Cosa Significa Annullamento Parziale Intimazione Di Pagamento

Hai ricevuto una comunicazione di annullamento parziale dell’intimazione di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione? Ti stai chiedendo cosa vuol dire esattamente, quali effetti ha sulla tua posizione debitoria e se devi ancora pagare qualcosa o no?

L’annullamento parziale è un atto con cui l’ente di riscossione cancella solo una parte dei debiti iscritti a ruolo, contenuti in una precedente intimazione. Può avvenire in seguito a un ricorso vinto, a un riesame in autotutela o a un accertamento con adesione. Ma non chiude l’intera posizione, quindi è fondamentale capire bene cosa è stato annullato e cosa resta da pagare.

Cos’è l’annullamento parziale dell’intimazione di pagamento?
– È un provvedimento amministrativo con cui l’Agenzia delle Entrate Riscossione elimina solo una quota del debito complessivo
– Deriva da errori riconosciuti, sentenze favorevoli, prescrizioni, pagamenti già effettuati o annullamenti parziali dell’atto presupposto
– L’intimazione resta comunque parzialmente valida, e il residuo può ancora essere riscosso forzatamente

Cosa resta da pagare dopo l’annullamento parziale?
– Solo i carichi residui non annullati, che devono essere indicati in dettaglio
– Il debito rimanente può riguardare imposte, sanzioni, interessi o spese ancora valide
– Se il provvedimento non è chiaro, puoi chiedere un estratto aggiornato della tua posizione debitoria

Come verificare se l’annullamento è corretto?
– Controlla l’ammontare del debito originario e l’importo annullato
– Verifica che siano stati considerati correttamente eventuali pagamenti, sospensioni o prescrizioni
– Se hai fatto ricorso, accertati che l’annullamento corrisponda alla decisione del giudice tributario

Cosa fare dopo aver ricevuto l’annullamento parziale?
– Se restano debiti attivi, puoi:
Chiedere la rateizzazione del residuo
– Valutare la rottamazione o definizione agevolata, se disponibile
Opporre i restanti importi, se ritieni che siano ancora illegittimi
– Se ritieni che l’intero debito andasse annullato, puoi presentare ulteriore istanza di autotutela o ricorso

Quali sono i tuoi diritti?
– Hai diritto a una motivazione chiara e completa dell’annullamento parziale
– Puoi ottenere copia degli atti e dei documenti che giustificano l’eventuale debito residuo
– Puoi difenderti giudizialmente se l’annullamento è incompleto o errato

Cosa puoi ottenere se agisci subito e nel modo corretto?
Cancellazione anche del debito residuo, se non dovuto
Sospensione di eventuali pignoramenti in corso
Chiusura definitiva della posizione debitoria
Protezione del tuo patrimonio da nuove azioni esecutive

L’annullamento parziale può sembrare una buona notizia, ma non chiude necessariamente il tuo problema con il Fisco. È fondamentale valutare con attenzione ciò che è stato effettivamente cancellato e capire se puoi contestare anche il restante debito.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e opposizione agli atti esattoriali ti spiega cosa significa l’annullamento parziale di un’intimazione di pagamento, cosa controllare e come muoverti per difenderti.

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Introduzione

L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui l’ente creditore pubblico (ad esempio l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, Ex Equitalia, o altri enti creditori) invita il debitore a pagare una somma dovuta entro un termine perentorio (di norma 5 giorni), con l’avvertimento che in difetto sarà avviata l’esecuzione forzata. Tale atto è previsto dall’art. 50 del D.P.R. 602/1973 (modificato da D.Lgs. 546/1992) e ha funzione analoga a un atto di precetto nel diritto civile. In sintesi:

  • Quando si notifica? Se una cartella esattoriale non viene pagata entro i termini, dopo un anno deve essere notificato un avviso di intimazione al pagamento, che richiama il debito residuo e concede al contribuente un’ultima chance per adempiere.
  • Contenuto formale: L’intimazione deve seguire un modello ministeriale, indicando i riferimenti dell’originario ruolo o cartella e invitando il debitore a saldare l’importo entro 5 giorni.
  • Effetti: Se l’intimazione non viene rispettata, si procede con l’esecuzione forzata (pignoramenti, ecc.), mentre l’intimazione stessa diventa titolo esecutivo dopo 90 giorni dalla notifica (art. 50, co. 2 D.P.R. 602/1973).

L’impugnazione dell’intimazione di pagamento (cioè la possibilità per il contribuente di contestarla in sede giurisdizionale) è disciplinata dal D.Lgs. 546/1992. In base all’art. 19, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 546/1992, l’intimazione rientra fra gli atti impugnabili autonomamente (assieme, ad esempio, alle cartelle esattoriali, agli atti di precetto, ecc.). Ciò significa che – contrariamente a orientamenti passati – oggi l’intimazione di pagamento deve essere impugnata entro il termine di 60 giorni per far valere eventuali eccezioni (come prescrizione, vizi di notifica, errori di calcolo). La Corte di Cassazione ha recentemente stabilito con chiarezza che l’intimazione non è più un atto meramente facoltativo da impugnare, ma un obbligo: «la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione». In altri termini, se il contribuente non contesta l’intimazione nei termini, il debito residuo ivi notificato diventa definitivo e non potrà più sollevare eccezioni relative ad atti precedenti (ad es. non potrà più opporre prescrizione maturata prima dell’intimazione).

Le possibili impugnazioni dell’intimazione di pagamento sono analoghe a quelle tributare ordinarie: si propone ricorso tributario (giudice tributario di primo grado) entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione. In caso di parziale accoglimento del ricorso da parte del giudice di primo grado, si arriva all’“annullamento parziale” dell’intimazione. Con il termine annullamento parziale si indica la sentenza (o il provvedimento amministrativo) che cancella solo in parte l’intimazione di pagamento, lasciando efficiente e dovuta l’altra parte del debito. A differenza di un annullamento totale, in cui tutto il credito è estinto, nell’annullamento parziale viene meno solo quella quota del debito riconosciuta illegittima o prescritta; per la parte residua il debito rimane valido ed esigibile.

Normativa di riferimento

  • D.P.R. 602/1973, art. 50: disciplina l’intimazione di pagamento. In particolare:
    «Se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella, occorre procedere alla notifica di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni». L’intimazione deve essere redatta secondo il modello ministeriale e ha funzione di avvisare il debitore che, se non adempie, l’ente darà corso alla riscossione coattiva.
  • D.Lgs. 546/1992 (c.p.c. tributario): stabilisce i termini e le modalità di impugnazione degli atti tributari. L’art. 19 elenca gli atti impugnabili (tra cui rientra, di recente consolidamento giurisprudenziale, l’intimazione); l’art. 68 pone poi il presupposto di discussione degli importi alla luce di sentenze favorevoli del giudice tributario. L’art. 54 disciplina le opposizioni agli atti di riscossione (cartelle, intimazioni, ingiunzioni fiscali, ecc.).
  • D.Lgs. 212/2000 (Statuto del contribuente): all’art. 7 prevede i diritti del contribuente, tra cui il diritto di conoscere i motivi della pretesa tributaria. Tuttavia, va ricordato che la motivazione dell’intimazione si limita a richiamare la cartella: Cass. 28689/2018 ha affermato che l’intimazione non richiede motivazione autonoma oltre al richiamo del modello ministeriale.
  • Leggi di Bilancio 2023-2025: in particolare la L. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) e la L. 234/2024 (Bilancio 2024) hanno introdotto importanti novità sulla cancellazione dei debiti residui (spiegheremo in seguito lo stralcio fino a 1.000 euro e altre misure).
  • Altri riferimenti normativi: patti di rateazione (Dlgs 159/2015), definizioni agevolate, decadenze per la notifica di cartelle (art. 25 D.P.R. 602/1973 e art. 1 L. 212/2011) e termini di prescrizione (generalmente 10 anni per tributi). Questi aspetti, sebbene rilevanti per la strategia del contribuente, sono collegati ma distinti dalla mera nozione di annullamento parziale dell’intimazione.

Impugnabilità dell’intimazione di pagamento

Impugnabile autonomamente: Negli ultimi anni la giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che l’intimazione di pagamento deve essere considerata impugnabile autonomamente ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 546/92. Ciò significa che il contribuente può e deve proporre ricorso contro di essa, anche senza che vi sia un successivo atto proposto dall’ente. In passato si era discusso se l’intimazione fosse un mero atto formalmente esecutivo (e quindi non impugnabile nei suoi contenuti), ma le Sezioni Unite della Cassazione hanno equiparato l’intimazione all’“avviso di mora” previsto dall’art. 50 comma 2 del D.P.R. 602/1973, ovvero a un atto preparatorio che invita al pagamento prima dell’esecuzione. Sulla base di ciò, la Cassazione ord. 6436/2025 ha statuito che «l’intimazione di pagamento… è impugnabile autonomamente, non meramente facoltativa, pena la cristallizzazione dell’obbligazione». Di conseguenza, il contribuente che intenda far valere eccezioni (ad esempio la prescrizione di parte del credito, errori nel calcolo degli interessi o delle sanzioni, vizio di notifica delle cartelle sottostanti, etc.) non può rimanere inerte, ma deve notificare ricorso tributario alla Commissione (oggi Corte di Giustizia Tributaria) competente entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione.

Conseguenze della mancata impugnazione: Se l’intimazione non viene impugnata nei termini, il credito in essa indicato si consolida. Ciò significa che non si potrà più contestare in giudizio alcuna vicenda estintiva (prescrizione, decadenza, ecc.) riferita a debiti comprendenti quell’intimazione non opposta. In parole povere, ciò che resta del debito dopo l’intimazione (capitale + interessi + sanzioni) diventa definitivamente dovuto al credito erariale. La Cassazione ha ribadito che se l’intimazione «non viene impugnata, il relativo credito si consolida», precludendo ogni eccezione sulle pretese antecedenti. Questo conferma quanto sottolineato dal Dipartimento Finanze: l’impugnazione dell’intimazione è necessaria per non perdere i diritti del contribuente.

Nota – Atto non soggetto a motivazione specifica: L’intimazione, seguendo il modello ministeriale, non richiede una motivazione particolare diversa dal richiamo dell’originaria cartella di pagamento. Cass. 28689/2018 ha stabilito che è sufficiente il riferimento alla cartella già notificata per ritenere adeguata la motivazione dell’intimazione. Per il contribuente significa che in caso di ricorso non si potranno invalidare l’intimazione per carenza di motivazione (a patto che la cartella base fosse regolare).

Annullamento parziale dell’intimazione di pagamento: definizione e differenze

L’annullamento parziale di un’intimazione di pagamento si verifica quando un giudice tributario (in primo o secondo grado) o l’ente creditore (in via di autotutela) riconosce che solo una parte delle somme richieste nell’intimazione era illegittima o non dovuta. In tal caso l’atto di intimazione viene cancellato solo in relazione a quella quota di debito; la restante parte del debito rimane valida e resta dovuta. In pratica, una sentenza o un provvedimento di annullamento parziale “taglia via” le voci di debito ritenute indebite (ad esempio interessi o sanzioni erroneamente calcolati, imposta prescritta, ecc.), e lascia in piedi gli altri componenti dell’obbligazione.

Per chiarire: immaginate che un’intimazione contenga debiti fiscali per tre annualità. Se il giudice accoglie il ricorso solo su uno di questi (ad esempio dichiara prescritta o illegittima una quota), l’intimazione viene annullata parzialmente: quella parte di debito non va pagata, mentre le altre annualità rimangono esigibili. Lo stesso vale se l’ente, in autotutela, “sgrava” parte del debito: l’intimazione viene ridimensionata.

Casi comuni di annullamento parziale

  • Decisione giudiziale parziale: Ad esempio, il contribuente ricorreva per contestare calcolo di interessi o parte dell’accertamento sottostante. La Commissione o il Tribunale tributario possono accogliere parzialmente il ricorso, annullando solo i debiti impugnati. L’intimazione impugnata viene così annullata per intero rispetto ai crediti contestati, ma resta valida per la parte di debito non oggetto di pronuncia (cioè non contestata o giudicata legittima).
  • Annullamento parziale in autotutela: L’ente creditore (ad es. Agenzia delle Entrate-Riscossione o ente locale) può volontariamente riconoscere un errore e annullare in autotutela parte del debito. Si tratta di un atto amministrativo di natura favorevole al contribuente. In questo caso l’intimazione originaria viene ridotta di conseguenza. Ad esempio, l’ente può erogare uno sgravio o una revoca parziale dell’intimazione, eliminando sanzioni o interessi contestati. Come vedremo, la giurisprudenza ritiene che tale annullamento parziale in autotutela non sia impugnabile dal contribuente (si veda più avanti).
  • Stralcio legislativo (cancellazione parziale di legge): Le recenti riforme hanno previsto misure di “stralcio” che cancellano automaticamente piccole somme residue. Ad es. la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha disposto l’annullamento d’ufficio dei carichi residui fino a €1.000, con modalità diverse a seconda dell’ente creditore. Ciò significa che un’intimazione che originariamente includeva un residuo ≤1.000€ di debito potrebbe essere parzialmente annullata per effetto di tale norma: per lo Stato il debito fino a 1.000€ viene cancellato integralmente (quindi l’intera intimazione, se relativa a tale quota, decade), mentre per i crediti di enti locali lo stralcio riguarda solo interessi e sanzioni (il capitale resta dovuto). Laddove ricorra lo stralcio legislativo, il debitore non deve neppure produrre ricorso: l’annullamento avviene d’ufficio ed è definitivo. Tuttavia, il debitore dovrà verificare la propria posizione debitoria (es. tramite il portale dell’Agenzia Entrate-Riscossione) per constatare l’avvenuta cancellazione.

In sintesi, “annullamento parziale” significa che l’intimazione decade per alcuni elementi del debito ma rimane efficace per la parte residua. Da ciò discendono diverse conseguenze pratiche, esaminate di seguito.

Effetti giuridici e pratici dell’annullamento parziale

Quando un’intimazione viene annullata parzialmente, si determinano i seguenti effetti principali sul debito e sulle procedure esecutive:

  • Credito residuo ancora esigibile: L’importo dell’intimazione rideterminato (dopo l’annullamento parziale) costituisce la nuova somma dovuta. In altre parole, il debitore deve pagare tutte le componenti del debito non annullate. Ad esempio, se un giudice annulla le sanzioni e conferma solo l’imposta principale, il debitore dovrà pagare soltanto l’imposta residua (con gli interessi rideterminati). Se invece il legislatore ha annullato piccoli debiti per €1.000, il debitore residuerà esonerato solo da quel piccolo importo; l’eventuale eccedenza rimane dovuta fino all’esaurimento delle procedure di riscossione.
  • Procedimenti esecutivi: Se nel frattempo era stata avviata un’esecuzione (pignoramento, iscrizione ipotecaria, ecc.) fondata sull’intimazione annullata per intero o in parte, gli atti esecutivi vanno in genere revocati o limitati. Se l’annullamento è totale, tutte le misure coattive si spengono; se è parziale, occorre comunicare all’ufficio esattore la rideterminazione del debito e far decadere solo la parte irricevibile. Ad esempio, nel caso di Cass. 2519/2024 il contribuente otteneva l’annullamento parziale dell’avviso di accertamento e contestualmente l’Agenzia notificava una nuova intimazione per il debito ridotto. Se invece la Commissione annulla in parte la cartella, l’ufficio può (o deve) a sua volta emettere un atto compensativo (art. 68 D.Lgs.546/92) e procedere sulla parte residua.
  • Ricalcolo interessi e sanzioni: Un annullamento parziale implica che gli interessi e le sanzioni applicate sull’importo contestato vanno eliminati. La parte residua del debito potrà avere interessi calcolati in modo diverso (p.e. ex art. 20 D.P.R. 602/1973) a seconda di quando questa residua somma sarà riscossa. In alcuni casi (come nell’esempio di [17]) l’Agenzia ha rideterminato anche interessi e sanzioni in base all’importo confermato dell’imposta. In caso di stralcio legislativo, la legge stessa stabilisce quali componenti si cancellano (per i carichi statali tutto compreso, per quelli locali solo interessi e maggiorazioni).
  • Effetti di definizione del debito: Se l’intimazione viene annullata (anche parzialmente) in giudizio, il debitore non è più obbligato per la parte annullata e può pretendere che l’ufficio lo liberi da ogni vincolo su quella parte. Inoltre, di solito la Commissione giudica sul punto che ha riconosciuto il vizio (p.e. “il debito per l’anno 2020 è annullato”), e condanna l’ente al pagamento delle spese di giudizio nella misura ordinaria (10-15% del valore della lite). L’effetto sul piano contabile è che, dopo l’annullamento, il debito residuo è “liberato” da oneri ingiustamente calcolati.
  • Natura di “revoca parziale” dell’atto originario: La giurisprudenza tributaria ha consolidato il principio secondo cui un atto emesso in giudizio che riduce la pretesa originaria (ad es. un atto di autotutela in diminuzione) non costituisce un nuovo atto impositivo, ma è considerato mera revoca parziale di quello precedente. Questo significa che, diversamente da una nuova cartella, la riduzione d’ufficio non è soggetta a decadenza (può essere emanata anche fuori dai termini ordinari). Un’analoga logica si applica all’annullamento parziale giudiziale dell’intimazione: l’atto originario decade solo nella parte ridotta, senza che si crei un “doppio atto” a tutti gli effetti.

In sintesi, dal punto di vista del debitore l’annullamento parziale (sia amministrativo sia giudiziario) comporta un sollievo solo sulla parte contestata del debito. Il versamento o l’azione esecutiva dovranno riguardare soltanto la porzione residua rimasta dopo l’annullamento. L’intimazione ridimensionata continua ad avere piena efficacia per la parte non annullata.

Autotutela parziale e ricorsi

Autotutela dell’ente: Il debitore può anche chiedere direttamente all’ente creditore di correggere eventuali errori di propria iniziativa (autotutela). Ciò avviene attraverso l’istanza amministrativa di annullamento del debito (modello classico ex art. 21-nonies L. 241/90). L’ente può decidere di accogliere interamente, parzialmente o rigettare l’istanza. Nel caso di annullamento parziale in autotutela, l’ente elimina dall’intimazione (o dalla cartella) una parte del debito preteso. Ai sensi dell’art. 3, comma 3 del D.P.R. 602/73 e successive modifiche, tale atto di rettifica in diminuzione è lecita anche se emessa oltre i termini di decadenza, come ha affermato la Cassazione. Una riduzione di imposta effettuata in corso di giudizio è stata definita dalla Cassazione come una «mera revoca parziale dell’avviso di accertamento», non soggetta a decadenza.

Impugnabilità dell’autotutela parziale: È importante sapere che l’annullamento parziale effettuato in via amministrativa non è impugnabile dal contribuente. La Cassazione (ordinanza n. 7985/2025) ha chiarito che «l’annullamento parziale di un atto definitivo in autotutela… non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del D.lgs. 546/1992, e non è quindi impugnabile». In pratica, poiché l’atto riduce il debito già definito (quindi non è lesivo per il contribuente), il contribuente non può ricorrere contro lo sgravio parziale ottenuto. Solo gli atti ampliativi della pretesa possono essere impugnati. Detta in altre parole, se l’ente cancella di sua iniziativa una parte del debito, il debitore non ha interesse a impugnare, perché ciò significherebbe tornare a discutere l’atto originario già definitivo (cosa vietata dal silenzio-assenso sostanziale della legge tributaria). Rimane ovviamente salva la possibilità per il contribuente di contestare, con i rimedi amministrativi o giudiziari, altri aspetti (ad es. l’omesso annullamento di una parte della pretesa o il diniego di autotutela) ma solo secondo le regole ordinarie (art. 21-octies L. 241/90 etc.).

Nuovo atto impositivo: Se il contribuente ottiene in sede giudiziaria l’annullamento parziale dell’intimazione (o dell’atto impositivo sottostante), l’ufficio non può semplicemente “tenere ferma” la parte residua senza ulteriori adempimenti. La Cassazione ha precisato che, dopo una sentenza che riduce il debito, l’Agenzia deve «notificare un nuovo atto impositivo al fine di portare a conoscenza del contribuente l’esatto calcolo effettuato dall’Ufficio». In pratica, se il giudice ha annullato parte dell’accertamento (o della cartella), l’ufficio deve riscrivere i calcoli della tassa residua e formalizzarli in un provvedimento. Alcune pronunce (cfr. Cass. 2519/2024) hanno respinto le intimazioni basate su importi rideterminati senza nuovo atto formale, ritenendo necessario ristabilire l’atto impositivo con tutti i dettagli. Per il debitore ciò significa che l’esigibilità del credito residuo si realizza pienamente solo dopo la ricezione del nuovo atto (o dell’intimazione corretta). Nel caso contrario, l’intimazione stessa può essere dichiarata invalida perché priva del necessario supporto fiscale.

Stralcio dei debiti fino a €1.000 (Legge di Bilancio 2023)

Un caso particolare di annullamento parziale si è verificato con la riforma introdotta dalla Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022). Questa norma ha previsto uno stralcio automatico dei debiti residui di importo fino a 1.000 euro, per carichi affidati all’Agente della riscossione nel periodo 2000-2015. In pratica:

  • Carichi dello Stato e analoghi: Se un carico (cartella) statale – tributi erariali o contributi previdenziali – aveva un residuo ≤1.000 € al 1/1/2023, viene cancellato integralmente. Ciò significa che, anche se un’intimazione fosse stata notificata per tale carico, dopo il 30 aprile 2023 (termine operativo dello stralcio) il debito residuo risulta azzerato. Ad esempio, una cartella IRPEF residua di €800 viene stralciata interamente: l’intimazione (se presente) resta solo come documento storico, ma non è più necessaria alcuna riscossione, poiché non rimane niente da pagare.
  • Carichi di enti locali o altri enti non statali: Per i debiti tributari verso Comuni, Regioni e altri enti locali, lo stralcio legislativo è parziale. Infatti, la norma cancella automaticamene solo gli interessi di mora e le sanzioni di quei carichi (capitale e spese rimangono dovuti). In pratica, se l’intimazione riguardava un debito ≤1.000€ verso il Comune, dal 30/4/2023 il contribuente deve pagare solo il capitale base e non gli oneri accessori. Solo se l’ente locale ha deliberato l’annullamento integrale si azzerano anche capitale e spese (ma molti enti hanno mantenuto il capitale dovuto).
  • Effetti pratici: I debiti stralciati non compaiono più nel sistema informatico come “da pagare”. L’Agenzia Entrate-Riscossione ha anche inviato comunicazioni di annullamento ai contribuenti interessati. Chi aveva un’intimazione per un ruolo stralciato deve semplicemente verificare l’avvenuta cancellazione (ad es. sul portale dell’Agenzia o tramite estratto di ruolo). In caso di dimenticanza o dubbio, si può contattare l’ente creditore per conferma. Va segnalato che, se prima dello stralcio il contribuente avesse già versato somme sul carico cancellato, quelle somme non vengono restituite (la legge di stralcio non prevede rimborsi retroattivi).
  • Tabella riepilogativa – Stralcio €1.000: Carichi affidati ≤ €1.000 (2000-2015) Ente creditore Annullamento previsto Normativa di riferimento Debiti tributi statali, contributivi Stato, Agenzie fiscali, enti previdenziali Integrale: cancellazione di capitale, interessi, sanzioni, aggio L. 197/2022, art. 1, c. 227; Circolare AER 2/2023 Debiti tributari enti locali (IMU, multe, ecc.) Comuni, Province, Regioni, altri enti locali Parziale: cancellazione automatica solo di interessi e sanzioni (capitale e spese restano dovuti) L. 197/2022, art. 1, c. 228-229; FAQ Agenzia Entrate-Riscossione 2023 Debiti sanzioni amministrative locali (multe) Enti locali (ad es. Municipi, Polizia locale) Simile al punto precedente: la sanzione base resta da pagare, si cancellano solo interessi/maggiorazioni L. 197/2022, art. 1, c. 228-229; FAQ AER 2023

Questo stralcio legislativo è un caso di annullamento parziale automatico per legge: il debitore ne beneficia senza dover fare ricorso. Tuttavia, è un’eccezione speciale, applicabile solo a determinate categorie di debiti e in un arco temporale preciso (fino al 2015).

Questioni pratiche e FAQ

1. Se l’intimazione viene annullata parzialmente, cosa devo pagare?
Solo la parte del debito residua dopo l’annullamento. Ad esempio, se l’intimazione richiedeva €10.000 complessivi e il giudice ne ha annullati €3.000, il debitore dovrà versare i restanti €7.000 (oltre agli interessi legali su quella quota residua). Gli importi annullati non vanno pagati e non continuano a maturare interessi. Eventuali esecuzioni in corso vanno limitate alla nuova misura.

2. Se ottengo l’annullamento totale su una parte dei debiti, l’ente deve rifare i calcoli?
Sì. Dopo una sentenza di primo grado che riduce il debito, l’ente deve formalizzare i nuovi importi residui. In pratica, come spiegato, deve notificare un nuovo atto impositivo o un’ulteriore intimazione che evidenzi l’esatto calcolo (imponibile, imposta, aliquota, sanzioni effettive). L’intimazione successiva dovrà risultare coerente con la sentenza. Se ciò non avviene, il contribuente può far valere l’invalidità dell’intimazione stessa.

3. Posso impugnare lo “sgravio parziale” che l’ente mi concede?
No. Se l’ente cancella d’ufficio parte del debito, il contribuente non può contestare quel provvedimento (essendo favorevole). La Cassazione ha stabilito che l’annullamento parziale in autotutela è atto non impugnabile. In altre parole, se l’ufficio decide di non far pagare a un debitore qualcosa (che già risultava definito), il debitore non ha motivo per proporre ricorso. All’opposto, potrebbe impugnare se l’ufficio aumentasse la pretesa (ad es. notificando un nuovo importo maggiore), mentre la riduzione non comporta alcuna lesione.

4. E se l’ente applica lo stralcio dei €1.000 automaticamente?
Il debitore beneficia dallo stralcio senza dover fare nulla: le somme oggetto di stralcio scompaiono dai debiti dovuti e non figurano più come “da pagare”. Dopo il 30/4/2023 bisogna solo verificare che il carico stralciato non risulti nel proprio estratto debitorio. Se comunque è presente una partita residua (capitale di multa locale, ecc.), quella va pagata entro i soliti termini. Le voci annullate dallo stralcio (ad es. interessi/maggiorazioni sui debiti locali) non sono dovute.

5. Qual è la differenza tra annullamento totale e parziale?
Un annullamento totale elimina interamente la pretesa (l’intimazione decade per tutto il credito): il debitore non deve più nulla di quel ruolo/cartella. L’annullamento parziale, invece, riguarda solo una parte del debito. Ad esempio:

  • Annullamento totale: il giudice accoglie tutto il ricorso del contribuente e azzera l’intera somma; l’intimazione non è più esigibile in alcuna parte.
  • Annullamento parziale: il giudice accoglie solo alcune eccezioni; l’intimazione decade solo per quelle somme (per es. una quota di IRES o alcune sanzioni). Il resto del debito (la quota non contestata) rimane dovuta.

La differenza concreta è che, nel secondo caso, il debitore continuerà ad avere un debito residuo e potrà vedersi richiedere il pagamento della parte non annullata con eventuale nuova intimazione o provvedimento esecutivo.

6. Che successo se mi arrivano due intimazioni successive?
Se non si impugna la prima, essa cristallizza l’obbligo. Se poi arriva una seconda intimazione (ad esempio su debiti ulteriori o residui), il contribuente può ancora presentare ricorso sul secondo atto (come ha chiarito la Cassazione: non è obbligatorio impugnare anche il primo atto per poter eccepire vizi relativi alle cartelle sottostanti). Tuttavia, se si era maturata prescrizione prima della prima intimazione, il contribuente rischia di perdere l’occasione di farla valere. L’orientamento attuale consiglia di impugnare tempestivamente ogni intimazione importante per non precludersi eccezioni future.

7. Come presentare il ricorso contro l’intimazione?
Il ricorso tributario deve contenere: (i) l’indicazione dell’atto impugnato (intimazione di pagamento n. … del …); (ii) i dati del contribuente; (iii) l’ufficio dell’agente della riscossione; (iv) il valore della controversia; (v) i motivi di ricorso (es. vizio di notifica, errato calcolo del debito, prescrizione). Vanno allegate le copie dell’intimazione e degli atti precedenti (cartelle). Il ricorso va notificato entro 60 giorni dal contribuente verso l’ente esattore e all’ufficio che ha emesso l’intimazione, quindi depositato nella Corte tributaria competente (in genere quella del luogo del debitore). Si suggerisce uno stile chiaro e concatenato: dopo i fatti e le eccezioni, la conclusione chiede l’annullamento totale o parziale dell’intimazione e la condanna alle spese. Esempio di schema base di ricorso: (Incipit) “Ricorso presentato da [Nome] contro l’Agenzia Entrate-Riscossione per l’intimazione di pagamento n. X… ; il sottoscritto, ricorrente, espone quanto segue…” poi elenco puntato delle eccezioni e richiesta finale di annullamento parziale/totale. (Non si riportano modelli integrali qui, ma è utile far visionare al legale di fiducia un fac-simile per struttura e requisiti formali).

8. Nota sull’iter cautelare: Se l’intimazione annullata parzialmente è gravosa, il contribuente può chiedere la sospensione dell’esecuzione al giudice (ai sensi dell’art. 68 D.Lgs. 546/92), presentando istanza motivata. In caso di accoglimento parziale del ricorso di primo grado, l’esecuzione è di norma sospesa sulla parte contestata fino alla sentenza definitiva.

Tabelle riepilogative

VoceAnnullamento totaleAnnullamento parziale
Debito residuoLo si cancella del tutto: il credito non è più esigibile.Si cancella soltanto la parte oggetto di annullamento (es. una parte di imposta o sanzione). La quota residua rimane dovuta.
Esecuzione forzataTutte le azioni coattive cadono e l’atto non produce più effetti.Le azioni fondate sull’intimazione vanno modificate: la parte non annullata può ancora essere riscossa.
Imposizione di nuovi attiNon necessario (il debito è già eliminato).Occorre notificare un nuovo atto che espliciti il calcolo del debito residuo. L’intimazione originaria viene sostituita da quella ridotta.
Spese di giudizioOrdinariamente a carico dell’ente (salvo compensazioni).A carico dell’ente almeno per la parte accolta, salvo casi di soccombenza parziale.
Decorrenza interessiCessano con il momento dell’annullamento.Vengono ricalcolati sulla parte residua secondo il nuovo ammontare (di solito fino alla notifica della nuova intimazione).
Impugnabilità autotutelaNon impugnabile se l’ente annulla parte del debito (atto innocuo).
Tipologia di attoImpugnabile?Termine di ricorso
Cartella esattorialeSì (art. 54 D.Lgs.546/92)60 giorni
Intimazione di pagamento (art.50 DPR 602/73)Sì, è impugnabile autonomamente (Cass. 6436/2025)60 giorni
Atto di precettoSì (art. 54 D.Lgs.546/92)60 giorni
Atto di autotutela parziale (sgravio)No (non impugnabile, Cass. 7985/2025)

Le tabelle sintetizzano gli effetti e la loro rilevanza pratica per il debitore. Ad esempio, si nota che l’annullamento parziale in autotutela, pur riducendo il debito, è un atto non contestabile, mentre l’annullamento parziale giudiziale richiede di solito la formalizzazione di un nuovo atto per la parte residua.

Simulazioni pratiche

  1. Caso tributi locali: Un cittadino riceve un’intimazione per multe comunali pre-Covid dell’importo residuo di €900, comprensivo di €600 di multa capitale e €300 di interessi/maggiorazioni. Dalla L.197/2022, il Comune non ha deliberato la cancellazione totale, dunque gli interessi e le sanzioni (€300) sono stralciati per legge. Il debitore deve pagare solo i €600 di capitale. Di fatto l’intimazione è stata annullata parzialmente per legge sugli interessi, ed è rimasta valida per il capitale. Il cittadino verifica l’annullamento sul sito dell’Agenzia e paga solo i €600 dovuti entro la scadenza data. Nessun ricorso è necessario (lo stralcio è automatico).
  2. Caso impresa – parziale in giudizio: Una S.r.l. riceve cartelle IRAP per gli anni 2017-2019 per un totale residuo di €15.000, su cui viene notificata un’intimazione unica di pari importo. L’impresa presenta ricorso sostenendo che le cartelle relative al 2018 sono già prescritte. Il giudice tributario di primo grado, accogliendo solo parzialmente il ricorso, dichiara prescritto il debito del 2018 per €6.000, ma conferma €9.000 per 2017 e 2019. Conseguentemente l’intimazione si riduce: l’ente notifica alla società nuova intimazione di €9.000 (imposta residua) con calcoli dettagliati. L’impresa è tenuta a pagare solo i €9.000. Se fosse trascorso tempo, l’impresa non potrebbe più far valere la prescrizione per il 2018 perché avrebbe dovuto impugnare la prima intimazione. Invece, avendo ricorso, ottiene lo sgravio parziale: il debito residuo (€9.000 + interessi) resta valido, ma la quota prescritta (€6.000) è annullata.
  3. Caso annullamento giudiziale di sanzioni: Un libero professionista riceve intimazione per €5.000 (IRPEF + sanzioni). Presenta ricorso solo per contestare le sanzioni eccessive (circa €2.000). Il giudice accoglie parzialmente il ricorso, annullando soltanto le sanzioni di €2.000, e conferma l’IRPEF di €3.000. L’intimazione viene annullata parzialmente: il professionista deve pagare solo €3.000 (oltre interessi legali su tale somma). L’atto viene ridotto di conseguenza e, in giudizio, l’Agenzia riemette – se necessario – una nuova intimazione di €3.000 per il residuo. Le spese di giudizio vengono normalmente compensate o poste a carico dell’ente in misura proporzionale.

Questi esempi evidenziano come, da debolezza (ricevere un’intimazione) si possa trasformare in vantaggio almeno parziale (pagare meno o nulla) contestando gli importi entro i termini e ricorrendo alle tutele giuridiche. L’importante è agire con tempestività e in modo strutturato, rispettando i termini di legge per l’impugnazione o, se del caso, richiedere una sospensione cautelare.

Fonti

  • Cassazione Civile, Sez. V, Ordinanza 11 marzo 2025, n. 6436 – “Debito tributario cristallizzato se l’intimazione non è impugnata”.
  • Cassazione Civile, Sez. V, Ordinanza 26 marzo 2025, n. 7985 – “Non è impugnabile se più conveniente l’annullamento parziale di un atto”.
  • Cassazione Civile, Sentenza 11 marzo 2025, n. 6436 (Pres. Crucitti, rel. Angarano) – principio dell’impugnabilità dell’intimazione.
  • Agenzia delle Entrate-Riscossione, FAQ e Circolare n. 2/2023 (Indicazioni operative sullo stralcio dei carichi fino a €1.000).
  • Normativa: D.P.R. 602/1973, art. 50; D.Lgs. 546/1992, art. 19 e segg.; Legge 197/2022 (commi 222-230); Legge 234/2024; Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente).
  • Giurisprudenza correlata: Cass. sez. U., 16 ott. 2024, n. 26817; Cass. n. 28689/2018; Cass. ord. 17 giu. 2024 n. 16743 (orientamenti precedenti); Cass. 13311/2019; Cass. 7511/2016; Cass. 40233/2021; Provvedimenti Commissioni Tributarie (es. CTP Napoli n. 7147/2022).

Cosa significa annullamento parziale dell’intimazione di pagamento? Fatti Difendere da Studio Monardo

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L’annullamento parziale è un atto con cui l’Agenzia riconosce che una parte delle somme richieste non era dovuta, ma conferma il resto del debito. È fondamentale verificare con precisione quali importi sono stati annullati, quali restano esigibili e se ci sono ancora i presupposti per opporsi.

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Conclusione

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