Come Fare Ricorso Contro L’Avviso Di Accertamento Dell’Agenzia Delle Entrate

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate e ti chiedi come contestarlo? Non sei obbligato ad accettare passivamente la richiesta: se il provvedimento è infondato o errato, puoi presentare ricorso e far valere le tue ragioni.

L’avviso di accertamento è un atto con cui il Fisco ti contesta il mancato pagamento di imposte, IVA, IRPEF, IRES, o altri tributi, calcolando importi dovuti e applicando sanzioni e interessi. Ma non sempre l’accertamento è legittimo.

Quando puoi fare ricorso contro l’avviso di accertamento?
– Quando ci sono errori materiali o di calcolo
– Quando i redditi contestati non sono reali o sono già stati tassati
– Se il Fisco ha usato presunzioni infondate o sproporzionate
– Quando mancano i presupposti per l’imposta richiesta
– Se l’atto è viziato nella forma o nella motivazione

Come si presenta il ricorso?
– Entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento
– Depositando il ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria competente
– Allegando copia dell’avviso ricevuto e dei documenti utili alla difesa
– Con l’assistenza obbligatoria di un difensore abilitato, se l’importo supera 3.000 euro
– Scegliendo se versare o meno un terzo dell’imposta in pendenza di giudizio (non sempre dovuto)

Quali sono le alternative al ricorso?
– Puoi presentare un’istanza di accertamento con adesione e trattare con l’ufficio
– Puoi chiedere una conciliazione giudiziale se il ricorso è già stato avviato
– Puoi pagare entro 60 giorni e ottenere una riduzione delle sanzioni

Cosa puoi ottenere con un ricorso ben fondato?
– L’annullamento totale dell’accertamento, se infondato
– L’annullamento parziale, se i calcoli sono errati o alcuni redditi non sono imponibili
– La sospensione della riscossione, per evitare fermi, ipoteche o pignoramenti
– La riduzione delle sanzioni applicate
– Il riconoscimento di oneri deducibili o detraibili inizialmente ignorati

Come prepararti al ricorso?
– Controlla attentamente la motivazione dell’atto
– Recupera tutta la documentazione utile: fatture, estratti conto, dichiarazioni, contratti
– Affidati a un avvocato esperto in diritto tributario per valutare la strategia difensiva
– Non lasciar scadere i termini: dopo 60 giorni l’atto diventa definitivo

Impugnare un avviso di accertamento può salvarti da pagamenti indebiti, sanzioni ingiuste e conseguenze gravi per la tua attività o il tuo patrimonio. Ma occorre agire subito e con una linea difensiva solida.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario ti spiega come impugnare un avviso di accertamento, quali sono le strategie difensive efficaci e cosa puoi ottenere con il ricorso giusto.

Hai ricevuto un avviso di accertamento e vuoi sapere se puoi annullarlo? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo il tuo caso e ti diremo se il ricorso è opportuno e come tutelare i tuoi diritti.

Introduzione

L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate rettifica il reddito o l’imposta dichiarata dal contribuente, determinando imposte aggiuntive, sanzioni e interessi. Tale avviso può fondarsi su vari tipi di controlli (analitico, induttivo, sintetico, studi di settore/ISA, ecc.). La notifica dell’avviso di accertamento è determinante: da essa decorrono i termini per impugnare e per l’iscrizione a ruolo. L’avviso deve essere notificato al domicilio fiscale (o eletto) del contribuente tramite posta raccomandata, ufficiale giudiziario o posta elettronica certificata (per chi è obbligato). Il contribuente può eleggere un domicilio presso un professionista nel proprio comune di residenza. La notificazione si considera perfezionata alla data della spedizione o consegna, e i termini di impugnazione (e di eventuale decadenza) decorrono dalla data di ricezione. Se l’avviso è irregolarmente notificato, il termine inizia a decorrere dalla data di perfezionamento secondo le norme del codice di procedura civile.

Tipologie di accertamento

L’Agenzia può utilizzare diverse tecniche di accertamento a seconda delle informazioni disponibili. Le principali sono:

  • Accertamento analitico (o contabile): è il metodo ordinario, che si fonda sulla verifica delle scritture contabili, della dichiarazione e dei documenti del contribuente. In pratica l’ufficio ricostruisce il reddito “pezzo per pezzo” secondo le regole del TUIR (art. 6 DPR 917/1986). Il metodo analitico è «da preferirsi perché maggiormente rispettoso del principio costituzionale di capacità contributiva», data la sua precisione maggiore rispetto ai metodi presuntivi. L’Ufficio è generalmente obbligato ad utilizzarlo salvo casi di impossibilità di fatto o di violazioni gravissime che giustifichino ricorsi a presunzioni.
  • Accertamento analitico-induttivo (analitico-presuntivo): si applica quando il contribuente tiene contabilità (o dichiara) ma emergono elementi discordanti o attività non dichiarate. In questo caso l’ufficio effettua comunque un’ispezione delle scritture contabili, ma integra i dati con presunzioni semplici. Il risultato è una ricostruzione “per elementi” del reddito complessivo, basata sia sui dati contabili sia su indizi economici (ad esempio, beni non giustificati o spese ingenti). L’uso di presunzioni semplici (non necessariamente gravi e concordanti come nell’induttivo puro) rende questo metodo ibrido noto anche come analitico-presuntivo. Storicamente rientra in questa categoria anche l’accertamento da studi di settore (oggi ISA): valori medi di settore costruiscono un’ipotesi di reddito presuntivo con obbligo di motivazione da parte dell’Ufficio.
  • Accertamento induttivo (o per presunzioni fiscali): è disciplinato dall’art. 39, comma 2, del DPR 600/1973. Si utilizza quando le scritture contabili o la dichiarazione mancano del tutto o sono talmente inattendibili da non essere ammesse al valore probatorio. In tali casi l’ufficio può “superare” i dati contabili e dichiarativi e ricostruire forfetariamente il reddito complessivo del contribuente mediante presunzioni semplici. In sostanza, se ad esempio un’impresa non tiene libri contabili o i bilanci sono palesemente falsi, l’amministrazione può determinare l’imponibile basandosi su elementi indiziari (cassetta contanti, operazioni bancarie, ammontare degli incassi, ecc.). L’accertamento induttivo è ammesso solo in presenza dei presupposti tassativi di legge (scritture assenti o inattendibili).
  • Accertamento sintetico (redditometro): introdotto dall’art. 38, co.5, del DPR 600/1973, si fonda su presunzioni che collegano il livello di spese e consumi del contribuente al suo reddito complessivo. L’idea di fondo è che il reddito totale di una persona si può approssimare dalle spese sostenute (ad es. acquisti di beni durevoli, viaggi, risparmi accumulati). Questo strumento è applicabile a tutti i contribuenti (c.d. “generalità dei contribuenti”) e non richiede la presenza o meno di contabilità (può essere usato anche se la contabilità è regolare). In pratica l’avviso sintetico «ricostruisce in via induttiva il reddito complessivo, prescindendo dall’attribuzione per categorie reddituali, basandosi sul principio che il reddito può essere desunto dai consumi e investimenti effettuati». Il contribuente ha però diritto di fornire prova contraria: deve dimostrare che le spese contestate sono state sostenute con redditi esenti o che non aumentano realmente il proprio potere di spesa (es. rimborsi, donazioni, redditi già tassati, ecc.).
  • Accertamento su studi di settore/ISA e parametri fiscali: si tratta oggi di una forma di accertamento analitico-presuntivo. Gli studi di settore (sostituiti dagli “indici sintetici di affidabilità fiscale” – ISA) associano ai ricavi effettivi valori forfetari di reddito basati sull’attività economica e sulla dimensione aziendale. Se i dati effettivi del contribuente divergono dai parametri, l’Agenzia può esaminare la contabilità e stabilire i redditi presunti non dichiarati, motivando l’avviso con la non congruità rispetto agli indicatori settoriali.

In sintesi, il contribuente deve innanzitutto individuare con quale tipologia di accertamento è stato colpito: ciascuna categoria ha regole e oneri probatori specifici (ad es. l’accertamento induttivo richiede l’assenza di contabilità, il redditometro presunzione spese, ecc.). La strategia difensiva dipende dai parametri utilizzati dall’Ufficio (analitico, induttivo, sintesi, studi) e dai vizi formali dell’atto.

Termini e modalità di impugnazione

Il ricorso tributario contro l’avviso di accertamento va proposto per iscritto alla Commissione Tributaria Provinciale competente entro sessanta giorni dalla data di notifica dell’atto (art. 21 D.Lgs. 546/1992). Tale termine è perentorio, pena l’inammissibilità del ricorso. In alcuni casi il termine si sospende o inizia nuovamente a decorrere: ad esempio, se il contribuente in attesa del pagamento assolva spontaneamente entro i 60 giorni (acquiescenza), il termine di impugnazione è sospeso fino a 30 giorni dal pagamento stesso. Anche la notifica della cartella di pagamento conseguente all’avviso determina l’inizio di un nuovo termine di 60 giorni per impugnare la cartella (nei suoi limiti) invece dell’avviso. È quindi fondamentale annotare esattamente le date di notifica degli atti.

Il ricorso va redatto in duplice copia e depositato presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale competente (nel territorio in cui ha sede l’ufficio che ha emesso l’avviso). Deve contenere i dati del ricorrente, il numero e la data dell’avviso impugnato, il valore dell’atto (per il calcolo del contributo unificato, che oggi è pari a 17 euro), nonché l’esposizione chiara dei motivi generali di impugnazione. Non è richiesta una motivazione esaustiva al momento dell’atto introduttivo, ma occorre almeno enunciare in modo chiaro le ragioni di fatto e di diritto che si eccepiscono (difformità dei conti, inesistenza dei presupposti, errori aritmetici, ecc.). In particolare, se l’accertamento si basa su presunzioni (redditometro, induttivo, ecc.), il ricorso deve contestare gli elementi posti a base delle presunzioni o la loro rappresentazione matematica. È buona prassi allegare al ricorso documentazione utile (dichiarazioni integrative, estratti conto, contratti, ricevute) che il contribuente intende utilizzare come prova.

Il pagamento del contributo unificato (marca da bollo sostituita da versamento telematico) va effettuato al momento del deposito del ricorso. Difetti formali gravi (mancanza firma o procura, versamento mancante) comportano l’inammissibilità del ricorso. Una volta accertata la regolarità formale, la Commissione Tributaria fissa un’udienza in cui le parti possono discutere oralmente.

Conciliazione e mediazione

Durante il giudizio è possibile definire la controversia in via conciliativa. La conciliazione giudiziale è disciplinata dall’art. 48 del D.Lgs. 546/1992: il Collegio della Commissione Tributaria può invitare le parti a trovare un accordo. Se contribuente e Amministrazione raggiungono un’intesa (sulla quantificazione degli importi dovuti), la lite si estingue e viene emesso un verbale di conciliazione vincolante per entrambi. Dal 2016 è prevista anche la conciliazione fuori udienza: l’art. 48, comma 4-bis, consente di proporre accordi in Cassazione. Recentemente la normativa (decreto legislativo 175/2024, T.U. giustizia tributaria) ha esteso la conciliazione fuori udienza a tutti i giudizi pendenti in Cassazione, favorendo la definizione anticipata delle liti.

In aggiunta, dal 2016 è possibile ricorrere a organismi di mediazione tributaria (art. 7-bis, D.Lgs. 546/1992) prima di entrare in giudizio. Le parti possono altresì stipulare accordi stragiudiziali extragiudiziali (ad es. cosiddetti “saldo e stralcio”) per definire la lite pagando meno. Questi strumenti deflativi consentono spesso al contribuente di ottenere una riduzione di sanzioni e interessi in cambio dell’accettazione di un importo inferiore rispetto alla richiesta iniziale. La scelta di mediare o concordare con l’Agenzia dipende dalla convenienza economica e dall’entità della controversia.

Procedure alternative (autotutela e definizioni agevolate)

Prima di avviare il contenzioso, il contribuente dispone di ulteriori strumenti di definizione interni all’Amministrazione:

  • Autotutela sostitutiva: l’art. 2 dello Statuto del contribuente (L. 212/2000) prevede che l’Amministrazione abbia l’obbligo di correggere o annullare gli atti viziati sua sponte, senza necessità di formale istanza del contribuente, finché non sia intervenuto il passaggio in giudicato. In pratica, se l’Agenzia riconosce un errore nel proprio operato (ad es. un errore di calcolo o una violazione normativa), deve annullare l’atto e, se necessario, sostituirlo con un nuovo atto regolare. La Corte di cassazione ha affermato che tale potere di autotutela sostitutiva è ampio e può operare anche per correggere vizi sostanziali dell’avviso (cioè, emettere un nuovo atto anche in aumento della pretesa, sempre entro i termini di decadenza). In concreto, il contribuente può segnalare all’ufficio le ragioni di illegittimità dell’avviso e chiederne l’annullamento in autotutela; se l’ufficio accoglie l’istanza, l’atto viene semplicemente cancellato e non produce effetti. È comunque necessario fare attenzione: dopo l’autotutela non possono scattare altri termini impugnatori (il giudizio non si apre) poiché l’atto è neutralizzato ex tunc.
  • Ravvedimento operoso: è disciplinato dall’art. 13 del D.Lgs. 472/1997. Consente al contribuente di “curarsi” di eventuali irregolarità (omessi versamenti o violazioni formali) prima che l’Agenzia notifichi l’avviso. La procedura consiste nell’effettuare spontaneamente i pagamenti dovuti integrali, aggiungendo però una sanzione ridotta (sulla misura minima prevista) e gli interessi legali. Il ravvedimento è ammesso solo se l’ufficio non ha ancora “riscontrato” la violazione con atti ufficiali e finché non sono iniziati accessi o verifiche di cui il contribuente non abbia avuto formale conoscenza. In tal caso, l’avviso di accertamento non viene neppure emesso. Il nuovo decreto legislativo 87/2024 (entrato in vigore il 1° settembre 2024) ha sensibilmente ridotto le sanzioni in sede di ravvedimento: ad esempio la sanzione per dichiarazione infedele passa dal 90% al 70% dell’imposta evasa, e quella per omesso versamento dal 30% al 25%. Tuttavia, il ravvedimento è possibile solo prima della notifica dell’avviso; una volta ricevuto l’avviso, non è più applicabile (va impugnato o definito in altro modo).
  • Accertamento con adesione (o definizione collaborativa): si basa sugli artt. 6 e 7 del DPR 600/1973. Consiste in una procedura amichevole di definizione dell’accertamento prima che sia emesso l’avviso formale. Il contribuente, dopo la constatazione preventiva (verbale di verifiche), può chiedere all’ufficio un “accordo” sull’imponibile, accettando le contestazioni per quote limitate a condizioni agevolate. In pratica, firmando con l’ufficio un verbale di adesione, si definiscono consenso l’imposta e le sanzioni (di solito con sconti sulle stesse), evitando il contenzioso tributario. L’adesione all’accertamento è un’opportunità vantaggiosa quando si ritiene che l’accertamento sia fondato almeno in parte e si vuole chiudere la vertenza risparmiando le sanzioni massime. Se però l’adesione fallisce, il contribuente conserva comunque il diritto di ricorrere contro l’avviso.

In sintesi, prima di impugnare un avviso di accertamento è sempre consigliabile valutare se ricorrere all’autotutela (chiedendo la correzione o annullamento dell’atto), regolarizzare la propria posizione con il ravvedimento operoso (se possibile) o definire la controversia in via amichevole (con adesione o mediazione). Ciò può evitare un giudizio lungo e ridurre le sanzioni.

Il contenzioso tributario

Se si decide di procedere in via giudiziaria, il ricorso si svolge davanti alle Commissioni Tributarie (CTP per il primo grado; CTR per l’appello; Corte di Cassazione per i soli motivi di diritto). È importante conoscere alcuni aspetti operativi:

  • Competenza: il ricorso si presenta alla CTP territorialmente competente (di norma, la CTP del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso l’avviso).
  • Risultati attesi: la CTP può pronunciare sentenze di annullamento totale o parziale dell’avviso impugnato. Se il ricorso è accolto, l’avviso viene eliminato (e il tributo non deve essere pagato); se è respinto, rimane pienamente valido. In appello la CTR può confermare, modificare o annullare la sentenza di primo grado. In Cassazione è possibile solo sollevare questioni di diritto (es. erronea applicazione delle norme tributarie o dell’interpretazione delle stesse), non di fatto.
  • Esecuzione e sospensione: nel frattempo, l’avviso di accertamento resta sospeso fino all’udienza di primo grado. Se alla scadenza del termine di impugnazione il contribuente non ha presentato il ricorso, l’Agenzia può iscrivere l’avviso a ruolo e avviare immediatamente la riscossione coattiva (cartella esattoriale). Se invece è stato proposto ricorso tempestivo, l’iscrizione a ruolo di quel credito è vietata fino alla decisione della CTP (non si svolgono misure esecutive anche cautelari). Il contribuente può comunque richiedere al Collegio una sospensiva dell’esecuzione anche successivamente (art. 47 D.Lgs. 546/1992), ad esempio se intende impugnare anche la cartella eventualmente notificata: la Corte di Cassazione (Cass. n. 11903/2018) ha affermato che è legittimo chiedere la sospensione della misura cautelare (pignoramento, fermo) anche in corso di giudizio tributario.
  • Costi e contributo: il ricorrente è tenuto al pagamento del contributo unificato (17 euro) alla Commissione Tributaria al deposito del ricorso. In caso di soccombenza della parte contribuente, le spese processuali possono essere compensate o quantificate a carico della parte perdente. Il recupero del contributo unificato è tuttavia incerto: la Cassazione (Cass. 12545/2019) ha di fatto confermato che il contributo versato per il ricorso tributario non è rimborsabile in caso di vittoria del contribuente (è una sorta di tassa fissa).

Quesiti frequenti

  • Chi può presentare ricorso? Il ricorso tributario può essere proposto dal contribuente, o da chi ne abbia diritto soggettivo sull’imposta (ad esempio l’erede di un contribuente deceduto). Se l’avviso è intestato a un soggetto cessato o non più esistente, normalmente il ricorso è inammissibile. Solo il destinatario formale (o chi succede a titolo particolare) può impugnare.
  • Quando scade il termine per impugnare? In linea generale sono 60 giorni dalla notifica dell’avviso (art. 21 D.Lgs. 546/1992). Questo termine può subire sospensioni: ad esempio, se nel frattempo il contribuente versa spontaneamente il dovuto entro 60 giorni (acquiescenza), il termine di impugnazione si sospende per consentire il conguaglio. Se l’Ufficio notifica prima una cartella esattoriale, si apre un nuovo termine di 60 giorni per impugnare la cartella anziché l’avviso. È fondamentale ricordare che una volta superato il termine senza ricorso, l’avviso diventa definitivo ed esecutivo.
  • Cosa contiene un ricorso efficace? Il ricorso deve identificare chiaramente l’atto impugnato (numero e data dell’avviso), il contribuente e il suo difensore, e deve enunciare i motivi di fatto e di diritto alla base del dissenso. Non è sufficiente limitarsi a contestare genericamente l’aumento d’imposta: vanno specificati i vizi contestati (ad es. calcoli errati, omissione di deduzioni, applicazione scorretta di una norma). In particolare, se l’avviso si basa su presunzioni (come nel redditometro), il contribuente deve indicare quali elementi del suo profilo di spesa contesta e fornire almeno in sintesi le sue difese (es. redditi esenti, finanziamenti, ecc.). Si consiglia di elencare i motivi in forma schematica (numerati), anche accennando la relativa normativa (art. 36, 38, 39 DPR 600/73 o altre norme violate). Per esempio: «Violazione art. 38 DPR 600/73 – spese non contemplate come base reddituale», oppure «Mancata considerazione delle deduzioni spettanti (art. 10 TUIR)», ecc. In questo senso il ricorso deve essere motivato almeno sinteticamente: in Corte di Cassazione non si possono sollevare questioni nuove diverse da quelle già prospettate in primo grado (Cass. 8840/2018), quindi è importante non trascurare alcun punto nel ricorso iniziale.
  • Quali documenti allegare? È utile allegare al ricorso ogni elemento documentale di supporto: dichiarazioni integrative già presentate, ricevute di spesa (es. parcelle notarili, rette scolastiche), certificati vari, estratti conto che dimostrino le entrate e uscite reali. Anche se in udienza si potranno depositare nuovi documenti (“motivi aggiunti” solo in primo grado fino alla prova contraria), avere già nel fascicolo del giudice quanto utile aiuta a dimostrare la fondatezza delle eccezioni.
  • Quando il ricorso è inammissibile? Il ricorso è inammissibile se presentato oltre il termine di legge, o se mancano i requisiti formali essenziali. Ad esempio, la Cassazione ha precisato che il contribuente che ricorre in giudizio non può eccepire vizi di notifica se non li aveva sollevati precedentemente. Inoltre, ai sensi del D.Lgs. 546/1992, gli atti estranei alla controversia (come sanzioni tributarie non impugnate) non possono essere decisi nel giudizio.
  • Cosa succede alla definizione del contenzioso? Se il ricorso viene accolto, l’avviso di accertamento è annullato (totale o parziale) con sentenza della Commissione Tributaria. Se è respinto, resta in vigore. In entrambi i casi, rimane fermo il principio di “perenzione” del potere impositivo: quando il giudice accoglie il contribuente, l’atto impositivo è annullato e l’imposta non è dovuta. Se invece l’ufficio vince, il contribuente dovrà versare quanto richiesto, su richiesta di pagamento (cartella esattoriale) e possono essere eseguite misure coattive. In entrambi i casi, le spese di giudizio sono a carico della parte soccombente, salvo compensazione per equità.

Tabelle riepilogative

FaseTermine/Nota
Notifica avvisoGiorno 0
Termine per ricorso60 giorni dalla notifica dell’avviso (art. 21 DLgs. 546/92)
Iscrizione a ruolo60 giorni senza ricorso; dopo 60 giorni da notifica avviso (senza ricorso)
Udienza 1° gradoFissata entro circa 3-6 mesi dall’iscrizione, in base al carico della CTP
Termine per appello60 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado
Termine ricorso Cassazione120 giorni dalla notificazione della sentenza di appello (o 6 mesi se deposito telematico)
Efficacia del ricorsoSospende l’iscrizione a ruolo e la riscossione fino alla decisione finale
Tipologia di accertamentoNormativa di riferimentoBase di calcolo
Analitico (tradizionale)Art. 36-39 DPR 600/1973Ricavi e oneri effettivamente contabilizzati
Analitico-presuntivo (induttivo lieve)Art. 36, 39 DPR 600/1973Ricavi contestati + presunzioni (studi di settore, indizi vari)
Induttivo puroArt. 39, comma 2, DPR 600/1973Stima forfettaria basata su indizi semplici (no contabilità)
Sintetico (redditometro)Art. 38, comma 5, DPR 600/1973Ricostruzione del reddito dal livello di spese e investimenti
Studi di settore/ISAArt. 38 ter, DPR 600/1973 (ex L. 23/2014)Reddito minimo presunto basato su parametri settoriali

Caso pratico (esempio)

  • Scenario: Mario Rossi, commerciante al dettaglio, riceve un avviso di accertamento per l’anno 2022. L’avviso contesta un reddito di € 50.000 anziché i € 30.000 dichiarati, sulla base di dati bancari e scontrini (indizio di spese sostenute). Inoltre vengono applicate sanzioni per infedele dichiarazione.
  • Scelta difensiva: Mario verifica che alcuni spesi sono legittime (ad es. spesa per veicolo aziendale, € 10.000) e allega fatture e versamenti correlati. Contesta altresì l’entità dei ricavi (afferma che le vendite sono state inferiori). Decide di proporre ricorso entro i 60 giorni.
  • Steps ricorso: si rivolge ad un commercialista o avvocato tributario, raccoglie documentazione giustificativa (prima nota contabile, buste paga, contratti di acquisto). Il professionista redige il ricorso indicando i dati di Mario, descrive il vizio contestato (“mancato riconoscimento delle spese documentate e errata quantificazione del reddito sulla base delle spese bancarie”), e prepara due copie da depositare in Commissione. Contemporaneamente, può valutare se chiedere l’annullamento in autotutela all’Agenzia (per esempio segnalando l’errata qualificazione di alcune spese).
  • Udienza: la CTP fissa l’udienza di discussione. In aula Mario o il suo difensore espone oralmente le ragioni del ricorso: mostra i documenti, contesta la fondatezza delle presunzioni spese, chiede prova degli elementi a carico. Se l’Agenzia rinuncia (magari accoglie parte delle contestazioni) può nascere un verbale di conciliazione con definizione parziale. In alternativa, si proseguirà con la sentenza: la CTP potrebbe accogliere tutto, annullare l’avviso, o al contrario rigettare (confermando il maggior imponibile).
  • Esito: se Mario vince, non deve pagare la parte di imposta contestata. Se perde, dovrà versare € 50.000, più sanzioni e interessi. In entrambi i casi può valutare ulteriori passi (appello, Cassazione) in base al risultato e all’entità delle posizioni di fatto/acconto di imposte pagate.

Fonti normative

  • D.P.R. 600/1973 (art. 36-42 imposte dirette, art. 39 induttivo, art. 38 redditometro, art. 42-43 avvisi).
  • D.P.R. 633/1972 (art. 54 accertamento IVA analogo, art. 66 dichiarazione infedele).
  • D.Lgs. 546/1992 (codice del processo tributario; artt. 21 ss. termini di impugnazione, art. 48 conciliazione, art. 47 sospensione esecuzione).
  • L. 212/2000 (Statuto del contribuente, art. 2 autotutela).
  • D.Lgs. 472/1997 (sanzioni tributarie; art. 13 ravvedimento operoso).
  • D.Lgs. 87/2024 (riforma sanzioni tributare – c.d. decreto “Governo 87/2024”).
  • D.Lgs. 175/2024 (Testo Unico della Giustizia Tributaria).
  • D.Lgs. 219/2023 (novità fiscali e nuovi criteri di residenza fiscale nel TUIR).
  • D.Lgs. 81/2025 (decreto correttivo al processo tributario e altri interventi, in vigore da G.U. 18/7/2025).

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Conclusione

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