Lettera Di Compliance Per Conto Paypal Non Registrato: Come Difendersi

Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate per un conto PayPal non dichiarato? Ti segnalano movimenti sospetti o redditi non inseriti in dichiarazione e ti chiedono di regolarizzare? Ti stai chiedendo se sei obbligato a dichiarare un conto estero come PayPal e come difenderti da contestazioni o accertamenti futuri?

Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha iniziato a incrociare i dati di piattaforme digitali e conti online. E i conti PayPal, pur non essendo vere e proprie banche, sono spesso considerati conti esteri ai fini del monitoraggio fiscale. Questo significa che vanno inseriti nel quadro RW, se superano certe soglie o se movimentati per determinate attività.

Quando il conto PayPal deve essere dichiarato?
– Se è intestato a persona fisica residente in Italia
– Se è utilizzato per ricevere pagamenti, vendite, compensi, donazioni o incassi da attività commerciali
– Se contiene un saldo medio annuo superiore a 15.000 euro o è stato utilizzato in modo professionale o continuativo
– Se collegato ad attività estere o piattaforme di e-commerce (eBay, Etsy, Amazon, Vinted, OnlyFans, ecc.)

Cosa contesta l’Agenzia nella lettera di compliance?
Mancata compilazione del quadro RW (monitoraggio fiscale)
Mancata dichiarazione dei redditi percepiti tramite PayPal
Presunta attività commerciale non dichiarata
– Utilizzo del conto come conto corrente non tracciato
Incongruenze tra i movimenti PayPal e quanto riportato in dichiarazione

Cosa puoi fare per difenderti?
– Verifica se il conto era effettivamente soggetto a obbligo di dichiarazione
– Valuta se i movimenti erano personali, occasionali o irrilevanti fiscalmente
– Recupera l’estratto conto annuale di PayPal (da scaricare nella sezione attività del profilo)
– Se hai omesso per errore, puoi procedere con il ravvedimento operoso:
Presenti il quadro RW in ritardo
– Paghi una sanzione ridotta
– Eviti accertamenti formali o penali
– Se la contestazione è infondata, puoi rispondere con una memoria difensiva, dimostrando:
– La natura non imponibile dei movimenti
– L’uso personale o familiare del conto
– L’assenza di attività abituale o commerciale

Cosa rischi se non regolarizzi o non rispondi?
– Un avviso di accertamento per redditi non dichiarati
Sanzioni fino al 15% del saldo del conto estero per omessa compilazione RW
Sanzioni per omessa dichiarazione dei redditi percepiti
– Nei casi più gravi, denuncia per evasione fiscale o riciclaggio

Cosa puoi ottenere se agisci tempestivamente e con le giuste argomentazioni?
Annullamento della richiesta, se il conto non era soggetto a obbligo
Regolarizzazione spontanea con sanzioni ridotte
Nessun impatto penale né iscrizione a ruolo
Tutela dell’accesso a future agevolazioni fiscali

Molti contribuenti non sanno che PayPal può essere considerato un conto estero ai fini fiscali, ma l’ignoranza non sempre ti salva dalle sanzioni. Tuttavia, la legge prevede strumenti di difesa e regolarizzazione, a condizione di agire per tempo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e contenzioso tributario ti spiega come difenderti da una lettera di compliance per un conto PayPal non dichiarato, quando sei obbligato a indicarlo e cosa puoi fare per evitare sanzioni.

Hai ricevuto una segnalazione per un conto PayPal non registrato? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua situazione e ti diremo se e come puoi regolarizzare, difenderti o chiudere la posizione in modo sicuro.

Introduzione

Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate sta intensificando i controlli sui redditi e patrimoni detenuti all’estero dai contribuenti italiani. Una delle situazioni sempre più frequenti è il ricevimento di una “lettera di compliance” relativa a un conto PayPal non dichiarato. Si tratta di una comunicazione con cui il Fisco segnala al contribuente la possibile omissione di informazioni nella dichiarazione dei redditi – in questo caso, la mancata indicazione di un conto PayPal estero – invitandolo a regolarizzare spontaneamente la propria posizione. Questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, fornisce un quadro completo sugli obblighi fiscali connessi a conti PayPal esteri, sulle sanzioni previste in caso di omessa dichiarazione e sulle possibili strategie difensive dal punto di vista del contribuente (debitore). Il taglio è tecnico-giuridico ma con stile divulgativo, rivolto sia a professionisti (avvocati tributaristi, dottori commercialisti) sia a privati e imprenditori che si trovino ad affrontare tale problematica.

Cosa troverete in questa guida:

  • Un chiarimento su cosa sono le lettere di compliance dell’Agenzia delle Entrate e perché vengono inviate in relazione a conti PayPal non dichiarati.
  • Il quadro normativo di riferimento sugli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW) per conti correnti esteri e strumenti finanziari detenuti all’estero, con focus sul conto PayPal: quando va dichiarato e quali imposte comporta (ad es. IVAFE).
  • Le violazioni e sanzioni applicabili in caso di omessa dichiarazione di un conto estero, evidenziando che si tratta di violazioni sostanziali (non mere irregolarità formali) e riportando le più recenti pronunce giurisprudenziali (Cassazione 2021–2025).
  • Indicazioni pratiche su come reagire alla lettera di compliance: dalla verifica dei dati alla raccolta dei documenti, fino alla regolarizzazione spontanea tramite dichiarazione integrativa e ravvedimento operoso (con sanzioni ridotte).
  • Una disamina dei profili difensivi qualora la fase di compliance non si chiuda positivamente e si giunga a un avviso di accertamento: come affrontare un eventuale accertamento con adesione (negoziando col Fisco per ridurre sanzioni) o, in ultima istanza, il contenzioso tributario dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria. Ci soffermeremo sulle possibili argomentazioni difensive (es. soglie di esenzione non superate, incertezza normativa su PayPal, cumulo giuridico delle sanzioni su più anni, ecc.) suffragate dalla giurisprudenza più autorevole.
  • Tabelle riepilogative per avere a colpo d’occhio: (i) le soglie e condizioni che fanno scattare l’obbligo dichiarativo per conti esteri (incluse specificità del conto PayPal), (ii) le varie tipologie di sanzioni amministrative con le relative percentuali e riduzioni in caso di ravvedimento o adesione, (iii) le differenze procedurali tra regolarizzazione spontanea, adesione e ricorso.
  • Simulazioni pratiche basate su casi reali semplificati (tutti in ambito italiano) per illustrare cosa succede in situazioni tipiche: ad esempio, un conto PayPal estero di modesta entità sotto soglia, un conto PayPal cospicuo non dichiarato ma alimentato da redditi già tassati, un conto PayPal usato per vendite online non dichiarate al Fisco, ecc. Vedremo l’esito in termini di sanzioni dovute con ravvedimento versus in caso di accertamento, e possibili strategie di difesa.
  • Una sezione finale di Domande e Risposte (FAQ) che affronta i dubbi più frequenti: “Quanto tempo ho per rispondere?”, “Cosa succede se ignoro la lettera?”, “Se il conto aveva pochi soldi devo comunque dichiararlo?”, “Il conto PayPal va sempre indicato nel quadro RW?”, “Rischio il penale?” e così via, fornendo risposte chiare e riferimenti normativi.

Al termine, un elenco di fonti normative, prassi e sentenze citate nel testo permetterà di approfondire o verificare i riferimenti di legge e le decisioni giurisprudenziali menzionate.

Nota sul metodo: per favorire la leggibilità, i concetti saranno esposti in paragrafi brevi (3-5 frasi) e organizzati con intestazioni logiche. Verranno utilizzati elenchi puntati e tabelle per riassumere i punti chiave. Il linguaggio mantiene la precisione giuridica (con indicazione di articoli di legge e pronunce) ma è reso comprensibile grazie a spiegazioni esplicative. L’obiettivo è fornire una guida operativa avanzata, dal taglio pratico, che metta il lettore – contribuente o consulente – in condizione di capire come difendersi efficacemente di fronte a una lettera del genere, evitando errori e sanzioni sproporzionate.

Cosa sono le lettere di compliance e perché il Fisco scrive ai titolari di conti PayPal esteri

Le lettere di compliance (o lettere di compliance fiscale) sono comunicazioni inviate dall’Agenzia delle Entrate per segnalare al contribuente anomalie o possibili errori nella dichiarazione dei redditi, prima di avviare un formale accertamento. In sostanza, il Fisco “avverte” il cittadino che dai dati in suo possesso risultano discrepanze – ad esempio redditi non dichiarati, conti esteri non segnalati, oneri detraibili incongruenti, ecc. – invitandolo a verificare e correggere spontaneamente la propria posizione. Queste lettere rientrano in una strategia di compliance cooperativa, volta a favorire la regolarizzazione immediata dei contribuenti senza ricorrere a sanzioni piene o contenziosi, se gli stessi correggono l’errore in tempi brevi. Non si tratta quindi di un atto impositivo, ma di un invito bonario: nessuna sanzione è (ancora) irrogata e non vi è un obbligo formale di risposta entro termini perentori, anche se è altamente consigliato intervenire tempestivamente per evitare l’escalation a un accertamento vero e proprio.

Nel caso in esame, la lettera di compliance riguarda un conto PayPal non registrato in dichiarazione. In genere, la comunicazione riporta che, in base alle informazioni disponibili all’Agenzia (spesso provenienti da segnalazioni estere o incroci di dati finanziari), il contribuente risulta titolare di un conto o portafoglio PayPal all’estero non dichiarato nel quadro RW delle dichiarazioni dei redditi di uno o più anni passati. Viene quindi chiesto al contribuente di verificare tale circostanza e, se confermata, di provvedere a sanare l’omissione presentando le dichiarazioni integrative e versando quanto dovuto (imposte e sanzioni ridotte per tempestiva collaborazione).

Perché il Fisco si interessa ai conti PayPal esteri? PayPal (Europe) è un istituto finanziario con sede in Lussemburgo, autorizzato come banca dall’autorità lussemburghese. Di conseguenza, i saldi e le transazioni su conti PayPal rientrano nel novero delle attività finanziarie detenute all’estero da contribuenti italiani. Negli ultimi anni l’Agenzia ha ottenuto l’accesso a tali informazioni tramite accordi di scambio automatico di informazioni finanziarie internazionali, in particolare il Common Reporting Standard (CRS) promosso dall’OCSE e recepito in UE (DAC2). In base a questi accordi, banche e intermediari esteri (inclusi molti operatori fintech) comunicano annualmente ai rispettivi Stati i dati dei conti detenuti da residenti fiscali esteri; così il Lussemburgo invia all’Italia i dati dei conti PayPal intestati a soggetti italiani. Questo significa che un conto PayPal di un italiano, se ha determinate caratteristiche (ad esempio saldo significativo), non è affatto invisibile al Fisco italiano. Anche importi relativamente modesti, inferiori a 15.000€, possono emergere tramite CRS se segnalati dagli intermediari. L’esperienza pratica indica che l’Agenzia concentra i controlli su anomalie di una certa rilevanza; tuttavia, la somma di più conti piccoli o movimentazioni sospette possono comunque far scattare l’alert. In ogni caso, il principio guida è: se il contribuente ha omesso di dichiarare un’attività estera dovuta, la lettera di compliance offre la chance di rientrare in regola volontariamente, evitando sanzioni più pesanti.

Vale la pena sottolineare che l’Agenzia invia queste lettere tramite PEC (Posta Elettronica Certificata) all’indirizzo digitale del contribuente, oppure via posta raccomandata se non c’è PEC attiva. Spesso, oltre alla lettera, viene messo a disposizione online (nell’area riservata del sito dell’Agenzia) un fac-simile di risposta o comunque i canali per fornire chiarimenti. Ad esempio, potrebbe essere indicato un indirizzo email dell’ufficio accertatore a cui inviare eventuali documenti giustificativi o spiegazioni. Non è un interrogatorio né una convocazione fisica: il contribuente può scegliere di rispondere per iscritto o direttamente procedere alla correzione della dichiarazione.

Esempio di lettera: tipicamente l’oggetto può essere “Invito a regolarizzare attività finanziarie estere non dichiarate – conto PayPal”. Nel testo si leggerà qualcosa come: “Gentile contribuente, da informazioni acquisite tramite l’accordo internazionale CRS risulta che Lei detiene il seguente rapporto finanziario all’estero non indicato nelle Sue dichiarazioni: conto PayPal n. XXXX, Paese Lussemburgo, saldo al 31/12/20XX €…, saldo massimo nell’anno €… . La invitiamo a verificare la correttezza dei dati dichiarativi e, se necessario, a presentare dichiarazione integrativa per l’anno d’imposta …, avvalendosi del ravvedimento operoso per ridurre le sanzioni. Qualora i dati in nostro possesso non fossero corretti o il conto rientrasse in cause di esonero dall’obbligo dichiarativo, La preghiamo di fornire idonei elementi di riscontro.” In allegato possono essere fornite istruzioni sul ravvedimento e un prospetto del calcolo delle eventuali imposte (es. IVAFE) non versate.

In sintesi, la lettera è un avviso bonario che offre al contribuente l’opportunità di difendersi attivamente e sistemare l’irregolarità senza incorrere subito in pesanti sanzioni. Nei paragrafi che seguono approfondiremo gli obblighi fiscali relativi ai conti PayPal esteri e cosa comporta non rispettarli, per poi illustrare come muoversi concretamente dopo aver ricevuto la comunicazione, sia nella fase di collaborazione volontaria sia, eventualmente, nella fase contenziosa.

Obblighi fiscali sui conti esteri: il monitoraggio nel quadro RW e l’IVAFE

Prima di esaminare come difendersi, occorre capire quali obblighi fiscali si applicano ai conti PayPal detenuti all’estero. In Italia vige la normativa sul monitoraggio fiscale delle attività estere (introdotta dal D.L. 167/1990 e successive modifiche), che impone a taluni soggetti residenti di dichiarare ogni anno le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero. Il fulcro di tale obbligo è il quadro RW della dichiarazione dei redditi, dove vanno riportati investimenti, conti e altre attività estere possedute nel corso dell’anno.

Soggetti obbligati e attività oggetto di monitoraggio

Sono tenuti al monitoraggio fiscale tutti i soggetti fiscalmente residenti in Italia (persone fisiche, enti non commerciali e società semplici) che detengono attività estere di natura finanziaria o patrimoniale potenzialmente idonee a produrre redditi imponibili in Italia. La condizione è la residenza fiscale: un cittadino iscritto all’AIRE o comunque non residente non deve dichiarare i propri esteri al fisco italiano (salvo che sia contitolare con residenti). Invece, un residente deve monitorare anche attività che non abbiano effettivamente prodotto redditi nell’anno, se per loro natura potrebbero generarli (esempio tipico: un conto corrente estero infruttifero va comunque dichiarato, perché potenzialmente produttivo di interessi).

E per le società? Le società di capitali (S.p.A., S.r.l.) e gli enti commerciali non compilano il quadro RW, che è riservato a persone fisiche, enti non commerciali e società semplici. Ciò non significa però che possano occultare liberamente conti esteri: semplicemente, per le società gli obblighi di trasparenza sulle disponibilità estere passano attraverso le scritture contabili e il bilancio. In pratica, una società residente che detiene un conto all’estero deve comunque evidenziarlo a bilancio (attività finanziaria) e dichiararne i frutti nelle dichiarazioni ordinarie. L’omessa contabilizzazione configura altre violazioni (omessa dichiarazione di redditi, fondi neri, ecc.) potenzialmente anche penalmente rilevanti. Quindi la lettera di compliance su conti esteri tipicamente riguarda persone fisiche, ma in teoria anche una società che occultasse un conto PayPal potrebbe subire un accertamento (non via quadro RW, bensì come verifica di bilancio e ricavi). In questa guida, comunque, ci concentriamo sul profilo delle persone fisiche residenti.

Quali attività estere vanno dichiarate in RW? Il campo è molto ampio: conti correnti bancari, depositi, partecipazioni in società estere, titoli, fondi, polizze assicurative finanziarie estere, immobili esteri, metalli preziosi detenuti all’estero, criptovalute su exchange esteri, ecc.. In generale “le attività estere di natura finanziaria o patrimoniale” detenute all’estero dal residente devono essere monitorate. Anche uno strumento fintech come un conto PayPal rientra in questa definizione, in quanto comporta la disponibilità all’estero di somme di denaro (disponibilità liquide) su un conto di pagamento. Il fatto che PayPal sia collegato a carte o conti italiani non cambia la sostanza: i fondi possono essere conservati sul saldo PayPal, che resta depositato presso un’entità estera (la banca lussemburghese di PayPal). Pertanto, un conto PayPal è a tutti gli effetti assimilabile a un conto corrente estero, potenzialmente soggetto agli obblighi RW.

Va menzionato che in passato si è discusso sulla natura del conto PayPal. Due tesi si contrapponevano:

  • Prima tesi: PayPal è un conto estero vero e proprio (perché consente di depositare, inviare e ricevere denaro) e dunque soggetto a monitoraggio al pari di un conto bancario. In questa prospettiva, il conto PayPal va dichiarato se supera le soglie previste (giacenza media > €5.000 o saldo > €15.000).
  • Seconda tesi: PayPal sarebbe solo una piattaforma di transito per pagamenti, non equiparabile a un tradizionale conto corrente, e quindi non soggetta agli obblighi RW. Secondo questa visione, PayPal serve prevalentemente per effettuare acquisti e vendite online collegandosi a un conto o carta dell’utente; non offrendo servizi bancari completi (come interessi, carnet assegni, ecc.), non dovrebbe generare obblighi dichiarativi. Il contribuente sarebbe “esonerato dall’obbligo di denunciare il conto PayPal come invece per qualsiasi altro conto all’estero”.

Qual è la posizione corretta? Formalmente, l’Agenzia delle Entrate non ha mai emanato una circolare esplicita sul conto PayPal. Tuttavia, la prassi e gli orientamenti più recenti propendono decisamente per la prima tesi. Lo stesso sito PayPal Europe chiarisce che opera in Lussemburgo “in qualità di banca”. Dunque l’approccio prudenziale (e adottato dalla generalità dei professionisti) è di dichiarare il conto PayPal estero se ricorrono le condizioni previste per gli altri conti esteri. La tesi dell’esonero totale è minoritaria e rischiosa: potrebbe essere invocata come difesa (vedremo più avanti la possibilità di far leva sull’incertezza normativa per chiedere l’esclusione da sanzioni), ma confidare in essa espone il contribuente a contestazioni. Infatti, come vediamo dalle lettere di compliance inviate, l’Amministrazione finanziaria di fatto considera i conti PayPal soggetti a monitoraggio RW, altrimenti non arriverebbero segnalazioni su di essi. In conclusione: un conto PayPal detenuto da un residente italiano all’estero rientra nell’obbligo di compilazione del quadro RW, salvo casi di esonero previsti dalla legge (soglie di importo, particolari condizioni lavorative all’estero, ecc.).

Soglie di esenzione e calcolo dell’IVAFE sui conti esteri (conti PayPal compresi)

L’obbligo dichiarativo per conti correnti e depositi esteri non è assoluto, ma prevede una soglia di esenzione per importi modesti, al fine di semplificazione. La regola – attualmente – è la seguente: se il valore massimo complessivo dei conti/depositi detenuti all’estero nel corso dell’anno non supera 15.000 euro, non sussiste obbligo di monitoraggio RW. Questa soglia era in passato di €10.000, elevata a €15.000 a partire dal 2014. Attenzione: il limite di 15.000€ va riferito al valore massimo raggiunto nell’anno (anche per un solo giorno) e, in presenza di più conti, va valutato tenendo conto di tutti i conti esteri posseduti dal contribuente. Secondo le istruzioni, la soglia va considerata per ciascun intermediario estero, ma per prudenza spesso si valuta anche complessivamente.

In pratica: se un contribuente ha un unico conto PayPal in Lussemburgo che nel 2024 non ha mai superato €15.000 di saldo, può ritenersi esonerato dalla compilazione del quadro RW per quell’anno (fermi restando però gli obblighi legati all’IVAFE, come spiegato tra poco). Se però nello stesso anno aveva anche un altro conto estero (es. un conto in Svizzera) e sommando i picchi di entrambi supera 15.000, allora l’esonero non si applica.

Nota: la soglia di €15.000 vale espressamente solo per conti correnti e depositi bancari. Per altre attività estere (es. partecipazioni, immobili, investimenti vari) non vi è alcuna soglia: vanno dichiarate indipendentemente dal valore. Un conto PayPal, essendo assimilato a un deposito di denaro, può beneficiare della soglia dei 15.000 €. Se però sul conto PayPal si detengono anche strumenti finanziari diversi dal cash (ipotesi poco comune, ma immaginando un wallet integrato con investimenti), tali strumenti non avrebbero soglia.

Oltre al monitoraggio RW, chi ha conti all’estero può essere soggetto a un’imposta patrimoniale specifica: l’IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere). L’IVAFE si applica annualmente sui conti correnti e libretti esteri in misura fissa di €34,20 (importo allineato all’imposta di bollo sui conti italiani), ma solo se la giacenza media annua supera €5.000. In altri termini:

  • Se il conto estero ha giacenza media annua ≤ €5.000, non è dovuta IVAFE.
  • Se la giacenza media supera €5.000, si paga IVAFE (34,20€ per conti correnti).

Questa condizione dell’IVAFE è indipendente dalla soglia RW: ad esempio, un conto con saldo massimo €10.000 (sotto 15k) ma giacenza media €6.000 comporta comunque l’obbligo di dichiarazione RW, limitatamente al calcolo dell’IVAFE dovuta. Viceversa, un conto con saldo massimo €20.000 (sopra soglia) ma giacenza media €4.000 non paga IVAFE (sotto soglia 5k) però va indicato in RW ai fini del monitoraggio.

Riassumendo le combinazioni più comuni per i conti esteri (incluso PayPal):

  • Conto estero con saldo max ≤ €15.000 e giacenza media ≤ €5.000: Esonero da monitoraggio RW e nessuna IVAFE dovuta. (Esempio: conto PayPal che ha avuto al massimo €10.000 e mediamente €4.000 durante l’anno).
  • Conto estero con saldo max ≤ €15.000 ma giacenza media > €5.000: Obbligo RW ai fini IVAFE, perché va calcolata e versata l’IVAFE sul conto. Nessun obbligo di monitoraggio “patrimoniale” (perché sotto 15k), ma il quadro RW va comunque compilato per determinare l’imposta. (Esempio: PayPal che ha toccato €12.000 di picco ma ha tenuto in media €6.000: bisognerà dichiararlo per pagare €34,20 di IVAFE).
  • Conto estero con saldo max > €15.000 e giacenza media ≤ €5.000: Obbligo RW per monitoraggio (superata soglia patrimoniale) ma nessuna IVAFE dovuta (non superata soglia 5k media). (Esempio: PayPal salito fino a €20.000 ma in media €3.000 perché i fondi sono stati prelevati presto: va dichiarato in RW per indicare il valore detenuto, ma IVAFE zero).
  • Conto estero con saldo max > €15.000 e giacenza media > €5.000: Obbligo RW completo (sia per monitoraggio che per IVAFE). Bisogna indicare il conto in RW e versare l’IVAFE (34,20 € annui). (Esempio: PayPal costantemente sopra €20.000: va dichiarato e IVAFE dovuta).

Queste regole, introdotte dalla L. 186/2014 e poi integrate, rendono evidente che non tutti i conti PayPal esteri vanno dichiarati: quelli di importo minimo (mai sopra 15k e mediamente sotto 5k) sono esclusi. Tuttavia, la prudenza suggerisce di monitorare attentamente le soglie: basta un solo giorno sopra 15.000 € per far scattare l’obbligo. Se ad esempio tenete di solito 8.000 € su PayPal (sotto soglia), ma in un giorno ricevete un pagamento straordinario che porta il saldo a 16.000 €, quell’anno l’obbligo scatta. Inoltre, come sottolineato, conti multipli sommati possono superare la soglia aggregata.

Ricapitolando per PayPal: se avete usato PayPal solo come transito, prelevando subito verso conti italiani e mantenendo sul saldo cifre modeste (<5.000 € medie e <15.000 max), siete tendenzialmente esonerati dal dichiararlo. Ma se avete accumulato sul conto somme più consistenti, allora andava dichiarato. Molti contribuenti ignorano queste soglie e spesso non dichiarano per nulla i conti esteri, ritrovandosi poi con lettere di compliance anche per piccoli importi. In verità, come visto, sotto certe soglie l’obbligo non c’è – e infatti in tali casi ci si può difendere dimostrando di rientrare nei limiti di esonero – ma è fondamentale conoscere e applicare correttamente la norma.

Quadro RW: come si dichiara un conto PayPal estero

Vediamo brevemente come andrebbe dichiarato un conto PayPal nel quadro RW, per capire cosa forse è stato omesso e viene contestato. Nella sezione RW vanno indicati per ciascuna attività estera:

  • Stato estero di ubicazione delle somme: per PayPal Europe sarà “LU” (Lussemburgo).
  • Codice investimenti: un conto di moneta elettronica si classifica come “conti correnti e depositi” (codice 01 secondo le istruzioni).
  • Quota di possesso: normalmente 100% se il conto è intestato solo al contribuente. (Se fosse cointestato, ognuno indica la propria percentuale).
  • Valore massimo raggiunto nell’anno e valore al 31/12: entrambi espressi in valuta estera (qui euro, essendo il conto in EUR se PayPal è in EUR) o convertiti in euro al cambio di fine anno se fossero in altra valuta. Per PayPal in euro, si riporta semplicemente l’importo massimo e quello a fine anno in euro.
  • IVAFE: occorre calcolare l’eventuale IVAFE dovuta. Per un conto corrente, come detto, è fissa €34,20 se dovuta. In RW va indicata la frazione di IVAFE rapportata alla quota di possesso (es. se cointestato al 50%, ciascuno indica €17,10). Se il conto è sotto soglia IVAFE, si indica zero.

Il quadro RW, compilato così, serve sia a dichiarare il possesso dell’attività estera (soddisfacendo l’obbligo di monitoraggio) sia a liquidare l’IVAFE se dovuta. Il contribuente che ha presentato regolarmente il RW per il suo conto PayPal in passato, non riceverà alcuna contestazione su questo (a meno che non emergano discrepanze). Viceversa, la mancata compilazione del quadro RW per il conto estero è proprio ciò che viene contestato nella lettera di compliance.

Violazioni in caso di omessa dichiarazione del conto PayPal: sanzioni e conseguenze

Una volta chiarito che il conto PayPal estero va dichiarato (salvo soglie), esaminiamo cosa comporta non averlo fatto. L’omessa indicazione di attività estere nel quadro RW è considerata dalla legge una violazione tributaria di natura sostanziale, non una semplice dimenticanza formale. Ciò significa che il legislatore attribuisce a questa mancanza un disvalore specifico a fini fiscali, a prescindere dal fatto che dall’omissione derivi o meno un’imposta evasa. Lo scopo del monitoraggio è fornire al Fisco informazioni necessarie: non dichiarare un conto estero ostacola i controlli e potenzialmente nasconde redditi non tassati. Dunque la legge prevede sanzioni dedicate anche solo per la mancata compilazione del quadro RW.

Vediamo nel dettaglio le possibili conseguenze per il contribuente che non ha dichiarato un conto PayPal estero e ora viene scoperto:

  • Sanzione amministrativa per omessa dichiarazione nel quadro RW: è prevista dall’art. 5, comma 2, D.L. 167/1990. L’importo della multa va dal 3% al 15% dell’ammontare di ciascun importo non dichiarato, per ogni anno. In pratica si applica sul valore dell’attività estera non monitorata. Esempio: se nel 2022 il contribuente aveva su PayPal €20.000 non dichiarati, la sanzione base per il 2022 può andare da €600 (3%) a €3.000 (15%). L’ampia forbice serve all’Ufficio per graduare la pena in base alla gravità e alle circostanze. Importante: questa è la sanzione per paesi “collaborativi”, cioè Stati che consentono lo scambio di informazioni (come il Lussemburgo). Se l’attività fosse stata detenuta in un paradiso fiscale non collaborativo, le sanzioni sono raddoppiate: dal 6% al 30%. (Il raddoppio riflette la maggiore gravità di patrimoni occultati in giurisdizioni opache). Nel caso di PayPal in Lussemburgo, si applica la fascia 3-15%, essendo il Lussemburgo white list.
    • Nota: la sanzione RW si riferisce all’importo non dichiarato per singola annualità. Quindi se il conto è stato omesso per più anni, in teoria l’infrazione si ripete ogni anno. Ad esempio, un conto non dichiarato per 3 anni di fila comporta 3 distinte sanzioni (ciascuna sul valore relativo a quell’anno). Non si considera un unico illecito continuato, bensì plurime violazioni autonome. Su questo punto c’è stata discussione in giurisprudenza: una sentenza della Cassazione (Sez. Trib. n.11849/2023) aveva ritenuto applicabile il cumulo giuridico delle sanzioni in caso di omissioni ripetute del quadro RW, trattandosi di violazioni della stessa indole commesse con una certa continuità. Tuttavia, una successiva pronuncia di legittimità (Cass. 28077/2024) ha chiarito che l’omessa indicazione di attività estere non è un mero errore formale ma sostanziale, per cui non si può applicare il cumulo giuridico come se fosse una continuazione formale. In sostanza, prevale l’orientamento per cui ogni anno omesso fa storia a sé, con somma delle sanzioni (cumulo “materiale”). Ne deriva che, ad esempio, per 5 anni di omessa dichiarazione di un conto da €10.000 ciascuno, l’ufficio potrebbe teoricamente applicare fino a 5×€1.500 = €7.500 di multa (al massimo edittale 15% per anno). Più avanti vedremo come tentare di invocare il cumulo giuridico in sede difensiva, ma va detto che l’indirizzo più recente non lo riconosce.
  • Imposte evase su eventuali rendimenti o redditi non dichiarati connessi al conto: la sanzione di cui sopra riguarda il monitoraggio patrimoniale. Se però su quel conto estero c’erano anche redditi non dichiarati, scatta un’ulteriore contestazione per dichiarazione infedele (omessa dichiarazione di redditi esteri). Ad esempio, se il conto PayPal generava interessi attivi (ipotesi invero remota, perché i conti PayPal standard non fruttano interessi), oppure se tramite quel conto l’individuo incassava compensi, ricavi di vendite online, plusvalenze da trading o altre entrate che non sono state indicate nella dichiarazione dei redditi italiana. In tal caso, oltre alla sanzione sul valore, l’Agenzia recupererà le imposte dovute su quei redditi non dichiarati, applicando le relative sanzioni. Le sanzioni sui redditi evasi ammontano generalmente al 90% – 180% della maggiore imposta dovuta (range previsto dall’art.1, comma 2, D.Lgs. 471/1997). Se i redditi erano prodotti all’estero e non dichiarati, è previsto un aggravio: l’importo della sanzione viene aumentato di 1/3 (il legislatore punisce più severamente chi occulta materia imponibile estera). Di fatto, ciò porta la forbice effettiva al 120% – 240% dell’imposta evasa. Ad esempio, se da transazioni su PayPal il contribuente ha realizzato €10.000 di ricavi non dichiarati (supponiamo €2.500 di imposte evase), la sanzione base può essere tra €2.250 (90% di 2.500) e €4.500 (180% di 2.500), elevabili rispettivamente a €3.000 e €6.000 per via dell’aumento di 1/3 dovuto al fatto estero. Da notare: queste sanzioni sui redditi si sommano a quelle sul monitoraggio RW. Quindi l’atto di accertamento potrebbe contenere due tipi di sanzione per lo stesso conto: una proporzionale al valore non dichiarato (RW) e una proporzionale alle imposte non pagate sui redditi collegati.
  • Omesso versamento di IVAFE o IVIE: se dal conto estero derivava l’obbligo di versare imposte patrimoniali come l’IVAFE (o IVIE per immobili) e ciò non è stato fatto, anche queste somme saranno recuperate con relative sanzioni. La sanzione per omessa dichiarazione/versamento dell’IVAFE segue le regole generali delle imposte: 90% – 180% dell’imposta non pagata. Per fortuna l’IVAFE su conti correnti è solo €34,20, quindi qui le cifre sono minime (90% di 34,20 = 30,78 € di sanzione base per anno, per dire). Ma comunque l’ufficio formalmente contesterà anche questo aspetto.
  • Rischio penale tributario: la mera omissione del quadro RW di per sé non costituisce reato, come confermato dalla Cassazione (sent. n.19849/2021). In assenza di imposta evasa, non c’è reato di omessa o infedele dichiarazione; l’illecito resta amministrativo. Tuttavia, se la vicenda si accompagna a evasione fiscale significativa, potrebbero profilarsi reati tributari. Ad esempio, se tramite conti esteri si sono occultati redditi tali che l’imposta evasa supera le soglie di punibilità penale (oltre €50.000 di imposte evase/anno per il reato di omessa dichiarazione, oppure oltre €100.000 di imposta evasa e 10% del reddito non dichiarato per l’infedele dichiarazione), allora si può configurare un reato ai sensi del D.Lgs. 74/2000. Inoltre, l’utilizzo di conti esteri per nascondere proventi illeciti potrebbe far ipotizzare il reato di autoriciclaggio. Nella maggior parte dei casi di conti PayPal non dichiarati, le cifre non raggiungono soglie penalmente rilevanti e soprattutto, se il contribuente aderisce spontaneamente alla regolarizzazione, il profilo penale viene meno (il ravvedimento sincero ed integrale prima dell’inizio di verifiche esclude di norma la punibilità). In altre parole: se aggiustate tutto ora, pagando dovuto e sanzioni, non subirete denunce penali. Il penale diventa un rischio solo in situazioni estreme di evasione ingente o condotte fraudolente.

È importante rendersi conto che queste sanzioni cumulative possono spaventare, ma la legge prevede strumenti di mitigazione: ravvedimento operoso, adesione all’accertamento, ecc., che vedremo più avanti. Ad esempio, aderendo subito con ravvedimento, la sanzione sul monitoraggio RW si riduce enormemente, arrivando anche a circa lo 0,5% dell’importo non dichiarato (grazie alle riduzioni per tempestività), e le sanzioni sui redditi evasi scendono a circa il 20% dell’imposta evasa. Viceversa, ignorando la lettera e subendo un accertamento “pieno”, si rischia di vedersi applicare percentuali vicine ai massimi.

Esempio pratico di calcolo sanzioni: Tizio aveva €50.000 su PayPal non dichiarati nel 2019, nessun reddito da tale conto. Se aspetta l’accertamento: sanzione RW 3-15% (= €1.500–€7.500). Se invece si ravvede ora (2025, oltre 2 anni di ritardo): paga 1/6 del minimo, cioè circa 0,5% dell’importo. Quindi solo €250 per il 2019. Capite il divario. Lo stesso vale per eventuali redditi: su €5.000 di interessi esteri non dichiarati (imposta evasa poniamo €1.250), la sanzione in accertamento potrebbe essere ~€1.500 (120%), mentre col ravvedimento oltre 2 anni scende a circa il 20% dell’imposta, quindi €250. È evidente che la via collaborativa conviene.

Riassumiamo dunque le principali conseguenze fiscali di un conto PayPal estero non dichiarato, in uno schema sintetico:

ViolazioneNorma violataSanzione baseNote
Omessa indicazione di attività estera (RW)Art. 5, c.2, D.L. 167/19903% – 15% dell’importo non dichiarato per anno (6% – 30% se Stato non collaborativo)– Sanzione applicata su valore massimo/finale non dichiarato. – No soglie di franchezza (oltre eventuali esoneri normativi). – Violazione sostanziale (no cumulo giuridico per continuazione, secondo Cass. 2024).
Omessa dichiarazione di redditi esteriArt. 4, D.Lgs. 74/2000 (profilo penale se rilevante); Art. 1, c.2, D.Lgs. 471/97 (sanzione amm.)90% – 180% dell’imposta evasa (maggiorata di 1/3 se redditi prodotti all’estero: range effettivo ~120% – 240%)– Tipicamente riguarda interessi, dividendi, plusvalenze su conti esteri non dichiarati, oppure ricavi commerciali transitati su conti esteri. – Soglie penali: omessa dichiarazione se imposta evasa > €50.000; infedele se > €100.000 evaso e >10% reddito. Solo in tali casi scatta il reato.
Omesso versamento IVAFE sul conto esteroArt. 19, D.L. 201/2011 (introd. IVAFE); Art. 13, D.Lgs. 471/97 (sanzioni tributi)90% – 180% dell’imposta non versata– IVAFE su conti correnti = €34,20 (se dovuta). – Sanzione minima €30 circa per anno (90%). – Non c’è soglia penale (importo troppo basso).
⚖ Altre conseguenze possibiliAccertamento fiscale con recupero a tassazione delle somme non giustificate sul conto estero, se ritenute redditi non dichiarati (in base a presunzioni). – Presunzione (solo per paradisi fiscali): per gli anni dal 2009 in poi, vige presunzione legale che le attività in Stati black list non dichiarate derivino da redditi sottratti a tassazione (art. 12, c.2 D.L. 78/2009) – invertendo l’onere della prova a carico del contribuente. Questa presunzione NON si applica a Stati collaborativi come il Lussemburgo, e comunque Cass. 6409/2025 ha ribadito la sua non retroattività pre-2009. – Possibile segnalazione Guardia di Finanza: se le somme sono molto alte o emergono sospetti di riciclaggio, può essere attivata l’unità anti-riciclaggio. Caso raro per importi moderati su PayPal.

Come si nota, la vera “mazzata” per il contribuente inadempiente arriva se il Fisco presume che i movimenti sul conto estero fossero in realtà redditi non dichiarati. Questo è un punto delicato: l’Agenzia, quando scopre un conto non dichiarato, può limitarsi a sanzionare l’omissione RW oppure approfondire la provenienza dei fondi su quel conto. Se, ad esempio, vedono che sul PayPal ci sono entrate per decine di migliaia di euro non giustificate, potrebbero chiedere al contribuente di dimostrare la natura di quelle somme (donazioni di famiglia? redditi esteri già tassati altrove? risparmi personali trasferiti?). In mancanza di spiegazioni convincenti, l’Ufficio potrebbe tassarle come “redditi” sottoposti ad accertamento, configurando evasione. Nella lettera di compliance iniziale, di solito, l’Agenzia invita a fornire “chiarimenti e giustificazioni” proprio per capire se c’è dietro del reddito nero. È interesse del contribuente, dunque, predisporre documentazione che provi l’origine lecita e già tassata dei fondi (es. bonifici da conti italiani, buste paga, ecc.) per evitare che gli vengano imputati come redditi imponibili.

In conclusione, l’omessa dichiarazione di un conto PayPal estero comporta potenzialmente due fronti sanzionatori: uno per la violazione di monitoraggio (sempre, salvo esoneri), e uno per eventuali imposte evase su redditi (solo se ci sono stati redditi non dichiarati). Il tutto aggravato da eventuali maggiorazioni per estero o per paradisi fiscali. Prima che la situazione degeneri in un avviso di accertamento completo, la lettera di compliance offre la possibilità di ridurre drasticamente i danni tramite un intervento immediato, come vedremo nel prossimo capitolo. Dal punto di vista del contribuente informato, la strategia ideale è sfruttare gli strumenti di definizione agevolata per chiudere la questione con il minimo esborso e senza strascichi.

Come reagire alla lettera: verifica, regolarizzazione spontanea e strategie difensive iniziali

Ricevuta la lettera di compliance relativa al conto PayPal non dichiarato, il contribuente deve innanzitutto mantenere la calma e analizzare la situazione in modo razionale. Non è (ancora) una cartella esattoriale né un’accusa di reato: è un invito a controllare e, se necessario, correggere. Ecco i passi consigliati da seguire nell’immediato:

1. Leggere attentamente la comunicazione e individuare gli anni e gli importi segnalati. La lettera indicherà in genere l’anno o gli anni d’imposta cui si riferisce l’anomalia (es. “dichiarazione 2020” oppure più annualità) e i dati essenziali del conto (numero di conto o ID, Stato estero, eventuale saldo). Bisogna capire esattamente cosa viene contestato: potrebbe essere la mancata compilazione del quadro RW per l’anno X, oppure anche il mancato inserimento di redditi collegati. Ad esempio, se l’Agenzia ha visto accrediti consistenti, potrebbe già nella lettera accennare a “ricavi non giustificati”. In molti casi, comunque, la lettera standard parla genericamente di “attività finanziarie estere non dichiarate (conto PayPal…)”. Segnatevi quindi gli anni interessati e i valori in gioco (saldi, importi). Questo servirà per confrontarli con i vostri documenti.

2. Recuperare la documentazione relativa al conto PayPal e alle transazioni. È essenziale avere sotto mano i rendiconti/estratti conto del PayPal per gli anni in questione. Si può accedere allo storico transazioni dall’account PayPal (scaricando il resoconto annuale) oppure chiedere assistenza a PayPal per ottenere i dati storici se il conto è chiuso. Occorre vedere i movimenti principali: depositi, prelievi, saldo a fine anno, saldo massimo. Oltre a ciò, raccogliete documenti sulle fonti dei fondi: ad esempio, se avete trasferito soldi dal vostro conto corrente italiano al PayPal, procuratevi le contabili di quei bonifici; se avete ricevuto denaro da terzi, chiarite chi e perché (vendite? prestiti? donazioni?). Questa fase di due diligence personale è fondamentale per capire se c’è qualcosa di non dichiarato a livello di redditi.

3. Verificare se effettivamente c’è stata un’irregolarità fiscale. A questo punto, incrociate i dati della lettera e del vostro conto con la normativa:

  • Il conto superava le soglie di esonero (15k max / 5k media)? In caso negativo, potreste non aver violato alcun obbligo RW. Ad esempio, se risulta che il conto PayPal nel 2020 aveva saldo max €10.000 e giacenza media €4.000, eravate esonerati. In tal caso, la lettera potrebbe essere frutto di un controllo automatico non raffinato sulle soglie, e c’è margine per rispondere che non vi era obbligo dichiarativo.
  • Se invece il conto eccedeva le soglie, allora l’omissione c’è stata. Verificate se in quell’anno avete presentato Modello Redditi o 730: in quest’ultimo caso, ricordate che il 730 fino al 2022 non contemplava il quadro RW. Molti contribuenti dipendenti/pensionati utilizzavano il 730 e magari non sapevano di dover passare al modello Redditi per dichiarare conti esteri. Ciò non li giustifica appieno (l’obbligo resta), ma è un elemento che spiega come l’errore possa essere nato. Dal 2023 è stato introdotto un Quadro W nel 730, segno che prima c’era un vuoto.
  • Valutate anche se il conto generava redditi imponibili. Come detto, il saldo PayPal di per sé no (niente interessi), ma le transazioni possono aver prodotto reddito: per es., vendite online non dichiarate, oppure se avete ricevuto pagamenti dall’estero per lavoro. Identificate tali importi. Se tutto il denaro sul PayPal proveniva dal vostro conto italiano (già tassato), allora non ci sono ulteriori imposte dovute, solo l’omissione RW da sanare. Se invece ci sono redditi non dichiarati, andranno dichiarati ora.

A questo punto, avete chiaro il quadro: o la lettera è “infondata” perché eravate in regola (caso raro ma possibile), oppure segnala effettivamente una vostra svista/violazione. Vediamo come procedere nei due scenari:

Caso A: Esonero o errore dell’Agenzia – preparare una risposta difensiva. Se ritenete che non avevate obbligo di dichiarazione, potete decidere di rispondere alla lettera fornendo le spiegazioni del caso. Ad esempio: “Il conto PayPal n… nel 2021 aveva saldo max €10.000 e giacenza media €3.500, come da documentazione allegata; pertanto, ai sensi dell’art. 2 L. 186/2014, non sussisteva obbligo di monitoraggio RW né IVAFE”. Allegare copia dell’estratto PayPal con evid evidenza dei saldi. Questa risposta andrebbe inviata preferibilmente via PEC all’indirizzo indicato (o via raccomandata A/R se non avete PEC). L’ufficio, ricevuta la spiegazione, potrebbe archiviare la posizione senza ulteriori atti. È consigliabile usare un tono formale ma collaborativo, citando i riferimenti normativi (es. soglia di esonero €15.000). In caso di dubbio (es. siete appena sotto la soglia e temete contestazioni), potete anche chiedere un appuntamento con l’ufficio per chiarire di persona o via call.

Caso B: Violazione confermata – regolarizzazione tramite ravvedimento operoso. Se invece riconoscete che il conto andava dichiarato e non l’avete fatto, la via maestra è aderire all’invito e sanare il prima possibile. Il mezzo previsto dalla legge è il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97), che consente al contribuente di pagare spontaneamente il dovuto con sanzioni ridotte. In questo contesto, “ravvedersi” significa presentare dichiarazioni integrative per gli anni omessi e versare: a) l’IVAFE eventualmente dovuta per quegli anni; b) le eventuali imposte su redditi non dichiarati; c) le sanzioni ridotte per omessa dichiarazione RW e per omessa dichiarazione di redditi; d) gli interessi legali. Il ravvedimento operoso ha entità di riduzione della sanzione variabile in base al ritardo con cui viene effettuato: nel nostro caso, essendo probabilmente trascorsi più di 90 giorni e anche più di un anno dalla violazione, si applicherà la riduzione massima (la meno favorevole ma comunque vantaggiosa) di 1/6 del minimo di legge, essendo trascorsi oltre 2 anni dal termine originario. Ciò significa, ad esempio, che la sanzione RW del 3% minima diventa 3% × 1/6 = 0,5% dell’importo per ogni anno. E la sanzione sui redditi evasi minima del 90% diventa 90% × 1/6 = 15% dell’imposta evasa.

Vediamo in pratica come effettuare la regolarizzazione:

  • Predisposizione delle dichiarazioni integrative: per ciascun anno d’imposta coinvolto occorre compilare un nuovo Modello Redditi inserendo i dati mancanti. Sulla prima pagina del modello va barrata la casella “Dichiarazione integrativa”. Se l’anno è molto remoto (oltre 5 anni addietro), l’invio telematico standard non è più possibile e bisognerà probabilmente presentare la dichiarazione in ufficio o utilizzare procedure ad hoc; ma per anni fino al quinto precedente l’Agenzia accetta ancora invii telematici. Nel dubbio, un intermediario (commercialista o CAF) saprà come procedere anche per anni vecchi.
    • Compilazione del quadro RW per quell’anno: si inseriscono i dati del conto PayPal come illustrato prima (Stato estero, codice investimento “conto”, valori, ecc.). Così si assolve l’obbligo di monitoraggio.
    • Calcolo e indicazione dell’IVAFE: se dovuta, il software di compilazione calcolerà l’IVAFE sulla base dei dati (es. 34,20€ se sopra soglia). Questo importo confluirà nel quadro RN della dichiarazione come imposta da versare.
    • Quadri dei redditi (se necessario): se nell’anno c’erano anche redditi da dichiarare (es. interessi attivi su PayPal, o ricavi di business non dichiarati), vanno inseriti nei quadri reddituali pertinenti. Ad esempio, interessi esteri in quadro RL rigo “altri redditi di capitale” (oppure quadro RM per tassazione separata); proventi di vendita beni come redditi diversi in RL; redditi di lavoro estero in RC, ecc. Andrà eventualmente compilato anche il modulo CE per il credito d’imposta estero se su quei redditi esteri sono già state pagate imposte all’estero (non il caso di PayPal normalmente).
    • Ricalcolo dell’imposta totale: presentando l’integrativa, il software riliquiderà l’intera imposta dovuta per quell’anno tenendo conto dei nuovi redditi e dell’IVAFE. Se c’erano redditi non dichiarati, risulterà una “maggiore imposta” a debito. Se c’era solo IVAFE omessa, quella sarà la maggiore imposta. Se non c’erano né redditi né IVAFE, la dichiarazione integrativa non genera nuova imposta ma serve solo per il monitoraggio (in tal caso la sanzione RW si paga a parte).
  • Calcolo di sanzioni e interessi da ravvedimento: una volta determinati gli importi evasi (imposte e IVAFE), bisogna calcolare interessi legali e sanzioni ridotte.
    • Interessi: si applicano sul tributo non versato, dal giorno in cui andava pagato (tipicamente il 30 giugno dell’anno successivo per saldo IRPEF, oppure il 16 giugno per IVAFE) fino al giorno di pagamento effettivo. Il tasso legale è variato nel tempo (es. 0,05% annuo nel 2020, 1,25% nel 2022, 5% nel 2023-2024). Nel complesso gli interessi, per i ritardi di pochi anni, sono di solito esigui (qualche punto percentuale cumulato).
    • Sanzione monitoraggio RW ridotta: come detto, di base 3% per paesi collaborativi, ridotta a 1/6 se oltre 2 anni. Quindi 0,5% per ciascun anno. In formula: 0,5% × importo non dichiarato × numero di anni. Quindi se avevate €20.000 non dichiarati per 2 anni, sanzione = €20.000 × 0,5% × 2 = €200.
    • Sanzione su imposte evase ridotta: base minima 90% dell’imposta evasa, ridotta a 1/6 se oltre 2 anni. Quindi 15% dell’imposta evasa. In formula: 0,15 × imposta evasa × numero di anni. Esempio: imposte evase €1.000 per 2 anni, sanzione = 0,15 × 1.000 × 2 = €300.
    • Sanzione su IVAFE: anche questa sarebbe 90%-180%, ridotta a 1/6 del minimo cioè 15%. Dato che l’IVAFE su un conto raramente supera €34,20, parliamo di pochi euro di multa. Spesso per semplicità si versa il 100% di IVAFE senza sanzione quando ci si ravvede, essendo importi irrisori, ma per scrupolo si potrebbe applicare la riduzione (15% di 34,20 = €5,13 per anno).
  • Versamento di quanto dovuto: il contribuente deve effettuare i pagamenti tramite modello F24, utilizzando i codici tributo appositi: uno per l’IVAFE, eventualmente per IRPEF o addizionali sui redditi emersi, e quelli per le sanzioni (monitoraggio e infedele) e interessi. L’Agenzia nella sua guida alle lettere di compliance fornisce spesso istruzioni e codici tributo per il versamento spontaneo. È cruciale compilare bene l’F24 indicando l’anno di riferimento per ogni importo. Se i calcoli risultano complessi, è consigliabile farsi assistere da un commercialista: un errore formale potrebbe costare caro (ad esempio, sbagliare codice o periodo di riferimento può invalidare il ravvedimento). Meglio evitare il fai-da-te se non si è sicuri, specie su annualità multiple.
  • Invio delle dichiarazioni integrative: dopo il pagamento (o contestualmente), si trasmettono all’Agenzia le dichiarazioni integrative per via telematica. Ciò formalizza la regolarizzazione. L’ideale è completare il tutto prima che l’ufficio intraprenda ulteriori azioni (non c’è un termine perentorio, ma conviene farlo entro qualche mese al massimo dalla lettera).

4. Comunicazione all’Agenzia dell’avvenuta regolarizzazione (opzionale ma utile). Una volta effettuato il ravvedimento, è buona prassi informare l’ufficio che vi aveva scritto, inviando ad esempio via PEC una breve lettera in cui si dichiara: “In riferimento alla Vs. comunicazione prot. … del …, il sottoscritto ha provveduto a presentare dichiarazioni integrative per gli anni … e a versare in data … quanto dovuto (imposte, interessi e sanzioni ridotte) ai sensi dell’art.13 D.Lgs.472/97. Si allegano le ricevute di invio telematico e i modelli F24 quietanzati. Si resta a disposizione per eventuali chiarimenti ulteriori.” Allegando le ricevute dei pagamenti e di presentazione, darete prova concreta dell’adempimento. In genere, l’Agenzia a quel punto chiude la pratica senza emettere nulla. Anzi, talvolta risponde con una breve PEC di presa d’atto. Se non risponde, niente paura: l’importante è aver fatto tutto a norma.

5. Coinvolgere un professionista, se necessario. Come avrete intuito, l’iter di ravvedimento su conti esteri può essere articolato, specie se ci sono vari anni e diverse componenti (RW, redditi, crediti d’imposta ecc.). Se la vostra situazione non è molto semplice, è decisamente consigliabile farvi seguire da un esperto (avvocato tributarista o commercialista). Questi potrà:

  • Confermare la diagnosi e la strategia (ad esempio valutare se è il caso di fare integrative o se esistono motivi per contestare l’operato del Fisco).
  • Calcolare con precisione imposte, interessi, sanzioni dovuti per ogni anno, evitando errori.
  • Occuparsi della compilazione e invio delle dichiarazioni integrative in modo corretto, evitando di tralasciare qualche quadro.
  • Gestire la comunicazione con l’Agenzia in modo professionale: spesso una telefonata o una PEC su carta intestata dello studio rassicura l’ufficio che il contribuente sta seguendo una procedura ortodossa.
  • Scongiurare errori procedurali (es. applicare la riduzione 1/7 invece di 1/6 perché si sbaglia anno di riferimento, oppure non barrare la casella giusta sul modello, ecc.).

Se la situazione è molto lineare (es. un solo anno, importo modesto, nessun reddito da dichiarare – tipo “avevo €10k su PayPal nel 2019, ora voglio ravvedermi”), magari ce la si può cavare da soli. Ma nella maggior parte dei casi, specie se si sono accumulati più anni di omissione, investire in una consulenza è opportuno. Molti studi offrono pacchetti di assistenza specifica per queste sanatorie su attività estere, data la diffusione del fenomeno. Considerando che il fai-da-te potrebbe portare a errori costosi o a non sfruttare appieno le riduzioni di legge, rivolgersi a un esperto è spesso la mossa più prudente per un contribuente che vuole mettersi in regola e dormire sonni tranquilli.

6. Tempistiche: come già accennato, la lettera di compliance in genere non fissa un termine tassativo (non c’è scritto “entro 30 giorni”), ma implicitamente ci si aspetta una risposta in tempi ragionevoli. Cosa significa? L’esperienza suggerisce che l’Agenzia aspetta qualche mese prima di far partire un vero accertamento se il contribuente non dà segni di vita. È consigliabile completare la regolarizzazione entro 90 giorni – 6 mesi dalla ricezione della lettera. Prima è, meglio è: così si evita il rischio che l’ufficio, non vedendo nulla, emetta un avviso di accertamento (a quel punto il ravvedimento non sarebbe più ammesso per quell’anno). Se avete bisogno di tempo (magari per recuperare documenti dall’estero o per risparmiare le somme da pagare), comunicatelo all’ufficio. Potete ad esempio inviare una PEC dicendo: “Sto raccogliendo la documentazione necessaria e provvederò alla regolarizzazione entro il …”. In tal modo l’Agenzia saprà che siete collaborativi e con ogni probabilità aspetterà. Viceversa, ignorare completamente la lettera per lungo tempo rischia di essere interpretato come inerzia.

7. Se i fondi erano leciti e tassati: preparare comunque le prove. Un caso frequente: il contribuente aveva soldi su PayPal provenienti da conti italiani (già tassati) e quindi non c’è alcun nuovo reddito da dichiarare; l’unica mancanza è non aver messo il conto in RW. In questa situazione, il ravvedimento consisterà nel pagare solo la sanzione monitoraggio (ridotta) e l’IVAFE se dovuta. Tuttavia, resta importante documentare la provenienza dei soldi. Anche se il Fisco non dovesse chiederlo esplicitamente ora, è bene tenere pronte le pezze giustificative perché potrebbero servire in futuro o in fase di adesione/ricorso. Quindi recuperate i movimenti: ad esempio, se quei €20.000 su PayPal derivano da bonifici fatti dal vostro conto Unicredit nel 2018, tenete estratto conto Unicredit evidenziando il bonifico a PayPal, in modo che sia chiaro che erano soldi vostri già tassati. Questo vi tutela dall’eventuale presunzione di evasione su quelle somme, soprattutto se – poniamo – provenivano da un conto svizzero (paradiso fiscale) transitato su PayPal. In generale, trasparenza e tracciabilità sono le vostre alleate: più dimostrate che non c’era intento di occultare redditi, più l’Agenzia sarà propensa a chiudere tutto col ravvedimento senza scavare oltre.

8. Il caso di conti cointestati o deleghe: se il conto PayPal risultasse cointestato con un’altra persona o se voi eravate delegati ad operare per conto di terzi, la situazione si complica un po’. La normativa sul monitoraggio infatti obbliga a dichiarare anche le attività di cui si ha disponibilità per interposta persona (titolare effettivo). Se per esempio il conto era intestato a vostro fratello residente all’estero ma voi avevate la password e lo usavate, formalmente dovreste dichiararne la quota di vostra spettanza. In una lettera di compliance, però, è più facile che l’Agenzia abbia incrociato nominativi e ve lo imputi interamente. Sarà vostro onere provare che il conto era per dire al 50% di un soggetto estero e quindi la sanzione semmai andrebbe dimezzata. In fase di ravvedimento potete semplicemente dichiarare la vostra quota (es. 50%). Se invece arriverà un accertamento con sanzione sul 100%, dovrete opporvi mostrando che la cointestazione era reale. Nel dubbio, nella risposta alla lettera potete già segnalare se il conto è cointestato, allegando magari un estratto conto che lo evidenzia, così magari l’ufficio calibrerà meglio l’eventuale atto.

In definitiva, regolarizzare spontaneamente è quasi sempre la mossa vincente per “difendersi” da una lettera di compliance, nel senso di risolvere il problema alle condizioni più favorevoli possibili. Tuttavia, è importante farlo con metodo e precisione, per non incorrere in errori formali. E se ritenete invece di aver ragione voi (nessun obbligo, errore del Fisco), non esitate a difendervi sin da ora presentando le vostre argomentazioni e documenti. Spesso questo evita che la questione sfoci in un accertamento formale. Nei prossimi capitoli vedremo come prosegue la vicenda nel caso in cui, per qualche motivo, non si sia risolta in fase di compliance bonaria e l’Agenzia emetta un avviso di accertamento: analizzeremo gli strumenti dell’adesione e del contenzioso e come impostare la difesa in quelle sedi.

Accertamento con adesione: difendersi dopo un eventuale avviso di accertamento

Poniamo il caso in cui il contribuente, pur avendo ricevuto la lettera, non abbia regolarizzato per tempo (o l’abbia ignorata, o vi sia un disaccordo col Fisco). A questo punto l’Agenzia, trascorso un ragionevole lasso, può decidere di procedere con un avviso di accertamento vero e proprio. L’avviso di accertamento è un atto impositivo formale, notificato al contribuente, con cui si contestano ufficialmente le violazioni riscontrate e si richiede il pagamento delle imposte e sanzioni relative. Nel nostro scenario, l’avviso tipicamente conterrà: la sanzione per omessa dichiarazione RW (3-15% annuo sul valore, moltiplicata per gli anni), l’eventuale recupero di IVAFE non pagata con relativa sanzione, e l’eventuale accertamento di redditi non dichiarati con imposte e sanzioni al 90-180% (aumentate di 1/3 se esteri). Insomma, sarà la quantificazione ufficiale del “dovuto” secondo l’ufficio, spesso con sanzioni non ridotte (possono applicare il minimo o anche qualcosa di più in base ai criteri di gravità).

A questo punto il contribuente ha diversi strumenti di difesa. Prima di arrivare al ricorso in tribunale, c’è un’importante fase pre-contenziosa chiamata accertamento con adesione (disciplinato dal D.Lgs. 218/1997). Vediamo di cosa si tratta e come sfruttarlo:

Cos’è l’accertamento con adesione? È una procedura che consente al contribuente di concordare con l’Agenzia delle Entrate il contenuto dell’accertamento, prima di litigare in giudizio. In pratica, dopo la notifica dell’avviso, il contribuente può presentare all’ufficio un’istanza di accertamento con adesione (entro 60 giorni dalla notifica, meglio nei primi 30 così da sospendere i termini di ricorso) per discutere la pretesa. L’ufficio convocherà il contribuente (o il suo professionista) a un tavolo di confronto. Durante l’adesione, entrambe le parti possono fare concessioni e correzioni: si possono rideterminare gli imponibili, le imposte, eventualmente riconoscere errori di calcolo, e soprattutto l’ufficio può ridurre le sanzioni. L’obiettivo è arrivare a un accordo scritto (atto di adesione) in cui il contribuente riconosce un certo debito (di norma inferiore a quello iniziale) e rinuncia al ricorso, mentre l’Ente impositore rinuncia a portare avanti la contestazione per importi maggiori.

Perché conviene aderire? Per legge, se si firma l’accertamento con adesione, le sanzioni vengono ridotte ad 1/3 di quelle originariamente applicate (art. 3, c.3 D.Lgs. 218/97). Inoltre, gli interessi di mora vengono calcolati solo fino alla data dell’adesione (si blocca l’ulteriore maturazione). C’è anche il vantaggio di poter rateizzare comodamente il dovuto (fino a 8 rate trimestrali se l’importo supera 5.000 €). In sostanza, l’adesione permette di mitigare l’impatto economico dell’accertamento e di chiudere la vicenda in via amministrativa, evitando i costi e l’incertezza del giudizio.

Nel contesto di un conto PayPal non dichiarato, l’adesione può essere l’occasione per negoziare alcuni aspetti a favore del contribuente:

  • Ridurre le sanzioni al minimo edittale o anche al di sotto per via della riduzione 1/3. Ad esempio, se nell’avviso erano state messe sanzioni RW al 10% annuo, in sede di adesione il contribuente può chiedere che si applichi il minimo 3% (magari motivando col fatto che c’era incertezza normativa su PayPal). Poi su questo 3% ottenere il taglio di 1/3, pagando di fatto il 2%. In pratica, l’adesione consente quasi sempre di pagare sanzioni più basse di quelle iniziali.
  • Contestare o ridurre eventuali imponibili accertati. Se l’ufficio ha considerato come redditi certe entrate su PayPal, il contribuente può portare documenti per dimostrare che non erano redditi tassabili. Ad esempio, accrediti da parenti (donazioni esenti) o trasferimenti da propri conti. L’adesione è un momento di confronto: si può far presente all’ufficio che quell’importo non andava tassato e proporre di stralciarlo o almeno ridurlo. L’ufficio, per evitare il contenzioso, potrebbe accettare di abbattere o eliminare la quota di redditi contestati se il contribuente fornisce spiegazioni ragionevoli.
  • Verificare l’applicazione corretta di norme e soglie. Per esempio, il contribuente potrebbe far notare se l’ufficio avesse trascurato la soglia di €15.000 in un anno: “In quell’anno il conto non ha mai superato 15k, quindi riconoscetemi l’esonero per quell’anno”. Oppure correggere eventuali duplicazioni (es. il conto era cointestato e hanno imputato l’intero importo: si può chiedere di ricalcolare la sanzione sulla propria quota 50%). In adesione spesso l’ufficio mostra più disponibilità a rettificare errori fattuali.
  • Invocare circostanze attenuanti per chiedere clemenza sulle sanzioni. Ad esempio, si può argomentare che l’omissione è dipesa da obiettiva incertezza normativa (visto che PayPal non era chiaramente disciplinato) e chiedere quindi l’applicazione del minimo delle sanzioni. Non è garantito che l’ufficio accolga la tesi, ma sollevare la questione può predisporlo a non infierire oltre il minimo. A volte, se il contribuente mostra di avere qualche freccia al suo arco per un eventuale ricorso (esibendo magari la sentenza 11849/2023 sul cumulo giuridico favorevole), l’ufficio preferisce transare al ribasso per evitare il rischio di perdere in giudizio.

Procedura: per attivare l’adesione, come detto, bisogna presentare istanza all’ufficio accertatore (tipicamente la Direzione Provinciale competente) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento. L’istanza è libera, ma conviene indicare gli estremi dell’atto e magari già i punti che si vorrebbero discutere. La presentazione dell’istanza sospende automaticamente i termini per fare ricorso per un periodo di 90 giorni (cioè si guadagna tempo). L’ufficio fisserà un incontro (di solito entro 1-2 mesi). All’incontro, il contribuente può farsi assistere dal suo professionista. Si discute, eventualmente l’ufficio prepara una proposta di adesione con nuovi importi. Se si trova l’accordo, si redige e firma l’atto di adesione; se non si trova, o se il contribuente non si presenta, la procedura si chiude senza accordo e l’accertamento rimane valido per intero (a quel punto restano 30 giorni per fare ricorso in Commissione).

Esito dell’adesione: se firmata, il contribuente entro 20 giorni deve pagare la prima (o unica) rata. Da quel momento l’accertamento è definito: non si può più impugnare in giudizio (se non per vizi di forma nell’adesione stessa, casi rarissimi). In cambio, come detto, le sanzioni vengono automaticamente ridotte di un terzo rispetto a quelle stabilite nell’atto. Attenzione: un terzo di quelle stabilite dopo l’eventuale ricalcolo in adesione, non necessariamente di quelle originarie. Ad esempio, se l’avviso iniziale aveva sanzione RW 6%/anno e in adesione si concorda di scendere a 3%/anno, la riduzione 1/3 si applica sul 3%. Quindi si pagherà 2%/anno effettivo. Lo stesso per le sanzioni su imposte evase: se erano al 120% e si concorda di considerare un reddito minore e sanzione al minimo 90%, su quel 90% si fa 1/3 = 60%. Il beneficio c’è sempre.

Quando scegliere l’adesione: se dalla lettera di compliance siete arrivati all’accertamento, significa che la vostra posizione era tutt’altro che pacifica. O non avete fatto in tempo a ravvedervi, o l’ufficio non ha accettato le vostre spiegazioni. In tal caso, l’adesione è fortemente raccomandata almeno tentarla, a meno che non siate certi al 100% di voler fare ricorso perché convinti di vincerlo. Perché con l’adesione potete comunque ridurre i danni finanziari (sempre utile, anche se poi deciderete di pagare). Trovare un accordo vi risparmia inoltre l’incognita del giudice. Nel contesto specifico dei conti esteri, spesso il contribuente è effettivamente in torto sull’omissione RW, ma può avere ragione su qualche dettaglio (importi, provenienza fondi). L’adesione consente di far valere queste ragioni senza formalità e arrivare a un compromesso accettabile.

Esempio: Mario non ha dichiarato €100.000 su PayPal nel 2018-2019. Ignora la lettera, arriva accertamento: sanzione RW messa al 10% = €10k×2 anni = €20k; in più l’ufficio presume che quei €100k fossero redditi e tassa €30k di redditi con imposte €9k e sanzioni 150% = €13.5k. Totale atto: imposte €9k + sanzioni €33.5k = €42.5k (più interessi). Mario chiede adesione: porta prove che €80k su €100k erano trasferiti dal suo conto italiano (già tassati). L’ufficio accetta di ridurre i redditi imponibili a €20k, imposta €6k, sanzioni minime 90% = €5.4k. E accetta di applicare minima sanzione RW 3% = €3k×2 = €6k (invece di 10k×2). Totale ricalcolato: imposte €6k + sanzioni €11.4k = €17.4k. Su queste sanzioni 11.4k, adesione riduce a 7.6k. Mario paga quindi €6k + €7.6k = €13.6k. In tribunale magari avrebbe potuto ottenere anche qualcosa in più, ma avrebbe speso tempo e soldi in legali, con rischio di esito incerto. Con adesione ha chiuso a un importo ragionevole e senza penali.

Differenza tra adesione e acquiescenza: una nota: se il contribuente è d’accordo con tutto dell’accertamento e non ha nulla da discutere, potrebbe valutare la acquiescenza all’avviso, ossia pagare entro 60 giorni avvalendosi della riduzione automatica delle sanzioni ad 1/3 (art. 15, D.Lgs. 218/97). L’acquiescenza è simile all’adesione come effetto sulle sanzioni, ma senza negoziazione: si paga e basta. Nel nostro caso, raramente si sarà completamente d’accordo, specie se l’ufficio ha tirato somme forfettarie. Però, se ad esempio l’accertamento avesse semplicemente contestato il conto RW e l’ufficio avesse già applicato la minima sanzione, uno potrebbe anche decidere di fare acquiescenza subito e chiudere (pagando 2/3 della sanzione minima). Di solito però conviene ugualmente chiedere adesione, perché non costa nulla provare a limare qualcosa in sede di colloquio.

Conclusione su adesione: è un momento chiave difensivo in cui il contribuente può ancora ottenere un esito favorevole senza arrivare al giudice. Da affrontare con preparazione: è opportuno andare all’incontro con tutti i documenti che giustificano le proprie ragioni, con un calcolo dettagliato di ciò che ritenete corretto pagare, e magari accompagnati da un consulente esperto in modo da sostenere meglio le argomentazioni tecniche. Se l’adesione va a buon fine, la “difesa” è riuscita: vi siete “difesi” in via amministrativa trovando un compromesso. Se invece non va in porto o ritenete l’accordo insoddisfacente, resta l’ultima spiaggia: il contenzioso tributario, di cui ora parleremo.

Il contenzioso tributario: far valere le proprie ragioni in giudizio

Qualora non si raggiunga un accordo con l’Agenzia (o si scelga deliberatamente di non aderire), l’unico rimedio per opporsi alle pretese dell’accertamento è presentare un ricorso alla giustizia tributaria. Il contenzioso tributario si avvia con ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali dal 2022). Si tratta di un vero e proprio processo, con tempi e formalità specifiche, in cui il contribuente (di norma assistito da un difensore abilitato se il valore in disputa supera €3.000) potrà contestare l’atto dell’Agenzia su vari profili: di merito e di legittimità.

Nel nostro scenario “conto PayPal non dichiarato”, quali argomentazioni difensive potrebbe spendere il contribuente in giudizio? Eccone alcune, tra le più rilevanti, da valutare caso per caso:

  • Inesistenza dell’obbligo dichiarativo per soglia non superata: Se il contribuente riesce a dimostrare che in uno o più anni non erano superate le soglie di legge (15.000€ di saldo), può sostenere che l’accertamento è infondato perché in quegli anni non v’era obbligo di compilazione del quadro RW. Ad esempio, se per l’anno X l’atto sanziona l’omessa dichiarazione di €10.000 sul conto, il contribuente in giudizio evidenzierà che €10.000 è sotto la soglia di esonero prevista dall’art. 2 L.186/2014. Allegando gli estratti conto che provano che il saldo max non superava 15k, il giudice potrà annullare la sanzione per quell’anno. Questa è una difesa molto concreta e oggettiva, di facile riscontro: i giudici tendono ad accoglierla se la prova documentale è chiara. L’Agenzia talvolta sostiene (erroneamente) che la soglia va calcolata su tutti i conti esteri globalmente. Ma anche così, se il contribuente non aveva altri conti, i 10k restano sotto soglia. (Attenzione: se l’ufficio contesta più anni e su alcuni siete sotto soglia e altri sopra, otterrete magari l’annullamento delle sanzioni per gli anni sotto soglia ma non per gli altri).
  • Natura giuridica del conto PayPal e incertezza normativa: Una linea difensiva interessante è quella di invocare l’obiettiva incertezza sulla portata della norma relativamente ai conti PayPal. Come abbiamo visto, fino al 2021 almeno vi erano tesi discordanti e nessun chiarimento ufficiale. Il contribuente potrebbe sostenere: “A quell’epoca, la dottrina riteneva non pacifico che un conto PayPal dovesse essere dichiarato; l’Agenzia stessa non aveva mai emanato istruzioni al riguardo. Pertanto, l’omessa dichiarazione è avvenuta per legittimo affidamento in una interpretazione favorevole, non per volontà di occultamento”. Questa argomentazione punta a ottenere l’esclusione delle sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 6, co.2 del D.Lgs. 472/97, che prevede la non punibilità quando la violazione dipende da incertezza normativa non evitabile. In passato, la giurisprudenza ha talvolta annullato sanzioni in casi di “incertezza normativa oggettiva” riconosciuta. Nel nostro caso, bisogna convincere il giudice che un contribuente medio poteva ragionevolmente ritenere di non dover dichiarare PayPal. Si possono citare articoli di stampa specializzata (come l’articolo SI.FIN 2021 che avallava l’esonero) o prassi (ad esempio, le istruzioni ministeriali che non menzionavano esplicitamente conti di moneta elettronica). Non è garantito che il giudice accolga, perché dall’altro lato il concetto di “attività estera di natura finanziaria” è abbastanza ampio da includere PayPal. Tuttavia, soprattutto per violazioni anteriori al 2021, la tutela dell’affidamento potrebbe trovare ascolto. In concreto, il giudice potrebbe decidere di annullare le sanzioni (integralmente o parzialmente) pur confermando l’obbligo d’imposta (ad es. far pagare l’IVAFE ma senza multa, per buona fede). Questa sarebbe comunque una vittoria importante per il contribuente. Va detto che i giudici tributari sono più propensi ad applicare l’esimente dell’incertezza normativa se anche l’Amministrazione non ha mai fatto chiarezza – e qui effettivamente l’Agenzia non aveva emanato circolari su conti PayPal. Quindi è una strada percorribile, benché non certa.
  • Richiesta di applicazione del cumulo giuridico (continuità del comportamento): Come accennato, c’è un contrasto giurisprudenziale su come sanzionare più anni di omessa compilazione del quadro RW. Alcune sentenze (Cass. 11849/2023) hanno statuito che, essendo la violazione della stessa indole ripetuta nel tempo, dovrebbe applicarsi l’art. 12 D.Lgs. 472/97, ossia il cumulo giuridico, che porta a un’unica sanzione aumentata fino al doppio (invece di sommare le sanzioni di ogni anno). Altre pronunce (Cass. 28077/2024) hanno negato questa visione, trattando ogni anno separatamente. Il contribuente, ovviamente, ha interesse a invocare la tesi del cumulo giuridico perché ridurrebbe sensibilmente l’esborso sanzionatorio. In giudizio si può dunque sostenere: “Trattasi di violazioni reiterate frutto di un’unica volontà omissiva, pertanto deve applicarsi una sola sanzione ex art.12 D.Lgs.472/97”. Si può citare la sentenza n.11849/2023 a supporto. Il giudice di primo grado non è vincolato alla Cassazione (se non c’è un orientamento consolidato) e potrebbe aderire a questa tesi più benevola. Qualora lo facesse, ad esempio 5 annualità omesse sarebbero sanzionate con un’unica multa pari al massimo al doppio di quella base anziché 5 volte. Facciamo un esempio: base 3% di €50k = €1.500. Cumulo giuridico: massimo 2×1.500 = €3.000 per tutti gli anni, contro €7.500 di cumulo materiale. Una bella differenza. È un punto tecnico, ma vale la pena sollevarlo in ricorso. Se poi si arriverà in Cassazione, decideranno loro in ultimo grado quale orientamento prevale; intanto però in primo/secondo grado potreste spuntarla con cumulo giuridico, risparmiando molto.
  • Errori procedurali o formali dell’accertamento: Come in ogni contenzioso, vanno verificati i possibili vizi formali dell’atto impositivo. Ad esempio: l’avviso di accertamento è stato notificato oltre i termini decadenziali? (per i redditi 2016 il termine era 31/12/2022, per dire). Oppure: è stato emesso senza prima inviare il necessario invito a comparire o PVC? (In realtà la lettera di compliance non sostituisce gli atti endoprocedimentali obbligatori se l’ufficio doveva seguirne alcuni, ma nel caso di “accertamento da monitoraggio” spesso non è previsto un PVC formale). Altra cosa: se sono coinvolte imposte (tipo redditi), era necessaria la previa notifica di un “avviso di accertamento parziale” o integrativo? Insomma, un avvocato tributarista passerà al setaccio la legittimità formale e potrebbe trovare motivi di annullamento. Ad esempio, a volte capita che gli atti citino erroneamente normative o non espongano adeguatamente le motivazioni (motivi generici = nullità). Questi aspetti esulano dall’ambito specifico PayPal e sono comuni a tutti gli accertamenti, ma è giusto menzionarli: il contribuente può difendersi anche sulle regole del gioco, non solo sul merito. Una contestazione formale azzeccata può far cadere l’intero atto. Va però ponderato: un vizio formale, se sanabile, potrebbe portare a un nuovo accertamento corretto successivamente. Comunque, nel frattempo allunga i tempi.
  • Dimostrazione che le somme non erano redditi imponibili: Se l’Agenzia ha trattato alcune somme su PayPal come ricavi non dichiarati, il contribuente in giudizio potrà fornire prova contraria. Ad esempio, produrre una dichiarazione scritta del parente che ha donato quei soldi, un atto notorio, bonifici in uscita dal conto estero che dimostrano che i soldi provenivano da risparmi antecedenti, ecc. Il giudice valuterà le prove: se convincente, potrebbe annullare la ripresa a tassazione di quei redditi, pur mantenendo la sanzione RW. Per dire: se provate che i €50.000 su PayPal nel 2018 erano frutto di redditi già tassati nel 2017 (avete trasferito lì il vostro TFR), il giudice dovrebbe evitare una doppia tassazione. Potrebbe comunque lasciarvi la multa RW per non aver dichiarato il conto, ma almeno non pagherete imposte e sanzioni su un reddito che non c’era.
  • Prescrizione dei periodi d’imposta e raddoppio termini: Questo è un tema che può emergere se i conti esteri erano di anni lontani. Di base, i termini per contestare l’omessa dichiarazione RW seguono i termini dell’accertamento imposte dirette (essendo violazione connessa alla dichiarazione). Attualmente, l’accertamento può essere notificato entro il 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (se dichiarazione presentata) o 7° anno (se omessa), salvo raddoppi in caso di reati. C’era però una vecchia regola che per attività in paradisi fiscali raddoppiava i termini (10 anni). Cass. 6409/2025 ha chiarito che questi prolungamenti procedurali si applicano anche retroattivamente, ma solo per i paesi black list e per fatti dal 2009 in poi. In sostanza: se il vostro conto PayPal era del 2012, l’accertamento notificato nel 2025 sarebbe tardivo (oltre 5 anni). A meno che non ci sia stata dichiarazione infedele con reato. Quindi in giudizio si può sempre eccepire la decadenza se i termini sono scaduti. Nell’esempio, per il 2012 il termine ordinario era 31/12/2017, anche con raddoppio (che però in Lussemburgo non si applica essendo white list) sarebbe 2017 comunque. Un ricorso ben strutturato evidenzierà se qualche anno è decaduto, chiedendo l’annullamento dell’atto per quella parte. Spesso l’Agenzia è attenta a rispettare i termini, ma non di rado sbaglia se conteggia raddoppi impropri o ritiene non prescritti anni in realtà prescritti.
  • Sproporzione della sanzione (principio di proporzionalità): in casi estremi, il contribuente potrebbe invocare anche il principio generale di proporzionalità della sanzione (di derivazione UE). Ad esempio, se uno aveva €1.000 su PayPal dimenticati e per 3 anni viene sanzionato con €3.000 (3× €1.000 al 100%), si può sostenere che una multa tripla rispetto al capitale è eccessiva e contraria ai principi europei. Questo argomento è più teorico, ma la Corte di Giustizia UE in passato ha mitigato sanzioni irragionevoli in ambito monitoraggio fiscale (ad es. caso A e B vs. Italia su sanzioni quadro RW altissime, poi ridotte per eccesso). Nell’ordinamento italiano, per fortuna, le sanzioni RW sono già state diminuite (prima del 2015 erano dal 10% al 50%!). Oggi il 3-15% è già considerato nel range accettabile. Difficile dunque ottenere un ulteriore sconto per incostituzionalità o disapplicazione UE, ma in casi limite si può tentare come ultima ratio.

Se il ricorso viene accolto, l’atto impugnato viene annullato in tutto o in parte. Se viene respinto, il contribuente può appellarsi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale). E infine, eventualmente, ricorrere in Cassazione per motivi di diritto.

Costi e benefici del contenzioso: è bene che il contribuente valuti, con l’aiuto del suo legale, la convenienza del contenzioso. Spese da considerare: il contributo unificato (una sorta di tassa sul ricorso) proporzionato al valore del litigio, i compensi dell’avvocato (che in caso di vittoria possono essere posti in carico all’Agenzia in parte). Se le somme contestate non sono elevate, magari conviene aver chiuso prima in adesione. Se invece in ballo c’è una sanzione molto alta o un principio importante (es. evitare accuse di evasione su redditi non dovuti), allora la causa ha senso. In ogni caso, dimostrando collaborazione e buona fede (ad es. ravvedendosi parzialmente anche durante il contenzioso per ridurre il litigio solo a una parte), il giudice potrebbe vedere di buon occhio il contribuente.

Va anche menzionato che le nuove Corti Tributarie dal 2023 hanno giudici tributari professionali e c’è in generale un clima più garantista. Ad esempio, sono aumentate le possibilità di conciliazione in corso di causa (si può fare una conciliazione giudiziale con sanzioni ridotte al 50% in primo grado e 60% in secondo grado). Quindi anche iniziando un ricorso, c’è ancora margine per chiudere transattivamente con l’Agenzia in udienza, magari ottenendo uno sconto sulle pretese.

In sintesi, la difesa in giudizio si articolerà su più fronti: questioni di diritto (sussistenza o meno dell’obbligo PayPal, incertezza normativa, cumulo giuridico, decadenza) e questioni di fatto (soglie di esenzione, provenienza dei fondi, cointestazioni). Il tutto supportato da fonti normative e giurisprudenziali autorevoli: ad esempio citando Cass. 19849/2021 per escludere qualsiasi implicazione penale della sola omissione RW (utile anche per far capire che non c’era intento criminoso), Cass. 28077/2024 e 11849/2023 per discutere di cumulo, Cass. 6409/2025 per ribadire che su Lussemburgo non vale la presunzione legale di evasione, etc. Un giudice attento valuterà queste citazioni.

Infine, se vi siete mossi bene fin dalla fase di compliance (ad esempio rispondendo alla lettera con i vostri chiarimenti), ciò può essere messo agli atti per dimostrare la vostra correttezza: “Vedi, Giudice, io avevo subito spiegato all’Agenzia che ero sotto soglia, ma loro hanno tirato dritto lo stesso”. Questo vi pone in luce favorevole.

Ricordiamo che il processo tributario ha i suoi tempi: in primo grado di solito 1-2 anni per la sentenza. Nel frattempo però, a differenza di altri processi, l’importo accertato va pagato in parte anche se fate ricorso (bisogna versare 1/3 delle imposte accertate entro 60 giorni dall’avviso, altrimenti scatta iscrizione a ruolo – ma qui se non ci sono imposte ma solo sanzioni per RW, credo si paghi 1/3 delle sanzioni perché trattandosi di atto misto imposte/sanzioni, sulle sole sanzioni l’obbligo di pagamento in pendenza di giudizio è sospeso: infatti le sanzioni tributarie non sono dovute finché non definitive, a differenza delle imposte. Quindi se l’atto contiene solo sanzioni RW, il pagamento è sospeso ex lege; se contiene anche imposte su redditi, quelle per 1/3 vanno pagate). In giudizio si può chiedere anche la sospensione dell’atto se il pagamento immediato vi danneggia e il ricorso ha fondamento (ma per le sole sanzioni RW non c’è nemmeno bisogno perché come detto non esigibili subito se impugnate).

Tutto ciò evidenzia che il contenzioso è l’ultima risorsa: da utilizzare se avete motivi solidi o se le somme sono davvero elevate/ingiuste. In molti casi converrà risolvere prima, ma è rassicurante sapere che esistono strade difensive anche davanti al giudice, e non di rado i contribuenti ottengono sensibili riduzioni o cancellazioni di quanto richiesto dal Fisco in prima battuta.

Nei prossimi paragrafi illustreremo alcune simulazioni pratiche e un elenco di FAQ per consolidare quanto appreso, così da avere esempi concreti e risposte rapide ai dubbi più comuni.

Simulazioni pratiche di casi reali (Italia)

Di seguito presentiamo alcune simulazioni semplificate ispirate a casi reali, per capire come possono evolvere le situazioni di un conto PayPal estero non dichiarato. Ogni caso mostra uno scenario diverso (conto sotto soglia, conto consistente ma senza redditi, conto con redditi non dichiarati), evidenziando le azioni consigliate e gli esiti in termini di sanzioni e difesa.

Caso 1: Conto PayPal di modesta entità sotto soglia

  • Scenario: Anna, insegnante residente in Italia, ha un conto PayPal personale in cui ogni tanto tiene piccole somme per acquisti online. Nel 2022 il saldo massimo raggiunto è stato €10.000 e la giacenza media circa €4.000. Anna non ha dichiarato il conto nel quadro RW 2023 (redditi 2022) ritenendo, correttamente, che essendo sotto €15.000 non fosse obbligatorio. Nel luglio 2025 riceve però una lettera di compliance dall’Agenzia che segnala “conto PayPal estero non dichiarato nel 2022 per €10.000”.
  • Azione: Anna raccoglie gli estratti conto PayPal 2022 che mostrano saldo max €10k, saldo al 31/12 €2k, giacenza media €4k. Prepara una risposta via PEC all’Agenzia in cui spiega che il suo conto rientrava nelle condizioni di esonero previste dall’art.4 D.L.167/90 e art.2 L.186/2014, in quanto saldo max €10.000 (≤15.000) e giacenza media ≤5.000. Allega gli estratti come prova.
  • Esito: L’ufficio esamina i documenti. Accerta che effettivamente Anna era sotto soglia e inoltre non c’era IVAFE dovuta (media sotto 5k). Pertanto riconosce che non c’era obbligo di monitoraggio. Risponde (o semplicemente non procede oltre). Nessuna sanzione è dovuta. Caso chiuso con semplice chiarimento.
  • Commento: In questo esempio, Anna era nel giusto e ha saputo difendersi subito, evitando anche solo il fastidio di un accertamento. Questo sottolinea l’importanza di conoscere le soglie: a volte il sistema di compliance invia lettere standard anche a chi sarebbe esonerato, basandosi magari sul solo fatto che esiste il conto segnalato via CRS. Fornendo le spiegazioni, il contribuente fa valere i propri diritti ed evita sanzioni ingiustificate.

Caso 2: Conto PayPal estero cospicuo, fondi da redditi già tassati

  • Scenario: Marco, un ingegnere informatico, dal 2018 al 2021 ha lavorato in Italia per una società multinazionale. Durante questi anni ha accumulato risparmi che ha in parte trasferito sul suo conto PayPal (e.g. per comodità nei pagamenti online e investimenti in piccole iniziative estere). Nel 2021 il conto PayPal in Lussemburgo di Marco ha avuto un saldo massimo di €50.000 e un saldo al 31/12 di €45.000 (giacenza media ~€30.000). Marco, non informato, non ha mai dichiarato questo conto nel quadro RW. Nel 2025 riceve una lettera di compliance che segnala “conti esteri non dichiarati 2019-2021 per saldi di circa €50k”. Non sono menzionati redditi specifici (il conto era infruttifero e alimentato da bonifici dal suo conto italiano dello stipendio).
  • Problema: Marco realizza di aver commesso un’omissione. Non c’erano redditi evasi (i fondi provenivano da stipendi già tassati in busta paga), però l’obbligo RW c’era perché €50k >> soglia. Inoltre, doveva pagare IVAFE su quel conto (dal 2018 al 2021, €34,20 ogni anno).
  • Azione: Marco si rivolge a un commercialista. Prepara le dichiarazioni integrative per i redditi 2018, 2019, 2020, 2021 (quattro anni) inserendo il conto PayPal nel quadro RW di ciascun anno. Calcola l’IVAFE dovuta: per ciascun anno €34,20 (poiché la giacenza media supera 5k). Totale IVAFE non pagata: €136,8. Calcola le sanzioni per omessa dichiarazione RW: importo non dichiarato ~€50.000 per anno, sanzione base 3% = €1.500/anno. Con ravvedimento oltre 2 anni, 1/6 di €1.500 = €250 per anno. Per 4 anni = €1.000. Calcola le sanzioni su IVAFE non pagata: base 90% di 34,20 = €30,78/anno, ridotta 1/6 = €5,13/anno, per 4 anni ~ €20,5. Gli interessi legali su IVAFE (dovuta dal 2019 al 2022) sono trascurabili (pochissimi euro). Marco versa dunque: IVAFE €136,8 + sanzioni RW €1.000 + sanzioni IVAFE €20,5 + interessi ~€5 = circa €1.162 totali. Presenta i Modelli Redditi integrativi 2019-2022 (per anni 2018-2021) e invia una PEC all’Agenzia allegando il tutto e comunicando di essersi ravveduto.
  • Esito: L’Agenzia riceve l’autodenuncia integrativa e i versamenti. Verifica che tutto combaci: il conto segnalato c’è ora in RW, l’IVAFE pagata, le sanzioni calcolate. Poiché Marco ha sanato spontaneamente prima di qualunque atto, l’ufficio archivia la posizione. Non verrà irrogata alcuna ulteriore sanzione, né verranno contestati redditi (non ce n’erano, e comunque ora l’onere della prova si sposterebbe sul Fisco che non avrebbe elementi per contraddire il fatto che i fondi provenissero dallo stipendio di Marco). Marco riceve magari conferma informale che è tutto ok e non ha più nulla in sospeso su quegli anni.
  • Conseguenze per Marco: Ha speso €1.162 per regolarizzare – una cifra relativamente bassa rispetto alle potenziali sanzioni. Se avesse ignorato e fosse arrivato un accertamento, probabilmente avrebbe pagato: €34,20×4 = €136 di IVAFE, sanzione RW diciamo al minimo 3% per 4 anni = €6.000, sanzioni IVAFE 90% = €123, più forse qualcosina di interessi. Totale ~€6.259. E questo ipotizzando benevolenza (minimo). Con ravvedimento ne ha pagati €1.162, cioè circa il 18% di quanto altrimenti dovuto. Ha inoltre evitato grattacapi giudiziari e il rischio che l’ufficio potesse arbitrariamente presumere quei €50k come reddito evasione (in verità senza base legale nel suo caso, ma a volte i verificatori azzardano). Ora la sua posizione è pulita e può tenere il conto PayPal sapendo di doverlo dichiarare negli anni a venire.
  • Commento: Questo caso mostra come il ravvedimento operoso sia risolutivo e conveniente. Marco non aveva redditi extra in nero, quindi la sua era una violazione formale (sostanziale in senso giuridico, ma non reddituale). Il Fisco, tramite la lettera, gli ha dato modo di sistemare tutto senza penalità eccessive. Da notare: se anche l’Agenzia avesse in seguito controllato quei 50k, Marco ora avrebbe la prova che derivavano da redditi tassati (buste paga), quindi non potrebbe comunque essere accusato di evasione reddituale, avendo sanato la sola omissione RW.

Caso 3: Conto PayPal usato per vendite online non dichiarate

  • Scenario: Luigi è un grafico freelance che, oltre alla sua attività ufficiale, nel 2020-2022 ha venduto online oggetti da collezione su eBay come privato, ricevendo i pagamenti su PayPal per circa €20.000 annui. Non ha mai aperto partita IVA né dichiarato questi proventi, ritenendoli “extra” informali. I fondi sul PayPal venivano parzialmente spesi e parzialmente trasferiti al suo conto italiano. Nel 2025 Luigi riceve una lettera di compliance che indica anomalie: un conto PayPal in Irlanda (ipotizziamo) con movimentazioni per €20k annui non dichiarate, e specifica “possibili ricavi non dichiarati”.
  • Problema: Qui la questione è doppia: omessa dichiarazione RW del conto e omessa dichiarazione di redditi (ricavi eBay). Per di più, se fossero considerate attività d’impresa continuativa, Luigi avrebbe dovuto avere una posizione IVA. Tuttavia l’Agenzia in questa fase fiscale si concentra su IRPEF e RW.
  • Azione: Luigi, spaventato, si rivolge a un avvocato tributarista. Decidono di regolarizzare sia il conto che i redditi. Luigi apre anche retroattivamente (per quanto possibile) una posizione fiscale: formalmente non può aprire partita IVA per gli anni passati, ma può dichiarare i redditi come “redditi diversi” da attività commerciale occasionale, sperando di evitare il rilievo dell’abitualità (è un tecnicismo: se l’attività è considerata impresa abituale serviva P.IVA e magari anche una sanzione per lavoro nero; se la qualificano occasionale, paga solo IRPEF).
    Preparano dichiarazioni integrative per 2020, 2021, 2022:
    • In RW inseriscono il conto PayPal (Irlanda è cooperativa, sanzioni 3-15% range).
    • Nei quadri Redditi, Luigi dichiara per ogni anno €20.000 di “redditi diversi” derivanti da vendite occasionali, tassabili IRPEF. Calcolano l’IRPEF dovuta (aliquote progressive: ipotizziamo circa 23% su gran parte, quindi €4.600/anno, semplifichiamo a €5.000 considerando anche addizionali regionali/comunali). Totale imposte per 3 anni = ~€15.000.
    • Calcolano IVAFE: il conto aveva giacenza media sopra 5k? Sì, entravano €20k e magari restavano per un po’. Diciamo media €8k -> IVAFE €34,20 per anno. Totale ~€102.
    • Sanzioni RW: €20k/anno omessi, 3% = €600, per 3 anni = €1.800; ravvedimento oltre 2 anni 1/6 = €300 totale.
    • Sanzioni su imposte evase: imposta evasa €5k/anno, 90% = €4.5k, +1/3 = €6k base per anno. Per 3 anni = €18k. Ridotta a 1/6: €3k totale.
    • Sanzioni su IVAFE: trascurabile (90% di 34 = 30, x3 = 90, 1/6 = 15 €).
    • Interessi su imposte: qualche centinaio di euro.
      Luigi quindi si prepara a versare: imposte €15k + IVAFE €102 + sanzioni RW €300 + sanzioni imposte €3.000 + sanz. IVAFE €15 + interessi ~€300 = circa €18.717. Un importo non indifferente, ma comunque contenuto se paragonato ai ricavi non dichiarati su tre anni.
      Effettua i pagamenti (magari rateizzando in due-tre soluzioni entro pochi mesi, accordandosi col consulente su come gestire i ravvedimenti frazionati) e invia all’Agenzia le integrative e quietanze.
  • Esito: L’Agenzia verifica e vede che Luigi ha dichiarato i €60.000 di ricavi totali e pagato le relative imposte con sanzioni. Posizione regolarizzata. Data la presenza di redditi non dichiarati, l’ufficio potrebbe essere più scrupoloso nel controllare che tutto sia coerente: magari chiederà a Luigi documentazione sulle vendite (giusto per assicurarsi che fossero beni personali e non merce rubata o così – cose remote, ma per capire se potrebbero segnalarlo come attività d’impresa). Tuttavia, trattandosi di compliance, se Luigi paga tutto l’IRPEF dovuta con sanzioni ridotte, l’Agenzia tende ad accontentarsi. Non scatterà alcuna denuncia penale (il totale imposta evasa in ogni anno €5k, sotto soglia di punibilità), né altre conseguenze. Luigi però impara la lezione: dal 2023 dovrà dichiarare eventuali vendite o, se continua l’attività su larga scala, aprire regolare partita IVA.
  • Conseguenze alternative se non si fosse ravveduto: se Luigi avesse ignorato, l’Agenzia avrebbe accertato magari imputandogli redditi d’impresa (trattandoli come lavoro autonomo continuativo). Avrebbe contestato IVA non versata, IRPEF, sanzioni maggiorate. Avrebbe potuto riqualificare l’attività come “occultamento di base imponibile” con sanzioni al 180% magari. In più, Luigi avrebbe perso il treno del ravvedimento: in adesione avrebbe pagato sanzioni ridotte a 1/3 ma su importi più alti. Un conto poteva essere pagare 18k col ravvedimento, un altro ritrovarsi un avviso da 30-40k. Quindi, agire in compliance gli ha risparmiato parecchio.
  • Commento: Questo caso dimostra che la lettera di compliance può far emergere non solo la violazione formale RW, ma un vero e proprio mondo di evasione sostanziale (ricavi non dichiarati). Per il contribuente, aderire subito consente di chiudere relativamente in sordina la vicenda, pagando il dovuto ma evitando il contenzioso e eventuali segnalazioni accessorie (alla Guardia di Finanza, ecc.). È anche un monito: usare PayPal per accumulare redditi in nero è rischioso, perché con lo scambio dati l’Agenzia vede quelle movimentazioni e può risalire alla fonte. Luigi, regolarizzando spontaneamente, di fatto si è “auto-denunciato” evitando guai peggiori, e ora potrà rimettersi in regola per il futuro.

Caso 4: Conto estero cointestato con non residente

  • Scenario: Francesca, residente italiana, aveva un conto corrente in Svizzera cointestato al 50% con sua madre (residente all’estero). Nel 2019 ha chiuso il conto e trasferito tutto su un conto PayPal a nome della madre, su cui però aveva delega ad operare. L’Agenzia nel 2025 invia a Francesca una lettera segnalando un conto PayPal estero non dichiarato a lei riferibile, con saldo €40.000 nel 2019. In realtà il conto era intestato alla madre; Francesca però era beneficiaria effettiva di metà somma.
  • Azione: Questo è un caso più complesso: la legge prevede che Francesca avrebbe dovuto dichiarare il conto estero anche se intestato formalmente alla madre, in quanto titolare effettiva del 50%. Dunque la lettera non è fuori luogo. Francesca tuttavia può difendersi in parte: non deve dichiarare l’intera somma, ma solo la sua quota. Decide comunque di ravvedersi indicando nella integrativa RW 2019 quell’attività con quota di possesso 50%. Così facendo dichiara €20.000 (anziché 40k). Paga la sanzione RW su 20k: 3% = €600, ravveduta 1/6 = €100. Per gli anni seguenti, se quel conto PayPal è rimasto e aveva ancora lei come delegata, dovrebbe fare lo stesso. Invia all’Agenzia spiegazione che il conto era cointestato con persona non residente e lei deteneva solo metà (documentando magari la provenienza dei fondi originari e la delega).
  • Esito: L’Agenzia potrebbe inizialmente aver trattato l’intero 40k come a lei riferibile (perché la segnalazione CRS forse non specificava le quote). Vedendo la risposta con documenti (es. certificato di cointestazione originaria in Svizzera, dichiarazione della madre), probabilmente accetta la dichiarazione del 50%. Quindi sanziona (o meglio, con ravvedimento, sanzione già pagata) solo su €20k. Nessun reddito evaso, quindi null’altro. Nel caso l’ufficio fosse rigido e sanzionasse su 40k, Francesca potrebbe impugnare in Commissione e verosimilmente far correggere la sanzione al 50%.
  • Commento: questo caso evidenzia la necessità di chiarire bene le situazioni di contitolarità. L’Agenzia fa spesso in modo grossolano la contestazione sull’intero, sta poi al contribuente dimostrare la sua quota effettiva. Dichiarare la propria quota in RW è comunque obbligo (Francesca avrebbe dovuto farlo per 20k). La difesa qui sta nel far valere il principio che ognuno risponde solo per la sua parte. Con i documenti giusti, lo si ottiene.

Queste simulazioni coprono vari possibili scenari. Ovviamente ogni caso reale avrà le sue peculiarità, ma i principi generali emergono chiari: conoscere le regole (soglie, definizioni), agire prontamente (ravvedimento) e documentare tutto sono le chiavi per difendersi al meglio. Nei casi in cui la collaborazione non basti o non sia possibile, esistono comunque strumenti di difesa successivi (adesione, ricorso) per far valere le proprie ragioni e ridurre le sanzioni.

Domande frequenti (FAQ) su conti PayPal esteri e lettere di compliance

D: Quanto tempo ho per rispondere o agire dopo aver ricevuto la lettera di compliance?
R: Non c’è un termine perentorio specificato nella lettera (ad es. “30 giorni”), in quanto non è un atto impositivo. Tuttavia, l’Agenzia si aspetta un intervento in tempi brevi. È consigliabile attivarsi entro 90 giorni circa dalla ricezione. In pratica: prima regolarizzate, meglio è, sia per evitare un accertamento, sia perché le sanzioni da ravvedimento sono più basse quanto prima si paga (anche se dopo 90 giorni cambia poco, oltre 1 o 2 anni la riduzione resta 1/6). L’importante è non ignorare la lettera. Se avete bisogno di più tempo (per reperire fondi o documenti), potete informare l’ufficio della vostra intenzione di collaborare, chiedendo magari una breve proroga. In assenza di vostre notizie, dopo qualche mese (in genere 6 mesi, ma può essere meno) l’Agenzia potrebbe procedere con un accertamento ufficiale. Quindi non dormiteci su troppo a lungo. In sintesi: agite preferibilmente entro pochi mesi. Non c’è un “termine di scadenza”, ma c’è il rischio di perdere i benefici del ravvedimento e incorrere in atto formale se si procrastina troppo.

D: Cosa succede se ignoro la lettera e non faccio nulla?
R: In genere, se il contribuente non reagisce, l’Agenzia passerà al passo successivo: l’avviso di accertamento. Questo significa che vi verranno formalmente contestate le violazioni, con sanzioni piene (non ridotte) e l’obbligo di pagare. Ad esempio, se ignorate e avevate €50k non dichiarati, rischiate una sanzione del 3-15% annuo senza sconti (diciamo €1.500 per anno, invece dei €250 con ravvedimento). Inoltre, perderete la chance di sistemare la cosa “bonariamente”: ora sarete in una posizione più conflittuale, dovendo eventualmente fare ricorso per ridurre i danni. In alcuni casi, ignorare la lettera può far insospettire di più l’ufficio, inducendolo a controllare anche altri aspetti della vostra posizione fiscale. La lettera di compliance è un avviso bonario: se non ne approfittate, segnalate al Fisco una certa inerzia, e questo difficilmente farà cessare il suo interesse, anzi. Quindi, ignorare è la scelta peggiore: significa quasi certamente subire poi un accertamento con sanzioni più alte e dovervi difendere in modo reattivo (adesione o giudizio) perdendo il vantaggio collaborativo. In breve: non rispondere = invito a nozze per il Fisco di procedere pesante. Evitatelo.

D: Se il conto aveva importi molto bassi (poche migliaia di euro), rischio comunque sanzioni?
R: Dipende se rientravate nelle soglie di esenzione. Se mai avete superato €15.000 di saldo e la giacenza media è stata ≤€5.000, allora la legge vi esonera dalla dichiarazione RW. In tal caso, teoricamente non siete sanzionabili affatto. Se però avete ricevuto la lettera anche con importi modesti, probabilmente l’algoritmo dell’Agenzia ha rilevato qualcosa (ad es. più conti piccoli che sommati superano la soglia, oppure movimenti anomali). È anche possibile che la lettera arrivi “per conoscenza” invitandovi a dichiarare comunque. In pratica: se eravate entro i limiti (es. conto 10k), potete far valere il vostro diritto all’esonero come spiegato prima (rispondendo con documenti) e non pagherete alcuna sanzione. Se invece anche di poco avete superato la soglia (es. saldo max €16.000), formalmente l’obbligo c’era e la sanzione (seppur calcolata sul valore piccolo) è dovuta. Considerate però che per importi piccoli le sanzioni, in termini assoluti, non sono elevate. C’è persino un minimo edittale di €258: se applicando le percentuali venisse meno, in genere la sanzione minima applicabile è 258€. Ad esempio, se avevate €6.000 non dichiarati e fanno 3% = €180, vi faranno comunque 258€ (minimo) per quell’anno. Con ravvedimento però anche quel minimo si riduce (1/6 di 258 = €43). Quindi paghereste €43. Insomma, per somme piccole siamo nell’ordine di poche centinaia di euro di multa nella peggiore delle ipotesi, spesso riducibili ulteriormente col ravvedimento. In più, come detto, c’è da vedere se davvero c’era obbligo. Quindi: se sotto soglia, spiegate e non pagherete nulla; se sopra soglia anche di poco, conviene dichiarare e sanare, con costi contenuti (meglio togliersi il pensiero). In generale, il consiglio è: anche conti piccoli è bene dichiararli (se supera soglia anche solo un giorno), così evitate anche solo la seccatura di dover chiarire.

D: Devo pagare delle imposte sui soldi che ho su PayPal?
R: Dipende dalla natura di quei soldi: il saldo in sé non genera tasse sul reddito, ma può generare un’imposta patrimoniale (IVAFE). Mi spiego: il Fisco non tassa semplicemente il possesso di liquidità (a parte l’IVAFE che è fissa 34,20€ se sopra soglia media). Quindi, se sul conto PayPal avevate, poniamo, €20.000 derivanti dal vostro stipendio già tassato, non dovete pagare di nuovo tasse su quei 20.000. Dovete solo dichiarare il conto e pagare l’IVAFE (che è appunto un tributo patrimoniale assimilabile al bollo). Invece, se quei soldi hanno prodotto redditi (esempio: il conto maturava interessi – poco probabile per PayPal – oppure li avete investiti in qualcosa tramite PayPal), i rendimenti sì andrebbero dichiarati e tassati. Nel contesto PayPal classico, gli interessi non ci sono. Diverso è il caso in cui i movimenti del conto rappresentino ricavi di attività: come il caso di vendite online o compensi ricevuti. In quel caso, non è che tassate “il conto”, ma tassate i redditi che ci transitano e che non avevate dichiarato altrimenti. Ad esempio, se sul PayPal avete ricevuto €10.000 per prestazioni freelance, dovrete dichiarare quei €10.000 come reddito di lavoro autonomo (o diverso) e pagarci le imposte (IRPEF, ecc.) come avreste dovuto originariamente. Quindi riepilogando: il mero trasferimento di soldi propri su PayPal non crea tasse (ma va dichiarato per monitoraggio), mentre eventuali redditi originati o incassati su PayPal vanno dichiarati e tassati come tali. La lettera di compliance a volte mira solo al monitoraggio (saldo non dichiarato), a volte lascia intendere “controlla anche se quei soldi erano redditi”. Starà a voi verificare la provenienza. Quanto all’IVAFE: se la vostra giacenza media >€5k, dovrete pagare €34,20 per ogni anno. Se non lo avevate fatto, col ravvedimento ve la faranno versare adesso (con minima multa su essa) – parliamo di cifre modeste.

D: L’Agenzia può presumere che i soldi su PayPal siano redditi nascosti e tassarmeli anche se erano solo risparmi trasferiti?
R: Può provare a farlo, ma ha dei limiti legali. Per i paesi collaborativi (come Lussemburgo, Irlanda ecc.), non esiste una presunzione legale automatica che le somme non dichiarate siano redditi evasi. Tale presunzione esiste per i paradisi fiscali black list (art. 12 co.2 D.L. 78/2009), ma non è il caso di PayPal in UE. Ciò detto, in un accertamento, l’ufficio può comunque contestare eventuali versamenti come possibili redditi non dichiarati sulla base di indizi. In pratica, se vedono che nel 2020 avevate entrate per 50k su PayPal e in dichiarazione zero, potrebbero chiedervi di provare la natura di quei 50k. Se voi non fornite prove, di fatto l’ufficio potrebbe trattarli come ricavi imponibili e tassarli. È un ragionamento induttivo (utilizzabile in accertamento se c’è scostamento di reddito, ecc.). Dunque, è fondamentale che voi forniate spiegazioni e documenti per dimostrare che i soldi erano, ad esempio, trasferimenti da conti italiani (già tassati) o donazioni familiari esenti, ecc. Fornendo prove, invertite la tendenza: fate capire che non c’è materia imponibile nascosta. La presunzione giuridica per fortuna non c’è (in paradiso fiscale l’onere della prova sarebbe invertito per legge), ma una presunzione di fatto il Fisco può sempre avanzarla. La Cassazione ha detto che, pur non valendo la presunzione per anni pre-2009 o paesi white list, l’ufficio può comunque valutare liberamente gli indizi. Quindi è meglio non dar loro appigli: se i fondi sono leciti e già tassati, mostrate i relativi documenti (accountability). In sintesi: no, non c’è presunzione legale su Lussemburgo, ma , se non collaborate rischiate che l’Agenzia li consideri reddito e starà poi a voi eventualmente contestare. Meglio giocare d’anticipo e spiegare la provenienza, così quell’ipotesi decade subito.

D: Posso far valere la buona fede o il fatto che la norma non era chiara, per non essere multato?
R: Potete provarci, specie in sede di ricorso o adesione. La buona fede in senso generico purtroppo non esonera dalle sanzioni in ambito tributario (dove vige la responsabilità oggettiva per l’errore). Tuttavia, esiste il concetto di incertezza normativa oggettiva: se la situazione era così poco chiara che un contribuente diligente poteva sbagliarsi, la sanzione può essere non dovuta. Nel caso del conto PayPal, effettivamente per anni non c’è stato un chiarimento ufficiale e giravano interpretazioni discordanti. Quindi è plausibile sostenere: “Non ho dichiarato non per dolo, ma perché ritenevo in buona fede (anche supportato da alcune fonti) che non fosse necessario. Appena l’ho saputo, ho regolarizzato”. L’Agenzia di solito in fase amministrativa non accetta questa scusa per non sanzionare affatto, ma potrebbe tenerla in conto per applicare il minimo. Un giudice, invece, in casi del genere potrebbe annullare la sanzione per obiettiva incertezza. Dunque sì, è un argomento difensivo valido, ma non garantito. Diciamo che riduce il disvalore della condotta ai loro occhi. In pratica, se glielo dite durante l’adesione, magari ottente più facilmente il minimo edittale. Se lo sostenete in ricorso, potreste spuntare l’annullamento totale delle sanzioni (è successo in sentenze su RW per incertezze su criptovalute, ecc.). L’importante è avere elementi per dimostrare l’incertezza: citate le tesi giornalistiche, il fatto che le istruzioni ministeriali non nominavano PayPal, ecc. Comunque, la strategia migliore è unire la buona fede alla cooperazione: se davvero eravate in buona fede, lo dimostrate ravvedendovi subito una volta informati. Questo spesso evita che la sanzione vi venga proprio irrogata pienamente (magari l’ufficio chiude un occhio su qualcosina). In conclusione: sì, invocare buona fede/incertezza è possibile come difesa per ridurre o annullare sanzioni, soprattutto davanti a un giudice indipendente.

D: La lettera di compliance è un accertamento? Devo presentarmi di persona da qualche parte?
R: No, non è un accertamento formale. Non vi impone pagamenti né vi convoca in udienza. È una comunicazione informale che non richiede una risposta obbligatoria, ma suggerisce di fare delle verifiche. Non esiste una procedura contenziosa sulla lettera stessa: se non siete d’accordo, non è che fate ricorso contro la lettera – al massimo rispondete spiegando perché credete di essere in regola. Quindi non dovete “presentarvi” in Agenzia a meno che non vogliate chiedere un colloquio chiarificatore (che potete fare su base volontaria). Tutto avviene in modo epistolare/telematico in questa fase. Ovviamente, se non fate nulla e vi mandano poi un accertamento, quello sì che è un atto formale impugnabile. Ma la lettera in sé no. Quindi potete gestire la cosa tranquillamente da casa o con il vostro consulente: leggendo la lettera, eventualmente telefonando al numero indicato se avete dubbi, e poi predisponendo ravvedimento o risposta scritta. Spesso l’Agenzia mette a disposizione anche un fac-simile di risposta sul proprio sito per le lettere di compliance, oppure delle FAQ. Ad esempio, in una FAQ del 6/12/2018 l’Agenzia spiegava come comportarsi nel caso di lettera di compliance su conti esteri, chiarendo che se uno ritiene di essere a posto può comunicarlo allegando documenti. Dunque, nessun obbligo di recarsi fisicamente agli uffici, né di firmare verbali o altro in questa fase. Siete liberi di gestire la compliance con i mezzi più comodi (PEC, mail, telefono, etc.).

D: In cosa consiste l’accertamento con adesione e come mi può aiutare concretamente?
R: L’accertamento con adesione è una procedura successiva, che scatta dopo un avviso di accertamento (quindi se arrivate allo step formale). Consiste nel negoziare un accordo con l’ufficio per definire la questione senza andare in giudizio. Vi aiuta perché: (1) consente di discutere e magari correggere alcuni punti (ad es. ridurre un importo imponibile contestato se portate prove); (2) garantisce per legge un abbattimento delle sanzioni ad 1/3 di quelle applicate; (3) evita le incertezze di una causa e permette di rateizzare il dovuto. In sostanza, è un “patteggiamento fiscale”: pagate qualcosa meno e chiudete la vicenda. Nel caso di un conto PayPal non dichiarato, con l’adesione tipicamente otterrete di pagare le sanzioni ridotte. Esempio: atto iniziale vi chiedeva €5.000 di sanzioni RW, con adesione pagherete circa €3.300 (2/3). Spesso, però, prima di applicare quel 2/3, l’ufficio può concedere ulteriori riduzioni o riconoscere errori, quindi il risultato può essere anche migliore. Vi aiuta inoltre perché potete evitare il tribunale, che comporta tempi e costi. Ovviamente, funziona se c’è margine di discussione: se l’accertamento era totalmente sbagliato e potete farlo annullare in giudizio, allora adesione non conviene (meglio vincere in toto). Ma se c’erano violazioni reali, l’adesione permette di limitare i danni e pagare il giusto. Per attivarla, dovrete presentare istanza entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento; poi sarete convocati per il contraddittorio. Pensatela come un incontro di conciliazione: voi (o il vostro difensore) e il funzionario cercate un compromesso. Se lo trovate, firmate e vi impegnate a pagare quanto concordato; le sanzioni vengono ridotte automaticamente di un terzo. Per riassumere: l’adesione è utile per evitare un lungo contenzioso e beneficiare di sconti sulle sanzioni, mettendo fine alla disputa in tempi brevi e con accordo reciproco.

D: Posso rivolgermi al giudice tributario? Ho possibilità di vincere il ricorso?
R: Sì, se ricevete un avviso di accertamento e ritenete che sia in parte o del tutto ingiusto, potete presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) entro 60 giorni dalla notifica (prorogati di 90 se avete fatto istanza di adesione). Le chances di successo dipendono dai motivi che avete: come illustrato prima, ci sono alcuni argomenti difensivi possibili (soglia non superata, errore di persona, quote di cointestazione, eccesso di sanzione, incertezza normativa). Se avete prove solide o punti di diritto a favore, il giudice potrebbe darvi ragione. La giurisprudenza in materia RW ha avuto sviluppi interessanti: ad esempio, la Cassazione ha escluso che l’omessa compilazione RW configuri reato penale se non c’è imposta evasa (questo però è più un sollievo che un motivo di annullamento, ma mostra la tendenza a considerare la violazione come amministrativa). Alcune commissioni hanno applicato il cumulo giuridico (beneficio per il contribuente). Insomma, spazi di difesa ci sono. Naturalmente, un ricorso ha costi (onorari legali, contributo unificato) e tempi (anni). Va ponderato se il gioco vale la candela. Spesso la via giudiziaria è intrapresa quando: a) l’Agenzia è stata inflessibile e non ha riconosciuto ragioni evidenti, b) le somme in ballo sono alte, c) c’è un principio da far valere (es. un’interpretazione innovativa della norma). Nel contesto di un conto PayPal, un esempio in cui potreste vincere è se eravate realmente sotto soglia e vi hanno sanzionato lo stesso: quasi certamente il giudice vi darà ragione e annullerà la sanzione. Oppure se vi hanno calcolato 5 sanzioni per 5 anni e voi sostenete la continuazione, alcuni giudici potrebbero accoglierlo riducendo a una sanzione unica (questo è meno scontato, dipende dalla corte). Se invece avete effettivamente occultato grossi redditi, la vedo dura vincere completamente: al massimo otterrete riduzioni. Diciamo che con un buon avvocato tributarista le probabilità di migliorare la vostra posizione in giudizio sono buone, soprattutto se il Fisco è stato “pesante”. Però, tenete conto che una vittoria totale (zero sanzioni, zero imposte) è probabile solo se davvero non avevate obblighi o se l’accertamento è viziato. Più realisticamente, il contenzioso può portare a riduzioni (che magari avreste potuto ottenere anche con adesione). Va da sé che se ritenete di avere ragione su questioni di principio, è giusto far valere le proprie ragioni in giudizio. Le Corti sono indipendenti e valuteranno i fatti e la legge. Assicuratevi di avere elementi oggettivi (documenti, testi normativi) a supporto. Anche la crescente professionalità dei giudici tributari (grazie alla riforma) è un fattore positivo: ci si può aspettare decisioni più coerenti e in linea con Cassazione. In conclusione: sì, potete ricorrere; le chance di vincere parzialmente o totalmente dipendono dalle circostanze specifiche. Molto spesso, però, dopo un confronto in adesione, si trova un accordo e non si arriva in aula. Il ricorso diventa la via se l’ufficio è inamovibile o se ci sono principi da chiarire.

D: Rischio conseguenze penali per non aver dichiarato un conto PayPal?
R: Di per sé, no. L’omessa compilazione del quadro RW, isolatamente considerata, non è un reato, è una violazione amministrativa. Anche se la sanzione è sostanziale, non c’è riflesso penale solo per quello. Si potrebbe avere un riflesso penale indiretto qualora l’occultamento del conto sia legato a evasione fiscale rilevante: ad esempio, se tramite quel conto avete evaso oltre 50.000 € di imposte in un anno, potreste incorrere nel reato di omessa dichiarazione. Oppure, se avete movimentato denaro illecito, potrebbero profilarsi reati di riciclaggio/autoriciclaggio. Ma sono situazioni estreme. Nella maggior parte dei casi, i conti PayPal riguardano importi ben lontani dalle soglie penali e derivanti da evasione “minore”. Inoltre, effettuando la regolarizzazione prima che parta un’attività di verifica, si esclude sul nascere il penale: il pagamento di tutto il dovuto vi mette al riparo da possibili denunce per reati tributari (che richiedono il dolo specifico di evadere, difficile da provare se poi voi stessi avete sanato). L’Agenzia tende a trasmettere segnalazioni penali solo per casi gravi e solo dopo aver constatato un rifiuto del contribuente a collaborare. Quindi il rischio penale è remoto. Potrebbe materializzarsi se, ad esempio, aveste milioni occultati e ignoraste gli inviti, innescando un’indagine della Guardia di Finanza: allora sì, potrebbero contestarvi il reato di dichiarazione infedele (se evasi >100k imposta) o omessa dichiarazione (>50k). Ma ribadiamo, per cifre tipiche di PayPal (qualche decina di migliaia), no reato. E se anche foste al limite, ravvedetevi e scongiurate del tutto la questione. In sintesi: la lettera di compliance non è l’anticamera di una denuncia penale, è un procedimento amministrativo. Solo ignorando del tutto e in presenza di evasioni ingenti potreste scivolare nel penale, cosa da evitare assolutamente collaborando per tempo.

D: Il conto l’ho chiuso anni fa, devo dichiararlo comunque?
R: Sì, se il conto è esistito in anni non prescritti, va dichiarato per quegli anni in cui era attivo. Non importa se al momento della lettera (2025) il conto non esiste più. Ciò che conta è che nei periodi d’imposta passati c’era e non è stato monitorato. La lettera di solito cita “ha detenuto nel 20XX un conto…”. Anche se poi l’avete chiuso, l’obbligo di quell’anno rimane. Dovrete dunque presentare un’integrativa per quell’anno (o quegli anni) in cui era aperto. Se il conto è stato chiuso prima della fine dell’anno, nelle istruzioni RW si prevede comunque di indicarlo (specificando che è chiuso e il valore al fine detenzione). Ovviamente, se il conto è così vecchio che l’anno è ormai decaduto per accertamento, potreste essere fuori portata. Ad esempio, un conto chiuso nel 2010 oggi è fuori dal raggio d’azione (prescrizione ammin. 2015 salvo reati). L’Agenzia di norma riceve dati CRS solo dal 2017 in poi, quindi difficilmente vi contestano anni antecedenti. In conclusione: se l’avete chiuso recentemente, dovete comunque regolarizzare gli anni passati in cui era aperto; se l’avete chiuso da molto e l’anno è decaduto, l’Agenzia probabilmente non ve lo chiederà nemmeno. In ogni caso, dichiarare un conto chiuso tardivamente serve più che altro a sistemare la posizione per scrupolo (non c’è futuro su quell’account, ma si mette a posto il passato). Esempio concreto: avevo un conto PayPal nel 2018, chiuso nel 2019; nel 2025 mi scrivono per 2018 non dichiarato. Devo fare integrativa 2019 (redditi 2018) includendo quel conto, anche se ora non esiste più. Pago le relative sanzioni e fine.

D: La lettera l’ho ricevuta come persona fisica, ma se il conto era legato alla mia attività d’impresa?
R: Le lettere di compliance per conti esteri in genere riguardano persone fisiche, perché solo loro hanno l’obbligo di quadro RW. Se però il conto PayPal era utilizzato per incassi della tua ditta individuale o società, la situazione è un po’ diversa. Se era intestato proprio alla società, la società non compila RW, ma occultare un conto è comunque un illecito (soldi non contabilizzati, ecc.). La lettera in tal caso potrebbe essere arrivata a te personalmente perché magari eri co-intestatario o perché hanno fatto un collegamento col tuo codice fiscale. Dovresti comunque dichiararlo come persona fisica se eri titolare effettivo. Dal punto di vista aziendale, ti conviene regolarizzare anche nei conti della società (es. far emergere quei ricavi nei bilanci con dichiarazioni integrative). Questo va oltre la lettera di compliance classica, che è rivolta al monitoraggio fiscale personale. In pratica, se sei un imprenditore e hai usato PayPal non dichiarato per l’azienda, hai un duplice livello di violazioni: come persona (RW, se applicabile, o redditi di partecipazione) e come azienda (ricavi non contabilizzati, ecc.). La lettera però solitamente non viene inviata alle società di capitali per conti esteri (perché non c’è quadro RW per loro). L’Agenzia in tal caso potrebbe usare altri canali (verifiche mirate). Se sei un ditta individuale (quindi persona fisica) allora tutto converge: avresti dovuto tu dichiarare i redditi e RW. Se sei una società e hai un PayPal intestato alla società non registrato a bilancio, la lettera potrebbe comunque arrivare a nome dei soci amministratori se risultano movimenti riferibili a loro. Il consiglio è: tratta la questione anche dal lato fiscale aziendale. Forse conviene coinvolgere un commercialista per sistemare i conti societari (presentando bilanci integrativi, dichiarazioni IVA/ricavi integrative con ravvedimento). Siamo però in un ambito più complesso (evasione IVA, scritture false forse). Andremmo oltre questa guida focalizzata sul profilo fiscale personale. In generale, se un imprenditore riceve una lettera del genere, è bene che esamini se quell’omissione RW è la punta di un iceberg (fondi neri aziendali) e agisca di conseguenza con una strategia più ampia, possibilmente con assistenza legale, per minimizzare rischi anche extra-fiscali (es. reati tributari di frode se erano ricavi non dichiarati ingenti). Ma ripeto, tipicamente la lettera compliance su conti esteri è rivolta a individui. Le società non avendo RW, non rientrano nel “progetto compliance” su quel fronte (ce ne sono altri per loro, ad esempio compliance IVA, ecc.).

D: Esistono condoni o sanatorie per queste violazioni?
R: In passato ci sono state le Voluntary Disclosure (2015 e 2017) che permettevano di regolarizzare con sanzioni ridotte e protezione penale. Oggi non sono più attive. La Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha introdotto una sorta di “ravvedimento speciale” per alcune dichiarazioni omesse fino al 2021, con sanzioni ridotte a 1/18. Tuttavia, riguardava per lo più infedeltà dichiarative relative a imposte. Non c’è stata una misura specifica per quadro RW (se non erro). C’era anche la “Tregua fiscale” con definizione agevolata delle sole sanzioni per monitoraggio in alcuni casi, ma è un ambito un po’ complicato e comunque con scadenze ristrette nel 2023. Diciamo che al momento (luglio 2025) non risulta attiva alcuna sanatoria specifica per conti esteri non dichiarati. Il ravvedimento operoso ordinario resta la via regina. Ci sono voci occasionali di possibili nuove voluntary disclosure (ad esempio per cripto-asset) ma nulla di concreto per ora. Quindi, se avete ricevuto la lettera, non aspettatevi di poter aderire a un condono per farla franca: conviene utilizzare i meccanismi ordinari. Se dopo aver pagato uscirà un condono, pazienza – non è il caso di attendere sperando. Tra l’altro, molti condoni escludono i contribuenti che sono già stati raggiunti da comunicazioni di compliance o accertamenti in corso. Quindi, no, non c’è un condono magico in questo momento. L’unica agevolazione disponibile è appunto il ravvedimento con le sue riduzioni di legge, che per fortuna sono già molto vantaggiose. Naturalmente, tenete d’occhio le future leggi di bilancio: se ne venisse uno, potrebbe essere un’opportunità, ma al 2025 nulla di simile è attivo.

D: Dopo aver sistemato tutto col ravvedimento, sarò inserito in liste di controllo?
R: In linea di massima, no, non in senso punitivo. Anzi, se regolarizzate completamente, l’Agenzia vi considera un contribuente tornato in bonis. Spesso, come segno di distensione, chi si ravvede integralmente non viene ulteriormente tormentato su quegli anni. Certo, i vostri dati rimangono nei loro archivi: è probabile che negli anni successivi verificheranno che continuate a dichiarare quel conto correttamente (ad esempio, incroceranno i dati CRS futuri col vostro RW per vedere che ora lo compilate). Ma se voi d’ora in poi fate tutto in regola, non avrete problemi. Invece, chi ignora la compliance e viene accertato, può finire in black list per controlli futuri, perché segnalato come “evasore ostinato”. Il ravvedimento vi mette un po’ al riparo: dimostra la vostra volontà di conformarvi. L’Agenzia, una volta incassato il dovuto, “chiude un occhio sul passato” (come dicono loro stessi). Ovviamente non garantiscono immunità per il futuro: se tornaste a occultare, vi ripescheranno. Ma se mantenete un comportamento fiscale corretto, probabilmente non sarete oggetto di ulteriori attenzioni specifiche a causa di questo episodio. Dunque, potete “tirare un sospiro di sollievo” dopo la regolarizzazione: avete risolto quella pendenza e non dovrete più temere sanzioni su di essa. Resta la raccomandazione: continua ad essere compliance, e non avrai problemi. Se proprio volete essere sicuri, potete negli anni seguenti verificare che il vostro cassetto fiscale non contenga ulteriori comunicazioni o segnalazioni aperte. Ma nella maggioranza dei casi, dopo un ravvedimento pieno, l’Agenzia archivia la pratica e passa oltre.

Conclusioni

Ricevere una lettera di compliance per un conto PayPal estero non dichiarato può suscitare preoccupazione, ma come abbiamo visto è soprattutto un’occasione per risolvere bonariamente una possibile irregolarità fiscale. Dal punto di vista del contribuente (“debitore” potenziale verso l’erario), la migliore strategia di difesa è spesso la cooperazione informata: capire cosa viene contestato, conoscere i propri diritti (es. soglie di esenzione, assenza di reato in mancanza di evasione, ecc.), e agire rapidamente per regolarizzare o fornire chiarimenti.

Abbiamo illustrato dettagliatamente i passi da compiere: dall’analisi iniziale del caso, alla predisposizione delle dichiarazioni integrative con relativo calcolo di imposte e sanzioni ridotte, fino alla presentazione del ravvedimento operoso che consente di chiudere la partita con esborsi sensibilmente ridotti. La guida ha evidenziato come la legge italiana offra strumenti di definizione agevolata in sede amministrativa – il ravvedimento e l’accertamento con adesione – che rappresentano una forma di “difesa” proattiva, evitando il conflitto. Quando invece il contraddittorio non basta e si arriva al contenzioso, il debitore ha comunque varie frecce al suo arco: contestare la legittimità delle sanzioni (ad esempio invocando l’incertezza normativa sul dover dichiarare PayPal), rivendicare l’esistenza di cause di esonero, pretendere il rispetto delle quote di titolarità effettiva, e così via, il tutto supportato dalle più recenti sentenze di Cassazione che – sebbene non sempre univoche – forniscono principi utili (come la qualificazione dell’omessa compilazione RW quale violazione sostanziale ma non penale, l’inapplicabilità della presunzione sui conti in paesi white list, o la possibilità del cumulo giuridico in caso di violazioni pluriennali secondo alcuni precedenti).

Dal percorso esaminato emergono alcuni consigli chiave per i contribuenti:

  • Agire tempestivamente: ogni giorno di ritardo può aumentare le sanzioni o far perdere opportunità. Muoversi entro pochi mesi dalla lettera consente di sfruttare il ravvedimento con riduzioni massime ed evitare l’avvio di un accertamento ufficiale.
  • Documentare e comunicare: la trasparenza paga. Fornite all’Agenzia le informazioni e i documenti che dimostrano la vostra posizione (sotto soglia, origine lecita dei fondi, etc.). Ciò spesso risolve il caso subito o facilita un accordo.
  • Conoscere i propri diritti: essere consapevoli delle normative vi permette di difendervi efficacemente. Sapere delle soglie di esenzione, del fatto che PayPal è considerato banca estera, delle riduzioni sanzionatorie previste, vi mette in posizione di negoziare da una posizione informata con il Fisco o di convincere un giudice se necessario.
  • Valutare il supporto professionale: per questioni complesse o importi rilevanti, farsi assistere da un professionista esperto in fiscalità internazionale/tributaria è un investimento saggio, perché riduce il rischio di errori e può ottimizzare il risultato finale (ad es. un commercialista esperto di ravvedimenti esteri sa come compilare correttamente ogni quadro e sfruttare eventuali appigli normativi).
  • Non perdere la calma: infine, mantenere un approccio razionale è fondamentale. La lettera non è una condanna, ma un invito. Anche se avete commesso un errore, il sistema prevede modi per rimediare senza rovinarvi. Come abbiamo quantificato, in molti casi le sanzioni effettivamente pagate col ravvedimento sono una frazione minima (talora <1%) delle somme in gioco. Il che, tutto sommato, è un esito gestibile e non distruttivo.

Per il futuro, questa vicenda rappresenta anche un monito: con l’intensificarsi dello scambio automatico di informazioni finanziarie a livello globale, è consigliabile dichiarare sempre spontaneamente i propri asset esteri (compresi conti online, fintech, criptovalute su exchange esteri, ecc.) per non incorrere in problemi. La tecnologia e la cooperazione tra Stati rendono sempre più difficile “nascondere” attività oltreconfine, e l’Agenzia ha affinato le sue procedure di compliance per intercettare anomalie e stimolare la regolarizzazione. In un certo senso, è un bene: i contribuenti hanno l’opportunità di mettersi in regola con costi contenuti e il Fisco recupera gettito senza ricorrere a misure drastiche.

Chiudendo questa guida, auspichiamo che, forte delle informazioni normative e pratiche fornite, il lettore possa affrontare con successo la propria situazione. Difendersi in ambito tributario non significa eludere le proprie responsabilità, ma far valere i propri diritti e utilizzare gli strumenti legali per giungere a un esito equo. In tal modo, l’epilogo sarà un rapporto ricomposto con l’Amministrazione finanziaria, il pagamento del dovuto – proporzionato e sostenibile – e la serenità di aver risolto la questione senza trasc strascichi maggiori.

In definitiva, di fronte a una lettera di compliance per un conto PayPal non registrato, la miglior difesa è una solida conoscenza unita a una pronta azione: questo consente di trasformare un potenziale contenzioso in un’occasione di regolarizzazione serena, minimizzando l’impatto economico e chiudendo ogni pendenza con soddisfazione di entrambe le parti.

Fonti e Riferimenti (normativa, prassi, giurisprudenza e dottrina)

  • Obblighi monitoraggio fiscale e soglie esenzione: Art. 4, D.L. 28 giugno 1990 n. 167 (convertito da L.227/1990) – obbligo di dichiarazione attività estere; Art. 2, L. 15 dicembre 2014 n. 186 – introduzione soglia €15.000 per conti esteri; Istruzioni Modello Redditi PF 2023 quadro RW – soglia giacenza media €5.000 per IVAFE.
  • IVAFE (imposta sul valore attività finanziarie estere): Art. 19, c.18, D.L. 201/2011 (conv. L.214/2011) – istituzione IVAFE; Art. 1, c. 518, L. 228/2012 – importo fisso €34,20 per conti correnti; Art. 134, D.L. 34/2020 (conv. L.77/2020) – estensione IVAFE enti non commerciali.
  • Sanzioni omessa dichiarazione RW: Art. 5, co.2, D.L. 167/1990 – sanzione 3%-15% (6%-30% paesi non coop.); D.Lgs. 471/1997 art. 13 – sanzioni su tributi (90%-180% imposta evasa); D.Lgs. 472/1997 art. 12 – cumulo giuridico continuazione violazioni. Circa soglie sanzioni: Cass. Civ. Sez.V ord. 11849/2023 – ammesso cumulo giuridico per omesso RW pluriennale; Cass. Civ. Sez.V ord. 28077/2024 (30/10/2024) – omessa compilazione RW violazione sostanziale, escluso cumulo giuridico.
  • Ravvedimento operoso: Art. 13, D.Lgs. 472/1997 – riduzioni sanzioni (entro 90gg 1/9, entro 1 anno 1/8, entro 2 anni 1/7, oltre 2 anni 1/6, dopo PVC 1/5, ecc.); Norme correlate: Provv. AE 27/1/2023 prot. 27629/2023 – “ravvedimento speciale” (Legge 197/2022) ambito applicativo.
  • Accertamento con adesione: D.Lgs. 218/1997 – disciplina generale (istanza entro 60gg, riduzione sanzioni a 1/3). D.Lgs. 218/97 art.15 – acquiescenza con riduzione 1/3 sanzioni.
  • Giurisprudenza rilevante: Cass. Civ. Sez.V n. 19849/2021 (4 maggio 2021) – omessa compilazione RW non costituisce reato di infedele/omessa dichiarazione, ma solo violazione amministrativa sostanziale. Cass. Civ. Sez.V ord. n. 28077/2024 – conferma natura sostanziale omessa RW, niente “formalità” per attenuare sanzione. Cass. Civ. Sez.V ord. n. 6409/2025 (11 marzo 2025) – su attività in paradisi fiscali: presunzione redditometro ex art.12 c.2 DL 78/2009 non retroattiva ante 2009; estensione termini accertamento black list retroattiva perché procedurale. Cass. Civ. Sez.V ord. n. 11849/2023 (5 maggio 2023) – cumulo giuridico applicabile per omessa dichiarazione RW pluriennale (violazioni formali continuative). CTP Milano sent. n. 1458/2017 – incertezza normativa su obbligo RW conti esteri, esclusa sanzione (caso simil Paypal, dottrina).
  • Prassi e documenti Agenzia Entrate: Guida AE “L’Agenzia ti scrive: lettera di invito a regolarizzare possibili errori” – promozione compliance (spiega procedura ravvedimento post-lettera); FAQ AE 6/12/2018 su lettere compliance – istruzioni per rispondere (fonte: AgenziaEntrate.gov.it, sezione FAQ Compliance). Provvedimento AE n. 43999/2020 – attuazione DAC2/CRS (scambio info conti finanziari).
  • Exchange di informazioni finanziarie (CRS/FATCA): OECD CRS Implementation Handbook; Legge 18 giugno 2015 n. 95 (ratifica accordo FATCA USA-Italia); Provv. AE 10/11/2015 n. 144042 – attuazione CRS/DAC2. (Rilevanza pratica: AE riceve dati conti PayPal da Lussemburgo in base a DAC2/CRS).
  • Normativa antiriciclaggio collegata: D.Lgs. 231/2007 art.1 co.2 lett.pp) – definizione titolare effettivo; obbligo dichiarativo RW esteso ai titolari effettivi (art. 4 co.1 DL 167/90).
  • Altre fonti utili: Risoluzione AE n. 99/E del 2013 – chiarimenti su obbligo RW conti cointestati (indicazione pro quota); Circolare AE n. 38/E 2013 – quadro RW dopo Voluntary Disclosure (no soglia per altre attività, soglia conti elevata a 15k da 2014). Sentenza Cass. n. 32255/2018 – principio su incertezza normativa (non specifico PayPal ma generale). Corte UE, cause C-478/19 e C-479/19 (Azienda Agricola A. & B. vs Italia) – sproporzione sanzioni RW 2015 (portò l’Italia a ridurre sanzioni da 10-50% a 3-15%).

Lettera di compliance per conto PayPal non registrato? Fatti Difendere da Studio Monardo

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Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui conti digitali, compresi quelli non intestati direttamente ma utilizzati abitualmente. Una mancata indicazione del conto PayPal nel quadro RW o nella dichiarazione dei redditi può dare luogo a presunzioni fiscali, sanzioni e accertamenti. Ma ci sono difese legittime da far valere.

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  • 📂 Analizza la lettera di compliance ricevuta e i dati contestati
  • 📌 Verifica se il conto PayPal doveva essere effettivamente dichiarato (es. conto estero, utilizzo personale o familiare)
  • ✍️ Redige una risposta difensiva per evitare l’accertamento e chiarire la posizione
  • ⚖️ Ti assiste in caso di apertura del contraddittorio o avviso di accertamento
  • 🔁 Ti guida nel ravvedimento operoso o nella definizione agevolata, se possibile

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in compliance fiscale e fiscalità internazionale
  • ✔️ Specializzato in difesa da lettere di compliance, accertamenti e quadro RW
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Conclusione

Anche un conto PayPal può generare problemi fiscali, se non dichiarato correttamente.
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