Hai ricevuto un’intimazione di pagamento da Agenzia Entrate Riscossione e ti stai chiedendo se è legittima, quali vizi può contenere e quando puoi contestarla per bloccare l’azione esecutiva?
L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui il Fisco chiede di saldare un debito entro 5 giorni, pena l’avvio di pignoramenti, ipoteche o fermi. Ma non sempre è valida: molti atti contengono vizi formali o sostanziali che li rendono annullabili.
Cos’è l’intimazione di pagamento?
– È un atto inviato dopo una cartella esattoriale non pagata
– Serve a rinnovare la pretesa fiscale e anticipare l’esecuzione forzata
– Deve essere notificato entro un anno dall’ultimo atto valido (es. cartella o accertamento)
– Contiene l’elenco dei debiti iscritti a ruolo, la somma dovuta e il termine per pagare
Quali sono i vizi propri dell’intimazione di pagamento?
– Omessa o irregolare notifica: se l’intimazione non ti è stata notificata correttamente, è nulla
– Mancata indicazione del dettaglio delle somme: se non specifica origine, natura e importi dei singoli debiti
– Notifica oltre i termini di legge: se arriva dopo oltre un anno dall’ultimo atto interruttivo della prescrizione
– Assenza del titolo esecutivo sottostante: se si basa su una cartella o accertamento mai notificati o impugnabili
– Prescrizione del debito: se il credito sottostante è prescritto (es. 5 anni per tributi locali, 10 anni per imposte erariali)
– Mancata sottoscrizione o firma digitale non valida
Cosa puoi fare se rilevi un vizio?
– Presentare ricorso al giudice tributario o ordinario, a seconda del tipo di debito (fiscale, contributivo, bancario)
– Chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’atto
– Contestare la prescrizione o la mancanza del titolo valido
– In alcuni casi puoi anche chiedere l’annullamento in autotutela, se il vizio è evidente
Quali sono le conseguenze di un’intimazione viziata?
– Blocco dell’azione esecutiva (pignoramento, ipoteca, fermo)
– Cancellazione dell’intimazione e dei successivi atti collegati
– Risarcimento per danni da illegittima iscrizione o segnalazione, se hai subito conseguenze
Cosa puoi ottenere se agisci subito?
– Annullamento totale o parziale dell’intimazione
– Sospensione immediata degli effetti
– Verifica della legittimità del debito e della cartella originaria
– Protezione del tuo patrimonio personale da azioni forzose
Molti contribuenti subiscono pignoramenti e blocchi senza sapere che l’intimazione che li ha preceduti è viziata o scaduta. Ma se agisci in tempo, puoi bloccare tutto e riprendere il controllo della tua situazione fiscale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e opposizione agli atti esattoriali ti spiega quali sono i principali vizi dell’intimazione di pagamento, come individuarli e come difenderti legalmente.
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Introduzione
L’intimazione di pagamento è l’atto formale con cui l’Agente della Riscossione (ad es. Agenzia Entrate-Riscossione) sollecita il debitore a pagare un credito già iscritto a ruolo (cartella di pagamento) prima di avviare l’espropriazione forzata. È disciplinata dal DPR 602/1973 (art. 50, comma 2-3) e assume, dal punto di vista sostanziale, la funzione dell’atto di precetto del processo civile. Dopo la notifica della cartella esattoriale (il titolo impositivo definitivo), l’intimazione concede 5 giorni per pagare l’intero ammontare o chiederne la rateizzazione. Trascorsi inutilmente questi 5 giorni, l’Agenzia può procedere con il pignoramento dei beni.
Ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e), del d.lgs. 546/1992 l’intimazione di pagamento è autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario. Ciò è stato ribadito di recente dalla Cassazione (Cass. n. 6436/2025), che ne ha equiparato la natura a quella dell’avviso di mora (previsto anch’esso dal DPR 602/1973). Dunque, pur non essendo espressamente elencata nel catalogo legale, l’intimazione deve essere impugnata entro 60 giorni dalla notifica (termine ex art. 47 D.lgs. 546/1992 per gli atti impositivi) per evitare la “cristallizzazione” della pretesa tributaria. In sostanza, se non viene contestata in tempo utile, il debito si consolida e non si possono più sollevare eccezioni che pregiudichino il fondo del credito (prescrizione, pagamento, vizi di notifica degli atti presupposti, ecc.).
Da notare: l’intimazione di pagamento, se riferita a un credito non tributario (es. contributi INPS, multe, sanzioni amministrative), può richiedere l’opposizione civile (art. 615 c.p.c.) piuttosto che il ricorso tributario. Tuttavia, molte regole operative sono analoghe. Qui si assume il punto di vista del debitore che mira a bloccare l’esecuzione, concentrandoci in particolare sui vizi propri dell’intimazione tributaria e sui relativi rimedi.
Natura giuridica e limiti dell’impugnazione
L’intimazione di pagamento non costituisce un nuovo atto impositivo: essa semplicemente richiama al pagamento un’obbligazione già derivante da un precedente atto (avviso di accertamento, cartella, ecc.) divenuto definitivo. Di conseguenza, quando si impugna l’intimazione si può censurare solo i suoi vizi propri, non la sostanza del credito tributario originario. In altri termini, l’intimazione “non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo” e, per principio consolidato in Cassazione, “resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto impositivo da cui è sorto il debito”. I vizi dell’atto impositivo sottostante – ad es. il mancato rispetto dei requisiti di notifica o motivazione di un avviso di accertamento – sarebbero potuti essere contestati all’epoca, impugnando quell’atto. Se così non è stato, tali censure non sono sollevabili in sede di contestazione dell’intimazione (salvo il caso particolare in cui il contribuente abbia avuto conoscenza della pretesa solo con l’intimazione stessa).
Questa linea di confine è ribadita da numerosi provvedimenti giurisprudenziali. La Corte di Cassazione ha affermato che, se la cartella è stata notificatamente regolare e non impugnata, «eventuali vizi sostanziali del tributo andavano dedotti contro l’atto impositivo originario; con l’impugnazione dell’intimazione si possono far valere solo i vizi propri e non questioni attinenti all’atto impositivo da cui è sorto il debito». In pratica, l’intimazione post-cartella agisce da atto conclusivo della fase contabile ed è impugnabile solo per errori propri. Di conseguenza, tutti i vizi “remoti” (legati alla genesi del debito) diventano preclusi: il debitore può sollevarli soltanto se, in via eccezionale, provi di aver appreso dell’esistenza del debito tributario proprio da tale intimazione.
Tabella 1 – Differenze tra atto presupposto e intimazione:
Atto | Impugnabilità | Vizi contestabili |
---|---|---|
Cartella di pagamento | Impugnabile in CTP entro 60 gg | Vizi sostanziali (motivazione, base imponibile, irregularità di notifiche pregresse) |
Intimazione di pagamento | Impugnabile in CTP entro 60 gg (o opposizione 40 gg) | Solo vizi propri dell’intimazione (v. elenco seguente). Non contestabili vizi dell’atto presupposto già definiti. |
Elenco dei vizi propri dell’intimazione di pagamento
Dal punto di vista del debitore, i vizi propri di un’intimazione di pagamento sono quelle irregolarità intrinseche all’atto stesso che possono giustificarne l’annullamento o l’invalidazione. Tali vizi non riguardano il merito del debito (che resterebbe consolidato se non contestato nei termini), ma elementi formali o di legittimità dell’intimazione. Di seguito si riassumono i principali motivi di ricorso contro un’intimazione di pagamento – vale a dire i vizi propri tipici che il debitore può far valere:
- Vizi di notificazione degli atti presupposti: se la cartella di pagamento o gli atti tributari da cui origina il debito non sono mai stati validamente notificati al contribuente, l’intimazione è priva di titolo. In tal caso l’intimazione “salta” un passaggio indispensabile: senza un valido atto presupposto notificato, non può avviarsi esecuzione coattiva. Ad esempio, se la cartella è stata notificata ad indirizzo errato o a persona non legittimata, l’intimazione è illegittima. In tali ipotesi il contribuente può chiedere l’annullamento dell’intimazione e, in via riflessa, anche della cartella stessa, poiché la notifica nulla del titolo presupposto genera nullità in tutto l’iter successivo. La giurisprudenza (anche civile/di merito) è ferma nell’indicare la mancanza di notifica come motivo fortissimo di illegittimità. Nota: questa casistica si riallaccia al concetto di “conoscenza dell’obbligazione” di cui alla legge antiriciclaggio (L. 197/91); se il contribuente scopre dell’esistenza dell’atto impositivo solo con l’intimazione, può validamente eccepire i vizi del presupposto in tale fase.
- Prescrizione del credito tributario: se è decorso il termine di prescrizione applicabile al credito prima della notifica dell’intimazione, il debito è estinto e l’intimazione è illegittima. Occorre distinguere due casi: (i) se la prescrizione maturava prima della cartella definitiva, questa doveva essere eccepita impugnando la cartella stessa (ora divenuta definitiva, non si può riaprirne il merito); (ii) se invece la prescrizione matura dopo la cartella ma prima dell’intimazione, molti tribunali ritengono che possa essere eccepita proprio con la contestazione dell’intimazione. Per esempio, se una cartella 2010 viene notificata senza impugnazione e nel 2022 (oltre 10 anni) arriva l’intimazione, nel ricorso si può sollevare che il credito era già prescritto nel 2020 e quindi va dichiarata la prescrizione. Di contro, secondo la Cassazione qualora la prescrizione fosse maturata già prima della cartella, il debitore l’avrebbe dovuta sollevare con il ricorso tributario contro la cartella. In ogni caso, la contestazione della prescrizione maturata dopo la cartella deve essere fatta entro il termine di 60 giorni per l’intimazione, altrimenti la pretesa si cristallizza definitivamente.
- Decadenza/inesigibilità del credito: se l’atto impositivo (o la cartella) è stato emesso oltre i termini di decadenza di legge, il credito può essere inesigibile. Ad esempio, l’accertamento IRPEF deve essere notificato entro il 31/12 del quinto anno successivo a quello di imposta; una volta divenuto definitivo, l’iscrizione a ruolo deve seguire entro l’anno successivo. Se, durante il ricorso contro l’intimazione, emergesse documentazione che la cartella è stata iscritta oltre questi limiti, il contribuente potrebbe eccepire la decadenza del titolo. Tale vizio normalmente andrebbe sollevato prima (contro l’atto impositivo o la cartella), ma in mancanza di precedente impugnazione può trovare spazio nell’impugnazione dell’intimazione, soprattutto se l’errore è lampante dai documenti.
- Pagamento già effettuato o sgravio riconosciuto: se il debitore ha già pagato interamente (o parzialmente) le somme richieste con l’intimazione, oppure se l’ente impositore ha disposto uno sgravio (es. compensazioni, rimborsi, annullamenti), l’intimazione è illegittima per l’importo già coperto. In pratica, il debitore chiederà l’annullamento totale o parziale dell’atto e l’estinzione della pretesa nella misura pagata o sgravata. In genere si allegano al ricorso le ricevute di pagamento o il provvedimento di sgravio per provare l’avvenuto adempimento. Spesso, già in via amministrativa è possibile chiedere all’Agenzia di Riscossione l’annullamento o la rettifica dell’intimazione esibendo la documentazione (atto di autotutela).
- Vizi formali dell’intimazione: si tratta di difetti relativi alle forme e ai contenuti obbligatori dell’atto. Esempi tipici sono: l’assenza di sottoscrizione o indicazione del responsabile del procedimento, la carenza di motivazione adeguata o di elementi essenziali (come gli estremi delle cartelle, gli importi dettagliati, le modalità di impugnazione), errori nei dati del destinatario (identità, codice fiscale), ecc. Normalmente l’intimazione deve essere redatta secondo il modello ministeriale (contenuto vincolato): basta quindi che essa indichi le cartelle a cui si riferisce e gli importi dovuti per avere motivazione sufficiente. Pertanto, la giurisprudenza ha precisato che il semplice riferimento alla cartella precedentemente notificata è considerato una motivazione per relationem valida. Di contro, se l’intimazione manca di informazioni essenziali (ad es. non riporta gli estremi di nessuna cartella o dà importi vaghi), il debitore può lamentare indeterminatezza o lesione del diritto di difesa. Va ricordato che, se un vizio formale porta all’annullamento, deve essere essenziale e aver pregiudicato le garanzie del contribuente (ad es. errore grossolano nel nome, negligenza nelle informazioni cruciali). Per esempio, secondo la Cassazione l’omessa indicazione del responsabile del procedimento nell’intimazione non comporta la nullità dell’atto, in quanto la normativa speciale sulla nullità (art. 36, comma 4-ter, d.l. 248/2007) si applica solo alle cartelle emesse a partire dal 2008, non alle intimazioni.
- Emersione durante sospensione della riscossione: se il credito oggetto dell’intimazione era già coperto da una sospensione legale o giudiziale, l’emissione dell’intimazione è illegittima perché vietata dalla legge. Ad esempio, se il debitore aveva in corso una dilazione di pagamento regolarmente rispettata, oppure se un organo giurisdizionale (Commissione Tributaria) aveva disposto la sospensione della riscossione in attesa di giudizio, l’intimazione violerebbe tale sospensione. In tal caso il debitore deve evidenziare che l’Agenzia ha agito “contra legem” emettendo l’atto mentre la riscossione era inibita. Ciò comporta il potere di ottenere l’annullamento o la sospensione d’ufficio dell’intimazione.
- Intimazione anticipata o duplicata: generalmente la legge richiede che l’intimazione sia inviata dopo un certo intervallo (almeno un anno) dalla cartella. Se invece essa è stata emessa in anticipo (ad es. subito dopo la cartella) o se si inviano due intimazioni simili contemporaneamente, in linea di massima ciò non inficia la legittimità dell’atto. Tuttavia, se più intimazioni confliggono (es. indicano importi diversi) si potrebbe sollevare un’eccezione di difetto di coordinamento o abuso. La giurisprudenza recente ha comunque chiarito che un’intimazione scaduta può essere regolarmente rinnovata con una nuova intimazione, e in generale l’anticipazione solitamente si considera come un atto a efficacia differita, senza causare nullità automatica.
In sintesi, i vizi propri dell’intimazione di pagamento sono quindi essenzialmente di natura formale o procedurale (punti 4-7 sopra), mentre i vizi relativi al credito o alle notifiche pregresse (punti 1-3) costituiscono situazioni sul merito. Tali situazioni “esterne” al contenuto dell’intimazione possono comunque essere eccepite nel giudizio tributario grazie all’art. 19, comma 3, del d.lgs. 546/92, che permette di sollevare contestazioni del credito se l’intimazione viene impugnata. Rimane però il principio per cui l’impugnazione dell’intimazione “non riapre” di regola il merito degli accertamenti definitivi. Per guidare visivamente il debitore, si può schematizzare come segue i principali vizî e gli organismi cui ricorrere:
Vizî propri dell’intimazione | Effetti e rimedi (debitoriali) | Riferimenti |
---|---|---|
Notifica cartella mancante o invalida | Impugnazione dell’intimazione (CTP): atto nullo per omessa base. Si chiede annullamento. | Cass. 3005/2020 |
Prescrizione del credito (dopo cartella) | Impugnare l’intimazione e sollevare prescrizione maturata; prova documentale del decorso termini. Se prescrizione prima cartella: non più consentita. | Cass. 3005/2020 |
Decadenza del titolo di carica oltre termini | Segnalare nel ricorso che l’atto presupposto era decaddeuto; il giudice verifica in via d’urgenza. | – |
Pagamento già effettuato o sgravio intervenuto | Ricorso totale/ parziale con prove (ricevute, conti in banca); autotutela e richiesta sospensione AER; annullamento dell’intimazione per parte pagata. | – |
Mancanza firma o responsabile (forma) | L’atto resta valido; si eccepisce se offende difesa. L’assenza di sottoscrizione non è causa di nullità obbligatoria (Cass. 6209/2022). | Cass. 6209/2022 |
Carenza di motivazione o elementi essenziali | Intimazione a contenuto vincolato: il riferimento alla cartella notificata è motivazione sufficiente. Può contestare se mancano del tutto dati fondamentali (indirizzo, importo). | Cass. 6209/2022 |
Emissione durante sospensione (legale/giudiziale) | Atto illegittimo: sospendere il ricorso per evidenziare che la riscossione era bloccata (dilazioni, opposizioni pendenti). Ricorso tributario con argomento della procedura contrastante le norme sulla sospensione. | – |
Anticipazione o duplicazione dell’intimazione | Normalmente non inficia la validità (ma genera confusione); si può lamentare abuso o difetto di coordinamento se crea ingiustificato onere. | – |
Notate come molti di questi vizî (specialmente i primi 3 – notifiche, prescrizione, decadenza) riguardino le vicende del credito ancor prima dell’intimazione: essi possono essere fatti valere nell’atto di intimazione se quest’ultimo viene impugnato in tempo. I veri “vizi propri” sono quelli elencati nei punti formali sopra (firma, motivazione, errori di calcolo, ecc.), più le situazioni particolari di diritto (pagamento già avvenuto, sospensioni in atto). In sintesi, “vizi propri” sono tipicamente i difetti formali e procedurali dell’intimazione (punti 4-7), mentre i punti 1-3 (notifiche, prescrizione, decadenza) vengono considerati vicende estintive o di diritto che tuttavia – in base all’art.19, c.3 – possono anch’essi essere sollevate tramite l’impugnazione dell’intimazione, a condizione però che l’intimazione stessa venga regolarmente impugnata entro i termini.
Riferimenti normativi
- D.P.R. 29/9/1973 n.602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 50): disciplina l’intimazione di pagamento come atto di sollecito successivo alla cartella.
- D.Lgs. 31/12/1992 n.546 (Norme sul processo tributario): in particolare l’art. 19 (elenco degli atti impugnabili, comma 1, lett. e) include l’avviso di mora e per estensione l’intimazione di pagamento) e il comma 3 (che consente di far valere questioni relative agli atti antecedenti se l’intimazione è impugnata); l’art. 47 (termine di 60 giorni per impugnazione).
- L. 27/7/2000 n.212 (Statuto dei diritti del contribuente, art.7): prevede l’obbligo di indicazione del responsabile del procedimento negli atti amministrativi tributari (omessa nei casi prescritti dall’art.36 d.l.248/2007 comporta nullità per i soli atti di cartella, non per l’intimazione).
- Codice civile: artt. 1218 ss. (obbligazioni), artt. 2946-2953 c.c. (prescrizione): i termini ordinari o speciali di prescrizione dei tributi (es. 5 o 10 anni) devono essere valutati nel ricorso; in genere molti tributi erariali sono decennali, altri (tributi locali, contributi) quinquennali, salvo interruzioni.
- Codice di procedura civile: art. 480 (atto di precetto: analogia con l’intimazione fiscale, concedente 10 giorni); art. 615 (opposizione a precetto): l’intimazione fiscale può essere impugnata anche come “precetto” con opposizione ex art.615 c.p.c. entro 40 giorni dalla notifica, specialmente se si tratta di crediti non tributari oppure quando si preferisce agire in sede civile; art. 617 (opposizione agli atti esecutivi).
Strategie difensive e modelli di atto del debitore
Dal punto di vista difensivo, il debitore deve agire tempestivamente. Innanzitutto, entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione di pagamento deve presentare ricorso tributario presso la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) competente, indicando con precisione i motivi di censura (i vizi propri dell’intimazione) e chiedendo l’annullamento dell’atto. In alternativa (o in aggiunta, a seconda dei casi) può valutare l’opposizione giudiziale all’esecuzione ex art.615 c.p.c. (obbligazione pecuniaria equivalente alla forma di precetto, procedura analoga) qualora si verifichino i requisiti: ad esempio, nel caso di crediti contributivi o multe, spesso si agisce con opposizione civile. L’opposizione va proposta entro 40 giorni dalla notifica dell’intimazione (termine per la citazione in giudizio del Concessionario e/o dell’ente impositore) e consente di bloccare provvisoriamente il pignoramento.
Alcune istruzioni pratiche:
- Contenuto del ricorso tributario: indicare le proprie generalità, l’atto impugnato (data e numero dell’intimazione) e i fatti (es.: cartella precedente, mancata impugnazione, date). Esposizione dei motivi: ad esempio, “mancanza di notificazione valida dell’atto presupposto”, “estinzione del credito per prescrizione intervenuta al dd/mm/aaaa”, “pagamento già effettuato con ricevuta n. … del …”, “omessa sottoscrizione del responsabile”, ecc. Allegare documenti probatori (ricevute, quietanze, certificati di avvenuta notifica o rilievi formali) e copia di tutti gli atti rilevanti (cartella, intimazione, eventuali interruzioni). Concludere chiedendo l’annullamento dell’intimazione (e, se opportuno, della cartella). Si può inoltre chiedere contestualmente la sospensione dell’esecuzione ex art.47 d.lgs.546/92, motivando il periculum in mora (es.: grave danno da pignoramento) e il fumus boni iuris (fondato sospetto di vizio).
- Opposizione ex art.615 c.p.c.: se scelta questa strada (di solito per ingiunzioni non tributari), si cita in giudizio l’Agenzia di Riscossione (o l’ente impositore, secondo la pronuncia del Trib. Cagliari 782/2023: se l’eccezione riguarda l’esistenza del credito, bisogna chiamare in causa l’ente impositore; se si contestano vizi propri della procedura di riscossione, l’Agenzia o il concessionario). Nel controricorso di opposizione si sollevano le stesse eccezioni di vizio (prescrizione, nullità di notifica, mancato pagamento, ecc.). L’opposizione va notificata entro 40 giorni e può bloccare immediatamente il pignoramento se accompagnata da istanza di sospensione al giudice (art.615) oppure via cautelare ordinaria.
- Rimedi alternativi: contestualmente o come passaggi preliminari, si suggerisce di presentare istanze di autotutela all’Agenzia delle Entrate–Riscossione, allegando la documentazione, per ottenere l’annullamento d’ufficio dell’intimazione (se, ad es., è provato il pagamento o la prescrizione). Si possono anche valutare soluzioni conciliative (piani di rientro, condono se previsto, ecc.).
- Autotutela e contestazione diretta alla fonte: se il debito dipende da un avviso di accertamento o cartella definitivi, spesso il debitore contesta la validità di quei titoli con reclamo o ricorso di merito, e solo in subordine impugna l’intimazione per questioni esecutive. Tuttavia, come visto, una volta persi i termini, la difesa del merito del credito può essere preclusa. Per questo è fondamentale reagire non appena arriva l’intimazione, anche se si vogliono poi sollevare vizi legati all’atto impositivo originario.
- Tempi e forma: il ricorso tributario e l’opposizione devono rispettare rigorosamente i termini di legge (60 giorni e 40 giorni rispettivamente). L’inserimento tardivo di nuovi motivi (specialmente quelli attinenti al titolo) in sede di appello è rischioso: come accaduto in Cass. n. 6209/2022, l’omessa menzione di un vizio formale (firma) è stata dichiarata inammissibile se proposta solo in appello. Meglio approfondire subito il caso.
Esempi pratici:
- Caso A: Rossi SRL riceve nel 2025 un’intimazione relativa a cartelle del 2015. Notifica molteplici avvisi di accertamento IRPEF nel 2014, mai impugnati. L’intimazione chiede pagamento di €100.000. Rossi scopre di aver pagato integralmente quelle imposte già nel 2017 (ha ricevute bancarie). Azione: entro 60 gg impugna l’intimazione, eccependo in via principale l’avvenuto pagamento e allegando le ricevute. Di conseguenza il giudice disporrà l’estinzione della pretesa (annullando anche la cartella).
- Caso B: Verdi srl ha fatto istanza di rateizzazione nel 2023 per tasse comunali, ottenendo dilazione di 60 rate. Pur in presenza di questa sospensione, l’Agenzia Riscossione invia un’intimazione nel 2024. Il debitore ricorre all’Agenzia chiedendo annullamento (autotutela). Poi, nel ricorso tributario, solleva che la riscossione era sospesa per legge e in ogni caso contesta l’intimazione per difetto di titolo (sospensione in atto).
- Caso C: Bianchi riceve un’intimazione del 2024 riguardante una cartella del 2012. Non ha mai sentito parlare prima dell’accertamento 2012. Si rende conto soltanto ora del debito. Confronta la data di iscrizione a ruolo (2012+10 anni) e nota che l’IVA di quell’anno si prescriveva nel 2022. Preparando il ricorso al fisco per l’intimazione, deduce la prescrizione decennale (eventualmente quinquennale, a seconda delle norme applicabili) intervenuta prima del 2024. L’istanza deve indicare i termini di notificazione e l’assenza di interruzioni nel periodo rilevante. Se provata, il giudice tributario dichiara la prescrizione estintiva e annulla la cartella.
- Caso D: Una società consortile riceve un’intimazione con l’indicazione di competenze che in realtà spettavano a un’altra entità (es. dati anagrafici errati). Può sollevare nel ricorso (o nell’opposizione) difetto di capacità passiva dell’intimazione o errori di intestazione, chiedendone l’annullamento per carenza soggettiva.
Questi esempi mostrano come ogni difesa dipenda dalle circostanze del debito. L’elemento comune è che, per la questione del vizio proprio dell’intimazione, il termine cruciale è quello dei 60 giorni: superato inutilmente, l’intimazione diventa definitiva. In presenza di un giudizio pendente (ricorso o opposizione), il debitore può chiedere la sospensione cautelare del procedimento esecutivo (art.47 d.lgs.546/92 o art.615 c.p.c.) dimostrando il fumus e il periculum in mora. Ad es., Cass. 6436/2025 evidenzia che il debitore deve impugnare l’intimazione se vuole eccepire la prescrizione, altrimenti essa è cristallizzata.
Domande e risposte frequenti
- D: Che differenza c’è tra l’impugnazione della cartella e quella dell’intimazione?
R: L’impugnazione della cartella di pagamento contesta il debito tributario in senso sostanziale (motivazione, somma richiesta, dati dell’accertamento ecc.) ed è più ampia. Quella dell’intimazione di pagamento (atto di riscossione post-cartella) può invece sollevare solo i vizi propri dell’intimazione. In pratica, con l’impugnazione della cartella si avrebbero potuto eccepire vizi di motivazione o notifica della cartella stessa; saltando quel passaggio, ora l’intimazione permette di lamentare solo errori dell’atto di riscossione (ad es. formalità, calcoli, prescrizione, ecc.), non la sostanza dell’accertamento non più contestabile. - D: Se non ho impugnato la cartella, posso sollevare i suoi vizi attraverso l’intimazione?
R: No, in linea generale. Come chiarito da Cass. 3005/2020 e confermato da altri orientamenti, se la cartella è divenuta definitiva per mancata impugnazione, il debitore non può far valere vizi inerenti alla cartella stessa contestando l’intimazione. L’intimazione “non integra un nuovo atto impositivo” e quindi non riapre il merito del debito. Eccezioni: può rilevare le vicende del debito (prescrizione, prescrizione, pagamenti già effettuati) solo perché l’art.19, comma 3, D.lgs. 546/92 gli permette di farlo in via di massima solo sul primo atto, ma se l’intimazione è regolarmente impugnata, tali eccezioni potranno essere valutate. - D: Posso contestare l’intimazione inviata oltre un anno dalla cartella?
R: L’art. 50 DPR 602/1973 richiede che l’intimazione sia notificata di regola dopo 1 anno dalla cartella (o 6 mesi da una precedente intimazione). Se l’atto è arrivato dopo tempi eccezionali (es. dopo molti anni) il credito potrebbe essersi prescritto, come visto sopra, oppure decaduto. Se ricorrono vizi di notifica mancata o prescrizione intervenuta, vanno sollevati con il ricorso. Il mero ritardo nell’invio dell’intimazione non genera di per sé un vizio procedurale (l’intimazione tardiva resta in genere valida), ma se ciò ha reso il credito estinto o ha violato decadenze, il debitore ha spunto per contestarne la legittimità. - D: Se l’intimazione non è stata firmata dal funzionario, è nulla?
R: No. La Corte di Cassazione (Cass. 6209/2022) ha confermato che l’omissione della firma o dell’indicazione del responsabile del procedimento nell’intimazione di pagamento non comporta la nullità dell’atto. Il motivo è che la norma speciale (art.36, comma 4-ter D.L. 248/2007) che impone tali indicazioni a pena di nullità vale solo per le cartelle consegnate dal 2008 in poi, non per le intimazioni. Pertanto la mancanza di firma è solo un vizio formale non letale, a meno che non abbia impedito al debitore di conoscere effettivamente il contenuto (in tal caso si lamenterebbe più l’illegittimità della notifica stessa). - D: A chi devo fare ricorso: l’Agenzia di Riscossione o l’ente creditore?
R: Dipende dal motivo dell’impugnazione. Se nel ricorso tributario si contesta l’esistenza stessa del credito (es. inesistenza del presupposto, prescrizione intervenuta), il legittimato passivo è l’ente impositore (Agenzia delle Entrate, INPS, comune, ecc.), titolare della pretesa originaria. Se invece si impugnano vizi propri della riscossione (irregolarità formali, di procedura esecutiva), si può chiamare in giudizio l’Agenzia di Riscossione come soggetto firmatario dell’intimazione. Lo ha chiarito il Tribunale di Cagliari (sent. 26/5/2023, n.782): nella sola ipotesi in cui con l’opposizione (o ricorso) si facciano valere “vizi propri della procedura di riscossione”, la legittimazione dell’ente di riscossione può sussistere. In pratica, per la maggior parte dei casi tributari si citano entrambi se si vuole coprire ogni aspetto, ma è fondamentale individuare il corretto contraddittorio. - D: Cosa succede se trascuro i 60 giorni per impugnare?
R: Se scade il termine di 60 giorni (art.47 D.Lgs. 546/92) e non si è ricorso, l’intimazione diventa definitiva e non è più contestabile davanti alla CTP. Il credito si consolida e non si potrà più far valere sul fronte tributario le eccezioni estintive sopraggiunte o pregresse (prescrizione, decadenza, ecc.). In questo caso il debitore potrà agire eventualmente solo in sede di opposizione agli atti esecutivi ordinari (es. opposizione ex art.615 c.p.c., senza alcuna disapplicazione della regola “sospensione 1/3”), ma ha perso l’occasione di azione nel contenzioso tributario. Eventuali eccezioni sul titolo impositivo non possono più essere sollevate dopo; resteranno semmai valide le opposizioni ordinarie (art.615, 617 c.p.c.) che riguardano solo vizi dell’atto esecutivo. - D: Quando conviene fare opposizione civile (art.615 c.p.c.) anziché ricorso tributario?
R: L’opposizione ex art.615 c.p.c. è ammessa, in alternativa al ricorso tributario, quando l’intimazione riguarda crediti non tributari (es. contributi previdenziali, multe) oppure in generale quando si preferisce agire tramite giudice civile ordinario. Ha un termine di 40 giorni e costringe il debitore a citare in giudizio l’Agenzia di Riscossione o l’ente (v. sopra). Lì si possono sollevare vizi dell’intimazione analoghi a quelli visti (prescrizione, difetti di notifica, ecc.). Tuttavia, se la controversia è di natura tributaria (carattere impositivo), in genere si consiglia il ricorso alla CTP. Da ricordare: l’opposizione non sospende automaticamente l’esecuzione: per farlo occorre chiedere al giudice una misura cautelare. L’opposizione al precetto/atti esecutivi civili (art.615-617) è infatti neutra rispetto al merito del credito, potendo bloccare solo atti formali difettosi (cfr. art.615 §2 c.p.c.). - D: Quali tabelle di legge determinano i tempi di prescrizione?
R: I termini cambiano a seconda del tributo o del credito: molti tributi erariali (IRPEF, IRES, IVA, IMU) sono soggetti a prescrizione decennale (10 anni), mentre tributi locali o contributi previdenziali spesso quinquennali (5 anni). Bisogna consultare le norme specifiche (es. art.2953 c.c. e ss.; art.2946 c.c. per 5 anni se non diversamente previsto). In caso di dubbi, il debitore esponga nel ricorso le date di notifica e imposta i calcoli, lasciando all’Agente dell’Agenzia il compito di dimostrare eventuali interruzioni tramite atti interruttivi (avvisi bonari, intimazioni pregresse, ecc.). - D: Un’intimazione può essere affetta da falsa data o notificata in casa sbagliata?
R: Sì, errori così concreti configurano vizi di notificazione o di forma. Ad es., una firma falsificata sul registro postale rende nulla la notifica. L’intimazione perciò può essere impugnata anche per tali motivi (norme generali sull’atto notificato: art.292 CPC). Se la notifica non è valida, il termine di impugnazione decorre dal giorno in cui il contribuente ne ha conoscenza effettiva o comunque dagli articoli 145 e 148 Cod. Civ. (principio di sorpresa). In casi estremi si può chiedere rimessione in termini per vizio di notifica (ad es. mancata ricezione dell’atto, feriali, ecc.).
Tabelle riepilogative
Tabella 2 – Atti impugnabili e limiti giurisdizionali:
Tipo di atto | Impugnazione tributaria | Impugnazione civile | Termine |
---|---|---|---|
Avviso di accertamento | Tribunale Tributario (normale contenzioso) | – | 60 gg (art. 21/546) |
Cartella di pagamento | Tribunale Tributario (art.19 c.1 lett. e) | – | 60 gg |
Intimazione di pagamento | Tribunale Tributario (solo vizi propri) (equiv. avviso di mora) | Opposizione ex art.615 c.p.c. (vizi propri) | 60 gg (Trib.) 40 gg (Opposizione) |
Atto di precetto civile | – | Opposizione ex art.615 c.p.c. | 40 gg |
Atto esecutivo (pignoramento) | – | Opposizione ex art.617 c.p.c. | 40 gg (dall’atto) |
Tabella 3 – Vizi opponibili secondo la sede giudiziaria:
Vizio | Ricorso tributario (CTP) | Opposizione esecuzione (civile) |
---|---|---|
Vizi propri dell’intimazione | ✔ Impugnabili (solo vizi formali e procedurali) | ✔ Impugnabili (vizi formali del precetto) |
Errore del credito sottostante | ✖ (non impugnabili, ad es. motivazione cartella già definitiva) | ✖ (il giudice non può discutere il merito impositivo) |
Prescrizione intervenuta | ✔ (se post-cartella, come visto; se pre-cartella, no) | ✖ in opposizione (salvo eccezioni minime) |
Le tabelle sottolineano che, in sede tributaria, il debitore deve impugnare l’intimazione per sollevare qualunque vizio (ad es. prescrizione, pagamento, decadenza) che non è già stato contestato. Se non lo fa, rinuncia a difendersi pienamente e il credito si cristallizza.
Conclusioni
L’intimazione di pagamento rappresenta l’ultimo avviso prima dell’esecuzione forzata delle entrate tributarie. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale controllare con attenzione ogni intimazione per cogliere eventuali vizi propri che consentono di bloccare l’esecuzione. In sintesi: si può impugnare solo per vizi propri (formali o procedurali), a meno che il debitore scopra il credito solo in questo atto, nel qual caso può far valere in via subordinata anche vizi sostanziali del titolo. I vizi propri tipici sono errori di notifica, di calcolo, indisponibilità del debito (pagamento, prescrizione), difetti formali o violazioni di norme procedurali (sospensione etc.). La strategia difensiva consiste nel presentare tempestivamente il ricorso tributario (o l’opposizione civile) con tutte le eccezioni collegate ai vizi riscontrati, corredando il tutto con la documentazione probatoria (ricevute, certificati, corrispondenza).
Ricordiamo infine che la giurisprudenza di merito e di legittimità aggiornata – come Cass. n. 15941/2021, Cass. n. 3005/2020, Cass. n. 6209/2022, Cass. n. 6436/2025, nonché importanti decisioni delle Sezioni Unite su avvisi e precetti – ribadisce costantemente questi principi. Pertanto, il debitore informatissimo e pronto può tutelare efficacemente i propri diritti anche in fase di esecuzione fiscale.
Fonti
- Leggi e regolamenti: D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 50 (riscossione delle imposte); D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, artt. 19 (impugnabilità degli atti tributari) e 47 (termine di impugnazione); L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 7 (Statuto del contribuente, Indicazione del responsabile del procedimento); Codice Civile, artt. 1218, 2946-2953 (debito, prescrizione); Codice di Procedura Civile, artt. 480, 615-617 (atto di precetto, opposizione esecuzione).
- Giurisprudenza italiana: Cass. civ., ord. 8 giugno 2021, n. 15941; Cass. civ., ord. 7 febbraio 2020, n. 3005; Cass. civ., sent. 24 febbraio 2022, n. 6209; Cass. civ., sent. 11 marzo 2025, n. 6436; Cass. civ., ord. 17 giugno 2024, n. 16743 (in contrasto con orientamenti successivi); Cass. civ., SS.UU., ord. 16 ottobre 2024, n. 26817 (orientamento Sezioni Unite su intimazione-accertamento); Cass. civ., SS.UU., sent. 8 marzo 2022, n. 7514 (legittimazione nei ricorsi esecutivi); Tribunale di Cagliari, sez. Lavoro, sent. 26 maggio 2023, n. 782 (distinzione legittimazione passiva, cfr.); Commissione Tributaria Regionale (Lazio), sent. 20 gennaio 2021, n. 328 (ripresa del principio Cassazione).
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Conclusione
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