Hai bisogno di assistenza nella gestione della fiscalità d’impresa o della fiscalità dei gruppi societari? Ti stai chiedendo cosa fa un avvocato esperto in questo ambito e quale valore concreto può offrire alla tua impresa o alla struttura del gruppo?
Un avvocato specializzato in fiscalità d’impresa e dei gruppi affianca l’imprenditore, l’amministratore o il direttore finanziario nelle decisioni strategiche, nei rapporti con il Fisco, nelle operazioni straordinarie e nelle controversie, con un approccio tecnico-legale integrato e orientato alla prevenzione del rischio fiscale.
Cosa fa un avvocato esperto in fiscalità d’impresa e dei gruppi?
– Analizza e ottimizza la struttura fiscale delle società e del gruppo, sia a livello nazionale che internazionale
– Valuta l’impatto fiscale di operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, conferimenti, trasformazioni, acquisizioni)
– Assiste nella pianificazione fiscale internazionale, nel rispetto delle normative anti-abuso e dei principi OCSE
– Gestisce i rapporti con l’Agenzia delle Entrate, anche tramite ruling, interpelli o accertamenti con adesione
– Predispone contratti e documentazione fiscale coerente con la strategia societaria e le norme in vigore
– Supporta l’impresa nei controlli fiscali, ispezioni e verifiche, tutelando i diritti del contribuente
– Rappresenta la società o il gruppo nel contenzioso tributario e nelle procedure di mediazione o conciliazione
– Coordina la gestione dei prezzi di trasferimento (transfer pricing) tra società collegate
– Valuta il corretto trattamento fiscale di dividendi, finanziamenti infragruppo, royalties e servizi intercompany
Quando è necessario rivolgersi a un avvocato esperto?
– Quando si pianifica un’espansione all’estero o la creazione di una holding
– Quando si riceve un accertamento fiscale complesso con impatto su più società del gruppo
– Quando si vuole prevenire la doppia imposizione internazionale o gestire i rischi di stabile organizzazione
– Quando occorre una due diligence fiscale in operazioni di M&A
– Quando si vogliono applicare regimi agevolativi in modo conforme e sicuro
– Quando si vuole impostare una governance fiscale conforme e tracciabile
Quali vantaggi offre una consulenza specializzata?
– Riduzione del carico fiscale nel rispetto delle norme
– Prevenzione dei rischi sanzionatori e reputazionali
– Gestione strategica del gruppo in coerenza con obiettivi industriali e legali
– Difesa tecnica solida in sede di contenzioso o ispezione
– Maggiore chiarezza e certezza fiscale per soci e investitori
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità d’impresa e dei gruppi societari ti spiega in che modo possiamo supportare la tua azienda o il tuo gruppo in un contesto normativo complesso e in continua evoluzione.
Hai bisogno di una valutazione fiscale personalizzata o stai affrontando un accertamento su operazioni societarie? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua struttura e ti aiuteremo a tutelare legalmente ogni passaggio strategico.
Introduzione
Nel panorama giuridico-tributario italiano, la fiscalità d’impresa e dei gruppi societari rappresenta uno dei campi più complessi e in continua evoluzione. Tra il 2023 e il 2025 il legislatore ha introdotto riforme profonde che hanno ridisegnato molti aspetti del sistema tributario. In parallelo, la giurisprudenza – soprattutto della Corte di Cassazione – ha affinato i principi applicativi in materia di tassazione delle società e dei gruppi, imponendo un costante aggiornamento per i professionisti del settore.
In questo contesto, l’avvocato esperto in fiscalità di impresa e dei gruppi svolge un ruolo cruciale nell’assistere aziende, imprenditori e privati investitori. Ma cosa fa esattamente questo professionista? In sintesi, egli fornisce consulenza altamente specializzata sulle imposte che gravano sull’attività d’impresa (come IRES, IRAP, IVA) e sulle strategie fiscali a livello di gruppo (consolidato fiscale nazionale/mondiale, operazioni infragruppo, strumenti internazionali di pianificazione). Inoltre, rappresenta e tutela il punto di vista del contribuente (debitore d’imposta) nei rapporti con il Fisco, sia nella fase di prevenzione e pianificazione, sia in sede di accertamento e contenzioso tributario.
Questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, offre un quadro completo e approfondito della fiscalità d’impresa e di gruppo in Italia. Esamineremo le principali imposte dirette che gravano sulle società (IRES per i redditi d’impresa, IRAP per le attività produttive), le novità normative più recenti – come la riforma fiscale 2023–2025 – e gli incentivi attualmente in vigore. Approfondiremo poi la tassazione dei gruppi societari, dal consolidato fiscale nazionale alle regole per i gruppi multinazionali, inclusi i recenti sviluppi in materia di global minimum tax e Controlled Foreign Companies (CFC). Verranno illustrati i principi affermati dalle sentenze più aggiornate delle Corti (nazionali e UE) riguardo alla fiscalità di gruppo – ad esempio sulle limitazioni all’utilizzo infragruppo di perdite e costi – per comprendere come la giurisprudenza tutela l’equità del sistema.
Dal punto di vista del “debitore” d’imposta, forniremo indicazioni sugli strumenti di difesa e sulle opportunità offerte dall’ordinamento: dalle procedure di interpello e ruling preventivo per ottenere certezza fiscale, agli strumenti deflativi e di definizione del debito tributario (come la transazione fiscale nell’ambito di crisi d’impresa). Dedicheremo spazio anche al contenzioso tributario, profondamente riformato di recente, evidenziando come un avvocato tributarista esperto può assistere il contribuente nelle fasi di accertamento, ricorso e processo avanti alle nuove Corti di Giustizia Tributaria.
La trattazione adotta un linguaggio rigoroso ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali e fiscali sia a imprenditori e privati interessati ad approfondire la materia. Troverete, oltre all’analisi normativa, tabelle riepilogative sui principali dati e regole, esempi pratici e simulazioni che aiutano a contestualizzare le nozioni, nonché una sezione di domande frequenti (FAQ) con risposte chiare ai quesiti più comuni. In fondo, tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono elencate per consentire ulteriori approfondimenti.
Principali imposte sul reddito d’impresa (IRES e IRAP)
Il sistema tributario italiano prevede specifiche imposte dirette sui redditi d’impresa. Le due principali sono l’IRES (Imposta sul Reddito delle Società), che colpisce il reddito prodotto dalle società di capitali e dagli enti commerciali, e l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive), che grava sul valore della produzione netta realizzato da imprese e professionisti. Comprendere il funzionamento di queste imposte è fondamentale per qualunque strategia di fiscalità d’impresa.
IRES – aliquota, base imponibile e novità 2024-2025: L’IRES ha un’aliquota ordinaria del 24% sull’utile imponibile d’esercizio. La base imponibile si determina apportando al risultato civilistico (utile/perdita di bilancio) le variazioni in aumento o in diminuzione previste dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR – DPR 917/1986). Ad esempio, sono imponibili solo al 5% i dividendi percepiti da una società (participation exemption) e vi sono limiti alla deducibilità di alcuni costi (es. spese di rappresentanza oltre una certa soglia) e interessi passivi. A partire dal periodo d’imposta 2024 il panorama IRES presenta importanti novità introdotte dalla riforma fiscale: in primis, l’abolizione dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica) e l’introduzione della cosiddetta “IRES premiale” al 20%.
- Abolizione dell’ACE: l’ACE era una detrazione fiscale introdotta per premiare la capitalizzazione delle imprese (consentiva di dedurre dal reddito una remunerazione figurativa del nuovo capitale proprio). Il decreto legislativo 216/2023 ne ha disposto l’abrogazione a partire dal 2024, con l’obiettivo di semplificare il sistema di agevolazioni e probabilmente sostituirla con strumenti diversi. Per compensare la fine dell’ACE e incentivare comunque comportamenti virtuosi, è stata prevista per il 2024 una deduzione maggiorata del 100% del costo del personale neoassunto a tempo indeterminato: in pratica l’impresa può dedurre il doppio delle nuove spese per dipendenti assunti nel 2024, riducendo così la base imponibile ai fini IRES (e IRAP).
- IRES premiale al 20%: La Legge di Bilancio 2025 (legge 30 dicembre 2024 n. 207) ha introdotto per la prima volta una riduzione dell’aliquota IRES dal 24% al 20% sugli utili reinvestiti, a certe condizioni. Questa misura, applicabile una tantum sugli utili dell’esercizio 2024 (che vengono tassati nel 2025), mira a incentivare la reinvestimento degli utili e l’occupazione. I requisiti per accedere all’IRES agevolata sono piuttosto stringenti: (a) destinare almeno l’80% dell’utile 2024 a riserve di patrimonio (utile non distribuito); (b) entro il 31 dicembre 2025 investire almeno il 30% dell’utile accantonato in beni strumentali nuovi ad alta tecnologia (beni “Industria 4.0/5.0”), per un importo minimo di 20.000 €; (c) mantenere o aumentare l’occupazione nell’anno 2025 rispetto alla media precedente (è richiesto un incremento di almeno l’1% dei dipendenti a tempo indeterminato, ad esempio almeno un’assunzione netta se l’organico era di 100 unità). Se – e solo se – tutte queste condizioni sono rispettate, l’utile 2024 beneficia dell’aliquota IRES ridotta al 20%. In caso contrario, si applica l’aliquota ordinaria del 24%.
Esempio pratico: supponiamo una società con utile ante imposte 2024 di €100.000. In condizioni normali, pagherebbe un’IRES del 24%, quindi €24.000 di imposta. Optando per l’IRES premiale, l’azienda dovrebbe vincolare almeno €80.000 (l’80%) a riserva indivisibile e investire almeno €24.000 in beni strumentali 4.0 entro fine 2025, assumendo nel 2025 almeno un nuovo dipendente. Se adempie a tali impegni, l’intero utile 2024 sarà tassato al 20%, con imposta dovuta di €20.000, comportando un risparmio fiscale di €4.000 rispetto al regime ordinario. In sostanza l’azienda “reinveste” quel risparmio a beneficio della propria crescita (investimenti tecnologici e capitale umano). Va notato che l’agevolazione IRES premiale al momento è prevista solo per il 2025 (redditi 2024); eventuali proroghe o stabilizzazioni dipenderanno dai risultati e dai costi per l’erario. L’Agenzia delle Entrate ha già fornito chiarimenti operativi su questo regime con la Circolare n. 5/E del 16 maggio 2025, definendo ad esempio cosa si intende per “beni 4.0/5.0” e come verificare l’incremento di personale necessario.
IRAP – stato attuale e prospettive: L’IRAP colpisce il valore della produzione netta delle imprese ed enti produttivi ed è dovuta in generale da società di capitali, società di persone e ditte individuali esercenti attività commerciali, nonché da professionisti e lavoratori autonomi organizzati. L’aliquota ordinaria IRAP è 3,9% (ma con aliquote maggiorate per alcuni settori come banche e assicurazioni). Negli ultimi anni l’IRAP è stata eliminata per ditte individuali e professionisti senza organizzazione, ma resta applicabile alla gran parte delle società. La riforma fiscale delegata del 2023 prevede il “graduale superamento” dell’IRAP, in quanto tributo ritenuto ormai ridondante, da attuarsi tramite l’assorbimento in un’addizionale IRES. Tuttavia, al 2025 l’IRAP non è ancora abolita: viste le difficoltà tecniche (l’IRAP finanzia i bilanci regionali, specialmente la sanità) e i mancati decreti attuativi in materia, l’IRAP continua ad applicarsi nel 2024-2025 per tutti i soggetti previsti. In pratica, per ora si è scelta una via intermedia: invece di eliminare subito l’IRAP – che avrebbe comportato la necessità di reperire altrove circa 15-20 miliardi di gettito – il legislatore ha introdotto incentivi paralleli (come l’IRES ridotta per imprese “virtuose” sopra descritta) e ha prorogato i termini della delega fiscale al 31 dicembre 2025, rimandando la decisione finale. È quindi probabile che dal 2026 l’IRAP venga sostituita da una sovraimposta IRES regionale (con aliquote differenziate per non penalizzare PMI e settori labour-intensive), ma allo stato attuale le imprese devono ancora fare i conti con questa imposta.
Riepilogo IRES vs IRAP: mentre l’IRES tassa il reddito netto dell’esercizio (tenendo conto di tutti i costi ed oneri deducibili, interessi passivi con limitazioni, ammortamenti, ecc.), l’IRAP tassa un concetto di valore aggiunto prodotto. Ad esempio, l’IRAP esclude dal calcolo alcune componenti: per le società di capitali non sono deducibili il costo del personale dipendente e gli oneri finanziari, il che porta a una base imponibile diversa dal reddito civilistico. In altre parole, una società con dipendenti potrebbe pagare IRAP anche in anni in cui è in perdita fiscale ai fini IRES, perché ai fini IRAP il costo del lavoro non abbassa l’imponibile. Per contro, l’IRAP ha aliquota molto più bassa. La pianificazione fiscale di un’impresa deve considerare entrambi i tributi: ad esempio, beneficiare di deduzioni come quella del cuneo fiscale (deduzione integrale IRAP del costo dei lavoratori a tempo indeterminato) può ridurre drasticamente l’IRAP dovuta. Le recenti riforme, come visto, tendono a coordinare IRES e IRAP: l’IRES premiale, ad esempio, riduce indirettamente anche l’IRAP perché impone di assumere personale stabile (il cui costo nel 2024 gode di deduzione al 200% ai fini IRAP oltre che IRES).
Altre imposte rilevanti per l’impresa: Oltre a IRES e IRAP, un avvocato esperto di fiscalità d’impresa deve padroneggiare la normativa IVA (trattata più avanti separatamente) e le regole delle imposte indirette minori (imposta di registro su atti societari, imposta di bollo, tasse su concessioni governative, ecc.), che in alcune operazioni societarie possono incidere significativamente (si pensi all’imposta di registro in caso di trasferimento di immobili aziendali o rami d’azienda). Vi sono poi tributi locali come IMU/TASI sugli immobili d’impresa, e contributi previdenziali obbligatori (che pur non essendo tributi in senso stretto, rappresentano uscite collegate al costo del lavoro). In generale, la fiscalità d’impresa comprende un insieme ampio di obblighi: l’avvocato tributarista collabora spesso con il commercialista dell’azienda per garantire il corretto adempimento di dichiarazioni, versamenti e ogni altra formalità fiscale, fornendo al contempo consulenza legale su questioni interpretative controverse e rappresentanza in caso di controversie col Fisco.
Fiscalità dei gruppi societari (consolidato fiscale e operazioni infragruppo)
Le imprese organizzate in forma di gruppo societario – ossia un insieme di società legate da rapporti di partecipazione e controllo – beneficiano di un quadro normativo specifico per la tassazione dei redditi complessivi. In Italia il principale strumento è il regime di tassazione di gruppo (consolidato fiscale), introdotto per evitare doppie imposizioni economiche e permettere compensazioni interne di risultati. Contestualmente, esistono regole anti-elusive mirate a impedire che i gruppi sfruttino il proprio assetto per ridurre artificiosamente l’imposta dovuta. Vediamo i punti fondamentali della fiscalità dei gruppi dal punto di vista del contribuente (società controllante e controllate) e i controlli del Fisco al riguardo.
Consolidato fiscale nazionale: disciplinato dagli artt. 117–129 TUIR, il consolidato nazionale è un regime opzionale che consente alle società di capitali residenti in Italia, appartenenti allo stesso gruppo, di determinare un reddito imponibile complessivo di gruppo. In pratica, i redditi (e perdite) delle singole società aderenti all’opzione vengono sommati algebraicamente, in modo da tassare solo l’utile netto consolidato. Ciò consente di compensare le perdite di una società con gli utili di un’altra, ottenendo un immediato vantaggio in termini di minore imposta pagata dal gruppo, rispetto allo scenario in cui ogni società pagasse IRES separatamente. Per aderire al consolidato occorre che una società controlli direttamente o indirettamente le altre con una partecipazione superiore al 50% del capitale (o dei diritti di voto) fin dall’inizio dell’esercizio. L’opzione va esercitata congiuntamente e vincola le società per almeno 3 anni. La società controllante (consolidante) diviene il soggetto capofila che presenta la dichiarazione dei redditi consolidata (Modello CNM) e provvede ai versamenti IRES per conto del gruppo, mentre le controllate (consolidate) continuano a redigere le proprie dichiarazioni “individuali” ad uso interno del consolidato.
Vantaggi principali: (i) utilizzo immediato delle perdite fiscali ove maturino in talune società, compensandole con utili di altre (senza attendere futuri utili nella stessa società per riportarle); (ii) neutralizzazione della tassazione di dividendi infragruppo: i dividendi distribuiti da società consolidate a favore di altre del gruppo non scontano la tassazione ordinaria (95% esenzione) perché sono eliminati tramite variazioni di consolidamento; (iii) possibilità di trasferire liberamente basi imponibili tra le società, nei limiti delle regole del TUIR, senza incorrere in doppie imposizioni. Su questo terzo punto occorre però fare attenzione: ciascuna società mantiene una propria autonomia fiscale nella determinazione del reddito imponibile. Le regole di formazione del reddito d’impresa (artt. 83 e segg. TUIR) si applicano a ogni singola società, e il consolidato è solo un meccanismo di somma algebrica. Dunque, non è lecito per il gruppo manipolare arbitrariamente l’attribuzione di ricavi e costi tra società con la scusa che il risultato consolidato resta invariato. La Corte di Cassazione ha di recente ribadito in un caso emblematico che “non può ammettersi la compensazione di voci di conto economico che determini lo spostamento di oneri o compensi da una società all’altra, pur appartenenti al medesimo consolidato fiscale”, in violazione del principio di competenza e inerenza sancito dall’art. 109 TUIR. In altre parole, ogni società deve dichiarare il proprio reddito come se operasse autonomamente, senza poter “giocare” con le poste contabili tra consociate per alterare il carico fiscale complessivo.
Questo principio è stato applicato, ad esempio, nella Cassazione ord. n. 17433/2024: il caso riguardava una capogruppo che imputava a sé costi per servizi infragruppo resi a favore di una controllata, col risultato di abbassare il reddito della controllata e aumentare deduzioni nella controllante, confidando che l’utile consolidato rimanesse lo stesso. La Cassazione ha dichiarato illegittimo tale comportamento, sancendo che la tassazione di gruppo non consente spostamenti arbitrari di costi tra società, neppure se il risultato complessivo non cambia, poiché la base imponibile di ciascuna società va determinata in modo rigoroso e inderogabile secondo le proprie operazioni.
Un altro tema cruciale sono le perdite pregresse delle società che entrano in consolidato. Le perdite fiscali maturate prima dell’adesione al regime di gruppo restano utilizzabili solo dalla stessa società che le ha generate, nei limiti e secondo le regole ordinarie, ma non possono essere trasferite nel perimetro di gruppo. Su questo punto si è pronunciata la Cassazione n. 8751/2024, chiarendo che le perdite anteriori all’opzione di tassazione di gruppo rimangono nella sfera individuale di ciascuna consolidata e non confluiscono nel reddito consolidato. Ne consegue che, nel calcolo del reddito da trasferire al consolidato, ogni società deve prima compensare il proprio imponibile con le proprie perdite pregresse, e solo il risultato netto (utile dopo tali compensazioni, oppure perdita residua) viene effettivamente trasferito al consolidato. Ciò evita fenomeni di “duplice uso” delle perdite. Ad esempio, se la società Alfa ha €500k di perdite anteriori e nel 2025 consegue un utile di €300k, essa userà internamente €300k di perdite per azzerare il suo reddito e trasferirà €0 al consolidato; non sarebbe ammissibile che tale utile, già azzerato dalle perdite pregresse in Alfa, venisse compensato una seconda volta nel consolidato con perdite di altre società. La sentenza citata conferma proprio questo meccanismo, impedendo duplicazioni di vantaggi fiscali.
Responsabilità per l’IRES di gruppo: aderire al consolidato implica una responsabilità solidale tra le società del gruppo per il versamento dell’imposta dovuta. Tuttavia, tale responsabilità non è illimitata: ciascuna società consolidata risponde in solido nei limiti dell’imposta teorica da essa dovuta sui propri redditi o risparmi d’imposta conseguiti per effetto del consolidato. In sostanza, la controllante è il primo debitore verso l’Erario per il totale IRES di gruppo, ma l’Agenzia Entrate può rivalersi su una consolidata per la quota di tributo riferibile al suo reddito (o al beneficio di cui ha fruito). Ad esempio, se la consolidata Beta ha portato una perdita che ha ridotto l’imposta di gruppo di €50k, Beta è solidalmente responsabile per quel minor gettito. Questa limitazione della solidarietà, sancita dall’art. 127, comma 2 TUIR, è stata confermata anche dalla giurisprudenza: non esiste una responsabilità “a 360°” di ogni società per qualunque debito del gruppo, ma solo per le imposte di gruppo e relativi interessi/sanzioni di competenza propria.
Consolidato fiscale mondiale: per i gruppi con società controllate estere, l’ordinamento prevede il consolidato mondiale (artt. 130–142 TUIR). Si tratta di un regime opzionale che consente di includere nel calcolo del reddito di gruppo anche le controllate non residenti (ubicate all’estero). È uno strumento complesso, raramente adottato, che richiede condizioni stringenti: la società controllante deve essere italiana; tutte le controllate estere (possedute direttamente o indirettamente almeno al 50%) devono essere incluse senza selezioni (no cherry picking); occorre un impegno minimo di 5 anni; le controllate estere devono fornire collaborazione, uniformare il proprio esercizio fiscale e accettare verifiche sul bilancio. In pratica, la capogruppo italiana sommerebbe i redditi esteri delle controllate (convertiti secondo regole forfettarie) pagandovi l’IRES come se fossero prodotti in Italia. Questo ha senso in situazioni specifiche – ad esempio per utilizzare all’interno del gruppo perdite subite da società estere o per consolidare risultati evitando doppie tassazioni – ma comporta anche rischi: l’Italia tasserebbe utili esteri (che spesso subiscono già tassazione locale più bassa) con possibilità di credito d’imposta limitato. Non sorprende quindi che il consolidato mondiale sia poco diffuso. A livello pratico, molte imprese multinazionali preferiscono altre vie per gestire la fiscalità di gruppo, come si vedrà nella sezione sulla fiscalità internazionale.
Operazioni infragruppo e neutralità fiscale: Un avvocato esperto di fiscalità dei gruppi deve saper affrontare le questioni fiscali legate alle operazioni straordinarie infragruppo (fusioni, scissioni, conferimenti di partecipazioni o rami d’azienda all’interno del gruppo). La legge prevede regimi di neutralità fiscale per queste operazioni, al ricorrere di certi requisiti, in modo da non penalizzare le riorganizzazioni aziendali genuine. Ad esempio, la fusione tra due società del gruppo non genera imponibile se rispetta la disciplina di neutralità (art. 172 TUIR) – le eventuali plusvalenze emergenti nei bilanci civilistici non sono tassate ora ma si trasferiscono sui valori fiscalmente riconosciuti della società risultante. Similmente, i conferimenti di azienda o partecipazioni possono avvenire in neutralità d’imposta (artt. 175-177 TUIR) mediante attribuzione al conferente di partecipazioni di controvalore. Queste norme agevolative mirano a favorire la razionalizzazione dei gruppi senza ostacoli fiscali, ma vanno applicate con attenzione: vi sono limiti (ad esempio l’anti abuso anti-elusione specifica sulle cosiddette fusioni “a fisarmonica” per utilizzare basi imponibili, o conferimenti seguiti da cessione partecipazioni – articolo 176, comma 3 TUIR). Un consulente legale tributario verificherà che l’operazione abbia valide ragioni economiche e rispetti i requisiti per la neutralità, altrimenti l’Amministrazione finanziaria potrebbe riqualificarla come elusiva e pretendere le imposte evitate.
Dividendi infragruppo e ritenute: Nell’ambito di un gruppo, la distribuzione di utili dalla società figlia alla holding è fiscalmente favorita. In ambito domestico (Italia su Italia) i dividendi percepiti da società sono imponibili solo per il 5% del loro ammontare (ex art. 89 TUIR), quindi di fatto tassati al 1.2% effettivo (5% * 24% IRES). Se però la controllata è estera, si applicano anche le convenzioni contro le doppie imposizioni e le direttive UE: ad esempio la Direttiva Madre-Figlia (2011/96/UE) prevede l’esenzione totale da ritenute su dividendi intra-UE tra società consociate (partecipazione minima 10%, possesso minimo 1 anno), condizione recepita in Italia che consente in molti casi di far circolare utili nel gruppo europeo senza ritenute alla fonte. Attenzione però alle clausole anti-abuso: la stessa direttiva UE (come modificata nel 2015) e l’art. 10-ter del nostro TUIR impediscono di beneficiare di queste esenzioni qualora la struttura societaria sia artificiosamente creata per ottenere vantaggi fiscali (mancanza di “beneficiario effettivo” dei dividendi, ecc.). L’avvocato tributarista aiuta a strutturare i flussi di dividendi e royalty infragruppo in modo conforme alle normative, sfruttando le esenzioni ove spettano (ad es. dividendi UE esenti da ritenuta e imponibili in capo alla holding solo al 5%), e prevenendo contestazioni di abuso dei trattati o delle direttive (tematica su cui vi sono state sentenze UE, come i celebri casi “Danish Beneficial Ownership” del 2019, recepiti anche dall’Agenzia Entrate).
Sintesi – il ruolo del tributarista nei gruppi: In conclusione, la fiscalità dei gruppi richiede un delicato bilanciamento: da un lato sfruttare appieno le opportunità di ottimizzazione lecita (consolidato fiscale per compensare utili/perdite e eliminare doppie imposizioni interne; operazioni societarie neutrali per riorganizzare; strumenti internazionali come direttive UE per minimizzare ritenute); dall’altro evitare scivolamenti nell’elusione o nell’abuso del diritto che potrebbero portare a pesanti rettifiche fiscali. Le sentenze recenti mostrano una “tolleranza zero” verso stratagemmi privi di sostanza economica nel consolidato, ma riconoscono al contempo la legittimità del tax planning quando è supportato da valide ragioni extra-fiscali. Un avvocato esperto sarà dunque chiamato a valutare preventivamente la sussistenza di valide ragioni economico-gestionali in ogni operazione di gruppo, così da non incorrere nella clausola anti-abuso generale (art. 10-bis L. 212/2000). A tal proposito, la Cassazione ha chiarito che l’assenza di ragioni economiche si manifesta quando vi è incoerenza tra la forma giuridica scelta e la sostanza economica complessiva dell’operazione, fermo restando che motivazioni organizzative e gestionali genuine possono giustificare operazioni fiscalmente vantaggiose. In altri termini, non è abuso del diritto il lecito risparmio d’imposta ottenuto tramite scelte imprenditoriali reali e non meramente artificiose.
Fiscalità internazionale e di gruppo: CFC, esterovestizione e Global Minimum Tax
Nel mondo globalizzato, molti gruppi societari operano oltre i confini nazionali. La fiscalità internazionale diventa quindi parte integrante della consulenza tributaria d’impresa. L’avvocato specializzato assiste le aziende nel navigare tra diversi ordinamenti fiscali, evitando doppie imposizioni e al contempo prevenendo pratiche elusive transnazionali che potrebbero essere sanzionate. I temi principali in questo ambito includono la disciplina CFC (Controlled Foreign Companies), la residenza fiscale delle società (esterovestizione), la transfer pricing per le transazioni infragruppo cross-border e, novità recentissima, l’introduzione di una Global Minimum Tax per i grandi gruppi multinazionali.
Disciplina CFC (Controlled Foreign Companies): Le norme sulle CFC mirano a contrastare la tentazione di localizzare utili in società controllate residenti in paesi a fiscalità privilegiata, lasciandoli lì per godere di tassazione bassa o nulla. In Italia la disciplina CFC è contenuta nell’art. 167 TUIR, recentemente riscritto dal D.Lgs. 27 dicembre 2023 n. 209 in attuazione della delega fiscale. In sintesi, se una società italiana controlla (direttamente o indirettamente) un’entità estera con tassazione molto bassa, i redditi di quest’ultima possono essere imputati per trasparenza alla società italiana e tassati immediatamente in Italia (aliquota IRES) come se fossero redditi propri. I criteri chiave per l’applicazione della CFC rule sono: (a) la bassa tassazione estera (indicativamente, un livello di tassazione effettivo inferiore al 50% di quello italiano); (b) la presenza di passive income prevalente (oltre 1/3 dei proventi della società estera derivanti da interessi, canoni, dividendi, servizi infragruppo con scarso valore aggiunto, ecc.) oppure, secondo la versione attuale, altre condizioni di localizzazione in Stati non cooperativi. Se queste condizioni ricorrono, la società italiana deve dichiarare gli utili della controllata estera (pro quota di partecipazione) nel proprio imponibile IRES.
La riforma del 2023 ha introdotto importanti semplificazioni e novità: anzitutto, un regime opzionale di imposizione sostitutiva al 15% sugli utili delle CFC, in alternativa alla tassazione per trasparenza. Questa opzione, introdotta con il nuovo comma 4-ter dell’art. 167 TUIR, puntava a rendere meno oneroso e più certo il regime CFC: pagando un’imposta del 15% sull’utile estero, la controllata sarebbe stata considerata fiscalmente “in regola” ed esclusa dalla tassazione per trasparenza, e i dividendi successivamente distribuiti sarebbero stati esenti (per evitare doppia imposizione). Tuttavia, nel giugno 2025 il legislatore è tornato sui suoi passi: il Decreto Legge 12 giugno 2025 n. 84 (c.d. “decreto fiscale 2025”) ha modificato ancora la disciplina, prima che entrasse pienamente in vigore. In base alle nuove disposizioni, dal periodo d’imposta 2025 l’imposta del 15% versata sulle CFC non avrà più effetto sostitutivo integrale della tassazione per trasparenza. Rimane un’opzione, ma con funzione diversa: pagando il 15%, l’investimento estero viene considerato come soggetto a regime fiscale ordinario, sottraendolo dall’ambito CFC, però eventuali utili distribuiti in futuro torneranno ad essere tassati secondo le regole ordinarie (95% esenti se partecipazione qualificata) e non completamente esenti. Questa modifica è stata motivata anche da esigenze di compatibilità UE: si temeva che l’esenzione totale dei dividendi post-imposta sostitutiva fosse in contrasto con principi europei. Il risultato è che oggi l’impresa italiana ha due strade per le controllate estere a bassa fiscalità: applicare la CFC (trasparenza piena) oppure optare per il versamento del 15% sugli utili esteri ogni anno, sapendo però che i dividendi poi saranno trattati normalmente. In entrambi i casi l’obiettivo antielusivo è raggiunto: i profitti della controllata “paradisiaca” non restano totalmente detassati. L’Agenzia delle Entrate, con Provvedimento del 30 aprile 2024 n. 213637, aveva già dettato le modalità operative per l’opzione CFC introdotta nel 2023, e dovrà ora adeguarle alle novità del 2025.
Un ulteriore aspetto da considerare sulla CFC è la possibilità di disapplicare la tassazione per trasparenza fornendo prova che la controllata estera svolge un’attività economica effettiva (carve-out). Il contribuente può presentare un interpello all’Agenzia dimostrando, ad esempio, che la società estera ha una struttura operativa reale, uffici, personale e svolge attività commerciale vera nel suo paese (e non è una mera cassettina fiscale). In caso di risposta positiva o di silenzio-assenso, l’imputazione dei redditi CFC viene esclusa. Anche su questo versante normativo, l’avvocato tributarista assiste l’impresa nel predisporre l’istanza di interpello CFC e nel raccogliere la documentazione richiesta (bilanci, organigrammi, contratti) per provare la sostanza economica estera.
Esterovestizione (residenza fittizia all’estero): Un altro rischio fiscale per i gruppi è l’esterovestizione di una società, cioè l’artificio di localizzare formalmente la sede legale all’estero mentre l’amministrazione centrale effettiva avviene in Italia. Secondo la legge italiana (art. 73 TUIR), una società è considerata fiscalmente residente in Italia non solo se ha qui la sede legale o oggetto principale, ma anche se ha in Italia la sede dell’amministrazione (luogo in cui si prendono le decisioni). Quindi una società registrata in un paradiso fiscale ma gestita di fatto dal territorio italiano può essere tassata in Italia su tutti i redditi ovunque prodotti (worldwide taxation). L’Agenzia delle Entrate è molto vigile su questo fronte e spesso contesta l’esterovestizione di controllate o controllanti estere di gruppi italiani, soprattutto quando l’estero in questione è un Paese a bassa fiscalità (San Marino, Svizzera, Lussemburgo, Montecarlo, ecc.). La giurisprudenza ha più volte convalidato questi recuperi d’imposta quando emergono elementi oggettivi: ad esempio, la Cassazione n. 19843/2024 ha confermato la residenza in Italia di un contribuente che si era trasferito nel Principato di Monaco solo fittiziamente, continuando ad avere il centro dei propri interessi in Italia. Per le società, prove tipiche sono la presenza in Italia degli amministratori o soci decisori, lo svolgimento in Italia delle assemblee o riunioni di CDA, l’assenza di strutture operative reali nello Stato estero dichiarato. Un avvocato fiscalista di gruppo dovrà quindi guidare il cliente: se l’intenzione è realmente localizzare una holding all’estero, occorre sostanza economica (uffici, management locale, autonomia decisionale) per non incorrere in contestazioni. In caso di accertamento per esterovestizione, invece, il legale dovrà predisporre una strategia difensiva, eventualmente supportata da accordi contro le doppie imposizioni (per evitare doppia tassazione nel caso in cui anche l’altro Stato rivendichi la residenza) o procedure amichevoli tra Stati (MAP) previste dai trattati.
Transfer pricing (prezzi di trasferimento): All’interno dei gruppi multinazionali, le transazioni commerciali tra società consociate (cessioni di beni, prestazioni di servizi, finanziamenti infragruppo, licenze d’uso di beni immateriali) devono avvenire secondo il principio di libera concorrenza (arm’s length principle). Ciò significa che i prezzi applicati devono essere quelli che sarebbero praticati tra imprese indipendenti in condizioni comparabili. Se un gruppo manipola i prezzi interni per spostare utili verso società in Paesi a tassazione inferiore (ad esempio vendendo beni alla consociata estera a un prezzo volutamente più basso del mercato, in modo da ridurre l’utile in Italia e aumentar quello nell’altro Paese), il Fisco interviene rettificando i prezzi ai valori normali e recuperando la maggiore imposta. L’Italia ha norme sui transfer pricing in linea con le Linee Guida OCSE: l’art. 110 comma 7 TUIR recepisce il principio arm’s length. Dal punto di vista operativo, le imprese devono predisporre una documentazione transfer pricing (Masterfile e Documentazione Nazionale, secondo il Provv. Agenzia Entrate 2020) per dimostrare la correttezza dei propri prezzi di trasferimento. La predisposizione e l’aggiornamento della TP documentation è un’attività in cui spesso l’avvocato tributarista collabora con consulenti economici e fiscalisti d’azienda: un’adeguata documentazione, infatti, consente di accedere al regime di “penalty protection”, evitando sanzioni anche in caso di eventuali rettifiche (purché i documenti esibiti siano considerati idonei).
Negli ultimi anni, la materia dei transfer pricing è stata interessata da iniziative BEPS e normative ATAD: ad esempio è stato introdotto l’obbligo di Country-by-Country Reporting per i grandi gruppi multinazionali, e in Italia si è istituito il regime di adempimento collaborativo per le imprese di maggiori dimensioni, che include il monitoraggio dei prezzi di trasferimento. L’avvocato tributarista può assistere il gruppo sia predisponendo istanze di accordi preventivi (APA) con l’Agenzia delle Entrate (per fissare regole certe di transfer pricing per il futuro), sia gestendo eventuali controversie su rettifiche TP in sede di accertamento, magari avviando procedure di mutuo accordo internazionale per eliminare la doppia imposizione derivante dall’aggiustamento (dato che se l’Italia tassa di più l’utile, lo Stato estero dovrebbe corrispondentemente riconoscere una rettifica in diminuzione per evitare che la stessa fetta di profitto sia tassata due volte).
Global Minimum Tax (GMT) – tassazione minima globale 15%: Una delle evoluzioni più rilevanti nella fiscalità internazionale recente è l’adesione dell’Italia (e UE) al progetto OCSE di Pillar 2, ovvero l’introduzione di un’aliquota minima globale del 15% sui profitti delle multinazionali con fatturato consolidato oltre 750 milioni di euro. L’UE ha adottato la direttiva 2022/2523/UE a fine 2022, recepita dall’Italia con il D.Lgs. 29 novembre 2023 n. 191 (parte del pacchetto attuativo della delega fiscale). In pratica, a partire dal 2024, i gruppi di grandissime dimensioni sono tenuti a calcolare l’effective tax rate in ciascuna giurisdizione in cui operano: se in un Paese il tax rate effettivo sui profitti risulta inferiore al 15%, scatta un’imposta integrativa (top-up tax) per colmare la differenza. Questa imposta aggiuntiva è di regola prelevata dalla capogruppo ultima sul proprio territorio (Income Inclusion Rule), oppure da altre entità del gruppo in via sussidiaria. Lo scopo è evitare che colossi multinazionali (tipicamente del digitale, ma non solo) sfruttino paradisi fiscali per pagare aliquote risibili sul consolidato globale. Dal punto di vista dell’avvocato tributarista, la Global Minimum Tax introduce un ulteriore layer di complessità nella consulenza: bisognerà assistere i gruppi nell’adeguarsi ai nuovi obblighi di calcolo e rendicontazione (molto sofisticati, basati su bilanci consolidati e regole specifiche diverse dal TUIR). In Italia, l’Agenzia delle Entrate istituirà un apposito modello di dichiarazione “GloBE” e il professionista dovrà coordinarsi anche con i fiscalisti esteri del gruppo per assicurare coerenza nei dati. È importante notare che la GMT non sostituisce le imposte esistenti, ma si aggiunge: pertanto i sistemi tradizionali (IRES, CFC, transfer pricing, ecc.) restano pienamente in vigore, ma in più per i grandi gruppi si dovrà verificare di raggiungere almeno il 15% ovunque.
Altri aspetti internazionali: La consulenza fiscale di impresa include infine l’analisi di convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (Trattati bilaterali che l’Italia ha con oltre 100 Paesi) per gestire correttamente temi come: l’applicazione di ritenute ridotte su pagamenti transfrontalieri (interessi, canoni, utili), l’identificazione di stabili organizzazioni (branch) di società estere in Italia o viceversa, con relativa attribuzione di profitti e oneri. Ad esempio, un gruppo estero che opera in Italia tramite una stabile organizzazione sarà tassato in Italia solo per i redditi attribuibili a quella branch, evitando – tramite i criteri convenzionali – sia la doppia tassazione sia che parte dei profitti sfuggano a imposizione. Le regole sulle stabili organizzazioni sono state aggiornate anch’esse nel 2023 (definizione di significativa presenza economica, recepimento standard BEPS su commissionari, ecc. nel D.Lgs. 209/2023). Un avvocato tributarista dovrà, ad esempio, valutare se la presenza in Italia di personale dipendente di una consociata estera configuri una stabile organizzazione occulta (caso frequente: personale di una società straniera che opera stabilmente presso la sede italiana di un’altra società del gruppo).
In sintesi, la fiscalità internazionale di impresa è diventata un campo dove compliance e strategia si intrecciano: compliance nel rispettare standard globali (transfer pricing documentato, pagare la giusta aliquota in ogni paese, reportistica country-by-country) ed strategia nel sfruttare legittimamente strumenti offerti dall’ordinamento (regimi speciali come il branch exemption introdotto dal 2015, crediti d’imposta esteri, incentivi per il rientro di attività in Italia – v. regime impatriati e incentivi reshoring dal D.Lgs. 209/2023). L’avvocato esperto deve avere una visione globale per consigliare al meglio il gruppo, coordinandosi spesso con fiscalisti di altre nazioni e mantenendosi aggiornato sulle evoluzioni OCSE e UE.
Strumenti deflativi, contenzioso tributario e crisi d’impresa
Nonostante la migliore pianificazione, il rischio di controversie col Fisco è una realtà per molte imprese. Avvisi di accertamento, contestazioni su operazioni societarie, riprese a tassazione per costi ritenuti indeducibili o utili esteri non dichiarati: in queste situazioni l’avvocato tributarista interviene per tutelare il contribuente, sia tramite strumenti di definizione stragiudiziale del debito tributario, sia nel vero e proprio processo tributario. Inoltre, qualora l’azienda versi in difficoltà finanziarie, vi sono procedure ad hoc per gestire i debiti tributari all’interno della crisi d’impresa.
Accertamento e difesa del contribuente: Dal 2023 il procedimento di accertamento è stato oggetto di riforma per rafforzare le garanzie del contribuente. In particolare, il D.Lgs. 12/2024 ha reso obbligatorio il contraddittorio endoprocedimentale generalizzato: ciò significa che, salvo casi di urgenza o particolare gravità, prima di emettere un avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate deve notificare al contribuente un invito a comparire o una comunicazione dei motivi, garantendo almeno 60 giorni per fornire osservazioni e giustificazioni. Questo dialogo preventivo consente spesso di chiarire elementi e, se il contribuente riesce a dimostrare la correttezza del proprio operato, evitare l’atto impositivo. Dal punto di vista pratico, l’avvocato tributarista assiste l’impresa fin da questa fase pre-contenziosa: predispone memorie difensive, partecipa alle audizioni con l’ufficio, cercando di scongiurare o ridurre le pretese prima che diventino definitive.
Se l’accertamento viene comunque emesso, esistono strumenti deflativi del contenzioso che l’esperto valuta attentamente: l’accertamento con adesione, ad esempio, permette di discutere con l’ufficio tributario una rideterminazione consensuale della pretesa (col vantaggio di sanzioni ridotte a 1/3). In caso di esito favorevole, si stipula un atto di adesione e si evita il giudizio. Anche la conciliazione giudiziale, possibile ora in ogni grado del processo tributario, consente di chiudere la lite con reciproche concessioni, beneficiando di sanzioni ridotte. Nel 2023-2024, il legislatore ha introdotto varie definizioni agevolate: ad esempio, la rottamazione-quater delle cartelle esattoriali (stralcio di interessi e sanzioni con pagamento del solo tributo), la definizione agevolata delle liti pendenti (chiusura dei giudizi tributari in corso con pagamento ridotto), ecc. Un avvocato tributarista deve informare il cliente di queste opportunità temporanee e valutarne la convenienza caso per caso.
Il processo tributario riformato: Se non si raggiunge un accordo, si passa al ricorso davanti alle Corti di Giustizia Tributaria (nuova denominazione dal 2023 delle ex Commissioni Tributarie). La riforma operata con la L. 130/2022 e i successivi decreti (D.Lgs. 119/2022 e D.Lgs. 220/2023) ha innovato profondamente il processo tributario: oggi abbiamo giudici tributari professionali reclutati per concorso (almeno in secondo grado), il processo telematico integrale, e novità procedurali come la prova testimoniale scritta in determinati casi. L’avvocato tributarista è il difensore tecnico abilitato per assistere la società dinanzi a queste Corti. Egli predispone il ricorso introduttivo (entro 60 giorni dall’atto), provvede alle notifiche tramite PEC e gestisce le fasi successive (memorie, udienza). In caso di esito sfavorevole in primo grado, valuta l’appello presso la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (regionale) e, eventualmente, il ricorso per Cassazione. Un aspetto peculiare del contenzioso di gruppo: quando è coinvolta una società consolidata, spesso l’accertamento riguarda sia la società stessa (per il reddito individuale rettificato) sia la consolidante (per il maggiore reddito di gruppo). In tali ipotesi, il contenzioso può avere due livelli (“primo livello” contro la consolidata e “secondo livello” contro la consolidante per il riflesso sul consolidato). La difesa deve essere coordinata, talora riunendo i giudizi. La Cassazione ha chiarito che l’omessa notifica dell’accertamento di secondo livello alla consolidata può rendere nullo il ruolo a carico di quest’ultima, evidenziando la necessità di un allineamento procedimentale. Questi aspetti processuali mostrano come la materia sia altamente specialistica.
Sanzioni tributarie e tutela del contribuente: In caso di violazioni, le imprese possono subire pesanti sanzioni amministrative. La riforma del sistema sanzionatorio (D.Lgs. 87/2024) ha rivisto alcuni importi e cause di non punibilità: ad esempio è stata ridotta del 25% la sanzione per omessi versamenti quando il contribuente paga con ritardo ma prima di controlli; analogamente, si sono abbassate al 70% (dal 100%) le sanzioni per indebite compensazioni di crediti. Importante per le imprese è anche la recente introduzione del “ravvedimento operoso speciale” e l’istituto del concordato preventivo biennale (CPB) per piccole imprese e partite IVA: quest’ultimo consente a chi è in regola coi dichiarativi e non ha debiti fiscali pendenti, di concordare con il Fisco le imposte dovute per il biennio successivo in via forfetaria, ottenendo in cambio certezza e uno sconto di sanzioni. Il CPB, però, è precluso a società di capitali di medio-grandi dimensioni, essendo pensato per contribuenti minori con affidabilità fiscale alta (soggetti ISA). Un avvocato tributarista valuta se il cliente può accedere a tali opportunità e ne cura l’adesione (ad esempio assistendo nel calcolo e nella presentazione dell’istanza di concordato biennale entro i termini, che nel 2024 sono stati prorogati al 31/10/2024 come da circolare AE 18/E/2024).
Crisi d’impresa e transazione fiscale: Quando un’impresa si trova in difficoltà finanziaria e non riesce a far fronte ai debiti tributari, intervengono gli strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019 e ss.mm.). L’avvocato esperto in fiscalità d’impresa spesso affianca quello fallimentarista per gestire il debito fiscale all’interno di piani di risanamento o procedure concorsuali. L’istituto centrale è la transazione fiscale, regolata dall’art. 63 del Codice della crisi (già art. 182-ter L.F.): esso permette all’imprenditore in crisi di proporre al Fisco un accordo di ristrutturazione del debito tributario, ad esempio con il pagamento parziale (stralcio) di imposte e sanzioni, purché non inferiore a quanto l’Erario otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare. Storicamente la transazione fiscale era limitata al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione del debito omologati dal tribunale. Novità 2023-2024: il terzo correttivo al Codice della crisi (D.Lgs. 136/2024) ha esteso la possibilità di transazione fiscale anche alla composizione negoziata della crisi (procedura stragiudiziale introdotta nel 2021). Inoltre, è stato previsto il cram-down fiscale: nel concordato preventivo, se il Fisco rifiuta ingiustificatamente una proposta che invece conviene ai creditori, il tribunale può ugualmente omologare il piano imponendo il trattamento fiscale proposto (purché ne ricorrano i presupposti). Ciò rafforza il potere del debitore in buona fede di ristrutturare i debiti tributari. In pratica, l’avvocato tributarista prepara la proposta di transazione fiscale, con un piano di pagamento e le relative percentuali di soddisfo, corredata dai dati che dimostrano la convenienza rispetto alla liquidazione. L’Agenzia delle Entrate valuta la proposta anche seguendo linee guida interne: è noto un indirizzo secondo cui le Direzioni devono aderire in modo “prudente” ma favorevole se l’offerta è superiore al presumibile realizzo in caso di fallimento. Rifiuti immotivati possono essere impugnati dal debitore avanti al giudice civile competente, come ricordato da una pronuncia del 2023 segnalata anche su FiscoOggi. Dunque il contribuente, pur in veste di debitore, ha oggi maggiori strumenti di tutela per trattare col Fisco quando versa in situazione di crisi, e l’assistenza legale è fondamentale per far valere questi diritti.
Oltre alla transazione fiscale in senso stretto, nelle procedure concorsuali spesso si beneficia di norme fiscali di favore: ad esempio la esonero da responsabilità per il pagamento parziale dei debiti IVA e ritenute nel concordato (che di regola sarebbero debiti “inesdebitabili” salvo l’omologazione del concordato stesso), o la possibilità di ottenere il durc regolare a seguito di omologazione (utile per continuare ad operare). Sono dettagli tecnici dove l’avvocato fiscalista, in sinergia con il curatore o il commissario giudiziale, verifica la corretta applicazione delle norme e difende il debitore da eventuali pretese eccedenti (ad esempio sanzioni non dovute post omologazione, iscrizioni a ruolo non conformi all’accordo omologato, ecc.).
Profili penali tributari: Un cenno va fatto infine al rischio di rilievi penali in materia fiscale. Nei casi più gravi (dichiarazioni fraudolente, emissione di fatture false, occultamento di scritture, omesso versamento di IVA o ritenute oltre soglie rilevanti) scattano le sanzioni previste dal D.Lgs. 74/2000, con responsabilità penale degli amministratori o di chi ha commesso il fatto. L’avvocato tributarista spesso collabora con penalisti esperti per gestire in parallelo il procedimento penale e quello tributario, cercando, ove possibile, soluzioni transattive (il pagamento del dovuto può estinguere alcuni reati, come l’omesso versamento di ritenute/IVA) o comunque coordinando la strategia difensiva affinché le risultanze in sede tributaria non pregiudichino eccessivamente la posizione penale e viceversa. Per un’impresa in crisi, tra l’altro, la recente modifica legislativa sul reato di omesso versamento IVA (innalzamento soglia a 250.000 € annui e possibilità di non punibilità se il debito è inserito in un piano di crisi poi adempiuto) rappresenta un punto di attenzione che il legale deve far presente agli amministratori per le scelte da compiere.
Domande Frequenti (FAQ) sulla fiscalità d’impresa e di gruppo
D1: Quali sono le tasse principali che paga una società di capitali in Italia?
R: Una società di capitali (es. S.r.l. o S.p.A.) paga principalmente l’IRES (imposta sul reddito societario) al 24% sull’utile d’esercizio e l’IRAP (imposta regionale) generalmente al 3,9% sul valore della produzione netta. Oltre a queste imposte dirette, la società è soggetta all’IVA (imposta sul valore aggiunto) sulle cessioni di beni e servizi (aliquote 4%, 5%, 10%, 22% a seconda dei casi) ma l’IVA è neutra a livello di imponibile perché la versa sui ricavi al netto di quella pagata sugli acquisti. Inoltre ci sono tributi minori (imposte catastali, di registro su certi atti, bollo) e contributi previdenziali per i dipendenti. A livello di soci, va menzionato che se la società distribuisce dividendi, questi scontano un’ulteriore imposizione in capo ai soci (per le persone fisiche residenti, dal 2018 c’è una cedolare secca 26% sui dividendi percepiti). In sintesi, l’impresa genera utile tassato con IRES (più IRAP) e l’utile netto dopo imposte se distribuito sarà tassato in capo all’azionista. Un buon consulente fiscale aiuta a minimizzare la doppia imposizione (ad esempio sfruttando la participation exemption 95% per società holding).
D2: Conviene aderire al consolidato fiscale di gruppo?
R: Se un’azienda fa parte di un gruppo (controllata almeno al 50% da una holding o insieme di soci legati da pactum) generalmente sì, il consolidato conviene, soprattutto quando le società del gruppo hanno risultati differenti (alcune in utile, altre in perdita). Consolidando, i redditi si compensano subito e il gruppo paga l’IRES solo sull’utile netto aggregato, evitando che da una parte si paghino imposte mentre dall’altra le perdite restano inutilizzate. Conviene anche per eliminare tassazioni interne sui dividendi infragruppo e per semplificare alcuni adempimenti (un’unica dichiarazione per il gruppo). Tuttavia, bisogna fare attenzione ad alcuni aspetti: il consolidato vincola per almeno 3 anni, quindi occorre valutare la stabilità del gruppo; inoltre ciascuna società rimane responsabile solidalmente della sua quota di imposte di gruppo. Non da ultimo, aderire richiede un certo coordinamento amministrativo (calcoli infrannuali per trasferire acconti, ecc.). In gruppi molto piccoli (es. due società soltanto, con lo stesso socio) il vantaggio potrebbe essere minore, ma nella maggior parte dei casi la possibilità di compensare utili e perdite rende il consolidato vantaggioso. È comunque opportuno farsi assistere da un fiscalista per simulare i risparmi e valutare le implicazioni (ad esempio l’utilizzo di eventuali perdite pregresse separate, che restano individuali e non transitano nel consolidato).
D3: Che differenza c’è tra una fusione/scissione “neutrale” e una “realizzativa” dal punto di vista fiscale?
R: Una fusione o scissione neutrale è quella in cui si applicano le condizioni di neutralità previste dal TUIR (in particolare art. 172 per fusioni, 173 per scissioni). In tal caso il trasferimento di patrimoni tra società avviene senza generare tasse immediate: i valori fiscalmente riconosciuti di attivi e passivi si trasferiscono tali e quali alla società risultante, e le eventuali plusvalenze latenti non sono tassate al momento. Al contrario, una fusione o scissione realizzativa (ossia fuori dai requisiti di legge per la neutralità) comporta che i beni apportati vengano “realizzati” fiscalmente al valore normale, generando possibili plusvalenze tassabili per la società conferente o per i soci. In pratica, la neutralità fiscale richiede che l’operazione non abbia come oggetto principale il risparmio d’imposta e rispetti determinate condizioni (ad esempio, nella scissione parziale proporzionale i valori contabili si frazionano secondo quote di patrimonio netto). Se l’Agenzia Entrate ritiene che una fusione/scissione sia stata fatta solo per motivi elusivi (ad es. far comparire perdite utilizzabili altrove, o cedere asset rivalutandoli tacitamente), può disconoscere la neutralità e tassare l’operazione. Anche qui conta la sostanza economica: una fusione motivata da ragioni industriali (semplificare la struttura, ridurre costi, integrare attività complementari) sarà neutrale, mentre una fatta per “trasferire” utili o perdite potrebbe non esserlo. Un esperto legale aiuta a impostare correttamente l’operazione per garantirne la neutralità e documentarne le ragioni extrafiscali.
D4: In caso di verifica fiscale, quali sono i diritti dell’azienda e come può difendersi?
R: Durante una verifica (ispezione della Guardia di Finanza o controllo dell’Agenzia) l’azienda ha diversi diritti tutelati dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000): diritto a essere informata dell’inizio delle operazioni, diritto a svolgere l’attività con il minor intralcio possibile, diritto a chiedere la motivazione delle richieste di documenti, e – al termine – diritto a ottenere copia del processo verbale di constatazione (PVC). È fondamentale collaborare ma anche vigilare sul rispetto dei termini: ad esempio, la verifica in loco non può durare più di 30 giorni lavorativi (salvo proroghe motivate). Una volta ricevuto il PVC, l’azienda può presentare osservazioni difensive entro 60 giorni, e come detto ha diritto a un contraddittorio prima di eventuale accertamento. La difesa inizia già in sede di verifica: è consigliato coinvolgere subito il consulente o avvocato, per gestire al meglio le risposte ai verbalizzanti, evitare ammissioni improprie e preparare le controdeduzioni. Se poi arriva un avviso di accertamento, l’azienda può valutare strumenti deflativi come l’adesione (che sospende i termini per impugnare e avvia un confronto con l’ufficio) oppure presentare direttamente ricorso alla Corte tributaria entro 60 giorni. Durante il processo, l’azienda (assistita da un difensore abilitato) può anche chiedere la sospensione dell’atto se ci sono gravi e fondati motivi (ad esempio importo elevato che metterebbe a rischio l’attività, insieme a vizi evidenti nell’accertamento). In sintesi: l’azienda ha diritto a un confronto leale e a far valere le proprie ragioni, e deve utilizzare ogni fase del procedimento – verifica, contraddittorio, adesione, ricorso – per portare elementi a proprio favore. Un avvocato tributarista competente è il miglior alleato in queste situazioni, perché conosce sia le regole formali (spesso gli atti sono annullabili per vizi procedurali) sia il merito fiscale.
D5: Che cos’è la transazione fiscale e quando conviene proporla?
R: La transazione fiscale è un istituto che permette di ridefinire i debiti tributari di un’azienda in crisi, nell’ambito di una procedura concorsuale (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione o composizione negoziata della crisi). In pratica l’imprenditore propone al Fisco di accettare un pagamento parziale delle imposte dovute, rinunciando a una parte del credito, sulla base del principio che anche l’Erario è un creditore come gli altri e in caso di fallimento potrebbe incassare meno. Conviene proporla quando l’azienda non è in grado di pagare integralmente le cartelle/avvisi e vuole evitare il fallimento ristrutturando il debito. Ad esempio, se ho €1 milione di debiti col Fisco ma, valutati i beni, in liquidazione frutterebbero solo 300mila €, posso proporre di pagare al Fisco 400mila € dilazionati (meglio dei 300 in scenario liquidatorio). Se l’Agenzia accetta, l’accordo viene omologato dal giudice e i restanti €600mila sono stralciati. La transazione fiscale conviene sia all’azienda (che si alleggerisce dei debiti e può proseguire l’attività risanata) sia al Fisco se l’offerta è seria (incassa di più che da un fallimento). È importante preparare una proposta credibile, con relazioni di un esperto indipendente che attestino i valori di realizzo. Oggi la legge consente anche, in caso di mancata adesione del Fisco a una proposta conveniente, di ottenere dal tribunale l’omologazione forzata (cram down), quindi l’azienda ha più tutela. In conclusione, la transazione fiscale conviene quando c’è buona fede e trasparenza nei confronti del Fisco, e la difficoltà finanziaria è comprovata: è uno strumento di composizione negoziata del debito tributario da usare per evitare soluzioni peggiori (come il fallimento o la liquidazione coatta). Va tuttavia seguita con l’assistenza di legali esperti sia in crisi d’impresa sia in diritto tributario, data la sua complessità tecnica.
D6: Un avviso di accertamento dell’Agenzia Entrate può essere impugnato anche per vizio di legittimità (procedurale) o solo nel merito?
R: Si può impugnare per entrambi i motivi. Un avviso di accertamento deve rispettare precise norme di legge sia nella sostanza (la corretta applicazione delle norme tributarie al caso concreto) sia nella forma (motivazione, iter procedimentale, competenza, notificazione, ecc.). L’azienda contribuyente, nel ricorso, può eccepire vizi procedurali/legittimità – ad esempio: mancata attesa dei 60 giorni dopo il PVC per l’emissione dell’atto (violazione del contraddittorio obbligatorio), difetto di firma da parte di funzionario titolato, carenza o contraddittorietà della motivazione (lo Statuto del Contribuente impone che l’atto sia motivato e che contenga il riferimento alle osservazioni difensive se presentate), notifica invalida, ecc. – e contestualmente contestare il merito della pretesa – ad esempio: il rilievo fiscale è infondato perché quel costo è in realtà deducibile, o perché non c’è stata simulazione, ecc. I vizi di legittimità se accolti portano all’annullamento dell’atto indipendentemente dal merito (in alcuni casi l’ufficio potrebbe riemettere un nuovo atto sanando il vizio, se i termini non sono decaduti). I vizi di merito portano invece alla riduzione o annullamento della pretesa perché il giudice riconosce che il contribuente aveva ragione nel merito fiscale. In un contenzioso ben impostato, il difensore solleva tutte le censure possibili: spesso far annullare l’atto per un vizio formale (ad esempio notifica inesistente, o motivazione mancante) è la via più rapida. Bisogna dire che le ultime riforme mirano a ridurre gli errori formali: ad esempio col D.Lgs. 218/2017 è stato chiarito che la mancata indicazione dell’autorità giurisdizionale competente non invalida più l’atto. Ciò non toglie che controllare la legittimità sia doveroso: in caso di dubbi su un accertamento ricevuto, farlo esaminare da un avvocato tributarista è fondamentale, perché magari contiene un vizio che lo rende nullo e l’azienda potrebbe ottenere giustizia già in primo grado su quel punto.
D7: Cosa rischia un amministratore se la società evade le imposte?
R: Sul piano tributario-amministrativo, le sanzioni per omesso versamento o infedele dichiarazione sono a carico della società (ente) e non della persona fisica, quindi l’amministratore in quanto tale non paga di tasca propria le sanzioni tributarie (tranne casi particolari come società di persone o ditte individuali). Tuttavia, sul piano penale l’amministratore può rispondere di reati tributari qualora abbia posto in essere o consentito comportamenti fraudolenti o gravemente omissivi. Ad esempio, se la società presenta dichiarazioni fraudolente (fatture false, operazioni simulate) l’amministratore che firma la dichiarazione o che ha organizzato l’evasione commette reato (punibile con reclusione, a seconda dell’importo). Ci sono soglie di rilevanza: l’omessa dichiarazione è reato se l’imposta evasa supera €50.000; l’omesso versamento IVA è penale oltre €250.000 (soglia elevata da ultimo). Quindi il rischio per l’amministratore è di incorrere in processi penali. Inoltre, in caso di accertamento tributario, l’amministratore potrebbe essere chiamato in solido per le imposte evase se, ad esempio, ha distribuito attivi ai soci in fase di liquidazione lasciando impagato il Fisco (art. 2495 c.c. prevede una responsabilità dei liquidatori e soci fino a concorrenza delle somme ricevute). Vi è infine un profilo reputazionale e di responsabilità verso la società: i soci potrebbero rivalersi sull’amministratore se la sua gestione ha causato sanzioni e danni economici all’ente. In conclusione, l’amministratore dovrebbe agire con prudenza e avvalersi del parere di consulenti fiscali: meglio rinunciare a uno “schema” elusivo o evasivo se comporta rischi di illegalità. Un avvocato tributarista può consigliare ex ante comportamenti leciti per ridurre le imposte senza travalicare i limiti, e in caso di contestazioni può assistere l’amministratore anche sul fronte penale (coordinandosi con un penalista), per cercare soluzioni come il pagamento del dovuto che, in taluni casi, estingue il reato o attenua la pena (si pensi all’omesso versamento di ritenute, dove saldare il debito prima del dibattimento evita la condanna).
Tabelle riepilogative
Di seguito alcune tabelle sintetiche sui temi trattati, utili per fissare i concetti chiave:
Tabella 1 – Principali imposte d’impresa in Italia (società di capitali)
Imposta | Aliquota | Base imponibile | Note |
---|---|---|---|
IRES (Imposta reddito società) | 24% ordinaria | Reddito imponibile d’esercizio (utile civilistico ± variazioni fiscali) | Nuova aliquota 20% IRES “premiale” nel 2025 per utili 2024 reinvestiti con requisiti. |
IRAP (Imposta regionale attività produttive) | 3,9% ordinaria (aliquote diverse per banche, assicurazioni) | Valore della produzione netta (differenza ricavi – costi principali, con esclusioni) | Verso graduale abolizione: delega fiscale prevede assorbimento in IRES, ma per 2024-25 è ancora dovuta. Deduzioni per costo lavoro stabile riducono l’imponibile. |
IVA (Imposta sul valore aggiunto) | 4%, 5%, 10%, 22% (aliquote vigenti) | Valore aggiunto su cessioni di beni e servizi (differenza fra IVA vendite e acquisti) | Imposta neutrale per l’impresa (rivalsa sui clienti); regime Gruppo IVA opzionale consente a più società di agire come unico soggetto IVA. Riforma IVA in corso di studio (riduzione aliquote, semplificazioni). |
Altre imposte (registro, bollo, dazi, etc.) | Varie (fisse o proporzionali) | N/A (dipende dall’atto o operazione) | Esempi: registro 0,5%-3% su finanziamenti soci, 9% su conferimento immobili; dazi su import; imposta su assicurazioni, etc. Spesso connesse ad atti specifici d’impresa. |
Tabella 2 – Regimi fiscali per gruppi societari
Strumento | Descrizione | Benefici fiscali | Condizioni/limiti |
---|---|---|---|
Consolidato fiscale nazionale | Tassazione unitaria del gruppo a livello nazionale (art. 117 TUIR). La consolidante somma algebricamente gli imponibili delle consolidate. | – Compensazione immediata perdite/utili tra società– No tassazione intra-gruppo di dividendi (elisione 95%)– Unico versamento IRES (semplificazione) | Vincolo di controllo >50%; opzione triennale; rispetto regole proprie di ciascuna società (no spostamenti arbitrari di imponibile); responsabilità solidale limitata per IRES di gruppo. |
Consolidato fiscale mondiale | Estensione del consolidato a società estere controllate (art. 130 TUIR). La capogruppo residente include quote di reddito estero. | – Possibile compensare perdite di controllate estere con utili di società italiane (o viceversa)– Pianificazione fiscale transnazionale lecita (portare in Italia risultati esteri) | Opzione quinquennale; obbligo di includere tutte le controllate estere; capogruppo italiana; necessarie garanzie su dati esteri (certificazione bilanci controllate). Poco utilizzato perché implica tassare in Italia utili esteri (crediti imposta limitati). |
Gruppo IVA | Regime IVA di gruppo (art. 70-bis DPR 633/72): consente a più società legate da vincoli finanziari/organizzativi di costituire un unico soggetto passivo IVA. | – Compensazione crediti/debiti IVA tra le aderenti (liquidazione unificata)– Operazioni infragruppo fuori campo IVA (come se fossero un solo soggetto) | Vincolo di controllo almeno 50% tra partecipanti; opzione vincolante per almeno 3 anni; le società perdono autonomia IVA (unica P.IVA di gruppo). |
Direttive UE su dividendi, interessi, royalties | Applicazione direttive madre-figlia e interessi-canoni per flussi intra-gruppo UE. | – Dividendi: esenzione da ritenuta alla fonte se società madre UE ≥10% da ≥1 anno (art. 27-bis DPR 600/73)– Interessi/royalties: esenzione ritenuta su pagamenti intra-gruppo UE (Dir. 2003/49/CE) | Solo per pagamenti tra società di Stati membri; necessario soddisfare requisiti formali (percentuali di partecipazione, tempi). Soggette ad clausole anti-abuso: niente esenzione se costruzioni artificiose per ottenere il beneficio (beneficiario effettivo non UE, etc.). |
Tabella 3 – Alcune recenti sentenze rilevanti (2023-2025) in materia di fiscalità d’impresa e di gruppo
Pronuncia | Oggetto | Principio affermato |
---|---|---|
Cass. sez. trib. n. 8751/2024 (3 aprile 2024) | Consolidato fiscale – Perdite pregresse | Le perdite anteriori al regime di consolidato non possono essere trasferite al consolidato; restano utilizzabili solo dalla società che le ha maturate, compensando il proprio reddito prima del trasferimento. Il reddito di gruppo va determinato al netto di tali perdite rimaste individuali. |
Cass. sez. trib. n. 17433/2024 (25 giugno 2024) | Consolidato – Costi infragruppo | È illecito spostare costi o ricavi tra società dello stesso consolidato in violazione delle regole di competenza del TUIR (art.109). Non conta che la somma algebrica dei redditi di gruppo resti invariata: ogni società deve determinare correttamente il proprio reddito. |
Cass. sez. trib. n. 10215/2024 (16 aprile 2024) | Abuso del diritto | Nel valutare operazioni infragruppo potenzialmente elusive, il giudice deve verificare la presenza di una effettiva ragione economica. Anche finalità organizzative e gestionali possono costituire valida ragione, purché l’operazione non sia palesemente incoerente con esse. (Conferma approccio dell’art. 10-bis L.212/2000). |
Cass. sez. trib. n. 36198/2023 (28 dicembre 2023) | Consolidato – Responsabilità imposte | La responsabilità solidale delle società partecipanti al consolidato è limitata all’IRES dovuta sul reddito di gruppo e ai relativi accessori. Non vi è responsabilità “illimitata” a carico di tutte le società per qualsivoglia debito tributario: ciascuna risponde nei limiti di quanto di competenza. |
Cass. sez. trib. n. 19843/2024 (18 luglio 2024) | Residenza fiscale persone (esterovestizione) | Confermata l’imposizione in Italia per un contribuente (o società) formalmente emigrato a Monaco, ma risultato privo di reali legami economici lì e ancora con interessi vitali in Italia. Ribadito che la sede dell’amministrazione effettiva prevale sull’iscrizione formale estera. |
Corte Giust. UE C-XXX/2025 (ipotetica, se esistente) | (es. Dividend washing) | [Esempio di sentenza UE su fiscalità di gruppo – da aggiornare con caso reale se disponibile] |
Nota: le sentenze della Corte di Cassazione in materia tributaria costituiscono importanti orientamenti, sebbene non creino un vincolo assoluto (non esiste “stare decisis” come nei sistemi di common law). Tuttavia, è prassi dell’Amministrazione adeguarsi alle decisioni di principio della Corte, specialmente se a Sezioni Unite o ripetute nel tempo. Ad esempio, dopo le sentenze 2024 sul consolidato, ci si attende maggiore attenzione dei verificatori a compensazioni infragruppo di poste contabili.
Conclusioni
La fiscalità d’impresa e dei gruppi rappresenta un ambito estremamente articolato, dove normativa interna, principi contabili, diritto sovranazionale e prassi amministrativa si intersecano. Un avvocato esperto in questa materia è un professionista che ha maturato competenze sia nel diritto tributario sostanziale (imposte sui redditi, IVA, tributi locali, incentivi) sia nel diritto processuale tributario, senza trascurare la visione d’insieme sull’economia aziendale. Il suo compito fondamentale è tutelare il punto di vista del contribuente, cioè dell’impresa o gruppo, nei confronti del Fisco: ciò significa ottimizzare il carico fiscale rispettando la legge, prevenire rischi con soluzioni legali (ad esempio tramite interpelli o accordi preventivi), e all’occorrenza difendere l’azienda in sede di controllo o giudizio.
Le evoluzioni degli ultimi anni – dalla riforma fiscale in corso, con nuove opportunità (IRES ridotta, semplificazioni) ma anche nuovi obblighi (si pensi alla global minimum tax per i big), fino alla riforma della giustizia tributaria che promette processi più equi – rendono ancora più prezioso il supporto di un consulente aggiornato. Per un imprenditore o un amministratore, poter contare su un avvocato tributarista di fiducia significa affrontare con maggiore serenità scelte strategiche come un’acquisizione, una riorganizzazione societaria o un investimento all’estero, consapevole dei riflessi fiscali. Significa anche avere una guida nel mare magnum delle norme, capace di tradurre il “fiscalese” in indicazioni concrete e di negoziare col Fisco da una posizione di competenza (ad esempio, ottenendo un esito favorevole in un’adesione o transazione fiscale grazie a una trattativa ben condotta).
Dal lato opposto, l’Amministrazione finanziaria italiana – pur severa nel contrastare l’evasione – ha mostrato segnali di apertura al dialogo e alla compliance cooperativa, con strumenti come l’adempimento collaborativo e la spinta alla tax compliance. In questo scenario, l’avvocato esperto fiscalità d’impresa non è più visto solo come il “difensore in tribunale”, ma anche come un consulente strategico per costruire un rapporto solido e trasparente con il Fisco. Ciò non toglie che, all’occorrenza, saprà indossare la toga e far valere i diritti del contribuente in ogni sede, forte anche del supporto delle fonti normative e giurisprudenziali che, come abbiamo visto, offrono importanti appigli per garantire equità (si pensi al principio del contraddittorio, alle garanzie dello Statuto del Contribuente, alle sentenze che sanzionano gli abusi ma proteggono i comportamenti corretti).
In conclusione, la figura dell’Avvocato Esperto in Fiscalità di impresa e dei gruppi è oggi centrale nel panorama legale d’affari: egli agisce da traghettatore tra l’impresa e il complesso sistema tributario, aiutando la prima a navigare senza affondare sotto il peso delle tasse, né incagliarsi nelle secche delle sanzioni. Con competenza tecnica, visione interdisciplinare e aggiornamento costante, questo professionista contribuisce in modo decisivo alla salvaguardia patrimoniale e al successo duraturo delle realtà imprenditoriali, grandi e piccole, nel rispetto delle regole ma con la capacità di farle valere a tutela di chi produce valore nell’economia.
Fonti normative, prassi e giurisprudenza di riferimento
Normativa italiana (leggi e decreti):
- DPR 22 dicembre 1986 n. 917 – Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR): artt. 81-96 (reddito d’impresa, norme generali), artt. 115-116 (trasparenza fiscale società di persone), artt. 117-129 (consolidato fiscale nazionale), artt. 130-142 (consolidato mondiale), art. 167 (Controlled Foreign Companies), art. 173-176 (fusioni, scissioni, conferimenti neutrali), art. 178 (branch exemption), art. 180 (scambio di partecipazioni), art. 190 (direttiva madre-figlia), art. 192 (direttiva interessi-royalties), art. 10-bis L. 212/2000 (abuso del diritto).
- D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241: disciplina compensazioni tributarie (rilevante per rottamazioni e compensazione crediti in crisi).
- Legge 9 agosto 2023 n. 111 – Delega al Governo per la riforma fiscale. Contiene principi per revisione IRES, IRPEF, IRAP, IVA, sanzioni e contenzioso.
- D.Lgs. 27 dicembre 2023 n. 209 – Decreto “Fiscalità internazionale”: modifica disciplina residenza fiscale, CFC, impatriati, introduce Global Minimum Tax (recepisce Dir. UE 2022/2523).
- D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 216 – Decreto IRPEF: riforma aliquote IRPEF 2024 (3 scaglioni) e abolisce ACE dal 2024, introduce super-deduzione costo lavoro 2024.
- Legge 30 dicembre 2024 n. 207 – Legge di Bilancio 2025: commi 136-143 introducono “IRES premiale” 20% per utili 2024 reinvestiti; modifiche minori su spese di rappresentanza deducibili.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219: modifica Statuto contribuente (L. 212/2000) – potenzia obbligo motivazione atti, tutela dell’affidamento e istituisce il Garante nazionale del contribuente.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 220: riforma del contenzioso tributario – modifica D.Lgs. 546/1992 (processo tributario), con estensione processo telematico e rafforzamento dell’autotutela amministrativa.
- D.Lgs. 12 febbraio 2024 n. 13: norme sul procedimento di accertamento – introduce contraddittorio obbligatorio 60 giorni generalizzato e nuovo concordato preventivo biennale (CPB).
- D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87: riforma sanzioni tributarie – riduzione sanzioni omesso versamento, indebite compensazioni ecc..
- D.Lgs. 29 luglio 2024 n. 110: riordino riscossione – migliora rateazioni, compensazione crediti commerciali/ruoli, responsabilità Agente Riscossione.
- D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136: terzo correttivo Codice crisi – introduce cram down fiscale, estende transazione fiscale a composizione negoziata.
- Decreto-Legge 17 giugno 2025 n. 84 (“DL fiscale 2025”): all’art. 5 modifica disciplina CFC prima dell’entrata in vigore, rendendo opzionale e non più sostitutiva l’imposta 15% sulle controllate estere; anticipa al 2026 entrata in vigore agevolazioni Terzo Settore. (In corso di conversione in legge).
- D.Lgs. 8 ottobre 2021 n. 163 (recepimento Dir. 2018/822, DAC6): disciplina obbligo di comunicazione schemi transfrontalieri (potenzialmente rilevante per pianificazioni aggressive di gruppo).
Prassi ufficiale (Agenzia Entrate, MEF):
- Circolare AE n. 2/E del 6 febbraio 2024: istruzioni attuative nuove aliquote IRPEF 2024 e coordinamento addizionali regionali/comunali.
- Provvedimento AE 30 aprile 2024 n. 213637: modalità esercizio opzione regime CFC sostitutivo 15% (poi modificato da DL 84/2025).
- Circolare AE n. 5/E del 16 maggio 2025: primi chiarimenti su IRES “premiale” (art. 16-ter TUIR) – definizioni investimenti 4.0, calcolo incremento occupazione, decadenza dall’agevolazione.
- Circolare AE n. 18/E del 17 settembre 2024: sul Concordato Preventivo Biennale – requisiti di accesso per contribuenti forfettari e ISA, modalità di versamento imposta sostitutiva.
- Risoluzione AE n. 50/E del 17 ottobre 2024: istituzione codice tributo per imposta sostitutiva concordato biennale (forfettari).
- Atto di indirizzo MEF 2023 sull’abuso del diritto: (richiamato in Riv. dir. trib. 2023) ribadisce confini applicativi art. 10-bis L.212/2000: rispetto scelte negoziali lecite dei contribuenti e contrasto alle sole operazioni prive di sostanza economica.
- Linee guida Agenzia Entrate su transazione fiscale (cit. FiscoOggi 2023): raccomandano di accogliere le proposte di transazione nei piani di risanamento se il loro valore è superiore a quello ottenibile da liquidazione, e ricordano che il diniego ingiustificato può essere sindacato dal giudice ordinario.
Giurisprudenza (sentenze e ordinanze):
- Corte di Cassazione, Sez. Trib., ord. n. 8751 del 3 aprile 2024 – Caso consolidato nazionale (perdite pregresse): principi sulle perdite anteriori al consolidato utilizzabili solo individualmente (non trasferibili al gruppo).
- Corte di Cassazione, Sez. Trib., ord. n. 17433 del 25 giugno 2024 – Caso consolidato (costi infragruppo): divieto di compensazione intersocietaria di componenti economiche in violazione art. 109 TUIR; tassatività regole reddito d’impresa per ciascuna società.
- Corte di Cassazione, Sez. Trib., sent. n. 10215 del 16 aprile 2024 – Abuso del diritto e ragioni economiche: l’assenza di valide ragioni economiche rende abusiva un’operazione, ma tali ragioni possono consistere anche in finalità organizzative/gestionali effettive. Operazioni coerenti con strutture aziendali e miglioramenti gestionali non sono elusive pur se comportano risparmio d’imposta.
- Corte di Cassazione, Sez. Trib., ord. n. 36198 del 28 dicembre 2023 – Responsabilità solidale in consolidato: conferma che la responsabilità solidale ex art. 127 TUIR riguarda l’imposta di gruppo e non ogni debito tributario delle consolidate, delimitando l’escussione pro-quota.
- Corte di Cassazione, Sez. Trib., ord. n. 32432 del 13 dicembre 2024 – Diritti del contribuente su atti istruttori: ha precisato i confini dell’accesso agli atti del procedimento tributario, rafforzando la trasparenza verso il contribuente (diritto a conoscere elementi raccolti a suo carico).
- Corte di Cassazione, Sez. Trib., ord. n. 19843 del 18 luglio 2024 – Residenza fiscale persone fisiche: caso di cittadino trasferito a Monaco; ribaditi criteri centro interessi vitali e considerata irrilevante l’iscrizione AIRE se contraddetta dai fatti (familiare e patrimoniali in Italia).
- Corte Costituzionale sent. n. 190/2023 – Ha dichiarato illegittimo l’art. 3-bis DL 146/2021 nella parte in cui non consentiva al contribuente di impugnare l’estratto di ruolo per far valere vizi notificatori di cartelle: pronuncia a tutela del diritto di difesa del contribuente anche contro atti “derivati”.
- Corte Giustizia UE causa C-342/20 (Lexel AB) – sebbene relativa alla Svezia, principio utile in Italia su interessi infragruppo: una limitazione alla deducibilità di interessi passivi verso consociate estere può costituire restrizione alla libertà di stabilimento se non giustificata da specifica prevenzione abusi (il che ha riflessi sulla nostra disciplina interessi se applicata solo a esteri).
- (Altre eventuali sentenze di merito rilevanti possono essere citate se utili, es. Comm. Trib. Reg. Lombardia 2025 su transfer pricing, etc.).
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Conclusione
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