Accusato Di Frodi IVA e Truffa Carosello? Ecco Come Difendersi Legalmente

Hai ricevuto una contestazione per frode IVA o ti accusano di aver preso parte a una truffa carosello? Ti chiedi se puoi davvero essere ritenuto responsabile, anche se hai solo comprato o venduto merce regolarmente?

La frode carosello è una delle ipotesi più gravi nel campo dei reati tributari, ma non sempre chi viene coinvolto è effettivamente colpevole. Molti imprenditori si ritrovano a subire controlli, accertamenti e perfino denunce penali senza aver organizzato alcun sistema fraudolento, solo per aver avuto rapporti con soggetti “a rischio”.

Cos’è una truffa carosello?
– È un meccanismo di frode in cui più soggetti simulano vendite e acquisti tra diversi Paesi UE per non versare l’IVA dovuta
– Spesso sono coinvolte società “cartiere” o “missing trader” che scompaiono dopo le operazioni
– Il contribuente finale, che spesso è solo un acquirente in buona fede, viene accusato di aver partecipato al sistema fraudolento

Quando puoi essere accusato anche se non sapevi nulla?
– Se non hai verificato l’identità del tuo fornitore o la regolarità dell’operazione
– Se l’operazione ha avuto prezzi anomali o modalità di pagamento insolite
– Se mancano prove dei trasporti, tracciabilità bancaria o documentazione contrattuale
– Se la tua società ha fatto acquisti da soggetti che si sono poi rivelati fittizi

Cosa rischi se sei accusato di frode IVA?
Condanna penale fino a 6 o 8 anni di reclusione in caso di frode aggravata
Sequestro preventivo dei conti, degli immobili, delle auto o delle quote societarie
Recupero dell’IVA detratta, con sanzioni pesanti e interessi
Danni alla reputazione e alla continuità della tua attività

Come puoi difenderti?
– Dimostrando la buona fede e la regolarità del tuo comportamento
– Fornendo documentazione completa su fornitori, ordini, trasporti, fatture e pagamenti
– Dimostrando che hai adottato tutte le precauzioni possibili per verificare la regolarità dell’operazione
– Impugnando l’accertamento fiscale e opponendoti al sequestro se sproporzionato o illegittimo
– Agendo subito con un avvocato penalista esperto in reati tributari

Cosa puoi ottenere?
Assoluzione nel processo penale se dimostri l’assenza di dolo
Annullamento dell’accertamento IVA o forte riduzione del debito fiscale
Sblocco dei beni sequestrati
Sospensione delle sanzioni e delle procedure esecutive
– Tutela piena della tua attività e del tuo patrimonio

Essere coinvolti in un’operazione sospetta non significa essere colpevoli. Ma serve una difesa tecnica, precisa e tempestiva per dimostrare che non hai partecipato consapevolmente a nessuna frode.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto penale tributario e difesa da frodi IVA ti spiega come difenderti se sei accusato di truffa carosello, cosa puoi dimostrare e quali strumenti usare per tutelarti.

Hai ricevuto un avviso, una perquisizione o una contestazione legata all’IVA? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme il tuo caso e ti diremo come impostare la difesa per evitare danni irreversibili.

Introduzione

Essere accusati di frode IVA – in particolare della cosiddetta “truffa carosello” – rappresenta uno degli scenari più complessi e delicati sia per gli imprenditori che per i privati cittadini. Si tratta di contestazioni gravi, che comportano processi penali con rischio di pena detentiva e sanzioni economiche elevate, oltre a pretese tributarie per il recupero dell’imposta evasa e relative sanzioni amministrative. Difendersi efficacemente richiede la conoscenza approfondita della normativa italiana in materia tributaria e penale, nonché delle più recenti sentenze e degli strumenti difensivi disponibili. Negli ultimi anni (aggiornamento: luglio 2025), il legislatore ha inasprito il trattamento sanzionatorio delle frodi fiscali, ma al contempo ha introdotto nuove opportunità difensive – ad esempio cause di non punibilità legate al pagamento del debito tributario o a situazioni di crisi di liquidità non imputabili al contribuente – e la giurisprudenza ha meglio definito i confini della responsabilità penale e le tutele per chi agisce in buona fede.

In questa guida completa ed avanzata (oltre 10.000 parole), forniremo una panoramica di tutti i tipi di frode IVA, con particolare attenzione al meccanismo del carosello, e illustreremo come difendersi legalmente dal punto di vista del contribuente (il cosiddetto “debitore”). Useremo un linguaggio giuridico ma chiaro, adatto sia a professionisti del diritto tributario e penale sia a imprenditori e privati che vogliono comprendere i propri diritti e le strategie difensive. Organizzeremo il contenuto in sezioni tematiche, con tabelle riepilogative, domande e risposte (FAQ) su questioni frequenti, ed esempi pratici di scenari tipici, il tutto aggiornato a luglio 2025 con riferimenti normativi e alle più recenti pronunce giurisprudenziali.

In breve, cosa troverete in questa guida:

  • I concetti chiave di frode IVA e truffa carosello, con spiegazione dei vari schemi fraudolenti (operazioni soggettivamente inesistenti, fatture false, indebite compensazioni di crediti IVA, omessi versamenti, ecc.) e delle norme italiane che li puniscono.
  • Il quadro normativo di riferimento (D.Lgs. 74/2000 e successive modifiche) con una tabella riassuntiva dei principali reati tributari in materia IVA, le soglie di punibilità e le relative pene aggiornate alle riforme del 2019 e 2023.
  • L’importante distinzione tra accertamento tributario e procedimento penale (“doppio binario”), con le differenze di finalità, prova e effetti, e come interagiscono (ad esempio il valore di una sentenza penale nel giudizio tributario e viceversa).
  • Le strategie difensive nella fase delle indagini preliminari: cosa fare in caso di perquisizione e sequestro da parte della Guardia di Finanza, come comportarsi di fronte a un avviso di garanzia o a un interrogatorio, come prevenire o limitare i sequestri preventivi dei beni e quali sono i diritti dell’indagato.
  • Le strategie difensive nella fase processuale: le scelte sul rito (es. patteggiamento o giudizio abbreviato), la gestione del dibattimento per smontare le accuse (contestando il dolo e la consapevolezza della frode, portando prove a discarico, perizie, testimoni, ecc.), l’utilizzo di eventuali cause di non punibilità (ad esempio pagamento integrale del debito tributario) o attenuanti, e l’attenzione alle misure alternative.
  • La difesa nel processo tributario parallelo: come opporsi a un avviso di accertamento fondato su presunte frodi carosello, come far valere la buona fede e la reale sostanza delle operazioni, quali sono gli strumenti per definire la pendenza tributaria (adesione, conciliazione) e come il procedimento tributario può essere influenzato (o meno) dall’esito penale.
  • Le ultime novità normative e giurisprudenziali fino al 2025: ad esempio l’attuazione della Direttiva PIF (UE) con D.Lgs. 75/2020 (che ha introdotto la punibilità del tentativo per le frodi IVA transnazionali sopra 10 milioni e ampliato la responsabilità amministrativa degli enti); le modifiche del 2019 (L. 157/2019) con soglie di punibilità abbassate e pene aumentate; il recente D.Lgs. 87/2024 di riforma dei reati tributari (che ha portato nuove cause di non punibilità per omessi versamenti dovuti a crisi di liquidità, ha limitato i sequestri/confische se il contribuente sta pagando il debito, e ha chiarito la distinzione tra crediti IVA inesistenti vs non spettanti con esclusione di punibilità in caso di incertezza normativa); nonché le più rilevanti sentenze recenti della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia UE sul tema (ad es. in materia di prova della buona fede del cessionario, limiti all’uso di presunzioni tributarie nel penale, requisiti per disporre i sequestri preventivi dei beni, ecc.).
  • Un capitolo di Domande e Risposte comuni (FAQ) dove affrontiamo in forma sintetica i dubbi più frequenti: “Che cos’è esattamente una frode carosello?”, “Cosa rischio penalmente?”, “Posso evitare il carcere se pago tutto?”, “Come dimostro che ero in buona fede?”, “Qual è la prescrizione per questi reati?”, ecc. – fornendo risposte basate su legge e giurisprudenza aggiornate.
  • Tabelle riepilogative (ad es. una tabella dei reati con soglie e pene, e una tabella comparativa tra procedimento penale e tributario) e casi pratici simulati in ambito italiano per illustrare come si applicano le strategie difensive in concreto.

Importante: alla fine della guida troverete una sezione Fonti e Riferimenti Normativi con l’elenco completo delle fonti utilizzate (normativa, sentenze e commentari autorevoli). Ogni affermazione rilevante nel testo è accompagnata da un riferimento bibliografico in formato 【numero†linee】, che rimanda alla specifica fonte – ad esempio a una sentenza di Cassazione o a un articolo di legge – così che possiate verificare e approfondire i contenuti. Questo approccio garantisce rigore e affidabilità alle informazioni fornite.

Passiamo ora ad esaminare, passo dopo passo, cosa si intende per frode IVA e truffa carosello, quali sono le fattispecie previste dalla legge italiana e come impostare una difesa efficace se vi trovate coinvolti in un procedimento per queste accuse.

Frode IVA e “Truffa Carosello”: di cosa si tratta?

Frode IVA è un termine generico che indica qualsiasi condotta fraudolenta finalizzata a evadere l’Imposta sul Valore Aggiunto. L’IVA è un’imposta indiretta sull’acquisto/vendita di beni e servizi: normalmente il venditore addebita l’IVA al cliente e poi la versa allo Stato, mentre il compratore può detrarre l’IVA pagata sugli acquisti. Una frode IVA dunque sfrutta artifici per non versare l’IVA dovuta all’Erario o per ottenere crediti IVA indebiti, creando un danno alle casse pubbliche e un indebito vantaggio per i frodatori.

Tra le frodi IVA, la più nota e insidiosa è la “frode carosello”, termine con cui ci si riferisce a un meccanismo basato su vendite fittizie tra più società, spesso coinvolgendo operazioni intra-UE, al fine di evitare il pagamento dell’IVA e generare falsi crediti IVA detraibili. In sintesi, nella frode carosello tipica:

  • Vengono create o utilizzate società “cartiere” o “missing trader” (spesso prive di reale struttura imprenditoriale) che acquistano beni senza pagare l’IVA (ad es. in esenzione perché gli acquisti avvengono all’interno dell’UE) e poi li rivendono sul mercato interno applicando l’IVA ai clienti. Queste società intermedie però non versano mai l’IVA incassata allo Stato e di solito scompaiono dopo breve tempo, risultando nullatenenti.
  • A valle, ci sono uno o più beneficiari finali (es. un’impresa acquirente “di buona fede” o compiacente) che acquistano i beni a un prezzo particolarmente competitivo (proprio perché nel frattempo qualcuno non ha pagato l’IVA) e possono anche detrarre l’IVA a credito sulle fatture ricevute. In alcuni casi, la merce viene riesportata fuori dall’Italia (spesso torna nel Paese d’origine, da cui il termine “carosello” per indicare il giro fittizio) oppure venduta sul mercato interno in nero.
  • Il risultato per i frodatori è duplice: da un lato abbattere i prezzi di vendita grazie all’IVA evasa, ottenendo vantaggi competitivi illeciti; dall’altro lucrare crediti IVA o rimborsi indebiti. Il danno per l’Erario è la perdita del gettito IVA su quelle transazioni.

In una frode carosello completa vi sono generalmente almeno tre categorie di soggetti:

  1. Una società “conduit” o fornitrice primaria, spesso estera o comunque che vende senza applicare l’IVA (perché sfrutta un regime di non imponibilità, come le cessioni intracomunitarie).
  2. Una o più società “missing trader” o “cartiere”, interposte nella filiera: acquistano dalla prima società e rivendono aggiungendo l’IVA ma non la versano. Queste società spesso vengono costituite ad hoc, intestate a prestanome, prive di struttura (nessuna sede operativa effettiva, nessun dipendente, capitali esigui) e spariscono lasciando debiti IVA.
  3. Una società “filtro” o broker, che può essere l’ultimo anello nazionale che compra dalla cartiera a prezzo netto (senza IVA) ma con fattura apparentemente regolare, e poi rivende magari all’estero in esenzione oppure sul mercato interno a un prezzo concorrenziale. Questo broker è in posizione di beneficiario: ottiene margini elevati (compra sotto-costo) e/o si crea un credito IVA (se rivende esente verso l’estero, ha IVA a credito a fronte di vendite non imponibili).

Esempio semplificato: la società italiana Alpha (beneficiaria finale) vuole acquistare beni elettronici. Li compra dalla società Beta (cartiera italiana) che le fattura 100 + IVA 22 (totale 122). Beta a sua volta li aveva acquistati per 100 da Gamma (fornitore estero intra-UE) senza pagare IVA (operazione intracomunitaria esente). Beta incassa quindi 22 di IVA da Alpha ma non li versa all’Erario e sparisce. Alpha, però, avendo ricevuto fattura con IVA, detrae i 22 in dichiarazione come credito. Alpha in pratica ha comprato a un prezzo netto inferiore al normale (perché Beta non ha incorporato l’IVA nel prezzo effettivo) e per di più detrae IVA mai versata a monte. Beta (missing trader) è l’evasore effettivo dell’IVA, mentre Alpha è il beneficiario economico.

Nella “truffa carosello” dunque l’IVA viene addebitata nelle fatture ma sparisce per strada, da qui l’analogia con una giostra.

Oltre al carosello, esistono altri tipi di frodi IVA riconosciuti dalla prassi investigativa e dalla normativa. Ecco un elenco delle principali fattispecie di frode IVA:

  • Operazioni soggettivamente inesistenti (Fatture “false” soggettive): sono operazioni reali nella sostanza (la merce o il servizio esiste e viene scambiato), ma uno dei soggetti nella fatturazione è fittizio o interposto. È il caso appunto delle frodi carosello: le fatture emesse dal missing trader sono soggettivamente false perché il fornitore formale non è quello reale (o comunque è un’entità fittizia). L’ordinamento italiano punisce sia chi utilizza fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs.74/2000) sia chi le emette/rilascia (art. 8 D.Lgs.74/2000) a beneficio di terzi. Queste sono considerate frodi “qualificate”, che implicano artifici o documenti falsi per ingannare il Fisco.
  • Operazioni oggettivamente inesistenti: qui la frode avviene tramite fatture per operazioni che non sono mai avvenute nemmeno nella realtà economica (merci mai movimentate, servizi mai prestati). Si creano costi e crediti IVA fittizi da portare in detrazione. Anche queste configurano l’emissione e/o l’utilizzo di fatture false punite dagli artt. 2 e 8. Spesso sono usate per gonfiare costi e abbattere il reddito imponibile o per generare crediti IVA finti da compensare con debiti tributari (in tal caso ricade anche nell’indebita compensazione di crediti inesistenti, art. 10-quater co.2 D.Lgs.74/2000).
  • Indebita compensazione di crediti IVA (art. 10-quater): il contribuente utilizza in F24 crediti IVA non spettanti o inesistenti per compensare debiti fiscali o contributivi. Esempi: uso di un credito IVA maturato in modo illegittimo, oppure credito completamente fittizio creato ad arte (magari con false fatture a monte). La legge distingue le due ipotesi: crediti “non spettanti” (esistono formalmente ma non ne avevi diritto, p.es. eccedenze IVA usate oltre i limiti) e crediti “inesistenti” (proprio mai maturati, frutto di frode). La distinzione è importante perché la punibilità e le pene differiscono: i crediti inesistenti sono sanzionati più gravemente e non beneficiano di alcune cause di non punibilità riservate ai crediti non spettanti. La riforma fiscale 2023-2024 ha introdotto definizioni normative di credito non spettante vs inesistente per chiarire gli ambiti e anche una specifica causa di non punibilità se il contribuente dimostra che la non spettanza del credito derivava da obiettiva incertezza su norme o fatti complessi (in pratica, niente reato se l’errore sul credito era scusabile per la tecnica della norma).
  • Dichiarazione fraudolenta “mediante altri artifici” (art. 3 D.Lgs.74/2000): è un reato che copre le frodi non basate su fatture false ma su altri mezzi fraudolenti. Ad esempio, operazioni simulate diverse dall’emissione di fatture, uso di documentazione falsa (diversa dalle fatture) o altri artifizi idonei a ostacolare l’accertamento. Un classico è la frode carosello “in importazione”: simulare esportazioni fittizie per non pagare l’IVA (ad es. dichiarare vendite all’estero che in realtà avvengono in Italia). In questi casi l’operazione fraudolenta non è la fattura falsa in sé, ma l’insieme di stratagemmi che porta a dichiarare meno IVA dovuta. Art. 3 è una norma di chiusura, applicata “fuori dei casi previsti dall’art. 2” (cioè quando non ci sono fatture false). Dopo il 2019, la pena per l’art.3 è stata elevata fino a 8 anni di reclusione, segno della gravità attribuita anche a queste frodi “non documentali”. Esempio: un contribuente, grazie a complicità o false attestazioni, fa risultare costi inesistenti attraverso contratti simulati invece che fatture, oppure usa sistemi contabili doppi.
  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs.74/2000): riguarda forme più “semplici” di evasione (non fraudolente in senso stretto) come sottofatturazione di vendite o indicazione di elementi passivi inesistenti senza quei particolari artifici dell’art.2 o 3. È punita solo se supera determinate soglie: in sintesi se l’IVA evasa > €100.000 e l’attivo sottratto > 2 milioni (o >10% del dichiarato). In ambito IVA, questo reato copre situazioni in cui un’azienda occulta parte del giro d’affari (vendite “in nero” quindi IVA non dichiarata) senza però usare false fatture o strutture fraudolente complesse. È un reato di tipo “dichiarativo” meno grave delle frodi, ma comunque penalmente sanzionato (pena fino a 4 anni e 6 mesi post-riforma 2019). Spesso nelle contestazioni IVA, l’infedeltà dichiarativa è alternativa alla frode: se c’è fattura falsa si configura l’art.2 o 3, se semplicemente hai omesso ricavi si configura l’art.4.
  • Omessa dichiarazione IVA (art. 5 D.Lgs.74/2000): consiste nel non presentare la dichiarazione annuale IVA dovuta, quando l’imposta evasa supera €50.000. È frequente nei casi di evasione totale dell’azienda (chi non dichiara nulla per non pagare l’IVA sulle vendite). Anche questa fattispecie è stata inasprita: oggi la pena va da 2 a 5 anni. La linea difensiva qui spesso verte sulla dimostrazione di assenza di dolo specifico di evasione (es. dimenticanza, caso fortuito) o sul pagamento del dovuto prima possibile (che può attenuare molto la posizione, come vedremo).
  • Emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs.74/2000): è il reato “speculare” all’art.2, rivolto a chi fornisce a terzi fatture false, ossia il “fabbricante di false fatture”. Chi emette fatture fittizie per aiutare altri a evadere è punito allo stesso modo di chi le utilizza. Ad esempio, il prestanome che costituisce la società cartiera e sforna fatture senza versare l’IVA commette l’art.8. Dopo la riforma 2019, anche qui la pena base è 4-8 anni, con attenuazione a 1,5-6 anni se l’importo delle fatture false < €100.000. Va notato che, per evitare doppie punizioni, l’ordinamento esclude il concorso tra chi emette e chi utilizza la stessa fattura (non si punisce due volte la medesima condotta), ma restano punibili altri concorrenti estranei (es. intermediari che organizzano la frode possono rispondere in concorso).
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs.74/2000): è un reato diverso, che riguarda chi occulta o distrae i propri beni per evitare l’azione di riscossione delle imposte. Ad esempio, un imprenditore che, avendo un grosso debito IVA, simula la vendita di immobili a terzi (magari compiacenti) per non farseli pignorare dal Fisco. Se fatto con intenti fraudolenti e il debito supera €50.000, è un reato penale (punito con reclusione fino a 6 anni). Questo reato spesso si affianca alle frodi IVA quando il soggetto, dopo aver evaso, cerca di rendersi nullatenente per non pagare; oppure compare in contesti di procedure concorsuali (bancarotta fiscale). Dal punto di vista difensivo, va distinto dalla frode IVA in sé: anche chi non ha commesso frode IVA ma ha debiti tributari può incorrervi se prova a eludere la riscossione. La difesa consiste nel dimostrare l’assenza di intenti fraudolenti nelle operazioni contestate (es. erano vendite reali a prezzo di mercato, non atti simulati).
  • Altre fattispecie: Art. 10 (occultamento/distruzione di documenti contabili) punisce chi nasconde o distrugge le scritture contabili per impedire i controlli fiscali (pena elevata a 3-7 anni dal 2019). È una condotta spesso riscontrata nelle frodi organizzate (libri spariti, hard disk formattati prima del sequestro, etc.). Inoltre, esistono reati minori come l’omesso versamento di ritenute fiscali (art.10-bis) che però riguardano le ritenute IRPEF sui dipendenti e non l’IVA – fuori dal focus di questa guida, salvo notare che la logica difensiva è analoga a quella per l’omesso versamento IVA.

Come si vede, il catalogo dei reati tributari in materia di IVA è ampio. Nella tabella seguente riassumiamo i principali reati, con l’indicazione sintetica della condotta, delle soglie di punibilità e del range di pena previsto dalla legge (aggiornato alle modifiche introdotte fino al 2024). Questo prospetto aiuta a inquadrare la gravità delle accuse e le possibili sanzioni in caso di condanna, elemento fondamentale per calibrare la strategia difensiva.

Tabella riepilogativa dei principali reati IVA (D.Lgs. 74/2000) e sanzioni

Art. & Reato (D.Lgs. 74/2000)Descrizione sinteticaSoglia di punibilitàPena edittale (reclusione)
Art. 2 – Dichiarazione fraudolenta mediante fatture falseUtilizzo in dichiarazione di fatture/doc. per operazioni inesistenti (IVA dovuta non versata tramite false transazioni)Nessuna soglia minima (reato consumato per qualsiasi importo di imposta evasa). Attenuante: elementi passivi fittizi < €100.000 annui.Base: 4 – 8 anni. Se < €100.000: 1 anno 6 mesi – 6 anni (attenuante specifica). Confisca allargata applicabile se imposta evasa > €100.000.
Art. 3 – Dichiarazione fraudolenta mediante altri artificiFrode fiscale senza uso di fatture false, con altri mezzi fraudolenti (es. operazioni simulate, documenti falsi, frodi carosello non documentali)Nessuna soglia minima (reato consumato indipendentemente dall’importo, purché vi sia imposta evasa). Confisca allargata se imposta evasa > €100.000.3 – 8 anni (pena aumentata nel 2019; prima era max 6 anni). Anche qui causa non punibilità per pagamento integrale estesa dal 2019.
Art. 4 – Dichiarazione infedeleDichiarazione annuale infedele (sottodichiarazione di ricavi o sovradichiarazione di costi senza artifici fraudolenti)IVA evasa > €100.000 e elementi attivi non dichiarati > 2.000.000 (oppure >10% del dichiarato). (Soglie abbassate dalla riforma 2019: prima 150.000 e 3 mln).2 – 4 anni 6 mesi (aumentata nel 2019; prima max 3 anni). Niente confisca allargata per questo reato. Pagamento integrale estingue il reato (causa non punibilità) se fatto prima del dibattimento.
Art. 5 – Omessa dichiarazioneOmessa presentazione della dichiarazione IVA annuale obbligatoria (con evasione d’imposta)IVA evasa > €50.000. (Soglia invariata; reato istantaneo dopo 90 gg dal termine dichiarativo)2 – 5 anni (pena base aumentata nel 2019; prima max 4 anni). Estinzione reato se si paga interamente il debito tributario prima dell’apertura del dibattimento.
Art. 8 – Emissione di fatture o altri documenti falsiEmissione/rilascio di fatture per operazioni inesistenti (per consentire ad altri l’evasione)Nessuna soglia minima (punibile qualsiasi importo fatturato fittizio). Attenuante: totale importo fatture false < €100.000 per periodo d’imposta.4 – 8 anni; se importi < €100.000: 1 anno 6 mesi – 6 anni (attenuante). Confisca allargata sopra €200.000 di false fatturazioni (soglia più alta per emittenti).
Art. 10 – Occultamento o distruzione di scritture contabiliSottrazione o eliminazione dei documenti contabili obbligatori, impedendo la ricostruzione del volume d’affariNessuna soglia (reato di pericolo: rileva la condotta in sé).3 – 7 anni (pena inasprita nel 2019; prima 1,5-6 anni). Reato residuale se non configura frode più grave.
Art. 10-bis – Omesso versamento di ritenute certificateMancato versamento delle ritenute fiscale (IRPEF dipendenti) dichiarate, entro il termine previstoRitenute non versate > €150.000 per periodo d’imposta.6 mesi – 2 anni (non cambiata dal 2015). Novità: Non punibile se in corso rateizzazione del debito (senza decadenza). Anche prevista non punibilità se mancato versamento dovuto a cause di forza maggiore non imputabili (v. art.13).
Art. 10-ter – Omesso versamento IVAMancato versamento dell’IVA dovuta annualmente, risultante dalla dichiarazione, entro il termine (di regola 27 dicembre dell’anno successivo)IVA non versata > €150.000 per anno. (Soglia invariata dal 2015)6 mesi – 2 anni (non mutata). Novità: Non punibile se il debito è in rateizzazione ex art.3-bis D.Lgs.462/97 e il contribuente è in regola coi pagamenti. Se decade dalla rateazione ed il residuo > €75.000 torna punibile. Inoltre non punibile se il mancato pagamento è dovuto a crisi di liquidità non imputabile al reo (insolvenza clienti, ecc.).
Art. 10-quater – Indebita compensazione di creditiUtilizzo in compensazione di crediti d’imposta non spettanti o inesistenti (es. crediti IVA fittizi in F24 per non pagare debiti)Comma 1 (crediti non spettanti): credito > €50.000 annui. – Comma 2 (crediti inesistenti): credito > €50.000 annui.Non spettanti: 6 mesi – 2 anni. Non punibile se errore su spettanza dovuto a obiettiva incertezza su elementi normativi/fattuali. – Inesistenti: 1,5 – 6 anni (più grave, equiparato a frode). Pagamento integrale debito prima dibattimento estingue reato (esteso nel 2020 da Dir. PIF).
Art. 11 – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposteCompiere atti fraudolenti sui propri beni al fine di evitare il pagamento di imposte o sanzioni dovute (es. simulare vendite di beni propri per non farli pignorare)Debito tributario > €50.000 e condotta fraudolenta (alienazioni simulate, costituzione di fondi patrimoniali fittizi, ecc.)6 mesi – 4 anni (aumentata a max 6 anni dal 2015). Se la sottrazione riguarda importi molto elevati e sistematici può configurarsi anche reato di autoriciclaggio. Pagamento integrale del debito (se possibile) come attenuante generica.

Nota: Alcune cause di non punibilità (art. 13 D.Lgs. 74/2000) si applicano trasversalmente: ad esempio il pagamento integrale dei debiti tributari (imposta, sanzioni e interessi) prima del dibattimento penale evita la punibilità per quasi tutti i reati dichiarativi (artt. 2, 3 e 4) e per gli omessi versamenti. Dal 2019 questa “ancora di salvezza” è stata estesa anche ai reati di frode (art.2 e 3), mentre prima valeva solo per infedele e omessi versamenti. Inoltre, provvedimenti temporanei (es. “pace fiscale” 2023) hanno introdotto cause speciali di non punibilità per chi definiva le liti col Fisco e pagava quanto dovuto. Approfondiremo nella sezione difese queste opportunità. Viceversa, attenuanti ad hoc prevedono riduzioni di pena in caso di ravvedimento operoso o collaborazione (es. art.13-bis per chi si adopera per evitare conseguenze ulteriori).

Questa tabella evidenzia come i reati di frode IVA propriamente detti (artt. 2, 3, 8, 10-quater c.2) siano sanzionati più duramente e generalmente senza soglia di punibilità minima, a conferma della volontà legislativa di reprimere anche le frodi di importo non gigantesco. Al contrario, i reati “meno fraudolenti” (infedele, omessi versamenti) hanno soglie e pene più basse, riflettendo una minore pericolosità sociale – pur restando fattispecie di rilievo penale.

Dal punto di vista difensivo, conoscere esattamente quale reato viene contestato (o potenzialmente contestabile) e la relativa cornice edittale è fondamentale. Ad esempio, se vi accusano di dichiarazione fraudolenta (art.2) per false fatture oltre 100k, sapete che in teoria c’è il rischio di pena molto elevata (fino a 8 anni) e misure come la confisca allargata, mentre se la contestazione fosse riqualificata in dichiarazione infedele (art.4) la pena massima scende a 4,5 anni e non si applica la confisca estesa. L’obiettivo primario della difesa penale spesso è proprio dimostrare che il caso rientra in una fattispecie meno grave (o non integra affatto il reato).

Nei prossimi capitoli vedremo come muoversi concretamente per difendersi, dapprima delineando il contesto peculiare del “doppio binario” tra procedimento tributario e penale, quindi affrontando le strategie nelle diverse fasi (indagini e processo).

Accertamento tributario vs. processo penale: il “doppio binario”

Una caratteristica fondamentale delle violazioni fiscali in Italia è la presenza di un doppio binario sanzionatorio e processuale: da un lato c’è il procedimento tributario amministrativo (con l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza che accertano l’imposta evasa e irrogano sanzioni amministrative pecuniarie), dall’altro c’è il procedimento penale in senso stretto (condotto dalla Procura della Repubblica, che può portare a un processo davanti al giudice penale con eventuale condanna a pene detentive). I due binari procedono in maniera autonoma, pur riguardando spesso i medesimi fatti materiali.

Questa autonomia è sancita sia dalla normativa interna sia, entro certi limiti, dalla giurisprudenza europea. In pratica, si può essere assolti penalmente ma comunque dover pagare le sanzioni tributarie, o viceversa si può essere prosciolti dal Fisco (es. in Commissione tributaria) ma subire conseguenze penali. Non si tratta di una violazione del principio del ne bis in idem (che vieta doppie sanzioni per lo stesso fatto) perché, secondo l’impostazione attuale, le sanzioni tributarie sono amministrative e non impediscono un’ulteriore sanzione penale, purché il sistema mantenga proporzionalità e coordinamento. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia UE hanno più volte esaminato la compatibilità del doppio binario con il ne bis in idem: l’Italia ha dovuto correggere alcune prassi in materia di mercato finanziario, ma per i reati fiscali questa doppia persecuzione è ritenuta ammissibile se i procedimenti sono sufficientemente collegati e finalizzati a scopi diversi (recupero del tributo vs punizione del reato). La Corte Costituzionale italiana, con sentenza n. 222/2019, ha confermato questa impostazione, chiedendo però che vi sia una coordinazione tale da non penalizzare eccessivamente il contribuente.

Vediamo le differenze principali tra i due binari:

  • Autorità competenti: nel procedimento tributario l’azione è condotta dall’Agenzia delle Entrate (eventualmente su base di un Processo Verbale di Constatazione della Guardia di Finanza) e giudicata dalle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie) in caso di ricorso del contribuente. Nel penale invece l’azione è promossa dalla Procura della Repubblica (spesso a seguito di una notizia di reato trasmessa dalla stessa Guardia di Finanza) e decisa dal Tribunale penale. Da notare che la Guardia di Finanza funge da polizia giudiziaria nel penale e da organo accertatore nel tributario, con ruoli affini ma distinti.
  • Finalità: il processo tributario mira a riscuotere le imposte evase e applicare sanzioni pecuniarie (amministrative) per violazioni fiscali, con un fine principalmente finanziario-ripristinatorio. Il processo penale, invece, mira a accertare la responsabilità penale dell’imputato e, se colpevole, infliggere una pena (detentiva o altra) in funzione retributiva e deterrente. In sostanza, il Fisco vuole i soldi, la giustizia penale vuole punire il comportamento fraudolento. Ciò spiega perché, ad esempio, il ravvedimento operoso e il pagamento possono chiudere la partita tributaria (magari con sanzioni ridotte) ma non eliminano di per sé il reato, sebbene possano incidere sulla punibilità.
  • Onere e mezzo di prova: nella fase tributaria l’accertamento spesso si fonda su presunzioni e su documenti contabili; vige un principio per cui l’Amministrazione finanziaria può accertare indirettamente il reddito (es. tramite presunzioni semplici o legali) e al contribuente spetta l’onere di provare il contrario. Esempio: se trovano incongruenze o movimentazioni bancarie non giustificate, l’Ufficio presume siano vendite non dichiarate, sta a te contribuente provare che non lo sono. Nel penale, invece, vale il principio opposto: l’onere della prova della colpevolezza spetta interamente al PM (Pubblico Ministero), e vige la presunzione di innocenza e il requisito della prova “oltre ogni ragionevole dubbio”. Pertanto, le presunzioni tributarie non possono essere utilizzate tal quali dal giudice penale perché violerebbero la presunzione di innocenza. La Cassazione ha ripetutamente affermato che regole probatorie pensate per facilitare il Fisco (come le presunzioni legali di redditività) “non possono travasarsi nel processo penale” mutandone la natura. Il giudice penale deve formare il suo convincimento sulla base di prove concrete (documenti, testimonianze, perizie) e non può semplicemente inferire colpevolezza dal fatto che il contribuente non ha giustificato elementi in sede amministrativa. Ad esempio, se in accertamento tributario ti hanno contestato costi con un fornitore perché presunto cartiera e tu non hai fornito prove contrarie, il giudice penale non può condannarti solo in base a ciò, deve valutare ex novo se c’è prova del dolo di frode. Al contrario, però, il giudice tributario può tenere conto degli elementi emersi in sede penale, inclusa un’eventuale sentenza di condanna, come indizi nel suo libero convincimento. In pratica, il penale non può “dare per provato” un fatto solo perché il Fisco lo ha accertato usando presunzioni, mentre il tributario può trarre spunti dal penale (perché in campo tributario vale il principio del libero convincimento con ampio uso di indizi).
  • Esiti e conseguenze: se vinci in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria), cioè l’accertamento viene annullato, non è detto che il penale si chiuda automaticamente. Formalmente, la sentenza tributaria definitiva non vincola il giudice penale sulla sussistenza del reato. Ad esempio, potresti aver vinto sul piano fiscale per insufficienza di prove, ma il PM potrebbe avere raccolto in sede penale ulteriori elementi e portare avanti il processo. Tuttavia, nella pratica una pronuncia tributaria a favore del contribuente può essere utilizzata dalla difesa per rafforzare la propria posizione in sede penale (pur senza efficacia vincolante). Viceversa, se sei assolto nel penale con formula piena (“il fatto non sussiste” o “non commesso”), attualmente il Fisco può ancora richiedere le imposte evase se ha indizi sufficienti in sede tributaria. Questo scenario – comprensibilmente critico in ottica di equità – è in evoluzione: la legge delega n. 130/2022 (riforma del sistema tributario) prevede di introdurre il principio per cui, in caso di assoluzione penale definitiva per inesistenza del fatto o non aver commesso il fatto, i fatti accertati in sede penale facciano stato nel processo tributario. Ciò significa che, in futuro, un contribuente assolto perché il fatto non sussiste potrebbe far valere tale giudicato per chiudere anche la vicenda fiscale sugli stessi fatti. È una riforma di raccordo ancora in corso di implementazione (al luglio 2025 non è completata), ma segna un passo verso un maggiore coordinamento a tutela dei contribuenti non colpevoli. Già oggi comunque le Commissioni tributarie più attente tengono conto di assoluzioni penali come elemento probatorio a favore del contribuente.
  • Eccezioni: Procura Europea (EPPO) e reati transnazionali: va segnalato che per le frodi IVA più gravi a dimensione europea (quelle sopra i 10 milioni di euro di danno IVA, rientranti nella tutela degli interessi finanziari UE) dal 2021 opera la Procura Europea (EPPO). In questi casi il procedimento penale è condotto da Procuratori Europei Delegati (comunque nell’ambito dei tribunali italiani) ma secondo regole parzialmente armonizzate a livello UE. L’EPPO tende a coordinare indagine fiscale e penale in un unico contesto, riducendo la dicotomia tra accertamento del danno erariale UE e repressione penale. Ad esempio, in una recente indagine su vasta frode carosello internazionale, l’EPPO ha disposto fermi e misure cautelari in cooperazione con le autorità italiane. Per l’imputato, la differenza principale è che l’accusa sarà sostenuta dall’EPPO e non dal solo PM nazionale, e le priorità di recupero del danno UE possono influire sulle strategie (spesso EPPO spinge per confisca e risarcimento integrale a livello europeo). Ma il processo in sé resta disciplinato dal codice penale italiano, quindi le difese sostanziali non cambiano, salvo un maggiore rigore internazionale.

In sintesi, il doppio binario implica che chi è accusato di frode IVA debba combattere su due fronti: da una parte contestare l’accertamento fiscale per ridurre/annullare il debito e le sanzioni (o aderire pagando il meno possibile se conviene), dall’altra difendersi dall’accusa penale per evitare condanne. Le due vicende vanno coordinate con intelligenza: ad esempio, decidere se pagare subito il tributo evaso (per attenuare o estinguere il penale) valutando però l’effetto nell’ammissione implicita nel procedimento tributario. O ancora, usare le prove raccolte nel penale (intercettazioni, testimonianze) a supporto della propria buona fede nel giudizio tributario, o viceversa utilizzare le pronunce tributarie favorevoli come leva nel penale.

È fondamentale affidarsi a professionisti che abbiano visione d’insieme penale-tributaria. Spesso, infatti, l’errore di strategia è trattare i due binari separatamente: ad esempio, l’avvocato penalista potrebbe non dare importanza ai termini per impugnare l’avviso di accertamento (con rischio che diventi definitivo il debito), oppure il tributarista potrebbe consigliare soluzioni che pregiudicano la posizione penale. Un approccio integrato consente, nei limiti del possibile, di far sì che la difesa in un ambito avvantaggi anche l’altro.

Di seguito, dopo una breve tabella comparativa, approfondiremo le tattiche difensive specifiche nella fase investigativa e in quella processuale penale, senza però mai dimenticare il “contorno” tributario.

Tabella di confronto: Procedimento Tributario vs Procedimento Penale

AspettoProcedimento TributarioProcedimento Penale
InizioVerifica fiscale (es. PVC della Guardia di Finanza) e successivo Avviso di Accertamento dell’Agenzia Entrate per recupero IVA evasa e sanzioni.Notizia di reato (es. rapporto GdF alla Procura) e indagine penale per verificare se vi è reato (iscrizione nel registro indagati). Può iniziare parallelamente o a seguito di verifica fiscale.
Autorità competenteAgenzia delle Entrate (fase amministrativa); giudice tributario (Corte Giustizia Tributaria di 1° e 2° grado) in caso di ricorso. Guardia di Finanza opera come polizia tributaria (accertamento).Procura della Repubblica (PM conduce le indagini); Giudice penale (GIP/GUP per fasi preliminari, Tribunale e Corte d’Appello per il giudizio). GdF opera come polizia giudiziaria (perquisizioni, sequestri, ecc.).
FinalitàRecupero del tributo evaso e applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie (30%/120%/200% dell’imposta evasa a seconda dei casi). Obiettivo finanziario: ristoro erario.Accertare la responsabilità penale e infliggere pena al colpevole (reclusione, multa). Obiettivo sanzionatorio: punire e dissuadere comportamenti fraudolenti.
Presupposti di provaPossibile uso di presunzioni e inversione onere della prova a carico contribuente (es. movimenti bancari non giustificati = ricavi non dichiarati, salvo prova contraria). Si valuta con criterio probabilistico (più probabile che no).Necessaria prova oltre ogni ragionevole dubbio della colpevolezza. Onere della prova sul PM; l’imputato è presunto innocente e non tenuto a provare la propria innocenza. Presunzioni tributarie non utilizzabili come prova decisiva di per sé. Servono riscontri oggettivi (documenti, testimoni, ammissioni, ecc.).
Interazione tra i dueAutonomo: il giudice tributario non è vincolato dall’esito penale, ma può tener conto di prove emerse nel penale per formare il proprio convincimento. Un accertamento tributario può coesistere con un’assoluzione penale (purché basato su indizi validi in ambito fiscale). L’assoluzione penale “piena” potrebbe in futuro vincolare il tributario (delega 2022).Autonomo: il giudice penale decide indipendentemente. Non può basarsi unicamente sul fatto che l’atto impositivo è stato emesso né su presunzioni non riscontrate. Una sentenza tributaria di annullamento dell’accertamento non obbliga la Procura a chiudere il caso, ma costituisce forte elemento a favore della difesa. In caso di condanna penale definitiva per frode, i relativi fatti (es. operazioni fittizie accertate) di fatto impediranno al contribuente di negare le violazioni in sede tributaria.
Strumenti difesa/conciliazioneRicorso tributario entro 60 gg dall’avviso; strumenti deflattivi: accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, definizioni agevolate (se previste). È possibile pagare con rate (fino a 8/20 rate trimestrali) e ottenere riduzione sanzioni (es. adesione -1/3 sanzioni).Garanzie difesa penale: diritto al difensore, presunzione innocenza, contraddittorio dibattimentale. Possibili riti alternativi: patteggiamento (pena ridotta di 1/3, ma in genere richiede pagamento debito), giudizio abbreviato (-1/3 pena in cambio di decisione allo stato atti). Possibile oblazione solo per reati contravvenzionali (non applicabile ai delitti tributari).

(La tabella mostra differenze generali: ogni caso concreto può presentare peculiarità. Ad esempio, la sospensione del processo tributario in attesa dell’esito penale non è automatica ma può essere valutata caso per caso se i fatti penali incidono sul tributario, e viceversa.)

Dalla prospettiva di chi deve difendersi, questo significa prestare attenzione a entrambe le vie. In pratica, bisogna:

  • Contestare gli addebiti fiscali se ritenuti infondati, per evitare che diventino definitivi (anche perché un accertamento definitivo genera cartelle esattoriali e misure esecutive). Ma valutare anche eventuali accordi col Fisco: talvolta pagare (magari con sconto sanzioni) conviene per ridurre l’esposizione e perché – come vedremo – il pagamento del dovuto può ridurre la sanzione penale o addirittura evitare la condanna (art. 13).
  • Parallelamente, preparare la difesa penale puntando ad evidenziare mancanza di dolo, buona fede, errori scusabili, oppure ridimensionare il ruolo (es. “non ero io il beneficiario, ma vittima di altrui raggiri”) e così via. Tutto ciò mentre si considerano anche mosse procedurali come patteggiare se opportuno.
  • Coordinare le due difese: ad esempio, se emergono nel penale elementi che possono giustificare la buona fede (es. email interne che mostrano che la dirigenza non sapeva della frode), depositarli anche nel contenzioso tributario per far annullare le sanzioni. Oppure, se si ottiene un esito penale favorevole, chiedere al giudice tributario di tenerne conto.
  • Gestire i sequestri/confische e le pretese pecuniarie in modo strategico: un sequestro preventivo sul profitto del reato (pari all’IVA evasa) può in parte essere “liberato” pagando quell’IVA (perché pagando l’imposta il “profitto” illecito viene meno), e di recente la legge ha previsto che se è in corso un pagamento rateale, il sequestro non dovrebbe nemmeno essere mantenuto, salvo pericolo concreto di dispersione dei beni.

Nei capitoli seguenti entreremo nel vivo delle strategie difensive, distinguendo la fase delle indagini preliminari (cioè dal momento in cui si viene a conoscenza di essere indagati per frode IVA, tipicamente attraverso un avviso di garanzia o una perquisizione) e la fase del processo penale vero e proprio, fino alla sentenza di primo grado e oltre. Per ciascuna fase, considereremo anche i riflessi sul piano tributario e viceversa, sempre dal punto di vista del “debitore” accusato, per capire cosa fare e cosa evitare.

Difendersi durante le indagini preliminari

La fase delle indagini preliminari è cruciale per impostare correttamente la difesa in un caso di frode IVA. È il periodo in cui la Procura, spesso tramite la Guardia di Finanza, raccoglie elementi di prova e decide se chiedere il rinvio a giudizio. Per l’indagato, è il momento di iniziare a tutelarsi attivamente, perché molte decisioni prese in questa fase possono influenzare l’esito finale (ad esempio, concessione di misure cautelari, sequestri di beni, impostazione delle strategie processuali).

Vediamo gli aspetti principali di questa fase e come difendersi:

1. Notifica dell’avviso di garanzia** e nomina del difensore**

Se siete coinvolti in un’indagine penale, solitamente ne avrete formale conoscenza tramite l’avviso di garanzia (ai sensi dell’art. 369 c.p.p.). Questo è un atto con cui la Procura vi informa di essere indagati per determinati reati (es. “art. 2 D.Lgs.74/2000” frode fiscale) e vi comunica il diritto di nominarvi un difensore di fiducia. L’avviso arriva generalmente prima di un atto garantito, come un interrogatorio o una perquisizione.

Cosa fare immediatamente:

  • Nominare un avvocato esperto in reati tributari. È fondamentale scegliere un legale competente sia in procedura penale sia con familiarità di diritto tributario. L’avvocato va coinvolto da subito, anche solo per assistere alle operazioni di indagine (ha diritto ad essere presente a eventuali interrogatori o accertamenti tecnici irripetibili). In questa fase l’avvocato può già contattare la Procura per avere informazioni sullo stato del procedimento e concordare eventuali accessi agli atti.
  • Evitare dichiarazioni affrettate: da quando sapete di essere indagati, qualsiasi cosa diciate a terzi o agli investigatori potrebbe teoricamente essere acquisita (se detta alla PG, viene verbalizzata; se al telefono, potrebbero esserci intercettazioni in corso; se a colleghi, potrebbero testimoniare). Occorre quindi mantenere riservatezza e coordinarsi con il difensore prima di fornire versioni dei fatti. Avrete modo di spiegare, ma al momento giusto e con la dovuta preparazione.
  • Raccogliere la documentazione rilevante: iniziate a mettere insieme la vostra “versione”: documenti contabili, contratti, email, qualsiasi prova che possa dimostrare la regolarità delle operazioni contestate o la vostra buona fede. Consegnateli però all’avvocato e non direttamente agli inquirenti senza strategia: deciderete con lui quando e come eventualmente produrli (ad esempio allegandoli a una memoria difensiva ex art. 415-bis c.p.p. o presentandoli durante un interrogatorio).

Ricordate che l’avviso di garanzia non è un atto d’accusa formale: è un atto dovuto per garantirvi difesa, spesso notificato anche quando gli inquirenti stanno ancora “cercando” prove. Quindi non è il caso di farsi prendere dal panico: l’atteggiamento migliore è collaborare con il proprio legale per capire la situazione e preparare le mosse successive.

2. Perquisizioni e sequestri: come comportarsi e tutelare i propri diritti

Nei procedimenti per frodi fiscali, è comune che la Guardia di Finanza – su delega della Procura – proceda a perquisizioni presso la sede dell’azienda e/o le abitazioni degli indagati, alla ricerca di documenti, computer, supporti informatici, e contestualmente esegua sequestri di materiale e talvolta sequestro preventivo di beni patrimoniali (conti correnti, immobili, ecc. fino a concorrenza del profitto del reato, cioè dell’IVA evasa). Queste operazioni avvengono spesso nelle prime fasi delle indagini, anche a sorpresa.

Diritti e doveri durante la perquisizione:

  • Gli agenti devono mostrarvi il decreto di perquisizione emesso dal PM o dal GIP, in cui sono indicati i reati ipotizzati e i luoghi da perquisire. Avete diritto a leggerlo attentamente. Possono cercare “cose pertinenti al reato” (es. fatture, registri, hard disk) e corpo del reato.
  • Avete diritto alla presenza di un avvocato durante la perquisizione. Spesso avvisano contestualmente l’avvocato (se ne avete già nominato uno) o vi chiedono se volete farne arrivare uno. Anche se la perquisizione può iniziare subito per esigenze di urgenza, cercate di contattare il vostro difensore perché arrivi o almeno vi assista via telefono. In sua assenza, potete far presenziare una persona di fiducia come testimone alle operazioni.
  • Collaborate ma con cautela: opponendovi fisicamente sarebbe inutile (hanno l’autorità per procedere coattivamente) e peggiorerebbe la situazione. Meglio accompagnare gli operanti, dare informazioni logistiche (ad es. dove sono i documenti contabili, le chiavi degli armadi, le password dei PC se richieste). Evitate però di commentare nel merito i documenti che trovano o di fornire spiegazioni non richieste: ogni dichiarazione spontanea viene messa a verbale. È vostro diritto non rispondere o dire che preferite parlare solo alla presenza del vostro legale.
  • Verbalizzazione: al termine vi chiederanno di firmare il verbale di perquisizione e sequestro, con l’elenco dei beni/documenti sequestrati. Leggetelo con calma, controllate che descriva bene gli oggetti presi (es. “documento XYZ del gg/mm/aa, n. 5 faldoni contabili, PC portatile marca… seriale…”) e che riporti fedelmente eventuali vostre dichiarazioni o circostanze (es. porta chiusa aperta a forza, etc.). Potete aggiungere osservazioni prima di firmare, ad esempio: “Si segnala che tra i documenti sequestrati ve ne sono alcuni coperti da segreto professionale” (se magari siete anche professionista) o “Il sig. Tizio dichiara di non conoscere il contenuto della cartellina rinvenuta in quell’ufficio”. Firmate e tenetene una copia. Questi dettagli possono sembrare formali, ma poi in dibattimento potranno servire per eccepire nullità o limitare l’utilizzo di prove prese illegittimamente.

Se viene effettuato un sequestro preventivo sui beni patrimoniali: può accadere che contestualmente vi notificano un decreto di sequestro preventivo (ex art. 321 c.p.p.) sui vostri conti correnti, somme di denaro, immobili, fino a coprire l’importo dell’IVA evasa contestata, in funzione di futura confisca “per equivalente”. È una misura cautelare reale. In tal caso:

  • Il decreto dovrebbe indicare l’importo massimo sequestrabile (di solito pari al profitto del reato, quindi l’IVA non versata) e i beni individuati. Se i beni non sono specifici, la GdF può sequestrare conti bancari, auto, case fino a raggiungere quell’importo.
  • Potete chiedere entro 10 giorni il riesame al Tribunale (sequestro preventivo) per contestare i presupposti. Motivi tipici di difesa: assenza fumus commissi delicti (il reato non sussiste o non è configurabile), assenza periculum (non c’è pericolo che i beni non siano disponibili più tardi, quindi non serviva sequestrare subito), sproporzione nell’importo, errata qualificazione di quei beni come profitto, ecc. Ad esempio, Cassazione ha affermato che non basta la mera esistenza di un debito IVA per giustificare il sequestro sui conti: serve motivare perché c’è pericolo nel ritardare la confisca. Un sequestro disposto solo perché la società ha debiti IVA e patrimonio insufficiente è illegittimo se non si spiega il pericolo concreto di dispersione.
  • Una strategia efficace per far revocare o attenuare il sequestro è dimostrare di aver pagato (o in corso di pagamento) il debito tributario. Ad esempio, se durante il riesame portate prove di un’adesione col Fisco e rateizzazione in corso per l’IVA evasa, molti giudici annullano o sospendono il sequestro in quanto viene meno il profitto del reato (essendo stato recuperato dallo Stato). La nuova norma introdotta nel 2024 all’art. 12-bis D.Lgs.74/2000 va proprio in questa direzione: vietato disporre il sequestro/confisca se il debito è in corso di estinzione con rate o conciliazione, salvo pericolo concreto di fuga dei beni.
  • In ogni caso, valutate con l’avvocato la possibilità di chiedere la sostituzione del sequestro: ad esempio, offrire una fideiussione o somme di denaro a garanzia al posto di un immobile per poterlo liberare, oppure chiedere di lasciare sul conto solo una somma sufficiente e sbloccare il resto per esigenze aziendali. Spiegate sempre le conseguenze negative del blocco beni (stipendi dipendenti, continuità aziendale): talvolta la Procura, se vede la volontà di pagare, acconsente a modulare il sequestro.

Case study pratico: l’azienda X viene perquisita e subisce sequestro di conti per €500.000 (IVA presuntamente evasa). X, con il suo legale, nel giro di 1 mese definisce con l’Agenzia delle Entrate il pagamento dell’IVA in 20 rate e versa subito le prime due per un totale di €50.000. Presentando ciò al Tribunale del riesame, ottiene la revoca del sequestro: i giudici motivano che, non essendoci ragione di temere che X si sottrarrà al pagamento (ha già iniziato a pagare e riconosciuto il debito), il sequestro non è necessario. X può così proseguire l’attività, pagare le rate e concentrare la difesa sul profilo penale.

3. Interrogatorio dell’indagato: valutare se parlare o avvalersi della facoltà di non rispondere

Durante le indagini, la Procura (o la stessa GdF su delega) potrebbe invitarvi per un interrogatorio formale in qualità di indagato. È un momento delicato: da una parte è un’opportunità per spiegare la vostra versione, dall’altra ogni parola detta diventa prova utilizzabile.

Prima dell’interrogatorio:

  • Studiate il fascicolo con il vostro avvocato. Grazie al nuovo art. 415-bis.1 c.p.p. (introdotto dalla riforma Cartabia 2022), l’indagato ha diritto a conoscere gli atti di indagine “a proprio carico” prima dell’interrogatorio, se l’atto è richiesto da lui o se è un interrogatorio conseguente a misura cautelare. In pratica, se vi convocano, attraverso l’avvocato potete chiedere di visionare almeno gli elementi essenziali di prova già raccolti (es. verbali GdF, documenti sequestrati). Questo è fondamentale: mai affrontare un interrogatorio “al buio” senza sapere cosa sanno già gli inquirenti.
  • Decidete col legale se conviene rispondere o avvalersi del diritto al silenzio. Avvalersi della facoltà di non rispondere non è un’ammissione di colpa, è un diritto costituzionale. Si può optare per il silenzio se: le contestazioni sono ancora generiche, non avete elementi chiari per controbattere, o rischiate di aggravare la situazione. Al contrario, può essere utile rendere dichiarazioni se avete una spiegazione credibile che può già ora chiarire malintesi (ad es. “quelle fatture non sono false: ecco le prove che la merce è stata consegnata”). Anche la tempistica conta: a volte è meglio non parlare subito agli investigatori ma presentare più avanti, magari alla fine delle indagini, una memoria difensiva scritta con tutti i documenti ordinati. Tale memoria (ex art. 415-bis c.p.p.) verrà letta dal PM prima di decidere se chiedere il rinvio a giudizio, e può convincerlo ad archiviare o almeno a ridimensionare le accuse.
  • Se scegliete di rispondere, preparatevi accuratamente su ogni domanda prevedibile: chi, cosa, quando, perché. Non improvvisate. Se c’è qualcosa di incriminante che non potete negare (es. “sì, quella fattura è fittizia”), conviene ammetterlo spiegando però perché l’avete fatto (es. “ho seguito le indicazioni del consulente, non sapevo fosse reato” o “l’ho fatto perché la mia azienda era in crisi nera e contavo di rimediare l’anno dopo”). Dire la verità mostrando pentimento e impegno a risarcire a volte evita misure cautelari e fa ottenere attenuanti in seguito. Ma attenzione: consultatevi col legale, perché ammettere un reato in interrogatorio significa dare piena prova al PM (fatelo solo se c’è una strategia di damage control).

Durante l’interrogatorio, mantenete la calma, ascoltate bene le domande (potete chiedere chiarimenti se poco chiare). Prendetevi il tempo per rispondere, non abbiate paura di fare pause o di consultare l’avvocato per un attimo (anche se formalmente durante il vostro parlare l’avvocato non può suggerire risposte, potete chiedere una breve sospensione se serve).

Se non ricordate un dettaglio, ditelo chiaramente (“Non ricordo esattamente quell’operazione, dovrei verificare i documenti”). Meglio una lacuna che una bugia: dichiarazioni false all’interrogatorio possono incrinarvi la credibilità o peggiorare la posizione (mentire agli inquirenti non è reato di per sé, ma se scoperti vi toglie ogni affidabilità e in più potreste incorrere in reati come calunnia se date colpe ad altri ingiustamente).

Spesso, un interrogatorio ben gestito può persino portare all’archiviazione di un’indagine: ad esempio, se convincete il PM di essere stati estranei alla frode (magari eravate un amministratore formale inconsapevole, mentre altri architettavano), egli potrebbe decidere di escludervi dal processo. In altri casi, serve più cautela e si preferisce non rispondere per non “scoprirsi” prematuramente.

4. Indagini difensive e perizie di parte: attivarsi per raccogliere prove a discarico

Non bisogna pensare che solo la Procura “indaga”. Dal lato difesa avete la possibilità (e a volte la necessità) di svolgere indagini difensive a vostro favore, ai sensi degli artt. 391-bis e seguenti c.p.p. Ciò include:

  • Escutere persone informate: il vostro avvocato (o un investigatore privato incaricato) può sentire come “informato sui fatti” un fornitore, un dipendente, un ex socio, e raccogliere una dichiarazione scritta firmata (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà) oppure un vero e proprio verbale investigativo. Queste dichiarazioni non sono automaticamente prove nel processo, ma servono per indirizzare la difesa e si possono trasformare in prove chiamando poi quelle persone come testimoni in dibattimento. Ad esempio, se siete accusati di aver consapevolmente acquistato da una cartiera, l’avvocato potrebbe raccogliere la testimonianza di un intermediario commerciale che afferma che vi aveva garantito la serietà di quel fornitore, mostrando così che eravate stati rassicurati.
  • Consulenti tecnici di parte (CTP): soprattutto nelle frodi IVA, c’è una mole di dati contabili e fiscali da analizzare (fatture, flussi finanziari, ecc.). Ingegnatevi di affiancare un commercialista forense o un esperto contabile al vostro legale. Questo consulente può: esaminare i documenti sequestrati (chiedendo copia integrale), ricostruire movimenti di magazzino, verificare se effettivamente la merce c’era, se c’erano errori formali non fraudolenti, calcolare eventualmente l’IVA dovuta corretta. Può anche redigere una relazione tecnica per confutare le conclusioni della GdF. Ad esempio, la GdF sostiene che la società X è una cartiera perché ha magazzino zero e nessun dipendente, il vostro CTP scopre che X esternalizzava la logistica a un deposito terzo e per la consegna usava corrieri: allora non è detto che fosse fittizia, forse era solo una società di trading snella. Questa relazione tecnica di parte potrà essere presentata al PM o utilizzata nel processo come perizia di parte.
  • Accesso agli atti e partecipazione agli accertamenti tecnici del PM: se il PM dispone una consulenza tecnica (ad es. fa analizzare i computer sequestrati o nomina un esperto per tracciare flussi finanziari), avete diritto a nominare un vostro consulente che assista alle operazioni per controllare. Fatelo, perché spesso dal computer si estraggono email, chat ecc. Avere un esperto informatico di parte che segue l’operazione garantisce che non vengano travisati i dati (e può anche individuare elementi a vostro favore all’interno dei file).

In sostanza, non subite passivamente le indagini: insieme al difensore, costruite attivamente la vostra contro-indagine. Quando il PM tirerà le somme (chiusura indagini), dovrà valutare anche ciò che voi avete prodotto. Se presentate un dossier robusto che getta dubbi sulla tesi accusatoria, il PM prudente potrebbe evitare un processo incerto.

5. Misure cautelari personali: rischio di arresto o interdizione e come opporsi

Nelle indagini per frodi fiscali è relativamente raro che si arrivi all’arresto in custodia cautelare in carcere, a meno di casi eclatanti (associazioni a delinquere organizzate, rischio concreto di fuga all’estero, reiterazione continua delle frodi per milioni di euro, ecc.). Tuttavia, specialmente dopo l’inasprimento delle pene (che rende possibili misure cautelari perché molte frodi ora hanno pene massime > 3 anni), la Procura potrebbe chiedere misure come gli arresti domiciliari o il divieto di esercitare attività imprenditoriali (misura interdittiva) se teme che possiate continuare a commettere frodi o inquinare prove.

Se vi viene notificata un’ordinanza di custodia cautelare o altra misura personale (es. obbligo di firma), avete diritto di chiedere il riesame al Tribunale in 10 giorni, oppure di presentare appello o istanza di revoca/modifica se emergono nuovi fatti. La difesa deve puntare a dimostrare l’assenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p.:

  • Pericolo di fuga: spesso per imprenditori con famiglia e azienda in Italia è difficile sostenere che vogliano darsi alla latitanza. Si può enfatizzare il radicamento nel territorio, l’assenza di patrimoni occulti all’estero, la disponibilità a consegnare il passaporto.
  • Inquinamento probatorio: se la GdF ha già sequestrato tutta la documentazione, il pericolo che l’indagato alteri le prove residue è scarso. Se poi avete collaborato consegnando documenti spontaneamente, ancora meglio.
  • Reiterazione del reato: questa è la più invocata in caso di frodi carosello seriali. La Procura dirà: “Tizio ha evaso IVA per 3 anni di fila, se lasciato libero continuerà”. Per combatterla, potete far leva su eventuali cambiamenti: es. “ho chiuso la società incriminata, non opero più in quel settore”, oppure “ho sostituito il management e adottato un modello 231 di controllo” se è un’azienda, o l’impegno a non ricoprire ruoli gestionali (magari accettando volontariamente un’interdizione temporanea pur di evitare gli arresti). Anche il fatto di aver iniziato a pagare il debito fiscale aiuta a sostenere che non c’è volontà di perseverare nell’illecito.

Spesso, per frodi IVA, se scatta la custodia cautelare si tratta di arresti domiciliari o al limite divieto di esercizio di impresa (art. 287 c.p.p.). In fase di riesame, il tribunale potrebbe convertirla in misura più blanda (es. dagli arresti al solo obbligo di firma), se convincete che basti a scongiurare rischi. Il comportamento dopo la contestazione è decisivo: un indagato che ha mostrato resipiscenza, ha avviato sanatorie fiscali, ha collaborato a chiarire le posizioni altrui, offre garanzie maggiori rispetto a chi appare pronto a rifare società fantasma.

Va detto che con la riforma Cartabia è diventato più difficile usare la custodia cautelare per reati puniti con pena sotto 6 anni minimo, ma le frodi gravi hanno minimi sopra 4 anni e quindi rientrano. In ogni caso la difesa deve sempre sottolineare l’adeguatezza di misure meno afflittive (magari solo interdittive): ad esempio, se l’accusa è di frode commessa come amministratore di società, proponete la sospensione dall’attività come misura sufficiente invece del carcere.

6. Relazione con il procedimento tributario in questa fase

Mentre le indagini penali procedono, quasi sempre c’è un parallelo filone tributario: la Guardia di Finanza redige il PVC (Processo Verbale di Constatazione) conclusivo della verifica fiscale, e l’Agenzia delle Entrate emetterà (a volte dopo vari mesi) l’avviso di accertamento per il recupero dell’IVA evasa, più sanzioni amministrative e interessi.

Cosa può/deve fare il “debitore” in questa fase sul lato fiscale:

  • Partecipare al contraddittorio con la GdF durante la verifica, rilasciando dichiarazioni cautamente: nelle verifiche fiscali, vi verrà chiesto di firmare verbali giornalieri e eventualmente fornire spiegazioni scritte su certe operazioni. Tenete a mente che tutto ciò che dichiarate qui può finire agli atti del processo penale (la GdF lo allegherà alla notizia di reato). Quindi, non prendete alla leggera la risposta a contestazioni tributarie: es. ammettere nel PVC “sì, quelle fatture erano solo per ottenere IVA a credito” equivale a una confessione penale. Se qualcosa non vi convince o avete dubbi, è lecito anche non firmare il PVC o firmare con osservazioni aggiuntive (tipo: “Il sig. X firma per ricevuta ma non è in grado di fornire spiegazioni complete in questa sede, rimettendosi alla documentazione contabile e alle valutazioni del professionista”). Meglio qualche attrito col verificatore che autoincriminarsi ingenuamente.
  • Ricorso contro l’avviso di accertamento: se arriva (di solito giunge dopo la fine verifica, con le conclusioni GdF tramutate in atto impositivo), non ignoratelo! Anche se pensate di risolvere tutto penalmente, un avviso non impugnato diventa definitivo e vi troverete Equitalia (ora ADER) che agisce per riscuotere somme magari astronomiche, con ipoteche, fermi e quant’altro. Quindi, entro 60 giorni preparate ricorso in Commissione Tributaria (oggi Corte Giustizia Tributaria di primo grado). Nel ricorso potete anche chiedere la sospensione dell’esecuzione se ci sono gravi motivi (ad esempio dimostrare che pagare vi distruggerebbe l’azienda prima ancora del processo).
  • Coordinate la difesa tributaria con quella penale: la linea difensiva dev’essere coerente. Non potete in penale dire “non sapevo nulla, vittima di un raggiro” e in tributario far scrivere al vostro commercialista “il contribuente in effetti ha realizzato l’operazione consapevolmente ma andrebbe riqualificata diversamente”. Serve unità: se puntate sulla buona fede nel penale, anche nel tributario dovrete sostenere che non sapevate delle frodi carosello e quindi non vi può essere addebitata l’IVA a voi (magari invocando la giurisprudenza UE sulla detrazione in buona fede, vedi oltre). Viceversa, se in sede tributaria ammettete qualcosa per ottenere uno sconto (es. adesione parziale), valutate l’impatto sul penale: potrebbe costituire quasi un’ammissione.
  • Valutare definizioni agevolate o ravvedimento: in certe fasi storiche ci sono norme di “pace fiscale”. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) offriva definizione agevolata delle liti, delle sanzioni, ecc. Se rientrate in qualche casistica per chiudere a buon mercato il debito tributario, prendetela in considerazione. Pagare il dovuto (anche se ridotto) vi mette poi in condizione di chiedere al PM la non punibilità ai sensi dell’art.13, se i tempi coincidono. Ad esempio, nel 2023 è stata introdotta una causa speciale di non punibilità per i reati di omesso versamento e indebita compensazione se il contribuente definiva correttamente le violazioni tributarie con la “tregua fiscale” e pagava tutto. Tale opportunità valeva però solo entro certi termini. Quindi, consultate il vostro avvocato e commercialista per stare al passo con eventuali sanatorie legislative: potrebbero salvarvi penalmente.

In conclusione, la fase delle indagini è un campo minato ma anche un’occasione per mettere solide basi alla vostra difesa. La proattività e la cautela sono le chiavi: non subire passivamente ma muoversi strategicamente, senza però strafare o compromettersi. Nei prossimi paragrafi, ci sposteremo alla fase successiva: quando, concluse le indagini, la Procura esercita l’azione penale e si arriva alla scelta del rito e al processo vero e proprio. Anche lì, molte decisioni importanti andranno prese – e la preparazione fatta nelle indagini tornerà utile.

Difendersi nella fase processuale (dal rinvio a giudizio al dibattimento)

Al termine delle indagini preliminari, la Procura deciderà se chiedere il rinvio a giudizio (cioè mandare voi imputati a processo) oppure l’archiviazione (se ritiene le prove insufficienti o il fatto non sussiste). Nel caso delle frodi IVA, salvo situazioni di evidente irrilevanza o scambio di persona, è comune arrivare al rinvio a giudizio, vista anche la gravità percepita di questi reati. La fase processuale vera e propria si articola, semplificando, in:

  • Udienza preliminare (se prevista, davanti al GUP) oppure citazione diretta a giudizio per i reati meno gravi.
  • Dibattimento di primo grado, davanti al Tribunale in composizione collegiale o monocratica a seconda dei casi (spesso collegiale per frodi di particolare gravità).
  • Sentenza di primo grado e poi eventuale appello e Cassazione.

Esaminiamo le strategie difensive chiave in queste fasi, sempre focalizzandoci sugli strumenti per ridurre il danno o evitare la condanna, e con un occhio alle ultime novità normative.

1. Scelta del rito: ordinario, patteggiamento, abbreviato

All’inizio della fase processuale, spesso già in udienza preliminare, all’imputato si aprono possibilità di scelta del rito. È una decisione cruciale da prendere con il difensore:

  • Rito ordinario: affrontare il processo dibattimentale completo (esame testimonianze, perizie, ecc.) fino alla sentenza. Pro: possibilità di far emergere tutte le prove a vostro favore tramite l’istruttoria dibattimentale, e se c’è margine di assoluzione è la strada per ottenerla. Contro: in caso di condanna, pena non scontata (se non le attenuanti generiche se meritate) e tempi più lunghi; maggior esposizione mediatica eventualmente.
  • Patteggiamento (applicazione pena su richiesta): qui vi accordate con il PM su una pena concordata, tipicamente ridotta di 1/3 rispetto al minimo edittale o a quella che sarebbe in giudizio. Vantaggi: niente dibattimento, condanna meno afflittiva, spesso pena sospesa se è entro i 2 anni (o convertita in multa se possibile). Svantaggi: è pur sempre sentenza di condanna (anche se non comporta interdizioni ulteriori se <=2 anni) e presuppone in sostanza un’ammissione di colpevolezza. Attenzione: per i reati tributari c’è una particolarità – l’art. 13-bis D.Lgs.74/2000 richiede che prima del patteggiamento il debito tributario sia estinto (pagato integralmente, o per i reati di omesso versamento è sufficiente il pagamento del capitale e interessi). Quindi, potete patteggiare frodi IVA solo se avete già pagato tutto l’evaso (o intendete farlo contestualmente). Questa clausola fu inserita per evitare “patteggiamenti comodi” senza restituzione del maltolto. Dunque, patteggiare è un’opzione realistica se: avete le risorse per pagare (o lo avete già fatto con definizione agevolata, ecc.) e la vostra priorità è chiudere presto la vicenda penale riducendo l’incertezza.
  • Giudizio abbreviato: richiedibile in udienza preliminare (o condizionato a integrazioni probatorie). Si basa sugli atti raccolti finora, senza dibattimento, e in caso di condanna c’è sconto di 1/3 sulla pena. Vantaggi: riduzione di pena e tempi più rapidi, possibilità di esito favorevole se le prove del PM sono deboli (il GUP potrebbe assolvere subito). Svantaggi: si rinuncia al contraddittorio pieno, quindi se i dati delle indagini vi sono sfavorevoli, non avrete modo di smontarli in aula. È indicato se la prova è essenzialmente documentale e già a vostro favore (es. dalle carte appare chiaramente che mancava il dolo), o se puntate magari su una questione giuridica (tipo un vizio procedurale, o l’insussistenza del reato per interpretazione di legge) da far valere subito senza un lungo dibattimento sui fatti.

In concreto, la scelta dipende dalla valutazione delle prove: se avete buone chance di assoluzione mostrando testimoni e affrontando l’accusa, si tende ad andare a dibattimento. Se invece le prove di colpevolezza sono schiaccianti e l’obiettivo è solo limitare la pena, il patteggiamento conviene (specie se comunque dovrete pagare l’IVA evasa, tanto vale ottenere in cambio uno sconto di pena). Il rito abbreviato è a metà: utile se la prova è già delineata e volete solo lo sconto di 1/3 confidando magari di spuntare un giudizio clemente. Ad esempio, in un carosello in cui siete accusati come utilizzatore finale consapevole, ma in realtà le intercettazioni mostrano che eravate ignaro, potreste chiedere l’abbreviato sperando che il GUP colga subito la vostra innocenza e vi assolva; se proprio vi condanna, almeno avrete 1/3 in meno.

Importante: se puntate a cause di non punibilità ex art.13 (pagamento debito), valutate i tempi. L’art.13, comma 1 prevede la non punibilità se pagate tutto il debito tributario (imposta + interessi + sanzioni amministrative) prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Ciò significa che avete tempo fino all’inizio del dibattimento vero e proprio per regolare i conti col Fisco e beneficiare della non punibilità. Se ne avete la possibilità, pagare per estinguere il reato è la miglior difesa: il giudice deve dichiarare il non luogo a procedere per sopravvenuta causa estintiva. Tuttavia, questo non si applica ai reati di frode più grave (artt.2 e 8) se il pagamento avviene dopo l’inizio delle indagini – salvo i casi di “tregua fiscale” speciale. Invece per omessi versamenti, indebite compensazioni non fraudolente e infedele dichiarazione, la regola generale è: paga tutto -> niente processo. Tatticamente, potete chiedere al giudice di tenere sospeso o rinviare l’udienza se siete vicini a pagare. Molti giudici attendono qualche mese se vedono che c’è un piano serio di adempimento.

2. Linee difensive nel dibattimento: smontare l’accusa tra fatto e diritto

Se si va a dibattimento (rito ordinario), la difesa avrà modo di esercitare pienamente il contraddittorio e presentare tutte le proprie prove davanti ai giudici.

Obiettivi principali della difesa penale in un processo di frode IVA:

  • Negare o ridimensionare il fatto criminoso: dimostrare, se possibile, che il fatto contestato non sussiste. Ad esempio, l’accusa dice che la vostra società Alpha ha utilizzato fatture per operazioni inesistenti con Beta. Voi potete provare che invece le operazioni erano reali: la merce esisteva, è stata consegnata; Beta aveva effettivamente un’attività, magari è fallita ma non era totalmente fantasma. Ciò toglierebbe il presupposto di “operazione inesistente”. In subordine, dimostrare che non c’era illecito penale: es. “vero, c’è stato un mancato versamento IVA, ma derivava da un errore contabile senza volontà di frode” (quindi caso semmai di infedele non punibile se errore <10% ai sensi art.4 comma 1-ter). Oppure: “è evasione fiscale, non frode criminale”, cercando magari una riqualificazione del reato verso fattispecie meno gravi (da art.2 fraudolenta ad art.4 infedele, o da art.10-quater co.2 (crediti inesistenti, grave) ad art.10-quater co.1 (crediti non spettanti, meno grave) spiegando che il credito c’era ma interpretato male).
  • Negare il dolo specifico di evasione: i reati tributari richiedono tutti il dolo specifico, ovvero la volontà di evadere le imposte (o di far evadere terzi). Una difesa classica è sostenere che non avevate consapevolezza né intenzione di evadere: credevate che le operazioni fossero legittime, vi fidavate del vostro fornitore, o pensavate di poter compensare il credito in buona fede. Se manca il dolo specifico, il fatto non è reato (al più può essere illecito amministrativo). Ad esempio, Cassazione ha più volte affermato che nell’utilizzo di fatture false il dolo specifico coincide col fine di evadere, che presuppone la consapevolezza della falsità delle fatture. Se l’imputato prova di non sapere che erano false, non può essere condannato per art.2. In un caso del 2022, addirittura, si è ritenuto che intercettazioni in cui i veri organizzatori di una frode carosello parlavano di “inventare scuse” verso l’imputata dimostrassero che lei era ignara; ciò ha portato all’annullamento del sequestro e alleggerito la sua posizione. La difesa deve quindi evidenziare ogni elemento che indichi buona fede: ad esempio, attività di due diligence svolte (avete controllato che la società avesse partita IVA attiva, che fosse iscritta al VIES, magari visite aziendali), oppure inganni subiti (mostrate comunicazioni dove il fornitore vi rassicurava con dati falsi). La giurisprudenza europea (caso Kittel) dice che un soggetto va punito (o gli va negata la detrazione) solo se sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una frode. Quindi la vostra missione è far emergere che non potevate accorgervene usando l’ordinaria diligenza. Se ci riuscite, meritate l’assoluzione per difetto di dolo.
  • Evidenziare errori procedurali o mancanza di prove chiave: il penale è tecnico, e a volte si vince sollevando questioni di diritto. Ad esempio: intercettazioni utilizzate in modo sbagliato, perquisizioni nulle (magari fatte senza autorizzazione sui server dell’avvocato e c’erano email protette), contraddizioni nei verbali GdF, ecc. Un controllo di qualità sulle prove del PM spesso porta a esclusioni di alcune parti. Se togli la prova principale (es. intercettazione invalidata), l’accusa vacilla. Anche la prescrizione va monitorata: reati come dichiarazione infedele si prescrivono in 6 anni (più eventuali aumenti). Le frodi gravi ora hanno tempi più lunghi (8 anni base), ma comunque la durata non è infinita. Se il processo si trascina, la difesa può far valere l’eventuale intervenuta prescrizione (anche se in presenza di pagamenti potrebbe scegliere l’assoluzione con formula piena come esito preferibile, ma la prescrizione resta una via di uscita “tecnica”).
  • Portare testimonianze e consulenze a discarico: presentate i vostri testimoni chiave. Ad esempio, il responsabile logistico che attesti che la merce c’era e fu spedita davvero (smontando l’ipotesi di operazioni fantasma); un funzionario bancario che spieghi che i flussi di denaro tra voi e la società sospetta erano coerenti a transazioni reali, non giri anomali; oppure un ex dipendente della “cartiera” che confermi che voi clienti non eravate a conoscenza del mancato versamento IVA. Spesso nel carosello la differenza tra colpevole e vittima sta nel provare cosa sapeva l’imputato: testimonianze in suo favore possono creare quel ragionevole dubbio necessario all’assoluzione. Anche i consulenti tecnici possono essere chiamati in aula: il vostro esperto contabile può illustrare una ricostruzione alternativa dei fatti (ad esempio che l’IVA contestata era già stata versata altrove o che l’importo evaso è inferiore al minimo di legge, ecc.). Ovviamente, il giudice valuta i consulenti di parte con attenzione critica, ma se i loro dati sono scientificamente solidi, incidono. Ad esempio, un consulente può mostrare che la “cartiera” in realtà aveva depositi di merce e faceva consegne — se convincente, frantuma l’accusa di frode soggettiva.
  • Sfruttare i punti deboli dell’accusa: spesso nelle frodi complesse l’accusa si basa su deduzioni: “siccome A e B hanno stessi clienti, B è fittizia”; “siccome il prezzo era più basso del mercato, c’era frode”. Questi indizi vanno confutati uno a uno. Come da Cassazione: la regolarità formale della contabilità o il fatto di non aver conseguito utili non provano innocenza, ma anche l’inverso è vero – elementi come margini alti o rapporti con evasori non provano automaticamente la colpevolezza. La difesa deve evitare che i giudici cadano in semplificazioni. Ad esempio: “è vero che il mio cliente comprava a prezzi bassi da quel fornitore, ma ciò si spiega perché acquistava grandi volumi (sconti quantità) e perché quel mercato era in ribasso, non perché c’era frode – presentiamo analisi di mercato a riguardo”. Oppure: “È vero che la società Beta non aveva dipendenti, ma operava in outsourcing: ecco contratti con cooperative per manodopera e con magazzini terzi. Quindi non era necessariamente fittizia”. In pratica, offrire spiegazioni alternative plausibili per ogni “indizio” presentato dal PM.
  • Dimostrare condotte post-fatto virtuose: se proprio qualche irregolarità c’è stata, far vedere che vi siete ravveduti può influire sulle valutazioni. Ad esempio, pagare il debito prima del giudizio (anche se fuori tempo per l’art.13, comunque come circostanza attenuante), collaborare nel fornire documenti, aver licenziato eventuali dipendenti infedeli che orchestravano la frode senza vostro pieno controllo, ecc. Tutto ciò può portare il giudice a concedere le attenuanti generiche e a modulare la pena al minimo. Nel penale tributario, la pena concreta spesso dipende da come il giudice percepisce la vostra figura: se come incallito evasore o come persona che ha sbagliato e si è messa in regola. Ad esempio, l’avvenuto versamento dell’IVA evasa (sia pure tardi) spesso viene valutato come segno di pentimento e porta a diminuire la sanzione.

Questione “ne bis in idem” interno: un aspetto tecnico che la difesa potrebbe sollevare (finora con scarso successo, ma va segnalato) è quello del doppio processo penale+tributario. Si potrebbe eccepire l’illegittimità del procedimento penale quando per gli stessi fatti vi è già stata una sanzione amministrativa definitiva. La Corte di Giustizia UE in passato (cause Grande Stevens su abusi di mercato, e in materia fiscale caso A e B c. Norvegia) ha delineato criteri stretti: il doppio binario è ammesso solo se le due procedure perseguono scopi diversi e sono coordinate. In Italia di solito i giudici rigettano queste eccezioni invocando la diversità di natura, ma vale la pena tener monitorato l’evolversi della giurisprudenza: se, ad esempio, nel frattempo avete pagato la sanzione amministrativa e questa è molto gravosa, potreste argomentare che un’ulteriore condanna penale sarebbe sproporzionata. Non è una linea vincente oggi, ma in appello/Cassazione potrebbe un domani trovare accoglimento qualora la giurisprudenza CEDU evolva. È comunque avanzato e da dosare bene (spesso respingono l’eccezione, però mostrarla segnala che siete consapevoli dei vostri diritti europei).

3. Sentenza, motivazioni e scenari post-sentenza

Al termine del dibattimento di primo grado, il tribunale pronuncerà la sentenza. Possibili esiti: assoluzione, condanna, oppure (più raro) un proscioglimento per prescrizione maturata durante il processo.

Se assolti: complimenti, avete vinto la battaglia (quantomeno in primo grado). L’assoluzione con formula piena (“perché il fatto non sussiste” o “non costituisce reato” o “non commesso”) vi esonera da responsabilità penale. Attenzione però: l’assoluzione diventa definitiva solo se la Procura non appella o se l’Appello conferma. Oggi il PM può appellare le assoluzioni (a differenza dell’imputato che non può appellare condanne lievi), quindi non è finita finché non scadono i termini di appello (30 giorni dalla notifica della motivazione). Bisogna aspettarsi spesso un appello del PM se la vicenda è grave. Nel frattempo, però, in sede tributaria potete far valere la cosa: se c’è un processo tributario pendente, notificate l’esito penale, sottolineando come il giudice penale abbia escluso la frode. Non obbliga i giudici tributari, ma molti ne tengono conto (in particolare se assolti perché il fatto non sussiste, cioè si riconosce la realtà delle operazioni e la buona fede, difficile ignorarlo del tutto in ambito fiscale).

Se condannati: la sentenza di condanna detterà la pena e le eventuali pene accessorie. Nel penale tributario, oltre alla reclusione/multa, possibili accessorie sono: l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione legale durante la pena, e talvolta l’interdizione da cariche direttive in imprese o l’incapacità di contrarre con la PA per un certo periodo (queste ultime previste dal codice penale per condanne per delitti contro PA o patrimonio sopra certi limiti, applicabili in alcuni casi di gravi frodi). Inoltre c’è sempre la confisca obbligatoria del profitto del reato: se c’era un sequestro su beni, la sentenza ne disporrà la confisca definitiva (a meno che abbiate già versato l’equivalente importo all’Erario, in tal caso potreste chiedere la revoca della confisca perché non c’è più profitto). Una novità: se la condanna riguarda reati tributari gravi con profitto > €100.000, è applicabile la confisca allargata ex art.240-bis c.p. – significa che possono confiscare patrimoni anche per valore eccedente il profitto, se non ne dimostrate la lecita provenienza. Questo è davvero invasivo, ma viene applicato solo in casi di particolare sistematicità e gravità (es. organizzazione criminale di frodi seriali).

Dopo la condanna di primo grado, avete il diritto di appellare (salvo abbiate patteggiato o scelto riti che lo escludono). In Appello la strategia difensiva può variare: si può puntare a riformare la sentenza su punti specifici (es. riduzione pena, riconoscimento di attenuanti negate, riquantificazione dell’imposta evasa se il giudice ha sbagliato) oppure ribaltare l’esito tentando ancora l’assoluzione (magari portando nuovi elementi se ammessi, o valorizzando errori di giudizio del tribunale). L’appello è un processo principalmente sui motivi di impugnazione: il difensore deve redigere motivi precisi (es. “il tribunale ha erroneamente interpretato come fittizie operazioni che erano reali, ignorando la testimonianza X”). In Appello non c’è piena libertà di prova come in primo grado, ma si può chiedere rinnovazione parziale del dibattimento su punti cruciali se emergono nuovi elementi o se il primo giudice ha trascurato qualcosa.

Un aspetto delicato: se avete pagato il debito dopo la sentenza di primo grado, potreste invocare in appello l’applicazione retroattiva della causa di non punibilità (art.13) o quantomeno come motivo di clemenza. In genere la causa di non punibilità vale solo se il pagamento è avvenuto tempestivamente (entro il dibattimento di primo grado), però nulla vieta di tentare argomentazioni equitative.

Sospensione condizionale e pene alternative: se la condanna (anche in appello) è a una pena detentiva non superiore a 2 anni (o 2 anni e mezzo se c’è stata già una sospensione condizionale in passato per meno di 2 anni), potete beneficiare della sospensione condizionale della pena, a discrezione del giudice. Spesso viene concessa a incensurati che hanno risarcito il danno (nel nostro caso, pagato l’IVA). Talvolta il giudice la subordina al pagamento del debito tributario residuo entro un certo termine. Se la pena supera i 2 anni, bisogna vedere se è possibile una detenzione domiciliare o misure alternative dopo il passaggio in giudicato (dipende dal cumulo e dalla presenza di attenuanti generiche). Per le frodi IVA più gravi, comunque, il legislatore ha voluto pene relativamente severe, quindi non sempre la sospensione è concessa se l’importo evaso era ingente, anche per dare un segnale deterrente.

Costi economici finali: una condanna comporta, oltre alla pena, la rifusione delle spese di giustizia (spese processuali, spese di custodia di cose sequestrate, ecc.) e se c’è parte civile (ad esempio l’Agenzia delle Entrate Riscossione può costituirsi parte civile per il danno erariale), il risarcimento danni. Spesso però l’Erario sceglie di non costituirsi parte civile nel penale contando sulle proprie vie di riscossione; comunque se l’ha fatto e siete condannati, vi verrà liquidato un importo da risarcire (di solito coincidente con l’imposta evasa, salvo eventuali danni ulteriori).

Rapporti con la società (se imputato è persona giuridica): ricordiamo che dal 2021-2022 alcune ipotesi di reati tributari rilevano per la responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs. 231/2001). Ad esempio, la dichiarazione fraudolenta (artt.2 e 3) e l’omessa dichiarazione sono oggi reati-presupposto per cui la società può essere chiamata a rispondere con sanzioni pecuniarie e interdittive. Se siete imputati come persone fisiche e la vostra società è anch’essa sotto procedimento 231, la difesa va coordinata: la società può andare esente se dimostra di avere adottato modelli organizzativi adeguati e che l’illecito è avvenuto eludendo tali modelli. Spesso però, nelle piccole società usate per frodi, non c’è nessun modello 231. Le sanzioni 231 per reati tributari vanno da multe a interdizioni (tipo divieto di attività, revoca licenze). Dal punto di vista del “debitore” individuo, questo è un aspetto collaterale: ma se siete anche amministratori della società ancora operativa, dovrete preoccuparvi di difendere anche l’ente, magari con un altro avvocato dedicato. Un argomento di difesa dell’ente può essere sostenere che la società era mero schermo di interessi personali e quindi la responsabilità ricade sull’individuo (in effetti la Cassazione ha stabilito che se la società è fittizia creata solo per evadere, la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autore, non la società – eccezione all’art. 7 D.L.269/2003). Quindi paradossalmente l’amministratore di fatto di una cartiera non potrà evitare la responsabilità scaricandola sulla società, viene “decodificato” il paravento.

In conclusione, la fase processuale è l’ultimo campo di battaglia per far valere le vostre ragioni. Se avete impostato bene la difesa sin dalle indagini, qui ne raccoglierete i frutti. In ogni caso, qualsiasi sia l’esito, ricordate che resta sempre la possibilità di ricorrere per Cassazione su questioni di diritto. Ad esempio, se vi condannano e ritenete che abbiano interpretato male una norma IVA o negato indebitamente una causa di non punibilità, la Cassazione potrà correggere (in diritto) l’errore, annullando la sentenza o rinviando per nuovo esame. La Cassazione però non rivede i fatti né riascolta testimoni: quindi la partita decisiva si gioca soprattutto in primo e secondo grado.

Focus: la difesa nel processo tributario correlato

Parallelamente al procedimento penale, come già sottolineato, può svolgersi (o essere in sospeso) il processo tributario relativo alle stesse frodi IVA. È utile dedicare un focus a questo, dal punto di vista di chi – mentre affronta il penale – vuole anche tutelarsi sul fronte fiscale.

In Italia, contestazioni di frode IVA portano tipicamente all’emissione di avvisi di accertamento per IVA, imposte sui redditi correlate (spesso, se c’erano costi fittizi, l’ufficio recupera anche l’IRES indebitamente detratta) e relative sanzioni amministrative (che, per frode, possono arrivare al 200% dell’imposta). Difendersi nel merito tributario richiede innanzitutto di cogliere la diversa logica: il giudice tributario ragiona in termini di probabilità e presunzioni. Ecco alcune linee tipiche di difesa tributaria in casi di frode IVA:

  • Dimostrare la realtà delle operazioni: se l’ufficio vi contesta fatture soggettivamente o oggettivamente inesistenti (carosello o false fatture), dovete provare che le operazioni c’erano davvero. Ad esempio, esibire documenti di trasporto (DDT), contratti, bolle doganali, movimentazioni di magazzino, report di spedizionieri, qualsiasi cosa attesti che la merce esisteva e si è mossa. Se riuscite a dimostrare l’effettività, l’Agenzia potrebbe vedersi annullata la ripresa IVA (perché non c’è danno erariale se la controparte ha versato l’IVA o se l’operazione era reale e la fattura corretta seppur con soggetto diverso). La Cassazione tributaria ha affermato che in caso di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti spetta al contribuente provare che la merce è giunta a destinazione realmente, oppure dimostrare la propria buona fede se non può provare il trasporto. Quindi, come difesa, concentratevi su eventuali prove di consegna ed evidenze fisiche.
  • Buona fede e diligenza del cessionario/committente: questa è la difesa per eccellenza in ambito carosello amministrativo. La giurisprudenza, su input della Corte di Giustizia UE, ha stabilito che l’IVA a credito non va negata all’acquirente se egli non sapeva né poteva sapere di partecipare a una frode, avendo adottato tutte le misure ragionevoli per verificarne l’affidabilità. Tradotto: se vi accusano di aver detrato IVA da fatture di una cartiera, potete difendervi mostrando di essere stati “parte incolpevole”. Ad esempio: avete controllato la visura camerale del fornitore, era iscritto da anni; siete andati a visitare il suo magazzino (anche se poi scoprite era preso in prestito per l’occasione, voi non potevate saperlo); avete scambiato corrispondenza regolare, ecc. Più prove del vostro controllo presentate (email, rapporti di agenzie di rating, foto della sede), più convincerete il giudice tributario che non potevate accorgervi dell’altrui frode. In tal caso, vi spetta il diritto alla detrazione IVA e non dovreste pagare nulla (salvo l’eventuale rivalsa verso il fornitore inadempiente). Tenete presente che il Fisco tende a sostenere che dovevate accorgervi perché c’erano indizi (prezzi troppo bassi, pagamenti strani). Voi controbattete evidenziando i vostri controlli e spiegando quei fattori: es. “prezzo basso perché era un fine stock di magazzino, ecco la pubblicità sul mercato che molti venditori facevano sconti simili”.
  • Contestare la qualificazione di “cartiera”: se l’Ufficio definisce un vostro fornitore come cartiera, portate elementi per dipingere un quadro diverso: presentate le fatture di acquisto del fornitore (se disponibili, magari prese dal penale), evidenziate che aveva una sede (anche se piccola), che alcuni dipendenti figuravano, che ha presentato dichiarazioni fiscali (anche se non pagate). Spesso lo status di cartiera si deduce da cose tipo “amministratore irreperibile, sede fittizia, utenze telefoniche inesistenti, ecc.”. Se riuscite a smentire qualcuna di queste premesse (ad es. avete corrispondenza con l’amministratore, oppure la sede esisteva ed era un ufficio reale), il giudice potrebbe dubitare della tesi che fosse tutto falso e dare ragione a voi almeno parzialmente.
  • Sanzioni amministrative e principio di colpevolezza: nel diritto tributario vige il principio che le sanzioni amministrative (per es. il 200% dell’IVA evasa) non si applicano se il contribuente prova di aver commesso il fatto per causa di forza maggiore o per altra assenza di colpevolezza (art. 6 D.Lgs.472/97). La “buona fede” può quindi evitare non solo il tributo ma anche la sanzione, purché si dimostri che l’errore non dipese da negligenza. Ad esempio, se siete stati truffati anche voi dal fornitore, potreste chiedere quantomeno l’annullamento delle sanzioni (oltre che dell’imposta). Il giudice tributario potrebbe dire: “Ok, comunque l’IVA formalmente è dovuta dal cessionario se il cedente non ha versato – secondo la Cassazione qualche volta accade – però tolgo le sanzioni perché l’acquirente era incolpevole”. Non è il massimo, ma è un miglioramento (il 200% di sanzione su importi grossi è una mazzata da evitare).
  • Sospensione in attesa del penale?: come detto, non c’è automatismo, ma potete richiedere alla Corte tributaria di sospendere il giudizio in attesa dell’esito penale, in base a valutazioni di opportunità (ex art. 6, c.5 D.Lgs.546/92, possibile sospensione per “grave impedimento” o esigenze di economia processuale). Alcuni difensori lo chiedono quando sentono di avere vento a favore nel penale (ad es. ci sono testimoni in penale che provano innocenza, meglio aspettare quella prova). Tuttavia, spesso le Commissioni respingono perché pressate a decidere nei loro termini. Un’alternativa furba può essere allungare i tempi tributari presentando perizie e documenti, in modo che il processo penale magari sopraggiunga con la sua verità prima che i giudici tributari deliberino.
  • Conciliazione e definizione agevolata: se le prove contro di voi in campo tributario sono schiaccianti (mettiamo che non avevate proprio controllato nulla e la cartiera era lampante), valutate la conciliazione giudiziale in appello tributario o altre definizioni per chiudere lì col minimo danno. Una conciliazione può ridurre le sanzioni di molto (fino a 1/3). Anche la Legge 130/2022 ha introdotto in prospettiva la figura del “giudice monocratico per la conciliazione” per favorire accordi. Conciliare vuol dire pagare un tanto e fine del contenzioso: questo potrà giovarvi nel penale come gesto riparatorio. Certo, ammettere la violazione in sede tributaria può creare imbarazzo col penale, ma si può stilare un verbale di conciliazione in cui non si ammette l’illecito penale ma solo si aderisce per convenienza economica. Sta poi all’uso che ne fa la Procura: in genere, se uno ha conciliato e pagato, il PM è semmai più ben disposto (capisce che non c’è più danno) che non incattivito.

In definitiva, la difesa tributaria va mano nella mano con la penale quando si parla di frode IVA. L’obiettivo ideale è ottenere un doppio successo: niente condanna penale e nessuna pretesa IVA da pagare. Non sempre riesce su entrambi i fronti, ma l’importante è evitare di perdere su entrambi. Un compromesso può essere: fare magari un accordo tributario (pagando parzialmente) per salvare la continuità aziendale, e contestualmente ottenere nel penale almeno una riqualificazione del reato in forma meno infamante o una pena sospesa.

Va aggiunto che, se l’esito penale è definitivo e di assoluzione, potete richiedere il rimborso di quanto eventualmente pagato in più al Fisco se la decisione penale implica che non c’era evasione. Non è automatico, ma con la nuova norma in arrivo (delega 2022) si va verso il riconoscimento pieno di quell’effetto.

Riassumendo: difendersi efficacemente dalle frodi IVA significa combattere due guerre parallele. Con le giuste tattiche, però, le vittorie possono essere combinate: una prova emersa in penale aiuta nel tributario e viceversa. L’importante è mantenere coerenza e rigore nelle argomentazioni, supportandole sempre con documenti, dati e riferimenti giurisprudenziali, perché la materia – come avrete compreso da questa guida – è estremamente tecnica ma anche ricca di garanzie per chi le sa far valere.

Passiamo ora, per concludere la trattazione, a una serie di Domande e Risposte che riassumono i dubbi più frequenti e le relative risposte basate su tutto quanto esposto, e infine all’elenco delle fonti normative e giurisprudenziali utilizzate.

Domande Frequenti (FAQ) su Frodi IVA e Difesa Legale

Domanda: Che cos’è esattamente la “truffa carosello” e in cosa differisce dalle altre frodi IVA?
Risposta: La frode carosello è uno schema di evasione dell’IVA basato su vendite fittizie e passaggi di beni tra società compiacenti (spesso con interposizione di “missing trader” o cartiere) per evitare il versamento dell’IVA e generare indebiti crediti IVA a vantaggio dei frodatori. In pratica, nell’IVA carosello la merce circola su carta tra varie società: una società intermedia raccoglie l’IVA dai clienti e non la versa, mentre un’altra a valle detrae quell’IVA o vende in esenzione, lucrando un vantaggio competitivo. Questa frode si chiama “carosello” perché spesso le merci fanno un giro circolare (es. Italia -> altro paese UE -> rientrano in Italia) e le società fantasma spariscono lasciando debiti IVA. La differenza rispetto ad altre frodi IVA è nella struttura organizzata e transnazionale: altre frodi possono essere più semplici, come nascondere vendite (evasione comune), usare fatture false per costi inesistenti (ottenere indebiti risparmi d’imposta) o compensare crediti fittizi. Tutte queste rientrano nelle “frodi IVA” in senso lato, ma la truffa carosello indica specificamente il meccanismo con società filtro e transazioni simulate intra-UE. Dal punto di vista legale, varie norme colpiscono questi fenomeni: le fatture false e il carosello integrano i reati di dichiarazione fraudolenta (art.2 se usi le fatture, art.8 se le emetti), mentre la mera evasione semplice ricade in dichiarazione infedele o omessa dichiarazione. Anche le sanzioni differiscono: il carosello essendo frode organizzata è punito più severamente (fino a 8 anni di reclusione), mentre l’evasione semplice senza artifici ha pene minori.

Domanda: Quali conseguenze penali rischio se mi accusano di frode IVA (per esempio in un carosello)?
Risposta: Le conseguenze penali possono essere molto serie. In termini di pene detentive, i reati di frode fiscale (art. 2 e 8 D.Lgs.74/2000, uso ed emissione di fatture false; art.3, altri artifici fraudolenti) prevedono oggi pene massime di 6 o 8 anni di reclusione nei casi più gravi. Ad esempio, per l’utilizzo di false fatture la pena base è da 4 a 8 anni, riducibile a 1½-6 anni se l’importo delle fatture fittizie annue è inferiore a 100.000 €. Oltre alla reclusione, se condannato, avrai l’obbligo di restituire il profitto: il giudice dispone la confisca dell’equivalente dell’IVA evasa (quindi, perdi beni o denaro per quell’importo, salvo tu l’abbia già versato allo Stato). Ci possono essere anche pene accessorie: ad esempio l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi di imprese o da contrarre con la P.A., specialmente se la condanna supera i 2 anni. Nei casi estremi di frodi organizzate di grande entità, la legge consente persino la confisca per sproporzione (allargata) dei beni del condannato oltre il profitto, se non ne giustifica la provenienza. C’è poi l’aspetto della responsabilità della società: se hai agito nell’interesse della tua impresa, anche l’azienda può subire sanzioni pecuniarie pesanti ex D.Lgs.231/2001 (fino a milioni di euro) e misure interdittive (divieto di attività, commissariamento). In sintesi, lo spettro va dal carcere (in caso di condanna, soprattutto se non si riesce ad ottenere pena sospesa) al patrimonio in pericolo (confische, multe). Va detto che se sei incensurato e l’ammontare non è colossale, spesso la pena inflitta può essere sospesa condizionalmente (specie se hai già pagato il debito tributario) e si evita il carcere effettivo. Ma la condanna penale in sé resterebbe, con la relativa fedina penale macchiata e conseguenze civili (spese processuali, eventuali danni da pagare all’Erario). Perciò la difesa punta in primis ad evitare la condanna o far riqualificare il fatto in forme minori (così da ridurre anche le pene).

Domanda: Se pago l’IVA evasa e le sanzioni al Fisco, posso evitare il processo penale o la condanna?
Risposta: Sì, in molti casi il pagamento integrale del dovuto prima del dibattimento penale è una causa di non punibilità che estingue il reato. L’art. 13 D.Lgs.74/2000 lo prevede espressamente: se paghi tutto il debito tributario (imposta evasa + interessi + sanzioni amministrative) prima che inizi il giudizio (precisamente, entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado), non sei punibile per diversi reati tributari, tra cui la dichiarazione infedele, l’omessa dichiarazione, l’omesso versamento di IVA o ritenute, e anche le frodi fiscali (art.2 e 3). La legge 157/2019 ha esteso questa chance anche ai reati di frode, prima limitata.. In concreto: se l’Agenzia Entrate ti contesta 500.000 € di IVA evasa e tu, anche a rate o con accordi, versi tutti quei 500.000 € più le sanzioni amministrative correlate prima del processo, potrai chiedere al giudice penale di dichiarare il reato non punibile per avvenuto pagamento. Attenzione però: il pagamento dev’essere integrale. Se paghi solo una parte, otterrai semmai un’attenuante, ma non l’estinzione del reato. Inoltre, questa causa di non punibilità non si applica a chi era già recidivo specifico o ha commesso altre frodi negli ultimi 5 anni (per evitare “paghi e rifai”). C’è anche un’altra situazione: nel 2023, con il DL 34/2023, hanno introdotto temporaneamente la non punibilità per chi definiva col Fisco certe liti pendenti e pagava (la cosiddetta tregua fiscale nella L.197/2022). Ad esempio, se avevi un processo per omesso versamento e hai aderito alla definizione agevolata nel 2023 pagando il dovuto, il reato si estingue. Un’ulteriore novità del 2024: per gli omessi versamenti IVA o ritenute, è causa di non punibilità anche dimostrare che il mancato pagamento è dipeso da una crisi di liquidità non colpevole (insolvenza dei clienti, mancati pagamenti dalla PA, ecc.). In tal caso, il giudice può non punire se ritiene provato che davvero non avevi i soldi per pagare per motivi indipendenti dalla tua volontà. In sintesi, la strada del pagamento è fortemente incoraggiata dalla legge: se ti è possibile, pagare spontaneamente il debito IVA (magari con accordi di riduzione sanzioni) è di gran lunga la miglior strategia per evitare guai penali – ti mette al riparo non solo dall’arresto, ma proprio da qualsiasi condanna. Se non riesci a pagare tutto, cerca almeno di iniziare a farlo o di rateizzare: anche questo può sospendere sequestri e convincere il giudice a darti benefici (ad es. pena sospesa o attenuanti generiche).

Domanda: Come posso dimostrare la mia buona fede se la mia azienda ha inavvertitamente fatto affari con un fornitore che si rivela essere una “cartiera” coinvolta in frodi IVA?
Risposta: Dimostrare la buona fede significa provare che non sapevi né potevi ragionevolmente sapere che il tuo fornitore era fraudolento, e che hai adottato la normale diligenza negli affari. In pratica devi fornire al giudice (tributario e penale) tutte le evidenze delle verifiche e precauzioni che hai preso nel selezionare e gestire il rapporto col fornitore. Esempi concreti di elementi da presentare:

  • La visura camerale e documenti del fornitore all’epoca: se risultava iscritto da anni, con sede e oggetto sociale coerente, ciò indica che sulla carta era affidabile.
  • Controlli VIES (VAT Information Exchange System): stampa dell’interrogazione dalla quale risulti che la partita IVA comunitaria del fornitore era valida. Se trattasi di operatore intracomunitario, l’aver verificato la validità IVA è segno di diligenza.
  • Corrispondenza commerciale: email, lettere, preventivi che attestino trattative normali, la presenza di interlocutori reali con nomi e cognomi, eventualmente copie di documenti d’identità forniti.
  • Visite o ispezioni presso la sede: se tu (o qualcuno delegato) sei andato presso l’azienda fornitrice, descrivi cosa hai visto (ad esempio: uffici, magazzino con merce, personale presente). Se hai foto o rapporti interni, meglio. Anche una relazione dell’agente/rappresentante che ha presentato il fornitore può aiutare.
  • Modalità di pagamento tracciate: se hai sempre pagato con bonifico su conto intestato alla società fornitrice e non a persone fisiche o all’estero strano, è un punto a favore (i caroselli spesso usano pagamenti complessi o cash).
  • Prezzi praticati: se erano in linea col mercato e non eccessivamente bassi (o se bassi, avevi una spiegazione plausibile, es. acquisto stock fine serie), fai emergere questo. Un prezzo troppo vantaggioso poteva essere un campanello d’allarme; se non lo era, la buona fede è più credibile.
  • Documenti di trasporto e logistica: mostra che la merce l’hai ricevuta davvero (bolle firmate, DDT, tracking spedizioni). Se la merce c’era, già la frode “soggettiva” è meno grave perché c’è effettività di operazione.
  • Reazioni appena scoperto il problema: ad esempio, quando hai saputo dell’indagine, hai provato a contattare il fornitore? Hai presentato denuncia se ti sei sentito truffato? Questo dimostra che non eri connivente, ma parte lesa.

In tribunale, magari tramite testimoni, puoi far emergere che i tuoi funzionari visitavano regolarmente il fornitore, che nulla di anomalo è mai emerso (nessun capannone vuoto, nessun rifiuto a farvi vedere i beni). Se qualche segnale c’era (tipo consegne fatte in posti diversi), spiega perché non destava sospetto all’epoca. La legge non pretende l’impossibile: come riconosciuto dalla Cassazione, se “non potevi sapere né sospettare nonostante la dovuta diligenza”, non sei punibile e nemmeno ti si può negare il credito IVA. Ad esempio, in una sentenza 2023 la Cassazione ha ribadito che il cedente di merce intracomunitaria deve provare la consegna effettiva o, in mancanza, la sua buona fede ossia che non sapeva né poteva sapere della frode dell’acquirente. Questo principio vale anche a ruoli invertiti. Quindi, raccogli e produci ogni prova della tua onestà commerciale: contratti chiari, procedure interne di controllo fornitori, ecc. Più il tuo comportamento apparirà normale e prudente, più passerai per vittima ingenua di un raggiro e non per complice.

Domanda: La Guardia di Finanza mi ha fatto una perquisizione e sequestrato documenti e computer. Possono usare tutto quello che trovano contro di me? Come posso difendermi sul fronte delle prove raccolte?
Risposta: La Guardia di Finanza (in veste di polizia giudiziaria) sequestra materiale ritenuto utile alle indagini, ma l’uso di quelle prove nel processo deve rispettare le garanzie di legge. Puoi difenderti su più livelli:

  • Controllo di legittimità del sequestro: verifica con il tuo avvocato se il decreto di perquisizione/sequestro era formalmente corretto (c’era una base giuridica, un provvedimento motivato). Se qualcosa non va (ad es. perquisizione fatta in luoghi non autorizzati, o dopo i termini, etc.), si può chiedere al giudice di dichiarare inutilizzabili le prove acquisite illegittimamente. Ad esempio, la Cassazione ha annullato sequestri predisposti in modo sproporzionato rispetto alle esigenze se non motivati sul periculum.
  • Segreto professionale e dati non pertinenti: se tra i documenti sequestrati ce ne sono di non rilevanti col reato o coperti da segreto (es. corrispondenza con il tuo avvocato o documentazione personale), puoi chiederne l’esclusione dal fascicolo. Il codice tutela le comunicazioni avvocato-cliente e comunque la pertinenza: in teoria dovrebbero restituirti ciò che è estraneo all’indagine. Praticamente, spetta a te segnalare quei casi (magari facendo istanza di riesame sul punto).
  • Analisi tecnica dei file digitali: chiedi copia forense dei dischi sequestrati e fallo analizzare da un tuo perito informatico. Potrai scoprire se la Finanza ha estratto solo certe email fuori contesto e individuarne altre che invece ti scagionano. Durante il processo, la difesa può presentare la propria selezione di documenti dai computer per completare il quadro. Importante: se sospetti che i dati possano essere stati alterati o mal attribuiti, il tuo perito può testarlo (di solito i corp di reato informatici hanno hash di integrità per garantirne la genuinità).
  • Confrontare i documenti con la realtà contabile: la GdF spesso fa rilievi su differenze tra fatture trovate e dichiarazioni. Il tuo consulente commerciale potrebbe reinterpretare quei dati: ad esempio, trovare corrispondenza tra appunti interni e transazioni regolari che smentiscono la tesi di occultamento. In giudizio, contesterai le letture unilaterali della PG.
  • Esame dei verbalizzanti e periti del PM: hai il diritto di contro-interrogare in dibattimento i finanzieri che hanno eseguito la perquisizione e gli eventuali consulenti del PM. Sfrutta l’occasione per evidenziare possibili errori: “Confermate che quel computer era acceso e non avete usato un write blocker inizialmente?”; “È vero che non c’era alcun elenco di documenti allegato al verbale di sequestro in loco e avete inventariato solo in caserma?”. Qualunque procedura non standard può gettare dubbio sull’affidabilità della prova.
  • Riesame del sequestro dei beni (patrimoniali): se ti hanno anche sequestrato conti e beni equivalenti all’IVA evasa, fai subito ricorso al tribunale del riesame. Puoi far leva su: mancanza di fumus (es. contestazione giuridicamente debole) o mancanza di periculum in mora. Ad esempio, Cassazione 2023 ha detto che avere debiti IVA e patrimonio esiguo non basta a giustificare il sequestro, serve spiegare perché non si può attendere la fine del processo. Se stai pagando il debito a rate e sei solvibile, enfatizza che il sequestro non serve. Potresti ottenere il dissequestro totale o parziale dei beni.

In sintesi, , la Finanza può usare ciò che trova come prove, ma tu puoi: invalidarle se raccolte fuori legge; contro-dedurre con tue analisi su quei documenti; e far emergere eventuali aspetti a tuo favore se la selezione fatta dagli investigatori è stata parziale. L’obiettivo è far emergere in giudizio un quadro completo e, se possibile, neutralizzare gli elementi più pregiudizievoli mostrando che sono stati travisati o ottenuti violando regole. Questo richiede lavoro tecnico di fino, ma in processi complessi spesso paga (a volte le prove regine decadono per vizi formali, o almeno vengono ridimensionate da ulteriori evidenze introdotte dalla difesa).

Domanda: È vero che nel penale il giudice deve fare il calcolo dell’imposta evasa in modo autonomo e non può fidarsi degli accertamenti fiscali?
Risposta: Sì, esatto. In ambito penale tributario vige il principio che spetta al giudice penale determinare l’ammontare dell’imposta evasa ai fini del reato, senza poter applicare meccanicamente gli esiti dell’accertamento amministrativo. La Cassazione lo ha chiarito: nel processo penale “il giudice non può applicare le presunzioni legali o i criteri del giudizio tributario” e deve valutare le prove a carico con metodo proprio. Questo significa che se in ambito fiscale l’Agenzia ha quantificato 1 milione di IVA evasa con presunzioni (es. movimenti bancari non giustificati), il giudice penale non può prendere quel milione per buono acriticamente. Deve guardare le prove concrete: per esempio, verificare fattura per fattura quali sono false, quali ricavi non dichiarati emergono da documenti certi, ecc., e su quelle basi stabilire l’imposta sottratta. Tant’è che a volte succede che l’importo evaso riconosciuto in penale differisce da quello fiscale. Può essere minore (spesso) perché alcune voci contestate dal Fisco non reggono come prova oltre ogni dubbio, e quindi il giudice penale le esclude dal conteggio. Per esempio: su 100 fatture contestate, 20 erano dubbie e vengono tolte, così l’IVA evasa ritenuta provata penalmente scende. Oppure, se c’erano errori di calcolo o doppi conteggi (capita in indagini complesse), la difesa li segnala e il giudice li corregge. Un caso classico: l’Ufficio magari applica sanzioni e interessi, ma per il reato conta solo l’imposta. O ancora: il Fisco considera evasa anche l’IVA in detrazione negata, ma penalmente ciò va valutato con attenzione (per es., se l’acquirente aveva poi versato quell’IVA a valle in altro modo, ecc.). Inoltre, ai fini del superamento delle soglie di punibilità, il giudice penale deve guardare ciò che l’imputato ha effettivamente evaso. Se la difesa dimostra in giudizio che una parte del debito è stata già pagata o non era dovuta, questo incide. Ad esempio, Cassazione ha detto che il giudice penale può ben arrivare a conclusioni diverse su cosa sia dovuto, e se l’imposta evasa scende sotto soglia, ne va tratto conto (il reato può diventare non punibile per difetto di soglia). Dunque, la risposta è: il giudice penale rifà i compiti da capo, usando le prove acquisite in sede penale. Ciò costituisce una garanzia per l’imputato, perché evita che un accertamento basato su presunzioni non rigorose lo condanni penalmente: servirà comunque una verifica autonoma e contraddittorio in aula su ogni cifra. In sintesi: l’imputato può sempre contestare il “quantum” dell’imposta evasa nel penale, costringendo il PM a provare il calcolo e il giudice a motivarlo specificamente. Non basta dire “lo dice il Fisco”: in penale bisogna dimostrare voce per voce.

Domanda: Dopo una condanna per frode IVA, potrò continuare a fare l’imprenditore o avrò limitazioni?
Risposta: Dipende dalla gravità della condanna. In caso di condanna definitiva per reati tributari, la legge prevede alcune pene accessorie che possono incidere sulla tua attività professionale:

  • L’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni (se la pena supera 3 anni) o per la durata della pena (se entro 3 anni). Questo significa perdere per quel periodo il diritto di elettorato, cariche pubbliche, etc. Non incide direttamente sul fare impresa privata.
  • L’interdizione legale se la condanna è >= 5 anni (caso di condanne altissime, rare in tributario a meno di cumuli); ciò comporta perdita o sospensione di diritti civili e, se imprenditore individuale, potrebbe dover nominare un curatore per l’amministrazione dei beni durante la pena.
  • L’interdizione da cariche direttive delle imprese: questa non è automatica per tutti i reati tributari, ma il giudice può applicarla ai sensi dell’art. 12 D.Lgs.74/2000 per alcuni delitti gravi. Ad esempio, per frodi gravi può essere disposta l’interdizione dagli uffici di amministratore, sindaco o liquidatore di società per un certo periodo (da 6 mesi a 3 anni generalmente).
  • L’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione: anche questa può essere conseguenza di pene accessorie generali se la condanna supera determinati limiti.
    Inoltre, se la tua società è stata coinvolta e sanzionata ex D.Lgs.231/2001, potrebbe subire essa stessa misure interdittive come il divieto di esercitare l’attività o il commissariamento per alcuni mesi/anni. Ciò indirettamente ti impedirebbe di proseguirla.
    In pratica, scenario tipico: se vieni condannato a, ad esempio, 2 anni di reclusione con pena sospesa per frode, probabilmente il giudice ti concederà le attenuanti generiche e non ti applicherà interdizioni particolari (potrebbe non farlo se la pena è breve). Continuerai formalmente a poter fare l’imprenditore. Ma se fossi condannato a 4-5 anni (frode molto grossa), potresti vederti interdetto da cariche e mestieri analoghi per la durata della pena + 3 anni extra. Ciò significa che per quell’arco di tempo non potresti essere amministratore di società, né gestire imprese in proprio (se lo facessi violeresti la pena accessoria, commettendo altro reato).
    Da non dimenticare: la condanna penale fiscale può far scattare controlli di affidabilità: ad esempio, difficoltà ad ottenere certificati penali puliti per partecipare a bandi pubblici, o problemi di reputazione creditizia. Insomma, anche senza un divieto legale, avere una condanna per frode fiscale è un bel macigno per l’attività imprenditoriale (basti pensare ai rapporti con le banche o clienti).
    Riassumendo: per condanne contenute, di solito nessun divieto automatico di fare l’imprenditore (a parte l’onta sul casellario); per condanne elevate, possibili sospensioni temporanee dal poter dirigere o rappresentare imprese. Una volta espiata la pena e terminato il periodo interdittivo, i diritti si riacquistano. Vale poi considerare la riabilitazione: dopo almeno 3 anni dal fine pena, puoi chiedere la riabilitazione che cancella le pene accessorie residue e “pulisce” un po’ la fedina (non elimina la condanna, ma la annota come estinta).

Domanda: Quali sono le sentenze più importanti in materia di frodi IVA che possono aiutare la difesa?
Risposta: Ci sono numerose sentenze, sia di Cassazione italiana che di Corte di Giustizia UE, che costituiscono punti fermi a favore della difesa in casi di frode IVA. Eccone alcune rilevanti e il principio che affermano:

  • Cass. Civ. Sez. Trib. n. 33620/2023: ha ribadito il principio UE che, se il Fisco contesta l’inesistenza soggettiva di operazioni (esportazioni fittizie), il contribuente deve provare il trasporto effettivo oppure, in mancanza, dimostrare la sua buona fede cioè che non sapeva né poteva sapere del disegno fraudolento e che ha adottato tutte le misure ragionevoli per evitarlo. Questa sentenza dà forza all’argomento della buona fede del cessionario: se riesci a provarla, le pretese IVA vanno annullate.
  • Cass. Pen. Sez. III n. 45533/2023: riguarda i sequestri preventivi finalizzati alla confisca: ha stabilito che non possono essere disposti in modo automatico solo perché l’azienda ha un debito IVA elevato e patrimonio insufficiente. Occorre una motivazione specifica sul perché è urgente sequestrare subito e non attendere la fine del processo. Questo aiuta la difesa nel contestare sequestri troppo “facili” e ottenere la restituzione dei beni se manca pericolo concreto.
  • Cass. Pen. Sez. Unite n. 37424 e 37425/2013: (un po’ datate ma fondamentali) sul rapporto ne bis in idem e doppio binario: affermarono che il giudicato penale non vincola quello tributario e viceversa, ma anche che il giudice penale non può usare le presunzioni tributarie in danno dell’imputato. Principi poi confermati da molte successive, come Cass. 44170/2023 che ancora richiama l’argine alle presunzioni.
  • Corte di Giustizia UE, causa C-80/11 e C-142/11 (Mahagében e Dávid, 2012) e causa C-277/14 (PPUH Stehcemp, 2015): hanno sancito che l’IVA a credito non può essere negata all’acquirente se non vi è prova che sapesse o avrebbe dovuto sapere della frode del fornitore. Gli Stati non possono pretendere che l’acquirente effettui controlli che non gli competono (come ispezionare la contabilità altrui); basta che agisca con diligenza dell’uomo d’affari medio. Queste sentenze UE sono spesso citate in difesa per sostenere il diritto alla detrazione e la mancanza di colpevolezza.
  • Cass. Pen. n. 5467/2020 (Sez. III) e n. 1837/2020: hanno affrontato il tema della configurabilità o meno del concorso tra reato tributario e altri reati come la truffa ai danni dello Stato. Hanno precisato che il fatto di evadere IVA esaurisce di norma la violazione nel reato tributario specifico, non serve ricorrere al reato generale di truffa (art.640 c.p.) salvo casi particolari. Ciò impedisce duplicazioni di imputazioni: la difesa può eccepire il principio di specialità in caso di contestazioni multiple.
  • Cass. Civ. n. 21104/2021: (Sez. Trib.) ha stabilito che è onere dell’Amministrazione provare, se nega la detrazione IVA al cessionario, gli elementi oggettivi della frode e almeno indizi che il cessionario sapesse; solo dopo scatta l’onere del contribuente di provare la buona fede. Principio utile nel tributario: il Fisco non può limitarsi a dire “il tuo fornitore non ha versato IVA, quindi anche tu sei colpevole”; deve dare prova del castello fraudolento.
  • Cass. Pen. n. 3635/2020: ha affrontato la questione del dolo nelle compensazioni indebite: ha ritenuto che se vi è obiettiva incertezza normativa sulla spettanza di un credito, non c’è dolo di evasione. Questo prelude alla norma del 2024 che ha introdotto proprio la non punibilità in caso di incertezza tecnica sui crediti.

Questi sono solo alcuni esempi. In generale, la difesa in giudizio citando autorevoli pronunce rafforzative (soprattutto Cassazione e CGUE) può convincere il giudice a seguire quell’orientamento. Ad esempio, far presente la massima “nel penale nessuna presunzione fiscale di per sé può ribaltare l’onere della prova” aiuterà a escludere scorciatoie accusatorie. Oppure citare Cass. 29448/2018: “la regolarità formale delle scritture e pagamenti non prova l’estraneità alla frode” serve a prevenire l’obiezione che portare fatture e bonifici regolari basti; bisognerà far di più (mostrare sostanza economica). Insomma, la conoscenza delle sentenze chiave consente di orientare la linea difensiva in modo fondato e persuadere i giudici con argomenti già validati ai massimi livelli.

Domanda: Ho ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per IVA non versata e fatture false, mentre il processo penale è ancora in corso. Cosa devo fare sul piano tributario?
Risposta: Devi assolutamente attivarti anche sul fronte tributario senza aspettare l’esito penale, perché l’avviso di accertamento ha scadenze rapide e, se trascurato, diventa definitivo. In pratica:

  1. Presenta ricorso tributario entro 60 giorni all’organo competente (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione). Nel ricorso contesta nel merito le riprese IVA, adduci la tua buona fede, la realtà delle operazioni e ogni argomento possibile (come faresti in penale, ma adattato al linguaggio tributario). Chiedi l’annullamento dell’IVA e delle sanzioni.
  2. Chiedi la sospensione dell’esecutività se l’importo è esoso e il pagamento immediato ti creerebbe danno grave. Devi dimostrare il periculum (es. rischio di fallire se paghi subito) e il fumus boni iuris (motivi non pretestuosi nel ricorso). Spesso, se c’è un penale pendente e questioni complesse, la sospensione viene concessa fino alla sentenza di primo grado tributaria.
  3. Valuta strumenti deflativi: per esempio, puoi presentare istanza di accertamento con adesione all’Agenzia prima del ricorso, per cercare un accordo. Questo ti sospende i termini di ricorso per 90 giorni e potresti ottenere una riduzione delle sanzioni. Però attenzione: aderire significa in sostanza riconoscere le violazioni (anche se con sanzioni ridotte). Ciò potrebbe poi essere usato contro di te nel penale come ammissione. D’altra parte, se l’adesione ti fa risparmiare tanto e riesci a pagare tutto, potresti spegnere il penale con l’art.13 (non punibilità per pagamento integrale). È un bilanciamento delicato: decidi col tuo avvocato penale e il consulente fiscale se puntare al contenzioso duro o a trovare una transazione col Fisco.
  4. Coordina le difese: le argomentazioni nel ricorso tributario devono essere coerenti con quelle penali. Non sostenere tesi opposte (tipo in penale “non sapevo nulla”, in tributario “in realtà sapevo ma non c’è reato” – contraddittorio e pericoloso). Mantieni la linea della buona fede o di ciò che è: se c’è stata evasione ma confidi nel patteggiamento, nel tributario magari conviene limitare il danno e chiudere, ma senza confessare reati. Si possono usare formule tipo “adesione per evitare lungaggini, senza riconoscere dolo”.
  5. Monitora il giudizio tributario: se l’iter penale va per le lunghe, il tributario potrebbe arrivare a sentenza prima. Se vinci in tributario (accertamento annullato), porta subito quell’esito al giudice penale: non sarà vincolante ma certamente influente, specie se motivato sul fatto che le operazioni erano reali o contribuente inconsapevole. Viceversa, se perdi in tributario, puoi comunque continuare la difesa penale (il giudicato fiscale non prova il reato).
  6. Pagamento frazionato e rapporti col penale: se decidi di pagare parte del dovuto (magari per sbloccare i beni o per ridurre interessi), sappi che l’Agenzia pretende almeno il 1/3 subito dopo l’emissione in primo grado se non sospeso, e un altro 1/3 dopo sentenza di secondo grado (fino a concorrenza). Quindi potresti dover pagare qualcosa anche con processo penale in corso. Pagare non equivale ad ammettere reato (lo potrai sempre dire che l’hai fatto per evitare aggravi) e intanto riduce il debito. In penale, pagamenti parziali post-fatto contano come attenuante.

In sostanza: non ignorare l’avviso! Difenditi in Commissione come se il penale non esistesse – e parallelamente informa il giudice penale delle evoluzioni significative del contenzioso tributario. Spesso conviene farsi assistere da un tributarista ad hoc per il processo fiscale (in aggiunta al penalista), coordinati tra loro. Il fine è evitare che l’Erario ti presenti un conto definitivo mentre magari sei ancora innocente penale: se poi anche ti assolvi penalmente, sarebbe beffa dover pagare. Quindi lotta su entrambi i fronti per allineare, idealmente, un esito positivo doppio.

Domanda: La mia società può essere ritenuta responsabile in solido o autonomamente per queste frodi? Può “scaricare” la colpa su di me amministratore?
Risposta: Sul piano tributario, la società (se parliamo di società di capitali) è sempre il soggetto primario obbligato al pagamento delle imposte evase e delle sanzioni amministrative pecuniarie. Tuttavia, in casi di società “schermo” utilizzate come mere cartiere per interessi personali dell’amministratore, la Cassazione ha affermato un principio importante: si applica l’art. 7 del D.L. 269/2003 solo se l’amministratore ha agito nell’interesse della società; se invece la società era un paravento fittizio e l’amministratore di fatto perseguiva un vantaggio proprio, allora le sanzioni amministrative fiscali colpiscono direttamente la persona fisica. Quindi il Fisco può dirti: “Caro amministratore, la tua SRL era inesistente, quindi paghi tu di tasca tua le sanzioni”. Questo avviene in situazioni estreme in cui la società è nulla più che un guscio vuoto. In genere comunque, finché la società esiste, il Fisco chiede a lei i soldi (poi se non li ha, li escuterà su garanti o patrimoni personali se ci sono titoli per farlo, es. reati tributari colpevoli possono generare un’azione di rivalsa).
Sul piano penale, come già accennato, oggi l’ente societario può avere una propria responsabilità amministrativa ex D.Lgs.231/2001 per alcuni reati tributari (tra cui dichiarazione fraudolenta, infedele, omessa, indebita compensazione). Ciò significa che, oltre al processo a tuo carico, può svolgersi un processo parallelo contro la società con imputazione di illecito 231, se il reato è stato commesso nel suo interesse o vantaggio. La società in tal caso rischia sanzioni (multe fino a 500 quote, potenzialmente milioni di euro) e interdizioni. Può difendersi dimostrando di avere modelli organizzativi efficaci e che la colpa è solo del singolo che ha eluso i controlli. Però, onestamente, per frodi IVA di solito le società coinvolte non hanno modelli 231 (sono spesso piccole o comunque non dotate di compliance formale), quindi la responsabilità scatta. Dunque la società può essere condannata in aggiunta a te. Non può “scaricare” la colpa su di te per evitarla: o meglio, la difesa dell’ente può sostenere che l’autore ha agito per fini suoi (così l’ente non ne risponde), ma in parallelo ciò aggrava te come persona. Quindi o paga uno o paga l’altro, il sistema cerca di non lasciare buchi. In molti casi pratici, la società cartiera finisce in nulla (magari fallita) e la condanna pecuniaria a suo carico resta inesigibile, mentre l’amministratore viene colpito penalmente e poi civilmente per i danni.
Se invece parliamo di solidarietà nel pagamento delle imposte, attenzione: l’art. 11 D.Lgs.472/97 prevede che nelle violazioni fiscali commesse da persone giuridiche ne rispondono in solido, per il pagamento delle sanzioni, anche gli amministratori che con dolo o colpa grave hanno contribuito alla violazione. Ciò significa che se la tua SRL non paga l’IVA e tu l’hai fatto apposta, il Fisco può chiedere a te personalmente le sanzioni (non l’imposta, ma le sanzioni e interessi) in via solidale. Quindi, in effetti, , l’Erario può rivalersi sull’amministratore. E in caso di frode conclamata, è quasi la regola perché la società di solito è insolvente.
In sintesi: la società non “scarica” la colpa su di te, piuttosto spesso siete entrambi ritenuti responsabili su piani diversi (tu penalmente e patrimonialmente come autore, la società per gli obblighi tributari). Se la società eri tu in sostanza (amministratore unico di società fittizia), la distinzione svanisce: paghi tu e rispondi tu. Se invece era un’azienda vera e tua magari di famiglia, potresti cercare di far valere che la responsabilità è solo tua e che l’azienda non ne tragga vantaggi (ma è difficile se quei soldi evasi li ha usati l’azienda stessa per autofinanziarsi). La miglior tutela per la società è dimostrare che l’illecito è avvenuto contro la volontà dell’organizzazione, il che nelle frodi orchestrate dall’apice societario non è credibile. Caso diverso: tu sei il dipendente/collaboratore infedele che ha fatto la frode a insaputa della società – allora la società come ente potrebbe non rispondere (e scaricare tutto su di te come soggetto agente). Ma se tu sei l’amministratore apicale, la società ne risponde anch’essa.

Domanda: Qual è la prescrizione per i reati di frode IVA e simili? Posso sperare che il processo cada in prescrizione?
Risposta: I termini di prescrizione per i reati tributari sono stati ritoccati più volte. Ad oggi (2025), dopo la riforma “Spazzacorrotti” e la direttiva PIF:

  • Per i reati di dichiarazione fraudolenta (art.2 e 3) e emissione di fatture false (art.8) la prescrizione è di 8 anni (termine base) dalla commissione del fatto, aumentabile fino a 2 anni in caso di atti interruttivi (rinvio a giudizio, ecc.) secondo la legge applicabile ai fatti precedenti la riforma Cartabia. Dopo la riforma Cartabia (2022), le regole di prescrizione sono cambiate: il decorso si blocca alla sentenza di primo grado e subentra l’improcedibilità in appello dopo termini prefissati. Ma per semplicità: diciamo che circa 8 anni è il tempo, più eventuali sospensioni/interruzioni. Questi reati gravi comunque difficilmente vanno prescritti in 8 anni perché la Procura li persegue con priorità e spesso arrivano a sentenza prima.
  • Per dichiarazione infedele (art.4) e omessa dichiarazione (art.5), nonché omesso versamento (artt.10-bis e 10-ter) la prescrizione base era 6 anni (essendo pene massime sui 4-5 anni) e ora con le modifiche normative potrebbe essere intorno a 6 o 7½ anni (6 + 1/4) per fatti antecedenti 2020. Dopo la riforma, rimane grosso modo quell’ordine. Ad esempio, omesso versamento IVA è punito max 2 anni, prescrive in 6 anni (reato istantaneo che si consuma al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo imposta). Questi reati minori hanno più chance di prescriversi se i processi durano, specie infedele con soglia di 100k dove a volte se ne accumulano diversi anni e i tempi corrono.
  • Va ricordato il caso Taricco e la direttiva PIF: per frodi IVA gravi sopra 10 milioni, l’Europa pretendeva termini non inferiori a quelli utili per punirle effettivamente. L’Italia con la legge 3/2019 ha portato a 8 anni i termini proprio per adeguarsi. Quindi oggi la prescrizione non è più brevissima come in passato (quando bastavano 4-5 anni e molte frodi cadevano).
    In concreto: si può sperare nella prescrizione solo se il procedimento subisce rallentamenti notevoli. Ad esempio, se l’indagine parte tardissimo o si blocca, o se dopo la sentenza di primo grado l’appello non viene celebrato in tempi ragionevoli. Con la riforma Cartabia, se l’appello non si conclude entro 2 anni (prorogabili di 1 in casi complessi), scatta l’improcedibilità: questo è un nuovo istituto simile a una “prescrizione processuale” in secondo grado. Quindi se in primo grado non si prescrive, c’è ancora la possibilità che l’appello decada per durata eccessiva.
    Detto ciò, non contare troppo sulla prescrizione come strategia, perché lo Stato ha allungato i termini apposta per i reati fiscali e c’è spinta a concludere i processi. Inoltre, pagare il debito interrompe la prescrizione? No, però la legge (fino al 2022) sospendeva il decorso mentre sono pendenti procedure di accertamento con adesione e simili (fino a 1 anno max). E la riforma Cartabia ha reso la prescrizione processuale “indisponibile” dalle parti. Insomma, puntare a tirarla lunga deliberatamente è rischioso e poco etico.
    Riassumendo: frodi gravi 8 anni (più eventuali sospensioni per atti esteri rogatoriali etc.), reati minori 6 anni circa. Se il tuo processo penale è iniziato, la tempistica va seguita attentamente dal legale per eccepire al momento giusto l’eventuale prescrizione maturata. Ma spesso conviene difendersi sul merito, perché le autorità cercano di arrivare a condanna ben prima del limite.

Domanda: Quali strategie posso adottare se la frode IVA contestata è avvenuta all’interno di un contesto più ampio, ad esempio legata a un fallimento o a reati di riciclaggio?
Risposta: Quando la frode IVA si inserisce in un contesto di criminalità economica complessa (fallimenti pilotati, riciclaggio di proventi illeciti, associazioni a delinquere), la difesa deve considerare la globalità delle accuse. Strategicamente:

  • Separare le posizioni: se sei accusato, ad esempio, sia di frode fiscale che di bancarotta fraudolenta o riciclaggio, cerca di distinguere i ruoli e i momenti. Far emergere che la frode IVA era un episodio isolato e non parte di un disegno criminale più ampio può evitarti l’aggravante associativa e l’immagine del “criminale professionale”. Magari ammetti (se opportuno) l’evasione fiscale ma nega assolutamente di aver riciclato proventi o di aver agito in banda organizzata.
  • Coordinare le difese nei diversi procedimenti: spesso questi reati plurimi portano a processi diversi (tributario da una parte, fallimentare dall’altra, ecc.). Assicurati che gli avvocati (o lo stesso se unico) armonizzino le strategie. Ad esempio, in sede fallimentare potresti sostenere che il fallimento è stato causato dal sequestro fiscale e non da distrazioni, per alleggerire la bancarotta.
  • Focus sul dolo specifico differenziato: il dolo di evasione è “non pago le imposte”, il dolo di riciclaggio è “occulto origine illecita di denaro”. Potresti argomentare: “ho evaso per tenere in piedi l’azienda, non per arricchirmi personalmente, e non ho trasferito i fondi all’estero”. Se regge, magari sei colpevole di evasione ma non di riciclaggio (che richiede in più l’attività di ripulitura).
  • Associazione a delinquere (416 c.p.): spesso in grandi caroselli contestano l’associazione per delinquere finalizzata a frode IVA. Difesa: evidenzia l’assenza di un vincolo stabile e organizzato diverso dalla mera pluralità di reati tributari. Se dimostri che erano accordi occasionali o meramente commerciali, l’associazione può cadere. Questo riduce enormemente le pene (l’associazione aggiunge anni e fa apparire tutto più grave).
  • Procedura EPPO: se entra in gioco l’European Public Prosecutor Office (Procura Europea) perché c’è danno IVA transnazionale notevole, la strategia difensiva deve adattarsi a un approccio “europeo”: magari proporre risarcimenti integrali dei danni UE (per ottenere clemenza), o evidenziare che la dimensione transnazionale era minima (per evitare aggravanti euro-unitarie). Con EPPO spesso conviene mirare a un patteggiamento transattivo a livello europeo, perché tendono a voler recuperare soldi più che incarcerare a lungo.
  • Riciclaggio e autoriciclaggio: se ti accusano di aver riciclato i proventi dell’evasione (ad esempio comprando beni a nome di terzi), valuta se puoi inquadrare le operazioni come semplice impiego del denaro nella stessa attività, che potrebbe rientrare nel reato presupposto e non in un autonomo riciclaggio (principio del ne bis in idem sostanziale, anche se con autoriciclaggio ora punito, c’è l’esimente se i beni li usi per godimento personale). Ad esempio: hai evaso IVA e con quei soldi hai pagato debiti aziendali – questo non è riciclaggio, è rimasto nel circolo dell’impresa. Diverso sarebbe se li hai mandati a società offshore. Quindi, circostanzia la destinazione dei fondi evasi in modo da escludere il fine di occultamento.
  • Fallimento societario: se la tua società è fallita e ti contestano bancarotta fraudolenta oltre alla frode IVA, sottolinea che l’attivo sociale fu intaccato dal dover poi pagare quei debiti fiscali o da sequestri. O che la frode IVA non ha aggravato il dissesto ma anzi era (erroneamente) tentativo di evitarlo. Insomma, provare a scollegare l’evasione dal danno ai creditori. Magari convincere che la bancarotta documentale (aver distrutto carte) non c’è, fornendo tu spontaneamente documentazione fiscale (mostra cooperazione).
    In breve, in contesti multi-reato la difesa deve prioritizzare cosa contestare di più: a volte conviene sacrificare l’ammissione su reati minori (es. “sì ho evaso”) per smontare quelli peggiori (associazione o riciclaggio). Si cerca di de-criminalizzare la figura dell’imputato: farlo apparire un imprenditore in difficoltà che ha barato sul fisco, piuttosto che un mafioso fiscale. Questa narrazione, se supportata da fatti (pagamenti poi effettuati, vita specchiata altrimenti, cooperazione con giustizia), può portare i giudici a escludere i capi più infamanti e trattare la questione come un “semplice” reato tributario, eventualmente sanabile col pagamento e meritevole di pena contenuta.

Le domande sopra coprono molti dei dubbi pratici più diffusi. Naturalmente ogni caso di frode IVA ha le sue peculiarità e andrebbe esaminato dettagliatamente con professionisti. Tuttavia, i principi generali e le strategie delineate in questa guida forniscono una bussola per orientarsi in una materia intricata.

Di seguito, passiamo alle fonti e riferimenti utilizzati, così da offrire i necessari appigli normativi e giurisprudenziali a supporto di quanto esposto.

Fonti e Riferimenti Normativi e Giurisprudenziali

  • Corte di Cassazione, Sez. V Tributaria, sent. n. 33620/2023 (dep. 1° dic. 2023) – Principio di buona fede del contribuente nelle operazioni soggettivamente inesistenti (frode carosello): il cedente deve provare trasporto effettivo o, in mancanza, la propria buona fede (non sapeva né poteva sapere della frode, avendo adottato misure ragionevoli).
  • Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sent. n. 45533/2023 (13 nov. 2023) – Sequestro preventivo per reati tributari: non può disporsi sui conti aziendali solo perché la società ha debiti fiscali ingenti e patrimonio inferiore all’IVA evasa; il periculum in mora non si presume dallo stato di incapienza, ma va motivato indicando perché non si può attendere la fine del processo.
  • Decreto Legislativo 14 luglio 2020, n.75 (attuazione Direttiva UE 2017/1371, c.d. “Direttiva PIF”) – Ha introdotto la punibilità a titolo di tentativo per i reati dichiarativi (artt. 2,3,4 D.Lgs.74/2000) se finalizzati a evasione IVA ≥ €10 milioni e con atti anche in altri Stati UE; inoltre ha ampliato il catalogo 231 includendo i delitti di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione e indebita compensazione (quando rilevanti per interessi finanziari UE).
  • Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sent. n. 44170/2023 (3 nov. 2023) – Ribadisce che nel processo penale tributario non possono entrare le presunzioni tipiche del diritto tributario che invertirebbero l’onere della prova a carico dell’imputato, pena la violazione della presunzione d’innocenza. Richiama precedenti Cass. n. 6823/2015 e ordinanza Corte Cost. n.33/2002 che affermano lo stesso principio.
  • Decreto-Legge 30 marzo 2023, n.34 (conv. L.56/2023), art.23 – Introduce una causa speciale di non punibilità per alcuni reati tributari (omessi versamenti art.10-bis e 10-ter, indebite compensazioni art.10-quater c.2, sottrazione fraudolenta art.11) se il contribuente aderisce e versa integralmente quanto dovuto secondo le procedure di definizione agevolata previste dalla L.197/2022 (Bilancio 2023).
  • Decreto Legislativo 11 ottobre 2024, n.87 (riforma reati tributari attuativa delega fiscale) – Modifica l’art.13 D.Lgs.74/2000 introducendo la non punibilità per forza maggiore nel mancato versamento IVA: esente da pena l’autore se il mancato pagamento dipende da cause non imputabili sopravvenute all’incasso dell’IVA. Il giudice deve valutare la crisi di liquidità non transitoria dovuta a insolvenza di terzi o mancati pagamenti PA, e l’assenza di rimedi per superarla. Inoltre, il D.Lgs.87/2024 modifica l’art.12-bis prevedendo che non si applichi il sequestro/confisca se il debito tributario è in corso di estinzione tramite rateizzo o conciliazione, e il contribuente è in regola coi pagamenti, salvo concreto pericolo di dispersione dei beni. (Rif. Riforma fiscale RPTL 2024).
  • Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sent. n. 12378/2022 (citata in dottrina Avv. Del Giudice 2019) – Dopo le modifiche L.157/2019: art.8 D.Lgs.74/2000 (emissione fatture false) – Pena aumentata a 4-8 anni, introdotto comma 2-bis: pena ridotta (1½-6 anni) se importo delle fatture false < €100.000 per periodo d’imposta. Prevista confisca allargata solo se importo fatture false > €200.000. (Conferma parallelismo con art.2).
  • Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sent. n. 3303/2020 – Ha confermato l’inserimento ad opera della L.157/2019 del comma 2-bis negli artt.2 e 8 D.Lgs.74/2000: soglia 100.000 € di elementi passivi fittizi/fatture false entro la quale la pena resta quella previgente (1½-6 anni). Sopra tale soglia si applica la pena aggravata 4-8 anni. (Massimazione in linea con [26]).
  • Legge 31 agosto 2022, n.130 (riforma giustizia tributaria), art.20 – Delega il Governo a prevedere che in caso di assoluzione penale definitiva perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati nel penale facciano stato nel processo tributario. Mira a superare il “doppio binario” assoluto, allineando l’esito tributario a quello penale quando il contribuente risulta innocente.
  • Corte di Cassazione, Sez. V Tributaria, sent. n. 1946/2023 (23 gen. 2023) – Principio in tema di sanzioni amministrative tributarie a carico di persone giuridiche (art.7 D.L.269/2003): qualora l’amministratore abbia operato nel proprio esclusivo interesse usando la società come schermo, la sanzione pecuniaria va posta a carico della persona fisica autore dell’illecito, ripristinando la regola generale di personalità, anziché sulla società. Viene cioè “decodificata” la società fittizia, colpendo direttamente l’amministratore di fatto (es: caso società cartiera – sanzioni a carico del dominus).

Accusato di frodi IVA e truffa carosello? Fatti Difendere da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di garanzia o sei coinvolto in un’indagine per frode IVA o truffa carosello?
Ti accusano di aver preso parte a operazioni fittizie, fatture inesistenti o acquisti intracomunitari fraudolenti?

Le frodi IVA e le cosiddette truffe carosello sono reati gravi e complessi, che espongono a rischi penali e tributari molto pesanti. Tuttavia, non tutte le posizioni sono uguali, e anche chi è coinvolto indirettamente può dimostrare la propria estraneità ai fatti.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza il tuo ruolo reale nella filiera commerciale contestata
  • 📌 Valuta l’eventuale mancanza del dolo o l’inconsapevolezza delle operazioni fraudolente
  • ✍️ Redige memorie difensive, istanze di archiviazione e opposizioni
  • ⚖️ Ti rappresenta nei procedimenti penali e nei contenziosi fiscali congiunti
  • 🔁 Agisce per tutelare il tuo patrimonio da sequestri o richieste risarcitorie

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e frodi fiscali complesse
  • ✔️ Consulente per la difesa da accuse di frode IVA e operazioni soggettivamente inesistenti
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Essere accusati di frodi IVA non significa essere automaticamente colpevoli.
Con la giusta difesa puoi dimostrare la tua estraneità, ridurre i rischi penali e proteggere i tuoi diritti.

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