Accertamento Sulla Pensione Estera: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per una pensione estera non dichiarata? Ti contestano redditi da fonte estera e ti chiedi se sono realmente imponibili in Italia e come puoi difenderti?

Molti pensionati italiani residenti o rientrati dall’estero vengono raggiunti da controlli fiscali per redditi da pensione non inseriti nella dichiarazione dei redditi. Ma non sempre l’imposizione è corretta: esistono convenzioni internazionali, esenzioni, e criteri precisi per determinare la residenza fiscale e l’imponibilità.

Quando la pensione estera è tassabile in Italia?
– Se sei considerato fiscalmente residente in Italia, anche se percepisci la pensione all’estero
– Se la convenzione contro le doppie imposizioni prevede la tassazione nel Paese di residenza
– Se ricevi pensioni private o da enti previdenziali non pubblici, che sono normalmente imponibili in Italia
– Se non hai dichiarato la pensione nel quadro RW o nel quadro Redditi

Quando non è tassabile in Italia?
– Se percepisci pensione pubblica (es. da ex dipendente statale) e sei residente all’estero in un Paese convenzionato
– Se la convenzione attribuisce il diritto di imposizione esclusivamente allo Stato estero
– Se sei residente fiscale estero e non hai altri redditi prodotti in Italia
– Se la pensione è già stata tassata alla fonte e l’Italia non ha titolo a ripetere l’imposta

Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate?
– Omessa dichiarazione della pensione estera
– Omessa compilazione del quadro RW per capitali all’estero
– Infedele dichiarazione dei redditi complessivi
– Sproporzione tra redditi dichiarati e spese sostenute in Italia

Come difendersi da un accertamento sulla pensione estera?
– Verifica la tua residenza fiscale effettiva nei periodi contestati
– Analizza la convenzione internazionale tra Italia e il Paese estero da cui proviene la pensione
– Dimostra, con documenti ufficiali, che la pensione è già tassata all’estero o esente
– Contesta formalmente l’accertamento, evidenziando eventuali vizi procedurali o di motivazione
– Se necessario, presenta memorie difensive o ricorso tributario
– Valuta il ravvedimento operoso, se la pensione andava dichiarata ma non lo è stata

Cosa puoi ottenere con una corretta difesa?
– L’annullamento dell’accertamento, se la pensione non è imponibile in Italia
– Il ricalcolo dell’imposta dovuta, con applicazione di eventuali crediti per imposte pagate all’estero
– La riduzione o l’annullamento delle sanzioni
– La tutela della tua posizione fiscale futura, con inquadramento corretto

In tema di pensioni estere, ogni errore di interpretazione può costare caro. Ma una buona difesa parte dalla conoscenza precisa della normativa e delle convenzioni internazionali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e fiscalità internazionale ti spiega quando la pensione estera è tassabile, quando puoi difenderti e come rispondere a un avviso di accertamento.

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Introduzione

Ricevere una pensione dall’estero ed essere residenti fiscali in Italia comporta obblighi tributari complessi e un potenziale rischio di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. In un’epoca di crescente scambio di informazioni finanziarie internazionali, omettere o dichiarare in modo errato una pensione estera può facilmente far scattare verifiche fiscali. È dunque fondamentale comprendere come viene tassata una pensione di fonte estera in Italia, quali sono gli obblighi di monitoraggio fiscale e quali strumenti ha il contribuente (in veste di debitore verso il Fisco) per difendersi in caso di accertamento.

In questa guida – aggiornata a luglio 2025 con riferimenti normativi e giurisprudenziali recenti – esamineremo in dettaglio il quadro normativo italiano sulle pensioni estere e la doppia imposizione, le modalità con cui il Fisco procede agli accertamenti, le sanzioni (amministrative e penali) previste e le possibili strategie difensive dal punto di vista del contribuente. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici di calcolo, una sezione di domande e risposte frequenti, e i riferimenti alle fonti ufficiali (normative e pronunce) più autorevoli in materia. L’obiettivo è fornire uno strumento di consultazione avanzato – dal taglio giuridico ma divulgativo – utile sia ai professionisti (avvocati, commercialisti) sia ai privati cittadini e imprenditori che vogliono orientarsi su questo tema complesso.

Quadro Normativo: Residenza Fiscale e Tassazione delle Pensioni Estere

Per comprendere la materia è necessario partire dai principi generali del sistema tributario italiano in tema di redditi prodotti all’estero da soggetti residenti in Italia. L’ordinamento italiano adotta infatti il principio del “worldwide taxation” (tassazione mondiale del reddito): i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti a dichiarare tutti i propri redditi, ovunque prodotti nel mondo. Questo principio è sancito dall’art. 3, comma 1, del TUIR (D.P.R. 917/1986), secondo cui l’imposta sul reddito delle persone fisiche si applica sul reddito complessivo del contribuente residente, formato da tutti i redditi posseduti, ovunque prodotti. Ne consegue che le pensioni – ancorché di provenienza estera – sono soggette a tassazione in Italia quando percepite da soggetti ivi residenti.

In base all’art. 49, comma 2, lett. a) del TUIR, inoltre, “costituiscono redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati”. Ciò significa che le somme percepite a titolo di pensione vengono assimilate ai redditi da lavoro dipendente ai fini fiscali italiani e come tali concorrono alla formazione del reddito imponibile. Non rileva la denominazione estera o la natura contributiva della pensione: anche prestazioni pensionistiche estere derivanti da contribuzioni volontarie o da fondi previdenziali esteri rientrano in questa categoria e vanno normalmente tassate per intero, salvo diversa previsione. Una conferma autorevole di questo approccio si trova in una risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate, ove è ribadito che una pensione estera percepita da un residente italiano concorre integralmente al reddito IRPEF e non può essere trattata come esente se non ricadendo in specifiche eccezioni previste dalla normativa.

È importante sottolineare che ai fini fiscali conta la residenza fiscale del contribuente. Sono considerati residenti in Italia, ai sensi dell’art. 2 del TUIR, coloro che per la maggior parte dell’anno solare (oltre 183 giorni) sono iscritti nelle anagrafi della popolazione residente o hanno in Italia il domicilio o la dimora abituale. Pertanto un cittadino italiano (o straniero) che vive stabilmente in Italia e qui ha il centro dei propri interessi deve dichiarare nel nostro Paese anche le pensioni percepite da enti esteri. Al contrario, chi è residente fiscale all’estero non è soggetto a tassazione in Italia sui redditi esteri (ma potrebbe esserlo sul suo eventuale reddito italiano). La corretta determinazione della residenza fiscale è spesso cruciale nelle controversie su pensioni estere: ad esempio, la semplice iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) è un indizio importante ma non sempre determinante per escludere la residenza fiscale in Italia – contano anche gli elementi fattuali come la presenza di familiari, proprietà, interessi economici in Italia. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’iscrizione all’AIRE va considerata una presunzione relativa e non assoluta: in presenza di altri elementi che indicano il mantenimento del centro degli interessi in Italia, il soggetto può essere ritenuto comunque residente ai fini fiscali italiani. D’altra parte, il contribuente che rivendica la residenza estera per non essere tassato in Italia deve provare con rigore tale condizione, ad esempio esibendo il certificato di residenza fiscale rilasciato dall’autorità estera competente. A tal proposito, una recente pronuncia di legittimità (Cass. n. 30779/2023) ha affermato che il certificato di residenza fiscale estero è sufficiente a dimostrare l’assoggettamento del contribuente alla tassazione locale, senza bisogno di provare che il reddito (pensione) sia stato effettivamente tassato all’estero. In altre parole, è sufficiente attestare di essere fiscalmente residenti all’estero (cioè “liable to tax” in quel paese) perché scattino i benefici della Convenzione contro le doppie imposizioni, ivi inclusa la detassazione in Italia. Questo principio è di particolare rilievo, ad esempio, per i pensionati italiani trasferiti all’estero che richiedono il rimborso delle ritenute IRPEF subite in Italia: non occorre provare la doppia tassazione effettiva, ma solo la propria residenza estera secondo la Convenzione applicabile.

Obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW)

Oltre all’obbligo di dichiarazione dei redditi esteri ai fini IRPEF, i contribuenti residenti in Italia sono tenuti anche al cosiddetto monitoraggio fiscale delle attività finanziarie detenute all’estero. Tale obbligo, introdotto dal D.L. 167/1990 (convertito in L. 227/1990) e successive modifiche, si sostanzia nella compilazione del Quadro RW della dichiarazione dei redditi. In Quadro RW vanno indicate le consistenze di investimenti e attività finanziarie detenute all’estero dal soggetto residente, inclusi conti correnti, depositi bancari, partecipazioni estere, immobili esteri, nonché le attività da cui possono derivare redditi esteri imponibili in Italia. Anche la detenzione di capitali provenienti da una pensione estera può far scattare l’obbligo di RW, ad esempio se il pensionato riceve i propri ratei pensionistici su un conto estero o li investe all’estero. In termini pratici: se la pensione viene accreditata su un conto corrente estero, il contribuente deve indicare in RW il conto (se il valore massimo o il saldo supera le soglie di legge, es. 15.000 € nel corso dell’anno) e gli eventuali importi a fine anno. Va precisato che il reddito pensionistico in sé non si indica nel Quadro RW (che serve a monitorare patrimoni e investimenti), bensì nel quadro Redditi (solitamente quadro C o RC del Modello Redditi PF o 730). Tuttavia, la disponibilità all’estero dei relativi importi può configurare un’attività finanziaria estera (conto, deposito, ecc.) da riportare in RW per fini di monitoraggio.

Ad esempio, se un pensionato residente percepisce una pensione su un conto svizzero o di San Marino e lascia sul conto somme consistenti, dovrà compilare il Quadro RW per indicare tale attività estera. Esistono esenzioni solo per i conti correnti esteri con giacenza media e saldo finale inferiori a 5.000 €, limitatamente all’obbligo di monitoraggio (resta però sempre obbligatoria la dichiarazione dei redditi prodotti all’estero, anche se esenti). In sintesi, tutti i redditi e le attività finanziarie estere di un residente rientrano nel radar del Fisco italiano ai fini dichiarativi: la mancata indicazione in dichiarazione, anche se in buona fede o se il reddito estero è di modesta entità, costituisce violazione. La normativa considera l’omissione degli obblighi di monitoraggio una violazione sostanziale, punita con sanzioni dedicate, a prescindere dall’effettivo danno erariale.

Le Convenzioni contro le doppie imposizioni e il trattamento delle pensioni estere

Il principio della tassazione mondiale è mitigato, per evitare fenomeni di doppia imposizione internazionale, dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con numerosi Stati esteri. Tali Convenzioni (basate in gran parte sul Modello OCSE) stabiliscono criteri per ripartire la potestà impositiva tra lo Stato di residenza del contribuente e lo Stato della fonte del reddito. In particolare, per le pensioni si fa solitamente riferimento a due articoli distinti del Modello OCSE: l’art. 18 per le pensioni di lavoro privato e l’art. 19 per le pensioni (e retribuzioni) di pubblici impieghi.

In termini generali, la regola convenzionale più diffusa è la seguente:

  • Pensioni private (derivanti da lavoro nel settore privato o da enti previdenziali privati): sono tassabili soltanto nello Stato di residenza del beneficiario. Ciò significa che se un soggetto è residente in Italia, l’intera sua pensione privata di fonte estera è imponibile solo in Italia (lo Stato estero che eroga la pensione, in base alla Convenzione, rinuncia a tassarla). Ad esempio, l’Art. 18 della Convenzione Italia-Turchia stabilisce che le pensioni pagate a un residente di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato. Analogamente, l’art. 18 della Convenzione Italia-Regno Unito prevede che le pensioni (diverse da quelle pubbliche) pagate a un residente di uno dei due Paesi sono tassate solo in quel Paese.
  • Pensioni pubbliche (erogate da uno Stato o ente pubblico a propri ex dipendenti per servizi resi come pubblici impiegati): sono di regola tassabili soltanto nello Stato da cui provengono (Stato erogatore). Vi è però una tipica eccezione: se il beneficiario della pensione pubblica risiede nell’altro Stato ed ha la cittadinanza di tale Stato (senza essere cittadino anche dello Stato erogatore), allora la pensione viene tassata solo nello Stato di residenza del beneficiario. Questo meccanismo serve a tutelare i soggetti che, avendo cambiato Paese e nazionalità, subirebbero altrimenti la tassazione alla fonte; in tali casi la Convenzione sposta la tassazione esclusiva sul nuovo Stato di residenza. Ad esempio, nelle Convenzioni dell’Italia con Germania e Belgio: la pensione pubblica tedesca o belga di un residente in Italia non viene tassata in Italia se il residente possiede anche la cittadinanza tedesca/belga (in tal caso la tassazione resta solo in Germania/Belgio); viceversa, se il residente in Italia è cittadino solo italiano, la pensione pubblica estera viene tassata in Italia. Nella Convenzione con gli Stati Uniti o il Regno Unito troviamo una formulazione analoga: le pensioni pubbliche restano allo Stato fonte salvo il caso in cui il percettore sia cittadino dell’altro Stato (es. un italiano che riceve pensione statale USA sarà tassato in Italia solo se non ha anche cittadinanza USA; se invece ha doppia cittadinanza o solo cittadinanza USA, allora la tassazione spetta agli Stati Uniti).

Da quanto sopra emerge che, nella maggior parte dei casi, un residente fiscale italiano si troverà a dover pagare l’IRPEF in Italia sulle proprie pensioni estere. Le uniche eccezioni sono rappresentate da alcune pensioni pubbliche estere (quando il percettore non è cittadino italiano) e da particolari trattamenti pensionistici espressamente esclusi dal prelievo in Italia per accordo tra gli Stati. Ad esempio, la Convenzione con il Canada prevede una soglia di esenzione: pensioni (pubbliche o private) fino a 10.000 dollari canadesi annui (circa 6.200 €) sono imponibili solo in Italia (se residenti in Italia); oltre tale importo, la tassazione diventa concorrente in entrambi gli Stati, con diritto al credito d’imposta in Italia per l’imposta pagata in Canada. Un altro esempio è la Convenzione con la Svizzera, che disciplina separatamente le rendite AVS (Assicurazione Vecchiaia e Superstiti, l’equivalente svizzero della pensione pubblica obbligatoria): tali rendite AVS, se riscosse da un residente in Italia, non vanno dichiarate in Italia in quanto la Convenzione prevede che siano assoggettate a ritenuta alla fonte in Svizzera a titolo d’imposta e non ulteriormente tassabili. Sempre la Convenzione Italia-Svizzera stabilisce che le pensioni pubbliche svizzere sono tassate solo in Svizzera se il beneficiario ha nazionalità svizzera, altrimenti (se il beneficiario non è svizzero) sono tassate in Italia.

In generale, le pensioni estere percepite da un residente italiano devono comunque essere indicate nella dichiarazione dei redditi italiana, anche quando – in virtù della Convenzione – non risultino imponibili in Italia. Ad esempio, se una pensione estera è esclusivamente tassabile all’estero per effetto di una Convenzione, il contribuente italiano farà bene a darne evidenza nella propria dichiarazione (ad esempio inserendola nelle annotazioni del quadro Redditi come “reddito esente da imposizione in Italia ai sensi della Convenzione Italia-XYZ, articolo…”) al fine di evitare che l’omessa indicazione venga interpretata dal Fisco come una dimenticanza. In ogni caso, come regola generale, tutte le pensioni di fonte estera vanno dichiarate in Italia, salvo le poche eccezioni: lo conferma il fatto che anche le istruzioni ufficiali dell’Agenzia delle Entrate specificano per vari Paesi la modalità di tassazione (solo Italia, solo estero, credito d’imposta, ecc.). Ad esempio, nelle istruzioni al Modello Redditi PF viene chiarito, per le pensioni provenienti dal Regno Unito, che “le pensioni pubbliche sono tassate solo in Italia se il contribuente ha nazionalità italiana; le pensioni private sono tassate solo in Italia”. Similmente, per altri Paesi convenzionati vengono fornite indicazioni analoghe (come quelle riportate nella tabella seguente, basate sulle Convenzioni vigenti):

Tassazione delle pensioni estere in alcuni Paesi (soggetto residente in Italia)

PaesePensioni private (es. previdenza generale, fondi privati)Pensioni pubbliche (ex dipendenti statali)
Regno Unito, Spagna, USA, Argentina, VenezuelaTassabili solo in Italia.Tassabili solo in Italia se il beneficiario ha nazionalità italiana (se ha solo nazionalità dello Stato estero, vale la tassazione solo in quello Stato estero).
Germania, BelgioTassabili solo in Italia.Tassabili solo in Italia se il beneficiario ha solo nazionalità italiana; se possiede anche la nazionalità tedesca/belga, tassazione solo in quello Stato estero.
AustraliaTassabili solo in Italia.Tassabili solo in Italia (sia pensioni pubbliche che private).
CanadaTassabili solo in Italia (se importo annuo ≤ 10.000 C$ ≈ 6.200 €). Oltre tale soglia: tassabili in entrambi gli Stati, con credito d’imposta in Italia per l’imposta pagata in Canada.Stessa regola delle pensioni private (soglia di esenzione di 10.000 C$; oltre, tassazione concorrente Italia-Canada con credito d’imposta).
SvizzeraTassabili solo in Italia (tranne rendite AVS, già tassate alla fonte in Svizzera e esenti in Italia).Tassate solo in Svizzera se il beneficiario ha nazionalità svizzera; altrimenti tassate in Italia. Le rendite AVS (vecchiaia e superstiti) non vanno dichiarate in Italia in quanto già tassate alla fonte in Svizzera.

(Fonte: Convenzioni contro le doppie imposizioni; istruzioni Mod. Redditi PF; CAF ACLI)

Come si evince, la maggior parte delle pensioni “private” estere (ossia legate a impieghi nel settore non pubblico) finisce per essere imponibile soltanto in Italia, mentre per le pensioni pubbliche estere la tassazione può competere allo Stato estero erogante in presenza di determinati requisiti (in primis, l’assenza della cittadinanza italiana in capo al beneficiario). Nelle ipotesi di doppia residenza fiscale o di dubbi su quale Stato abbia il potere impositivo, si applicano le norme convenzionali di tie-breaker (criteri per individuare un’unica residenza ai fini della Convenzione), ma rientra fuori dallo scopo di questa trattazione approfondire tali regole. Basti ricordare che una sola residenza fiscale deve prevalere per evitare la doppia tassazione; se due Stati si considerano entrambi “Stato di residenza”, le Convenzioni prevedono criteri come la residenza anagrafica, il centro degli interessi vitali, la cittadinanza, ecc., per determinare la prevalenza. Ad esempio, un pensionato estero che si trasferisce in Italia deve formalizzare la sua residenza (iscrizione all’anagrafe italiana) affinché, in base alla Convenzione, l’Italia possa divenire Stato di residenza ai fini fiscali e tassare esclusivamente la pensione, mentre lo Stato estero cesserà la tassazione in base all’accordo.

Credito per le imposte estere e divieto di doppia imposizione

Quando una pensione estera risulta tassabile anche nello Stato estero (perché non vi è Convenzione, oppure la Convenzione prevede tassazione concorrente), il contribuente residente in Italia ha diritto a un credito per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo, al fine di evitare la doppia imposizione economica. Questo meccanismo è disciplinato dall’art. 165 del TUIR. In pratica, l’IRPEF italiana calcolata sul reddito estero viene ridotta (fino a concorrenza) dell’imposta definitiva pagata all’estero sul medesimo reddito. Ad esempio, se nel 2024 un pensionato residente dichiara una pensione estera di 10.000 € e su di essa ha già versato 1.000 € di imposte nello Stato estero, l’Italia applicherà l’IRPEF sul reddito ma riconoscerà un credito fino a 1.000 € (non rimborsabile se eccedente) per evitare che il totale pagato superi quello dovuto secondo le aliquote italiane.

Attenzione: il diritto al credito d’imposta per le tasse estere è subordinato alla corretta indicazione del reddito estero in dichiarazione. La normativa (art. 165, co. 8 TUIR) prevede che se il reddito estero non viene dichiarato in Italia, di norma si perde il diritto al credito per le imposte estere eventualmente pagate. Ciò è stato confermato anche dalla Cassazione, la quale ha stabilito che in caso di omessa dichiarazione di un reddito estero, il contribuente non può poi invocare il credito per le imposte pagate all’estero come “sanatoria” ex post – a meno che non abbia aderito a procedure di regolarizzazione come la voluntary disclosure. In pratica, chi omette il reddito estero rischia di dover pagare in Italia l’intera imposta senza alcuno sconto per quanto versato all’estero, con un evidente aggravio. Solo procedimenti di collaborazione volontaria (come i programmi di voluntary disclosure attivati in passato) consentivano di recuperare il credito d’imposta o chiedere il rimborso delle tasse estere, in deroga al principio sanzionatorio ordinario.

Questo aspetto è cruciale dal punto di vista difensivo: se un pensionato ha subito ritenute o tassazione alla fonte sul proprio trattamento estero e non lo ha dichiarato in Italia, in sede di accertamento l’Ufficio potrebbe pretendere l’IRPEF piena sull’intero importo, senza riconoscere il credito, proprio in virtù del combinato disposto di legge e giurisprudenza. Il contribuente, a quel punto, si troverebbe paradossalmente a subire doppia imposizione (tassazione sia estera che italiana) come conseguenza della mancata dichiarazione. È quindi sempre preferibile dichiarare il reddito estero e indicare l’eventuale imposta pagata fuori, per poter usufruire del credito d’imposta ordinario. Se ciò non è avvenuto, una possibile strategia – prima che l’accertamento sia notificato – è presentare una dichiarazione integrativa e avvalersi del ravvedimento operoso, inserendo il reddito estero e calcolando l’IRPEF con accredito dell’imposta estera: così facendo si può cercare di recuperare il credito ed evitare la doppia imposizione (oltre a ridurre le sanzioni, come vedremo). In mancanza, qualora l’Agenzia emetta un avviso di accertamento omettendo il credito, si potrà sempre contestare in giudizio la spettanza del credito d’imposta ex art. 165 TUIR; tuttavia, la giurisprudenza recente non è favorevole su questo punto, se l’omissione non è stata sanata spontaneamente.

Va segnalato che alcune pronunce hanno affrontato casi di “doppia esenzione” o “doppia non imposizione” derivanti dalle Convenzioni. Ad esempio, durante gli anni scorsi ha fatto discutere il caso di pensionati italiani trasferiti in Portogallo: la Convenzione Italia-Portogallo prevedeva la tassazione esclusiva nello Stato di residenza (Portogallo) delle pensioni private italiane, ma il Portogallo – tramite il regime dei residenti non abituali – applicava un’esenzione totale su tali pensioni. Ne derivava che né l’Italia né il Portogallo le tassavano (double non-taxation). L’Agenzia delle Entrate aveva inizialmente resistito a rimborsare le ritenute, adducendo che il contribuente non subiva in concreto tassazione in Portogallo. Tuttavia, la Cassazione ha respinto questa tesi, confermando che vale l’astratta potestà impositiva secondo Convenzione: se il Trattato attribuisce la competenza esclusiva allo Stato estero, l’Italia deve esentare/rimborsare a prescindere dal fatto che lo Stato estero eserciti o meno il suo potere impositivo. In altri termini, la doppia esenzione di fatto non rileva sul piano giuridico convenzionale: è sufficiente che il reddito sia imponibile astrattamente solo nell’altro Stato perché l’Italia non possa tassarlo. Questo principio – affermato per il caso dei pensionati in Portogallo (v. Cass. n. 3343/2023, Cass. n. 21684/2023, Cass. n. 10308/2024) – completa il quadro: il contribuente ha diritto a non essere tassato due volte (o ad essere tassato solo all’estero) quando la Convenzione lo prevede, e specularmente può persino verificarsi che non paghi nulla se lo Stato estero rinuncia a imporre (situazione eccezionale ma lecita in base agli accordi vigenti).

Regimi fiscali agevolati per pensionati esteri (cenni)

Merita un breve cenno, infine, l’esistenza in Italia di un regime fiscale agevolato introdotto in anni recenti per attrarre pensionati esteri nel nostro Paese. Si tratta del regime opzionale previsto dall’art. 24-ter del TUIR (introdotto dalla Legge di Bilancio 2019) destinato alle persone fisiche titolari di pensioni erogate da soggetti esteri che trasferiscono la propria residenza in Italia. Questo regime consente, in presenza di determinate condizioni (residenza estera per almeno 5 anni precedenti, trasferimento in uno dei comuni italiani del Mezzogiorno con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, ecc.), di optare per una tassazione forfettaria al 7% annuo su tutti i redditi prodotti all’estero, per ciascuno dei nove (9) periodi d’imposta di validità dell’opzione. In sostanza, il pensionato estero che si trasferisce in Italia e aderisce a questo regime paga un’imposta sostitutiva IRPEF del 7% (in luogo delle aliquote progressive ordinarie) su tutte le sue fonti di reddito estero, pensione compresa, per 9 anni. Si tratta di un’opzione pensata per rendere più conveniente l’immigrazione di pensionati stranieri (sul modello di analoghi regimi in Portogallo o Grecia).

Va chiarito che tale regime non è retroattivo né automatico: il contribuente interessato deve manifestare l’opzione nella dichiarazione dei redditi del primo anno di trasferimento in Italia. Inoltre, esso non elimina gli obblighi di monitoraggio fiscale (che rimangono) e non incide sulle pensioni di fonte italiana (che restano tassate ordinariamente). Dal punto di vista della difesa in accertamento, quindi, questo regime agevolato non è invocabile se non è stato scelto per tempo: non si può chiedere a posteriori di applicare la flat tax 7% per sanare omesse dichiarazioni ordinarie. Tuttavia, è utile esserne consapevoli come opportunità pianificatoria: ad esempio, un pensionato che rientra dall’estero potrebbe valutare di aderire al regime nei termini di legge, così da ridurre il carico fiscale futuro ed evitare possibili attriti convenzionali (pagando il 7% in Italia, normalmente lo Stato estero – se c’è Convenzione – esenterà da ulteriori tassazioni la pensione). In caso di contestazioni su annualità pregresse non coperte dal regime opzionale, questo purtroppo non offre alcuna protezione diretta, ma la conoscenza del regime potrebbe essere utile per valutare adesioni in corso di accertamento (spiegato oltre) o transazioni col fisco, laddove applicabile su anni futuri.

Accertamento Fiscale sulla Pensione Estera

Modalità di avvio dell’accertamento e fonti informative

Un accertamento fiscale in materia di pensioni estere può scaturire da diverse circostanze. Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui redditi esteri non dichiarati, anche grazie al potenziamento delle banche dati e allo scambio automatico di informazioni con altri Stati. Attraverso il sistema del Common Reporting Standard (CRS) e le direttive europee sulla cooperazione amministrativa (DAC), il Fisco italiano riceve periodicamente informazioni su conti finanziari detenuti all’estero da soggetti italiani, su redditi quali pensioni, stipendi, dividendi e altri pagamenti transfrontalieri. Ciò significa che se un contribuente percepisce regolarmente un bonifico dall’estero (ad esempio dalla Cassa pensione estera X), tale flusso potrebbe emergere dalle comunicazioni bancarie internazionali e far scattare un controllo incrociato con la dichiarazione dei redditi.

Spesso l’accertamento inizia in modo “soft”, con una lettera di compliance o di segnalazione: l’Agenzia invia al contribuente una comunicazione (a volte un questionario o un invito a fornire chiarimenti) segnalando la presenza di redditi esteri non risultanti dalla dichiarazione e invitando a regolarizzare o spiegare. Ad esempio, molti pensionati che in passato non avevano dichiarato la pensione estera hanno ricevuto lettere in cui si chiedeva di verificare la correttezza della dichiarazione alla luce di dati su pagamenti esteri ricevuti. Questa fase è un’opportunità per il contribuente di sistemare spontaneamente la propria posizione: in assenza di un atto impositivo formale, infatti, si può ancora ricorrere al ravvedimento operoso presentando una dichiarazione integrativa e pagando le imposte dovute con sanzioni ridotte (tipicamente 1/8 del minimo) e interessi. Se il contribuente reagisce tempestivamente alla lettera di compliance integrando quanto dovuto, spesso l’Agenzia chiude la vicenda senza ulteriori sanzioni gravose. È sempre consigliabile, dunque, non ignorare queste richieste preliminari: fornire i documenti richiesti o correggere gli errori in questa fase può evitare l’emissione di un vero e proprio avviso di accertamento.

Se invece la posizione non viene sanata o i chiarimenti forniti non sono ritenuti sufficienti, l’Amministrazione può procedere con un avviso di accertamento. L’atto di accertamento è un provvedimento formale che contesta al contribuente il maggior reddito non dichiarato (in questo caso la pensione estera o parte di essa) e liquida le relative maggiori imposte dovute, oltre a interessi e sanzioni. L’avviso viene notificato al contribuente (di norma via PEC o raccomandata AR) e contiene l’indicazione dell’anno d’imposta accertato, della maggiore imposta richiesta, delle norme violate e delle sanzioni applicate. È fondamentale leggere con attenzione ogni avviso di accertamento, verificando in particolare: l’anno fiscale oggetto di rettifica, la tipologia di reddito contestato, l’ammontare del reddito non dichiarato secondo l’Ufficio, il calcolo di imposte e sanzioni, nonché l’eventuale richiamo a Convenzioni internazionali o norme interne. Nel caso di pensioni estere, l’avviso potrebbe contenere riferimenti alla Convenzione contro le doppie imposizioni col Paese da cui proviene la pensione, qualora l’Ufficio ritenga comunque dovuta la tassazione in Italia (ad esempio: “reddito estero imponibile ai sensi dell’art. 18 della Convenzione Italia-XX”). Se tali riferimenti mancano, potrebbe significare che l’Ufficio ha tassato il reddito come se non vi fosse Convenzione o non l’ha considerata applicabile: questo è un primo punto che la difesa del contribuente dovrà valutare (verificando se invece la Convenzione esenta quel reddito).

Termini di accertamento per redditi esteri non dichiarati

Un aspetto peculiare degli accertamenti su redditi esteri è l’estensione dei termini di decadenza per l’azione accertativa. In generale, i termini ordinari per l’accertamento IRPEF sono: 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (art. 43 D.P.R. 600/1973). Ad esempio, per la dichiarazione dei redditi 2020 presentata nel 2021, il termine ordinario scade il 31/12/2026. In caso di dichiarazione omessa, il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo (quindi anno 2020 non dichiarato → fino al 31/12/2027). Ebbene, per i redditi esteri non dichiarati interviene un’ulteriore proroga: ai sensi dell’art. 12, co. 2-bis D.L. 78/2009 (conv. L. 102/2009) – norma attualmente vigente – i termini sono prolungati di +2 anni (rispetto agli ordinari) nei casi di violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale. Ciò porta, nella sostanza, a 8 anni il termine accertativo in caso di redditi di fonte estera non dichiarati (o attività estere non monitorate). La ratio di tale estensione è di concedere più tempo al Fisco per intercettare evasioni internazionali, che possono emergere con ritardo. Di fatto, quindi, se un contribuente ha omesso di indicare la pensione estera in dichiarazione, l’Agenzia può controllare fino a otto anni indietro.

Tabella – Termini di accertamento (IRPEF)

Situazione dichiarativaTermini accertamento ordinariTermini per redditi esteri non dichiarati
Dichiarazione regolarmente presentata (completa e veritiera)5 anni dal 31/12 dell’anno di presentazione. (Es: Redditi 2020 dichiarati → accertabile fino al 31/12/2026).idem (nessun prolungamento, in assenza di violazioni)
Dichiarazione infedele (omissioni o errori rilevanti, ma dichiarazione presentata)5 anni dal 31/12 dell’anno di presentazione. (Es: Redditi 2020 infedele → fino al 31/12/2026).8 anni dal 31/12 dell’anno di presentazione se l’infedeltà riguarda redditi esteri o attività estere non dichiarate. (Es: Redditi 2020 con pensione estera non dichiarata → accertabile fino al 31/12/2028).
Dichiarazione omessa (mai presentata)7 anni dal 31/12 dell’anno in cui si sarebbe dovuta presentare. (Es: Redditi 2020 omessi → fino al 31/12/2027).10 anni dal 31/12 dell’anno d’imposta omesso se l’omissione riguarda redditi esteri (7 anni base + 2 anni). (Es: Redditi 2020 omessi con redditi esteri → fino al 31/12/2029).

Come si nota, l’effetto pratico è che il Fisco può andare molto indietro nel tempo per recuperare imposte su redditi esteri non dichiarati. Ad esempio, nel 2025 potrebbero essere notificati avvisi per l’anno d’imposta 2017 (dichiarazione 2018) qualora riguardino pensioni estere non dichiarate, perché 2017 rientra ancora negli otto anni precedenti. È quindi un errore pensare di essere “al sicuro” dopo i canonici 5 anni se si sono avuti redditi oltreconfine non dichiarati: la finestra di accertabilità è più ampia. In presenza di reati tributari, poi, i termini possono allungarsi ulteriormente (come vedremo in seguito).

Dal punto di vista difensivo, diventa importante verificare sempre, alla ricezione di un avviso, se l’anno contestato rientra nei termini di legge. Se il contribuente ritiene che l’avviso sia tardivo (ad esempio, riceve nel 2025 una contestazione su redditi 2015, oltre 8 anni dopo), potrà opporre l’eccezione di decadenza. Attenzione: il termine si considera rispettato se l’avviso viene spedito (notificato) entro il 31 dicembre dell’ultimo anno utile, anche se poi la consegna materiale al contribuente avviene successivamente. Bisogna quindi controllare la data di notifica. Se effettivamente il Fisco è fuori termine, l’accertamento è nullo e va fatto valere in autotutela o in sede di ricorso.

Contenuto dell’accertamento e calcolo del dovuto

Nell’accertare una pensione estera non dichiarata, l’Agenzia delle Entrate in genere procede così: ricostruisce l’ammontare lordo della pensione percepita in ciascun anno (spesso sulla base di dati comunicati dallo Stato estero o di evidenze bancarie) e lo aggiunge ai redditi dichiarati dal contribuente per quell’anno, ricalcolando l’IRPEF dovuta. Su tale maggior imponibile applica le aliquote IRPEF progressive ordinarie valide per l’anno in questione (tenendo conto degli scaglioni di reddito del contribuente). Dal calcolo possono emergere ulteriori imposte dovute (IRPEF nazionale, addizionali regionali e comunali) che il contribuente avrebbe dovuto versare. L’atto liquida quindi: l’imposta non pagata, gli interessi maturati e le sanzioni amministrative.

Se il contribuente aveva già subito una ritenuta fiscale all’estero sulla pensione, in alcuni casi l’Ufficio potrebbe tenerne conto (ad esempio se il contribuente in fase istruttoria lo ha segnalato con documenti). Tuttavia, come detto, la prassi è che, in assenza di dichiarazione, il credito per le imposte estere non venga riconosciuto nell’accertamento. Pertanto, l’avviso spesso richiede l’imposta piena sul 100% del reddito, demandando semmai al contribuente l’onere di attivarsi per recuperare il credito via rimborso o contenzioso. In sede di difesa sarà fondamentale evidenziare l’eventuale spettanza del credito d’imposta e chiederne il riconoscimento, qualora ne ricorrano i presupposti convenzionali e normativi.

Nell’avviso potranno essere presenti anche le sanzioni per infedele dichiarazione (o omessa dichiarazione, a seconda dei casi) e per l’eventuale omessa compilazione del Quadro RW. Tali sanzioni sono normalmente irrogate in via proporzionale, cioè in percentuale delle maggiori imposte dovute (per l’infedeltà) o dei patrimoni non dichiarati (per RW). Approfondiremo a breve le aliquote e le modalità di calcolo di queste sanzioni, anche alla luce delle recenti riforme che ne hanno modificato gli importi.

È bene sapere che prima dell’emissione di un avviso di accertamento il contribuente potrebbe essere convocato o ricevere un PVC (Processo Verbale di Costatazione) dalla Guardia di Finanza, qualora l’attività istruttoria sia stata complessa (ad esempio verifica bancaria). In tali casi, si apre la fase del contraddittorio endoprocedimentale, durante la quale è possibile far valere ragioni e documenti. Per le materie tributarie non sempre è obbligatorio il contraddittorio preventivo, ma in ambito di redditi esteri l’Amministrazione tende a instaurarlo (anche per raccogliere informazioni sullo stato estero). Se il contribuente riceve un invito a comparire o un PVC, è importante partecipare e difendersi sin da subito, magari tramite un professionista, perché è un momento in cui si possono chiarire malintesi ed evitare l’irrigidimento della pretesa fiscale.

Strumenti deflattivi: adesione e definizioni agevolate

Una volta notificato l’avviso di accertamento, il contribuente ha alcune opzioni prima di ricorrere in giudizio:

  • Accertamento con adesione: è una procedura di natura conciliativa (D.Lgs. 218/1997) in cui il contribuente può chiedere, entro 60 giorni dalla notifica, di avviare un confronto con l’ufficio accertatore per ridefinire consensualmente la pretesa. Nel contesto di una pensione estera, in sede di adesione si potrebbe discutere, ad esempio, della spettanza del credito per le imposte estere, dell’applicazione di una Convenzione contro le doppie imposizioni o di una riduzione delle sanzioni. Se si raggiunge un accordo, si formalizza un atto di adesione in cui il contribuente riconosce un certo imponibile e imposta e l’Agenzia riduce le sanzioni a 1/3 del minimo previsto. L’adesione sospende i termini per il ricorso e consente di ottenere un forte sconto sulle sanzioni amministrative. Questo strumento può essere utile soprattutto quando ci sono margini per discutere elementi quantitativi (ammontare della pensione, valuta, periodo) o giuridici (interpretazione della Convenzione) e si vuole evitare il contenzioso. Ad esempio, se l’Agenzia ha disconosciuto il credito estero, in sede di adesione si può cercare un compromesso (come il riconoscimento parziale del credito) evitando il rischio di dover pagare tutto e poi litigare in Commissione. Va ricordato che, in caso di definizione per adesione, non si incorre in sanzioni penali e il contribuente può anche rateizzare il dovuto.
  • Definizioni agevolate e sanatorie: negli ultimi anni, attraverso le Leggi di Bilancio, il legislatore ha talvolta previsto misure straordinarie di regolarizzazione (come il ravvedimento speciale della L. 197/2022, ormai scaduto) o di definizione agevolata dei carichi tributari. Al luglio 2025, non risultano in vigore specifiche sanatorie mirate ai redditi esteri; tuttavia, è sempre bene verificare la normativa vigente al momento dell’accertamento perché potrebbero esservi strumenti di conciliazione agevolata, condono parziale o rottamazione in ambito contenzioso. Ad esempio, per gli avvisi notificati nel 2023 era possibile la definizione agevolata pagando solo le imposte senza sanzioni (misura una tantum). L’eventuale accesso a queste procedure può chiudere la lite con un costo ridotto.
  • Acquiescenza: se il contribuente riconosce integralmente la fondatezza dell’accertamento e rinuncia a impugnarlo, può effettuare il pagamento entro 60 giorni beneficiando della riduzione delle sanzioni ad 1/3 (in luogo del 100%). Questa opzione “acquiescente” va ponderata bene: conviene tipicamente quando l’Ufficio ha ragione e non vi sono motivi validi di ricorso. Per una pensione estera, potrebbe essere il caso in cui effettivamente la pensione era imponibile in Italia e non è stata dichiarata, e non ci sono crediti esteri rilevanti da far valere. L’acquiescenza chiude immediatamente la partita con un risparmio sulle sanzioni.
  • Mediazione tributaria: per importi contestati fino a €50.000 (limite attuale), è obbligatorio, prima del ricorso, presentare un’istanza di mediazione (anche essa disciplinata dal D.Lgs. 546/1992) all’ufficio che ha emesso l’atto. Spesso, in sede di mediazione, l’ente impositore può proporre uno sgravio parziale o una definizione vantaggiosa per evitare il contenzioso. Questa può essere un’occasione per ridurre sanzioni o trovare un accordo. Per le pensioni estere, tuttavia, spesso l’imposta evasa su più anni può superare tale soglia, ma non è escluso che, su singolo anno o se la pensione è modesta, la lite rientri entro 50.000 € e dunque la mediazione diventi un passaggio obbligato e potenzialmente proficuo.

In ogni caso, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso l’atto va impugnato o definito: far scadere questo termine senza agire significa perdere qualsiasi chance di difesa e l’accertamento diventa definitivo. Dunque, il contribuente (o il suo difensore) dovrà tempestivamente decidere la strategia: ricorso (con eventuale mediazione) oppure adesione/acquiescenza. Si può anche presentare istanza di adesione e, se la trattativa fallisce, si hanno ulteriori 60 giorni per fare ricorso.

Contenzioso tributario e difesa in giudizio

Se non si raggiunge un accordo con l’Ufficio e il contribuente ritiene l’accertamento infondato in tutto o in parte, è possibile presentare ricorso alla Commissione Tributaria (oggi ridenominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Nel ricorso, impostato con l’assistenza di un difensore abilitato (necessario per controversie sopra €3.000 di valore), si dovranno evidenziare tutti i motivi di illegittimità o infondatezza:

  • Errori di diritto: ad esempio, l’Agenzia ha disapplicato o male interpretato la Convenzione contro le doppie imposizioni. Si potrà eccepire che la pensione era tassabile esclusivamente all’estero ai sensi dell’art. X della Convenzione, e chiedere l’annullamento dell’imposta italiana. A supporto, si citeranno sentenze di Cassazione come la n. 10308/2024 che conferma il principio di tassazione esclusiva nello Stato di residenza estera. Ancora, si può contestare la mancata concessione del credito d’imposta estero sostenendo che, pur omessa la dichiarazione, quel reddito è stato tassato altrove e quindi l’Italia violerebbe la Convenzione tassandolo per intero (argomento non facile da far accogliere, ma proponibile).
  • Errori di fatto e di calcolo: talora il Fisco commette errori nel quantificare la pensione estera. Potrebbe aver considerato lordo anche importi non percepiti, o non aver applicato il giusto tasso di cambio (le pensioni in valuta estera vanno convertite in euro ai tassi medi annuali stabiliti). Oppure può aver contato due volte lo stesso reddito (es: acconti e saldo). Ogni discrepanza documentabile (con certificati degli enti pensionistici esteri, estratti conto bancari, ecc.) va evidenziata per ridurre l’imponibile.
  • Vizi formali e procedurali: ad esempio, notifica dell’atto non valida, motivazione insufficiente, mancato rispetto del diritto al contraddittorio (laddove previsto), oppure decadenza dei termini (come discusso sopra). Queste eccezioni possono portare all’annullamento dell’atto senza entrare nel merito. Se, ad esempio, l’avviso è stato emesso oltre gli 8 anni previsti, il ricorso punterà tutto sulla decadenza, chiedendo l’annullamento integrale.

Durante il giudizio, l’onere della prova circa l’esistenza e la tassabilità del reddito incombe in larga parte sull’Amministrazione, ma nel caso di redditi esteri omessi spesso l’Ufficio arriva con informazioni solide (lista pagamenti, etc.). Sarà il contribuente a dover fornire le prove contrarie: ad esempio, dimostrare di essere residente all’estero in quell’anno (presentando certificazione fiscale estera) se vuole contestare la residenza in Italia; oppure provare che la somma non era una pensione imponibile ma un rimborso di contributi, ecc. La difesa quindi deve raccogliere tutta la documentazione utile sia fattuale sia giuridica.

È altamente consigliabile, per chi affronta un contenzioso di questo tipo, farsi assistere da professionisti esperti in diritto tributario internazionale, poiché vanno padroneggiate sia le norme interne (TUIR, monitoraggio) sia le Convenzioni e la giurisprudenza di legittimità. Le sentenze recenti della Corte di Cassazione offrono diversi precedenti favorevoli ai contribuenti, soprattutto quando il Fisco italiano ha tassato pensioni che la Convenzione riservava allo Stato estero. Abbiamo già citato Cass. n. 10308/2024 (pensione italiana a residente in Turchia: rimborso concesso perché tassabile solo in Turchia); si può menzionare anche Cass. n. 21684/2023, relativa a pensione italiana corrisposta a residente in Portogallo, che conferma il diritto al rimborso in Italia indipendentemente dal trattamento fiscale portoghese (principio dell’astratta tassabilità estera). Un’altra è Cass. n. 30779/2023 sul caso analogo di un pensionato in Svizzera: la Corte ha respinto la tesi dell’Agenzia che chiedeva prova dell’effettiva doppia tassazione, ribadendo che basta la residenza estera ai fini convenzionali. Questi precedenti possono essere citati in ricorso per sostenere le proprie ragioni.

Nel contenzioso potrebbe emergere anche la questione delle sanzioni: il contribuente può chiederne la disapplicazione per obiettiva incertezza normativa (tesi a volte invocata in casi di interpretazioni dubbie delle Convenzioni) oppure la riduzione. Inoltre, se il giudice dovesse riconoscere che nulla era dovuto (es. pensione esclusa da tassazione), automaticamente annullerà anche le relative sanzioni.

In ogni caso, in pendenza di giudizio l’importo accertato non è dovuto integralmente subito: il contribuente può ottenere la sospensione dell’esecuzione se prova il danno e la fondatezza del ricorso, oppure può giovarsi della sospensione ope legis limitata a 1/3 delle imposte in primo grado. Va però oltre lo scopo di questa guida entrare nel dettaglio esecutivo; l’importante è sapere che ricevere un accertamento non significa dover pagare immediatamente tutto – esistono garanzie processuali.

Sanzioni e Conseguenze per Omissione di Pensioni Estere

La mancata dichiarazione (o dichiarazione inesatta) di una pensione estera espone il contribuente a una duplice categoria di sanzioni amministrative: sanzioni per infedele od omessa dichiarazione dei redditi e sanzioni per violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW). Vediamole separatamente secondo la normativa italiana, tenendo conto delle novità normative del 2023-2024 che hanno parzialmente modificato il regime sanzionatorio.

Sanzioni per infedele od omessa dichiarazione dei redditi

  • Dichiarazione infedele: si configura quando il contribuente presenta la dichiarazione dei redditi ma omette di indicare parte dei redditi o indica indebite detrazioni/deduzioni, con conseguente minor imposta dovuta. In caso di pensione estera non dichiarata (o dichiarata solo in parte), si rientra in questa fattispecie. Fino al 2023, la sanzione amministrativa prevista dall’art. 1, co.2 D.Lgs. 471/1997 era compresa tra il 90% e il 180% della maggiore imposta dovuta (con un minimo di €250). Ad esempio, se l’accertamento accertava €10.000 di IRPEF evasa, la sanzione oscillava da €9.000 a €18.000, tipicamente applicata al minimo o poco sopra. Dal 2024, a seguito del D.Lgs. n. 87/2024 attuativo della riforma fiscale, questa sanzione è stata ridotta e resa fissa al 70% della maggiore imposta dovuta. Dunque attualmente, per dichiarazione infedele, si applica un’unica sanzione pari al 70% del tributo non versato. Se, ad esempio, l’imposta evasa su pensioni estere è €10.000, la sanzione sarà €7.000 (in luogo del range 9.000-18.000 previgente). Resta il minimo di legge (€150) ma in casi di pensioni l’importo evaso è quasi sempre superiore a giustificare quella base. In presenza di condotte fraudolente (non comuni nel caso di pensioni, ma ad es. uso di documenti falsi o artifici per occultare il reddito) la sanzione sale: prima era dal 135% al 270%, ora con la riforma è dal 105% al 140%.
  • Circostanze attenuanti: Se l’infedeltà ha prodotto effetti limitati (imposta evasa <3% di quella dichiarata e <€30.000), la legge prevedeva già una riduzione di 1/3; col nuovo decreto, la sanzione in tali casi diventa circa il 46,67% (cioè 70% ridotto di 1/3). Inoltre, se l’errore riguarda solo imputazioni temporali di redditi (senza danno d’imposta), vi è una sanzione fissa di €250.
  • Ravvedimento operoso: Quando il contribuente corregge spontaneamente l’infedeltà prima di essere scoperto (presentando dichiarazione integrativa e versando il dovuto), beneficia di riduzioni sulle sanzioni. Oltre alle riduzioni ordinarie (che dipendono dal tempo trascorso), la riforma fiscale ha introdotto un trattamento premiale: se l’integrativa avviene prima dell’inizio di verifiche o accessi e comunque entro i termini di accertamento, la sanzione dell’infedeltà si applica in misura pari al 50% (anziché 70%), ovviamente ulteriormente riducibile in base al ravvedimento. In pratica, oggi, ravvedersi completamente prima di controlli comporta una sanzione ridotta al 50%, che col ravvedimento ad esempio entro 2 anni può scendere a 1/8 del 50% (circa 6,25%). Quindi gli incentivi a regolarizzare presto sono notevoli.
  • Aggravante per redditi esteri non dichiarati: In passato, esisteva una specifica aggravante: la sanzione per infedele dichiarazione era aumentata di 1/3 se l’infedeltà riguardava redditi prodotti all’estero (art. 1, co.3 D.Lgs. 471/97 vecchia formulazione). Questo comportava un range effettivo 120%-240%. Dal 2024 tale aggravante è stata eliminata. Conseguentemente, non vi è più un trattamento sanzionatorio più severo per i redditi esteri: si applica la sanzione normale (70%). Si tratta di una novità favorevole (favor rei) applicabile ai fatti non definitivi, quindi valida anche per infrazioni pregresse ancora pendenti.
  • Dichiarazione omessa: qualora il contribuente non abbia presentato affatto la dichiarazione dei redditi pur essendovi tenuto (eventualità possibile se la pensione estera era l’unico reddito e si è ritenuto – erroneamente – di non dover dichiarare), si applica l’art. 1, co.1 D.Lgs. 471/97. La sanzione per omessa dichiarazione è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250. Anche qui era prevista l’aggravante +1/3 per redditi esteri (che portava 160%-320%), ma con la riforma 2024 anch’essa dovrebbe decadere (in parallelo con l’infedeltà). L’omissione di dichiarazione è sanzionata più gravemente dell’infedeltà proprio perché impedisce del tutto il controllo fiscale. Se però nessuna imposta risulta dovuta (caso raro: es. pensione estera esente da convenzione, e nessun obbligo dichiarativo se non fosse per monitoraggio), la sanzione è fissa €250. In caso di ravvedimento entro 90 giorni, l’omessa dichiarazione può essere sanata con sanzione ridotta a 1/10 di €250 (cioè €25) – ma oltre 90 giorni l’omissione è insanabile come tale (si può solo presentare la dichiarazione tardiva pagando la sanzione piena).

Tabella – Sanzioni amministrative per dichiarazione infedele/omessa (aliquote sulla maggiore imposta evasa):

Violazione (dich. redditi)Regime previgente (fino al 2023)Regime attuale (dal 2024, D.Lgs 87/2024)
Infedele dichiarazione90% – 180% imposta evasa (minimo €250). +1/3 se redditi esteri (→ 120% – 240%).70% imposta evasa (fisso). (Aggravante estero abrogata).
Omessa dichiarazione120% – 240% imposta dovuta (min €250). +1/3 se redditi esteri (→ 160% – 320%).120% – 240% imposta (min €250). (Aggravante estero abrogata). NB: se nessuna imposta dovuta: sanzione fissa €250.
Integrativa spontanea (prima di controlli, entro termini acc.) – caso particolare di ravvedimento “integrale”50% imposta evasa (poi riducibile secondo ravvedimento).
Circostanze attenuanti (imposta evasa <3% del dichiarato e <€30k)60% – 120% imposta (riduzione 1/3)~46,67% imposta (riduzione a 2/3 del 70%).
Con adesione/acquiescenza (definizione atto)Sanzione ridotta 1/3 del minimo (previsto).Sanzione ridotta 1/3 del 70% = ~23,3%.

Tutte le percentuali sono da intendersi sulla maggiore imposta accertata. In caso di omessa dichiarazione, “imposta dovuta” equivale all’imposta sull’intero reddito non dichiarato. Le riduzioni per adesione (1/3) e per acquiescenza (1/3) rimangono vigenti.

Come si evince, le sanzioni amministrative possono avere un peso elevato, spesso pari o superiore all’imposta evasa. Nel caso di pensioni estere, soprattutto se l’omissione si protrae per più anni, il cumulo sanzionatorio può diventare molto gravoso. Ad esempio, ipotizziamo un contribuente che non ha dichiarato €20.000 annui di pensione estera per 3 anni (evadendo circa €6.000 di IRPEF all’anno): se viene accertato oggi, dovrà circa €18.000 di imposte e ulteriori €12.600 di sanzioni (70%), oltre interessi. Tuttavia, grazie alle nuove norme, oggi è possibile ridurre significativamente queste sanzioni sfruttando la via del ravvedimento o dell’adesione: nell’esempio, se il contribuente aderisce all’accertamento, la sanzione scenderebbe a circa €4.200 (un terzo di 70%), portando il totale sanzioni a cifra nettamente inferiore all’imposta evasa.

Un altro punto cruciale: l’omessa compilazione del Quadro RW non costituisce di per sé reato (è un illecito solo amministrativo) e, secondo la Cassazione, non può essere qualificata come “occultamento di attività all’estero” penalmente rilevante se non c’è un accertamento di imposte evase correlato. In altre parole, il solo aver tenuto un conto estero non dichiarato non integra reati fiscali penali finché non si dimostri che su quei fondi c’erano redditi non dichiarati oltre soglia. Questa distinzione è importante: molti contribuenti temono conseguenze penali già per il solo quadro RW omesso, ma la Cassazione (es. sent. n. 47453/2019) ha chiarito che l’art. 5-septies D.Lgs. 74/2000 (introdotto nel 2015 per punire chi sottrae attivi alla imposizione) richiede un concreto accertamento di evasione sostanziale, non punendo la mera omissione formale. Naturalmente, se dall’omessa indicazione RW emerge anche evasione di redditi (come la pensione non dichiarata), allora può scattare il reato per l’omessa o infedele dichiarazione come spiegato in seguito.

Sanzioni per violazione del monitoraggio (Quadro RW)

Indipendentemente dalle sanzioni sui redditi, la legge punisce severamente anche la violazione degli obblighi di monitoraggio (Quadro RW). L’art. 5, comma 2, D.L. 167/1990 stabilisce che la omessa o incompleta indicazione nel quadro RW delle attività estere è punita con una sanzione dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato. Se le attività finanziarie estere sono detenute in Paesi considerati “paradisi fiscali” o non collaborativi, la sanzione è raddoppiata, diventando dal 6% al 30%. Queste percentuali si applicano sul valore degli asset non dichiarati (es: valore del conto estero al 31/12 o picco di giacenza) e non sull’imposta. Ne consegue che tali sanzioni, in presenza di consistenti capitali, possono raggiungere importi elevatissimi, erodendo una parte significativa del patrimonio stesso. Ad esempio, se un pensionato ha mantenuto €100.000 su un conto estero non dichiarato, la sola sanzione RW può oscillare da €3.000 a €15.000 per anno (il doppio se il conto stava in un Paese black-list).

Queste sanzioni sono state criticate per la loro possibile sproporzione. La revisione delle sanzioni del 2015 non le aveva toccate, e neppure la riforma del 2023/24 le ha modificate. Tuttavia, va segnalato che la bozza di delega fiscale 2023 auspicava una rivisitazione, e in giurisprudenza qualche giudice ha sollevato dubbi di proporzionalità in casi estremi. Al luglio 2025, comunque, restano in vigore tali percentuali piene. Il contribuente può beneficiare delle riduzioni da ravvedimento su queste sanzioni: ad esempio, se presenta un quadro RW omesso con ravvedimento dopo due anni, paga 1/6 della sanzione minima (quindi 0,5% circa dell’importo non dichiarato per anno, in giurisdizioni white list).

È importante capire che la sanzione RW è autonoma da quella sui redditi: sono due ambiti diversi. Così, chi non ha dichiarato una pensione su conto estero subisce la sanzione sui redditi (infedele) e quella sul monitoraggio. Non c’è infatti divieto di “doppia sanzione” in questo caso, perché una punisce il mancato pagamento d’imposta, l’altra la violazione valutaria/informativa. Solo nel caso in cui la stessa somma fosse soggetta a ritenuta a titolo d’imposta in Italia o imposta sostitutiva, l’obbligo RW potrebbe venir meno.

Un aspetto procedurale: la contestazione della violazione RW può avvenire con atto separato (irrogazione sanzioni) oppure all’interno dell’avviso di accertamento (spesso l’Ufficio inserisce direttamente la sanzione RW nell’atto). In ogni caso, il contribuente può difendersi chiedendo l’applicazione del principio di proporzionalità: ad esempio se la sanzione risulta manifestamente eccessiva rispetto alla gravità (magari perché quell’attività estera non aveva prodotto redditi o l’omissione è dovuta a incertezza), si può invocare l’art. 7 D.Lgs. 472/1997 che consente al giudice di ridurre la pena. Non è facile, ma alcuni precedenti (specie di merito) hanno accolto riduzioni per sproporzione. L’Osservatorio del diritto tributario nota come le sanzioni monitoraggio possano in effetti violare il diritto UE se eccessive, e su questo terreno si potranno sviluppare difese innovative.

In sintesi, il mancato monitoraggio può costare caro: la sola detenzione non segnalata di somme da pensione può portare multe significative. Ad esempio, se Tizio ha ricevuto per anni €20.000 di pensione su conto estero e non lo ha mai indicato, ipotizzando saldo medio €20.000, rischia €600-3.000 all’anno (supponendo paese collaborativo) solo per RW, cumulabili sugli anni. Su 5 anni, anche al minimo, fanno €3.000. In caso di paese black-list (ipotetico), i numeri raddoppiano. Fortunatamente, se Tizio si ravvede spontaneamente prima di controlli, la penalità crolla: presentando ora il RW per gli ultimi 5 anni, pagherebbe una sanzione fissa minima di €258 per anno (ridotta ad esempio a €1/8 = €32 se entro un anno dal termine), quindi pochi euro in totale. Ecco perché conviene regolarizzare appena possibile.

Profili penali (reati tributari)

Oltre alle sanzioni amministrative, l’omessa o infedele dichiarazione di redditi esteri può integrare gli estremi di reato tributario, punito penalmente dal D.Lgs. 74/2000. In particolare:

  • Dichiarazione infedele (reato): disciplinato dall’art. 4 D.Lgs. 74/2000. Scatta se, mediante infedele dichiarazione, si supera una certa soglia di evasione: in particolare se l’imposta evasa eccede €100.000 per singola imposta e, contestualmente, gli elementi attivi sottratti a tassazione superano il 10% di quanto dichiarato o comunque €2 milioni. Se ad esempio il contribuente ha dichiarato zero e avrebbe dovuto dichiarare €50.000 di IRPEF su pensioni estere, l’imposta evasa è 50k e non supera il limite → niente reato infedele. Se invece l’imposta evasa fosse stata 120k (su pensione molto alta), allora la soglia è superata e (dato che non ha dichiarato nulla, la percentuale sul dichiarato non ha senso ma gli elementi sottratti sono 100% > 10% e oltre 2M di imponibile? Bisogna vedere, ma immaginiamo un caso con imponibile altissimo), allora si avrebbe reato. La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi. Nella pratica delle pensioni estere, è abbastanza raro arrivare a evasioni sopra 100k in un singolo anno (vorrebbe dire non dichiarare pensioni annue di quasi 300k €). Tuttavia, non impossibile se qualcuno percepisce più pensioni estere elevate. Va sottolineato che la soglia va valutata per periodo d’imposta: non si sommano più anni, ma si considera l’anno singolo. Quindi 3 anni di evasione 50k ciascuno non fanno scattare 150k come unico reato (anche se il cumulo in teoria aggraverebbe il quadro, ma giuridicamente sono 3 infedeltà non punibili perché ognuna sotto soglia). Attenzione: la presentazione di dichiarazione infedele con condotta fraudolenta (es. uso di artifizi, schermature, interposte persone) può configurare reato più grave (dichiarazione fraudolenta art.3, soglia 30k imposta evasa). Ma nel caso di pensioni estere, di solito l’omissione è “semplice” senza frodi complesse.
  • Omessa dichiarazione (reato): previsto dall’art. 5 D.Lgs. 74/2000. Si realizza se il contribuente omette del tutto la dichiarazione annuale pur essendovi obbligato e l’imposta evasa supera €50.000. La pena è la reclusione da 2 a 5 anni. Questa fattispecie potrebbe toccare, ad esempio, un pensionato che non ha mai presentato dichiarazione in Italia (magari pensando che la pensione estera non fosse da dichiarare) e che avrebbe dovuto pagare imposte oltre 50k. Dato che la no tax area per pensionati è intorno a 8k, per superare 50k di IRPEF evasa bisognerebbe avere redditi esteri nell’anno molto elevati (circa >150k imponibili). Anche qui, quindi, situazioni non comuni, ma da non escludere. Ad ogni modo, se un soggetto omette la dichiarazione per più anni, la soglia si valuta su ciascun anno separatamente.
  • Altri reati possibili: in contesti più particolari, potrebbero ipotizzarsi l’art. 2 o 3 (dichiarazione fraudolenta) se si usano artifici per occultare la pensione (difficile immaginare, a meno di documenti falsi, conti cifrati, trust fittizi – scenari possibili solo in caso di pensioni altissime integrate in un’evasione più ampia). Oppure l’art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte) se, dopo l’accertamento, il contribuente sposta/occulta i suoi soldi per non pagare. Ma sono situazioni estreme. Nel 99% dei casi, i reati potenzialmente rilevanti saranno l’omessa o infedele dichiarazione.

È importante sapere che la soglia di punibilità funge da discrimine: se non la si supera, l’illecito resta amministrativo (solo sanzioni pecuniarie); se la si supera, scatta anche la dimensione penale. In sede di accertamento, se l’ufficio ravvisa gli estremi del reato, trasmette notizia alla Procura della Repubblica. L’eventuale procedimento penale segue il suo corso, indipendente dal contenzioso tributario. Il contribuente potrà chiudere la pendenza tributaria pagando quanto dovuto, ma ciò non estingue automaticamente il reato (a differenza di quanto avviene per altri reati fiscali con la causa di non punibilità introdotta nel 2019, che però non include infedele/omessa dichiarazione). Tuttavia, il pagamento integrale del dovuto prima del giudizio penale è valutato positivamente e può attenuare la pena. Se poi l’importo evaso è modesto e si paga subito, spesso nella prassi le Procure archiviano o i giudici applicano pene miti (talora patteggiamenti con conversione in pene pecuniarie).

Da notare che l’omessa indicazione del quadro RW, di per sé, non costituisce reato come già detto. Solo se abbinata a reati ex art. 4 o 5 (superate le soglie) può essere un elemento aggiuntivo nel quadro accusatorio, ma non esiste uno specifico reato per il solo monitoraggio (il legislatore nel 2015 introdusse l’art. 5-septies D.Lgs. 74/2000 punendo chi trasferisce o detiene all’estero attività non dichiarate al fisco per valori sopra €2 milioni, con lo scopo di evadere, ma la Cassazione ha interpretato restrittivamente questa norma, richiedendo comunque che vi sia un’imposta evasa e non semplicemente beni non dichiarati).

In definitiva, dal punto di vista del contribuente (potenziale imputato) è fondamentale evitare di superare le soglie penali. Se ci si accorge di essere vicini a esse, conviene correre ai ripari dichiarando e pagando il dovuto prima che parta la contestazione penale. Ad esempio, se qualcuno non ha dichiarato per anni una pensione elevata accumulando un’evasione oltre 100k su un anno, può valutare un ravvedimento speciale e versare, perché in tal modo è molto meno probabile che la Procura proceda (mancando il dolo di evasione continuativa e mostrando pentimento attivo).

Un consiglio pratico: non sottovalutare la rilevanza penale. Anche se nella maggior parte dei casi di pensioni estere ciò non scatterà, qualora l’Agenzia segnali l’illecito alla magistratura, bisognerà affrontare un procedimento che può portare a condanne (finora in Italia ci sono stati casi di condanne per omessa dichiarazione in vicende di fondi esteri, conti in Svizzera con pensioni non dichiarate ecc., anche se spesso risolti con sospensione condizionale). Prevenire è meglio che curare: regolarizzare prima, oppure difendersi efficacemente nel merito per far magari rideterminare sotto soglia l’imposta evasa (ad esempio, far valere il credito d’imposta estero: se riconosciuto, l’imposta evasa si riduce e potrebbe scendere sotto la soglia penale).

Domande Frequenti (FAQ)

D1: Sono residente in Italia e percepisco una pensione dall’estero. Devo dichiararla in Italia?
R: Sì, in linea generale . I residenti fiscali in Italia sono tassati su tutti i redditi ovunque prodotti, quindi anche le pensioni erogate da enti esteri vanno dichiarate in Italia. Questo vale indipendentemente dal fatto che la pensione sia stata già tassata alla fonte all’estero o meno. Esistono solo alcune limitate eccezioni: ad esempio, pensioni pubbliche estere se il beneficiario non è cittadino italiano (in tal caso spesso la Convenzione attribuisce la tassazione esclusiva allo Stato estero); le rendite di alcuni enti esteri assimilabili a invalidità (es. rendita INAIL estera) possono essere escluse perché esenti per legge; oppure casi particolari come le pensioni AVS svizzere già tassate in Svizzera, che non vanno ridichiarate in Italia. A meno di rientrare in queste eccezioni, comunque, devi sempre indicare la pensione estera nella tua dichiarazione dei redditi italiana. Se la Convenzione con il Paese estero prevede che la pensione sia tassabile solo all’estero, potrai dichiararla come esente (per conoscenza) o ometterla senza conseguenze d’imposta, ma è consigliabile segnalarla in nota per chiarezza. Se invece la Convenzione (o la mancanza di essa) comporta la tassazione in Italia, allora dovrai anche pagare l’IRPEF su tale pensione, con possibilità di detrarre quanto eventualmente pagato all’estero.

D2: La mia pensione estera è già tassata nel Paese di origine: devo pagare le tasse due volte (all’estero e in Italia)?
R: No, non dovresti pagare due volte. Se la pensione è imponibile sia all’estero che in Italia (casi di doppia tassazione concorrente), l’Italia, in quanto tuo Stato di residenza, ti riconosce un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, evitando la doppia imposizione. In pratica, in dichiarazione indicherai l’imposta estera definitiva nella sezione apposita e questa verrà sottratta dall’IRPEF calcolata. Tuttavia, è importante che tu dichiari correttamente il reddito e il credito: se ometti la pensione e vieni accertato dopo, rischi che l’Agenzia delle Entrate ti chieda l’intera IRPEF senza darti il credito, proprio perché il reddito non era stato dichiarato nei termini. Quindi, per evitare problemi, dichiara sempre il reddito estero; se hai pagato tasse fuori, inserisci il credito d’imposta (compilando il quadro CE del Modello Redditi). Così pagherai eventualmente solo la differenza. Se invece la Convenzione prevede che la pensione sia tassabile solo all’estero e esente in Italia, allora in Italia non dovrai pagare nulla su di essa – può convenire comunque indicarla fra i redditi con la dicitura “esente art. X Convenzione Y” per trasparenza, ma non subirai imposizione. Ricorda: l’obiettivo delle Convenzioni è evitare la doppia imposizione, per cui o si paga in uno Stato solo, o se si paga in due, uno dei due (di solito lo Stato di residenza, cioè l’Italia) deve concedere un credito/rimborso.

D3: Cosa succede se non ho mai dichiarato la mia pensione estera?
R: Se non hai mai dichiarato una pensione estera imponibile in Italia, ti trovi in una situazione di inadempienza tributaria. In caso di controllo, l’Agenzia delle Entrate potrebbe richiederti le imposte arretrate su quella pensione per gli anni ancora accertabili (fino a 5, 7 o 8 anni indietro a seconda dei casi, come spiegato sopra), più interessi e sanzioni. Le sanzioni possono essere molto elevate: la sanzione per dichiarazione infedele (omessa indicazione di redditi) è oggi il 70% dell’imposta evasa per ogni anno; inoltre c’è la sanzione per omessa compilazione del quadro RW (se dovevi dichiarare il conto o gli importi all’estero) che va dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato per ogni anno. Il Fisco può anche allungare il controllo fino a 8 anni dietro se hai violato il monitoraggio. Facciamo un esempio: supponi di aver ricevuto €10.000 l’anno di pensione estera dal 2017 al 2021 non dichiarandoli. Se vieni scoperto nel 2025, l’Agenzia ti contesterà il mancato pagamento dell’IRPEF su €50.000 totali. Se ipotizziamo un’aliquota media del 30%, sono €15.000 di imposte dovute. A questi aggiungerà interessi (dal momento in cui avresti dovuto pagarle, quindi qualche migliaio di euro) e sanzioni – circa €10.500 solo di sanzione infedele (70% di 15k) più eventualmente qualche altra migliaia di euro per RW (es. 3% su 50k = 1.500€ per anno, quindi max 7.500€, riducibile se sei in white list, ma comunque). Quindi potresti vederti recapitare un avviso per decine di migliaia di euro. Inoltre, se l’imposta evasa in uno qualsiasi degli anni supera la soglia penale, potresti avere anche un procedimento penale (per importi sopra 100k € su singolo anno, o se non hai proprio presentato la dichiarazione e l’imposta evasa annua supera 50k). Dunque le conseguenze possono essere pesanti: debito tributario elevato, sanzioni salate e rischio penale. La cosa migliore da fare, se sei in questa situazione, è agire prima che il Fisco ti scopra: valutare una regolarizzazione volontaria (ravvedimento operoso). Col ravvedimento pagheresti le imposte dovute con sanzioni ridotte di molto (ad esempio al 10% se fatto con qualche anno di ritardo) invece che 70%, e niente rischio penale perché sistemandoti non avresti superato soglie o dimostreresti buona fede. Se ormai il Fisco ti ha già inviato un avviso, resta la strada dell’accertamento con adesione per ridurre sanzioni (ridotte a 1/3) e rateizzare, oppure il ricorso per cercare di annullare in tutto o parte la pretesa (ad esempio facendo valere eventuali esenzioni da Convenzione o errori dell’ufficio).

D4: Non ero a conoscenza dell’obbligo, posso difendermi dicendo che non sapevo di dover dichiarare la pensione estera?
R: L’ignoranza della legge purtroppo non esime dalle sanzioni. La tesi di non essere stato a conoscenza dell’obbligo raramente viene accolta come scusante, perché gli obblighi fiscali sono pubblici e si presume che il contribuente debba informarsi. In alcuni casi particolari si è parlato di “obiettiva incertezza normativa” – ad esempio se una Convenzione era poco chiara e poteva indurre in errore – ma è difficile che riguardi la mancata dichiarazione di una pensione (ambito ben noto al fisco). Puoi sempre provare a spiegare, magari in sede di adesione o ricorso, che si è trattato di dimenticanza o errore non doloso, soprattutto per chiedere una riduzione delle sanzioni al minimo. Talvolta l’Amministrazione, se il contribuente è collaborativo, applica il minimo edittale. Ma una cancellazione totale delle sanzioni per buona fede è molto rara (avviene solo se c’è davvero incertezza normativa oggettiva, cosa che nelle pensioni – essendo espressamente disciplinate dalle Convenzioni e dalla legge – non ricorre spesso). Quindi non fare affidamento sulla giustificazione di non sapere. È molto meglio procedere a sanare spontaneamente: il ravvedimento operoso di per sé implica il riconoscimento dell’errore e porta a sanzioni ridotte per legge (non discrezionali). In giudizio, la buona fede potrebbe semmai evitarti la condanna alle spese se perdi, ma la sanzione in sé è dovuta. L’unica strada per abbatterla sarebbe dimostrare che c’era un contrasto interpretativo serio (ad esempio due interpretazioni equally possibili della Convenzione) tale da configurare incertezza del diritto – ma sono situazioni limite.

D5: Ho spostato la residenza all’estero (sono iscritto AIRE) ma ricevo ancora una pensione in Italia: l’Agenzia delle Entrate mi contesta che sono ancora residente in Italia e vuole tassarmi. Come difendersi?
R: Questo scenario è il contrario del solito (pensione estera a residente in Italia), ma è comunque frequente: italiani pensionati che si trasferiscono all’estero, magari in Paesi con fiscalità agevolata, e chiedono di non essere tassati in Italia sulla pensione italiana. L’Agenzia a volte può mettere in dubbio il trasferimento, sostenendo che la persona è rimasta di fatto residente in Italia. In questi casi, per difenderti devi provare di aver realmente trasferito la residenza fiscale all’estero. L’iscrizione all’AIRE è un punto a tuo favore (ed è obbligatoria per legge entro 90 giorni dal trasferimento). Ma come chiarito dalla Cassazione, non basta da sola: devi dimostrare che all’estero hai il tuo domicilio, interessi, famiglia, ecc., e di non avere più il centro degli affari in Italia. Documenti utili sono ad esempio: contratto di affitto o acquisto casa all’estero, bollette, certificato di residenza fiscale estero (magari rilasciato dall’autorità fiscale straniera, che attesti che ivi paghi le tasse come residente), eventuale lavoro o iscrizione al sistema sanitario locale, ecc. Se riesci a convincere che eri effettivamente residente fuori, allora in base alla Convenzione contro le doppie imposizioni la tua pensione italiana dovrebbe essere tassata solo nel Paese estero di residenza (salvo particolarità su pensioni pubbliche). Ad esempio, un italiano residente in Portogallo: la Convenzione dice che le pensioni private italiane vanno tassate solo in Portogallo. Quindi l’Italia dovrebbe rimborsare le imposte eventualmente trattenute qui. In molti casi di questo tipo, i contribuenti hanno vinto in Cassazione ottenendo ragione: se dimostri la residenza estera, l’Italia non può tassare le pensioni private e devi riavere indietro le ritenute. Dunque la chiave è documentare bene la residenza estera. Se invece l’Agenzia ha prove che stavi ancora in Italia (casa, attività, ecc.), allora rischi che venga confermata la residenza italiana e dovrai pagare le imposte italiane. Ogni caso è a sé, ma principi come iscrizione AIRE non decisiva da sola e certificato di residenza fiscale estero sufficiente per Convenzione (Cass. 30779/2023) ti aiutano. Consigliamo sempre di consultare un esperto per predisporre una difesa solida in questi frangenti.

D6: Devo inserire qualcosa nel Quadro RW per la pensione estera?
R: Dipende. Il Quadro RW serve a monitorare attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero. Il reddito pensionistico in sé non va indicato in RW (quello va nel quadro dei redditi, RC o similare). Ma se tu detieni all’estero il conto corrente o il deposito su cui la pensione viene accreditata, allora sì: devi compilare il RW per quel conto, indicandone il saldo e gli eventuali movimenti se richiesto. In pratica, se ogni mese la pensione arriva su un conto estero e magari poi li spendi, dovrai verificare il valore massimo raggiunto dal conto nell’anno e il valore al 31/12: se il massimo supera €15.000 (soglia per l’obbligo di monitoraggio) o se il saldo a fine anno supera la soglia prevista per esonero (attualmente €15.000, anche se l’esonero non vale se hai altre attività), devi dichiarare quel conto. Anche se le somme sul conto provengono da pensione già tassata (o esente), il monitoraggio è comunque richiesto. Se invece la pensione estera ti arriva su un conto italiano (ad es. accredito su banca italiana), allora non c’è attività estera da monitorare (perché i soldi sono già in Italia). Inoltre, se il conto estero ha consistenze piccole (sotto €15.000 per tutto l’anno) potresti essere esonerato dal RW – attenzione: la soglia è valutata sul complesso delle attività estere, e se hai più conti o investimenti vanno sommati. In ogni caso, dichiarare anche piccoli importi non fa male (evita rischi interpretativi). Ricorda che dal monitoraggio discende anche l’IVAFE (imposta sul valore dei conti esteri, una sorta di bollo estero dello 0,2% annuo): se il tuo conto all’estero supera €5.000 di giacenza media, dovresti anche pagare questo balzello (comunque poche decine di euro). In sintesi: RW va compilato se possiedi un conto o investimento all’estero, non per il reddito in sé. Ma poiché la maggior parte dei pensionati esteri percepisce tramite un conto, è molto facile che tu abbia tale obbligo. Non dimenticarlo, perché la sanzione RW è proporzionale (3-15% dell’importo) e può far male, anche se ravvedibile.

D7: L’Agenzia mi ha mandato una lettera in cui mi chiede chiarimenti sulla pensione estera che percepisco. Non è un avviso formale, cosa devo fare?
R: Devi considerarla un campanello di allarme e una opportunità al tempo stesso. La lettera (spesso definita “comunicazione per compliance” o invito a fornire dati) significa che il Fisco ha scoperto che percepisci una pensione dall’estero che non risulta (o risulta parzialmente) nella tua dichiarazione. Non ignorare mai queste lettere: se resti inerte, quasi certamente dopo qualche mese arriverà un accertamento vero e proprio, con imposte e sanzioni. Invece, agendo subito puoi limitare i danni. Hai due opzioni:

  • Se effettivamente non avevi dichiarato la pensione per errore, puoi regolarizzare spontaneamente. Questo avviene presentando una dichiarazione integrativa per l’anno o gli anni in questione, inserendo i redditi esteri dovuti, e facendo il ravvedimento operoso. Pagherai l’IRPEF arretrata con interessi (calcolati al tasso legale dal giorno in cui avresti dovuto versare) e sanzioni ridotte. Ad esempio, se sono passati 2-3 anni, la sanzione infedele minima (90%, ora 70%) viene ridotta a 1/8, cioè intorno all’8,75% – (col nuovo regime, 70%/8 = 8.75%). Quindi una sanzione molto bassa. L’Agenzia, vedendo questo, di solito non procede oltre perché hai adempiuto. Nella lettera spesso è indicato che puoi avvalerti del ravvedimento per sistemare. Fallo entro il termine indicato (tipicamente 30 giorni o 90 giorni). Otterrai la chiusura bonaria della faccenda.
  • Se invece ritieni di aver dichiarato correttamente, oppure che la pensione non fosse imponibile in Italia (ad esempio perché già tassata solo all’estero da Convenzione), allora rispondi alla lettera spiegando la situazione e allegando documenti. Ad esempio, se la lettera dice “ci risulta una pensione da Francia non dichiarata”, e tu non l’hai dichiarata perché la Convenzione con la Francia (ipotesi) la esenta, puoi rispondere citando l’articolo della Convenzione e allegando magari il certificato di residenza fiscale francese o ricevute di tassazione francese. O ancora, se pensi di non doverla dichiarare perché sotto soglia non imponibile, spiega il perché (anche se attenzione: in teoria qualunque pensione estera va dichiarata a prescindere dal suo importo, salvo restare sotto soglie di esenzione IRPEF generale). Fornire queste spiegazioni può convincere l’ufficio a non procedere con un accertamento formale, oppure se non altro a tenere conto dei tuoi argomenti.

In ogni caso non ignorare la comunicazione. Questo è fondamentale. Ignorarla verrebbe interpretato come inerzia e il passo successivo sarà un avviso con sanzioni piene. Se hai dubbi su come rispondere o su come fare il ravvedimento, coinvolgi un consulente (commercialista o tributarista): spesso hanno esperienza con queste lettere e sanno come predisporre la risposta o la correzione. Considera la lettera come un “aiuto” che il Fisco ti sta dando per rimediare con sanzioni ridotte – oggi c’è questa politica del compliance: prima di colpirti ti avvisano per darti chance di metterti in regola volontariamente. Sfruttala a tuo vantaggio.

D8: In passato c’è stata una “voluntary disclosure” per i redditi esteri. Posso ancora aderire ora?
R: Le procedure di voluntary disclosure sono state delle misure straordinarie (attuate nel 2015 e replicate nel 2017) che consentivano ai contribuenti di autodenunciare attività e redditi esteri non dichiarati, pagando le imposte dovute ma con un forte sconto sulle sanzioni e soprattutto con lo scudo penale (non perseguibilità per i reati fiscali connessi). Tali programmi però avevano delle scadenze ben precise e ad oggi non sono più aperti. L’ultima edizione si è chiusa nel luglio 2017. Attualmente (2025) non vi è una voluntary disclosure “ter” disponibile. Esisteva nel 2023 un ravvedimento speciale per alcune violazioni fino al 2021 (con sanzione ridotta a 1/18), ma riguardava solo violazioni dichiarative domestiche e non copriva l’omessa dichiarazione RW o i redditi esteri non dichiarati se non presentati affatto. Quindi, allo stato attuale, l’unico strumento utilizzabile è il ravvedimento operoso ordinario. Il ravvedimento, se fatto prima di notifica di atti, riduce sanzioni e ti mette in regola, ma non offre alcuno scudo penale: se hai commesso reati tributari, formalmente restano. Tuttavia, come detto, pagare prima aiuta molto a evitare guai seri. In sintesi, non c’è una procedura straordinaria attiva dove vai allo sportello e sistemi tutto forfettariamente; devi procedere autonomamente con integrative e pagamenti. Tieni d’occhio però eventuali novità normative: il governo potrebbe in futuro varare nuove edizioni se riterrà (si parla a volte di “voluntary bis” per crypto o estero, ma nulla di concreto per ora). Per adesso, la via è ravvedersi spontaneamente. In caso di accertamento già ricevuto, puoi valutare la definizione agevolata degli avvisi (se prevista dall’ultima legge di bilancio, es. quella 2023 permetteva di chiudere alcune liti pagando solo imposte). Queste misure variano di anno in anno: consulta un esperto o la normativa vigente al momento per vedere se c’è qualche “sanatoria” utilizzabile sul tuo caso. Ma non fare affidamento su possibili condoni futuri: la pianificazione migliore è regolarizzare subito con gli strumenti ordinari.

D9: Ho sentito parlare della flat tax 7% per pensionati che si trasferiscono in Italia al Sud: può aiutarmi nel mio caso?
R: Il regime opzionale del 7% è riservato ai nuovi residenti in Italia (provenienti da estero) titolari di pensione estera, che scelgono di vivere in piccoli comuni del Sud o in alcuni del Centro colpiti da spopolamento. Se tu sei già residente in Italia da tempo e stai subendo un accertamento per pensioni estere non dichiarate negli scorsi anni, quel regime non è applicabile retroattivamente. Avresti dovuto optare nel momento del trasferimento in Italia (o comunque nel primo anno di residenza italiana). Quindi, se la tua è una situazione pregressa, purtroppo non incide. Tuttavia, qualora tu non fossi mai stato iscritto all’AIRE e volessi “simulare” ora un trasferimento al Sud per chiedere 7% sugli anni futuri, sappi che il regime vale solo dal periodo d’imposta di opzione in avanti e non sana il passato. Potrebbe avere un senso se pensi di continuare a percepire la pensione estera e vuoi evitare ulteriori contenziosi in futuro: trasferendoti in un comune agevolato e optando per il 7%, pagherai un’imposta fissa bassa sul futuro e l’Agenzia avrà meno stimoli a controllarti, visto che comunque il 7% lo versi. Ma ribadiamo: per gli anni già trascorsi con residenza italiana ordinaria, il 7% non può essere applicato ora. Durante un’eventuale trattativa di adesione, al limite, puoi far presente che dal prossimo anno aderirai al 7% e chiedere all’ufficio di tenerne conto magari nel modulare sanzioni – ma formalmente non c’è collegamento. Dunque, per il tuo caso presente di accertamento, il regime 7% non offre una soluzione immediata. Rimane un’opportunità per il futuro, se ne hai i requisiti (non essere stato residente in Italia nei 5 anni precedenti l’opzione, trasferirsi in un comune con criteri richiesti, ecc.). Valuta questa strada con un professionista se la ritieni praticabile, ma affronta comunque il contenzioso attuale con gli strumenti ordinari.

D10: In caso di accertamento sulla pensione estera, è consigliabile pagare subito quanto richiesto o fare ricorso?
R: Dipende molto dalle circostanze del tuo caso. Pagare subito (acquiescenza) conviene se l’accertamento è sostanzialmente corretto, l’importo non è esorbitante per le tue finanze e preferisci chiudere la questione evitando spese ulteriori. Pagando entro 60 giorni dall’avviso, avrai la sanzione ridotta a 1/3 (già calcolata nell’atto spesso) e gli interessi calcolati fino a quel momento. Dovrai però pagare tutto in un’unica soluzione (o chiedere eventuale rateazione). Questa scelta ha il vantaggio della certezza e della riduzione sanzioni, ma ovviamente perdi ogni chance di contestare.

Se invece ritieni che l’accertamento sia errato o eccessivo, fare ricorso (o comunque non accettarlo subito) può essere opportuno. Ad esempio: se c’è di mezzo una Convenzione che ti dà ragione, o se l’ufficio non ti ha riconosciuto il credito per imposte estere e tu hai prove per aver diritto, o ancora se pensi che le sanzioni siano sproporzionate. In questi casi, presentando ricorso puoi ottenere l’annullamento totale o parziale dell’atto. Certo, il ricorso ha costi (tributari e legali) e tempi (anche anni se si va in Cassazione). Spesso si può trovare una via intermedia: adesione. Con l’accertamento con adesione puoi negoziare un po’ e magari convincere l’ufficio a riconoscerti qualcosa (es. una tassazione più favorevole, l’applicazione della Convenzione o il credito d’imposta, o almeno la riduzione di sanzioni). Se l’ufficio non concede nulla di ciò che chiedi, allora il ricorso resta l’unica via per far valere i tuoi diritti.

Va considerata anche la dimensione finanziaria: fare ricorso non sospende automaticamente l’obbligo di pagare. Devi chiedere la sospensione al giudice tributario, che la concede solo se c’è pericolo grave e fondato fumus (motivi validi). Altrimenti, dovrai intanto versare 1/3 delle imposte entro 60 giorni (questo è previsto per legge per evitare intoppi: se fai ricorso, devi comunque pagare provvisoriamente un terzo). Il resto rimane congelato fino a sentenza di primo grado. Quindi se l’importo è alto, considera che almeno una quota dovrai anticiparla comunque (salvo sospensioni).

In sintesi: paga subito se l’accertamento è fondato e vuoi la soluzione rapida con sconto; fai ricorso se hai buone ragioni di contestazione o se l’importo è così elevato che tentare di annullarlo (o ridurlo) vale il rischio. Spesso la scelta migliore è tentare la via dell’adesione: entro i 60 giorni chiedi il contraddittorio, vedi se ottieni un risultato soddisfacente (risparmio di imposte o sanzioni) e, in caso negativo, hai ancora 60 giorni per presentare ricorso. In questo modo non precludi nulla e provi la strada negoziale. Ricorda però di rispettare i termini: 60 giorni passano in fretta, non aspettare l’ultimo momento per decidere. Un bravo consulente ti aiuterà a valutare pro e contro alla luce del tuo caso specifico.

Esempi pratici e simulazioni

Di seguito proponiamo alcuni scenari ipotetici per illustrare come vengono calcolati imposte e sanzioni e quali difese si possono attuare in casi comuni.

Esempio 1 – Pensione estera privata non dichiarata, tassabile in Italia (Nessuna Convenzione favorevole):
Mario è residente fiscale in Italia e percepisce dal 2019 una pensione annuale di €15.000 da un fondo pensionistico privato negli Stati Uniti. Supponiamo che la Convenzione Italia-USA, per semplificazione, preveda la tassazione concorrente (in realtà stabilisce esclusiva residenza per le private, ma ipotizziamo che gli USA abbiano prelevato qualcosa). Su questa pensione, gli USA operano una ritenuta del 10% alla fonte ($1.500, circa €1.350). Mario però non dichiara nulla in Italia dal 2019 al 2022, pensando che basti la tassazione USA. Nel 2025 l’Agenzia delle Entrate, grazie ai dati finanziari, scopre i bonifici mensili esteri e avvia un accertamento per gli anni d’imposta 2019, 2020, 2021 e 2022. Ecco cosa succede:

  • Imposte: per ciascun anno, l’Italia avrebbe dovuto tassare €15.000. Poniamo che, considerando la sua aliquota marginale, l’IRPEF dovuta fosse il 23% (aliquota minima, ipotizzando Mario non avesse altri redditi rilevanti) sui 15.000 = €3.450 annui, più addizionali. L’Agenzia calcola circa €3.500 di imposte per ogni anno. Totale su 4 anni ≈ €14.000 di IRPEF evasa. (Nota: Mario avrebbe avuto diritto a credito per €1.350/anno di imposta USA, che però non avendo dichiarato, l’Ufficio non gli riconosce nell’atto).
  • Interessi: maturati su ciascuna annualità dal mid-2020 (per il 2019) etc., al tasso legale medio (diciamo 1% circa annuo), circa €70-100 per anno. Stimiamo €300 totali di interessi.
  • Sanzioni sui redditi: essendo dichiarazione infedele per omessa indicazione, sanzione al 70% di €14.000 = €9.800. Se l’ufficio applicasse il vecchio regime (90-180%), sarebbe peggio, ma nel 2025 applica il 70%. Non c’è aggravante estero (abolita). Tuttavia, poiché Mario non ha mai menzionato quei redditi, l’Ufficio potrebbe – erroneamente – trattare il 2019 come omessa dichiarazione se, ipotesi, Mario quell’anno non ha proprio presentato il Modello Redditi. In tal caso, per il 2019 la sanzione sarebbe 120-240%. Supponiamo però che Mario presentasse comunque la dichiarazione (magari con solo redditi italiani minori), quindi è infedele, non omessa.
  • Sanzioni RW: Mario aveva l’obbligo di dichiarare il conto USA dove arrivava la pensione (diciamo un conto con saldo medio ~€5.000). Non avendolo fatto, per ciascun anno 2019-2022 si applica 3-15% del valore medio (diciamo €5k). Al minimo 3% fa €150 per anno. Totale €600 (se paese white list; se fosse black list, il doppio).

Totale accertamento: circa €14.000 imposte + €300 interessi + €9.800 sanzione infedele + €600 sanzioni RW = €24.700 circa. Mario riceve l’avviso con questi importi. È molto oneroso, quasi due anni di pensione!

Difesa: Mario consulta un tributarista. Purtroppo la Convenzione Italia-USA sulle pensioni private prevede la tassazione solo in Italia (nel nostro scenario reale), quindi l’Agenzia ha anche ragione sul merito (doveva dichiarare tutto qui). Tuttavia, vi è margine per ridurre il danno:

  • Mario può aderire all’accertamento chiedendo almeno di riconoscere il credito d’imposta per i $1.500 annui pagati agli USA. Se l’ufficio è disponibile, potrebbe stornare ~€5.400 dal totale imposte (1.350€ x 4), riducendo l’imposta evasa a €8.600. La sanzione infedele allora scende a 70% di 8.6k = €6.020. Totale nuovo ~ €8.600 + €6.020 + interessi + RW (€600) ≈ €15.800.
  • Inoltre, in adesione, le sanzioni possono essere abbassate di 1/3. Dunque la sanzione infedele effettiva diventerebbe €4.000 circa invece di 6.020. Totale finale ~ €8.600 + €4.000 + €600 + interessi ≈ €13.500.

Mario valuterebbe se €13.5k è accettabile. Alternativamente, se l’ufficio non riconosce il credito (dicendo “dovevi pensarci prima, art.165 c.8”), Mario può decidere di fare ricorso invocando la spettanza del credito e la violazione della Convenzione (che in effetti prevede credito, nonostante l’omessa dichiarazione). La vittoria non è certa, ma potrebbe spuntare almeno il credito. Nel ricorso Mario potrebbe anche chiedere la non applicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza (poca chance) o quantomeno la riduzione per sproporzione del 15% RW.

In conclusione, questo esempio mostra che, a fronte di un omesso di €15k annui, l’esborso può essere molto elevato (~€25k). Se Mario avesse fatto ravvedimento prima di essere scoperto (ad esempio nel 2022 si pente e integra 2019-2021): avrebbe pagato €14k imposte + interessi modesti + sanzione ridotta 1/8 (all’epoca 90%, quindi 11.25%) = ~€1.575, e per RW magari €150 a anno ridotti 1/8 = €75 totale. Quindi ~€16.000 in tutto, quasi €9.000 in meno e niente ansia. La differenza la fanno le sanzioni piene applicate dopo l’accertamento.

Esempio 2 – Pensione estera pubblica non dichiarata, tassabile solo all’estero (Convenzione favorevole):
Luisa è cittadina tedesca, vedova di un ex dipendente statale tedesco, residente in Italia dal 2020 (si è trasferita per stare vicino ai figli). Percepisce una pensione di reversibilità dal Governo tedesco di €12.000 annui. Convinta che, trattandosi di pensione statale tedesca, non vada dichiarata in Italia, Luisa non l’ha indicata nei Redditi 2020 e 2021. In effetti la Convenzione Italia-Germania prevede che le pensioni pubbliche siano imponibili solo nello Stato che le eroga, a meno che il beneficiario non sia cittadino anche dell’altro Stato. Luisa ha solo cittadinanza tedesca, dunque la sua pensione, secondo l’art. 19 della Convenzione, è tassabile esclusivamente in Germania (infatti la Germania le trattiene già l’imposta alla fonte). Nel 2022 però l’Agenzia invia a Luisa una comunicazione: risulta questa pensione estera non dichiarata. Cosa deve fare Luisa?

Luisa dovrebbe rispondere allegando il certificato di residenza fiscale in Italia e dichiarando la sua cittadinanza tedesca, richiamando l’art. 19 della Convenzione italo-tedesca. In questo modo fa presente che la pensione è stata erroneamente omessa ma comunque non soggetta a IRPEF italiana. L’Agenzia, verificati i requisiti (Luisa iscritta AIRE? Sì, dal 2020; cittadinanza solo tedesca? Sì; pensione effettivamente ex pubblico? Sì, è del Governo federale), dovrebbe archiviare la posizione o al più emettere un provvedimento di “accertamento con esito nullo”. Luisa non dovrà pagare imposte né sanzioni sui redditi, poiché nessun tributo era dovuto. Al limite potrebbe ricevere una sanzione formale per omessa dichiarazione di un reddito esente, ma trattandosi di reddito non imponibile per legge, generalmente non si applica alcuna sanzione (non c’è imposta evasa, quindi infedele no; e l’omissione RW? se aveva il conto estero, forse sì). Se Luisa aveva fatto accreditare la pensione su un conto tedesco, tecnicamente avrebbe dovuto compilare il Quadro RW per quel conto. Su questo punto, l’Agenzia potrebbe contestarle la mancata compilazione RW (sanzione 3-15%). Se il conto aveva, supponiamo, €10.000 di saldo medio, la sanzione minima sarebbe €300 per anno. Luisa potrà ravvedersi presentando ora il RW per gli anni passati e pagando ad esempio 1/8 del 3%, cioè lo 0,375% di 10k = €37,5 per anno. Importi modesti.

Quindi: esito per Luisa – nessuna imposta dovuta, pensione confermata esente in Italia grazie alla Convenzione; chiusura accertamento senza recupero. Solo attenzione al monitoraggio: sana il RW per evitare penalità (in caso di controllo formale). Cassazione ha statuito in casi simili (es. Cass. 21684/2023) che l’Italia deve rimborsare eventuali ritenute e non può pretendere nulla. Nel caso di Luisa non c’erano neppure ritenute italiane, quindi tutto a posto.

Esempio 3 – Ravvedimento operoso su pensione estera dimenticata:
Giovanni, cittadino italiano residente in Italia, ha lavorato qualche anno in Svizzera e matura una piccola pensione Svizzera (AVS) di 300 CHF al mese. Rientrato in Italia, dal 2021 riceve sul suo conto svizzero circa 3.600 CHF l’anno (circa €3.300) di rendita AVS. Non la dichiara nel 2021 perché non sapeva come fare. Nel 2022 scopre che avrebbe dovuto indicarla. La Convenzione Italia-Svizzera prevede che le rendite AVS non vadano dichiarate in Italia poiché tassate alla fonte svizzera. Effettivamente la Svizzera trattiene un’imposta su quei 300 CHF. Quindi Giovanni, in teoria, non deve IRPEF su quei 3.300 €. Tuttavia, formalmente l’istruzione al Modello Redditi dice che le rendite AVS non vanno indicate affatto (perché già tassate e non imponibili). Quindi Giovanni non ha violato una norma sostanziale (nessuna imposta evasa), ma potrebbe stare tranquillo. Potrebbe però esserci confusione: magari un funzionario poco esperto vede il bonifico AVS e pensa che è pensione estera da tassare (ignorando la particolarità). Per scrupolo, Giovanni può valutare di presentare una dichiarazione integrativa per il 2021 indicando in un quadro apposito quei 3.300 € come “redditi esenti per Convenzione” o semplicemente lasciandoli fuori visto che non vanno dichiarati. Più utile è regolarizzare il Quadro RW: Giovanni aveva sul conto svizzero quelle somme; se il saldo ha superato €15.000 (forse no, essendo piccola la pensione), potrebbe comunque presentare RW per dichiarare il conto, a titolo di ravvedimento. Vista l’esiguità, se il saldo era, poniamo, €5.000, sotto soglia, era esonerato. Dunque nessuna sanzione in pratica. In conclusione, Giovanni è un caso dove, pur avendo omesso una pensione estera, nessuna conseguenza concreta si materializza: la pensione è esente in Italia (per Convenzione) e di importo modesto, le soglie monitoraggio forse non lo obbligavano nemmeno al RW. Anche qualora arrivasse un controllo automatico, basterà rispondere che trattasi di rendita AVS svizzera e la questione decade.

Esempio 4 – Calcolo sanzioni e soglie penali:
Angelo ha percepito per anni una pensione integrativa estera molto alta senza dichiararla. Nel 2018 non ha dichiarato €200.000 di rendita da un trust pensionistico estero. L’imposta evasa per quell’anno è di circa €80.000. Questo valore non supera la soglia penale di 100k, quindi nessun reato per il 2018. Le sanzioni amministrative sono comunque 70% = €56.000 (oltre imposte). Nel 2019 Angelo non dichiara €300.000 di pensione (magari perché scatta una capitalizzazione): imposta evasa €120.000. Qui supera 100k: scatta il reato di dichiarazione infedele punibile penalmente. La sanzione amministrativa è 70% = €84.000. Il Fisco avvia l’accertamento per 2018-2019-2020. Angelo, vedendo la mala parata, decide di patteggiare in adesione: paga tutte le imposte e le sanzioni ridotte a 1/3 (quindi ~23% di imposta). Per il penale: avendo pagato tutto, in sede di giudizio potrà ottenere probabilmente la sospensione condizionale e una pena minima. Se avesse continuato a non dichiarare per più anni oltre soglia, i guai sarebbero aumentati. Questo per dire: per importi imponenti conviene subito sanare.

Conclusione

L’accertamento sulle pensioni estere è un ambito insidioso in cui si intersecano norme nazionali, trattati internazionali, obblighi dichiarativi e aspetti sanzionatori sia pecuniari che (in casi estremi) penali. Dal punto di vista del contribuente (debitore) è essenziale adottare un approccio proattivo e informato: conoscere i propri obblighi, tenersi aggiornati sulle regole (che come abbiamo visto sono state oggetto di modifiche recenti, ad esempio nelle sanzioni), e soprattutto non ignorare eventuali segnali d’allarme inviati dal Fisco. Difendersi è possibile e spesso fruttuoso, specie quando si hanno valide ragioni (ad esempio l’applicazione di una Convenzione che esenta la pensione). Le Commissioni tributarie e la Corte di Cassazione, in anni recenti, hanno più volte dato ragione ai contribuenti nelle controversie su pensioni estere, ribadendo principi di giustizia tributaria (no alla doppia tassazione in violazione dei trattati, rispetto della residenza effettiva, proporzionalità delle sanzioni). Ciò significa che chi subisce un accertamento sbagliato ha buone chance, con un’adeguata difesa, di veder riconosciuti i propri diritti.

Allo stesso tempo, però, il contribuente deve riconoscere quando invece la pretesa fiscale è fondata: in questi casi ostinarsi in battaglie perse può solo aggravare la posizione (aggiungendo spese legali e interessi). Meglio optare per soluzioni deflattive: adesione, ravvedimento, pagamento agevolato, e in generale dialogo con l’Ufficio. Il sistema tributario offre strumenti per ridurre le sanzioni se si collabora o se si sana spontaneamente. Come abbiamo calcolato, la differenza tra essere proattivi e subire passivamente può essere di decine di punti percentuali di sanzione (o addirittura il rischio di incorrere in reato).

In conclusione, “Come difendersi” in materia di pensione estera significa prima di tutto prevenire (dichiarando regolarmente i redditi esteri, chiedendo consulenza su dubbi, sfruttando eventuali regimi agevolati come il 7% se ci si trasferisce), e in secondo luogo reagire con tempestività e competenza in caso di contestazione. Conoscere le regole del gioco – dalla normativa interna alle prassi internazionali – è la migliore arma per un contribuente informato. E qualora la situazione degeneri in un contenzioso, non scoraggiarsi: armarsi di documentazione e magari affidarsi a professionisti esperti in fiscalità internazionale potrà fare la differenza tra una sconfitta onerosa e un successo (totale o almeno parziale) a tutela del proprio patrimonio. Il punto di vista del debitore, in queste vicende, deve essere lucido e documentato: come abbiamo visto, vi sono casi in cui far valere un certificato di residenza estero o una clausola convenzionale può azzerare la pretesa fiscale. Il Fisco italiano, dal canto suo, dispone di tempi lunghi (fino a 8 anni) e di molte informazioni per scovare redditi non dichiarati: sottovalutarlo sarebbe un errore. Meglio giocare d’anticipo, rispettare gli obblighi e, se serve, negoziare soluzioni sostenibili.

In definitiva, difendersi significa conoscere i propri doveri (così da non sbagliare) e i propri diritti (così da non pagare oltre il dovuto). Con questa guida avanzata speriamo di aver fornito un quadro completo di entrambe le facce della medaglia, aiutando sia i contribuenti sia i loro consulenti a orientarsi e a scegliere le mosse giuste in materia di pensioni estere e fisco italiano.


Fonti e Riferimenti

  1. Agenzia delle Entrate – Risposta a interpello n. 40/2019 (12 febbraio 2019)Tassazione pensione estera. Pubblicata su portale AE, riprodotta da Studio Cerbone. Chiarisce il principio di tassazione in Italia delle pensioni estere per residenti e illustra l’applicazione della Convenzione Italia-UK sulle pensioni (art. 18), con assimilazione a redditi di lavoro dipendente.
  2. D.P.R. 22/12/1986 n. 917 (TUIR) – Articoli 3, 49, 165. Principi generali sulla tassazione dei residenti (worldwide principle), definizione di pensioni come redditi di lavoro dipendente, disciplina del credito d’imposta per imposte estere (in particolare co. 8 art. 165 sul diniego del credito in caso di omessa dichiarazione).
  3. CAF ACLI – Guida “Il trattamento fiscale delle pensioni estere” (agg. 2025). Articolo divulgativo avanzato che elenca le regole generali di tassazione delle pensioni estere per residenti italiani, con indicazione di eccezioni (pensioni pubbliche di soggetti con sola cittadinanza estera, rendite AVS svizzere, pensioni estere di invalidità analoghe INAIL) e un prospetto delle Convenzioni con vari Paesi (UK, USA, Germania, Canada, Svizzera etc.).
  4. Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni – in particolare: Convenzione Italia-Germania, Convenzione Italia-Regno Unito, Convenzione Italia-Svizzera, Convenzione Italia-Turchia, Convenzione Italia-USA. Riferimenti normativi: art. 18 e 19 Modello OCSE. Esempi applicativi: Cass. 10308/2024 sul Trattato Italia-Turchia, interpello AE 2019 sul Trattato Italia-UK.
  5. Corte di Cassazione – Sez. Trib. – ord. n. 30779 del 6/11/2023“Rimborso di ritenute: la certificazione di residenza fiscale attesta anche l’assoggettamento all’imposta estera”. Massimata da Osservatorio Giustizia Trib.. Conferma che per fruire dei benefici convenzionali (esenzione/rimborso) il contribuente deve provare la residenza estera (tax liability), non l’avvenuta doppia tassazione effettiva, e che il certificato di residenza fiscale estero è prova sufficiente. Caso relativo a pensione INPS pagata a residente in Svizzera (Convenzione Italia-Svizzera artt. 18 e 29).
  6. Corte di Cassazione – Sez. Trib. – sent. n. 10308 del 16/04/2024 – analizzata in Osservatorio Fiscalità Intern.. Riguarda pensione italiana erogata a residente in Turchia: la Cassazione ribadisce che, ai sensi dell’art. 18 Convenzione Italia-Turchia, la tassazione spetta solo allo Stato di residenza (Turchia) e che per ottenere il rimborso in Italia non serve dimostrare la tassazione effettiva in Turchia, essendo sufficiente l’astratta imponibilità in quel Paese.
  7. Corte di Cassazione – Sez. Trib. – ord. n. 21684 del 20/07/2023 – (principio analogo a Cass. 3343/2023) citata da fonti giurisprudenziali. Riguarda pensione privata italiana percepita da residente in Portogallo nel regime di esenzione portoghese: confermato il diritto al rimborso delle imposte italiane perché la Convenzione attribuisce potestà esclusiva al Portogallo, a nulla rilevando che il Portogallo abbia esentato il reddito.
  8. Corte di Cassazione – Sez. Trib. – sent. n. 28072 del 5/10/2023 – (Commento in Commercialista Telematico, 17/10/2023). Chiarisce i presupposti della residenza fiscale in un caso di omessa dichiarazione RW. Ribadito che l’iscrizione all’AIRE non basta da sola a escludere la residenza in Italia se sussistono indici di permanenza; va valutato il centro degli interessi. Caso di contribuente che si dichiarava residente in Spagna ma aveva ingenti attività in San Marino/Lussemburgo: la Cassazione ha valutato i criteri di collegamento (esito: uno degli anni ritenuto residente estero, l’altro no, a seconda delle prove).
  9. Normativa di riferimento e prassi: D.Lgs. 471/1997 (sanzioni tributarie non penali) art. 1 co.1-3 e art. 5 D.L. 167/90 (sanzioni monitoraggio); D.Lgs. 74/2000 artt. 4 e 5 (reati di dichiarazione infedele e omessa) con soglie €100k e €50k; Circolare Ag. Entrate 10/E del 13/03/2015 (voluntary disclosure internazionale) in cui si rammenta l’estensione termini accertamento per attività estere; Provv. Ag. Entrate prot. 2013/84404 (menzionato dalla Cass. 30779/23) che definisce requisiti certificazioni di residenza estere per applicare le Convenzioni. Additional reference: Legge 178/2020 (Legge Bilancio 2021) e 197/2022 (LB 2023) per eventuali definizioni agevolate ravvedimento speciale etc., se pertinenti al momento.

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