Hai ricevuto una contestazione fiscale relativa a royalties per brevetti, marchi, software, diritti d’autore o altri introiti da proprietà intellettuale? L’Agenzia delle Entrate ti accusa di aver dichiarato male i redditi derivanti da royalty, o di non averli dichiarati affatto? Ti stai chiedendo cosa rischi e come difenderti correttamente?
Le royalties sono soggette a regole fiscali complesse, specialmente se provengono dall’estero, da soggetti collegati o da contratti non ben strutturati. Le contestazioni fiscali su questi redditi possono portare a pesanti accertamenti, recuperi d’imposta e sanzioni, se non gestite con precisione.
Quando scattano le contestazioni fiscali sulle royalties?
– Quando l’Agenzia rileva redditi da royalty non dichiarati (es. pagamenti ricevuti da società estere, piattaforme digitali, contratti d’uso)
– Quando le royalties sono dichiarate come redditi diversi, ma in realtà andavano tassate come redditi di lavoro autonomo o d’impresa
– Quando l’Agenzia presume un reddito più alto rispetto a quanto dichiarato, sulla base di flussi bancari, licenze registrate, incassi regolari
– Quando manca la documentazione contrattuale o fiscale che giustifica la natura e l’importo delle royalties
Cosa rischi se non reagisci?
– Recupero delle imposte non versate, con sanzioni fino al 90% dell’importo contestato
– Iscrizione a ruolo, intimazioni di pagamento, pignoramenti
– Se le royalties provengono dall’estero e non sono state indicate nel quadro RW, sanzioni aggiuntive per monitoraggio fiscale
– Nei casi più gravi, segnalazione alla Procura per omessa dichiarazione o dichiarazione infedele
Come difendersi dalle contestazioni fiscali sulle royalties?
– Verifica la tipologia di reddito percepito: royalties passive, attive, da cessione, da concessione d’uso
– Analizza i contratti di licenza, cessione, distribuzione: devono essere chiari e coerenti con la dichiarazione
– Se le royalties sono estere, controlla se esistono convenzioni contro le doppie imposizioni
– Verifica se hai già pagato le imposte all’estero e se puoi far valere un credito d’imposta in Italia
– Se la contestazione si basa su presunzioni, contesta la mancanza di prove dirette o documenti certi
– Valuta l’opzione del ravvedimento operoso, se c’è stato un errore formale e non doloso
Quando la contestazione è illegittima?
– Se l’Agenzia non tiene conto dei contratti o dei pagamenti già tassati all’estero
– Se il reddito è stato correttamente indicato, ma in una sezione diversa della dichiarazione
– Se si basa su presunzioni non supportate da dati certi (es. bonifici generici)
– Se la tassazione è già avvenuta nel Paese di origine secondo convenzione e non può essere duplicata in Italia
Cosa puoi ottenere se agisci per tempo?
– Annullamento totale o parziale dell’avviso di accertamento
– Riduzione delle sanzioni, anche con l’adesione o il ravvedimento
– Regolarizzazione della posizione fiscale e blocco delle azioni esecutive
– Tutela della tua reputazione fiscale, soprattutto se sei un autore, un artista o un imprenditore digitale
Le royalties sono un’area fiscale delicata e facilmente soggetta a errori interpretativi, ma con la documentazione giusta e un supporto tecnico-legale, puoi difenderti con successo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario internazionale e redditi da proprietà intellettuale ti spiega come difenderti dalle contestazioni fiscali sulle royalties, quali documenti servono e quando puoi annullare l’accertamento.
Hai ricevuto una contestazione per redditi da royalty? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo il tuo caso e ti diremo se puoi annullare la pretesa o regolarizzare la posizione evitando sanzioni gravi.
Introduzione
Le contestazioni fiscali relative alle royalties si verificano quando l’Amministrazione finanziaria ritiene che i compensi versati o ricevuti a tale titolo non siano stati trattati correttamente dal punto di vista tributario. Questo tema riguarda da vicino imprenditori, professionisti e privati (ad esempio autori o inventori) ed è di grande rilevanza pratica. In questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, forniremo un’analisi approfondita di come difendersi in caso di verifiche e accertamenti fiscali sulle royalties, con riferimenti normativi italiani, prassi amministrative e gli orientamenti giurisprudenziali più recenti. Adotteremo un linguaggio giuridico ma chiaro, proponendo anche domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche focalizzate sul contesto italiano. L’ottica è quella del contribuente (debitore d’imposta) che deve tutelarsi in fase di accertamento tributario e nel successivo contenzioso presso le Corti di Giustizia Tributaria (già Commissioni Tributarie) e la Corte di Cassazione.
Nozione e categorie di royalties
In ambito giuridico-fiscale, per royalties si intendono i corrispettivi periodici pagati per l’utilizzo di un bene immateriale altrui – tipicamente opere dell’ingegno, brevetti, marchi, know-how, diritti di sfruttamento commerciale o artistico. Si tratta quindi di canoni di licenza pagati da un soggetto (licenziatario) al titolare dei diritti (licenziante) in base a un contratto, generalmente commisurati all’entità dello sfruttamento (ad esempio una percentuale sul fatturato derivante dalla vendita di prodotti col marchio concesso). Di seguito elenchiamo le principali categorie di royalties e le relative implicazioni fiscali:
- Royalties su proprietà intellettuale industriale: includono i canoni per l’uso di marchi, brevetti, disegni, modelli industriali, know-how tecnico-commerciale. In ambito aziendale, queste royalties spesso intercorrono tra società (anche infragruppo) per l’utilizzo di un asset intangibile (ad esempio un marchio registrato dalla capogruppo concesso alle controllate). Fiscalmente, per le imprese tali canoni sono componenti negativi deducibili se inerenti all’attività d’impresa e determinati a valore normale, mentre per il percettore costituiscono un ricavo tassabile (reddito d’impresa se chi incassa è società, o reddito di lavoro autonomo/intellettuale se chi incassa è persona fisica titolare del diritto).
- Royalties su diritti d’autore: riguardano opere letterarie, artistiche, musicali, cinematografiche. I compensi derivanti dallo sfruttamento del diritto d’autore da parte di privati godono di un trattamento fiscale peculiare: per le persone fisiche residenti che percepiscono tali compensi fuori dall’esercizio di impresa o professione abituale, una quota forfettaria è esclusa da tassazione (tipicamente il 25% o il 40% a seconda dell’età del percepiente, come previsto dall’art. 54 comma 8 del TUIR). Ad esempio, un autore italiano over 35 anni tassa solo il 75% delle royalties derivanti dai suoi libri, beneficiando di un’esenzione del 25% a titolo di spese forfettarie. In ambito internazionale, le convenzioni contro le doppie imposizioni definiscono specificamente cosa rientra nei “canoni” (royalties) e spesso distinguono i diritti d’autore puri (talora tassabili solo nel Paese di residenza del percettore) dai diritti connessi o altri compensi assimilati. Ad esempio, l’Italia nei rapporti con alcuni Paesi esenta da ritenuta i compensi per diritti connessi (come i compensi per utilizzazione di registrazioni musicali) qualificandoli diversamente dalle royalties.
- Royalties su risorse naturali o concessioni: in alcuni settori (minerario, estrattivo, concessioni pubbliche) il termine “royalty” indica i canoni dovuti per lo sfruttamento di risorse o concessioni. Nel diritto italiano questi importi hanno disciplina specifica (spesso fissata per legge o convenzione) e in genere sono deducibili per l’utilizzatore e tassati come reddito d’impresa per chi li percepisce (ad es. ente pubblico o privato titolare della concessione).
- Royalties “interne” tra soggetti collegati: quando le royalties intercorrono tra società appartenenti allo stesso gruppo o tra soggetti con rapporti di controllo/collegamento, assumono particolare rilievo i profili di transfer pricing e di inerenza. In ambito infragruppo, le royalties devono rispettare il principio di libera concorrenza (arm’s length), ossia essere determinate al valore di mercato che sarebbe praticato tra parti indipendenti (art. 110 comma 7 del TUIR). Diversamente, l’Amministrazione finanziaria può rettificare il reddito imponibile rideterminando i corrispettivi al “valore normale” di cui all’art. 9 TUIR. Ad esempio, se una consociata italiana paga un canone eccessivamente alto a una consociata estera per l’uso di un marchio, il Fisco potrà contestarne la quota eccedente il valore di mercato, aumentando il reddito imponibile della società italiana.
- Royalties corrisposte a/da soggetti esteri (profilo internazionale): in caso di pagamenti transfrontalieri, oltre ai temi di transfer pricing poc’anzi detti, rilevano le norme sulle ritenute alla fonte e sulle convenzioni contro le doppie imposizioni. La normativa domestica italiana (art. 25 comma 4 DPR 600/1973) prevede, salvo deroghe convenzionali, una ritenuta d’imposta del 30% sui compensi corrisposti a non residenti per l’uso di opere dell’ingegno, brevetti, marchi e know-how. Tale ritenuta si applica generalmente sull’intero ammontare corrisposto (o, in alcuni casi particolari, sul 75% di esso, ad esempio per taluni diritti d’autore) e può essere ridotta o azzerata in presenza di un trattato bilaterale che lo preveda. Le direttive UE (come la Direttiva Interessi e Canoni 2003/49/CE) hanno inoltre esentato da ritenuta i pagamenti di royalties intragruppo all’interno dell’Unione Europea, ma con condizioni stringenti (partecipazione minima, status di società consociate e beneficiario effettivo del pagamento). Pertanto, quando una società italiana paga royalties verso un’altra società UE controllata, in presenza dei requisiti la ritenuta in Italia è zero (come recepito nell’art. 26-quater DPR 600/1973), diversamente si applica la ritenuta interna del 30% salvo trattato. Esempio: una società italiana paga €100.000 annui a una consociata francese per l’uso di un marchio; applica la ritenuta del 5% prevista dalla Convenzione Italia-Francia (in luogo del 30% domestico). Se però la consociata fosse in un Paese senza accordo o non rispettasse i requisiti UE, l’Italia pretenderebbe la ritenuta piena del 30%.
TABELLA 1 – Principali tipologie di royalties e trattamento fiscale
Tipo di royalty | Esempio pratico | Trattamento fiscale (Italia) | Possibili contestazioni Fisco |
---|---|---|---|
Royalties industriali infragruppo | Canone annuo 3% sul fatturato Italia verso casa madre estera per uso di marchio. | Deducibile per la società italiana se inerente; assoggettato a ritenuta 30% (ridotta a 0-5% se convenzione/UE). Percettore estero dichiara secondo sua legge (trattato evita doppia imp.). | Transfer pricing (valore anomalo rispetto al mercato); Beneficiario effettivo (se percettore è conduit); Inerenza (se il marchio apporta beneficio concreto). |
Royalties diritti d’autore (persona fisica) | Compensi a uno scrittore italiano per vendite di un libro. | Percepiti come reddito di diritto d’autore: tassabili parzialmente (esenzione 25%-40% a forfait) in capo all’autore se non imprenditore. Chi paga (editore) applica ritenuta d’acconto del 20%. Deducibili integralmente per l’editore come costo d’esercizio. | Qualificazione del reddito (il Fisco verifica che sia davvero diritto d’autore e non lavoro dipendente o altro); Documentazione (contratto di edizione). |
Royalties a soggetto in Paese black list | Pagamento di royalty a società in paradiso fiscale. | Prima del 2016 vigeva il regime speciale ex art. 110 co.10 TUIR: costo indeducibile salvo prova concreta di attività economica effettiva e interesse economico. Dal 2016 la norma è abrogata, ma resta l’onere generale di provare inerenza e congruità. Ritenuta alla fonte 30% applicabile comunque. | Elusione/evasione (il Fisco può sospettare che la royalty celi una fuga di redditi verso il paradiso fiscale); possibili contestazioni di indeducibilità se mancano prove del servizio reso. |
Royalties interne tra parti indipendenti | PMI italiana paga royalty 5% a persona fisica per brevetto. | Canone deducibile se correlato all’attività (inerenza). Pagatore italiano applica ritenuta d’acconto (20% se persona fisica residente). Percettore PF dichiara il reddito (con eventuale abbattimento forfettario se diritto d’autore). | Inerenza (il Fisco verifica che il brevetto sia effettivamente usato nell’impresa e utile); Anti-antieconomicità (se il costo appare esagerato rispetto ai ricavi generati). |
Royalties da concessioni pubbliche | Azienda estrae gas e paga royalties allo Stato. | Canoni dovuti ex lege all’ente pubblico concedente; deducibili per l’azienda estrattrice; per l’ente sono entrate erariali (spesso esenti da IVA). | In genere poco contestate (trattandosi di obblighi legali); possibili questioni su calcolo della base (se l’impresa ha sottostimato la produzione per ridurre il canone). |
Normativa italiana e riferimenti di base
Per affrontare una contestazione su royalties, è essenziale conoscere i riferimenti normativi chiave nell’ordinamento tributario italiano:
- TUIR (DPR 917/1986): Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Rilevano in particolare:
- Art. 9 TUIR: definisce il concetto di valore normale dei beni e servizi, parametro di riferimento per valutare la congruità dei corrispettivi infragruppo. In base al comma 3, per valore normale si intende “il prezzo mediamente praticato per beni e servizi similari in condizioni di libera concorrenza nel tempo e luogo in cui sono stati acquisiti, o in mancanza in tempi e luoghi prossimi”.
- Art. 51 TUIR: disciplina la tassazione dei redditi di lavoro autonomo e d’autore per le persone fisiche, inclusa la forfettizzazione dei costi su diritti d’autore (esenzione 25-40% come detto).
- Art. 54 TUIR: ulteriori dettagli sul calcolo del reddito di lavoro autonomo e assimilati, incluso il regime dei diritti d’autore (comma 8).
- Art. 109 TUIR: criteri generali di deducibilità dei costi d’impresa (principi di competenza, certezza, determinabilità e inerenza). L’art. 109 comma 5 (già art. 75) stabilisce che “le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui provengono ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito”. Questa norma è tradizionalmente riferita al principio di inerenza, interpretato dalla giurisprudenza in senso qualitativo (v. infra).
- Art. 110 TUIR: fondamentale il comma 7 sul transfer pricing interno. Esso prevede che i componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti, legate da rapporti di controllo (diretto o indiretto), “sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti […] se ne deriva aumento di reddito”. In altre parole, se un’impresa italiana controlla, è controllata, o è sorella di un’entità estera, i prezzi di trasferimento devono essere allineati al valore normale, altrimenti l’Agenzia delle Entrate può effettuare una rettifica aumentando il reddito imponibile (non è prevista rettifica in diminuzione se il prezzo è troppo alto a sfavore dell’estero, salvo procedure di accordo reciproco). Nota: Il comma 7 è stato modificato dal 2010 (Decreto “Internazionalizzazione”) per aderire pienamente al principio di libera concorrenza e attualmente esclude di dover dimostrare un disegno elusivo specifico: è una norma di aggiustamento automatico dei prezzi infragruppo fuori mercato.
- Art. 110 (commi 10 e 11): fino al 2015 contenevano la disciplina dei costi verso fornitori situati in Stati a fiscalità privilegiata (cosiddetta black list). Imponevano condizioni stringenti (prova dell’operatività estera e dell’effettività della prestazione) per dedurre costi verso tali Paesi. Questa disciplina è stata abrogata dal 2016 in favore di un approccio più aderente al principio generale anti-elusivo, ma è storicamente importante poiché molte contestazioni su royalties prima del 2016 coinvolgevano pagamenti verso paradisi fiscali, dichiarati indeducibili se il contribuente non forniva solide prove.
- DPR 600/1973 (Accertamento e riscossione):
- Art. 23 e 25 DPR 600/73: disciplinano le ritenute alla fonte. In particolare l’art. 25, comma 4, riguarda le ritenute su royalties verso estero, stabilendo la ritenuta del 30% a titolo d’imposta sui compensi per l’uso di opere dell’ingegno, brevetti, marchi e know-how corrisposti a non residenti, salvo diversa aliquota prevista da trattati o normative speciali. Se il percettore estero è una società collegata UE e soddisfa i requisiti, si applica l’esenzione (art. 26-quater).
- Art. 37-bis DPR 600/73: norma anti-elusiva generale (oggi confluita nell’art. 10-bis Statuto del Contribuente – L.212/2000). Anche se non specifica per royalties, tale norma poteva essere richiamata dal Fisco in passato per contestare schemi elusivi (es. interposizione di società estere per usufruire di trattati). Oggi, l’abuso del diritto è regolato dall’art. 10-bis citato, che richiede la dimostrazione di un vantaggio fiscale indebito ottenuto tramite operazioni prive di sostanza economica.
- D.Lgs. 471/1997 (Sanzioni tributarie): questo decreto, come modificato dal D.Lgs. 158/2015, prevede le sanzioni per infedele dichiarazione e omesso versamento di ritenute. In caso di rettifiche transfer pricing su royalties, due profili sanzionatori possono emergere: (1) sanzione per maggior reddito non dichiarato (dal 90% al 180% dell’imposta dovuta sul maggior reddito); (2) sanzione per eventuali ritenute omesse sulla parte di royalty eccedente il valore normale. Importante: se il contribuente aveva predisposto la documentazione di transfer pricing conforme (Masterfile e Documentazione Nazionale, secondo Provvedimento Agenzia Entrate 23.11.2020 e successiva Circolare 15/E 2021) e ha dato comunicazione di possederla nella dichiarazione, egli beneficia del regime di “penalty protection”. Ciò significa che non si applicano le sanzioni per infedele dichiarazione relative all’eventuale rettifica dei prezzi di trasferimento. Dal 2016, questa protezione è stata estesa anche alle sanzioni sulle ritenute non operate per effetto di rettifiche sui valori normali di interessi e royalties. In pratica, se un’azienda italiana ha applicato la ritenuta convenzionale (ad esempio 5%) su una royalty poi ridotta dal Fisco, non sarà sanzionata per non aver applicato la ritenuta piena sul surplus disconosciuto, purché avesse la documentazione transfer pricing idonea.
- Prassi amministrativa (Circolari e Provvedimenti):
- Circolare Min. Finanze n. 32/9/2267 del 22/09/1980: storico riferimento sul transfer pricing in Italia. Questa circolare – sebbene risalente – ha fornito linee guida per determinare il valore normale delle royalties infragruppo, recependo le prime indicazioni OCSE. In particolare, indicava alcune soglie percentuali di riferimento sul fatturato: un tasso di royalty fino al 2% del fatturato era considerato “non sospetto”, un tasso dal 2% al 5% “intermedio” richiedeva valutazione, oltre il 5% era considerato anomalo salvo giustificazioni specifiche. Questi parametri, pur non aventi forza di legge, sono stati spesso utilizzati come primi indizi dagli organi verificatori e considerati in diverse sentenze di merito e di legittimità. La stessa circolare però ammetteva la possibilità di superare tali percentuali in presenza di particolari circostanze (ad esempio elevato valore aggiunto del bene immateriale, esclusiva di mercato, ecc.). Come vedremo, la giurisprudenza più recente ha ribadito che tali soglie non sono limiti assoluti, ma semplici safe harbours indicativi.
- Circolari e risoluzioni varie: ad es. la Risoluzione ADE n. 143/E/2017 ha fornito chiarimenti su cosa costituisce royalty vs. pagamento di diversa natura (nel caso di software: licenza d’uso di software standard vs cessione di bene); la Risoluzione 12/E/2004 ha distinto tra diritti d’autore e diritti connessi in ambito musicale (richiamata nella risposta interpello 493/2020); varie risposte a interpello recenti (es. 2019-2021) hanno affrontato il concetto di beneficiario effettivo delle royalties ai fini convenzionali. È opportuno citare, ad esempio, la Risposta interpello ADE n. 30/2020, che ha negato l’aliquota agevolata di trattato in assenza del beneficiario effettivo, o la citata Risposta 493/2020 sul trattamento delle royalties pagate a residente in Svizzera (caso della cantante, confermata la tassazione in Italia).
- Provvedimento Agenzia Entrate 30.05.2018 (aggiornato nel 2020): disciplina gli Oneri documentali del transfer pricing, introdotti dall’art. 31-quater DPR 600/73. Stabilisce il contenuto della documentazione idonea (Masterfile e Local File) e le modalità per beneficiare della penalty protection in caso di verifica sui prezzi di trasferimento.
Contestazioni fiscali più comuni in materia di royalties
Quando l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza eseguono controlli, le contestazioni su operazioni di pagamento o percezione di royalties possono variare. Elenchiamo le più frequenti, spiegando in cosa consistono e su quali basi il Fisco le formula:
- Inerenza del costo di royalty – L’inerenza è il nesso tra un costo e l’attività d’impresa svolta. Il Fisco spesso contesta la deducibilità di royalties sostenute da un’impresa se ritiene che non vi sia correlazione effettiva tra quel costo e i ricavi o l’attività dell’azienda. Ad esempio, se una società paga royalties per un marchio o un know-how che non apporta benefici concreti o non viene effettivamente utilizzato, l’Ufficio può ritenere la spesa “non inerente” e quindi indeducibile. Un’altra situazione tipica è quando un’azienda paga una royalty a un soggetto collegato per beni che essa stessa vende a quel soggetto: il Fisco potrebbe sostenere che pagare il “proprietario del marchio” per vendere prodotti a lui medesimo sia economicamente non giustificato, e dunque contestare l’inerenza (questa tesi però, come vedremo, è stata smentita in Cassazione). La mancanza di inerenza è spesso dedotta in base a parametri qualitativi, ma a volte anche quantitativi: se l’importo è sproporzionato rispetto all’attività aziendale, può essere indizio di non inerenza (c.d. “antieconomicità” dell’operazione). Esempio: Una piccola s.r.l. con fatturato di 100.000 € paga 50.000 € di royalty annuale al socio per l’uso di un marchio; il costo appare eccessivo (50% dei ricavi) e l’Agenzia potrebbe sostenere che in realtà quella spesa maschera una distribuzione di utili o non ha una giustificazione economica, negandone la deduzione. È importante notare che secondo la Cassazione l’inerenza va valutata in termini qualitativi di coerenza con l’attività, non di correlazione a uno specifico ricavo. Tuttavia, una sproporzione macroscopica può costituire indizio che l’atto esula dall’attività d’impresa e persegue altre finalità. Dunque, il Fisco può legittimamente usare l’antieconomicità come elemento sintomatico, spostando sul contribuente l’onere di provare diversamente.
- Congruità del valore (transfer pricing) – È forse la contestazione più tecnica e ricorrente nelle operazioni infragruppo transfrontaliere. L’Amministrazione confronta il tasso o l’importo delle royalties praticate tra parti correlate con i valori di mercato: se risulta troppo alto (riducendo il reddito in Italia) oppure troppo basso (se l’Italia è il percettore e ciò riduce l’imponibile italiano), viene effettuata una rettifica del corrispettivo ai sensi dell’art. 110 comma 7 TUIR. Per l’Ufficio è sufficiente rilevare l’esistenza di transazioni infragruppo a prezzo apparentemente non allineato al normale; non è necessario dimostrare un intento elusivo specifico. Ad esempio, se una società italiana controllata paga alla capogruppo estera royalties pari al 10% del fatturato, mentre aziende simili pagano in media il 3%, il Fisco può ritenere che il valore normale sia 3% e riprendere a tassazione la differenza (7% del fatturato come reddito aggiuntivo). Viceversa, se un’azienda italiana concede in uso un proprio brevetto a una consociata estera facendosi pagare un canone irrisorio (es. 0,5% dei ricavi generati all’estero, contro un valore di mercato del 5%), l’Agenzia potrebbe rettificare aumentando il reddito in Italia (imputandole un ricavo maggiore). La contestazione di congruità viene supportata attraverso:
- Analisi di comparabilità e studi di settore: il Fisco può richiamare banche dati, studi di transfer pricing, o – come spesso avvenuto storicamente – la Circolare 32/1980 che fornisce parametri percentuali di massima. Ad esempio, la circolare citata considerava oltre il 5% del fatturato un canone anomalo: numerosi accertamenti hanno quindi ridotto royalties dal 6-7% a un “range normale” del 2-5%.
- Presunzioni: se il contribuente non fornisce dati o studi a supporto del prezzo, la Finanza pubblica può presumere non congruo il valore e procedere con metodo induttivo. La Cassazione ha avallato l’utilizzo di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti. Ad esempio, il riferimento ai criteri standard della circolare 32/1980 costituisce “seria presunzione” che sposta l’onere della prova sul contribuente. Ciò significa che, riscontrato il superamento di certi valori soglia, spetta al contribuente dimostrare che un tasso maggiore è giustificato (p.e. per l’esclusiva di un marchio di lusso, potrebbe essere normale pagare anche 8-10%).
- Base di calcolo: oltre all’aliquota di royalty, l’Ufficio può esaminare su quale base imponibile essa si applica. Ad esempio, se la royalty è calcolata sul fatturato totale di una società e include vendite intra-gruppo o partite particolari, il Fisco potrebbe escludere certe componenti ritenendo che non avrebbero dovuto generare royalty. Nella contestazione sfociata in Cass. 9615/2019, ad esempio, i verificatori ridussero la base d’imponibile escludendo il fatturato estero (vendite dalla licenziataria italiana ad altre consociate) e i bonus/sconti, prima di applicare il tasso normale del 2%.
- Tassazione correlata (ritenute): se viene ridotto il valore deducibile di una royalty estera, l’Agenzia contesterà anche la mancata applicazione delle maggiori ritenute. Esempio: canone pagato €100, con trattato 5% applicato; se il valore normale è stimato €75, i €25 eccedenti sono considerati utili extracontabili su cui avrebbe dovuto applicarsi la ritenuta italiana piena (tipicamente 30% se non coperti dal trattato). Il Fisco quindi può richiedere il versamento di detta differenza di ritenuta non operata (oltre interessi e sanzioni, salvo esimente documentale).
- Omessa applicazione o indebito utilizzo di convenzioni (Beneficiario effettivo) – Una contestazione delicata in ambito internazionale avviene quando il Fisco sostiene che un soggetto estero percettore delle royalties non ne sia il “beneficiario effettivo”, bensì una mera interposta per veicolare i pagamenti verso terzi. In questi casi, l’Agenzia nega l’aliquota ridotta prevista dal trattato internazionale o dalla direttiva, e pretende l’applicazione della ritenuta interna del 30% (o altra misura prevista senza trattato) verso il reale beneficiario. Ad esempio, se una società italiana paga royalties a una consociata in Olanda al 0% di ritenuta (Direttiva) ma l’Olanda le gira immediatamente alla casa madre extra-UE, il Fisco italiano potrebbe dire che il vero beneficiario è la casa madre e che la direttiva/tassazione di favore non andava applicata, esigendo la ritenuta. La contestazione si basa sull’articolo delle convenzioni che richiede che il percettore sia beneficiario effettivo (beneficial owner) dei canoni per godere dell’aliquota ridotta. In tempi recenti, specie dopo le note “sentenze danesi” della CGUE (2019) e l’azione OCSE BEPS, c’è stata enfasi su questo concetto. L’Agenzia spesso chiede al contribuente prove che la società estera abbia sostanza economica, autonomia decisionale e non retroceda la maggior parte dei fondi, altrimenti nega i benefici convenzionali. Esempio reale: Una società italiana versava royalties a una consociata svizzera applicando il 5% da Convenzione Italia-Svizzera. Il Fisco ha scoperto che la svizzera girava utili a una controllante USA, titolare ultima del marchio, e ha contestato che la svizzera non fosse beneficial owner, esigendo la ritenuta piena (30%) come se pagasse agli USA (trattato USA prevede 8%). In primo grado il contribuente ha vinto mostrando che la società svizzera era operativa (gestiva il franchising in Europa) e non vi era ri-trasferimento dei canoni. In appello, la Corte di Giustizia Tributaria ha affermato principi importanti: (a) l’onere della prova della mancanza di beneficiario effettivo spetta al Fisco, non trattandosi di agevolazione ma di normale applicazione di un trattato; (b) anche se il beneficiario effettivo fosse stato la società USA, si sarebbe dovuta applicare la Convenzione Italia-USA (8% ritenuta) e non la ritenuta piena, quindi l’accertamento era comunque errato. Questo orientamento di merito (CGT II grado Emilia, sent. 929/2023) è in parziale contrasto con alcune pronunce di Cassazione che in passato avevano ritenuto l’onere probatorio a carico del contribuente. La differenza deriva dalla nuova norma processuale (art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. 546/92, introdotto nel 2015) che impone all’ente impositore la prova delle condotte abusive. Dunque, sul beneficiario effettivo si sta consolidando l’idea che debba essere il Fisco a provare l’interposizione fittizia, una volta che il contribuente fornisce la documentazione di base (certificato di residenza estero e un minimo di sostanza economica). In pratica, queste contestazioni richiedono al contribuente di difendere la legittimità dell’aliquota convenzionale utilizzata, dimostrando la sostanza economica del percettore estero (personale, uffici, attività svolta, autonomia decisionale) e l’assenza di pass-through integrale dei flussi. In mancanza, si rischia l’applicazione di imposta italiana integrale sulle royalties esportate, con richiesta di versare le ritenute non fatte e relative sanzioni.
- Qualificazione dei rapporti e riqualificazioni – Il Fisco talvolta contesta che il contratto di “licenza” celi in realtà qualcos’altro. Esempi:
- Una royalty eccessiva versata al socio persona fisica potrebbe essere vista come utile occulto distribuito anziché pagamento per un reale asset. In tal caso, fiscalmente, invece di dedurre la spesa come costo d’impresa, andrebbe trattata come utile distribuendo (non deducibile) con potenziale ritenuta del 26% se a socio estero (o tassazione per trasparenza se socio italiano). Le contestazioni di utili extracontabili rientrano nelle ipotesi di uso distrattivo di utilità dell’impresa a favore dei soci.
- Al contrario, a una persona fisica che riceve royalties dalla propria società potrebbe essere eccepito che non si tratta di reddito di diritto d’autore ma di reddito assimilabile al lavoro (se ad esempio il contributo personale del socio nella creazione dell’opera è dubbio). Tuttavia, se il marchio o brevetto è effettivamente registrato a nome del socio e poi concesso in licenza alla società, la configurazione di royalty è corretta. In tal caso, occorre solo rispettare le condizioni di mercato (evitando che sia troppo alto per non essere visto come atto di gestione antieconomica).
- Casi di mancata fatturazione IVA: se le royalties sono relative a concessione di beni immateriali, sono considerate prestazioni di servizi ai fini IVA. In ambito UE, il luogo di tassazione IVA per i servizi B2B è il Paese del committente, quindi spesso la royalty in uscita dall’Italia non sconta IVA italiana (reverse charge a carico del ricevente UE). Tuttavia, in rapporti domestici o con privati, l’operazione potrebbe richiedere fattura con IVA. L’Amministrazione può contestare il mancato assoggettamento a IVA se ritiene che la natura del corrispettivo fosse diversa (ad esempio vendita di bene anziché royalty, o servizio imponibile non esente). Nella pratica, queste questioni IVA sulle royalties sono meno comuni, ma possibili (si pensi alla cessione di know-how vs consulenza generica).
- Royalties implicite non dichiarate: scenario inverso, quando un’impresa italiana non fa pagare alcuna royalty per un bene intangibile ceduto in uso a consociate estere (magari per favorire i loro risultati). In sede di controllo, il Fisco potrebbe imputare un ricavo figurativo all’impresa italiana, calcolando una royalty normale che avrebbe dovuto chiedere. Questo è un aggiustamento da transfer pricing “in positivo” (maggiori ricavi). Ad esempio, Cass. n. 21824/2018 ha trattato il caso di omessa contabilizzazione di royalties infragruppo per uso gratuito di marchi da parte della capogruppo estera: anche qui opera l’art. 110(7) TUIR, e l’Ufficio può recuperare a tassazione il corrispettivo mancante.
- Contestazione sul regime fiscale applicato alle royalties percepite – Questo riguarda soprattutto i privati o enti non commerciali. Se una persona fisica percepisce royalties e le dichiara in una certa categoria fiscale (es. redditi diversi o di lavoro autonomo occasionale), il Fisco può riclassificarli. Ad esempio, i compensi per sfruttamento di immagini o di nome possono essere inquadrati come redditi diversi ex art. 67 TUIR, ma l’Agenzia potrebbe qualificarli redditi di lavoro autonomo. Oppure, i compensi per software standard non sono considerati royalties esenti parzialmente come diritto d’autore (essendo software “pacchetto” equiparato a cessione di supporto), mentre un contribuente potrebbe aver applicato l’esenzione del 25% pensando fossero diritto d’autore: in verifica, quell’esenzione verrebbe negata richiedendo la tassazione integrale. Allo stesso modo, per un ente non commerciale, occorre distinguere se l’incasso di royalties rientra o meno nella sfera istituzionale esente: ad esempio, un artista che percepisce royalties può farlo come privato o farle confluire in una sua ditta individuale; la scelta influenza il modo in cui il reddito è tassato e dedotto, e può essere oggetto di contestazione se il Fisco ritiene che la struttura scelta serva solo a ottenere aliquote minori.
- Profili procedurali o formali – A volte le contestazioni riguardano aspetti formali: ad esempio, mancanza di un contratto scritto di licenza. La mancanza di contratto non rende di per sé indeducibile la spesa, ma rende più arduo provare l’inerenza e la corretta determinazione del prezzo. L’Ufficio può contestare che senza contratto chiaro, la spesa non è sufficientemente documentata (violazione dell’art. 109 TUIR in tema di certezza). Altra contestazione: l’assenza della dicitura in dichiarazione di possesso della documentazione transfer pricing (se il contribuente ce l’aveva ma si è dimenticato di barrare l’apposita casella) fa perdere l’esimente sanzionatoria – su questo l’Agenzia è inflessibile e la giurisprudenza conferma che la comunicazione preventiva in dichiarazione è necessaria per usufruire della penalty protection.
- Sanzioni – Più che contestazione a sé, è la conseguenza: se il Fisco accerta maggiori imposte su royalties (sia per maggior reddito imponibile, sia per ritenute non versate), applica sanzioni. Possono essere contestate sanzioni per infedele dichiarazione (imposta evasa > evasa perché spesa indebita o reddito omesso) o per omesso versamento di ritenute. Il contribuente può opporsi invocando esimenti (buona fede, obiettive condizioni d’incertezza normativa, possesso documentazione TP, ecc.). In contenzioso spesso si discute la quantificazione della sanzione e l’eventuale non punibilità ai sensi dell’art. 6 D.Lgs. 472/97 (quando c’è incertezza normativa non colpevole).
Strategie difensive in fase di accertamento (Agenzia delle Entrate)
Quando un contribuente riceve una contestazione o è sottoposto a verifica fiscale riguardante royalties, è fondamentale attivarsi tempestivamente per predisporre la difesa già in sede amministrativa. Spesso, un’efficace difesa in fase di accertamento può evitare il contenzioso o ridimensionare le pretese. Di seguito, i passi e le strategie consigliate:
- Organizzare la documentazione contrattuale e tecnica: Prima di tutto, recuperare e ordinare tutti i documenti rilevanti:
- Il contratto di licenza o accordo da cui sorgono le royalties. Deve essere chiaro su: parti, oggetto (bene immateriale concesso), modalità di calcolo del canone, termini di pagamento, eventuali clausole di esclusiva, durata, ecc. Un contratto ben dettagliato è il primo elemento difensivo, mostrando che l’operazione è reale e definita. Se il contratto manca (perché magari tra parti correlate a volte non formalizzano), conviene redigerne uno anche in sede di verifica, ricostruendo per iscritto i termini che di fatto regolavano i rapporti. Ciò potrà non avere data certa retroattiva, ma è comunque un elemento esplicativo da esibire.
- Prove dell’utilità della royalty: ad esempio report interni su come il marchio/licenza ha contribuito al volume d’affari, studi di mercato, incrementi di vendite grazie al brand, corrispondenza tecnica (per know-how), manuali o materiali ricevuti dal licenziante. Se la contestazione è di inerenza, queste prove sono cruciali per dimostrare che l’azienda ha tratto vantaggio economico dall’accordo (es: incremento di vendite del X% dopo l’uso del marchio).
- Documentazione di transfer pricing: se l’azienda fa parte di un gruppo multinazionale, solitamente esiste una documentazione TP. Occorre recuperare il Masterfile e la Documentazione Nazionale (Local File) relativi agli esercizi verificati, verificando che contengano un’analisi delle transazioni di royalty. Se sì, evidenziare la parte in cui si giustifica la percentuale applicata, i metodi utilizzati (CUP – Comparable Uncontrolled Price, TNMM – Margine netto transazionale, etc.), i benchmark di mercato. Se la documentazione è carente su questo punto, è opportuno predisporre un’analisi ad hoc anche ex post (magari avvalendosi di un consulente TP) da presentare al Fisco, per mostrare che il prezzo era conforme al valore normale. Ad esempio, effettuare una ricerca di accordi comparabili tra indipendenti per licenze similari, o presentare una valutazione economica dell’intangibile per supportare il tasso di royalty.
- Certificati di residenza fiscale e informazioni sul percettore estero: in caso di royalties verso l’estero, assicurarsi di avere il certificato di residenza fiscale estero del beneficiario per i periodi in esame (senza, il trattato non si poteva applicare). Inoltre, predisporre un dossier sul percettore: visura o report che ne illustri l’attività, gli eventuali bilanci (se disponibili) per mostrare che non ha rigirato i proventi. Ciò contrasta le accuse di mancanza di beneficiario effettivo.
- Evidenze di pagamento e registrazioni contabili: estratti conto che mostrino l’effettivo pagamento delle royalties, fatture emesse o ricevute, registrazioni contabili a libro giornale. Questo per escludere che l’operazione sia fittizia. Anche eventuali assoggettamenti a imposta estera (per il percettore) sono utili da dimostrare, perché se il percettore ha dichiarato quei redditi all’estero pagando le sue tasse, è meno probabile che fosse un’entità schermo.
- Interagire tempestivamente con i verificatori: Durante la verifica (fase di Polizia tributaria o di analisi dell’Ufficio), è utile fornire spiegazioni chiare e documenti spontaneamente. Spesso, i verificatori formulano rilievi nei Processi Verbali di Constatazione (PVC) anche per mancanza di elementi informativi. Ad esempio, se notano una spesa di “royalties” elevata senza pezze giustificative, tenderanno a contestarla. Fornire già in sede di verifica contratti, studi di transfer pricing, e una memoria difensiva che illustri l’operazione e la sua ragionevolezza può talvolta far rivedere il rilievo. In ogni caso, le osservazioni fatte a questo stadio saranno utili successivamente. È un diritto del contribuente far mettere a verbale proprie dichiarazioni o note difensive entro 60 giorni dal PVC.
- Chiarire il contesto economico (difesa sull’antieconomicità): Se l’Ufficio sottolinea che la spesa appare antieconomica (troppo alta), occorre spiegare le ragioni imprenditoriali. Ad esempio: “La royalty del 8% su un marchio di lusso è elevata, ma l’utilizzo del marchio ha consentito prezzi di vendita maggiorati e l’ingresso in mercati altrimenti inaccessibili, dunque i costi sono stati compensati dai benefici attesi”. Richiamare eventuali business plan o decisioni deliberative della società che mostrino la valutazione economica ex ante dell’operazione. In altre parole, far capire che la scelta, pur costosa, aveva una logica di mercato e non era una pura regalia al soggetto estero.
- Invocare l’eventuale esimente di non punibilità/adesione a prassi ufficiali: Se il contribuente ha seguito istruzioni ufficiali o prassi note, può evidenziarlo. Ad es., se la royalty era del 5% confidando che la Circolare 32/1980 la considerasse entro limiti ragionevoli (infatti indicava 5% come seconda fascia), può argomentare che si è conformato alla prassi ministeriale dell’epoca. Ciò non rende l’accertamento nullo, ma può aiutare in sede di sgravio sanzioni (buona fede) e come elemento equitativo.
- Valutare un accordo con l’Ufficio (definizione): Prima che l’accertamento diventi definitivo, il contribuente ha alcune opzioni deflattive:
- Istanza di accertamento con adesione: è possibile presentarla dopo il ricevimento del PVC o dell’avviso di accertamento, per avviare un contraddittorio volontario con l’Ufficio. In sede di adesione, si possono esporre le proprie ragioni e cercare un compromesso. Ad esempio, se contestano €100 di maggior reddito per royalties, si potrebbe negoziare una riduzione a €50 con sanzioni al minimo. Ciò è consigliabile quando la posizione non è blindata e c’è margine di trattativa (ad es. questioni di valutazione su valori normali). L’adesione interrompe i termini di impugnazione e, se si trova un accordo, comporta sanzioni ridotte a 1/3.
- Adesione ai processi verbali (art. 5-bis D.Lgs. 218/97): se il PVC contiene già rilievi quantificati, entro 30 giorni si può sottoscrivere un’adesione direttamente su quelli per chiudere la vicenda (anche qui con riduzione sanzioni ad 1/6). Questo conviene se le prove a proprio favore sono deboli e l’Ufficio ha elementi solidi – in tal caso definire subito magari con piccolo sconto può essere meglio che andare avanti.
- Acquiescenza (art. 15 D.Lgs. 218/97): dopo notificato l’avviso di accertamento, se non si intende fare ricorso, il pagamento entro 60 giorni offre sanzioni ridotte ad 1/3. È l’extrema ratio se la difesa è pressoché impossibile e si vuole chiudere minimizzando i costi (ad esempio, in caso di errori pacifici su ritenute non operate).
- Mediazione/reclamo: oggi per gli atti con valore contestato fino a €50.000 è obbligatoria la presentazione di un’istanza di reclamo-mediazione prima del ricorso. Si può utilizzare questo strumento per cercare un abbattimento delle pretese (spesso l’Agenzia in mediazione offre un 10-15% di sgravio sanzioni). Nel caso di royalties, visto che spesso le cifre sono alte, può non essere applicabile il tetto di €50.000; tuttavia, se lo è (magari contestazione modesta o annualità isolate), vale la pena tentare la mediazione con una relazione tecnica allegata.
- Verificare termini e vizi procedurali: Una difesa tecnica è utile, ma non trascuriamo i possibili vizi dell’atto. Ad esempio:
- Se l’accertamento scaturisce da indagini finanziarie o da cooperazione internazionale, sono state rispettate le garanzie procedurali? (Notifiche, traduzioni, diritto al contraddittorio preventivo – quest’ultimo non è generalizzato salvo adesione, ma va valutato se richiesto da norme UE in certe materie).
- L’avviso di accertamento è motivato adeguatamente? Deve spiegare perché la royalty è ripresa: se si basa solo su circolare senza ulteriori riscontri può essere accusato di difetto di motivazione. Ad esempio, Cass. 2240/2018 ha censurato il giudice di merito che aveva omesso di indicare gli elementi posti a base delle conclusioni sulla normalità delle royalties. Quindi, se l’atto non espone i calcoli o gli elementi comparativi utilizzati (limitandosi a dire “royalty oltre soglia circolare = indeducibile”), questo può costituire motivo di illegittimità.
- Notifica e firma: controllare che l’atto sia stato notificato nei termini (di solito 31/12 del quinto anno successivo a dichiarazione, o quarto se è 36-bis) e che sia firmato da funzionario competente. Errori in questi aspetti, sebbene rari, possono portare all’annullamento.
- Richiedere consulenza tecnica di parte: Già in sede pre-contenziosa, ci si può avvalere di consulenti tecnici (es. un esperto di valutazione di intangibili o un economista) per redigere un parere pro-veritate sul valore di mercato della royalty o sull’effettiva utilità economica della stessa. Questo parere può essere presentato all’Agenzia prima che emetta l’atto o allegato alle memorie difensive. Non ha valore vincolante, ma se ben fatto può convincere i funzionari della bontà della posizione del contribuente.
- Valutare l’opportunità di un APAs o ruling internazionale: Se le contestazioni riguardano operazioni che si ripeteranno, potrebbe essere sensato proporre un Accordo Preventivo con l’Agenzia (Advance Pricing Agreement) per fissare criteri validi per il futuro e talvolta sanare il passato. Ad esempio, se è in corso un accertamento per il 2021-22 su royalties infragruppo, aprire un APA nel 2025 potrebbe, in fase negoziale, includere anche la definizione concordata delle annualità pregresse, evitando ulteriori cause. Ovviamente questa è una strada costosa e da valutare caso per caso, più adatta a medio-grandi contribuenti.
- Conservare tutte le comunicazioni: Ogni scambio con il Fisco, ogni verbale, va tenuto agli atti. Inoltre, se durante la verifica sono state fatte concessioni verbali, è bene formalizzarle. Ad esempio, se i verificatori lasciano intendere una chiusura con certa riduzione, cercare di far mettere a verbale un riferimento o chiedere conferma scritta.
In sintesi, nella fase amministrativa è cruciale dimostrare collaborazione e al tempo stesso fermezza nel sostenere le proprie ragioni. Un contribuente preparato, che fornisce dati e analisi, può talora convincere l’Ufficio a desistere da contestazioni infondate o quantomeno a ridurre sanzioni. Inoltre, costruire un buon dossier difensivo ora significa avere basi solide se si dovrà poi andare in contenzioso.
Difesa nel contenzioso tributario (Corti di Giustizia Tributaria e Cassazione)
Se la fase amministrativa non porta a un risultato soddisfacente e viene notificato un avviso di accertamento con rilievi sulle royalties, il contribuente può presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). La difesa in giudizio richiede un approccio strutturato, con attenzione sia ai profili di fatto (ricostruzione tecnica del caso) sia ai profili giuridici (motivi di impugnazione, precedenti giurisprudenziali favorevoli). Vediamo come impostare la difesa nelle varie fasi del contenzioso:
Preparazione del ricorso e primo grado
- Motivi di ricorso: Nel ricorso introduttivo vanno articolati specifici motivi di impugnazione. Per contestazioni su royalties, i motivi tipici possono essere:
- Violazione di legge sul principio di inerenza/indebita rettifica: ad esempio violazione/falsa applicazione dell’art. 109 TUIR o 110(7) TUIR, se riteniamo che l’Ufficio abbia applicato male tali norme (p.es. ha disconosciuto un costo inerente, o ha fatto una rettifica valore normale senza presupposti). Ad esempio, in Cass. 12846/2022 la società contestava che l’Agenzia avesse travalicato i limiti del suo potere valutando la convenienza economica della spesa – questo come motivo di violazione di legge, dato che il Fisco non può sindacare il “merito” economico delle scelte imprenditoriali.
- Difetto di motivazione: se l’atto non spiega compiutamente perché la royalty non è inerente o non è a valore normale. Ex art. 7 L. 212/2000 e 3 L. 241/90, l’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche. Se l’Ufficio ha fatto solo riferimento a una circolare senza analisi comparativa specifica, si può sostenere che la motivazione è generica o per relationem illeggittima. Cass. 9615/2019 ad esempio chiarisce che il giudice deve valutare se l’accertamento analitico-induttivo era sorretto da gravi indizi o se l’Ufficio si è basato meramente su parametri standard. Un ricorso può rilevare che l’Ufficio non ha indicato concreti “elementi gravi, precisi e concordanti” di sovraprezzo, limitandosi a citare parametri di prassi.
- Travisamento dei fatti e carenza di istruttoria: spesso utile evidenziare cosa l’Ufficio ha ignorato o non considerato. Ad esempio, “omesso esame dei documenti prodotti”: se in fase precontenziosa avete fornito uno studio di settore che giustificava la royalty e l’accertamento non lo menziona neanche, si può dedurre vizio motivazionale (oggi “omesso esame di un fatto decisivo” ex art. 360 co.1 n.5 c.p.c., rilevante poi in Cassazione).
- Errata applicazione di convenzione internazionale: se c’è un profilo di beneficiario effettivo o ritenuta, invocare la violazione dell’art. 12 del trattato X, evidenziando come invece andava applicato. Anche violazione dei criteri OCSE se rilevanti (non sono fonti normative, ma nei giudizi spesso vengono considerati principi sovranazionali di riferimento).
- Illegittimità della sanzione/duplicazione: argomentare che, ad esempio, non si applica sanzione sul mancato versamento ritenute perché avevate documentazione (come da D.Lgs. 471/97, art… modificato); o chiedere comunque la non applicazione per incertezza normativa oggettiva, data la presenza di prassi contraddittorie.
- Prove da produrre: In primo grado vige il principio che il giudizio tributario è principalmente documentale. Occorre allegare tutti i documenti utili fin dal ricorso o, al più tardi, entro i termini per deposito documenti (di norma 20 giorni prima dell’udienza). Gli elementi già forniti in fase amministrativa vanno riprodotti (non si dà per scontato che la Corte li acquisisca dall’Agenzia). Quindi:
- Contratti, perizie, corrispondenze, bilanci, organigrammi del gruppo, certificati esteri, normativa straniera se utile (ad es. per spiegare tassazione subìta fuori).
- Per le prove testimoniali, notoriamente il processo tributario le ammetteva in modo limitato; con la riforma del 2022 (L. 130/2022) c’è un’apertura: il nuovo art. 7 D.Lgs. 546/92 consente la testimonianza documentale (dichiarazioni scritte rese da terzi su fatti di causa). Potrebbe essere utile, ad esempio, allegare dichiarazioni asseverate di dirigenti del gruppo estero sul ruolo effettivo della società percettrice (per corroborare che non è fittizia) o di esperti del settore sul range usuale di royalties. Queste dichiarazioni non hanno il peso di una testimonianza orale con controesame, ma forniscono indicazioni al giudice.
- Se la controversia verte su valutazioni complesse (quanto vale un brevetto, se un marchio era attraente per il licenziante stesso, ecc.), si può chiedere al giudice consulenza tecnica d’ufficio (CTU). Nei tribunali tributari la CTU è ammessa ma poco frequente; tuttavia, in casi di transfer pricing, talvolta i giudici l’hanno disposta (es. valutazioni aziendali). Nel ricorso si può sollecitare: “In via istruttoria, si chiede C.T.U. per la determinazione del valore normale della royalty, ove ritenuto necessario”.
- Giurisprudenza di supporto: allegare copie di sentenze (specie di legittimità, o di merito se attinenti) citate a sostegno. Ad esempio, una fotocopia della Cassazione 12846/2022 che per esteso mostra i principi sull’inerenza e la deducibilità oltre il 5%, oppure la CTR Emilia 929/2023 sul beneficial owner, per convincere il giudice di primo grado.
- Argomentare secondo giurisprudenza e dottrina autorevole: I giudici tributari apprezzano i richiami a precedenti consolidati. Ecco alcuni principi giurisprudenziali chiave (da utilizzare nelle memorie e in udienza):
- “Il giudizio sull’inerenza è qualitativo, attinente alla compatibilità del costo con l’attività d’impresa, e l’Amministrazione non può sindacare la scelta imprenditoriale sotto il profilo della mera convenienza economica”. (Cass. 2224/2021; Cass. 12846/2022) – Ciò serve a respingere contestazioni fondate solo sull’antieconomicità.
- “Grava sul contribuente provare l’esistenza e l’inerenza dei costi infragruppo, soprattutto se relativi a servizi intangibili come l’uso di beni immateriali”. Tale onere discende dall’art. 109 TUIR e dall’art. 2697 c.c. ed è affermato costantemente dalla Cassazione. Quindi il contribuente deve aver documentato e spiegato il servizio ricevuto; se lo ha fatto, ribadire di aver assolto tale onere.
- “In materia di transfer pricing, l’Amministrazione finanziaria non ha l’onere di provare l’intento elusivo, ma solo l’esistenza di transazioni infragruppo a prezzo differente dal valore normale; spetta invece al contribuente provare che i prezzi praticati sono normali” (Cass. 23587/2023; Cass. 11226/2018). Questo principio è a doppio taglio: da un lato legittima l’azione del Fisco, dall’altro chiarisce al giudice che se il contribuente ha portato evidenze di congruità e l’Ufficio no, allora il contribuente può aver assolto alla prova contraria. Si può usare per dire: vero, la norma non chiede di provare l’elusione, ma nel nostro caso l’Ufficio nemmeno ha provato adeguatamente quale sarebbe il valore normale alternativo – ha solo indicato “superiore al 5%”, senza uno studio concreto, quindi non ha nemmeno fatto il minimo richiesto.
- “L’adozione dei criteri indicati nelle circolari (es. la 32/1980) costituisce presunzione relativa, che sposta l’onere della prova sul contribuente di dimostrare la normalità di un valore superiore”. Citare Cass. 9615/2019 per riconoscere questo punto, ma poi aggiungere: “tale presunzione può dirsi vinta allorquando il contribuente alleghi circostanze specifiche del caso concreto giustificative”. Qui portiamo Cass. 12846/2022: “la stessa prassi ministeriale ammette canoni >5% se giustificati da contingenze specifiche” e la Corte in quella occasione ha riconosciuto deducibile integralmente il maggior valore pattuito in base alle evidenze prodotte (esclusiva, peculiarità mercato, studio TP accolto dal Fisco francese). Dunque argomentiamo che nel nostro caso similmente le circostanze giustificano eventuali scostamenti.
- “L’Ufficio non può limitarsi a rideterminare il corrispettivo normale in base a criteri astratti se prima non dimostra che i presupposti del metodo induttivo sussistono”. Cass. 9615/2019 evidenzia che va distinta la legittimità dell’accertamento induttivo dai metodi di calcolo: in quel caso si discuteva se fosse lecito applicare direttamente la circolare come base senza altri indizi. La Cassazione ha dato ragione al Fisco perché c’erano legami di controllo e superamento valore normale, ma è importante verificare se l’Ufficio ha rispettato l’iter: prima deve fondare l’ipotesi che il prezzo non è di mercato (qui magari c’è la presunzione circolare), poi applicare i metodi di calcolo. Se ha invertito logica (prima ha deciso il 2% e da lì dedotto che era elusivo), c’è un vizio.
- “In tema di beneficiario effettivo, l’onere della prova della sua mancanza grava sull’Amministrazione quando contesta l’aliquota convenzionale”. Anche se la Cassazione ad oggi tende a dire il contrario (ci sono state ordinanze in cui pone l’onere sul contribuente), si può citare la CTR/CGT più recente e la dottrina che valorizza l’art. 7, co.5-bis del D.Lgs. 546/92. Inoltre, far notare che l’Agenzia nelle sue circolari (es. circolare 6/2016 sul “beneficial owner”) riconosce che va svolta un’analisi di sostanza. Quindi se il Fisco non ha fornito elementi forti (oltre a una catena societaria), il giudice potrebbe propendere per il contribuente se quest’ultimo ha presentato elementi ragionevoli.
- “Divieto di doppia imposizione e diritto a MAP”: se applicabile, ricordare al giudice che la rettifica italiana senza correttivi porterebbe a doppia imposizione internazionale (la royalty tassata come ricavo all’estero e non dedotta in Italia). I giudici spesso sono sensibili all’idea che esistono strumenti internazionali per eliminare la doppia imposizione (Mutual Agreement Procedure) e che un’interpretazione del trattato che porti a far pagare il 30% qui oltre al 100% all’estero sarebbe iniqua. Questo non è proprio un motivo giuridico di annullamento, ma serve a orientare verso una soluzione equa (ad es. applicare l’8% USA come nel caso CTR Emilia citato, piuttosto che il 30% arbitrariamente).
- Discussione in udienza: Nel processo tributario, la discussione orale è breve ma può influire. In un caso complesso come le royalties, all’udienza pubblica è bene sottolineare in modo sintetico i punti di forza:
- Evidenziare un eventuale fumus di “doppia tassazione” o eccesso: es. “Signori Giudici, con questa ripresa si tasserebbe due volte lo stesso reddito e per di più si penalizzerebbe un’operazione genuina di licenza infragruppo che rispetta i prezzi di mercato come da evidenze allegate…”.
- Far notare se l’Agenzia non ha contestato alcuni fatti: ad esempio, se non contesta che il servizio è stato reso, allora la sua è una mera questione di valore; quindi se noi portiamo anche solo un ragionevole dubbio sul metodo di calcolo del valore normale, in dubio la ripresa va tolta.
- Chiamare la controparte alle sue responsabilità: chiedere ai giudici di interrogare la difesa erariale su come ha calcolato esattamente il 2% o 5%, quali comparables ha usato. Spesso l’Avvocatura dello Stato non ha elementi tecnici oltre l’atto; se emerge che il Fisco non ha fatto analisi comparativa approfondita, il collegio potrebbe dubitare della fondatezza dell’accertamento.
- Esiti possibili in primo grado: la Corte può accogliere totalmente il ricorso (annullando la pretesa), respingerlo (dando ragione al Fisco) oppure accoglierlo parzialmente. Quest’ultima ipotesi è frequente in materia valutativa: ad esempio, il giudice potrebbe ritenere eccessivo il 10% ma anche penalizzante ridurre a 2%, e “solomonicamente” decidere che una royalty del 5% era congrua, annullando il rilievo solo oltre tale soglia. Alcune Commissioni in passato hanno fatto così, mutuando proprio i range ministeriali (es. CTR che deducono fino al 5% come in circolare e disconoscono eccedenza). Se il contribuente aveva comunque chiesto in via subordinata un abbattimento, il giudice potrebbe sancirlo. Da notare: col processo tributario riformato, il giudice può definire la pretesa anche riquantificandola d’ufficio se ci sono elementi (mentre prima doveva limitarsi ad annullare o confermare, salvo possibilità di annullamento parziale già utilizzata in passato in modo atipico).
Grado d’appello (Corte di Giustizia Tributaria di II grado)
Se in primo grado l’esito non è favorevole, si può appellare. Viceversa, se l’Agenzia perde, spesso appella. L’appello è un riesame di merito, quindi si possono riproporre argomenti e nuovi documenti solo se non era stato possibile prima. La strategia in appello:
- Evidenziare eventuali errori in sentenza di primo grado: ad esempio, se i giudici di primo grado hanno applicato meccanicamente la circolare 1980 senza considerare le prove specifiche (come successo in alcuni casi), sottolineare la “motivazione insufficiente” della sentenza appellata. Cass. 12846/2022 ha definito “inconsistente” la contestazione Agenzia accolta solo parzialmente dai giudici di merito, proprio perché basata su valutazioni economiche sommarie.
- Rafforzare il quadro probatorio: in appello generalmente non si possono presentare documenti nuovi, salvo che il contribuente non ne fosse in possesso prima o si tratti di risposte a documenti comparsi dopo. Tuttavia, se emergono nuovi precedenti (es. una Cassazione 2024 uscita dopo il primo grado), si possono certamente allegare e citare.
- Chiedere eventualmente CTU in appello se non fatta prima. L’appello consente anche di supplire a carenze istruttorie del primo grado (soprattutto ora che la riforma tende ad ampliare i poteri del giudice d’appello, persino con possibilità di audizione testimoni in certi casi).
- Attenzione ai motivi specifici di appello: vanno indicati puntualmente. Ad esempio: “Errore del giudice di prime cure nel ritenere non provata l’inerenza nonostante il contratto prodotto – omessa valutazione del documento X”; oppure “erronea interpretazione dell’art. 110 co.7 TUIR in quanto l’operazione non comportava diminuzione di gettito, essendo l’utile tassato altrove…”.
- Sfruttare eventuali fatti nuovi intervenuti: Ad esempio, se nel frattempo il contribuente ha siglato un APA con l’Agenzia sulle royalties per anni successivi, ciò potrebbe essere un elemento da comunicare alla Corte, per suggerire che la stessa Agenzia ha ritenuto congruo un certo metodo/tasso per il futuro, e quindi il passato non era così irragionevole.
- La difesa orale in appello è simile, ma solitamente più concisa perché gli atti sono già noti. È utile sottolineare eventuali favorevoli orientamenti giurisprudenziali consolidati: se nel frattempo Cassazione si è espressa più volte pro contribuente su un punto, insistere su quello per persuadere i giudici d’appello (che sono spesso giudici togati nella nuova struttura e tendono ad uniformarsi alla Cassazione).
Ricorso per Cassazione
Se la controversia arriva fino in Cassazione (spesso probabile per questioni di principio o di importo significativo), la strategia difensiva cambia perché la Cassazione giudica solo su motivi di diritto (violazioni di norme, vizi di motivazione entro limiti stretti). Non si possono rimettere in discussione i fatti accertati dal giudice di merito, se non per omissioni gravi. Dunque:
- I motivi di ricorso per cassazione dovranno essere formulati come violazione di legge (es: “violazione dell’art. 110 comma 7 TUIR in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c.”) oppure come omesso esame di fatti decisivi (art. 360 n.5 c.p.c.) ma quest’ultimo solo se il fatto era stato oggetto di discussione e la sentenza d’appello lo ha ignorato totalmente. Ad esempio, se né CTP né CTR hanno considerato uno studio di comparables che pure era stato prodotto, si può dedurre omesso esame.
- In Cassazione, è spesso decisivo richiamare le massime delle stesse Sezioni Tributarie pertinenti:
- Ad esempio, la massima di Cass. n. 11226/2018: “In tema di transfer pricing, il regime previsto dall’art. 110 co.7 TUIR è norma di rettifica automatica dei prezzi di trasferimento, non richiede prova di intenti elusivi; il fisco deve provare solo l’esistenza di transazioni infragruppo a valori non di mercato, mentre il contribuente deve provare che i prezzi sono di libero mercato”.
- Oppure Cass. n. 972/2023 (ord.): “il contribuente è tenuto a dimostrare l’inerenza dei costi all’attività d’impresa, intesa qualitativamente come coerenza con l’attività stessa e non ai ricavi, fermo restando che una macroscopica antieconomicità può indicare mancanza di inerenza”.
- O Cass. n. 12846/2022 (massimata): “i costi per royalties possono essere inerenti anche se corrisposti al titolare del marchio per prodotti acquistati dallo stesso, e la deducibilità non è limitata alle misure della prassi (5%) se le circostanze giustificano valori maggiori”.
- In udienza di Cassazione (se c’è, spesso è in camera di consiglio senza discussione orale), conta il ricorso scritto. Bisogna aver evidenziato eventuali contrasti giurisprudenziali e magari chiedere, se c’è incertezza, il rinvio a Sezioni Unite (ad esempio sul tema onere prova beneficiario effettivo, dove ci sono orientamenti diversi, uno potrebbe azzardare questa richiesta).
- Se si è parte resistente in Cassazione (cioè l’Agenzia ricorre e il contribuente vince in CTR), si deve fare controricorso difendendo la sentenza di appello. In tal caso, sarà utile far notare se la controparte sta in realtà invocando una rivalutazione del merito (inammissibile). E si potranno richiamare i principi di diritto a favore già affermati dalla Cassazione come sopra.
- Dopo la Cassazione: se la Cassazione accoglie il ricorso del contribuente, di solito decide nel merito se non servono ulteriori accertamenti (capita se la questione è giuridica e risolta quella non c’è altro da verificare). Altrimenti, rinvia a altra Corte di appello per nuovo esame. Il contribuente dovrà allora proseguire la difesa coerentemente con quanto stabilito in diritto dalla Suprema Corte.
TABELLA 2 – Principali pronunce in materia di royalties (Cassazione e merito)
Pronuncia | Oggetto | Principio chiave espresso |
---|---|---|
Cass. civ. Sez. V, n. 9615/2019 | Royalties infragruppo – valore normale (circolare 32/1980) | Conferma la legittimità dell’accertamento su royalty eccedente valore normale ex art. 110(7) TUIR. L’adozione dei criteri di Circolare 32/1980 costituisce “seria presunzione” che sposta sul contribuente l’onere di provare la normalità di un valore superiore al 2%. Rigetta il ricorso della società, avendo questa mancato di provare la congruità del maggior valore pattuito. |
Cass. civ. Sez. V, n. 12846/2022 (ord.) | Inerenza e congruità – royalty a titolare del marchio (infragruppo UE) | Riconosce piena deducibilità delle royalties anche oltre i limiti di prassi, se supportate da valide ragioni. Stabilisce che l’Agenzia non può valutare la convenienza economica delle scelte imprenditoriali (pagare royalty al proprietario del marchio non esclude inerenza). Precisa inoltre che le soglie delle circolari non sono vincoli assoluti: la deducibilità non è delimitata a misure predeterminate, ma va valutato il caso concreto e rispettato il riparto onere prova. |
Cass. civ. Sez. V, n. 23587/2023 | Transfer pricing – onere della prova, elusività | Ribadisce che l’art. 110 co.7 TUIR reprime lo spostamento di imponibile nei gruppi senza richiedere prova di finalità elusiva; basta provare transazioni infragruppo a prezzo diverso dal normale. Onere sul contribuente di dimostrare che i prezzi sono di mercato ex art. 9 co.3 TUIR. (Nella fattispecie, conferma la ripresa su royalty ridotta da 3,5% a 2% del fatturato, essendo la società ricorrente risultata non aver giustificato l’extra). |
Cass. civ. Sez. V, n. 972/2023 (ord.) | Inerenza costi infragruppo | La Corte richiama orientamenti consolidati: l’inerenza va provata dal contribuente in termini di coerenza col l’attività (non coi ricavi); la evidente antieconomicità può essere indizio di non inerenza (costo estraneo all’impresa). Conferma disconoscimento costi non inerenti. |
Cass. civ. Sez. V, n. 24288/2019 | Beneficiario effettivo (dividendi, analogia per royalties) | In tema di dividendi esteri, afferma il meccanismo “look through”: se il beneficiario effettivo è soggetto di un terzo Stato, va applicata la convenzione con quel terzo Stato (in linea con CGUE “Danish cases”). Questo principio è richiamato anche per royalties dalla CTR Emilia 929/2023, a favore del contribuente. |
CTR Emilia-Romagna (C.G.T. II grado), n. 929/2023 | Royalties a consociata estera – Beneficial owner e onere prova | Sentenza di merito innovativa: stabilisce che quando il Fisco contesta l’aliquota trattamentale per asserita mancanza di beneficiario effettivo, deve provarlo l’Ufficio (art. 7 co.5-bis D.Lgs.546/92). Nel caso concreto, ritiene operativa la società percettrice svizzera (nessuna retrocessione a controllante USA) e dunque legittima l’aliquota 5% trattato. Aggiunge che, anche se il beneficiario fosse USA, sarebbe spettato il 8% da trattato USA (look-through). |
C.TP. (oggi C.G.T. I grado) Milano, n. 2887/2019 (es.) | (ipotetica) Royalties black-list e inerenza | Esempio di sentenza di merito: ha annullato un accertamento su royalties pagate a società hongkonghese ritenuta fittizia, poiché il contribuente ha documentato l’attività svolta dal licenziante e l’effettivo vantaggio ottenuto (mercati asiatici). Ha valorizzato la prova contraria del contribuente e giudicato sproporzionata la sanzione massima, riducendola al minimo. (NB: Sentenza esemplificativa, non massimata) |
(Le pronunce di merito sono riportate a titolo illustrativo delle tendenze; la giurisprudenza di legittimità è quella vincolante a livello nomofilattico.)
Considerazioni finali sul contenzioso
Difendersi con successo in cause relative a royalties richiede un mix di competenze legali tributarie e conoscenza economico-aziendale. Bisogna saper spiegare al giudice, in modo comprensibile, situazioni spesso complesse (licenze infragruppo, normative internazionali, prassi OCSE). Il contribuente che dimostra trasparenza contrattuale, coerenza economica e che ha rispettato (o almeno non ignorato volutamente) le regole fiscali, parte avvantaggiato.
Dal punto di vista del debitore d’imposta (ossia del contribuente soggetto a controllo), è importante ricordare:
- Di non lasciarsi intimorire da contestazioni standardizzate: molte volte il Fisco solleva rilievi “di prassi” (ad esempio applicando pedissequamente la circolare 1980) che poi in giudizio possono essere superati con argomentazioni puntuali sul caso concreto.
- Le ultime evoluzioni normative (es. onere della prova in abuso del diritto, allargamento mezzi di prova) e giurisprudenziali sono spesso più garantiste per il contribuente rispetto al passato. Ad esempio, il riconoscimento che non tutto ciò che è antieconomico è di per sé indeducibile, o che l’Ufficio deve provare l’abuso se ne fa eccezione.
- Prevenzione: per il futuro, i soggetti coinvolti in operazioni di royalties dovrebbero dotarsi di contratti chiari, adeguata documentazione di transfer pricing e, se possibile, utilizzare gli strumenti preventivi (interpelli, APA) soprattutto per situazioni “a rischio” (es. royalty infragruppo a società di Paesi a fiscalità privilegiata, o importi molto elevati). Questo non solo aiuta a evitare contestazioni, ma in caso di lite funge da prova a discarico.
Passiamo ora a rispondere ad alcuni quesiti comuni per consolidare quanto esposto.
Domande frequenti (FAQ) e risposte
D: Cosa si intende esattamente per “royalty” ai fini fiscali e quando un compenso rientra in questa categoria?
R: In generale, si intendono per royalty i canoni periodici corrisposti per l’utilizzo di un bene immateriale (diritto d’autore, brevetto, marchio, know-how, licenza commerciale, ecc.). Ai fini fiscali, la definizione può variare leggermente in base alle norme: l’art. 12 dei trattati internazionali e il Modello OCSE includono nei “canoni” i pagamenti di qualsiasi tipo ricevuti come corrispettivo per l’uso o la concessione in uso di copyright, brevetti, marchi, disegni, formule segrete e simili. Anche informazioni industriali/commerciali (come il know-how) rientrano. Non sono considerati royalties, ad esempio, i pagamenti per forniture di beni materiali, né i compensi per servizi generici (consulenze) – sebbene a volte la distinzione sia sottile (es. licenza di software standard venduto in scatola è considerata cessione di bene e non royalty). In sintesi, un compenso è royalty se paga il diritto di sfruttare un asset intangibile di cui un altro soggetto è proprietario. Fiscalmente, qualificarlo correttamente è importante per applicare la giusta ritenuta e tassazione (es. un compenso per “franchising” in buona parte è royalty – uso di insegna e know-how – e come tale soggetto a ritenuta estera).
D: Come vengono tassate le royalties in Italia per chi le percepisce e per chi le paga?
R: Dipende dalla natura del percettore:
- Se chi percepisce è impresa o lavoratore autonomo italiano, le royalties sono parte del reddito d’impresa/professionale ordinario (tassate con IRES/IRPEF, IRAP se dovuta). Chi le corrisponde (se anch’egli italiano) effettua eventuale ritenuta d’acconto (ad esempio, se il percettore è un professionista o autore, spesso 20% a titolo d’acconto).
- Se chi percepisce è persona fisica italiana non imprenditore, e riguarda diritto d’autore o brevetto di cui è autore/inventore, fruisce dell’abbattimento forfettario (25% o 40% esente come spese) e paga IRPEF sul resto. La società che paga applica in genere una ritenuta d’acconto del 20%. Esempio: Autore over 35 riceve 10.000€ di royalty libro, la casa editrice trattiene 2.000€ (ritenuta) e l’autore dichiara 7.500€ (il 75%).
- Se il percettore è non residente e la royalty è di fonte italiana: si applica in uscita la ritenuta a titolo d’imposta del 30% (sul 100% o sul 75% in certi casi di diritto d’autore) salvo convenzione. La ritenuta del 30% è definitiva (il non residente esaurisce così l’obbligo fiscale in Italia). Le convenzioni in genere riducono tale aliquota (5%, 8%, 10% tipicamente) e alcune, come visto, prevedono aliquota zero per certe royalties (soprattutto tra Paesi UE o accordi particolari). Ad esempio, Italia-USA: 5% su royalties di diritto d’autore, 8% su brevetti, 10% su know-how; Italia-Svizzera: 5% su tutte le royalties; Italia-Germania: 0% su royalties di diritto d’autore e affini. Chi paga dall’Italia deve ottenere dal percettore un certificato di residenza estero e applicare la ritenuta convenzionale se prevista, altrimenti quella domestica.
Dal lato di chi paga (soggetto italiano), la royalty è in linea di massima deducibile dal reddito d’impresa come costo (o dal reddito di lavoro autonomo se è un professionista che paga diritti d’autore per usare un’opera). La deducibilità però è subordinata al principio di inerenza e competenza: dev’essere un costo correlato all’attività e di competenza dell’anno. Se paga a un non residente, come visto, prima del 2016 c’erano restrizioni se il percettore stava in paradiso fiscale (ora non più, ma rimane la verifica anti-elusiva generale). Dunque, la società che paga deduce l’importo (al lordo della ritenuta eventualmente versata allo Stato). Attenzione: se il Fisco disconosce parte della royalty, quella parte diviene indeducibile e quindi tassata come maggior utile.
D: Quali sono i documenti fondamentali da esibire per difendere la deducibilità di una royalty infragruppo?
R: Sono essenziali:
- Il contratto di licenza stipulato con la consociata (o altro soggetto correlato). Deve essere dettagliato e preferibilmente anteriore o coevo all’inizio dei pagamenti. Un contratto ben fatto indica già il perché e il come della royalty.
- La documentazione di transfer pricing: il Masterfile (che descrive le politiche di gruppo) e il Local File italiano. Nel Local File idealmente deve esserci un capitolo dedicato alle transazioni di licenza: descrizione dell’intangibile, funzioni svolte dalle parti, metodo TP scelto (es. Percentuale su vendite comparabile a casi di mercato, oppure margine residuo ecc.), e analisi di comparables. Se nella documentazione l’operazione risulta in linea con il mercato, diventa la prima difesa per dire “abbiamo seguito il principio di libera concorrenza”.
- Prove dell’avvenuta prestazione: ad esempio, se sono royalties per know-how o assistenza tecnica, esibire i report tecnici forniti dalla casa madre, le visite di training effettuate (agende, email), i manuali ricevuti. Se è un marchio: mostrare materiale pubblicitario col marchio, eventuali ricerche di mercato sul brand fatte dalla licenziante per il licenziatario, etc.
- Calcoli e dati finanziari: se la royalty è commisurata al fatturato, presentare prospetti che fanno vedere il calcolo anno per anno e su quali voci è stato applicato. Questo per rispondere a eventuali rilievi di errata base di calcolo.
- Certificazioni e ruling se esistenti: ad es., se c’è stato un Advance Pricing Agreement con un altro Paese sullo stesso tema (magari la consociata estera ha un APA col suo fisco sul tasso di royalty che può applicare), o se c’è stata una Mutual Agreement Procedure per anni precedenti con esito, tutto questo va mostrato perché conferma la bontà del valore.
- Corrispondenza interna rilevante: ad esempio, delibere del CdA che approvano il contratto di licenza, lettere interne in cui il management discute del perché scegliere una licenza invece che acquisire il marchio. Questo evidenzia la razionalità economica.
- Eventuali studi di settore o di consulenti indipendenti fatti all’epoca: se l’azienda per fissare la royalty si è rivolta a un perito o a consulenti e ha un loro report, quello è un ottimo elemento di prova che il prezzo era di mercato (o comunque non arbitrario).
Riassumendo, bisogna costruire un “dossier royalty” che includa contratto, analisi economica e prove di utilità. Così equipaggiati, si è in posizione forte per sostenere la deducibilità in ogni sede.
D: L’Agenzia delle Entrate contesta che la mia azienda ha pagato una royalty “troppo alta” alla casa madre estera e l’ha ridotta al 2% del fatturato. Posso difendermi sostenendo che quel 5% era giustificato dal mercato?
R: Sì, puoi e devi difenderti mostrando che il 5% era congruo. Come visto, la prassi del 2% è tratta da una vecchia circolare del 1980 e dalla prassi OCSE dell’epoca, ma non è un tetto legale. La Cassazione stessa ha affermato che superare il 5% è possibile se giustificato. Dovrai portare elementi concreti:
- Se hai analisi comparabili di settore: ad esempio, dimostrare che in quel settore (poniamo il settore fashion) royalties del 5-7% non sono inusuali per marchi di alta gamma. Fonti come studi di società di consulenza o banche dati possono aiutare.
- Far emergere se la royalty comprendeva più cose: a volte un 5% può includere non solo l’uso del marchio, ma anche servizi accessori (es. supporto marketing dalla casa madre, formazione, etc.). Se così, spezzare il valore: “in realtà 3% per il marchio, 2% per servizi – e 3% è pienamente in linea col mercato del licensing puro”.
- Evidenziare le specificità: es. il contratto dava esclusiva territoriale all’azienda italiana? L’esclusiva aumenta il valore, quindi una royalty più alta è normale. Oppure: il marchio estero era già affermato globalmente, investimenti pubblicitari ingenti sostenuti dal licenziante – ciò giustifica un canone alto perché si sfrutta un asset prestigioso (diverso da un marchio sconosciuto).
- Utilizzare anche la leva che fu usata in Cass. 12846/22: se l’Agenzia sostiene che oltre il 5% la differenza sarebbe stata utili da tassare in Italia, chiediti: la parte estera su quel 5% in più magari ha già pagato le imposte nel suo Paese, e non c’è un intento di spostare utili (specie se il suo Paese non è un paradiso fiscale). Dunque non c’era scopo elusivo, ma reale politica di gruppo.
- Precedenti di altri anni: se in anni successivi l’Agenzia non ha contestato la stessa percentuale, menzionalo (coerenza di comportamento).
Insomma, difendersi è possibile e spesso la Commissione Tributaria può dare ragione al contribuente se questi prova perché quel 5% aveva una logica. Anche la Cassazione dice che la valutazione deve tener conto delle circostanze specifiche, non solo dei numeretti standard. Quindi non subire passivamente il 2%: porta la discussione su qual è il valore normale giusto. Se dimostri che il 5% rientra in un range di mercato o comunque ha ragion d’essere, hai buone chance di vederti annullare (o ridurre di molto) la pretesa.
D: La mia società non ha trattenuto la ritenuta sulle royalties pagate alla consociata UE perché c’era l’esenzione da direttiva, ma ora l’Agenzia dice che quella consociata non aveva i requisiti di beneficiario effettivo. Cosa posso fare?
R: Questo scenario riflette un’accusa di abuso del trattato/direttiva. Per difenderti:
- Dimostra la sostanza della consociata UE: spiega l’attività reale che svolge. Esempio: “La consociata in Olanda gestisce i nostri marchi in Europa, ha uffici e dipendenti, non è una società vuota”. Porta bilanci, organigrammi, foto dei locali, sito internet, ecc.
- Confuta il “giro” di soldi: l’Agenzia probabilmente sostiene che la consociata ha passato i soldi a qualcun altro (es. casa madre extra-UE). Mostra che non c’è stato un flusso immediato in uscita di pari importo. Se parte dei utili è distribuita come dividendo, evidenzia che ciò è fisiologico e non automatico.
- Invoca l’onere della prova a carico loro: soprattutto in giudizio, segnala che recenti sentenze richiedono sia il Fisco a provare la costruzione artificiosa. Nella risposta all’ufficio, magari cita la norma dell’art. 10-bis Statuto del contribuente: spetta a loro provare l’abuso (anche se l’Ufficio tende a dire che non è abuso ma semplice mancanza di requisito).
- Verifica i requisiti formali: la direttiva interessi-canoni (recepita in art. 26-quater DPR 600) richiede che la partecipazione fra società sia almeno del 25%, ininterrotta per 1 anno, ecc. Controlla che fossero soddisfatti. Se sì, la questione è solo sul beneficial owner. Se invece, ad esempio, la consociata UE era controllata al 100% da una holding extra-UE, e questa holding non rientra nella direttiva, l’Agenzia potrebbe avere terreno fertile perché la direttiva 2003/49/CE chiede che sia società di Stati membri entrambe e beneficial owner.
- Argomenta sul trattato eventualmente: se salta la direttiva, subentra la Convenzione bilaterale col Paese UE: molte convenzioni UE comunque prevedono aliquota 0% sulle royalties o una bassa. Quindi fai notare: “Anche negando la direttiva, si applicherebbe la convenzione Italia-PaeseX, che dà al massimo il Y%”. Questo può ridurre il danno e mostrare che l’Ufficio magari ha preteso il 30% ingiustamente (se trattato prevedeva meno).
- Considera la MAP: puoi avvisare l’Ufficio che, qualora insistessero, avvierai una procedura amichevole internazionale: a volte questa prospettiva incentiva a trovare soluzione in sede locale (per evitare lungaggini diplomatiche).
- In parallelo, puoi sanare spontaneamente con ravvedimento la ritenuta (versando col 30% con sanzioni ridotte) se ritieni che effettivamente c’è un rischio elevato, ma ciò equivale ad arrendersi. Meglio giocare la carta difensiva come sopra, soprattutto se la consociata ha un minimo di sostanza.
In sintesi, insisti sul fatto che la consociata è beneficiario effettivo (perché ha disponibilità piena di quei fondi e non obbligo di rigirarli) e che l’interpretazione economica dell’operazione non rivela artifici. Se poi la realtà fosse che era davvero una scatola vuota, allora conviene negoziare: magari accettare l’8-10% invece del 30, rifacendosi al trattato col Paese finale (come suggerito dalla CTR Emilia). Questo è un esito comunque migliore di subire il 30% più sanzioni.
D: In caso di verifica fiscale, l’onere di provare che una royalty è inerente e a valore normale spetta a me contribuente o al Fisco?
R: C’è una sorta di doppio binario:
- Per la deducibilità del costo in generale (inerenza): spetta al contribuente provare che la spesa è effettiva e inerente alla sua attività. Quindi devi essere tu a fornire il contratto, spiegare a cosa serve quella spesa nell’ambito dell’impresa e dimostrare che è stata sostenuta (fatture, pagamenti). L’Ufficio, una volta che la spesa è documentata, se la ritiene non inerente deve motivare il perché (es: “non attiene all’oggetto sociale, oppure antieconomica senza motivo, etc.”). Ma se tu dimostri chiaramente la connessione con l’attività, hai adempiuto al tuo onere.
- Per la congruità del valore infragruppo (transfer pricing): formalmente, l’onere è sul contribuente di provare che i prezzi infragruppo sono di mercato. Questo perché la norma (art. 110 co.7 TUIR) è costruita come deroga all’ordinario: se hai prezzi diversi dal normale e aumentano il tuo reddito imponibile, il Fisco li può rettificare, a meno che tu mostri che quei prezzi erano normali. In pratica, il Fisco deve segnalare una anomalia (prezzo fuori linea) ma poi il contribuente deve fornire elementi probatori a supporto del proprio prezzo.
- Detto ciò, la giurisprudenza riconosce che il Fisco deve almeno indicare quale sarebbe secondo lui il valore normale, altrimenti al contribuente manca il termine di paragone da confutare. Quindi, una volta che l’Ufficio indica “per noi valore normale = X (es. 2% su fatturato)”, starà a te portare evidenze che invece il valore normale è Y (5% ad esempio) e il tuo prezzo era allineato a Y. Se riesci a farlo in modo convincente, l’onere della prova risulterà da te assolto.
- In situazioni di abuso/beneficiario effettivo: qui l’onere sta spostandosi verso il Fisco, specie dopo la novella del 2015 sull’abuso. Quindi se l’Ufficio afferma che la tua struttura è abusiva, deve portare elementi. Il contribuente però deve cooperare: se non dai alcuna info sulla consociata estera, l’Ufficio avrà gioco facile nel dire che non hai provato i requisiti e presumere l’abuso.
In conclusione, inizialmente l’onere è tuo su esistenza, inerenza e corretto trattamento; poi, se il Fisco vuole rettificare, deve giustificare il perché (soprattutto in base a valore normale), e a quel punto di nuovo tu devi confutare con prove contrarie. È un dialogo probatorio. Come indicato in Cassazione: “assolto l’onere incombente sull’Amministrazione di dimostrare il valore normale che legittima la rettifica, grava poi sul contribuente la dimostrazione della congruità dei prezzi praticati”. In pratica: loro accennano che non è normale, tu dimostri che invece lo è (o comunque che ci sono ragioni oggettive per quel prezzo).
D: Se il Fisco mi accerta una maggiore imposta su royalties, a quali sanzioni vado incontro e posso evitarle?
R: Le sanzioni possono essere di due tipi:
- Sanzione per infedele dichiarazione: pari al 90% dell’imposta non versata (può salire fino a 180% in casi aggravati). Se l’accertamento disconosce un costo, l’imposta non versata è l’IRES/IRPEF su quella parte di reddito. Esempio: disconosciuti 100 di costo, IRES 24 → sanzione base 21.6. Questa sanzione può essere annullata o ridotta se ricorrono certe condizioni: ad esempio, se c’era una chiara incertezza normativa (difesa difficile, ma si può tentare dicendo che c’erano interpretazioni discordanti su quell’aspetto), oppure se rientri nella penalty protection del transfer pricing. Quest’ultima, come detto, richiede che tu avessi la documentazione TP predisposta e comunicata – se sì, la sanzione per la parte di maggior reddito legata a TP non si applica. In sede di adesione o processo, puoi far valere la esimente. Nota: la non applicazione sanzione non annulla l’imposta dovuta, ma evita almeno la penalità economica.
- Sanzione per omesso versamento ritenute: se non hai applicato ritenute che dovevi (es. il Fisco dice dovevi fare 30% ma hai fatto 0% perché ti fidavi del trattato), allora c’è una sanzione del 90% delle ritenute non versate (anche qui dal 90 al 180). Pure su questa, dal 2016, se la mancanza deriva da un caso di transfer pricing (ad esempio, ritenuta convenzionale applicata sull’importo che poi risulta parzialmente eccedente valore normale) e tu hai documentazione TP, la sanzione non si applica. Se invece hai proprio sbagliato ad applicare una convenzione, la penalty protection TP in teoria non copre perché non è un “valore normale” ma un errore giuridico. Potresti allora puntare su buona fede/trattato dubbio per chiedere quantomeno la riduzione al minimo.
- Interessi di mora: vanno sempre calcolati sulle imposte/ritenute non versate, dal momento originario al pagamento.
Per evitare o ridurre le sanzioni, le strade sono:
- Adesione/acquiescenza: se definisci prima del ricorso, hai riduzioni di 1/3 o 1/6. Ad esempio, se discuti con l’ufficio e trovate accordo, la sanzione infedele scende al 30% invece di 90%.
- Documentazione idonea TP: già menzionata, è la difesa migliore contro sanzioni in ambito prezzi di trasferimento. Devi aver barrato la casella in dichiarazione (cruciale!) e avere i documenti a posto. Se li hai e la rettifica è solo su art.110(7), niente sanzioni.
- Contestare l’elemento soggettivo: la sanzione richiede quantomeno colpa. Se tu hai seguito la legge alla lettera o una circolare ufficiale, potresti dire che non c’era colpa. Ad esempio, se un certo trattamento di una royalty era stato avallato da una Risoluzione dell’Agenzia (magari interpretazione poi cambiata), tu hai fatto affidamento legittimo. L’art. 6, comma 2, D.Lgs. 472/97 esclude sanzioni se c’è incertezza oggettiva su come applicare la norma. Non è facile farlo valere, ma se trovi contrasto di interpretazioni (magari tra prassi e Cassazione) puoi provarci.
- Errore scusabile: talvolta i giudici tributari, in equity, disapplicano o riducono sanzioni se vedono che il contribuente ha agito senza volontà evasiva e la materia è complessa. Ad esempio, su questioni di beneficial owner finora non chiarissime, qualche commissione ha tolto sanzioni riconoscendo la buona fede del contribuente che applicava il trattato.
- Infine, se vinci nel merito (nessun maggior tributo), automaticamente decadono anche le sanzioni. Ma se, ad esempio, ti venisse riconosciuto parzialmente il rilievo (tipo royalty ridotta ma non azzerata), i giudici possono decidere sanzioni proporzionalmente. Tu potrai chiedere di applicare comunque la penalty protection se avevi i documenti (anche a posteriori, molti giudici la considerano lo stesso) o almeno di ridurre al minimo ed eventuale cumulo giuridico (se c’erano più annualità con stessa violazione, si può invocare l’art. 12 D.Lgs. 472/97 per unificare le sanzioni).
D: Quali sono gli accorgimenti da adottare per evitare a monte contestazioni fiscali sulle royalties?
R: Ecco alcuni consigli preventivi:
- Stipulare accordi chiari e a valori di mercato: sembra banale, ma molte contestazioni nascono da contratti assenti o poco dettagliati. Sempre meglio avere un contratto scritto per ogni licenza, con data certa (registrazione o firma digitale), e che le condizioni (prezzo, oggetto) siano realistiche. Evitare di fissare royalties “a caso”: documentarsi su quali percentuali sono usuali nel proprio settore o far fare una perizia di stima del brand/brevetto per giustificare la percentuale.
- Predisporre la documentazione di transfer pricing ogni anno: anche se la legge non obbliga formalmente (è “facoltativa” per evitare sanzioni), di fatto per chi ha operazioni infragruppo rilevanti è obbligatoria di fatto. Assicurarsi che la Local File spieghi bene le logiche delle royalties. In caso di controllo, presentarla subito protegge da sanzioni e impressiona positivamente (dimostra che il contribuente è compliance).
- Monitorare le soglie e gli indici: pur non essendo legge, i parametri di rischio sono noti: royalty sopra 5% del fatturato, soprattutto se l’azienda va in perdita o quasi per quel costo, è una red flag. Magari si può valutare di contenerla entro certi limiti o, se non possibile, di dotarsi di analisi molto robuste. Anche pagare royalties verso società in Paesi off-shore attira attenzione: in tali casi, conviene predisporre in anticipo un dossier paese (chi è quella società, perché ha il brevetto lì, ecc.) e valutare se fare un interpello all’Agenzia per confermare la deducibilità (esistono interpelli per nuovi investimenti o per evitare abuso).
- Cercare soluzioni di ruling: per grandi gruppi, stipulare un APA con l’Agenzia Entrate sulla metodologia di calcolo delle royalties infragruppo può garantire protezione per 3-5 anni. Oppure, se c’è un dubbio su una specifica fattispecie (ad es. se un compenso è royalty o servizio), presentare un interpello qualificatorio per avere certezza.
- Tenere traccia dei benefici ottenuti: se paghi royalties per un know-how, tieni un report annuale di cosa hai ricevuto (quali consulenze, quali aggiornamenti tecnici). Se per un marchio, conserva i dati di vendita con e senza marchio, le comparazioni di mercato, etc.
- Formazione interna: assicurati che chi in azienda si occupa di contabilità e fiscalità internazionale sappia di queste problematiche. Ad esempio, che applichi correttamente le ritenute (se sbagli ad applicare un trattato, poi è dura rimediare), che richieda sempre i certificati di residenza dai partner esteri, e che segnali subito operazioni anomale ai consulenti prima che diventino problemi (es: management decide di spostare il marchio in Olanda e far pagare royalty dall’Italia – va pianificata bene la cosa col supporto fiscale).
- Aggiornarsi sulle novità: ad esempio, dal 2024/25 entreranno in vigore le misure del Pillar Two OCSE (minimum tax globale) per gruppi grandi, che possono avere impatti anche su dove conviene far pagare royalties. Al di là di ciò, normative domestiche possono cambiare (aliquote ritenute, etc.). Mantenere la compliance vuol dire adeguarsi tempestivamente.
- Non esagerare con la pianificazione aggressiva: se un asset immateriale è italiano e produttivo qui, spostarlo artificiosamente all’estero solo per far pagare royalties e scaricare utili può far risparmiare nel breve termine, ma le probabilità di contestazione e cause lunghe sono elevate. A volte è meglio pagare qualche tassa in più e dormire tranquilli, specie se si è in ambiti sotto i riflettori (digitale, moda, pharma – settori dove marchi e IP sono cruciali e il Fisco vigila).
Seguendo questi accorgimenti, difficilmente il Fisco avrà terreno per contestare; e se lo farà, avrete solide basi difensive pronte.
D: Potete fare un esempio pratico di come potrebbe evolversi un contenzioso su royalties infragruppo?
R: Certo, proponiamo una simulazione riassuntiva:
- Scenario: Alfa Srl (Italia) produce accessori di lusso. Beta Ltd (UK) è la sua controllante che possiede il marchio mondiale “Beta”. Dal 2022 Alfa paga a Beta una royalty del 8% sul fatturato per usare il marchio “Beta” sui prodotti venduti in Italia. Alfa ha regolarmente applicato ritenuta 0% in base alla Direttiva UE (entrambe società UE consociate >25%). Nel 2025, l’Agenzia Entrate fa una verifica su Alfa 2022.
- Accertamento: Il PVC rileva: (1) antieconomicità: Alfa 2022 ha margine operativo solo 1%, senza royalty sarebbe 9% – quindi ritengono che 8% sia troppo e non inerente; (2) transfer pricing: secondo l’Ufficio, circolare 32/1980 indica max 5% per marchi, dunque 3% eccedente è reddito imponibile non deducibile; (3) beneficial owner: sospettano che Beta giri utili a una holding extra-UE, quindi contestano l’esenzione UE e vogliono applicare 30% sul 3% eccedente almeno.
- Difesa in accertamento: Alfa fornisce subito il contratto di licenza marchio (firmato in data 1/1/2022), il Local File TP 2022 dove risulta che la media di royalty di competitor per marchi di lusso era 8-10%. Mostra inoltre che Beta Ltd ha 50 dipendenti marketing a Londra che promuovono globalmente il brand (allega bilancio Beta: nessuna redistribuzione a holding nel 2022). Spiega che margine basso di Alfa è dovuto a politica di espansione (ha investito molto in marketing locale, spese che infatti sost sostiene Alfa stessa).
- L’Agenzia è poco convinta e a novembre 2025 notifica avviso: disconosce 3% di royalty (eccedenza su 5%), recupera €300k di IRES e chiede anche €90k di ritenute non fatte su quei €300k (30%). Sanzioni 90% su entrambe le voci.
- Ricorso: Alfa ricorre alla CGT. Motivi: a) violazione art. 109 e 110 TUIR, la spesa è inerente (marchio usato effettivamente, vendite aumentate grazie a esso) e la rettifica a 5% è arbitraria non considerando circostanze (marchio lusso, studio TP allegato); b) violazione Convenzione Italia-UK (trattato prevederebbe 0% cmq per royalties industriali, lo si cita) e direttiva, beneficiario effettivo era Beta (prova: bilanci); c) difetto motivazione su antieconomicità: non hanno considerato che Alfa è in fase di lancio brand e margine risicato per scelta commerciale, non per inutilità del marchio.
- Primo grado: La CGT esamina il Local File dove comparables indicavano range 6-10%. Ritiene convincente che 8% rientri nel range, dunque reputa che l’Ufficio abbia ecceduto. Inoltre, sul beneficial owner, constata che Beta ha sostanza (50 dipendenti) e che la normativa anti-abuso va bilanciata con prova dell’Agenzia, qui carente. Quindi sentenza: accoglie ricorso, annulla accertamento sia per deducibilità piena del costo (inerente e congruo) sia per ritenute (trattato UK confermato applicabile).
- Appello: l’Agenzia appella dicendo che i giudici han travisato la circolare e che comunque 8% è troppo. La CTR (secondo grado) però nel 2026 tiene conto di Cass. 12846/22 e 23587/23 uscite, e respinge l’appello confermando che 8% può starci ed è scelta imprenditoriale non sindacabile dal Fisco. Così Alfa vince anche appello.
- Cassazione: l’Agenzia sorprendentemente ricorre in Cassazione, ma a questo punto la giurisprudenza è tutta a favore di Alfa (ci sono anche nuove Cassazioni del 2025 pro contribuente ipotizziamo). La Cassazione con ordinanza veloce dichiara il ricorso infondato, cristallizzando magari un principio: “Laddove il contribuente provi, anche tramite idonea documentazione di transfer pricing, che la royalty infragruppo corrisposta è in linea con il valore di libero mercato, l’accertamento che la rettifica in diminuzione non può essere confermato, in difetto di ulteriori elementi specifici addotti dall’Ufficio”.
- Conclusione: Alfa Srl ne esce vittoriosa dopo vari anni; non deve pagare nulla di quanto richiesto, e ottiene anche (si spera) rifusione delle spese di lite. Avendo seguito le best practice (documentazione TP, contratto, ecc.), è riuscita a difendersi efficacemente.
Questo esempio evidenzia come un contribuente preparato possa contrastare contestazioni aggressive. Naturalmente, ogni caso ha le sue peculiarità, ma lo schema difensivo illustrato in questa guida rappresenta un valido riferimento generale per affrontare accertamenti fiscali in materia di royalties.
Conclusione: La materia delle contestazioni fiscali sulle royalties richiede preparazione e strategia, ma il contribuente dispone di validi strumenti per difendersi, basati su norme interne, principi OCSE e una giurisprudenza sempre più raffinata. Adottando un approccio proattivo (contratti chiari, prezzi di trasferimento documentati) e conoscendo i propri diritti (onere della prova, divieto di abusiva valutazione economica, tutela convenzionale), ci si può difendere con successo sia davanti all’Agenzia delle Entrate che in sede contenziosa. Questa guida fornisce un percorso strutturato per far valere le proprie ragioni: in ultima analisi, un costo per royalties legittimo e di mercato non deve spaventare, purché il contribuente sia pronto a dimostrarne la validità.
Fonti (normative, giurisprudenziali e di prassi)
- Normativa primaria:
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (Testo Unico Imposte sui Redditi), artt. 9, 51, 54, 109, 110 comma 7 (disciplina transfer pricing) e commi 10-11 (normativa previgente su costi “black list”).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, artt. 23 e 25 comma 4 (obbligo di ritenuta su royalties corrisposte a non residenti, 30%); art. 37-bis (abuso del diritto, vigente fino al 2015).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1 (sanzioni da infedele dichiarazione) e art. 14 (sanzioni omesso versamento ritenute); D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (riforma sanzioni) – esenzione sanzioni transfer pricing.
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 5-bis (riparto onere prova in elusione); art. 7 (poteri probatori del giudice, testi); art. 10 (estensione testimonianza scritta, introdotto da L.130/2022).
- Convenzioni contro le doppie imposizioni rilevanti (es. Italia-Svizzera 1976; Italia-Germania 1989; Italia-USA 1984, ecc.) – art. 12 “Royalties”. Esempio: Convenzione Italia-Svizzera, art. 12: aliquota 5%; Convenzione Italia-Germania, art. 12: esenzione per diritti d’autore e connessi.
- Direttiva 2003/49/CE (Interessi e Canoni) recepita dall’art. 26-quater DPR 600/73 – esenzione ritenute intra-UE in presenza di partecipazioni ≥25% e beneficial owner.
- Prassi e linee guida:
- Circolare Ministeriale 22/09/1980 n. 32 (Min. Finanze) – Criteri per determinazione del prezzo di trasferimento per imprese controllate estere (fornisce safe harbours 2%-5%-oltre 5% su royalties).
- Circolare Agenzia Entrate 5/2016 e 6/2016 – Chiarimenti su nuovo art. 110(7) TUIR e documentazione transfer pricing; concetto di beneficiario effettivo in applicazione delle direttive e trattati.
- Provvedimento AE 29/09/2010 e successive modifiche (ultimo Provv. 23/11/2020) – Oneri documentali del transfer pricing (Masterfile e Documentazione Nazionale) e regime penalty protection.
- Risoluzione AE 12/E/2004 – Distinzione diritti d’autore vs diritti connessi (caso compensi artisti).
- Risoluzione AE 143/E/2017 – Chiarimenti su royalties da software (quando sono considerati canoni tassabili).
- Risposta a interpello AE 56/2019; 30/2020; 506/2021 – Vari interpelli sull’applicazione di trattati (beneficiario effettivo di royalties in strutture complesse).
- Documenti OCSE: Linee Guida sui Prezzi di Trasferimento (versioni 2017 e 2022) – principio di libera concorrenza e metodi di TNMM, CUP etc. (richiamate indirettamente in giurisprudenza).
- Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):
- Cass., Sez. V, 5 aprile 2019 n. 9615: legittimità accertamento analitico-induttivo su royalties infragruppo eccedenti valore normale (2%); presunzioni da circ. 32/1980; onere prova sul contribuente. Ricorso contribuente rigettato.
- Cass., Sez. V, 15 settembre 2021 n. 24821: conferma approccio su safe harbours circ.1980 (2%-5%); rimarca necessità prova contribuente se supera soglie (riferimenti simili a Cass.9615/19).
- Cass., Sez. V, 22 aprile 2022 n. 12846 (Ordinanza): caso royalties a titolare marchio (Francia-Italia); afferma inerenza anche se licenziante è acquirente di prodotti; Fisco non giudica scelte economiche; deducibilità non limitata al 5% se circostanze lo supportano. Ribaltate conclusioni di merito, piena deducibilità riconosciuta.
- Cass., Sez. V, 2 agosto 2023 n. 23587: principi su art.110(7) TUIR come norma anti-erosione imponibile senza necessità prova elusione; onere contribuente provare valori di mercato (vicinanza prova ex art.2697 c.c.). (Caso con rettifica royalty 3,5%→2% e interessi infragruppo).
- Cass., Sez. V, 13 gennaio 2023 n. 972: ribadisce nozione qualitativa di inerenza costi infragruppo, onere su contribuente, antieconomicità come indizio (richiama Cass. 2224/2021).
- Cass., Sez. V, 30 gennaio 2018 n. 2240: su transfer pricing in ambito IVA e imposte dirette; sottolinea che valore normale non può rettificare base imponibile IVA salvo casi previsti (non direttamente attinente royalties, ma menziona recupero royalties indeducibili).
- Cass., Sez. V, 28 dicembre 2018 n. 33574: inerenza e antieconomicità (cita che sproporzione costo può indicare estraneità attività).
- Cass., Sez. V, 21 novembre 2019 n. 30366: definisce inerenza quale nesso con attività, non occorre correlazione a specifici ricavi (principio poi ripreso in decisioni successive).
- Cass., Sez. V, 30 settembre 2019 n. 24288: in materia di dividendi (beneficial owner), rilevante per analogia: applicazione del “look through approach” in caso di interposta società trattataria.
- Cass., Sez. V, 30 maggio 2018 n. 13588: altra su inerenza qualitativa.
- Cass., Sez. V, 16 giugno 2021 n. 17028: su inerenza, conferma orientamento qualitativo e onere del contribuente.
- Giurisprudenza di merito (Corti di Giustizia/Commissioni Tributarie):
- C.G.T. II grado Emilia-Romagna, 13 ottobre 2023 n. 929 (ex CTR): caso royalties consociata Svizzera – beneficial owner contestato. Sentenza pro contribuente: onere prova su AdE, società svizzera operativa e beneficiaria effettiva, anche se beneficiario fosse stato USA sarebbe comunque trattato applicabile (8%). Valorizza art. 7 co.5-bis D.Lgs.546/92.
- CTR Lombardia, 14 dicembre 2020 n. 737: (citata in Osservatorio) caso royalties a società Danese – probabilmente deciso pro contribuente, afferma illegittimità pretesa anche se beneficial owner fosse altrove (non confermato, ma in linea con trend).
- CTP Milano, 2019 n. 2887 (ipotetica) e varie pronunce di prime cure su inerenza costi infragruppo e servizi: es. CTP Milano n. 100/2017 aveva riconosciuto deducibilità royalties infragruppo ad alta percentuale, ritenendo l’antieconomicità non dimostrata dall’Ufficio.
- CTR Toscana 2016 n. 1540: (accennata da dottrina) – caso royalties infragruppo per software, giudica che se benefici reali sono provati, costo deducibile integralmente anche se percentuale alta.
N.B.: La materia fiscale è in costante evoluzione; occorre tenere conto di eventuali modifiche normative o nuovi orientamenti giurisprudenziali successivi a luglio 2025. Questa guida fornisce un quadro avanzato al momento attuale, ma va sempre attualizzata con le ultime novità.
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Conclusione
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