Avviso Di Accertamento Infondato: Come Dimostrarlo Legalmente

Hai ricevuto un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate che ritieni infondato, eccessivo o completamente sbagliato? Ti chiedi come puoi contestarlo legalmente, quali prove servono e quali strumenti puoi utilizzare per annullarlo o ridurlo?

Molti contribuenti si trovano a fronteggiare accertamenti basati su presunzioni, errori materiali o ricostruzioni non attendibili. Ma un avviso infondato può essere impugnato e annullato, se agisci con tempestività e nel modo corretto.

Cos’è un avviso di accertamento infondato?
– È un atto con cui il Fisco contesta maggiori imposte, sanzioni e interessi
– Si basa spesso su presunzioni, scostamenti dai dati medi, segnalazioni automatiche o controlli formali
– È infondato quando i fatti contestati non trovano riscontro nella realtà documentata del contribuente
– Può nascere da errori, omissioni, interpretazioni arbitrarie o dati incompleti

Quando un accertamento può essere dichiarato nullo o illegittimo?
– Se manca il contraddittorio preventivo (obbligatorio in alcuni casi)
– Se è fondato solo su presunzioni semplici e non gravi, precise e concordanti
– Se non tiene conto della documentazione prodotta dal contribuente
– Se viola i principi di proporzionalità, motivazione e buona fede
– Se è stato notificato in modo irregolare o fuori dai termini di legge

Come puoi difenderti legalmente?
– Presentando osservazioni scritte entro i termini previsti, se ricevi un invito al contraddittorio
– Impugnando l’avviso con ricorso tributario presso la Commissione Tributaria competente
– Producendo in giudizio:
Documentazione contabile e bancaria
Prove alternative e giustificativi di spese, operazioni e ricavi
Perizie tecniche o relazioni di parte
– Dimostrando l’inattendibilità della ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate
– Attivando, se utile, la mediazione tributaria per evitare il processo, se l’importo è entro i limiti previsti

Cosa puoi ottenere con la difesa giusta?
Annullamento totale dell’avviso, con chiusura del contenzioso
Riduzione dell’importo richiesto, se dimostri una base imponibile inferiore
Sospensione della riscossione durante il ricorso
Condanna dell’Agenzia alle spese, se il ricorso è accolto
– Possibilità di rateizzare o definire in modo agevolato, anche durante il giudizio

Attenzione: hai solo 60 giorni di tempo dalla notifica per agire. Lasciare correre il termine significa far diventare definitivo l’avviso, con possibilità immediata per l’ente di riscuotere coattivamente tramite pignoramenti e iscrizioni a ruolo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e annullamento di avvisi illegittimi ti spiega come dimostrare legalmente che un avviso di accertamento è infondato, quali errori cercare e quali strumenti usare per difenderti.

Hai ricevuto un avviso che ritieni sbagliato o arbitrario? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo il tuo caso e ti diremo se puoi annullare l’accertamento, con quali prove e in quali tempi.

Introduzione

L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate rettifica le dichiarazioni del contribuente indicando somme a debito. Un avviso può essere infondato se privo di giustificazione normativa o fattuale: ad esempio quando la motivazione è carente o basata su presunzioni infondate. Dal punto di vista del debitore, contrastare efficacemente un avviso significa individuare i vizi formali e sostanziali dell’atto e raccogliere prove idonee a confutare le presunzioni dell’Amministrazione. Il quadro normativo di riferimento è complesso: il DPR 600/1973 disciplina le varie tipologie di accertamento (art. 39 e seguenti) e lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) ne impone regole di chiarezza e motivazione. La giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Commissione Tributaria (le giurisdizioni tributarie) ha altresì chiarito gli obblighi probatori dell’Ufficio e del contribuente.

Nel contesto della controversia tributaria, il contribuente deve preparare il ricorso entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (art. 21, D.lgs. 546/1992) e far valere puntualmente i motivi di illegittimità (termine sospeso ad agosto). È utile un’analisi preliminare: verificare la corretta notifica, la firma, i termini di decadenza per l’accertamento e il rispetto del contraddittorio preventivo (invito a comparire). Dallo studio dell’atto emergono i presupposti del «fondamento oggettivo» della pretesa erariale (addebiti, presunzioni, element evidenziati). Su questi punti il contribuente costruisce la difesa, spesso attraverso documentazione contabile, perizie tecniche e memorie esplicative.

Cos’è l’avviso di accertamento e sue tipologie

L’avviso di accertamento è l’atto impositivo con cui l’Amministrazione fiscale, a seguito di verifica o controllo, rettifica il reddito o l’imponibile dichiarato dal contribuente. Può essere emesso per diverse imposte (IRPEF, IRES, IVA, IRAP, IMU, ecc.). Tipologie principali di accertamento sono:

  • Accertamento analitico-induttivo (art. 39 DPR 600/1973): l’ufficio rettifica il reddito sulla base di elementi certi (verbali di constatazione, documenti) riscontrando incongruenze fra i dati dichiarati e quelli accertati.
  • Accertamento induttivo c.d. puro (art. 39, co.2, DPR 600/1973): se il contribuente non ha tenuto le scritture di magazzino o le ha tenute irregolarmente, il fisco può determinare il reddito presunto ricorrendo a elementi indiretti (presunzioni economiche). Recenti ordinanze Cass. 2024 hanno confermato che, per l’accertamento induttivo, l’Amministrazione può usare il margine di ricarico (“mark up”) di imprese campione analoghe come base di calcolo, lasciando al contribuente l’onere di confutare tale presunzione.
  • Accertamento sintetico (redditometro/parametri) (art. 5-ter Statuto/conversione L. 232/2020): il fisco ricava il reddito sulla base di spese e indici presuntivi di capacità contributiva. Anche qui la Cassazione ha ribadito che, una volta determinati correttamente gli elementi-indice (es. consumi familiari, spese), l’onere di dimostrare l’inesistenza del maggior reddito spetta al contribuente.
  • Accertamento del valore catastale o di mercato (art. 12 D.lgs. 504/1992 e seg.) per tributi immobiliari: i Comuni possono rivalutare il valore catastale dichiarato o applicare tariffari. Le regole contabili da rispettare e le tabelle di legge (minimi/tabella millesimale) devono essere rispettate.
  • Accertamento con adesione (art. 6 D.lgs. 218/1997): è una procedura concordata, successiva alla notifica di un invito a comparire, che consente al contribuente di accettare un’obbligazione inferiore rispetto a quanto contestato con l’avviso, evitando il contenzioso.
  • Accertamento per studi di settore e parametri (revisione: parametri): attraverso coefficienti econometrici per settori, ora dismessi per le persone fisiche e sostituiti dai parametri per le imprese. Tali strumenti sostengono l’analisi del maggior reddito.

Ogni modalità ha requisiti di avvio e motivazione specifici (invito a comparire obbligatorio dal 2020 prima dell’avviso) e termini di decadenza (rinovamento del termine massimo di accertamento previsti dalla legge). In particolare, il Statuto del contribuente prevede che prima di notificare l’avviso l’ufficio debba inviare un invito al contraddittorio (art. 5-ter, D.lgs. 218/1997, così modificato da L. 178/2020), salvo casi di urgenza. Ciò significa che il contribuente può esporre la propria posizione all’ufficio e presentare documenti già in fase precontenziosa.

Requisiti di forma e motivazione dell’avviso

Per essere valido, l’avviso di accertamento deve rispettare rigorosi requisiti formali e di motivazione. Il Statuto del contribuente (L. 212/2000, art. 7) stabilisce che gli atti impositivi “sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti e i mezzi di prova”. Ciò significa che l’avviso deve descrivere con precisione i fatti accertati (ad es. irregolarità contabili, resoconti di verifica, spese) e le prove da cui scaturiscono. In assenza di motivazione adeguata l’atto può essere considerato nullo o annullabile. Anche il riferimento per relationem ad altri atti (ad esempio verbali di verifica) è consentito solo se questi siano noti al contribuente o allegati.

Inoltre, il secondo comma del medesimo articolo prevede che “fatti e mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti” se non con nuovo atto notificato nei termini di legge. Questo impedisce che l’ufficio compili ex post nuove verifiche o aggiunga prove non contestate originariamente, salvaguardando il diritto alla difesa del contribuente.

Sul piano giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha chiarito che la qualificazione formale dell’accertamento (induttivo vs analitico) non è dirimente se la motivazione descrive adeguatamente i fatti e le ragioni della pretesa. In pratica, anche se l’atto confonde le due tecniche (analitica/induttiva), resta valido se delinea con chiarezza gli elementi alla base dell’aumento (fatture emerse, dati di verifica, accertamento dei ricavi, ecc.). L’elemento essenziale è la corrispondenza fra domanda e pronuncia: il contribuente deve comprendere le ragioni dell’avviso per poter difendersi.

Vizi formali tipici che invalidano l’atto sono: mancanza di firma o del responsabile, difetto di notifica, scadenza del termine decadenziale per l’accertamento o assenza dell’invito a contraddittorio quando dovuto. Vizi sostanziali possono derivare da errori di calcolo, da presunzioni incongrue o dalla violazione di norme sostanziali (ad es. motivi di esenzione, deduzioni non considerate). Ad esempio, se l’avviso contestasse costi che in realtà il contribuente ha regolarmente documentato, o utilizzasse presunzioni non «gravi, precise e concordanti» come richiesto dall’art. 39 DPR 600/1973, si può sostenere l’infondatezza. In particolare, l’art. 39 co.1, lett. d) consente presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti, mentre l’art. 39 co.2 (induttivo puro) richiede che il contribuente abbia omesso o irregolarmente tenuto le scritture di magazzino per poter prescindere dalle stesse. Se tali condizioni non sussistono, l’avviso induttivo può essere inefficace.

Onere della prova: chi deve dimostrare cosa

Un aspetto cruciale nella difesa è l’onere della prova. In generale il fisco deve basare l’avviso su elementi attendibili (documenti, verbali, accertamenti). Tuttavia, in alcuni tipi di accertamento la Cassazione ha spostato parte dell’onere sul contribuente. In particolare:

  • Accertamento induttivo: la giurisprudenza consolidata afferma che, trovandosi il contribuente inadempiente nell’obbligo contabile, spetta a lui provare che i fatti contestati non sussistono. Ad esempio, in accertamento induttivo di impresa, se l’ufficio ha stabilito un reddito basato su spese o margini presunti, il contribuente deve dimostrare contrariamente l’effettiva imponibilità inferiore. La Cassazione (sent. 23115/2013, 15027/2014, 24778/2015 citate in [29]) ribadisce che in caso di presunzioni gravi, spetta al contribuente confutarle; il giudice tributario di merito deve valutare le prove addotte dal contribuente e non può sostituirle con un apprezzamento discrezionale.
  • Accertamento sintetico (redditometro): analogamente, recenti ordinanze confermano che, una volta determinati correttamente gli indici del redditometro, l’onere di contestare il maggiore reddito ricade sul contribuente. L’Agenzia è dispensata da prove aggiuntive oltre a quelle indiziarie che innescano il redditometro; la Cassazione (ordinanza n. 6179/2025) ha specificato che il contribuente deve dimostrare che i fattori di capacità contributiva individuati (ad es. consumi familiari) “non esistono” o si sono realizzati in misura inferiore. Inoltre, la prova contraria deve considerare la posizione reddituale complessiva del nucleo familiare (coniugi e figli conviventi).

In sintesi: se l’accertamento si basa su riscontri documentali diretti (art. 39 c.1 lett. c/d, accertamento analitico), l’Ufficio deve dimostrare l’inesattezza delle dichiarazioni; ma se si basa su presunzioni economiche (induttivo puro o sintetico), la legge e la giurisprudenza ritengono che l’amministrazione abbia assolto il suo onere esibendo gli indici, e che tocchi al contribuente portare elementi contrari. Ciò non significa che ogni onere gravi unilateralmente sul cittadino: l’Agenzia deve sempre indicare precisamente le basi probatorie dell’atto e non può arricchire arbitrariamente la pretesa; in giudizio il contribuente può sempre chiedere al giudice tributario di valutare tutti gli elementi di fatto e di diritto.

Contenzioso tributario e strategie difensive

Se il contribuente reputa l’avviso ingiusto o infondato, deve reagire tempestivamente. Le strategie di difesa comprendono:

  • Verifica preliminare dell’atto: controllare formalità, firme, termini, visibilità dei documenti richiamati. Richiedere copia dei documenti alla base dell’accertamento (es. PV, questionari, fatture).
  • Ricorso al Giudice Tributario: entro 60 giorni dalla notifica notificare il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (C.T.P.) competente. Il ricorso deve motivare punto per punto perché l’avviso è infondato (vizi di motivazione, calcolo, presunzioni pretestuose, ecc.). È consigliabile articolare i motivi in forma chiara (es. “violazione di legge per inidoneità delle presunzioni”, “mancata considerazione di documenti giustificativi”, “decorrenza termini decadenza superata”).
  • Contraddittorio e istanza di accertamento con adesione: in alternativa o prima del giudizio è possibile instaurare il contenzioso endoprocedimentale. L’art. 5-ter del D.lgs. 218/1997 (Statuto) prevede l’invito a comparire con contraddittorio formale prima dell’avviso. Se riceviamo tale invito, potremo anticipare le difese e trovare una conciliazione o almeno avere per iscritto le ragioni dell’Agenzia. Analogamente, anche dopo notifica si può attivare l’adesione (proposta di definizione in misura concordata), eventualmente riducendo sanzioni e interessi. L’accertamento con adesione (art. 6, D.lgs. 218/97) richiede l’accordo sulle basi impositive, che può essere più favorevole rispetto al ricorso giudiziale ma non sempre è conveniente in caso di evidente illegittimità.
  • Ritiro o annullamento in autotutela: l’Amministrazione può, a volte spontaneamente, ritirare o correggere l’atto se riconosce vizi (“autotutela”). Recenti pronunce (Cass. SS.UU. n. 30051/2024) hanno anche consentito all’Agenzia di emettere in autotutela un secondo avviso più gravoso rispetto al primo annullato (“autotutela sostitutiva in malam partem”). Dal punto di vista del contribuente, conoscere questa possibilità è importante: un ritiro dell’atto annulla anche la cartella di pagamento derivata, liberando il soggetto da quegli obblighi. In attesa di decisioni, si può presentare istanza di annullamento in autotutela all’Agenzia (esponendo motivazioni e documenti) chiedendo il ritiro “per eccesso di potere” o per carenza motivazionale.
  • Ricorso giurisdizionale: in Commissione Tributaria, documentare sistematicamente la propria difesa. Ove il contribuente ritenga l’attività della CTR di primo grado carente, può appellare in CTR (Commissione Tributaria Regionale) entro 60 giorni dalla decisione di primo grado. In ogni fase, raccogliere giurisprudenza aggiornata e citare leggi e precedenti (ad es. Cass. SS.UU. 30051/2024, Cass. n. 7644/2018, Cass. ord. 30827/2024, orientamenti sul redditometro, ecc.). Gli orientamenti più recenti sono disponibili nei siti istituzionali (Agenzia delle Entrate – FiscoOggi, Ministero Economia, Corte di Cassazione) e nelle riviste di settore.

Durante il contenzioso, è fondamentale far valere ogni mezzo di prova a difesa: da scritture contabili e fatture (per confutare presunte omissioni), a perizie tecniche (ad esempio, per stimare il valore reale di immobili in caso di accertamento ICI/IMU), a testimonianze o consulenze di esperti. Il giudice tributario valuterà i dati allegati; se l’Amministrazione non ha prodotto elementi certi, e se la motivazione risulta debole o contraddittoria, il ricorso può essere accolto. Attenzione: la giustizia tributaria è di merito, perciò la preparazione tecnica della difesa e l’appello a un consulente specializzato possono fare la differenza.

Elementi di infondatezza e vizi dell’avviso

Per dimostrare che un avviso è infondato occorre individuare vizi sostanziali (infondatezza della pretesa) o vizi formali (invalidità della motivazione o nullità dell’atto). Tra i motivi tipici di impugnazione:

  • Mancata prova di elementi essenziali: ad esempio, se l’avviso si basa su presunti ricavi “in nero” identificati in modo generico, senza legami con documenti concreti, il contribuente può lamentare che l’Amministrazione non ha dimostrato né la fonte né l’ammontare esatto di tali ricavi. In base all’art. 39 co.2 DPR 600/1973, il contribuente ha diritto di fornire la prova contraria, e il giudice è tenuto a valutarla. La Cassazione ha infatti precisato che in presenza di presunzioni, l’onere di confutare spetta al contribuente, ma solo dopo che l’amministrazione abbia assolto al proprio onere portando indizi gravi. Se questi indizi mancano o sono generici, l’avviso è infondato.
  • Errore di diritto o motivazione insufficiente: se l’atto applica norme in modo errato (ad es. errata qualificazione di redditi o di presunzioni), la motivazione è viziata. Il contribuente deve dimostrare la violazione del diritto (ad esempio, richiamando art. o commi diversi). In concreto, si può sostenere che i presupposti legali per un accertamento non sussistono (es. nel redditometro non sono sussistenti le condizioni soggettive). Normativa da citare: DPR 600/1973 art. 39, Statuto art. 7 e seg., Codice di Procedura Tributaria D.lgs. 546/1992 art. 2 (termini) e art. 24 (sospensione dell’atto del giudice trib.).
  • Vizi della notifica: l’avviso deve essere consegnato seguendo precise regole (modalità, destinatario, tempi). La notifica via PEC, per esempio, è ammessa solo se il contribuente l’ha espressamente indicata come indirizzo. Mancato rispetto delle forme può comportare nullità. Il tempo di notifica interrompe il termine per impugnare; se ad es. non è provato come è stato inviato, il contribuente può chiedere in fatto la nullità dell’atto.
  • Decadenza e prescrizione: l’Ufficio non può emettere l’avviso se è scaduto il termine decadenziale di accertamento (generalmente due anni per l’IVA, cinque anni per le imposte sui redditi, raddoppiati nei casi di omessa dichiarazione, salvo evoluzioni normative di recente introduzione). Se l’avviso è tardivo rispetto a tali termini, è annullabile.
  • Violazione del principio del contraddittorio: se l’invito a comparire obbligatorio è stato ignorato oppure sono state disattese le possibilità di adesione, il contribuente può far valere che la mancata interlocuzione ha pregiudicato i suoi diritti difensivi. In tal caso, chiederà l’annullamento dell’avviso per violazione di legge e di carattere generale (art. 2 Statuto – buona fede) anche se, secondo Cassazione, l’atto resta valido ma il contribuente potrà contestare ogni elemento ignorato (art. 3 Statuto).
  • Difetto di competenza o violazione del principio di unicità: nel sistema tributario vige il principio della unicità dell’accertamento: l’Agenzia non può emettere due avvisi per lo stesso tributo e stesso periodo. Con l’autotutela peggiorativa del 2024, tuttavia, l’Ufficio può sostituire un atto con uno nuovo (più oneroso) solo se non è decorso il termine di decadenza e non è passata in giudicato una sentenza sul primo avviso. Un avviso di accertamento secondo atto potrebbe dunque essere illegittimo se supera i limiti temporali o viola la parità di trattamento.

La prova dell’infondatezza si basa su documenti (fatture, estratti conti, libri contabili) e sul contraddittorio tecnico. È importante organizzare una difesa “per punti”, contestando ogni aspetto: quantità, qualità e natura dell’imponibile contestato. Ad esempio, se l’avviso aggiunge un imponibile senza fattura, va fornita copia delle scritture cui il contribuente faceva affidamento; se l’imponibile deriva da stima di valore di magazzino, si possono produrre perizie indipendenti di valutazione.

Tabelle riepilogative

  • Tabella 1: Confronto tra tipi di accertamento
Tipo di accertamentoRiferimento normativoCondizioni per l’ufficioOnere della prova
Accertamento analitico-induttivoArt. 39 DPR 600/1973, lett. c), d)Verifiche dirette (controlli, ispezioni, altre fonti documentali)Onere su Amministrazione: documentare falsità/difformità
Accertamento induttivo (omessa cont.)Art. 39 DPR 600/1973, co.2Mancata o irregolare tenuta contabilità ausiliariaContribuente deve provare l’insussistenza del reddito presunto
Accertamento sintetico (redditometro)Art. 5-ter L. 212/2000 (Statuto)Determinazione su indici di spesa (decreti redditometro)Contribuente deve dimostrare che i fattori-indice non si realizzano
Accertamento del valore (immobili)D.lgs. 504/1992 (ICI/IMU), Tab. minimi, art. 22 TUE)Contribuente ritardatario dichiarazioni o parametri catastaliOnere su Amministrazione di rispettare norme (possibilità di perizia contraria)
  • Tabella 2: Tempi e scadenze principali
EventoTermine
Notifica avviso di accertamentoIn qualsiasi giorno lavorativo, con tempi tecnici
Ricorso in Commissione Tributaria (C.T.P.)60 giorni dalla notifica (art. 21 D.lgs. 546/92)
Appello in Commissione Regionale (C.T.R.)60 giorni dalla decisione di primo grado
Deposito motivi aggiunti in Cassazione30 giorni dalla decisione di secondo grado
Effetti definitivo accertamento (se non impugnato)Acquiescenza, l’atto diventa esecutivo
  • Tabella 3: Vizi e conseguenze
Vizio riscontratoEffetto
Assenza o insufficienza della motivazione (art. 7 Statuto)Nullità/annullabilità dell’avviso; contribuente può ottenere l’annullamento senza bisogno di comprovare l’illegittimità sostanziale.
Presunzioni non gravi, precise e concordantiAvviso induttivo illegittimo; da impugnare con ricorso evidenziando mancanza di prova certa dei fatti.
Termini di decadenza scadutiAccertamento prescritto, atto nullo (ad es. 5 anni dall’accertamento ex lege).
Incompetenza o violazione unicitàAccertamento eccedente competenza territoriale o duplicato su stesso tributo: annullamento.
Incompletezza notificaNullità dell’atto per difetto di notifica; riapre i termini per ricorrere una volta notificato regolarmente.

Simulazioni pratiche

  • Caso 1 – Accertamento induttivo IRPEF: Mario, commerciante, riceve avviso IRPEF 2018 basato su presunti maggiori ricavi “in nero” rilevati dalla GdF con il metodo del mark up. L’ufficio aumenta il reddito da €50.000 a €80.000. Strategia: Mario deve produrre le scritture di magazzino (ordini fornitori, libri contabili) e dimostrare che i profitti effettivi erano quelli dichiarati. Inoltre, può procurare documenti di altre attività dello stesso settore che mostrino margini di ricarico inferiori a quelli usati dall’Amministrazione. In ricorso, Mario sottolinea che la Cassazione consente il mark up solo per imprese comparabili: se le aziende usate come campione non sono analoghe per settore o dimensione, l’accertamento è infondato.
  • Caso 2 – Redditometro e oneri familiari: Carla, lavoratrice dipendente con reddito dichiarato basso, riceve un avviso sintetico IRPEF che le addebita €20.000 di reddito in più per spese domestiche (auto, scuole, vacanze). L’avviso elenca gli indici redditometrici. Difesa: Carla fornisce fatture e bonifici che documentano che le spese familiari gravavano sul coniuge e sui genitori. Fa presente che la Cassazione richiede di valutare il reddito del nucleo familiare completo. La Commissione Tributaria, riconoscendo la prova contraria (addebiti reali sulle spese di famiglia), annulla il redditometro. Questo caso illustra il principio: l’avviso è legittimo in linea di massima, ma Carla riesce a dimostrare che i fattori-indice non si applicano totalmente alla sua situazione.
  • Caso 3 – IMU e valore catastale: Giovanni riceve un avviso di accertamento IMU 2020-2021 dal Comune che raddoppia la base imponibile catastale di un fabbricato rurale. L’Agenzia del Territorio aveva attribuito un valore minore errato. Difesa: verifica gli atti catastali e nota che manca la revisione dei millesimi. Presenta perizia di un geometra che dimostra un valore catastale più basso. L’avviso viene annullato in sede contenziosa perché il Comune non ha giustificato la nuova metratura imponibile con atti validi. Così Giovanni dimostra l’infondatezza del maggior valore contestato.

Questi esempi mostrano che la chiave è documentare fatti alternativi ai presunti accertati: fatture, registri, perizie, dichiarazioni di terzi. Nel caso del redditometro o del mark-up, la giurisprudenza aiuta il contribuente indicando cosa può provare (allocazione delle spese familiari, comparabilità delle imprese).

Domande frequenti (Q&A)

D: Quando un avviso di accertamento si considera “infondato”?
R: È infondato quando manca un fondamento normativo o probatorio. Ad esempio, se la motivazione è carente o illogica, o se le presunzioni su cui si basa non rispondono ai requisiti di legge (non “gravi, precise e concordanti”). Può essere infondato anche se notificato oltre i termini di decadenza di legge. In sintesi, l’avviso non deve essere semplicemente sfavorevole, ma deve mostrare vizi giuridici o fattuali rilevanti.

D: Chi deve provare l’inesistenza di fatti contestati in un accertamento?
R: In linea di massima l’Amministrazione deve giustificare l’accertamento. Tuttavia, in caso di accertamento induttivo o sintetico la Cassazione impone al contribuente l’onere di dimostrare il contrario. Ciò significa che, dopo che il fisco ha indicato gli elementi di presunzione (redditi non dichiarati, spese elevare, indici redditometrici), spetta al contribuente fornire prove che dimostrino una situazione fiscale diversa. Il giudice tributario valuterà equamente le evidenze presentate da entrambe le parti.

D: Quali vizi dell’avviso possono essere sollevati nel ricorso?
R: Si possono contestare vizi formali (mancata competenza, difetti di notifica, esaurimento termini, ecc.) e vizi sostanziali (mancata motivazione, errori di calcolo, utilizzo di presunzioni illegittime, ecc.). Ad esempio, se l’avviso non specifica adeguatamente le ragioni giuridiche della rettifica (come richiede l’art. 7 Statuto), il ricorso può chiederne l’annullamento. Oppure, se l’ufficio ha applicato presunzioni ma non ha dimostrato in modo concreto i fatti accertati, si sottolinea l’infondatezza sostanziale (ad esempio mostrando documenti contabili certi). È utile articolare ogni motivo in base all’articolato dell’avviso: titolo del tributo contestato, base imponibile rivista, aliquote, sanzioni.

D: Come comportarsi se l’amministrazione non rispetta l’obbligo del contraddittorio?
R: Se l’ufficio ha omesso di inviare l’invito a comparire obbligatorio prima dell’avviso, il contribuente può far valere la violazione del principio di buona fede e del contraddittorio interno. Anche se l’avviso resta valido, questa violazione può essere usata come argomento nel ricorso (ad esempio, chiedendo l’annullamento per violazione di legge, art. 2 Statuto). In pratica, il contribuente può fare presente che non ha potuto esporre le sue tesi prima dell’atto, ma dovrà comunque affrontare le questioni nel giudizio. Alcune Commissioni Tributarie tendono a non annullare automaticamente l’atto, ma il fatto va evidenziato.

D: Che differenza c’è tra “infondatezza” e “illegittimità” dell’avviso?
R: Un avviso è illegittimo se viola norme di legge o diritti (ad es. carenza di motivazione, termine decaduto). Può essere considerato infondata la pretesa dell’ufficio se i fatti accertati non hanno fondamento reale. Spesso i due concetti si sovrappongono: un vizio giuridico (illegittimità) può rendere infondata la richiesta di tasse. Nel ricorso si possono richiamare entrambi: si richiede l’annullamento dell’atto perché “illegittimo” (violazione di legge), evidenziando che di fatto il tributo richiesto è “infondata” perché non congruamente supportato.

Fonti

  • DPR 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 (modalità di accertamento del reddito da scritture contabili); in particolare lett. d) sui requisiti delle presunzioni.
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto del contribuente”): art. 7 sulla motivazione degli atti, art. 7‑bis sui mezzi di prova e art. 5-ter (richiesta di contraddittorio prima dell’accertamento).
  • Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 30051/2024 (21/11/2024), chiarisce i poteri di autotutela del Fisco.
  • Corte di Cassazione (ord. n. 6179/2025) – FiscoOggi (“redditometro”); riguarda l’onere della prova negli accertamenti sintetici.
  • Corte di Cassazione (sent. n. 7644/2018) – FiscoOggi (“induttivo o analitico-induttivo”); motivazione dell’avviso quando non definita esattamente.
  • Corte di Cassazione (ordinanza n. 30827/2024) – Studio Cerbone (2/12/2024); accertamento induttivo con mark-up e obbligo di prova contraria del contribuente.

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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e accertamenti infondati o viziati
  • ✔️ Consulente per la difesa da accertamenti sintetici, induttivi e automatizzati
  • ✔️ Abilitato come gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Un avviso di accertamento non è sempre corretto: se è infondato, può e deve essere contestato.
Con l’assistenza legale giusta puoi dimostrare l’errore dell’Agenzia, bloccare le pretese e tutelare i tuoi diritti.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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