Influencer e Agenzia delle Entrate: La Guida Definitiva

Hai un profilo Instagram, YouTube, TikTok o OnlyFans con migliaia di follower e hai iniziato a guadagnare da sponsorizzazioni, affiliazioni, abbonamenti o contenuti esclusivi? Ti stai chiedendo se devi aprire partita IVA, come dichiarare i redditi e cosa può accadere in caso di controlli fiscali?

Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato le verifiche sui creator digitali e influencer. Non importa se sei alle prime collaborazioni o se hai un’attività strutturata: se ricevi compensi online, sei potenzialmente soggetto a obblighi fiscali. E se non ti metti in regola per tempo, rischi accertamenti, sanzioni e richieste retroattive di pagamento.

Quando un influencer deve dichiarare i redditi?
– Quando riceve pagamenti in denaro da brand, agenzie o piattaforme
– Quando ottiene prodotti in cambio di pubblicità (barter deal)
– Quando monetizza da YouTube, Twitch, OnlyFans, Patreon, TikTok Creator Fund, affiliazioni o dropshipping
– Anche se i compensi arrivano tramite PayPal o bonifici dall’estero
– Anche se l’attività è svolta da casa o da smartphone: conta il reddito, non la forma

Quando serve aprire la partita IVA?
– Quando l’attività è abituale, continuativa e organizzata
– Se superi i 5.000 euro annui da prestazione occasionale
– Se collabori con più committenti e in modo regolare
– Se ti viene chiesto di emettere fattura o ricevuta fiscale

Cosa rischi se non ti metti in regola?
Accertamento fiscale retroattivo fino a 5 anni indietro
Sanzioni fino al 240% delle imposte non pagate
– Iscrizione a ruolo, pignoramento dei conti, cartelle esattoriali
– In caso di evasione rilevante, denuncia penale per dichiarazione infedele o omessa
– Contestazione del regime di lavoro autonomo o professionale senza posizione aperta

Come può scoprire tutto l’Agenzia delle Entrate?
– Controllando i movimenti bancari o PayPal
– Ricevendo segnalazioni dalle piattaforme (YouTube, Meta, Stripe, ecc.)
– Tramite lettere di compliance o anomalie nei dati incrociati
– Attraverso la mancata coerenza tra stile di vita, attività social e redditi dichiarati

Come mettersi in regola e difendersi da eventuali controlli?
– Valutare se è possibile il ravvedimento operoso per regolarizzare la situazione
– Aprire la partita IVA con il regime fiscale corretto (forfettario o ordinario)
– Emettere fatture regolari, anche per i prodotti ricevuti in cambio di visibilità
– Rispettare gli obblighi contabili e dichiarativi (IVA, redditi, INPS, contributi)
– In caso di contestazione, dimostrare la tua buona fede e presentare prove concrete
– Affidarsi a un avvocato esperto in fiscalità digitale e contenzioso tributario

Cosa puoi ottenere se agisci per tempo?
Azzeramento delle sanzioni con la regolarizzazione volontaria
Tutela legale in caso di controlli o accertamenti in corso
– Una gestione fiscale stabile, senza più ansia da notifiche o cartelle
– La possibilità di lavorare con marchi importanti e agenzie, che richiedono posizioni regolari

Essere influencer oggi significa anche essere un contribuente soggetto a regole precise. Ma con la consulenza giusta, puoi tutelarti legalmente, pagare il giusto e crescere senza rischi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità degli influencer ti spiega come gestire correttamente la tua attività online, come metterti in regola e come difenderti in caso di controlli dell’Agenzia delle Entrate.

Hai ricevuto una segnalazione o vuoi evitare problemi con il Fisco? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua attività da influencer e ti diremo come regolarizzarti in sicurezza e difenderti da sanzioni future.

Introduzione

Negli ultimi anni gli influencer e content creator digitali sono entrati con prepotenza nel mirino del Fisco italiano. La crescita esponenziale dei guadagni online, spesso inizialmente in un quadro normativo poco chiaro, ha portato molti creatori di contenuti (YouTuber, Instagrammer, TikToker, streamer, blogger, ecc.) a confrontarsi con adempimenti fiscali complessi. Questa guida definitiva – rivolta ad avvocati, consulenti, imprenditori digitali ma anche ai privati cittadini che monetizzano la propria presenza online – offre un’analisi avanzata ma divulgativa di tutti gli aspetti fiscali, normativi e giurisprudenziali riguardanti il fenomeno degli influencer in Italia.

Affronteremo in dettaglio l’inquadramento giuridico-fiscale dell’attività di influencer, gli obblighi tributari (dall’apertura della partita IVA alle dichiarazioni dei redditi), i diversi regimi fiscali applicabili (con un confronto tra regime forfettario, regime ordinario e società SRL), senza tralasciare gli aspetti IVA e previdenziali. Analizzeremo i meccanismi dei controlli fiscali e le operazioni condotte dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza, con riferimenti a casi reali recenti e alle sentenze più aggiornate delle corti tributarie e penali. Verranno esaminati i profili penal-tributari, cioè quando e perché l’evasione fiscale di un influencer può costituire reato, e come evitare o gestire tale eventualità. Dal punto di vista del “debitore” – cioè del contribuente influencer – vedremo inoltre come reagire in caso di accertamento: dagli strumenti stragiudiziali di definizione (adesione, acquiescenza, autotutela) fino al contenzioso tributario vero e proprio. Infine, troverete tabelle riepilogative, simulazioni pratiche di scenari tipici (solo per la normativa italiana) e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti.

Indice della Guida:

  1. L’attività di Influencer: Inquadramento Giuridico e Fiscale – Chi è l’influencer per il Fisco? Contratti tipici, natura dei redditi (lavoro autonomo vs. impresa vs. redditi occasionali), nuovo Codice ATECO e riconoscimento ufficiale.
  2. Apertura della Partita IVA e Adempimenti Iniziali – Quando è obbligatorio aprire la partita IVA, differenza tra attività occasionale e abituale, iter da seguire (Agenzia Entrate, Camera di Commercio, INPS), codici attività, gestione contributiva.
  3. Regimi Fiscali per Influencer: Forfettario, Ordinario o Società? – Confronto tra regime forfettario e tassazione ordinaria IRPEF, opportunità di costituire una SRL o altre forme, vantaggi e svantaggi in termini fiscali e legali.
  4. Obblighi Fiscali Correnti: IVA, Fatturazione e Ritenute – Come gestire l’IVA sulle sponsorizzazioni e su YouTube/AdSense, emissione di fatture (anche in regime forfettario), ritenuta d’acconto sui compensi, dichiarazioni dei redditi e altri adempimenti periodici.
  5. Determinazione del Reddito e Deduzione dei Costi – Il principio di inerenza per gli influencer: quali spese sono deducibili (attrezzature, viaggi, abbigliamento, ecc.) in regime ordinario, il caso particolare del regime forfettario (coefficiente di redditività), esempi pratici e sentenze rilevanti.
  6. Controlli Fiscali sugli Influencer – Le strategie del Fisco: dalle banche dati ai social media, la cooperazione internazionale (Direttiva DAC7), il confronto tra tenore di vita/numero di follower e redditi dichiarati, operazioni recenti della GdF (case study: operazione da 11 milioni a Bologna).
  7. Sanzioni Amministrative e Profili Penal-Tributari – Le conseguenze per chi evade: sanzioni tributarie (omessa o infedele dichiarazione, mancata fatturazione, omesso versamento IVA), entità delle multe (fino al 180-240% dell’imposta evasa), interessi, nonché i reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, ecc.) con relative soglie di punibilità e pene. Come il pagamento del dovuto può influire sul procedimento penale.
  8. Accertamenti, Contenzioso e Difesa del Contribuente – Cosa fare se l’Agenzia delle Entrate contesta redditi non dichiarati: il procedimento di accertamento, i diritti del contribuente (contraddittorio, accesso agli atti), strumenti per definire la controversia senza processo (adesione, acquiescenza con sanzioni ridotte, ecc.), oppure l’impugnazione davanti alla Corte di Giustizia Tributaria. Tempistiche (60 giorni per il ricorso), sospensioni, prove e strategie difensive, fino agli esiti (annullamento, riduzione delle sanzioni, ecc.).
  9. Consigli Pratici e Pianificazione Fiscale per Influencer – Best practice per evitare problemi: dichiarare anche i compensi “in natura”, tenere traccia dei ricavi da piattaforme estere, valutare il regime fiscale ottimale, eventuale trasferimento all’estero (requisiti per il cambio di residenza fiscale), come comportarsi in caso di primo contatto del Fisco (compliance spontanea e ravvedimento operoso) e come gestire un eventuale controllo fiscale in maniera collaborativa.
  10. FAQ – Domande Frequenti – Risposte concise alle domande più comuni: “Devo aprire la partita IVA anche se guadagno poco?”, “Meglio forfettario o SRL per un creator?”, “Cosa rischio se non dichiaro i guadagni da Instagram?”, “Posso dedurre l’acquisto di vestiti e viaggi per fare content?”, “Se trasferisco la residenza a Dubai non pago tasse?”, ecc.
  11. Fonti – Elenco delle fonti normative, prassi dell’Agenzia Entrate, giurisprudenza e articoli specialistici citati nella guida, per ulteriori approfondimenti.

1. L’attività di Influencer: Inquadramento Giuridico e Fiscale

Chi è, giuridicamente, un “influencer”? Non esiste (ancora) una definizione normativa ad hoc, ma dal punto di vista civilistico il rapporto tra l’influencer e l’azienda/brand con cui collabora si basa tipicamente su contratti di sponsorizzazione o partnership commerciali: l’influencer si obbliga a pubblicizzare prodotti o servizi tramite post, video, menzioni sui propri canali social, in cambio di un compenso in denaro o in natura (prodotti gratuiti). Si tratta, in sostanza, di una forma di prestazione d’opera ex artt. 2222 e seguenti del Codice Civile, declinata nell’ambito atipico della sponsorizzazione digitale.

Dal lato fiscale, l’attività di un influencer non gode di un trattamento speciale: i compensi percepiti vanno dichiarati e tassati come quelli di qualsiasi altro lavoratore autonomo, salvo particolari inquadramenti. In mancanza di una disciplina ad hoc, dottrina e prassi concordano sul fatto che i proventi da attività di influencer rientrino nella categoria dei redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53, comma 1, del TUIR (D.P.R. 917/1986), quando l’attività è svolta in modo abituale e professionale. L’art. 53 del TUIR definisce infatti redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio per professione abituale (anche se non esclusiva) di arti e professioni. Gli influencer – specie se operano individualmente, senza vincoli di subordinazione e con creatività propria – soddisfano tipicamente questi requisiti: la componente personale (immagine, creatività, “seguito” di follower) è il fattore causale dei guadagni ottenuti.

Di converso, se l’attività non ha il carattere dell’abitualità, ad esempio perché l’influencer realizza collaborazioni sporadiche e saltuarie, i compensi percepiti potrebbero essere inquadrati come redditi diversi ex art. 67, comma 1, lett. l) TUIR, cioè redditi derivanti da attività di lavoro autonomo occasionale. In tal caso, non vi è obbligo di apertura della partita IVA (si rientrerebbe nel cosiddetto “lavoro autonomo occasionale”) – anche se, come vedremo, la prestazione occasionale è di fatto applicabile solo a situazioni molto limitate per i creator digitali. Infine, ove l’attività sia organizzata in forma d’impresa (ad esempio l’influencer si dota di una struttura imprenditoriale, con uffici, dipendenti o fornisce servizi pubblicitari in modo strutturato), i compensi andrebbero qualificati come redditi d’impresa ai sensi dell’art. 55 TUIR. In pratica però, la maggior parte degli influencer individuali opera come lavoratore autonomo, eventualmente con l’ausilio di collaboratori, senza costituire una società.

Va evidenziato che la “creator economy” ha ormai ricevuto un riconoscimento ufficiale anche sotto il profilo statistico-fiscale. Dal 1° gennaio 2025 è stato introdotto un nuovo codice ATECO specifico per le attività di influencer marketing: il codice 73.11.03 – “Attività di influencer marketing”. Fino al 2024, chi avviava un’attività da influencer doveva ripiegare su codici ATECO generici (come 73.11.02 “Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari”, 73.12.00 “Attività di marketing” o 74.90.99 “Altre attività professionali nca”). L’introduzione del codice 73.11.03, operativo dal 1° aprile 2025, rappresenta una svolta epocale: esso riconosce formalmente l’attività di influencer, youtuber, content creator, streamer, blogger, podcaster, gamer e simili come categoria economica a sé. Ciò comporta maggiore certezza fiscale (inquadramento più chiaro e uniforme) e minori rischi di classificazioni errate da parte dell’Agenzia delle Entrate. Ad esempio, alcuni influencer in passato venivano inquadrati d’ufficio come agenti di commercio o come imprenditori commerciali; ora il codice dedicato dovrebbe ridurre questi equivoci, pur senza eliminare la necessità di verificare caso per caso la natura dell’attività.

L’influencer è un agente di commercio? Dipende dal modello di business. Se l’influencer si limita a produrre contenuti promozionali dietro compenso fisso (es. un tot per post, indipendentemente dalle vendite generate), siamo nell’alveo del lavoro autonomo puro (prestazione artistica/di servizio). Ma se invece il compenso dell’influencer è legato alle vendite generate – ad esempio attraverso link di affiliazione o codici sconto personalizzati – la sua attività può presentare affinità con quella di un agente di commercio. In una recente sentenza, il Tribunale di Roma (sent. n. 2615/2024) ha stabilito che un influencer che promuove stabilmente i prodotti di un’azienda, ottenendo un compenso proporzionale alle vendite generate tramite il proprio codice, è inquadrabile come agente di commercio ai sensi dell’art. 1742 c.c.. In quel caso, su impulso della Fondazione Enasarco, è stato richiesto agli influencer il versamento dei contributi previdenziali degli agenti, poiché ricorrevano gli elementi di stabilità e continuità propri del contratto di agenzia (promozione continuativa di affari per conto dell’azienda). Dunque, l’inquadramento giuridico può variare: un influencer/affiliato che agisce come procacciatore di clienti con una provvigione per ogni vendita dovrebbe iscriversi come ditta presso la Camera di Commercio e all’ENASARCO (oltre che all’INPS gestione commercianti), mentre un influencer “creator” che vende la propria prestazione pubblicitaria dietro compenso fisso può operare come libero professionista (senza albo) con gestione separata INPS. In ogni caso, superati certi livelli di attività, è necessario dotarsi di partita IVA.

2. Apertura della Partita IVA e Adempimenti Iniziali

Quando diventa obbligatorio aprire la partita IVA? In Italia, chiunque eserciti un’attività economica in modo professionale e continuativo è tenuto ad aprire la partita IVA. Gli influencer non fanno eccezione: se iniziate a guadagnare somme significative attraverso sponsorizzazioni, affiliazioni o altre forme di monetizzazione in modo abituale, dovete comunicare l’inizio attività all’Agenzia delle Entrate e ottenere una partita IVA personale (salvo operiate tramite società). Molti creatori alle prime armi tentano di rimanere nel regime del “lavoro autonomo occasionale” (senza IVA) per evitare complicazioni, ma occorre molta cautela: la prestazione occasionale è ammessa solo per attività episodiche e non organizzate, con un tetto di €5.000 annui oltre il quale scattano obblighi contributivi INPS. Nel caso degli influencer, già il fatto di affiliarsi stabilmente a un brand o di pubblicare contenuti promozionali periodici implica abitualità: le collaborazioni continuative con brand escludono la genuinità dell’occasionalità. Ad esempio, se un ragazzo pubblica sporadicamente un video YouTube monetizzato e guadagna poche centinaia di euro all’anno, potrebbe rientrare nei redditi diversi; ma affiliazioni e sponsorizzazioni ricorrenti non possono mai essere considerate “occasionali”. Di conseguenza, operare senza partita IVA in questi casi espone a pesanti sanzioni – in particolare sanzioni IVA per omessa emissione di fatture e omessa registrazione.

Come si apre la partita IVA da influencer? Il procedimento è analogo a quello per qualsiasi lavoratore autonomo o imprenditore individuale. Si tratta di presentare all’Agenzia delle Entrate la Dichiarazione di inizio attività (solitamente mediante il Modello AA9/12 per persone fisiche) dove, tra le varie informazioni, occorre indicare il codice ATECO che identifica l’attività esercitata. Come detto, dal 2025 è disponibile il codice 73.11.03 “Attività di influencer marketing”, che rappresenta la scelta consigliata per chi inizia oggi questa professione. Chi già aveva aperto in passato con codici generici può (e dovrebbe) comunicare all’Agenzia delle Entrate la variazione del codice attività tramite procedura online (portale “ComUnica”). Nota bene: non è obbligatorio cambiare codice ATECO se si è già attivi, ma è fortemente consigliato per chiarezza fiscale.

Oltre alla partita IVA, se l’attività ha natura d’impresa commerciale (es. un influencer inquadrato come ditta individuale), bisogna espletare l’iscrizione al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio competente. L’iscrizione come impresa individuale comporta il pagamento di un diritto annuale (circa €88 per le ditte individuali) e di diritti di segreteria all’iscrizione (circa €37). Molti creator operano però come lavoratori autonomi non obbligati all’iscrizione camerale (il che avviene quando l’attività è di natura artistica o professionale, più che commerciale pura). La distinzione non è sempre chiara a priori: un fashion blogger che crea contenuti originali può essere visto come libero professionista, mentre un influencer che rivende prodotti con proprio brand agisce da imprenditore. In dubbio, prevale la prudenza: dichiarare l’attività e regolarizzarsi è sempre meglio che essere “sconosciuti al Fisco”.

Regime fiscale da scegliere all’inizio: in sede di apertura della partita IVA, bisogna optare per un regime fiscale. Il regime naturale per nuove partite IVA individuali è attualmente il regime forfettario (se si rispettano i requisiti di accesso), altrimenti si applica la contabilità semplificata ordinaria. Dedicheremo la sezione successiva a un confronto dettagliato tra forfettario e ordinario. Anticipando, il regime forfettario è generalmente molto conveniente per i nuovi influencer che prevedono ricavi sotto una certa soglia, grazie a una tassazione sostitutiva ridotta (5% o 15%) e semplificazioni (niente IVA né IRAP). In alternativa, alcuni influencer strutturano la propria attività aprendo direttamente una società di capitali (es. SRL) e facendosi assumere o remunerare dalla stessa: anche questo scenario sarà discusso più avanti.

Iscrizione previdenziale: un aspetto da non dimenticare contestualmente all’apertura della partita IVA è la posizione INPS. A seconda della natura dell’attività, l’influencer potrebbe dover iscriversi a gestioni previdenziali diverse:

  • La maggior parte degli influencer-autonomi rientra nella Gestione Separata INPS (con aliquota contributiva intorno al 26-27% del reddito netto, per il 2025) perché svolge attività libero-professionale senza cassa specifica. In Gestione Separata non ci sono contributi fissi: si paga un percentuale sul reddito effettivo, con obbligo di iscrizione dal momento in cui si prevede di superare €5.000 annui di compensi.
  • Se l’attività è invece considerata impresa commerciale (influencer equiparato a imprenditore individuale), scatta l’iscrizione alla Gestione Commercianti INPS, che prevede contributi fissi annuali (circa €3.800-4.000) validi fino a un reddito di circa €15.000, oltre il quale si pagano contributi aggiuntivi in percentuale. Questi contributi fissi vanno versati anche in assenza di utili, quindi rappresentano un onere importante da valutare.
  • Casi particolari: influencer inquadrati come agenti di commercio devono iscriversi anche alla fondazione ENASARCO (ente previdenza agenti) con versamento di contributi su provvigioni; influencer che producono contenuti assimilabili a opere dello spettacolo potrebbero dover iscriversi al Fondo Pensione Lavoratori dello Spettacolo (ex ENPALS) se la loro attività rientra tra quelle tutelate da quel fondo (ipotesi limite, es. creator/attori).

È recente la pubblicazione di apposite istruzioni previdenziali: la Circolare INPS n. 44/2025 ha fornito chiarimenti sull’inquadramento contributivo di queste nuove professioni digitali (influencer, youtuber, ecc.), indicando criteri per stabilire la gestione previdenziale competente in base alle modalità operative e all’organizzazione del lavoro. In sintesi, chi svolge l’attività in forma artistico-professionale ricade in Gestione Separata; chi la svolge con caratteri d’impresa (commercio) ricade in Gestione Commercianti; restano ferme le particolarità (Enasarco per agenti, Fondo Spettacolo per performer online). Dunque, è fondamentale analizzare il proprio modello di business anche sotto questo profilo.

Altri adempimenti iniziali: verificare presso il proprio Comune se l’avvio di attività di servizi internet richiede una comunicazione (talvolta una SCIA – Segnalazione Certificata di Inizio Attività – può essere richiesta per l’apertura di una sede operativa, se c’è un ufficio aperto al pubblico). Nella maggior parte dei casi l’influencer che lavora da casa non necessita di autorizzazioni amministrative specifiche. Va invece curata sin da subito la configurazione fiscale: dotarsi di un sistema di fatturazione, tenere traccia dei contratti con gli sponsor, conservare la documentazione dei compensi percepiti (anche se derivanti da piattaforme online estere, come Google/YouTube o Twitch).

Riassumendo la procedura di avvio:

  • Apertura Partita IVA: tramite il commercialista o autonomamente, con scelta del codice ATECO 73.11.03 (dal 2025) o equivalente, regime fiscale preferito (forfettario se ricavi presunti ≤ €85.000).
  • Iscrizione Registro Imprese: se dovuta, per attività di impresa commerciale (non richiesta per semplici lavoratori autonomi senza organizzazione d’impresa).
  • Iscrizione INPS: Gestione Separata (attività professionale) oppure Gestione Commercianti (attività commerciale).
  • Eventuale posizione INAIL: solo se l’influencer ha dipendenti o rischi particolari (generalmente non applicabile se lavora da solo senza rischi specifici).
  • Apertura posizione IVA estera (VIES): se si prevedono operazioni intracomunitarie (es: ricevere pagamenti da società UE come Google Ireland per AdSense), è opportuno essere inseriti nell’archivio VIES per effettuare operazioni intracomunitarie (il commercialista lo può indicare nella domanda di inizio attività).

3. Regimi Fiscali per Influencer: Forfettario, Ordinario o Società?

Una delle decisioni cruciali per un influencer che avvia l’attività riguarda il regime fiscale da adottare. Le opzioni principali sono: regime forfettario (se ne ricorrono i requisiti), regime ordinario IRPEF (contabilità semplificata per le imprese minori o professionisti), oppure l’esercizio tramite società (es. SRL) con tassazione IRES. Analizziamo ciascuna soluzione e mettiamole a confronto.

Regime Forfettario per l’Influencer

Il regime forfettario è un regime agevolato, introdotto dalla L. 190/2014 e successive modifiche, pensato per le partite IVA “piccole” (ricavi contenuti) e caratterizzato da forte semplicità. Dal 2023 la soglia di accesso al forfettario è stata elevata a €85.000 di ricavi/compensi annui (era €65.000 fino al 2022) e tale soglia è confermata almeno fino a fine 2025. Le regole principali del regime forfettario per un influencer sono:

  • Imposta sostitutiva fissa: si paga un’unica imposta del 15% sul reddito imponibile calcolato forfettariamente. Nei primi 5 anni di nuova attività, se si possiedono i requisiti per considerarsi start-up, l’aliquota è ridotta al 5%. Questa imposta sostituisce IRPEF, addizionali regionali/comunali e IRAP.
  • Determinazione forfettaria del reddito: non si deducono i costi effettivi, ma si applica un coefficiente di redditività prestabilito in base al codice ATECO. Per il nuovo codice Ateco 73.11.03 (e in generale per le attività di servizi di pubblicità/marketing affini) il coefficiente è il 78%. Ciò significa che il 22% dei ricavi è considerato forfettariamente come spesa e il 78% come reddito imponibile. Esempio: se un influencer in forfettario fattura €50.000 in un anno, il suo reddito imponibile sarà €39.000 (il 78%) su cui pagherà il 15% di imposta = €5.850. (N.B.: i contributi previdenziali versati si deducono a parte dal reddito imponibile in sede di dichiarazione).
  • Niente IVA in fattura: il forfettario è esonerato dall’applicazione dell’IVA sulle operazioni attive. Emetterà fatture senza addebito IVA, inserendo la dicitura di esclusione (es. “Operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, commi 54-89, L. 190/2014 – Regime Forfettario”). Non può detrarre l’IVA sugli acquisti però, perché di fatto è come un consumatore finale. L’esonero IVA semplifica molto gli adempimenti (niente liquidazioni periodiche né registri IVA).
  • Semplificazioni contabili: niente obbligo di registri contabili né di tenuta della contabilità di competenza; basta conservare i documenti emessi e ricevuti. Il forfettario non è tenuto alle scritture contabili tradizionali né al bilancio. Deve però presentare la dichiarazione dei redditi (quadro LM del Modello Redditi) ogni anno per dichiarare i propri ricavi e calcolare l’imposta sostitutiva dovuta. Dal 2022 è inoltre obbligatorio anche per i forfettari emettere fattura elettronica in formato XML, tramite SdI, salvo che nell’anno precedente abbiano avuto ricavi sotto €25.000 (soglia ormai superata quasi da tutti).
  • Niente ritenuta d’acconto subita: i forfettari, pur essendo lavoratori autonomi, non subiscono la ritenuta d’acconto del 20% sui compensi da parte dei clienti sostituti d’imposta. Devono anzi rilasciare ai clienti una dichiarazione di essere in regime forfettario e quindi di non essere soggetti a ritenuta (come da art. 1, c. 67 L. 190/2014). Questo fa sì che l’influencer forfettario venga pagato al lordo e versi poi autonomamente la sua imposta sostitutiva.
  • Limiti e cause di esclusione: oltre al limite di ricavi (€85.000 ragguagliati ad anno), il regime forfettario prevede che non si siano sostenute spese per lavoro dipendente/collaboratori oltre €20.000 annui, e che non si partecipi a società di persone/associazioni professionali o si controllino SRL con attività affine, ecc. Inoltre è escluso chi nell’anno precedente ha avuto redditi di lavoro dipendente o pensione sopra €30.000 (salvo il lavoro sia cessato). Un influencer che in parallelo è anche lavoratore dipendente ad alto reddito, quindi, non può usare il forfettario.

Il vantaggio del forfettario è chiaramente la bassa tassazione (soprattutto se al 5% nei primi anni) e la burocrazia ridotta. Di contro, diventa sconveniente superati certi livelli di reddito o spese: ad esempio, se l’influencer ha costi molto elevati (attrezzatura costosa, dipendenti, agenzia di management, etc.), nel forfettario questi costi reali non riducono il reddito imponibile oltre il forfait del 22%. In regime ordinario, invece, potrebbe dedurli integralmente e forse pagare meno tasse nonostante aliquote maggiori. Dunque, oltre i €85.000 (in realtà, già dai €65-70.000 può valere la pena valutare l’ordinario), conviene passare al regime ordinario o a una struttura societaria.

Meccanismo di uscita dal forfettario: se i ricavi superano €85.000 ma non €100.000 in un anno, il regime cessa dall’anno successivo. Se invece si supera la soglia di €100.000, la legge prevede la decadenza immediata dal forfettario in corso d’anno: cioè, dall’operazione con cui si è sforato il tetto, bisogna applicare IVA come un regime ordinario e dal periodo d’imposta in corso si pagheranno imposte ordinarie. Questo implica che chi è intorno a quella soglia deve monitorare attentamente i compensi: incassare €101.000 invece di €99.000 in un anno comporta non solo l’uscita, ma il dover sanare a posteriori l’IVA sulle operazioni fatte oltre soglia.

Regime Ordinario IRPEF (contabilità semplificata)

Se un influencer non rientra o non opta per il forfettario, i suoi redditi saranno tassati secondo le regole ordinarie dell’IRPEF come reddito di lavoro autonomo o d’impresa. Il regime contabile adottato generalmente è la contabilità semplificata, prevista per imprese individuali e professionisti con ricavi sotto 500k (servizi) o 800k (vendita merci). In contabilità semplificata:

  • Il reddito è calcolato secondo il criterio di cassa (incassi meno pagamenti). Ciò significa che rileva quando il compenso è effettivamente incassato dall’influencer e quando le spese sono effettivamente pagate. Questo criterio evita di tassare compensi non ancora incassati a fine anno (rilevanti per chi ha contratti di sponsorizzazione i cui pagamenti slittano).
  • Tassazione IRPEF progressiva: il reddito netto (differenza tra ricavi e costi deducibili) viene tassato con le aliquote IRPEF per scaglioni (23%, 25%, 35%, 43% oltre €50.000 di reddito imponibile), più addizionali regionali e comunali. Non c’è imposta sostitutiva fissa: chi guadagna molto potrebbe arrivare a pagare il 43% sulla parte eccedente i 50mila. È un livello ben più alto del 15% forfettario, ma va ricordato che con il regime ordinario si deducono i costi effettivi al 100% (se inerenti) e non si paga sull’intero incassato. Ad esempio, un influencer regime ordinario con €150.000 di ricavi ma €100.000 di costi deducibili pagherà IRPEF su €50.000 (con aliquota media che potrebbe essere attorno al 30%), mentre un forfettario con €150.000 di ricavi non sarebbe proprio possibile (avrebbe dovuto uscire, ma per ipotesi pagherebbe sul 78% = €117.000 al 15%, quindi ~€17.500 di imposta, che è comparabile).
  • IVA obbligatoria: il regime ordinario comporta che l’influencer addebiti l’IVA al 22% sulle sue prestazioni commerciali (sponsorizzazioni, servizi pubblicitari resi a clienti italiani). Tale IVA incassata va versata periodicamente all’Erario (trimestralmente o mensilmente a seconda del volume d’affari). Egli potrà però detrarre l’IVA sugli acquisti relativi all’attività (attrezzature, servizi, ecc.), pagando quindi solo la differenza (IVA a debito – IVA a credito). Nei rapporti con clienti esteri UE (es. società irlandese di Google, o un brand europeo), le fatture saranno emesse senza IVA con inversione contabile (sarà il cliente estero a versare l’IVA nel proprio paese); con clienti extra-UE, l’operazione è fuori campo IVA. Tuttavia, l’influencer italiano dovrà comunicare tali operazioni estere tramite gli elenchi INTRA o esterometro (dal 2022 confluito nelle comunicazioni fatture estere).
  • Ritenute d’acconto: se l’influencer persona fisica in regime ordinario fattura a un’azienda italiana per una prestazione di lavoro autonomo, in molti casi il cliente applicherà la ritenuta d’acconto del 20%. Questo succede quando il committente è un sostituto d’imposta e il compenso è classificabile come reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 25 DPR 600/73. Ad esempio, un’agenzia pubblicitaria che paga €1.000 + IVA a un influencer emetterà un bonifico di €800 + IVA e verserà €200 al fisco come acconto imposte dell’influencer. L’influencer poi dichiarerà l’intero compenso e potrà scalare quella ritenuta dai debiti IRPEF. Nota: se invece l’influencer è configurato come impresa (ditta individuale), i compensi rientrano tra i redditi d’impresa e non sono soggetti a ritenuta d’acconto da parte del cliente (che verserà l’intero importo fatturato). La distinzione pratica dipende dal codice fiscale indicato in fattura: se si fattura con partita IVA personale e codice fiscale personale, molti committenti per prudenza trattengono la ritenuta. È importante chiarire col proprio commercialista l’esatto inquadramento, così da istruire i clienti sul corretto trattamento fiscale dei pagamenti. In regime forfettario, come detto, la ritenuta non si applica per legge.

Deduzione delle spese e principio di inerenza: uno dei maggiori vantaggi del regime ordinario è la possibilità di dedurre tutti i costi inerenti all’attività, cioè quei costi che presentano una correlazione con la produzione dei ricavi dell’influencer. Ne parleremo diffusamente nella sezione successiva, ma anticipiamo che per un influencer possono essere inerenti spese come: acquisto di attrezzature audio-video, computer, smartphone; costi di viaggio e trasferta per eventi e shooting; spese per servizi professionali (es. compenso al fotografo, al videomaker, al commercialista); eventuali fee a manager o piattaforme di influencer marketing; e perfino acquisto di abbigliamento e accessori utilizzati nella creazione dei contenuti (quest’ultimo punto è stato oggetto di una recente sentenza che ha riconosciuto in parte la deducibilità di tali costi). In regime forfettario nulla di tutto ciò è specificamente deducibile (è già forfettariamente “coperto” dal 22% di spese figurative); in ordinario invece ogni euro speso in funzione dell’attività può ridurre il reddito tassabile, a patto di poterlo provare e giustificare.

Contributi previdenziali nel regime ordinario: restano dovuti come spiegato (Gestione Separata o fissi INPS), e possono essere portati in deduzione dal reddito complessivo o detrazione d’imposta a seconda del tipo.

Regime ordinario semplificato vs. regime forfettario – Tabella Comparativa

CaratteristicaForfettarioOrdinario (ditta individuale)
Soglia ricavi≤ €85.000 (oltre uscita regime)Nessun limite (oltre €500k contabilità ord.)
Tassazione redditoImposta sostitutiva 15% (5% start-up)IRPEF progressive 23%-43% + addizionali
Determinazione redditoForfettaria: 78% ricavi imponibili (22% costo figurativo)Analitica: ricavi – costi deducibili effettivi (criterio di cassa)
IVANon applicata in fattura (no detrazione acquisti)Applicata (22% in Italia), con detrazione IVA acquisti. Liquidazioni IVA trimestrali o mensili.
ContabilitàSemplificata al massimo: no registri IVA, no libro giornale, solo conservare documenti. Fattura elettronica obbligatoria (salvo minimi)Registri IVA vendite/acquisti, registro incassi/pagamenti. Adempimenti Iva completi. Fattura elettronica obbligatoria.
Ritenuta d’acconto sui compensiNo (esonero ex L.190/2014, cliente paga lordo)Sì, al 20% sui compensi di lavoro autonomo da sostituti d’imposta (no se reddito d’impresa)
Contributi previdenzialiGestione Separata (aliquota su reddito) o Commercianti (fissi+eccedenza) – invariati rispetto a ordinarioGestione Separata o Commercianti, identico inquadramento previdenziale (deducibilità contributi dal reddito)
Vantaggi– Imposta bassa e fissa, semplicità di calcolo. – Adempimenti minimi (niente IVA, niente studi di settore/ISA). – Ideale per start e piccoli importi.– Possibilità di dedurre tutte le spese reali. – Nessun tetto ai ricavi. – Tassazione equa in base al profitto effettivo. – Possibilità di compensare perdite (per imprese).
Svantaggi– Nessuna deduzione di costi reali (forfait fisso). – Tetto ricavi rigido, uscita immediata se >€100k. – Aliquota sostitutiva può risultare più alta dell’IRPEF effettiva per redditi bassi con familiari a carico (niente detrazioni).– Maggior carico burocratico (IVA, dichiarazioni più complesse, ISA). – Aliquote IRPEF alte per chi guadagna molto (potenzialmente >15%). – Necessità di una gestione contabile accurata per documentare le spese.

Operare tramite Società (SRL, SRLS, etc.)

Alcuni top influencer, soprattutto quando i guadagni annuali diventano molto elevati, scelgono di operare non come persone fisiche ma attraverso una società di capitali, tipicamente una S.R.L. (Società a Responsabilità Limitata). In pratica costituiscono una loro società che stipula i contratti commerciali con le aziende, incassa i compensi e poi remunera l’influencer magari come amministratore o socio tramite stipendi o dividendi. Questa impostazione rientra nell’ambito della pianificazione fiscale lecita e può portare vantaggi, ma va valutata con attenzione.

Caratteristiche della soluzione “SRL” per influencer:

  • La SRL è un soggetto giuridico distinto: tassa i propri utili al 24% (IRES) invece che all’aliquota IRPEF personale. Inoltre, se l’attività è commerciale, si applica l’IRAP (3.9%) sugli utili operativi, salvo esenzioni per piccole imprese. Quindi la tassazione della società sui profitti è grosso modo 24% + IRAP. Ma poi quando l’utile viene distribuito all’influencer come dividendo, subisce un’ulteriore tassazione del 26% (imposta sui dividendi). Complessivamente, se si preleva tutto l’utile, la somma delle aliquote può arrivare ~45% (24 + 26 su 76 residuo), non molto diversa dall’aliquota IRPEF massima 43%. Il vantaggio societario si vede se parte degli utili viene reinvestita nella società (pagando solo 24% fino a quando non distribuiti) o se si possono sfruttare regimi speciali (es. l’influencer trasferito all’estero che prende dividendi tassati diversamente).
  • La SRL permette di separare responsabilità legali e patrimoniali: in caso di problemi o debiti, l’influencer persona fisica è più tutelato, perché risponde la società col suo capitale. Questo può essere rilevante se si contraggono obbligazioni significative (affitti di studi, contratti con penali, ecc.) o se si teme il rischio di cause legali (es. per pubblicità ingannevole, violazione di diritti, ecc.).
  • Con la SRL l’influencer può strutturare meglio l’attività: assumere dipendenti, collaboratori, far entrare soci (es. manager, investitori). Da un certo livello di fatturato annuo (diciamo oltre i €200-300k) può risultare efficiente avere una società che gestisce in modo imprenditoriale il marchio dell’influencer, diversificando le entrate (merchandising, eventi, ecc.).
  • Sul piano fiscale, alcune spese possono essere dedotte più facilmente da una SRL (che è soggetto imprenditoriale al 100%). Inoltre, la SRL non è soggetta agli studi di settore/indici ISA (che per le persone fisiche possono segnalare anomalie). La SRL però ha l’obbligo di bilancio, revisione (se supera certi parametri), costi di mantenimento più alti (notaio, camera di commercio, consulenti per contabilità ordinaria).
  • Spesso l’influencer che crea una SRL si nomina amministratore: percepirà così un compenso amministratore deducibile per la società e tassato IRPEF come reddito assimilato al lavoro dipendente per lui (soggetto a ritenuta e contributi INPS gestione separata o gestione separata INPS se amministratore senza altra copertura). Questa può essere una via per spostare parte del reddito su IRPEF personale e parte lasciarlo in azienda. In alternativa o in aggiunta, l’influencer socio può remunerarsi tramite dividendi (soggetti al 26% se egli è residente in Italia). Un vantaggio è che l’IRPEF su compenso amministratore ha aliquote ma anche detrazioni, e che i dividendi scontano il 26% secco che, se il socio è molto ricco, può essere inferiore al 43% massimo IRPEF su reddito personale.

In sintesi, per un singolo influencer la convenienza della SRL è più legale/operativa che fiscale pura. Fintanto che parliamo di redditi medi (decine di migliaia di euro), la partita IVA personale forfettaria o semplificata è quasi sempre più conveniente e semplice. Per redditi molto elevati (centinaia di migliaia), la SRL può offrire strumenti di ottimizzazione (ad esempio rateizzare l’estrazione degli utili su più anni per non finire al 43% IRPEF subito, oppure reinvestire gli utili in nuovi progetti con tassazione IRES inferiore). Diversi noti influencer italiani hanno costituito società per gestire i propri proventi – caso emblematico è quello di Chiara Ferragni, che attraverso la sua società ha gestito branding e contratti internazionali (evitando di incassare tutti i compensi personalmente e quindi distribuendo il carico fiscale).

Esempio di confronto: un influencer persona fisica con reddito netto €300.000 pagherebbe circa €113.000 di IRPEF+addizionali (aliquota media ~37-38%). Se invece costituisse una SRL: la società su €300k utile pagherebbe €72k IRES+IRAP (24%+?); se distribuisce tutto all’influencer, questi paga il 26% di 228k = €59.3k. Totale imposte €131.3k, quindi peggio. Se però ne distribuisce solo la metà e lascia il resto in azienda per nuovi investimenti, pagherà €72k su azienda + €29.6k su €150k dividendo = €101.6k, risparmiando rispetto a €113k e con €150k ancora in azienda tassati solo al 24%. Ovviamente sono scenari semplificati; vanno considerati anche i costi della struttura societaria.

Altre forme societarie: in teoria, l’influencer potrebbe usare anche società di persone (SAS, SNC) ma queste lo espongono a responsabilità illimitata e tassano gli utili con IRPEF in capo ai soci (quindi poco senso in ottica ottimizzazione fiscale). Una SRL semplificata (SRLS) può ridurre i costi di avvio (capitale minimo €1, atto costitutivo standard e spese notarili ridotte). Alcuni possono valutare la forma della associazione professionale (studio associato) se si tratta di un team di content creator: però il problema è che l’attività di influencer non è una professione intellettuale tradizionale protetta, quindi l’associazione potrebbe non essere adatta a meno di inquadrarla come attività artistica/di spettacolo.

In conclusione, la scelta del veicolo va calibrata su misura: per molti influencer individuali la partita IVA forfettaria è il punto di partenza ideale; col crescere dell’attività si potrà valutare il passaggio al regime ordinario e, se i vantaggi superano i costi, la trasformazione in società. Si raccomanda di farsi assistere da un commercialista esperto in fiscalità digitale per simulare il carico fiscale nelle varie opzioni.

4. Obblighi Fiscali Correnti: IVA, Fatturazione e Ritenute

Fatturazione e documentazione dei ricavi: ogni qual volta un influencer effettua una prestazione dietro corrispettivo (monetario o in natura) è tenuto a documentarla fiscalmente. La regola generale è che i compensi da attività abituale vanno fatturati. Ciò significa emettere una fattura elettronica nei confronti del cliente/committente, riportante data, descrizione dell’operazione (es. “Servizio di influencer marketing: pubblicazione post Instagram promozionale per [nome brand]”), importo e l’eventuale IVA o indicazione di non applicabilità. Se l’influencer riceve un bene/servizio come pagamento (es. vestiti, prodotti tecnologici) al posto di denaro, si configura il cosiddetto baratto o permuta: anche questi valori sono reddito imponibile. Il Fisco ritiene che l’influencer debba emettere fattura per il valore normale del bene ricevuto (ad esempio, se un’azienda invia uno smartphone da €1.000 in cambio di una recensione, l’influencer dovrebbe fatturare €1.000 + IVA come prestazione pubblicitaria, e l’azienda fatturerà a sua volta €1.000 + IVA per la cessione del telefono, compensando le due partite). In pratica spesso ciò non avviene formalmente, ma in caso di controlli il valore dei prodotti omaggio può essere contestato come reddito sottratto a tassazione. Dunque, soprattutto per partnership di valore, conviene accordarsi per regolarizzare anche gli scambi in natura.

Nel regime forfettario, come detto, le fatture si emettono senza IVA e senza ritenuta, con l’obbligo di indicare la dicitura di esclusione regime forfettario. Occorre numerare progressivamente le fatture e conservarle (il SdI – Sistema di Interscambio – già le archivia digitalmente). Anche chi non ha obbligo di fatturazione elettronica (forfettario sotto €25k nel 2021) ormai dovrebbe comunque adeguarsi, poiché dal 2024 tutti saranno inclusi.

Nel regime ordinario, le fatture ai clienti italiani (non privati) vanno emesse con IVA 22%. Se il cliente è un soggetto privato senza P.IVA, l’influencer può emettere una ricevuta (in cui però va addebitata l’IVA ugualmente se supera €77,47 e va apposta marca da bollo da €2). In pratica, la maggior parte dei clienti di influencer sono aziende (brand, agenzie) quindi si lavora con fatture B2B. Per i clienti esteri UE, come già accennato, l’influencer italiano (se soggetto IVA) emetterà fattura senza IVA indicando “inversione contabile – art. 7-ter DPR 633/72” e il cliente estero integrerà l’IVA nel proprio paese. È fondamentale in questi casi che l’influencer sia iscritto al VIES e che la partita IVA del cliente estero sia valida (si controlla con VIES). Per i clienti extra-UE (es. un brand USA), la prestazione di servizi si considera fuori campo IVA (art. 7-ter, soggetto passivo non UE), quindi fattura senza IVA con dicitura “operazione non soggetta”. In tutti i casi di operazioni verso l’estero, il forfettario non ha obblighi IVA, ma deve presentare un esterometro trimestrale (salvo invio della fattura elettronica anche a cliente estero). Il regime ordinario deve presentare elenco Intrastat per servizi resi a clienti UE.

Un caso specifico importante: i pagamenti da piattaforme online come YouTube/Google AdSense, Twitch, Facebook (Meta) per monetizzazione delle visualizzazioni o contenuti. Queste piattaforme spesso corrispondono compensi da entità estere (Google Ireland, Twitch/Amazon in Lussemburgo, Meta in Irlanda) direttamente al creator. Fiscalmente, tali compensi sono prestazioni di servizi elettronici pubblicitari rese dall’influencer alla piattaforma (che vende pubblicità e remunera il creator con una quota). L’influencer con P.IVA ordinaria dovrebbe emettere una autofattura o integrazione per registrare l’operazione interna e applicare il reverse charge. In pratica, per AdSense un creator italiano integra l’IVA al 22% su quanto ricevuto (ma non la versa perché è contestualmente a credito e debito, essendo servizio UE reso a sé stesso). Molti piccoli influencer trascurano questo aspetto, ma in sede di controllo l’Agenzia delle Entrate potrebbe richiedere la documentazione di tali ricavi. In ogni caso, i compensi da piattaforme vanno dichiarati come reddito. L’Agenzia delle Entrate dispone ora di informazioni più capillari (grazie a DAC7, vedi infra) sui guadagni derivanti da piattaforme digitali, quindi ometterli è rischiosissimo.

Ritenute d’acconto e certificazioni: se l’influencer in regime ordinario subisce ritenute sui pagamenti (come visto, 20% su compensi da aziende), a inizio anno successivo i clienti dovranno inviargli la Certificazione Unica attestante le somme pagate e le ritenute operate. L’influencer dovrà poi riportare tali ritenute nel quadro di dichiarazione per scalarle dall’imposta dovuta.

Versamenti fiscali periodici: l’influencer dovrà versare:

  • IVA (se in regime IVA): entro il 16 del mese successivo al trimestre (per trimestrali) o mese (per mensili), l’IVA a debito netta. I forfettari non versano IVA.
  • Ritenute d’acconto operate su terzi: caso raro, solo se l’influencer ha dipendenti o paga provvigioni su cui deve operare ritenuta. Allora verserebbe col modello F24.
  • Acconti imposte: come tutti i titolari di reddito d’impresa/lav. autonomo, in dichiarazione dei redditi dovrà calcolare e pagare gli acconti per l’anno successivo (40% a giugno, 60% a novembre, salvo il primo anno di attività che è esente da acconti). Per il forfettario, acconti dell’imposta sostitutiva; per l’ordinario, acconti IRPEF.
  • Contributi INPS: versamenti periodici (mensili o trimestrali) in base alle regole della gestione di appartenenza. Gestione Separata: F24 a giugno e novembre (insieme a saldo e acconti imposte); Gestione Commercianti: quattro rate trimestrali fisse + eventuali conguagli.

Riassumendo, un influencer ben organizzato dovrebbe tenere un calendario fiscale che includa: scadenze IVA (trimestrale), F24 contributi, dichiarazione annuale (Redditi PF o dichiarazione IVA se dovuta), scadenze acconti e saldo a giugno (o 30 novembre). In caso di difficoltà, affidarsi a un intermediario fiscale è d’obbligo.

Obblighi dichiarativi e altri: entro il 30 giugno (salvo proroghe) di ogni anno va presentata la Dichiarazione dei Redditi per l’anno precedente, includendo tutti i redditi dell’influencer (non solo quelli da attività influencer, ma anche eventuali redditi di altra natura). Se si è nel regime forfettario, non va presentata la dichiarazione IVA separata, mentre nel regime ordinario sì (entro fine aprile). Se l’influencer è soggetto a ISA (Indici Sintetici di Affidabilità), dovrà compilare il relativo modulo: i primi anni non c’erano ISA specifici per influencer, ma venivano assimilati ad attività pubblicitarie o di consulenza. Dal 2025 con il nuovo codice Ateco potrebbe essere introdotto un indice dedicato in futuro. In ogni caso, dichiarare fedelmente il reddito conviene anche per avere un buon punteggio ISA ed evitare evidenze di evasione.

5. Determinazione del Reddito e Deduzione dei Costi

Un tema cruciale per chi esercita attività di influencer è capire quali spese possono essere dedotte dal reddito imponibile (nel regime ordinario) e con quali limiti. Il concetto chiave è quello di inerenza: per la normativa italiana, sono deducibili i costi e le spese che si riferiscono all’attività esercitata e sono finalizzati alla produzione dei ricavi. L’art. 54 del TUIR disciplina le spese deducibili per i lavoratori autonomi, mentre gli art. 109 e seguenti (ora art. 83 e segg. dopo il D.Lgs. 344/2003) per le imprese, ma il principio è simile. Tuttavia, nel caso degli influencer sorgono alcune questioni peculiari data la natura “ibrida” tra vita personale e attività professionale: ad esempio, le spese per abbigliamento o viaggi, spesso effettuate per creare contenuti, sono deducibili o no? La risposta dipende dalle circostanze, ma abbiamo già alcune indicazioni dalla prassi e dalla giurisprudenza recente.

Spese certamente inerenti e deducibili (in regime ordinario):

  • Attrezzature e materiali di produzione: videocamere, fotocamere, smartphone utilizzati per riprese, microfoni, luci, computer per montaggio video, software di editing, ecc. Questi beni strumentali, se di costo elevato (>€516,46), vanno ammortizzati in più anni (ad es. elettronica ammortamento 20% annuo). Se di importo minore, si deducono integralmente nell’anno. L’IVA su essi è detraibile.
  • Canoni e abbonamenti digitali: software di grafica, licenze musicali, hosting web, piattaforme streaming a pagamento utilizzate per l’attività, servizi cloud, ecc. (deducibili al 100% se servono al business). Anche l’abbonamento a internet è deducibile in quota parte se l’utenza è intestata all’attività.
  • Consulenze e servizi professionali: parcelle di commercialisti, avvocati, consulenti per la gestione dei social, costi di moderatori, editor, operatori video ingaggiati per collaborare ai contenuti. Tutto deducibile.
  • Spese di promozione: se l’influencer investe in pubblicità a sua volta (es. sponsorizzare i propri post, fare campagne ADV per crescere), quei costi sono deducibili come spese di marketing.
  • Affitto di locali o studi: se l’influencer affitta uno studio per shooting, o un ufficio, il canone è deducibile. Se invece lavora in casa propria, può dedurre una quota delle spese di casa solo se ha una stanza adibita esclusivamente a studio (in tal caso, ad esempio, può dedurre i costi per quella stanza in proporzione ai mq totali, es. 20% di affitto e bollette).
  • Viaggi e trasferte: la partecipazione a eventi, fiere, viaggi per shooting in esterna – se finalizzati all’attività – sono deducibili. La normativa sui lavoratori autonomi consente di dedurre al 100% le spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute fuori dal territorio comunale per ragioni di lavoro, nei limiti di elementi documentali (biglietti, ricevute hotel, scontrini pasti) e purché attinenti all’attività. Ad esempio, se un travel influencer vola a Parigi per un progetto con un brand e sostiene spese di volo e hotel, può dedurle integralmente (IVA dei hotel e ristoranti detraibile 100% per alloggio, 50% per ristorazione). Se invece fa pranzo nel proprio Comune per una riunione locale, quel pasto rientra nelle spese di rappresentanza/ded. al 75% entro certi limiti di valore. Insomma, occorre distinguere trasferte extra-comunali (deducibili 100%) da spese di rappresentanza locali (ded. 75% con limiti 1% ricavi se applicabile).
  • Auto e trasporti: se l’influencer usa un’automobile per lavoro, come per tutti i professionisti la deducibilità è limitata al 20% delle spese auto (carburante, manutenzione, leasing) e l’IVA detraibile al 40%, con un tetto di costi annui per autovettura (circa €18.000+IVA su acquisto ammortizzabile). Questo perché l’auto è considerata bene a uso promiscuo. Solo se si prova l’uso esclusivamente professionale (es. auto aziendale intestata a società e usata solo per trasferte) si potrebbe dedurre di più, ma per individui è di fatto sempre limitato.
  • Spese per shooting, set, scenografie: noleggio location, affitto attrezzature, acquisto materiali di scena – tutto deducibile se documentato e inerente a uno specifico progetto di contenuto.

Spese “frivole” o personali: l’area più grigia riguarda quelle spese che potrebbero avere natura promiscua personale/professionale. Un caso emblematico è l’abbigliamento. Normalmente, per un professionista, l’abbigliamento di comune utilizzo non è deducibile, perché ritenuto spesa personale (a meno che non sia una divisa o costume necessario). Tuttavia, nel mondo degli influencer di moda e lifestyle, l’abbigliamento può essere parte integrante del contenuto (es. fare shooting con outfit sempre diversi). La domanda è: si può dedurre il costo dei vestiti acquistati al fine di apparire nei contenuti? Fino a poco tempo fa, l’Agenzia delle Entrate avrebbe risposto di no, considerandoli consumi personali. Ma una recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia (sent. n. 468/2024) ha fatto notizia: ha riconosciuto in parte deducibili i costi per abiti, gioielli e accessori acquistati da una fashion influencer per la propria attività. In quel caso, l’influencer (una nota fashion editor) aveva subito un accertamento che le negava la deduzione di tali costi per “mancanza di inerenza”; la Corte di appello ha invece stabilito che, data la natura dell’attività, l’acquisto di capi di vestiario “particolari” costituiva un elemento essenziale e imprescindibile del suo lavoro, e come tale inerente e deducibile. Ha quindi riformato la decisione di primo grado, permettendo la deduzione (seppur “limitatamente”, quindi forse non il 100% di ogni spesa, ma quelli strettamente legati ad eventi, shooting, etc.). Questa pronuncia apre la porta a considerare deducibili molti costi prima ritenuti personali, purché si provi che sono funzionali ai contenuti. Il giudice ha richiamato anche un principio della Cassazione: l’inerenza va valutata in senso qualitativo, escludendo solo le spese chiaramente estranee all’attività. Nel dubbio, conviene conservare evidenze (ad es. se compro un abito da €500 e poi lo indosso in un video sponsorizzato, conservare copia del video o foto come prova che quell’acquisto era finalizzato al contenuto).

Altre spese parzialmente deducibili:

  • Telefonia: le bollette telefoniche del cellulare usato anche per lavoro sono deducibili al 50% per presunzione di uso promiscuo.
  • Ristoranti: se l’influencer invita a pranzo/cena collaboratori o clienti per motivi di relazione pubblica, i costi sono deducibili al 75% con limiti (spese di rappresentanza). Se invece sono durante trasferte fuori sede, come detto, deducibili al 100% (ma l’IVA detraibile solo 50%).
  • Regali ai follower o omaggi: può capitare che l’influencer compri dei regali da offrire in contest o regali per collaboratori. Sono spese di rappresentanza deducibili 100% se costo unitario < €50,41, al 50% se oltre (come da regole generali).

Nel regime forfettario, ricordiamo, non rileva nulla di tutto questo: non occorre neppure distinguere le spese, perché il reddito viene tassato sul forfait indipendentemente dai costi reali. Tuttavia, anche i forfettari dovrebbero conservare ricevute e fatture di acquisto, per due motivi: 1) se mai dovessero passare a regime ordinario, potrebbero dedurre ammortamenti di beni acquistati in forfettario (c’è una norma che lo consente); 2) in caso di controllo, l’Agenzia potrebbe voler verificare che alcune uscite di denaro non celino ricavi in nero (es. prelievi sul conto) e avere ricevute aiuta a giustificare.

Costo del personale o collaboratori: se l’influencer si avvale di dipendenti o collaboratori con contratti, i relativi costi (stipendi, contributi) sono deducibili integralmente. Per il forfettario, attenzione: se paga compensi a collaboratori > €20.000 annui, perde il regime.

Ammortamenti di beni immateriali: caso di influencer che acquista diritti, ad es. una licenza musicale pluriennale per i video, può ammortizzarla, ma sono casi rari.

Interessi passivi: deducibili limitatamente (rilevano se influencer ha chiesto prestiti per l’attività, p.es. un finanziamento per attrezzature; sono deducibili per competenza con limiti del 30% EBITDA imprese, e integralmente per autonomi fino a concorrenza proventi finanziari, dettaglio poco rilevante qui).

In conclusione, il principio è documentare tutto e, in caso di costi “borderline”, essere pronti a difenderne l’inerenza. Tenere un’annotazione sul perché una data spesa è servita può essere utile. Le sentenze tributarie più recenti mostrano una certa apertura nel riconoscere la particolarità del lavoro degli influencer: quello che per altri è un lusso o un vezzo (es. comprare l’ultimo smartphone, vestiti firmati, fare un viaggio in un resort) per un influencer può essere parte del processo produttivo dei suoi contenuti e quindi un investimento per generare reddito. La CGT Lombardia nel caso citato ha evidenziato proprio che, nel caso di quell’icona di stile, la sua immagine era l’essenza dell’attività, perciò gli abiti erano un presupposto necessario per svolgerla.

Naturalmente, ci sono limiti: l’influencer non può dedurre spese estranee presentandole come necessarie. Se comprasse un’auto di lusso e non la usa mai per trasferte lavorative, difficilmente convincerà che è inerente oltre il 20%. Se acquista beni di lusso a scopo personale e non li impiega nei contenuti, non potrà dedurli. C’è anche il tema dell’antieconomicità: dedurre troppi costi rispetto ai ricavi può far scattare contestazioni (in passato l’Agenzia contestava costi “eccessivi” rispetto all’utile come non inerenti al reddito, ma la Cassazione ha frenato quell’approccio, salvo casi estremi).

Conclusione pratica: conviene tenere la contabilità separata delle spese relative all’attività, magari usando un conto bancario dedicato, così tutte le spese pagate da quel conto si presumono di lavoro. In caso di controllo, poter mostrare un elenco spese con spiegazione rafforza la posizione del contribuente. E se arriva un avviso di accertamento che nega deduzioni, si può far valere in ricorso la giurisprudenza di merito a favore, come quella citata sopra.

6. Controlli Fiscali sugli Influencer

Negli ultimi tempi l’Amministrazione finanziaria italiana ha dedicato particolare attenzione ai creatori di contenuti digitali, inaugurando metodi di controllo innovativi e sfruttando meglio le informazioni disponibili online. Il messaggio è chiaro: anche chi guadagna con social e piattaforme web deve pagare le tasse, e il Fisco sta affinando le proprie strategie per intercettare eventuali evasori tra influencer e Youtuber. Vediamo quali sono le principali modalità di controllo e accertamento impiegate nei confronti degli influencer.

1. Analisi dei dati e selezione dei profili a rischio: La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate operano in sinergia incrociando molteplici banche dati e fonti. Oggi possono contare su strumenti di analisi dei social media, oltre che su informazioni bancarie e segnalazioni internazionali. Un criterio base di selezione è individuare sproporzioni evidenti tra il tenore di vita/visibilità e i redditi dichiarati. Ad esempio, un influencer con centinaia di migliaia di follower, che ostenta sui social beni di lusso (auto, orologi, viaggi) ma risulta aver dichiarato poche migliaia di euro, è un candidato quasi certo a un controllo. Allo stesso modo, un canale YouTube con milioni di visualizzazioni mensili dovrebbe generare un certo reddito stimabile (dai dati noti di payout AdSense): se il titolare di quel canale dichiara zero, scatta un alert.

Le Fiamme Gialle possono spingersi a monitorare direttamente i social network: questo è un aspetto peculiare, ma del tutto lecito, del controllo fiscale moderno. Post, foto e video pubblici possono rivelare informazioni preziose su entrate (collaborazioni pubblicizzate ma non dichiarate) o su ricchezze possedute (case, barche, gioielli) non compatibili coi redditi. Si parla di un vero e proprio “spionaggio” anti-evasione sui social effettuato dalle autorità, che risulta legittimo trattandosi di fonti aperte. Ad esempio, se un travel influencer posta storie continue da resort a 5 stelle, il Fisco può presumere che quei soggiorni siano pagati o offerti e comunque sintomatici di capacità di spesa.

2. Obblighi di comunicazione delle piattaforme – DAC7: Una svolta importante è l’attuazione della Direttiva UE 2021/514 (DAC7) in Italia con D.Lgs. 32/2023. Questa normativa introduce l’obbligo per i gestori di piattaforme digitali (come YouTube, Instagram (Meta) Marketplace, TikTok marketplace, Twitch, Amazon Affiliates ecc.) di comunicare alle autorità fiscali i dati dei venditori/utenti che realizzano proventi tramite le loro piattaforme. In pratica, le piattaforme dovranno trasmettere all’Agenzia delle Entrate informazioni su chi monetizza online (identità, somme guadagnate, conti correnti collegati). Questo strumento è nato per l’economia digitale in generale (es. venditori su Etsy, host Airbnb, driver Uber) ma copre anche gli influencer che guadagnano su piattaforme. Ad esempio, YouTube sarà tenuta a riportare quanto ha pagato ai creator italiani, OnlyFans dovrà comunicare i redditi delle creator, ecc. Conseguenza: diventa molto difficile nascondere tali introiti, perché il Fisco potrebbe già conoscerli per via automatica. Dal 2024 in poi ci si aspetta che i primi flussi di dati DAC7 arrivino alle Entrate, che li useranno per controllare la corrispondenza con quanto dichiarato.

3. Controlli incrociati e data mining: Oltre ai social e a DAC7, il Fisco incrocia banche dati classiche: anagrafe dei rapporti finanziari (tutti i movimenti su conti e carte), archivi dei pagamenti elettronici, informazioni dell’Agenzia delle Dogane (ad esempio importazioni di beni costosi). Se un influencer incassa pagamenti su PayPal, su conti esteri o carte prepagate, questi flussi possono emergere tramite segnalazioni (ad es. operazioni estere sopra certe soglie). L’Agenzia ha sviluppato algoritmi di rischio per scovare incoerenze anche in assenza di segnalazioni: come dicevamo, numero di follower vs reddito è una possibile metrica, e infatti alcune operazioni recenti hanno preso di mira proprio i profili con grandi platee.

4. Verifiche mirate (case study Bologna 2022-2023): Un caso eclatante è l’operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Bologna tra fine 2022 e 2023, che ha portato al recupero di oltre 11 milioni di euro di imponibile evaso da parte di 9 persone tra influencer e content creator. In particolare, erano coinvolti 4 famosi influencer (complessivamente con 50 milioni di follower) e 5 creator di contenuti per adulti (OnlyFans, Escort Advisor) tutti residenti nell’area di Bologna. Tra i nomi emersi pubblicamente: l’imprenditore Gianluca Vacchi e lo YouTuber Luis Sal – figure notissime – nonché due influencer femminili (Giulia Ottorini, Eleonora Bertoli). Molti di loro erano sconosciuti al fisco (non avevano mai aperto P.IVA né dichiarato nulla). La Finanza ha ricostruito i proventi ottenuti incrociando diverse fonti: hanno confrontato le tariffe di mercato per post sponsorizzati (si è citato che alcune aziende arrivano a pagare €80.000 per un singolo post su IG/TikTok per profili top) con le dichiarazioni fiscali degli influencer, trovando forti discrepanze. Inoltre, hanno analizzato le entrate da siti per adulti per i creator di quel settore, applicando anche una normativa peculiare: hanno segnalato all’Agenzia delle Entrate l’applicazione di un’addizionale “porn tax” prevista dalla finanziaria 2006 (un contributo destinato al Fondo spettacolo, pari al 25% dei proventi da attività di produzione/distribuzione di materiale pornografico). Tre creator adulti sono stati colpiti da questa addizionale per circa €200.000. Questa operazione bolognese è indicativa: il Fisco non sta solo guardando i big influencer, ma anche figure minori e di nicchia (es. content creator erotici).

Esito dell’operazione: buona parte degli influencer coinvolti ha collaborato e versato spontaneamente le imposte dovute non appena contestate. Gianluca Vacchi, ad esempio, pare abbia versato circa €7 milioni richiesti (anche se va detto che nel suo caso la verifica riguardava più la sua attività imprenditoriale che quella social). Luis Sal avrebbe ricevuto una contestazione su circa €2 milioni e pubblicamente ha negato di essere un evasore, dichiarando di aver sempre pagato tutto e che farà valere le sue ragioni, ma di essere pronto a eventuali adeguamenti. Questo dimostra che gli accertamenti possono anche essere discusso e non avere sempre ragione al 100%, ma intanto portano alla luce imponibili non dichiarati. Altri due influencer bolognesi erano totalmente sconosciuti e sono stati stanati, dovendo ora regolarizzare.

5. Primo caso in Italia – lo Youtuber St3pny: Un caso storico (2019) fu quello del noto youtuber toscano Stefano Lepri (alias St3pny), che fu il primo influencer italiano scoperto evasore in un’indagine dedicata. La GdF accertò che tra il 2013 e 2018 egli aveva omesso di dichiarare ricavi per oltre €600.000 e di versare IVA per oltre €400.000, per un totale di circa €1 milione evasi in 5 anni. Aveva stipulato contratti con società pubblicitarie ma, essendo privo di una corretta posizione fiscale, aveva aggirato il fisco. Questo caso fece scalpore, aprendo gli occhi su un fenomeno che non era isolato (la stessa GdF dichiarò che molti altri youtuber erano già sotto la lente). St3pny aveva 3,7 milioni di follower e milioni di views giornaliere, segno evidente di un giro d’affari incompatibile con l’assenza di dichiarazioni. Da allora, l’attenzione è solo aumentata.

6. Trasferimenti fittizi all’estero: Molti influencer (o aspiranti tali) credono di poter evitare le tasse trasferendosi in paradisi fiscali o presunti tali – caso tipico: Dubai, che è diventata meta di vari creator per via della tassazione nulla sui redditi. Ora, spostare la residenza all’estero è lecito, ma bisogna farlo realmente e rispettando le norme sul cambio di residenza fiscale. L’Agenzia delle Entrate verifica con attenzione i casi di influencer che continuano di fatto a operare sul mercato italiano ma dichiarano residenza estera. Il principio fiscale italiano è che se una persona è iscritta all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE) e trascorre meno di 183 giorni/anno in Italia, può essere considerata residente estero, a meno che mantenga in Italia il proprio domicilio o centro di interessi vitali (affetti, affari). Un influencer che si limita a prendere casa a Dubai ma continua ad avere famiglia in Italia, pubblico principalmente italiano, e magari aziende italiane che lo pagano, rischia che il Fisco contesti la fittizietà del trasferimento e lo tassi comunque in Italia (accertamento ex art. 2 TUIR sul centro di interessi). Ci sono stati casi di calciatori o VIP (vd. caso Ronaldo di cui diremo più avanti) in cui il fisco ha rivendicato la tassazione in Italia di redditi legati all’immagine perché considerati di fonte italiana. Un’eventuale doppia residenza viene risolta con le convenzioni internazionali tie-breaker (criteri come la permanenza, sede affari, ecc.). In sintesi, trasferirsi all’estero funziona fiscalmente solo se l’influencer rompe davvero i ponti fiscali con l’Italia: spostare la vita altrove e non avere qui la base dei propri affari. Altrimenti, si rischia un accertamento per esterovestizione personale.

Nota: un caso collegato è quello di influencer stranieri pagati da aziende italiane. L’Agenzia Entrate ha chiarito in una risposta ad interpello che un compenso pagato a un influencer non residente per uno shooting svolto in Italia e per i relativi diritti d’immagine è imponibile in Italia, come reddito prodotto nel territorio (art. 23 TUIR). Quindi un brand italiano che porta qui un influencer estero a fare foto dovrebbe operare ritenuta e il reddito è tassato qui salvo convenzione.

7. Strumenti di accertamento utilizzati: Quando viene selezionato un profilo sospetto, l’Agenzia o la Guardia di Finanza possono procedere con:

  • Inviti al contraddittorio o lettere di compliance: a volte, prima di partire in quarta, l’Agenzia invia lettere al contribuente segnalando anomalie (es. “abbiamo evidenza di entrate da PayPal non dichiarate, vuoi spiegarci?”). È un approccio collaborativo per far emergere spontaneamente basi imponibili con sanzioni ridotte. Ad esempio nel 2023 sono state inviate migliaia di lettere per redditi 2019-2020 anomali. Molti influencer potrebbero averne ricevute o riceverne.
  • Verifiche mirate GdF: la Guardia di Finanza può avviare verifiche fiscali sul campo, presentandosi presso il domicilio del creator (o sede, se c’è) per controllare documenti, effettuare ispezioni informatiche, ecc. Possono richiedere i contratti con gli sponsor, estratti conto, e incrociare i dati. Dato che spesso i “conti” degli influencer non tornano, è probabile che in sede di verifica emergano imponibili non dichiarati. La GdF redige PVC (processo verbale di constatazione) che poi l’Agenzia delle Entrate utilizza per emettere avvisi di accertamento.
  • Accertamenti bancari: l’Agenzia può chiedere direttamente alle banche tutti i movimenti sui conti intestati all’influencer (poteri ex art. 32 DPR 600/73). Se vede accrediti da Google, PayPal, società varie, li confronterà con le fatture emesse. Se ci sono discrepanze (accrediti senza fattura corrispondente), li considererà ricavi occulti. L’onere poi è del contribuente di provare che magari erano prestiti o altro (ma spesso non regge).
  • Ricostruzione induttiva del reddito: in assenza di scritture contabili (per chi era sconosciuto al fisco), l’Agenzia può procedere in maniera induttiva, stimando i redditi in base a elementi disponibili. Come fatto a Bologna, possono stimare quanti post sponsorizzati ha pubblicato e a che tariffa media, quante views e la resa media AdSense, ecc. Queste stime, suffragate da perizie o dati di mercato, diventano base d’imposta presunta. Al contribuente l’onere di smentirle fornendo i dati reali (non dichiarati prima).
  • Redditometro e controlli sul tenore di vita: l’istituto del “redditometro” (accertamento sintetico basato sulle spese sostenute) è stato in parte sospeso e riformato negli ultimi anni. Un nuovo redditometro tarato sul 2016+ è in arrivo, ma l’idea rimane: se uno ha spese documentate molto alte rispetto al reddito, l’Agenzia può presumere un maggior reddito evaso. Gli influencer che mostrano auto di lusso, viaggi e acquisti costosi forniscono su un piatto d’argento elementi per questo tipo di accertamento sintetico. Ad esempio, se un influencer ha comprato casa da €500k e dichiara €20k annui, è ovvio che scatterà un approfondimento.

8. Esiti possibili dei controlli: Se l’influencer viene trovato non in regola, l’Agenzia emetterà un avviso di accertamento per i redditi non dichiarati e/o IVA non versata, con relative imposte, sanzioni e interessi. Le sanzioni amministrative per omessa dichiarazione vanno dal 120% al 240% dell’imposta evasa; per infedele dichiarazione dal 90% al 180%, oltre agli interessi legali. Spesso, però, prima di arrivare a notificare l’accertamento definitivo, il Fisco propone un accertamento con adesione o comunque il contribuente può chiederlo per evitare il contenzioso: molti influencer colti in fallo (come quelli di Bologna) scelgono di adesione immediata, pagando il dovuto con sanzioni ridotte. Questa può essere la scelta migliore se l’evidenza dell’evasione è schiacciante, perché evita anche strascichi penali (vedi sezione seguente).

Nel caso di evasori totali (mai dichiarato nulla), spesso si configura omessa dichiarazione, che ha anche rilevanza penale se l’imposta evasa per singola imposta supera €50.000. Non di rado, per dare un segnale forte, la Guardia di Finanza annuncia di aver denunciato gli influencer sorpresi evasori totali. Ad esempio, gli influencer bolognesi “sconosciuti al fisco” presumibilmente saranno stati segnalati all’autorità giudiziaria per omessa dichiarazione o emissione fatture false, ecc. In Germania un caso analogo (NRW 2025) parlava di 200 influencer indagati penalmente. In Italia, la tendenza è di risolvere il tutto in sede tributaria se le cifre non sono enormi e c’è collaborazione, ma non si può escludere il penale nei casi più gravi (lo vediamo subito nel prossimo punto).

In sintesi, i controlli sul settore influencer sono ormai “a tappeto”: nessuno pensi di farla franca a lungo, perché se ha successo e visibilità – paradossalmente – fornisce egli stesso agli investigatori gli elementi per individuarlo. Meglio allora “giocare d’anticipo”: regolarizzare la propria posizione spontaneamente (ravvedimento) prima che arrivi la chiamata del Fisco. Nel capitolo 8 vedremo come fare.

7. Sanzioni Amministrative e Profili Penal-Tributari

Quando l’Agenzia delle Entrate accerta imposte evase o non versate da un contribuente, scattano in primis le sanzioni tributarie amministrative. Tali sanzioni, espresse in percentuale dell’imposta non pagata, possono raggiungere importi molto elevati (anche oltre il 200% del tributo evaso nei casi più gravi). Inoltre, se l’evasione supera determinate soglie, può configurarsi un reato tributario ai sensi del D.Lgs. 74/2000, con conseguenze penali (multa e reclusione). In questo capitolo esaminiamo entrambi i profili, con particolare attenzione a quando la posizione di un influencer debitore verso il fisco può “sconfinare” dal piano amministrativo a quello penale, e come è possibile evitare le sanzioni più pesanti tramite pagamento e strumenti deflativi.

Sanzioni tributarie amministrative

Le violazioni tipiche che possono essere contestate a un influencer negli accertamenti sono:

  • Omessa dichiarazione dei redditi (art. 1 D.Lgs. 471/97): se un soggetto obbligato non presenta proprio la dichiarazione annuale. La sanzione amministrativa va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (con un minimo di €250). Esempio: se non ho dichiarato €50.000 di imposte, la multa può essere da €60.000 fino a €120.000 oltre al pagamento dei €50.000. Capite bene che raddoppia (o peggio) il conto. Se la dichiarazione è presentata con oltre 90 giorni di ritardo è considerata omessa anche se paghi il dovuto.
  • Dichiarazione infedele (art. 1 comma 2 D.Lgs. 471/97): se si è presentata la dichiarazione ma vi sono elementi attivi non dichiarati o elementi passivi fittizi che portano a un’imposta inferiore. La sanzione va dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Ad esempio, l’influencer che ha dichiarato solo una parte dei redditi (magari quelli con ritenuta) e omesso altri senza ritenuta commette infedele.
  • Omessa fatturazione/registrazione IVA (art. 6 D.Lgs. 471/97): se non ha emesso fatture per operazioni obbligatorie o non le ha registrate, la sanzione è pari al 90% dell’IVA corrispondente all’imponibile non documentato, con minimo €500, aumentabile fino al 180% in casi gravissimi o recidiva. Simile sanzione per omissione scontrini/ricevute (meno rilevante qui).
  • Omesso versamento IVA (art. 13 D.Lgs. 471/97): se al momento della liquidazione periodica l’influencer non versa l’IVA dovuta, c’è una sanzione del 30% dell’importo non versato (riducibile se paga con breve ritardo). Attenzione: amministrativamente è 30%, ma se supera soglia penale vedremo dopo.
  • Omesso versamento ritenute: se l’influencer era tenuto a ritenute su pagamenti a terzi e non le versa, 20% sanzione o 30% a seconda dei casi.
  • Mancata iscrizione Camera Commercio: questa è più una sanzione amministrativa extra-tributaria, modesta (alcune centinaia di euro) ma può aggiungersi se doveva iscriversi e non l’ha fatto.

Oltre a ciò, interessi moratori (circa 4% annuo attualmente) si applicano sulle imposte pagate in ritardo, calcolati giorno per giorno.

Le sanzioni tributarie, se il contribuente collabora attivamente, possono essere ridotte:

  • col ravvedimento operoso volontario (prima che inizi verifica o prima notifica accertamento): riduce molto le sanzioni (ad esempio, se uno si ravvede entro 2 anni dalla violazione, paga 1/7 del minimo). Un influencer che capisca di aver sbagliato può presentare dichiarazioni integrative e pagare spontaneamente imposte + interessi + sanzione ridotta, evitando guai peggiori. Esempio: se dichiaro tardivamente €100k di redditi e €30k di imposte, potrei pagare sanzione infedele ridotta al 1/6 del 90% = 15%. Meno male del 90% pieno.
  • in caso di avviso di accertamento ricevuto, se paga subito senza ricorrere (istituto dell’acquiescenza), ha diritto alla riduzione delle sanzioni a 1/3. Ad esempio, un avviso richiede €50k imposte + €75k sanzioni (150%), con acquiescenza pagherà €50k + €25k (1/3 di 75k) + interessi.
  • con l’accertamento con adesione, c’è un abbattimento delle sanzioni a 1/3 (simile all’acquiescenza) e si può anche discutere il merito per ridurre le imposte richieste.
  • con la definizione agevolata delle liti (quando esiste, es. “tregua fiscale”), si possono pagare importi ridotti per chiudere contenziosi in corso (nel 2023 c’erano misure così).

Per fortuna, le sanzioni amministrative non sono dovute sui periodi per cui si configura anche reato tributario, qualora venga irrogata una sanzione penale definitiva (principio del ne bis in idem sostanziale). In pratica però, se paghi in sede amministrativa e ti risparmi il penale, paghi tutto.

Reati tributari applicabili agli influencer

Il D.Lgs. 74/2000 elenca i reati fiscali. Non tutti riguardano ipotesi che possono capitare a un influencer, ma i principali sì. Vediamo i possibili reati in cui un influencer evasore può incorrere (ricordando che scattano solo se superate precise soglie di punibilità).

  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): è reato dichiarare meno del dovuto se contemporaneamente: (a) l’imposta evasa supera €100.000 per singola imposta (IRPEF o IVA) e (b) gli elementi attivi non dichiarati superano il 10% di quelli dichiarati o comunque €2 milioni. Pena: reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi. Esempio: se l’influencer dichiara €50k reddito ma ne aveva altri €300k nascosti, evadendo poniamo €120k di IRPEF, si ricade qui. Se evaso <100k o la percentuale <10%, non c’è reato (ma solo sanzione amm.).
  • Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): è reato non presentare affatto la dichiarazione (pur essendovi obbligati) se l’imposta evasa supera €50.000. Pena: reclusione da 2 a 5 anni. Questo colpisce gli “evasori totali” con un minimo di dimensione. Attenzione: soglia 50k per ciascuna imposta. Quindi se uno non dichiara IVA per 40k e IRPEF per 45k, a rigore nessuna delle due supera 50k e non c’è reato (anche se totale 85k). Ma spesso chi è omesso li supera.
  • Omesso versamento IVA (art. 10-ter): reato non versare l’IVA dovuta annualmente per un importo > €250.000 per anno. Pena: reclusione da 6 mesi a 2 anni. Questo riguarda chi ha presentato la dichiarazione IVA ma poi non ha versato entro il termine (di solito 27 dicembre dell’anno successivo). Un influencer forfettario non avendo IVA non ci rientra. Un ordinario con grosse cifre di IVA potrebbe.
  • Emissione di fatture false (art. 8): punisce chi emette fatture per operazioni inesistenti, per aiutare evasioni altrui. Non è il caso tipico di un influencer (lui semmai potrebbe usare fatture false di altri per abbattere reddito, ma difficile). Comunque soglia o non soglia, reato grave (4-8 anni).
  • Occultamento/distruzione di documenti (art. 10): se distrugge le prove contabili per evadere, reclusione 3-7 anni (ma di solito influencer non tengono proprio contabilità se evadono).
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art. 11): ad esempio, simulare di vendere beni propri per non farli pignorare dal fisco – reato minore (6 mesi-4 anni). Può succedere se uno, sapendo di dovere imposte, si spoglia dei beni.

I due reati più rilevanti per un influencer sarebbero quindi infedele dichiarazione e omessa dichiarazione (oltre all’omesso versamento IVA per chi ha IVA alta). Ad esempio:

  • St3pny con €1M evasi su 5 anni: se per ciascun anno l’IRPEF evasa era >100k, infedele; se in alcuni anni non ha presentato, omessa. A 400k IVA non versata, se concentrata in un anno oltre 250k, art. 10-ter. Non sappiamo come finì penalmente il suo caso (forse patteggiò).
  • Nel caso Bologna, due erano sconosciuti: presumibilmente omessa dichiarazione per più anni >50k, quindi reato. Hanno pagato subito: se pagano tutto prima del dibattimento, può scattare causa di non punibilità (art. 13, ne parliamo).
  • Luis Sal e Vacchi: in realtà risultavano aver dichiarato (almeno qualcosa), quindi per loro potrebbe essere al più infedele (ma Vacchi poi ha chiarito che l’importo contestato era in ambito impresa, e pare abbiano trovato un accordo e non era reato perché ha pagato).
  • Altri influencer medio-piccoli pizzicati: se restano sotto soglie, no penale.

Soglie e calcolo: notare che per “imposta evasa” si intende la differenza fra quanto dichiarato e dovuto. Quindi se uno non dichiara nulla: IRPEF evasa = totale IRPEF su reddito (e basta superare 50k). Se dichiara parzialmente: per infedele serve >100k. €100k di imposta equivalgono a redditi nascosti parecchio alti: ad esempio in aliquota massima 43%, €100k imposta è evadere ~€230k di reddito imponibile. Quindi l’infedele scatta per chi ha occultato centinaia di migliaia. L’omessa è più facile, soglia 50k: bastano ~€120k redditi non dichiarati (a 42% fanno 50k imposta) in un anno.

Cause di non punibilità e attenuanti: il D.Lgs. 74/2000 prevede che se il contribuente prima che sia aperto formalmente il dibattimento in tribunale paga integralmente il debito tributario, interessi e sanzioni amministrative relative, per alcuni reati si esclude la punibilità (art. 13). Ad esempio, per omessa dichiarazione e infedele, il pagamento totale del dovuto + sanzioni estingue il reato. Questo spiega perché la GdF spesso spinge i soggetti a pagare: se pagano, niente processo penale (oltre a ridurre sanzioni). Anche l’omesso versamento IVA: se paghi il dovuto entro la dichiarazione dell’anno dopo, non è reato; c’è possibilità di ravvedimento lungo. Dunque, l’incentivo è regolarizzare. Se un influencer accertato versa attraverso l’adesione, presumibilmente evita il processo.

C’è poi l’attenuante del “particolare tenuità” se l’evasione è di poco superiore soglia ed è episodica (art. 131-bis cp). E riforme in cantiere 2024 parlano di alzare soglie penali in alcuni casi o modulare meglio, ma quelle citate sono attuali.

Procedimento penale in concreto: di solito, la Guardia di Finanza se riscontra reato trasmette notizia all’Autorità Giudiziaria (procura). Parte l’indagine penale parallela all’accertamento. Spesso rimane sospesa in attesa di vedere se il contribuente paga col fisco. Se paga tutto, può chiedere archiviazione per intervenuto pagamento (causa non punibilità). Se non paga, la Procura può procedere e arrivare anche a sequestri preventivi per equivalente (blocco beni fino a concorrenza imposta evasa), come misura cautelare. Abbiamo visto casi in cronaca di sequestri di immobili e conti a soggetti per reati tributari (non specificamente influencer, ma possibile). La condanna penale, se avviene, porta a reclusione in teoria, ma solitamente per questi reati, specie se incensurati e condanne sotto 2 anni, si ottiene la sospensione condizionale o si patteggia a una pena concordata (spesso convertita in pecuniaria se bassa). Difficile vedere influencer in carcere: però il rischio di condanna c’è se ignorano tutto. Il disvalore sociale di evasioni molto ingenti può spingere a sanzioni esemplari in alcuni casi.

Esempio pratico di scenario penal-tributario: Mario, influencer, non dichiara redditi 2019 (€300k imponibile, IRPEF evasa ~€100k). Questo è infedele (perché magari qualcosa aveva dichiarato da dipendente altrove, sfora soglie). Viene scoperto nel 2022. Per il 2019 scatta processo per infedele (2-4.5 anni). Mario però nel 2023 paga integrale imposte+penali col fisco. All’udienza nel 2024, il suo avvocato presenta prova di pagamento integrale, e chiede l’applicazione dell’art.13 D.Lgs 74/2000: reato estinto. Il giudice penale proscioglie Mario. Mario però ha dovuto sborsare tutto e più al fisco.

Profilo reputazionale: non dimentichiamo che per un influencer la notizia di essere accusato di evasione fiscale è un colpo all’immagine. Diversi hanno dovuto difendersi pubblicamente (Luis Sal ha fatto stories negando di essere evasore, Vacchi ha diffuso comunicati). C’è quindi anche un danno di PR nell’avere guai fiscali. Questo è un ulteriore incentivo a mantenersi in regola: il pubblico mal digerisce chi ostenta ricchezza ma non contribuisce alle tasse comuni.

Conclusione: le sanzioni tributarie possono essere devastanti sul piano economico (portare anche alla rovina finanziaria se non si dispone della liquidità per pagarle), mentre le sanzioni penali sono evitabili pagando e spesso patteggiabili. L’approccio consigliato, se si riceve un’accertamento, è di valutare una composizione: pagando il giusto si chiude la vicenda in ambito amministrativo e si mette al sicuro da denunce. Nel prossimo capitolo vedremo proprio come difendersi e che strategie adottare dal punto di vista del contribuente (influencer “debitore”).

8. Accertamenti, Contenzioso e Difesa del Contribuente

Trovarsi di fronte a un avviso di accertamento o altra contestazione fiscale può essere un’esperienza destabilizzante, soprattutto per un giovane content creator che magari non ha mai avuto a che fare con il Fisco. È fondamentale però non farsi prendere dal panico e agire con tempestività e intelligenza. In questa sezione adottiamo il punto di vista del debitore/contribuente, esaminando quali sono le strategie di difesa e le opzioni a disposizione, sia in via stragiudiziale (prima di arrivare in tribunale) sia, se necessario, in sede di contenzioso tributario presso la Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria).

La ricezione di un avviso di accertamento: cosa significa?

L’avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate (o l’AdE Riscossione per i contributi, ecc.) comunica al contribuente un maggior ammontare di imposte dovute, specificandone il calcolo e motivando le ragioni (normative e fattuali) della pretesa. Se avete ricevuto un avviso di accertamento, significa che:

  • Il Fisco ritiene che abbiate omesso di dichiarare o versare una certa imposta per uno o più periodi (es: “IRPEF 2021: redditi non dichiarati €XX, imposta evasa €YY”).
  • Nell’atto troverete l’elenco delle violazioni contestate (omessa dichiarazione, infedele, omessa IVA, ecc.) e l’importo di imposte, sanzioni e interessi richiesti. Spesso le sanzioni sono già ridotte a 1/3 se l’Agenzia invita alla definizione in acquiescenza.
  • L’avviso è “immediatamente esecutivo”: ciò significa che, decorso il termine per impugnare (60 giorni), se non fate nulla, quelle somme diventano cartelle esattoriali iscritte a ruolo e l’Agente della Riscossione potrà agire per recuperarle.
  • Nell’avviso dovrebbero essere indicati i rimedi esperibili: ad esempio la possibilità di fare ricorso entro 60 giorni, o di presentare istanza di accertamento con adesione prima del ricorso (che sospende 90 giorni il termine di impugnazione).

Prima mossa: accesso agli atti e analisi tecnica. Appena ricevuto l’accertamento, è consigliabile richiedere copia integrale del fascicolo (esercitando l’accesso agli atti amministrativi). Questo permette di vedere come l’Agenzia ha ricostruito i redditi (es. quali documenti bancari, quali elementi social ha usato, ecc.). Nel frattempo, bisogna consultare un esperto (avvocato tributarista o commercialista esperto) per farsi spiegare le contestazioni in termini semplici: c’è un errore del Fisco? Oppure hanno ragione?

Verifica fattuale: controllate se i compensi contestati li avete effettivamente percepiti e in quali annualità. Talvolta il fisco può aver imputato a un anno importi che magari erano di un altro (per es., un bonifico di gennaio 2021 era per una fattura 2020 già dichiarata altrove). Oppure potrebbero aver contato due volte qualcosa (è raro, ma va controllato). Questo serve per capire se l’importo è negoziabile.

Occasionale vs abituale: se vi contestano di non aver aperto P.IVA, potete difendervi cercando di dimostrare che l’attività era occasionale. Ad esempio, se avete un anno con un solo incasso da 3000€ e null’altro, potete sostenere che non serviva P.IVA e quell’importo andava al limite dichiarato come “reddito diverso” ma non c’era dolo. Ciò può portare a far annullare almeno le sanzioni per “mancata apertura IVA” e far riclassificare la violazione come meno grave (solo omessa indicazione in dichiarazione di redditi diversi). Non sempre funziona, ma è un tentativo.

Vizi formali e procedurali: un avviso può essere annullabile se ha vizi, ad esempio:

  • Mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio: per alcuni tipi di accertamento (in ambito IVA soprattutto), l’Agenzia deve invitare il contribuente a fornire osservazioni prima di emettere l’atto. Se non l’ha fatto e doveva, l’atto è nullo. Verificate se avete ricevuto un “PVC” della Guardia di Finanza e se sono passati meno di 60 giorni dalla sua notifica all’avviso (devono attendere 60gg). Oppure se in materia “a tavolino” vi avevano inviato un invito a comparire. Se questi passaggi mancano, c’è spazio di ricorso.
  • Carenza di motivazione: se l’avviso non spiega le basi del calcolo o non risponde alle memorie difensive presentate, può essere ritenuto nullo per difetto di motivazione.
  • Notifica irregolare: controllate la data e modalità di notifica. Se vi è arrivato via PEC, è valido se all’indirizzo PEC risultante da INI-PEC. Se cartaceo, hanno rispettato termini (entro il 31/12 del quinto anno successivo)? Se l’accertamento è tardivo, è nullo.

Spesso però questi atti sono formalmente a posto. Vale comunque la pena che un professionista li esamini per scovare eventuali vizi formali.

Difesa stragiudiziale: come risolvere senza andare in causa

Prima di impugnare in giudizio, conviene valutare le vie deflative. Questo include sia cercare un accordo con l’Ufficio sia usufruire di eventuali sanatorie.

1. Istanza di accertamento con adesione: È uno strumento che consente al contribuente di chiedere un colloquio con l’Agenzia per discutere l’accertamento e, volendo, concordare una rideterminazione dell’imponibile. Deve essere presentata entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso, e sospende i termini di ricorso per 90 giorni. Nella pratica, si espongono per iscritto le proprie ragioni (es: “alcuni ricavi in realtà non erano imponibili perché…”, oppure “le sanzioni andrebbero ridotte per buonafede…”). L’Ufficio vi convocherà (anche in video-call ormai) e si potrà trattare. Se si raggiunge un accordo, si redige atto di adesione con gli importi concordati e si pagano imposte e sanzioni ridotte a 1/3. L’adesione conviene quando: la pretesa è fondata ma ci sono piccoli aggiustamenti da fare (l’Ufficio può ridurre sanzioni o riconoscere spese deducibili che non avevate indicato); oppure se volete guadagnare tempo (con l’istanza avete 90 gg in più prima di decidere se ricorrere). Attenzione: una volta firmata l’adesione, diventa definitiva, non più impugnabile.

2. Acquiescenza all’accertamento: Se ritenete che il Fisco abbia ragione su tutta la linea e volete solo chiudere presto con lo sconto, potete fare acquiescenza: ovvero non presentare ricorso e pagare entro 60 giorni. Questo dà diritto alla riduzione delle sanzioni ad 1/3 di quelle indicate. Talvolta l’Ufficio nel calcolo dell’avviso applica già la sanzione ridotta, condizionata al mancato ricorso. Se volete aderire, dovete pagare (o iniziare a pagare con rateazione) entro quei 60 giorni. Si può chiedere rateazione fino a 8 rate per importi <€50k, o 16 rate >€50k, di norma. L’acquiescenza è utile quando non c’è nulla da discutere sul merito e volete solo ridurre il danno (es: vi hanno beccato con €100k evasi, non avete difese, pagate e amen). Se però c’è margine di ridurre l’imponibile, meglio adesione.

3. Autotutela: L’autotutela è il potere dell’Amministrazione di annullare o rettificare i propri atti se riconosce errori evidenti. Potete presentare un’istanza di autotutela (magari contestualmente all’adesione o se notate un errore macroscopico) chiedendo l’annullamento totale o parziale. Francamente, su questioni di merito l’Agenzia raramente annulla in autotutela (perché ammetterebbe un errore), ma su vizi formali potrebbe. Ad ogni modo l’istanza di autotutela non sospende i termini di ricorso: va usata con cautela per non far scadere i 60 giorni aspettando risposte che potrebbero non arrivare. Spesso i professionisti la sconsigliano, preferendo l’adesione che comunque porta a un confronto.

4. Strumenti speciali (condoni, definizioni agevolate): occasionalmente, leggi speciali permettono di definire liti o avvisi con sconti ulteriori. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 ha previsto la definizione agevolata degli atti del 2019-2021 con sanzioni ridotte a 1/18 in caso di accertamento con adesione, ecc. oppure lo stralcio di cartelle sotto €1.000 del 2015 e precedenti. Quando capitano queste “pacificazioni fiscali”, conviene valutare se si rientra. Nel 2023, ad esempio, se un influencer aveva un ricorso in corso avrebbe potuto chiuderlo pagando solo il 20% se aveva già vinto primo grado, o il 90% se perso, ecc. Sono opportunità straordinarie da cogliere.

5. Rateazione e liquidità: se decidete di pagare (in adesione o acquiescenza) ma l’importo è ingente, potete chiedere un pagamento rateale. Di solito, come detto, fino a 8 rate semestrali (4 anni) per importi grandi, oltre un certo importo occorre polizza fideiussoria per sospendere eventuali fermi. Se rispettate le rate, non parte la riscossione coattiva. Se saltate una rata, decade il beneficio e torna tutto esigibile. Valutate se chiedere un prestito o mutuo in banca per pagare il Fisco (alcuni istituti lo fanno), perché le rate fiscali hanno interesse modesto ma se si decade poi è un guaio.

Check-list difensiva pre-ricorso:

  • Contattare un professionista qualificato in diritto tributario digitale. Non improvvisate.
  • Esaminare a 360° la vostra posizione: ad esempio, se vi contestano solo IRPEF ma in realtà c’era anche IVA non versata che non hanno calcolato, potrebbe arrivare un altro atto: valutare se conviene regolarizzare anche quell’aspetto subito.
  • Raccogliere prove e documenti: contratti con brand, email, estratti conto, qualsiasi cosa che possa supportare la vostra versione (es: se affermate che un pagamento ricevuto era un prestito di un parente e non un ricavo, dovete avere un contratto di mutuo o dichiarazione di quel parente).
  • Non trascurare i contributi: paralleli all’IRPEF, l’INPS potrebbe chiedere contributi evasi. Spesso conviene aderire anche lì per evitare aggravio.

Il ricorso tributario: come funziona e quando farlo

Se la fase stragiudiziale non risolve (ovvero non si arriva a un accordo soddisfacente o si ritiene l’accertamento ingiusto), l’influencer può proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (o dalla fine del periodo di sospensione dovuto all’adesione). Il ricorso è un atto scritto, da depositarsi telematicamente, in cui si espongono i motivi per cui l’accertamento è illegittimo o infondato e se ne chiede l’annullamento (totale o parziale).

Aspetti fondamentali del contenzioso:

  • Termine: 60 giorni, perentorio. Se avete fatto adesione, +90. Altrimenti, scaduto il 60° giorno l’atto è definitivo e dovete pagare.
  • Pagare 1/3 per sospendere (solo vecchi atti): Oggi gli accertamenti esecutivi non richiedono più il pagamento automatico di 1/3 entro 60 gg. Una volta era obbligatorio versare 1/3 per non essere iscritti a ruolo. Col DL 2011 e succ. ora l’atto è esecutivo decorso il termine. Quindi per ottenere sospensione della riscossione, occorre chiedere al giudice tributario una sospensiva cautelare, provando il danno grave e irreparabile e la fondatezza del ricorso. Esempio: se vi chiedono €300k e non li avete, chiedete al giudice di sospendere la riscossione perché pagarli vi manderebbe falliti, e intanto la causa è fondata. La sospensiva si chiede subito col ricorso o separata e si discute in 2-3 mesi. Se concessa, blocca la riscossione fino a sentenza di primo grado. Se negata, l’AdER può iniziare a pignorare anche prima della sentenza (entro limiti: 1/3 stipendio ecc.).
  • Processo telematico/documentale: il processo tributario è in buona parte scritto. Potrebbe esserci un’udienza di discussione breve, ma le prove si giocano sui documenti. L’influencer può rendere testimonianza? No, i testimoni non sono ammessi in commissione. Tutto deve essere documentale o per presunzioni. Quindi è cruciale allegare contratti, estratti conto, perizie se utili (es: per contestare un calcolo di reddito fatto dall’Ufficio).
  • Motivi di ricorso: si dividono in motivi di legittimità (errori di diritto o procedura, es: atto notificato tardi, vizio di motivazione, incompetenza dell’ufficio, ecc.) e motivi di merito (contestazione sul fatto: “il reddito in realtà era esente perché…”, “la stima del Fisco è errata perché…”). Un buon ricorso li combina se possibile. Ad esempio, si potrebbe dedurre: 1) violazione di legge X per mancato contraddittorio; 2) errore di fatto sul calcolo dei ricavi; 3) illegittimità delle sanzioni per non imputabilità (se uno può dire di aver agito in buona fede, a volte invoca l’esimente di errore scusabile).
  • Chiedere CTU/ATP: in casi complessi, si può chiedere una Consulenza Tecnica d’Ufficio, ma nelle commissioni tributarie è raro venga concessa, a meno di questioni contabili complicate. Per un influencer, magari se c’è da quantificare redditi da un esame di un database, si potrebbe proporre un esperto. Ma di solito il giudice decide con i dati forniti dalle parti.

Durata e gradi: il processo tributario ha due gradi di merito (provinciale e regionale) e poi l’eventuale ricorso in Cassazione per motivi di diritto. Una causa media dura 1-2 anni in primo grado, 1-2 in secondo (a seconda della regione, potrebbe essere di più). In Cassazione anche 2-3 anni. Però notare che se perdete in primo e fate appello, dovete pagare 1/3 delle imposte contestate per proseguire, a garanzia (è la regola del “solve et repete” parziale reintrodotta nel 2016): se vincete poi ve li restituiscono. Quindi intraprendere il contenzioso ha costi e rischi.

Costi legali: vanno considerati. Per importi piccoli, uno potrebbe fare da sé (valore < €3.000 non serve neanche difensore tecnico obbligatorio). Ma per questioni complesse conviene un avvocato tributarista. I costi possono essere qualche migliaio di euro a grado, variabili. Se vincete, potete chiedere rifusione spese legali, ma raramente copre tutto.

Quando conviene fare ricorso? Quando ritenete di avere buone probabilità di ridurre o annullare la pretesa e la cifra in gioco lo giustifica. Ad esempio, se il Fisco vi contesta €100.000 ma voi avete elementi per dimostrare che almeno la metà non era dovuta (magari redditi esteri già tassati o spese deducibili ignorate), conviene ricorrere se l’adesione non ha portato risultati. Se invece la pretesa è fondata e potete solo guadagnare la riduzione sanzioni, conviene l’accordo.

Esempi di possibili linee difensive di merito:

  • “Quei redditi erano già tassati alla fonte o esenti”: es. piattaforma estera che ha operato ritenuta (raro per influencer, ma metti caso).
  • “Ero residente estero in quell’anno, i redditi non andavano dichiarati in Italia”: se uno ha prova di aver vissuto fuori e c’è convenzione, può dirlo (caso difficile).
  • “Hanno considerato redditi lordi invece che netti: dovrebbero dedurre costi”: se l’accertamento induttivo non ha considerato alcuna spesa, si può far valere che pure per induttivo un minimo di costi va considerato (Cassazione ha a volte riconosciuto che non può esserci reddito senza spese, come principio di capacità contributiva).
  • “Double counting o anni sbagliati”: fisco che attribuisce a 2020 anche incassi del 2021 già tassati poi, ecc.
  • “Applicazione errata di sanzioni o cumulo delitto e sanzione”: ad es. se c’è un procedimento penale in corso, si può chiedere la sospensione del processo tributario limitatamente alle sanzioni per aspettare l’esito penale (ma intanto meglio togliersi il penale pagando).
  • “Non c’era obbligo di dichiarare quel reddito specifico”: ipotesi, un influencer incassa un risarcimento danni dal brand (che non è reddito imponibile), l’Agenzia lo vede sul conto e lo tasssa: si può eccepire che era indennizzo fuori campo reddito.

Ricorso e reati: Il giudice tributario non decide sul penale. Potrebbe però succedere che se vincete il ricorso dimostrando che l’imposta evasa era zero o sotto soglia, automaticamente il penale cade perché manca il fatto. Quindi difendersi nel merito trib. aiuta anche sul fronte penale.

Dopo la sentenza: se vincete, l’avviso è annullato (in toto o parte) e vi danno ragione (lo Stato dovrà restituire somme eventualmente già pagate, con interessi). Se perdete, potete appellare. Se perdete definitivamente, dovrete pagare tutto (se non l’avete già fatto). Il pagamento in pendenza di giudizio è spesso parziale (1/3 dopo primo grado se perso, 2/3 dopo secondo grado se andate in Cassazione). Alla fine, se Cassazione vi dà torto, pagherete saldo + interessi maturati.

Composizione bonaria in corso di processo: anche dopo aver presentato ricorso, potete ancora trovare un accordo con l’Agenzia, sotto forma di conciliazione giudiziale. Può essere conciliazione fuori udienza (proposta dall’ufficio, con abbattimento sanzioni 50%) o in udienza (davanti al giudice, sanzioni al 40%). Se l’Agenzia vede che avete portato argomenti forti, può preferire conciliare. Questo avviene entro il secondo grado massimo. Ad esempio, potreste concordare di pagare il 50% delle imposte e chiudere lì.

In sintesi, la difesa del contribuente deve essere pianificata caso per caso. Per un influencer la considerazione pratica è: posso permettermi anni di causa? O mi conviene chiudere, pagare e tornare a creare contenuti in pace? Molti optano per pagare e pensare al futuro, specie se la somma non li rovina. Altri, se la posta è alta e hanno buone ragioni, combattono in giudizio. Tenete presente che stare sotto accertamento e processo è stressante e può limitare i vostri progetti (ad esempio, se avete un debito iscritto a ruolo, non potrete ricevere certi incentivi pubblici, ecc.). Quindi a volte fare un sacrificio economico immediato conviene per liberarsi del fardello.

Nel prossimo capitolo offriamo qualche consiglio pratico per prevenire questi scenari o gestirli al meglio, in ottica di pianificazione fiscale e protezione dell’attività dell’influencer.

9. Consigli Pratici e Pianificazione Fiscale per Influencer

Chi intraprende o già svolge l’attività di influencer può adottare alcune best practice per evitare di incappare in problemi con il Fisco o quantomeno per mitigare i rischi. Ecco una lista di consigli pratici, dal punto di vista di chi deve gestire correttamente i propri obblighi fiscali e proteggersi da accertamenti futuri:

  • 1. Dichiarate sempre tutti i vostri guadagni derivanti dall’attività online. Potrà sembrare banale, ma è la regola numero uno. Anche se ricevete pagamenti da piattaforme estere o beni in omaggio dalle aziende, considerateli reddito (a meno che siano realmente regali senza controprestazione). Meglio dichiarare un reddito in più (e magari pagare qualche imposta) che tenerlo nascosto: oggi o domani il Fisco potrebbe scoprirlo comunque (specialmente con i nuovi obblighi di comunicazione DAC7). Ricordate l’art. 53 della Costituzione: tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Pagare le tasse fa parte del gioco, e mostrare compliance fiscale è anche positivo per la vostra immagine (gli influencer “onesti” fanno notizia in senso buono, quelli evasori in senso cattivo). Non a caso si stima che quelli che pagano sono un’eccezione in certi Paesi, ma voi siate quell’eccezione virtuosa!
  • 2. Affidatevi a un commercialista esperto sin dall’inizio. Molti giovani creator sottovalutano l’importanza di avere un professionista al fianco. Un buon dottore commercialista potrà consigliarvi l’inquadramento giusto (forfettario vs SRL), occuparsi delle scadenze e avvisarvi su eventuali nuovi adempimenti. Ci sono servizi online specializzati per freelance digitali (es. Fiscozen, FlexTax, etc.) che a costi contenuti offrono consulenza e gestione fiscale. L’errore di voler fare da soli per “risparmiare” può costare poi decine di migliaia di euro in sanzioni. Quindi, appena intravedete l’opportunità di guadagnare col vostro canale, aprite la partita IVA (se dovuta) e delegate la parte fiscale agli esperti.
  • 3. Scegliete il regime fiscale ottimale e rivedetelo al crescere dell’attività. In fase di avvio, il regime forfettario è spesso ideale per chi parte da zero: tassazione al 5% o 15%, niente IVA e burocrazia semplice. Tuttavia monitorate i ricavi: se vi avvicinate a €85.000, iniziate a programmare il passaggio al regime ordinario dall’anno successivo (o l’apertura di una società). Non fate l’errore di sforare 100k di poco restando forfettari, perché vi complicherebbe la vita (uscita retroattiva e IVA dovuta d’un colpo). Valutate anche il carico contributivo: se in Gestione Commercianti, i contributi fissi di ~€4.000/anno pesano – se i guadagni sono piccoli, forse conviene inquadrarsi in Gestione Separata come professionista puro (lo si può motivare in base al tipo di attività per evitare l’iscrizione commercianti). Sono scelte tecniche dove il commercialista aiuta. Se i profitti esplodono, considerate di costituire una SRL o similare per differire parte della tassazione e proteggere il patrimonio personale.
  • 4. Mantieni separati i conti personali da quelli dell’attività. Apri un conto corrente dedicato alla tua attività di influencer (anche se sei ditta individuale). Usa quello per ricevere tutti i pagamenti dai brand, piattaforme, ecc., e per pagare le spese legate all’attività. In questo modo, se mai dovrai esibire gli estratti conto al Fisco, sarà più facile dimostrare che movimenti su quel conto riguardano l’attività e quelli sul conto personale no. Evita entrate in contanti non tracciate: ricevere cachet in contanti è pericoloso (oltre €1.000 è vietato) e comunque difficile da giustificare. Meglio bonifici o PayPal (tracciabili).
  • 5. Documenta anche le prestazioni rese a titolo gratuito. Se promuovi gratis prodotti di amici o fai collaborazione senza compenso monetario, annotalo da qualche parte (email di accordo, ecc.). Così se il Fisco vede il post sponsorizzato ma non trova una fattura, potrai spiegare che era senza compenso. Attenzione però: se ricevi un prodotto in regalo e ne fai pubblicità, quello non è veramente “gratis”, è un baratto. Dovresti fatturare il valore del prodotto. Quindi forse meglio evitare l’equivoco: o è pubblicità retribuita (in denaro o beni) e la fatturi, oppure se vuoi fare favori a un amico brand, fallo ma dichiaralo in una mail che non è previsto compenso né beni, così rimane traccia.
  • 6. Tieni una prima nota dei ricavi giornalieri e relative fonti. Può essere un semplice foglio di calcolo dove registri: data, importo incassato, da chi/per cosa (es: “10/07/2025, €5.000 da FashionSpa per post IG luglio”). Allegaci magari il contratto o l’ordine email. Questo ti aiuterà nel caso dovessi molti mesi dopo ricostruire cos’era un certo accredito. E il commercialista potrà confrontare il tuo registro con l’estratto conto per vedere se hai emesso tutte le fatture dovute.
  • 7. Pianifica le imposte per evitare shock finanziari. Nel regime forfettario, non avendo ritenute né acconti il primo anno, rischi di ritrovarti a giugno dell’anno dopo con un conto salato (saldo anno precedente + primo acconto = quasi il 90% dell’imposta annuale in una volta). Idem con l’IVA trimestrale. Metti da parte una quota di ogni incasso in un conto risparmio per le tasse (es: il 20-30%). Così non ti troverai senza liquidità al momento dei versamenti. Questo è cruciale: molti influencer bruciano tutto ciò che guadagnano (per spese di vita o reinvestimenti) e poi, arrivata la scadenza fiscale, non hanno fondi, e cadono nell’omissione di versamento, entrando in un circolo vizioso di debito fiscale. Disciplinati su questo.
  • 8. Se hai commesso errori, ricorri subito al ravvedimento operoso. Poniamo che nel 2023 non hai dichiarato certi redditi del 2022 (ti sei dimenticato di una collaborazione pagata su PayPal, ad esempio). Non aspettare di essere scoperto: puoi presentare una dichiarazione integrativa per il 2022 e pagare spontaneamente la maggiore imposta con una sanzione ridotta (molto ridotta se fai ravvedimento entro 1 anno). Questo ti mette al riparo da successive sanzioni piene e possibili incriminazioni. Il ravvedimento è possibile finché l’Agenzia non ti notifica un formale atto di liquidazione o accertamento su quel periodo. Quindi se ti accorgi di non aver aperto la P.IVA ma hai emesso ricevute per €10k l’anno scorso, aprila subito ora, fattura retroattivamente con data odierna o sistema il possibile e ravvedi l’IVA eventualmente non versata. Più tempo passa, peggio è.
  • 9. Attenzione ai pagamenti da/per l’estero**. Se lavori con brand stranieri o piattaforme, potresti avere a che fare con normative internazionali: ritenute alla fonte estere, convenzioni contro doppie imposizioni, etc. Ad esempio, gli USA applicano una ritenuta standard 30% per pagamenti di royalties a stranieri, che in parte riguarda i creator (YouTube nel 2021 ha iniziato a trattenere tasse USA sui guadagni da spettatori americani per creator non-USA). Informati su come recuperare questi crediti di imposta esteri in Italia (credito d’imposta). Se poi decidi di trasferirti all’estero, pianifica la cosa con un fiscalista prima: stabilire residenza in paesi come UK, UAE, Svizzera richiede chiudere bene i ponti in Italia (iscrizione AIRE, vendita/affitto casa, spostare interessi) e capire come verranno tassati i tuoi redditi. Non improvvisare trasferimenti solo per “non pagare tasse” perché puoi finire in pasticci peggiori (vedi casi di presunta esterovestizione).
  • 10. Considera i regimi agevolati per rientrare o venire in Italia**. Una nota: se sei un influencer italiano emigrato o pensi di andare all’estero per un po’, sappi che esistono incentivi per attrarre chi si trasferisce in Italia. Ad esempio il Regime Impatriati (art. 16 D.Lgs. 147/2015) consente a chi è stato fuori almeno 2 anni e torna lavorando in Italia di tassare solo il 30% del reddito per 5 anni (per reddito d’impresa/professionale), 10% se va al Sud. Questo potrebbe applicarsi anche a influencer che decidono di portare la base in Italia (diversi famosi YouTuber italiani che vivevano a Londra hanno beneficiato di ciò quando sono rientrati). Anche il Regime Neo-residenti (Flat Tax 100k) potrebbe interessare super-ricchi stranieri influencer che si trasferiscono qui (come fece Ronaldo per un anno), ma per la maggior parte di noi impatriati è più rilevante l’agevolazione del 70% esente. Insomma, informatevi su queste opportunità se siete mobili internazionalmente.
  • 11. Gestisci con trasparenza eventuali società o team. Se ti appoggi a un manager o agente, definisci bene se è un dipendente, un consulente esterno o se costituite insieme una società. I compensi al manager vanno contrattualizzati e fatturati. Non pagare “in nero” collaboratori, perché potrebbe emergere come indebito prelievo. Se crei una società per vendere merchandising o gestire sponsorizzazioni, stai attento ai prelievi personali: se prendi soldi dalla SRL per spese personali senza forma (né stipendio né utili deliberati), l’Agenzia li riprenderà come utili occulti tassati al 26% o ricavi extra. Quindi ogni movimento societario dev’essere giustificato (compenso amministratore, rimborso spese, dividendo, finanziamento soci, ecc.).
  • 12. Mantenete un profilo collaborativo in caso di controllo. Se malauguratamente ricevete una verifica o una richiesta esibizione documenti, la collaborazione paga. Mostratevi disponibili, fornite quanto chiesto (nei limiti dei vostri diritti) e non ostacolate. Ostacolare o dare info false può aggravare la posizione (anche penalmente, se si configura occultamento di documenti). Invece, una condotta collaborativa può portarvi semmai uno sconto di sanzioni (c’è l’attenuante del ravvedimento operoso anche durante PVC). Inoltre, se vi rendete conto di aver sbagliato, potete anticipare il Fisco pagando subito qualcosa durante la verifica: ad esempio, la legge consente di definire bonariamente il PVC con sanzioni ridotte se pagate entro 30 giorni dal processo verbale. Valutate con il consulente queste opzioni.
  • 13. Cura la tua formazione di base sul fisco. Non devi diventare un esperto, ma comprendere concetti base: che differenza c’è tra lordo e netto, come funzionano le aliquote progressive, cos’è l’IVA e quando si applica, quali spese sono deducibili. Questo ti aiuterà a prendere decisioni quotidiane. Ad esempio, saprai che mettere da parte l’IVA incassata non è “risparmio” ma denaro dello Stato che devi restituire. Oppure che se fatturi all’estero non metti IVA ma devi registrare l’operazione. Ci sono tante risorse divulgative (blog, YouTube, guide su Fisco e Tasse) per acquisire queste nozioni.
  • 14. Proteggi i tuoi guadagni e patrimoni. Se inizi a guadagnare molto, pensa anche a strumenti di tutela: assicurazioni professionali (per eventuali controversie contrattuali), diversificazione investimenti (non tenere fermi troppi soldi sul conto – al netto di quelli per le tasse – mettili a frutto in investimenti a basso rischio), e perché no, un check con un consulente patrimoniale. In caso di accertamenti futuri, avere patrimoni diversificati non significa evadere, ma evita che un pignoramento su un unico conto blocchi tutta la tua liquidità (ad esempio, se hai qualcosa su un conto trading, non attaccabile immediatamente da AdER). Sempre in ottica preventiva, se temi di poter avere debiti, sconsigliato intestarli a parenti o fare movimenti opportunistici all’ultimo (sarebbe la sottrazione fraudolenta art.11, reato). Piuttosto, pianifica onestamente come garantirti liquidità per pagare eventuali imposte (credit lines, ecc.).

In buona sostanza, professionalizza la tua attività anche sul fronte amministrativo. Essere un influencer di successo oggi significa non solo creare contenuti virali, ma anche gestire un piccolo business personale, con tutte le implicazioni fiscali e legali annesse. Chi lo fa in modo professionale e trasparente non solo dormirà sonni tranquilli, ma trasmetterà anche maggiore credibilità a brand e follower. Ricordiamoci che oramai il pubblico, le aziende e persino le autorità guardano agli influencer come a veri imprenditori: e come tali ci si aspetta compliance. La “storia” degli influencer furbetti è destinata a diventare sempre più rara mano a mano che il settore si normalizza (un segnale chiaro è stato l’introduzione del codice ATECO dedicato). Meglio stare un passo avanti, regolari, piuttosto che rischiare di finire sui giornali per problemi col Fisco.

10. FAQ – Domande Frequenti

D: Devo aprire la partita IVA se ho guadagnato 3.000 € facendo l’influencer quest’anno?
R: Probabilmente no, se l’attività è stata davvero occasionale. Guadagni di poche migliaia di euro tramite collaborazioni sporadiche possono rientrare nei redditi diversi senza obbligo di P.IVA. Devi comunque dichiarare quei €3.000 nel quadro RL del 730/Redditi. Attenzione: “occasionale” vuol dire che non hai un’attività organizzata né continuità. Se però quei 3.000 € derivano da, ad esempio, 10 micro-collaborazioni durante l’anno, l’Agenzia potrebbe già vederci abitualità. Un singolo incasso isolato (es. un video sponsorizzato una tantum) è ok senza P.IVA, ma se inizi a fare collaborazioni regolari, anche se piccole, formalmente dovresti aprire la partita IVA. Inoltre, sopra €5.000 annui in ogni caso scatta l’iscrizione Gestione Separata INPS per lavoro autonomo occasionale. Quindi il consiglio è: se prevedi di continuare l’attività di influencer anche l’anno prossimo, apri la partita IVA subito, approfittando magari del regime forfettario.

D: Posso usare il regime forfettario anche se lavoro già come dipendente?
R: Sì, il forfettario è compatibile con un lavoro dipendente, purché tu non abbia percepito redditi da dipendente superiori a €30.000 l’anno precedente (questa soglia è stata reintrodotta: se guadagni molto dal lavoro principale, il fisco non ti consente la flat tax sui secondi redditi). Inoltre, se il datore di lavoro è lo stesso per cui fai l’influencer come autonomo (es. pubblicizzi prodotti del tuo datore), non puoi usare forfettario per ciò che fatturi a lui. Ma nella maggior parte dei casi, se sei dipendente altrove sotto 30k, puoi aprire P.IVA forfettaria per l’attività social extra. Pagherai il 15% sui redditi da influencer e continuerai a pagare IRPEF sugli stipendi normalmente. Nota: per chi è dipendente a tempo pieno, l’INPS Gestione Separata prevede l’esonero dai contributi minimo se già hai copertura pensionistica, quindi verserai contributi solo sul reddito extra, senza doppio minimo.

D: Con il regime forfettario, quante tasse e contributi pagherò in totale?
R: Facciamo un esempio: supponi €50.000 di compensi annui da influencer, regime forfettario con coefficiente 78%. Il tuo reddito imponibile fiscale sarà €39.000. L’imposta sostitutiva al 15% su quello è €5.850. Per i contributi: se sei Gestione Separata INPS (nessun minimale), l’aliquota è ~26%: su 39k pagherai circa €10.140 di contributi (che peraltro puoi dedurre dal reddito IRPEF di eventuali altri redditi). Totale “tasse+contributi” ≈ €15.990, che è circa il 32% dei ricavi lordi. Non male, considerando che un autonomo in ordinario su 50k pagherebbe IRPEF progressiva (ad esempio, ipotizzando 10k costi netti, reddito 40k, IRPEF ~€9k, addizionali 1k, contributi 10k, totale ~20k su 50k = 40%). Quindi il forfettario conviene. Se fossi nei primi 5 anni con 5%, pagheresti ancora meno imposta (€1.950). Ricorda però che nel forfettario non puoi scaricare costi: quell’esempio assume circa 22% di costi forfettari. Se in realtà per guadagnare 50k ne hai spesi 30k, il regime ordinario (che tasserebbe 20k utile) risulterebbe migliore. Fai sempre simulare al commercialista.

D: Devo applicare la ritenuta d’acconto del 20% nelle fatture che emetto?
R: Dipende dal tuo inquadramento e dal tipo di cliente. Se sei un influencer persona fisica in regime forfettario, no – sei esonerato e devi dichiararlo in fattura (il cliente ti paga al lordo). Se sei in regime ordinario come lavoratore autonomo (professionista), e il tuo cliente è un sostituto d’imposta (es. una società italiana), : sul compenso deve trattenerti il 20% a titolo di acconto IRPEF. Ad esempio, fatturi €1.000 + IVA 22% = €1.220; il cliente ti versa €1.020 (tolti €200). Tu poi userai quei €200 come credito d’imposta in Unico. Se invece sei inquadrato come impresa (ditta individuale) o hai una società, normalmente non si applica ritenuta sui pagamenti dei clienti. Molte aziende comunque, in dubbio, fanno la ritenuta su fatture di persone fisiche se vedono che non è forfettario. Puoi chiarire inviando loro una dichiarazione sul tuo status. In ogni caso, controlla le Certificazioni Uniche l’anno dopo per sapere quante ritenute ti hanno versato, così da non perderle.

D: Come funziona l’IVA per gli influencer? Devo aggiungere il 22% ai preventivi?
R: Se sei nel regime ordinario, sì: devi considerare che su un servizio reso a cliente italiano devi applicare IVA al 22%. Quindi se vuoi incassare €1.000 netti, dovresti fatturare €1.000 + IVA = €1.220. L’azienda cliente in genere recupera quell’IVA, quindi non gli pesa sul costo. Diverso se il cliente è un consumatore finale: in quel caso, quell’IVA diventa un aggravio per lui, quindi nei contratti B2C di solito si ragiona “IVA inclusa”. Nel B2B invece ragiona sul prezzo + IVA. Se lavori con clienti esteri UE, fatturi senza IVA (reverse charge) indicando la P.IVA del cliente e la dicitura di inversione. Se il cliente estero non ha P.IVA (es. un fotografo francese privato che ti paga per un repost), allora pur essendo estero tecnicamente dovresti applicare IVA italiana? In teoria, prestazioni a soggetto privato UE seguono il prestatore -> IVA italiana. Caso raro comunque. Con clienti extra-UE, niente IVA (fuori campo). Nota: su ciò che compri invece pagherai IVA italiana al 22% che potrai detrarre. Quindi, calcola la tua liquidità: incassi IVA dai clienti e la metti da parte, paghi IVA su acquisti e la recuperi portandola in detrazione. Se compri molto equipaggiamento con IVA, finirai spesso a credito IVA (puoi chiedere rimborso oltre certi importi). Se invece hai poche spese, verserai ogni trimestre IVA allo Stato.

D: Cosa rischio se non dichiaro le entrate da piattaforme come YouTube, Twitch, OnlyFans?
R: Rischi grosso, perché sono le più facili da tracciare. Quando l’Agenzia riceve i dati DAC7, vedrà che Tizio ha percepito €X da YouTube nel 2024 e confronterà col dichiarato. Se non li trovi, partirà quantomeno una lettera di compliance, se non direttamente un accertamento. Le somme percepite da queste piattaforme costituiscono reddito di lavoro autonomo o d’impresa a tutti gli effetti e vanno dichiarate. Non importa se ti arrivano dall’estero: se sei fiscalmente residente in Italia, tassazione mondiale (worldwide). Se non dichiari, oltre alle sanzioni (90%-180% imposta evasa) può scattare reato di infedele od omessa dichiarazione se le cifre superano soglie. Ad esempio, un noto caso è quello di youtuber condannati per aver evaso su introiti AdSense. Non solo rischi monetari: possono bloccarti i conti, sequestro per equivalente, e come detto procedura penale. Vale davvero la pena per evitar di pagare, ad esempio, il 15% forfettario? Decisamente no. Meglio dichiarare e pagare un po’, piuttosto che sperare di farla franca e poi dover restituire tutto con interessi e multe salate.

D: Conviene aprire una SRL per pagare meno tasse sui guadagni da influencer?
R: Dipende dal livello di guadagni e dalle tue esigenze. Per guadagni medio-bassi (< €100k/anno) generalmente no, non conviene: la SRL ha costi fissi alti, e la tassazione complessiva utili + dividendi spesso non dà vantaggi rispetto al regime personale. Invece, se guadagni molto (> qualche centinaio di migliaia annui) e vuoi reinvestire parte di quei proventi nel business (senza dover pagare subito IRPEF su tutto), la SRL può essere un buon veicolo. Ad esempio, come illustrato in precedenza, una SRL permette di lasciare utili tassati al 24% dentro l’azienda per finanziare nuovi progetti, anziché dover pagare 43% IRPEF su tutto. Inoltre, con la SRL puoi assumere dipendenti, far entrare soci finanziatori, proteggere il tuo patrimonio personale da rischi dell’attività (cause, debiti). Molti top influencer optano per la struttura societaria: Chiara Ferragni ha varie società, Favij (youtuber) aveva aperto società, molti altri. Tuttavia, nota: l’eventuale risparmio fiscale arriva solo se ottimizzi la combinazione stipendio/dividendi. Ad esempio, potresti tenere il tuo reddito personale (da amministratore) entro lo scaglione 30-35% IRPEF e il resto lasciarlo in azienda o distribuirlo come dividendi tassati al 26%. Facendo due conti insieme al fiscalista, puoi trovare la sweet spot. Ma per importi modesti, i costi e la complessità della SRL superano i benefici. Quindi valutala quando la tua attività è matura, con fatturati elevati e stabili. Un compromesso può essere la ditta individuale in contabilità ordinaria: mantieni flessibilità, deduci tutto e se proprio l’IRPEF ti uccide, allora pensi alla SRL.

D: Come funzionano i controlli del Fisco sui social? Guardano davvero i miei follower e like?
R: Il Fisco non è interessato ai like di per sé, ma usa i social come indicatore indiretto di reddito potenziale. Per esempio, la GdF ha dichiarato che analizza posizioni con molti follower e poche tasse dichiarate. Possono fare anche finti profili per seguirvi e vedere post sponsorizzati non dichiarati. Inoltre incrociano il tenore di vita: se su Instagram ostenti acquisti di lusso e poi risulti nullatenente per il Fisco, aspettati accertamento. Già anni fa avevano fatto esempi di “redditometro social”: foto in yacht, vacanze di continuo, auto di grossa cilindrata – se non trovi riscontro nelle dichiarazioni, scatta l’incoerenza. Tecnicamente, l’Agenzia può pure usare software di data mining per raccogliere immagini e testi pubblici (c’è un progetto in Francia, e in Italia se ne parlò). Quindi sì, ti osservano. Non tanto i follower in sé (che non garantiscono reddito), ma i contenuti: menzioni di brand, hashtag #adv, #sponsored, video di collab. Quelle sono prove evidenti di un’attività economica. Tieni presente però: non è che se hai tanti follower automaticamente sei ricco; l’algoritmo di selezione unirà vari parametri (follower, interazioni, settore, ecc.) per stimare guadagni attesi, e poi li confronta con le banche dati fiscali. Ormai comunque con DAC7 e dati conti, hanno elementi più solidi dei follower number. I social restano un contesto dove non puoi fingere di essere povero: se il tuo “personaggio” online vive nel lusso, il Fisco vorrà vedere se puoi permettertelo coi redditi che dichiari. Quindi, un consiglio: autenticità fiscale 😀 – se sfoggi benessere sui social, assicurati di essere in regola dietro le quinte.

D: Se vengo contattato dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza, cosa devo fare?
R: Prima di tutto, niente panico e niente bugie. Se ricevi una semplice lettera di compliance (invito a chiarire discrepanze), portala immediatamente al tuo commercialista e rispondi nei termini spiegando la situazione o integrando la dichiarazione se serve. Se invece ti arriva un PVC della Guardia di Finanza (dopo magari una verifica in sede), a quel punto ti conviene farti assistere da un avvocato tributarista per la fase successiva, ma intanto puoi presentare entro 60 giorni eventuali osservazioni scritte (approfittane per correggere qualche eventuale errore di interpretazione dei verificatori). Se arriva un avviso di accertamento, come spiegato nel capitolo contenzioso, valuta adesione o ricorso entro 60 giorni. In tutti i casi, rispetta le scadenze: non ignorare le comunicazioni perché peggiori solo la situazione. La GdF in verifica può fare domande: rispondi sinceramente, se non sai una cosa di’ che farai verificare al commercialista. Dare risposte false a pubblici ufficiali in atto di verifiche può configurare reato. Durante accessi, possono sequestrare documenti: collabora, consegna quel che chiedono (nei limiti del decreto di perquisizione). In sede di contraddittorio con Agenzia, mantieni un tono fermo ma rispettoso, porta documenti a supporto delle tue tesi. A volte una buona impressione e trasparenza può convincere l’ufficio a essere più morbido (ad esempio riconoscere l’assenza di dolo e ridurre sanzioni).

D: Ho sentito che alcuni influencer aprono partita IVA all’estero per pagare meno tasse. È fattibile?
R: Alcuni cercano strade tipo aprire una LTD in UK, o una società in Dubai, e farsi pagare su quella. Si può fare legalmente solo se tu risiedi all’estero e la società ha sostanza economica lì. Se invece resti in Italia e apri società estera solo “sulla carta”, rischi molto: l’Italia può considerarla esterovestizione della società (cioè società estera di comodo, tassabile come fosse italiana) e in più tu comunque rimani tassato qui per i redditi che percepisci da quella società. In breve: aprire entità offshore non esenta i tuoi guadagni dalle tasse italiane se tu vivi e operi principalmente in Italia. Alcuni influencer si sono trasferiti fisicamente a Dubai, appunto, e incassano lì. Funziona solo se tagli davvero i legami fiscali con l’Italia (come discusso sopra). Se per caso apri una società in un paradiso e cerchi di non dichiarare nulla in Italia, sappi che c’è lo scambio di informazioni tra paesi, e prima o poi potrebbero beccarti. E ti troveresti ad affrontare accertamenti ben peggiori (inclusa la presunzione che tutto ciò che hai portato all’estero siano redditi evasi, con inversione onere prova). Quindi, a meno che tu non abbia già deciso di espatriare stabilmente, sconsiglio vivamente di inseguire fantasiose strutture estere per eludere il Fisco. Concentrati piuttosto su come ottimizzare in Italia con i regimi che ci sono (forfettario, impatriati, società con IRES) e considera l’estero solo se fa parte di un progetto di vita serio e di lungo termine.

D: L’Agenzia delle Entrate mi ha inviato una comunicazione di irregolarità su IVA/ritenute, posso ignorarla se credo abbiano torto?
R: No, non ignorarla. Le comunicazioni di irregolarità (cd. avvisi bonari) sorgono di solito da controlli automatici sulle dichiarazioni: ad esempio, risulta che dovevi versare €5.000 di IVA ma ne hai versati 4.000, quindi ti avvisano dell’irregolarità e chiedono il pagamento della differenza con sanzione ridotta 10%. Se pensi che abbiano torto (es. hai compensato un credito e non l’hanno visto), rispondi all’invito segnalando l’errore. Se hai ragione, annulleranno la richiesta. Se non rispondi, dopo 30 giorni emettono cartella con sanzione piena 30%. Quindi meglio chiarire subito. Questi avvisi bonari non sono formali accertamenti impugnabili in Commissione (si possono impugnare solo dopo che diventano cartella). Ma hai tutto l’interesse a sistemarli nella fase bonaria perché paghi meno sanzioni. Quindi, presta attenzione anche alle “letterine” soft del Fisco.

D: Posso dedurre l’acquisto di vestiti, trucchi, ecc. che uso nei miei contenuti?
R: In linea di principio sì, in parte. Come discusso, per un fashion o beauty influencer l’abbigliamento e il makeup sono in qualche modo strumentali al lavoro di creare immagini. La Cassazione in passato era rigida: l’abito “civile” non è mai deducibile. Ma la recente sentenza CGT Lombardia 2024 ha aperto uno spiraglio, riconoscendo l’inerenza dei capi di vestiario acquistati specificamente per shooting/eventi moda. Il suggerimento è: se compri capi/outfit esclusivamente per creare un certo contenuto sponsorizzato o per partecipare a un evento legato al tuo lavoro di influencer, conserva documentazione (brief dell’azienda che richiede un certo dress code, ricevuta acquisto, foto/video in cui li indossi) in modo da poter dimostrare l’attinenza. In tal caso, inserirli tra i costi deducibili è difendibile. Idem per cosmetici, attrezzatura scenica, decorazioni. Il Fisco potrebbe comunque contestare parte di questi costi come personale (sostenendo che quell’abito poi lo usi anche nella vita privata). Una via prudenziale è dedurre solo parzialmente certi costi “promiscui”. Ad esempio, compri uno smoking da €1000, lo usi in un video sponsor e anche a capodanno: potresti dedurre magari 500 come costo inerente e rinunciare all’altro 50%. Non c’è una regola scritta per questo, sta al tuo buon senso e al consulente. Ma data la giurisprudenza favorevole, se li deduci al 100% e poi al limite li riprende il Fisco al 50%, avrai margine per transare in adesione. Occhio invece alle spese voluttuarie tipo gioielli, orologi di lusso: più difficili da giustificare (a meno che tu non sia un influencer di orologi). Un compromesso è: se quell’oggetto di lusso è anche un investimento patrimoniale (es. Rolex), forse meglio non dedurlo affatto e tenerlo fuori dall’attività, per non complicare le acque. Dedurre invece quelli di scena (bijoux, ecc. per gli outfit).

D: Sono in ritardo di alcuni mesi nella fatturazione di certe collaborazioni, posso farle ora in ritardo?
R: Dovresti emettere le fatture datandole col giorno effettivo di esecuzione e conservare la numerazione. In teoria, l’emissione tardiva di fatture è una violazione (sanzione 4% dell’IVA, min €500). Ma è meno grave del non farle affatto. Quindi sì, fai fattura anche se in ritardo, e liquidala con l’IVA del periodo corrente (sanando spontaneamente col ravvedimento la tardiva registrazione). L’importante è che quei ricavi finiscano nella dichiarazione. Se sono vendite digitali B2C, c’è l’esterometro etc. Da luglio 2022 pure i forfettari dovevano fatturare entro 12 giorni dall’operazione. Se hai sforato, emetti ora e al massimo rischi una piccola sanzione se se ne accorgono. Meglio che non fatturare proprio. Il tuo cliente se ha partita IVA potrebbe insistere per avere la fattura (per dedursi il costo); se sei forfettario e quindi la fattura non incide per loro, magari neanche se ne sono accorti. Ma tu emettila lo stesso e inviala, scusandoti del ritardo.

D: C’è stata un’operazione della Finanza che ha scoperto decine di influencer evasori. Come faccio a sapere se sono tra gli “osservati speciali”?
R: Non puoi saperlo finché non ti contattano. Però puoi fare un esame di coscienza: se hai tenuto un profilo fiscale corretto, anche se ti guardano, non troveranno nulla di che. Se invece hai omesso qualcosa e per esempio rientri nei profili di Bologna (influencer con alto seguito su Instagram e OnlyFans, residente a Bologna), potresti essere tra quelli. Nel dubbio, se sai di non aver dichiarato redditi e ti trovi in quell’identikit, anticipali tu: vai dal commercialista e valuta di presentare dichiarazioni integrative con ravvedimento prima che arrivi la Finanza. Così se e quando arrivano, potrai dire “ho già autodenunciato e pagato il dovuto”, evitando guai penali. In generale, comunque, le operazioni eclatanti vengono a conoscenza solo quando già concluse (come notizia). Prevenirle tu stesso con compliance spontanea è la mossa migliore.


Questa sezione FAQ ha fornito chiarimenti immediati a dubbi comuni. Se la tua domanda non è qui, molto probabilmente la risposta la trovi leggendo i capitoli precedenti della guida, dove abbiamo approfondito tutti questi aspetti con riferimenti a norme e casi pratici. Ricorda che ogni situazione personale ha particolarità: per decisioni importanti, consulta sempre un professionista.

Fonti

Normativa, prassi e giurisprudenza citate o di riferimento:

  1. D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (TUIR) – Articoli 53 (Redditi di lavoro autonomo), 55 (Redditi d’impresa), 67 (Redditi diversi), 2 (Residenza fiscale), 23 (Fonte dei redditi).
  2. D.Lgs. 10 marzo 2000, n.74 – Nuova disciplina reati tributari: art.4 (Dichiarazione infedele); art.5 (Omessa dichiarazione); art.10-ter (Omesso versamento IVA); art.13 (Pagamento del debito tributario come causa di non punibilità).
  3. D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.471 – Sanzioni tributarie: art.1 (omessa/infedele dichiarazione, sanzioni 120-240% e 90-180%); art.6 (mancata fatturazione, sanzione 90% IVA); art.13 (ritardato versamento, sanzione 30%).
  4. Legge 29 dicembre 2022, n.197 (Legge di Bilancio 2023) – Elevazione limite forfettario a €85.000; regime forfettario, cause di esclusione reddito lavoro >30k; norme “tregua fiscale 2023” (definizione agevolata avvisi e liti).
  5. Provv. Ag. Entrate 30.1.2023 – Attuazione DAC7 (obblighi comunicazione piattaforme digitali) recepita da D.Lgs.32/2023.
  6. Circolare INPS n.44/2025 – Inquadramento previdenziale influencer e content creator.
  7. Sentenza CGT II grado Piemonte n.219/2/2023 – Caso Cristiano Ronaldo: regime neo-residenti e qualificazione redditi da immagine come lavoro autonomo per influencer.
  8. Sentenza CGT II grado Lombardia n.468/2024 – Caso fashion influencer: deducibilità parziale spese di abbigliamento e viaggi come inerenti.
  9. Tribunale di Roma, sez. lav., sent. n.2615/2024 – Influencer con compensi a percentuale qualificato come agente di commercio (Fondazione Enasarco).
  10. Risposta ad Interpello Ag. Entrate n.700/2021 – Redditi influencer non residente per shooting in Italia imponibili in Italia.

Sei un influencer attivo su Instagram, TikTok, YouTube o OnlyFans e hai ricevuto una lettera di compliance, un avviso di accertamento o una richiesta di documentazione fiscale? Fatti Difendere da Studio Monardo

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L’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli su chi guadagna online: compensi da collaborazioni, sponsorizzazioni, affiliazioni o piattaforme estere come Patreon e Twitch devono essere dichiarati correttamente. Ma anche se sei finito nel mirino del Fisco, puoi difenderti in modo efficace e tutelare la tua attività.

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  • ✍️ Predispone memorie difensive e ti assiste nella risposta alla lettera di compliance
  • ⚖️ Presenta ricorsi contro avvisi di accertamento e atti esecutivi
  • 🔁 Ti guida verso eventuale ravvedimento operoso o definizione agevolata, se utile

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in fiscalità digitale, nuove professioni e redditi online
  • ✔️ Consulente per la difesa da controlli su influencer, streamer e creator
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Fare l’influencer è un lavoro vero, ma anche il Fisco vuole la sua parte.
Con l’assistenza legale giusta puoi difenderti da contestazioni ingiuste, regolarizzare la tua posizione e continuare a lavorare serenamente.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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