a tutela del contribuente quando i suoi diritti non vengono rispettati. Il risultato è che il debitore fiscale, da solo e spaventato di fronte alla macchina del Fisco, con l’assistenza legale torna ad essere un soggetto con diritti e voce in capitolo, potendo negoziare e difendersi efficacemente.

In definitiva, rivolgersi a un valido Studio Legale per assistenza su accertamenti e indagini fiscali non è un costo, ma un investimento: spesso comporta un risparmio economico (minori imposte/sanzioni da pagare) e sicuramente un risparmio di tempo, stress e incertezza. Quando il Fisco “bussa alla porta”, avere un avvocato al proprio fianco significa trasformare un possibile conflitto in un procedimento gestibile, in cui far valere le proprie ragioni e cercare la soluzione più equa. La parola d’ordine è: non farsi trovare impreparati. Con le conoscenze aggiornate al luglio 2025 e il supporto professionale adeguato, anche la materia ostica degli accertamenti tributari può essere affrontata con successo, ripristinando il giusto equilibrio tra esigenze dell’Erario e diritti dei contribuenti.


Fonti e Riferimenti Normativi/Giurisprudenziali

(Si riportano di seguito le fonti citate e utili per approfondire quanto trattato, suddivise tra normativa, prassi e giurisprudenza recente menzionata.)

Normativa principale:

  1. D.P.R. 29/9/1973 n. 600, artt. 32, 38, 39, 41 e 41-bis – (Poteri degli uffici, accertamento sintetico, analitico, d’ufficio, parziale).
  2. D.P.R. 26/10/1972 n. 633, artt. 51, 52, 54, 55 – (IVA: poteri istruttori, accessi, accertamento induttivo).
  3. Legge 27/7/2000 n. 212 (Statuto del Contribuente), artt. 6, 6-bis, 7, 10, 12 – (Tutela dell’affidamento e buona fede; Contraddittorio endoprocedimentale introdotto da D.Lgs. 219/2023; motivazione degli atti; leale collaborazione; garanzie nelle verifiche fiscali).
  4. D.Lgs. 19/6/1997 n. 218, artt. 5, 5-bis, 6, 8, 15 – (Accertamento con adesione; Invito all’adesione sui PVC; Definizione agevolata/acquiescenza; Riduzione sanzioni).
  5. D.Lgs. 31/12/1992 n. 546, artt. 17-bis, 48, 48-bis – (Reclamo-mediazione; Conciliazione giudiziale fuori udienza e in udienza).
  6. D.Lgs. 24/9/2015 n. 158, art. 15 – (Modifiche al sistema sanzionatorio, in particolare art. 13 D.Lgs. 472/97 su riduzione sanzioni dopo sentenza).
  7. D.L. 30/4/2019 n. 34, art. 4-octies – (Disposizioni su ISA e contraddittorio; introdusse art. 5-ter D.Lgs.218/97 obbligo invito; successivamente coordinate col D.Lgs. 219/23).
  8. Legge 31/8/2022 n. 130, artt. 4-6 – (Riforma della giustizia tributaria: giudici togati, onere attestazione conformità atti difensore, nuova denominazione Corti di Giustizia Tributaria).
  9. D.Lgs. 30/12/2023 n. 219, art. 3 – (Introduzione art. 6-bis Statuto, obbligo generalizzato di contraddittorio dal 18/1/2024).
  10. D.Lgs. 12/6/2025 n. 81, artt. 21-22 – (Decreto correttivo riforma fiscale: modifiche a adesione – scomputo perdite, adesione crediti indebitamente compensati; abolizione sospensione feriale per atti AE dal 31/12/25).
  11. D.Lgs. 5/8/2024 n. 108, art. 5 – (Correttivo fiscale: riforma accertamento sintetico – doppia soglia 1/5 e 10× assegno sociale; abolizione redditometro vecchio).
  12. D.L. 18/2020 (Cura Italia), art. 67 c.4 – (Sospensione termini attività accertamento 8/3-31/5/2020 e proroga 85gg decadenze).
  13. D.P.R. 29/9/1973 n. 602, art. 19 – (Rateazione somme iscritti a ruolo – fino 72 rate).

Giurisprudenza (sentenze) citata:

  1. Cass. Sez. Unite 9/12/2015 n. 24823(Contraddittorio: non obbligatorio in generale per tributi non armonizzati; obbligatorio per IVA con prova di resistenza).
  2. Cass. Sez. Unite 25/03/2024 n. 7966(Obbligo contraddittorio decorre dal 18/1/2024; atti ante riforma soggetti a vecchio regime).
  3. Cass. Sez. Trib. 9/04/2024 n. 9554 (ord.)(Accertamento su studi di settore nullo se basato solo sugli studi senza contraddittorio).
  4. Cass. Sez. Trib. 19/06/2024 n. 16873 – *(Accertamento “a tavolino” IVA: contraddittorio può considerarsi assolto con scambi di comunicazioni/documenti).
  5. Cass. Sez. Unite 13/12/2021 nn. 40981-40986(Lite temeraria nel processo trib.; confermato doppio binario sanzionatorio amm-pen, rif. art.12 D.Lgs.472/97 come mod.).
  6. Cass. Sez. Unite 12/05/2021 n. 8500(Giudicato penale di assoluzione non vincola giudice tributario; autonomia accertamento tributario).
  7. Cass. Sez. Unite 22/07/2022 n. 22281(Onere motivazionale sentenze tributarie; superamento vecchio “motivi contestuali”).
  8. Cass. Sez. Unite 20/12/2018 n. 30055(Autotutela tributaria: annullamento atto in pendenza giudizio rende ricorso improcedibile).
  9. Cass. Sez. Unite 17/04/2019 n. 10378(Termini raddoppio per reati: applicazione solo se denuncia entro termini ordinari; ormai norma superata).
  10. Cass. Sez. Unite 11/09/2019 n. 23051(Non riproponibilità in appello di eccezioni non esaminate in primo grado se non riproposte ex art.56 D.Lgs.546; tecnicismi processuali).
  11. Cass. Sez. Trib. 14/10/2022 n. 31568 (ord.) – *(Redditometro: giudice non può ignorare presunzione, contribuente può provare provenienza extra-reddituale somme; prova contraria ampia).
  12. Cass. Sez. Trib. 15/07/2025 n. 19574(Accertamento induttivo: conseguenze su imponibile da scelta di ufficio di metodo induttivo vs analitico; citato in ricerca QuotidianoPiu).
  13. Cass. Sez. Trib. 21/03/2023 n. 8202(ISA: punteggio ISA basso da solo non giustifica accertamento se contribuente fornisce giustificazioni; contraddittorio necessario).
  14. Cass. Sez. Trib. 23/09/2022 n. 27962(Presunzioni bancarie: confermato obbligo contribuente di giustificare versamenti, su prelevamenti vale limitazione per autonomi come da Corte Cost.).
  15. Cass. Sez. Trib. 31/03/2025 n. 8452 – *(Prove illegittime acquisite: utilizzabili in trib. mancando divieto generale; eccezione per tutela diritti fondamentali; dif. con penale).
  16. Cass. Sez. Trib. 27/07/2021 n. 21493 (ord.)(Ribadisce inutilizzabilità prove irrituali non prevista in trib., salvo eccezioni; in linea con Cass.2025).
  17. Cass. Pen. Sez. III 10/01/2024 n. 859 – *(Accertamento con adesione in ambito tributario non equivale a confessione di reato fiscale).
  18. Cass. Pen. Sez. Unite 28/6/2018 n. 31617 (Grande Stevens)(Ne bis in idem: ammissibile doppio binario sanzioni tributarie e penali se proporzionati e con coordinamento).
  19. Cass. Pen. Sez. III 5/10/2022 n. 35563(Omesso versamento IVA: soglia reato, cause non punibilità, ravvedimento; importanza pagamento per evitare condanna).
  20. Corte Cost. 31/1/2023 n. 10 – *(Presunzioni bancarie: dichiarata infondata q.l.c. art.32 c.2 DPR600/73 per imprenditori su prelevamenti non giustificati; non può dirsi illegittimo allineamento autonomi-imprenditori perché Corte già escluse autonomi da presunzione; ribadito onere prova contraria e non irragionevolezza norma).
  21. Corte Cost. 21/3/2023 n. 47 – *(Inammissibile q.l.c. mancata previsione generale contraddittorio; monito al legislatore su esigenza tutela art. 24 e 97 Cost.).
  22. Corte Giust. UE 9/11/2017 causa C-298/16 (Ispettoratul)(Conferma necessità contraddittorio per IVA in linea con Sopropé; tolleranza su formalità).
  23. Corte Giust. UE 3/7/2014 cause riunite C-129/13 e C-130/13 (Kamino) – *(Principio diritto ad essere ascoltati in materia IVA; prova di resistenza per annullamento atto in assenza contraddittorio in ambito UE).
  24. Corte EDU Grande Stevens c. Italia, sent. 4/3/2014(Ne bis in idem amministrativo-penale: iniziale censura sistema doppio binario, poi seguita da mitigazioni normative in Italia).
  25. Commissione Tributaria (C.G.T.) Lecce, sentenza 2023(Caso pratico citato da Villani: annullati avvisi per 50 mln per presunzioni indebite; esempio di autotutela post-ricorso).

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