Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate per presunti redditi da YouTube o Twitch non dichiarati? Ti stai chiedendo cosa significa, se sei obbligato a rispondere e cosa puoi fare per evitare sanzioni o accertamenti più gravi?
Sempre più creator digitali ricevono queste comunicazioni, con cui il Fisco segnala incongruenze tra i guadagni rilevati tramite i pagamenti delle piattaforme estere (Google AdSense, Twitch, Patreon, ecc.) e quanto dichiarato nel Modello Redditi.
Cos’è una lettera di compliance per redditi da piattaforme digitali?
– È una segnalazione bonaria che ti invita a verificare se hai dimenticato di dichiarare o hai dichiarato in modo errato i guadagni da attività online
– Riguarda in particolare creator, streamer, influencer, youtuber, gamer e chi monetizza tramite affiliazioni, contenuti esclusivi o pubblicità
– Non è un atto di accertamento, ma un’opportunità per regolarizzarsi pagando meno
Cosa succede se ignori la lettera?
– L’Agenzia delle Entrate può avviare un accertamento fiscale vero e proprio, con sanzioni molto più elevate
– Le sanzioni possono arrivare fino al 240% del maggiore imponibile
– Si apre il rischio di iscrizioni a ruolo, pignoramenti, interessi moratori e controlli bancari
– Nei casi più gravi, può esserci denuncia penale per omessa dichiarazione
Come puoi difenderti se ricevi una lettera di compliance?
– Controlla i redditi ricevuti da YouTube (AdSense), Twitch, Amazon, Patreon, Tippee, Ko-fi, ecc.
– Verifica se li hai dichiarati correttamente e con il giusto codice attività
– Se ci sono errori o omissioni, puoi ricorrere al ravvedimento operoso
– Se invece ritieni che l’Agenzia si sbagli, puoi rispondere spiegando i motivi con documenti e chiarimenti
– Fatti assistere da un professionista per correggere la dichiarazione e ridurre sanzioni e interessi
Cos’è il ravvedimento operoso e come funziona in questi casi?
– Ti consente di correggere spontaneamente la dichiarazione integrandola con i redditi mancanti
– Devi versare l’imposta, gli interessi legali e una sanzione ridotta (dal 1% al 15%) in base al ritardo
– Puoi pagare con modello F24 e regolarizzare tutto prima che scatti l’accertamento formale
Cosa puoi ottenere se agisci per tempo?
– Eviti sanzioni pesanti, che scattano in caso di accertamento
– Sistemi la tua posizione fiscale e mantieni la tua reputazione
– Eviti iscrizioni in centrali rischi o blocchi nei rapporti bancari
– Proteggi la tua attività da azioni esecutive o segnalazioni
Anche chi lavora su YouTube o Twitch ha obblighi fiscali precisi, ma la normativa può essere difficile da interpretare, specie se si tratta di compensi dall’estero o attività svolte in modo occasionale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità digitale e difesa tributaria ti spiega come rispondere a una lettera di compliance per redditi da attività online, cosa fare per correggere eventuali errori e come evitare conseguenze peggiori.
Hai ricevuto una segnalazione per redditi da YouTube, Twitch o simili? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a capire se e come ravvederti, oppure se puoi contestare la comunicazione per tutelare la tua attività digitale.
Introduzione
Negli ultimi anni il Fisco italiano ha rivolto crescente attenzione ai redditi prodotti online, in particolare da piattaforme come YouTube e Twitch. Si tratta di entrate spesso percepite da content creator, streamer e influencer, talvolta non dichiarate integralmente al Fisco per scarsa consapevolezza o, in alcuni casi, nel tentativo di elusione. In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato controlli e strumenti di compliance fiscale. Tra questi spiccano le “lettere di compliance”, comunicazioni volte a segnalare al contribuente anomalie o possibili omissioni nelle dichiarazioni dei redditi, invitandolo a regolarizzare la propria posizione spontaneamente prima di procedere con un accertamento formale.
Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – fornisce un’analisi approfondita delle lettere di compliance relative ai redditi generati su YouTube e Twitch, dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta). Illustreremo cosa sono e come funzionano tali comunicazioni, perché il Fisco le invia ai content creator, come inquadrare giuridicamente le varie tipologie di reddito online e quali sono gli obblighi fiscali conseguenti. Saranno esaminati gli strumenti di difesa e regolarizzazione a disposizione del contribuente: il contraddittorio con l’Agenzia, il ravvedimento operoso, l’eventuale interpello e altre forme di definizione agevolata, con indicazione della normativa applicabile.
Non mancheranno riferimenti a giurisprudenza recente e prassi ufficiali (circolari, provvedimenti) per supportare le strategie difensive con orientamenti autorevoli e casi concreti. Verranno riportate sentenze aggiornate – inclusa una pronuncia del 2023 sulla qualificazione fiscale dei redditi da influencer – e gli sviluppi normativi più rilevanti (come il nuovo codice ATECO per i content creator). Inoltre, saranno presenti tabelle riepilogative (ad esempio sul ravvedimento operoso e sulle diverse categorie reddituali) e sezioni di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti in materia. Alcune simulazioni pratiche aiuteranno a capire, in concreto, cosa fare se si riceve una lettera di compliance per redditi da YouTube/Twitch, in funzione di diversi scenari (dal piccolo streamer occasionale al creator con guadagni ingenti).
L’obiettivo è fornire una guida organica e avanzata, con taglio giuridico ma di taglio divulgativo, utile sia ai professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia agli stessi privati e imprenditori digitali che operano nel settore, affinché possano comprendere come difendersi (o meglio, come tutelarsi e mettersi in regola) di fronte a queste comunicazioni del Fisco. Iniziamo chiarendo cosa siano esattamente le lettere di compliance e perché stanno interessando proprio i redditi da YouTube e Twitch.
Cosa sono le lettere di compliance dell’Agenzia delle Entrate
Le lettere di compliance (dette anche comunicazioni di compliance o inviti alla compliance) sono comunicazioni inviate dall’Agenzia delle Entrate ai contribuenti per segnalare possibili errori, omissioni o anomalie nelle dichiarazioni fiscali, invitandoli a verificare e, se necessario, correggere spontaneamente la propria posizione. Non si tratta di avvisi di accertamento (che sono atti impositivi formali), bensì di avvisi bonari e preliminari. In pratica, l’Agenzia, incrociando i dati in suo possesso (anagrafe tributaria, comunicazioni da terzi, informazioni estere, ecc.), rileva che per un determinato periodo d’imposta il contribuente potrebbe non aver dichiarato tutti i redditi oppure aver commesso infedeltà dichiarative, e dunque lo avvisa di tale anomalia prima di procedere con sanzioni piene.
Le lettere di compliance rientrano tra le “attività per la promozione dell’adempimento spontaneo” previste dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000, art. 6) e da normative successive. L’intento è di favorire l’emersione volontaria delle basi imponibili non dichiarate, offrendo al contribuente la chance di rimediare in autonomia (tramite ravvedimento operoso) beneficiando di sanzioni ridotte, invece di subire direttamente un accertamento con sanzioni piene e potenziali conseguenze penali. In altre parole, sono uno strumento “collaborativo” che punta a instaurare un dialogo tra Fisco e contribuente, evitando – ove possibile – il contenzioso.
Contenuto tipico della comunicazione
La struttura di una lettera di compliance dell’Agenzia delle Entrate è standard. In genere, il documento indica:
- I dati anagrafici del contribuente (codice fiscale, nome/cognome o denominazione);
- Un numero identificativo univoco della comunicazione e l’anno d’imposta cui si riferisce;
- La descrizione sintetica dell’anomalia riscontrata, cioè i redditi o importi che – secondo le banche dati fiscali – non risultano dichiarati (o dichiarati in misura inferiore al dovuto). Spesso è inclusa una tabella di dettaglio con l’indicazione delle fonti: ad esempio, per i redditi da YouTube/Twitch, potrebbe comparire l’ente erogatore (es. Google Ireland Ltd. per YouTube, o Twitch/Amazon) e gli importi corrisposti al contribuente in quell’anno;
- Un invito esplicito a verificare la propria dichiarazione dei redditi e, se l’anomalia è confermata, a regolarizzare la posizione tramite dichiarazione integrativa e versamento del dovuto;
- Le istruzioni operative su come procedere: in particolare, come presentare la dichiarazione integrativa online, come effettuare i calcoli di imposte, interessi e sanzioni ridotte mediante ravvedimento operoso, e come versare gli importi (di solito mediante modello F24). Talvolta sono indicati i codici tributo da utilizzare e la non rateizzabilità di tali versamenti in sede di ravvedimento (il pagamento va effettuato in un’unica soluzione);
- I benefici del ravvedimento operoso: la lettera richiama il fatto che sanando spontaneamente l’irregolarità si applicheranno sanzioni ridotte (secondo le norme sul ravvedimento) e non si incorrerà nelle conseguenze più gravose di un accertamento fiscale;
- I canali di contatto con l’Agenzia delle Entrate per fornire chiarimenti o documentazione: ad esempio un numero di telefono dedicato, l’indirizzo PEC o le funzionalità del portale (Cassetto fiscale e servizio CIVIS) attraverso cui è possibile comunicare con l’ufficio competente. Spesso la comunicazione invita a usare tali canali qualora il contribuente ritenga che i dati siano errati o abbia elementi giustificativi da sottoporre;
- L’avvertenza che, in mancanza di riscontro, l’Amministrazione finanziaria potrà procedere alla notifica di un formale avviso di accertamento basato sulle informazioni a sua disposizione. In sostanza: se il contribuente ignora la lettera senza regolarizzare né controdedurre, il Fisco presumibilmente procederà con la liquidazione delle imposte evase e l’irrogazione delle sanzioni ordinarie.
Le lettere di compliance vengono trasmesse tramite posta raccomandata all’indirizzo del contribuente (o via PEC se il contribuente ne dispone, ad es. per i titolari di partita IVA). Inoltre, una copia della comunicazione di solito è resa disponibile nel proprio Cassetto Fiscale sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Ciò garantisce la conoscibilità dell’atto anche in caso di disguidi postali.
È importante evidenziare che queste comunicazioni non costituiscono atti impugnabili (non essendo avvisi di accertamento né provvedimenti sanzionatori). Esse precedono l’eventuale atto impositivo e mirano a evitarlo: di conseguenza, il contribuente non può proporre ricorso contro la lettera in sé, ma può solo sfruttare l’occasione per interloquire con l’Ufficio o sanare l’irregolarità. In un certo senso, la lettera di compliance è parte di quel contraddittorio endo-procedimentale che la prassi (e in taluni casi la legge) incoraggia prima di emettere un accertamento. Dal 2024-2025 l’Agenzia ha intensificato l’utilizzo massivo di questo strumento: basti pensare che, in base alla convenzione MEF-Agenzia, nel 2025 verranno inviate circa 3 milioni di comunicazioni di questo tipo a contribuenti persone fisiche, segnalando tutte le incongruenze emerse dai controlli incrociati tra dichiarazioni e banche dati. Siamo dunque in presenza di una vera “campagna” di moral suasion fiscale, che riguarda da vicino anche i redditi percepiti sulle piattaforme digitali come YouTube e Twitch.
Perché il Fisco invia lettere di compliance sui redditi da YouTube e Twitch
Le attività dei creatori di contenuti online muovono oggi somme significative. YouTuber e streamer di Twitch di successo possono generare entrate considerevoli tramite pubblicità, sponsorizzazioni, abbonamenti pagati dagli utenti, donations e altre forme di monetizzazione. Si tratta di redditi spesso erogati dall’estero (ad esempio da Google Ireland per AdSense-YouTube, o da Twitch Interactive/Amazon) a favore di soggetti fiscali residenti in Italia. In passato, parte di questi proventi poteva sfuggire alle maglie del Fisco nazionale, complice la novità del fenomeno e la frammentazione internazionale delle piattaforme. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può scoprire tutto, come titolava emblematicamente un’analisi già nel 2021: negli ultimi anni sono stati attivati strumenti giuridici e tecnologici che consentono un monitoraggio più preciso dei flussi finanziari transnazionali, per individuare redditi prodotti all’estero da contribuenti residenti in Italia e contrastare eventuali omissioni dichiarative.
Diversi fattori hanno contribuito a rendere possibili (e frequenti) le lettere di compliance su redditi YouTube/Twitch:
- Fuga di dati e notorietà dei guadagni online: un episodio chiave è stato il data leak di Twitch avvenuto nell’ottobre 2021, che rese pubbliche le cifre dei compensi percepiti dai principali streamer – inclusi molti italiani – evidenziando incassi di centinaia di migliaia o addirittura milioni di dollari in pochi anni. Queste informazioni (per quanto non provenienti ufficialmente dal Fisco) hanno acceso i riflettori sui potenziali casi di evasione/elusione in questo settore. L’Autorità fiscale italiana, consapevole di tali numeri, ha verosimilmente avviato verifiche sui nominativi emersi per valutare se fossero state presentate le dovute dichiarazioni. In generale, il clamore mediatico intorno ai “super guadagni” degli streamer ha fatto comprendere all’opinione pubblica – e ai soggetti istituzionali – la portata del fenomeno.
- Principio della tassazione mondiale e residenza fiscale: la base legale su cui l’Agenzia si muove è chiara. Ai sensi dell’art. 2, comma 2 del TUIR (D.P.R. 917/1986), i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tassati sui redditi ovunque prodotti nel mondo (principio del worldwide taxation). Ciò significa che se uno YouTuber italiano risiede in Italia (anche se i pagamenti provengono dagli USA o dall’Irlanda), deve comunque dichiarare questi redditi al fisco italiano. Solo chi è effettivamente residente all’estero (e non ha residenza fiscale in Italia per la maggior parte dell’anno) è esentato dal dichiarare in Italia i redditi esteri. Pertanto, molti content creator che vivevano in Italia mentre guadagnavano online avevano l’obbligo di dichiarare tali introiti, anche se provenienti da fonti estere. Laddove ciò non sia avvenuto, il Fisco considera la mancata dichiarazione come anomalia e la segnala con lettere di compliance.
- Cooperazione internazionale e scambio di informazioni finanziarie: grazie a protocolli come il Common Reporting Standard (CRS) e accordi bilaterali, l’Amministrazione finanziaria italiana riceve ormai in automatico una mole di dati su conti e transazioni estere dei propri residenti. Ad esempio, i trasferimenti di fondi da entità estere verso conti bancari italiani possono emergere tramite lo scambio di informazioni. Un creator che riceve bonifici regolari da Google Ireland o da Twitch su un conto italiano genera tracce che possono essere segnalate. Infatti, il Provvedimento AE n. 439255/2022 ha dato attuazione all’invio di lettere di compliance relative ad attività finanziarie e redditi esteri non dichiarati, proprio sulla base dei dati ottenuti dallo scambio automatico di informazioni con Stati esteri. Già a partire dalle irregolarità 2020, l’Agenzia ha iniziato a inviare comunicazioni mirate a chi non ha monitorato fiscalmente capitali e redditi esteri. I redditi da YouTube/Twitch rientrano in questa categoria di redditi di fonte estera, per i quali il Fisco – se non li trova in dichiarazione – allerta il contribuente. Va aggiunto che anche il pagamento di imposte all’estero non esime dall’obbligo dichiarativo in Italia: se un creator ha subito ritenute USA (spesso il 30% se non ha fornito il modulo fiscale americano), dovrà comunque dichiarare il reddito in Italia e potrà semmai chiedere un credito d’imposta per le imposte estere pagate, evitando la doppia imposizione. Il non aver dichiarato, magari pensando che la tassazione USA fosse risolutiva, costituisce invece un’omissione rilevante.
- Nuovi obblighi per le piattaforme digitali (DAC7): un recentissimo sviluppo normativo rende ancora più difficile “nascondersi”. La Direttiva UE 2021/514 (c.d. DAC7), recepita in Italia con il D.Lgs. 1 marzo 2023 n. 32, impone ai gestori di piattaforme digitali – comunitarie ed extra-UE che operano nell’Unione – di comunicare alle autorità fiscali i compensi versati ai soggetti che utilizzano le piattaforme per generare redditi. Questo include le piattaforme di content sharing e streaming: in pratica, a partire dal 2023 le società come Google (YouTube) o Amazon (Twitch) dovranno trasmettere i dati dei compensi pagati agli utenti italiani. L’Agenzia delle Entrate nel gennaio 2024 ha emanato un’apposita circolare (prot. n. 22931/2024) per fornire indicazioni sul tema e ha siglato un protocollo d’intesa con la Guardia di Finanza per coordinare i controlli nel settore. Ciò significa che il Fisco disporrà di dati certificati e puntuali sulle somme incassate dai creator residenti, e potrà facilmente confrontarli con quanto questi ultimi dichiarano. Se le dichiarazioni non tornano, partiranno automaticamente segnalazioni e – appunto – inviti alla compliance. È emblematico che le istituzioni descrivano questo filone come “particolarmente remunerativo e interessante ai fini della tassazione”, segno della forte attenzione a recuperare gettito da queste nuove professioni digitali.
- Operazioni mirate della Guardia di Finanza: parallelamente, la GdF ha avviato verifiche su figure di spicco del mondo online. Negli ultimi mesi sono emerse notizie di indagini per evasione fiscale a carico di famosi YouTuber, streamer e influencer. Ad esempio, nell’aprile 2024 la GdF di Roma ha acceso i fari su quattro noti streamer (MikeShowSha, Pow3r, Zano, Homyatol), ipotizzando un’evasione complessiva di circa 4,5 milioni di euro tra il 2019 e il 2022. Per i due principali (MikeShowSha e Pow3r) si parla di imposte evase per circa 2 milioni di euro ciascuno. Tali indagini partono spesso dall’incrocio di stile di vita e flussi finanziari: la GdF confronta le entrate (anche tramite società riconducibili ai creator) con le uscite e il tenore di vita ostentato pubblicamente, individuando incongruenze. In un’altra operazione, il noto youtuber CiccioGamer89 era stato accusato di aver omesso oltre 1 milione di euro di ricavi (non versando circa €400.000 di imposte dirette e €160.000 di IVA); in quel caso il creator si attivò immediatamente fornendo documenti e – a suo dire – regolarizzando la situazione, tanto che dopo l’accertamento non gli sarebbe stata inflitta alcuna sanzione. Questa vicenda mostra proprio l’importanza della fase di contraddittorio e regolarizzazione: un contribuente collaborativo può evitare il peggio, mentre chi ignora i segnali rischia grosso. Anche figure di primissimo piano sono finite sotto la lente: nel marzo 2024 testate nazionali riportavano che tra gli influencer indagati per tasse non pagate (per un totale di 11 milioni di redditi occultati) vi erano anche imprenditori digitali celebri come Gianluca Vacchi o Luis Sal, oltre a numerosi content creator di piattaforme per adulti (es. star di OnlyFans) completamente sconosciuti al Fisco. La stessa Guardia di Finanza ha dichiarato che quello degli influencer “è un mondo che si presta” a fenomeni di evasione, per la facilità con cui i guadagni online possono essere percepiti fuori dai canali tradizionali. Alla luce di queste azioni repressive, l’invio di lettere di compliance è anche uno strumento per indurre i contribuenti a rientrare nei ranghi senza dover ricorrere subito a metodi più invasivi (perquisizioni, sequestri, denunce penali).
In sintesi, i redditi da YouTube e Twitch sono finiti nel mirino sia per l’elevato potenziale di gettito non dichiarato, sia perché oggi il Fisco dispone dei mezzi informativi e normativi per intercettarli. Le lettere di compliance costituiscono il primo livello – “soft” – di questa strategia di recupero: una sorta di alert che prelude, se ignorato, a verifiche e accertamenti formali. Nel capitolo seguente vedremo come tali redditi andrebbero correttamente inquadrati e dichiarati a norma di legge, poiché spesso l’anomalia nasce anche da un’errata comprensione del regime fiscale applicabile ai guadagni online.
Inquadramento fiscale dei redditi da YouTube e Twitch
Per difendersi efficacemente è fondamentale capire di che natura sono, giuridicamente, i redditi generati tramite YouTube, Twitch e simili. L’inquadramento fiscale determina infatti come andrebbero dichiarati e che obblighi formali ne conseguono (apertura della partita IVA, iscrizioni previdenziali, applicazione IVA, ecc.). Proprio su questo terreno si sono registrati in passato dubbi interpretativi – ad esempio, c’è chi sosteneva che i compensi degli influencer potessero qualificarsi come diritti d’autore – ma le recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali hanno chiarito molti aspetti chiave.
Reddito di lavoro autonomo o d’impresa? Il nuovo Codice ATECO per i creator
La fonte normativa di base è il TUIR (D.P.R. 917/1986). In mancanza di una categoria ad hoc per i “guadagni da piattaforme web”, occorre ricondurli alle categorie esistenti. Oggi possiamo affermare con certezza che i compensi derivanti da attività di content creation e influencer marketing integrano, nella maggior parte dei casi, redditi di lavoro autonomo professionale ai sensi dell’art. 53 comma 1 del TUIR. Si tratta infatti di prestazioni derivanti dall’esercizio di arti e professioni, essendo i creator soggetti che mettono a frutto la propria attività creativa e promozionale in modo abituale. A conferma di ciò, a partire dal 1° gennaio 2025 è stato introdotto uno specifico codice ATECO per identificare fiscalmente tali attività: il codice 73.11.03 “Servizi di influencer marketing e promozione pubblicitaria”. Questa novità, prevista dall’aggiornamento 2022-2024 dei codici ATECO, ufficializza l’inquadramento degli influencer e content creator come professionisti autonomi (liberi professionisti), equiparandoli a tutti gli effetti ai lavoratori autonomi ex art. 53 TUIR. Già prima, in mancanza di un codice dedicato, l’attività veniva spesso classificata sotto il codice 73.11.02 (Servizi delle concessionarie pubblicitarie), ma ora il 73.11.03 è riservato proprio all’influencer marketing.
L’adozione di questo codice comporta che chi svolge professionalmente l’attività di youtuber/streamer:
- Deve aprire una partita IVA come lavoratore autonomo (salvo il caso di attività del tutto occasionale, su cui torneremo più avanti). Non esiste infatti una soglia minima di reddito sotto la quale l’apertura della partita IVA non sia necessaria se l’attività è abituale e non meramente episodica. Anche piccoli importi, se frutto di un’attività continuativa (ad es. streaming settimanali con incassi regolari), configurano l’abitualità. La soglia dei 5.000 € spesso citata riguarda semmai gli obblighi contributivi (INPS) per le collaborazioni occasionali, ma dal punto di vista fiscale il discrimine è la continuità più che l’ammontare;
- Deve dichiarare i compensi come reddito di lavoro autonomo nell’apposito quadro (RE o LM in caso di regime forfettario) della dichiarazione dei redditi. Ciò implica l’assoggettamento all’IRPEF secondo le regole del lavoro autonomo: in regime ordinario analitico, deduzione delle spese inerenti e tassazione del reddito netto a scaglioni; in regime forfettario, applicazione dell’imposta sostitutiva del 15% (o 5% per startup) sul reddito calcolato forfettariamente (coefficiente di redditività 78% se codice 73.11.0x). La buona notizia è che la maggior parte dei creator con ricavi sotto 85.000 € annui (soglia dal 2023 per il forfettario) possono aderire a questo regime agevolato, evitando complicazioni IVA e avendo un carico fiscale limitato. Il regime forfettario infatti esonera dall’IVA e garantisce una tassazione piatta relativamente bassa, motivo per cui tanti youtuber in regola lo adottano. In caso di ricavi superiori ai limiti o di rinuncia al forfettario, si ricade nel regime ordinario: contabilità semplificata o ordinaria, determinazione del reddito al netto dei costi, IRPEF progressiva (aliquote 23% fino a 15.000 €, 25% fino a 28.000 €, 35% fino a 50.000 €, 43% oltre) più addizionali regionale e comunale.
- Deve adempiere agli obblighi IVA, salvo esonero per forfettario. Un lavoratore autonomo con partita IVA ordinaria dovrà emettere fattura per i compensi percepiti. Nel caso specifico di YouTube e Twitch, i compensi derivano da soggetti esteri: ad esempio, Google Ireland per AdSense (pubblicità YouTube) o Twitch/Amazon (per abbonamenti, bit, ecc.). Trattandosi di prestazioni di servizi verso soggetti passivi UE/extra-UE, si applica la regola del reverse charge estero: le fatture emesse verso Google Ireland saranno non imponibili IVA (operazione fuori campo IVA ex art. 7-ter DPR 633/72, con obbligo di integrazione/autofattura a carico del committente estero se UE). In pratica il creator italiano in regime IVA ordinario emette una “fattura” senza IVA indicando che il cliente estero provvederà all’imposta nel suo paese; tuttavia deve comunque rispettare gli adempimenti comunicativi (fino al 2021 l’esterometro, dal 2022 l’invio dei dati via SdI) e presentare la dichiarazione annuale IVA riportando tali operazioni. Se invece il creator è in regime forfettario, non applica l’IVA per espressa previsione normativa (regime di esonero) e si limita a rilasciare al cliente estero una ricevuta/fattura senza IVA e senza ritenuta. Attenzione: molti pagamenti da piattaforme estere avvengono senza emissione di fattura da parte del percettore, perché la piattaforma non la richiede. Ciò non esime dall’obbligo di autofatturazione o di emissione di un documento interno: formalmente, il creator dovrebbe comunque emettere una fattura pro-forma o annotare il ricavo nei registri; nella pratica molti utilizzano le rendicontazioni della piattaforma come base per le scritture contabili, ma rimane l’obbligo di dichiarare quei proventi.
- Deve iscriversi alla gestione previdenziale competente. Sul fronte previdenziale, vi era incertezza se i creator dovessero iscriversi alla Gestione Separata INPS (tipica dei professionisti senza albo) o alla gestione commercianti (IVS) come imprenditori. La recente Circolare INPS n. 44 del 19/02/2025 ha chiarito l’inquadramento: gli influencer e content creator vanno inquadrati con il codice attività 73.11.03 e, in linea generale, sono tenuti all’iscrizione alla Gestione Separata INPS. Trattandosi infatti di lavoratori autonomi che producono reddito ex art. 53 TUIR, l’INPS ritiene applicabile la contribuzione previdenziale dei liberi professionisti (33% circa sul reddito, senza minimale). Solo laddove l’attività assuma connotati imprenditoriali organizzati (ad esempio gestione di una struttura d’impresa, con prevalenza del fattore capitale su quello lavoro), si potrebbe configurare reddito d’impresa ex art. 55 TUIR con obbligo di iscrizione all’INPS commercianti. Una casistica ibrida è quella dell’influencer-agente di commercio: è accaduto che un Tribunale (Roma, sent. n. 2615/2024, sez. lavoro) assimilasse il lavoro di una influencer alle attività di un agente commerciale, con conseguente richiesta di iscrizione alla gestione commercianti. Tuttavia si tratta di casi peculiari in cui l’influencer agisce sostanzialmente da procacciatore d’affari per i brand (cosa diversa dal limitarsi a pubblicizzare prodotti in autonomia). In generale, per la maggioranza dei creatori di contenuti l’inquadramento rimane quello del lavoro autonomo professionale.
Tabella 1 – Qualificazione fiscale delle attività di content creation
Tipo di attività del creator | Qualificazione fiscale | Note fiscali/previdenziali |
---|---|---|
Occasionale (attività saltuaria, non abituale; es. uno streaming sporadico, pochi ricavi) | Reddito diverso ex art. 67, co.1, lett. l) TUIR (prestazione occasionale) | Nessuna apertura di P.IVA. Reddito dichiarato nel Quadro RL (730 o Redditi) come “redditi diversi”. Se ≤ €5.000 annui, esente da contributi INPS; oltre €5.000, iscrivibilità Gestione Separata per l’eccedenza. Non applicabile se vi è professionalità/abitualità. |
Professionale individuale (creator abituale senza organizzazione d’impresa) | Reddito di lavoro autonomo ex art. 53 TUIR (arti e professioni) | Richiede Partita IVA (cod. Ateco 73.11.03 dal 2025). Possibile regime forfettario se requisiti rispettati (no IVA, imposta sostitutiva 15%). Altrimenti regime ordinario: fatturazione (IVA in reverse charge per clienti esteri), contabilità, deduzione spese. INPS Gestione Separata (aliquota ~26-27%). |
Attività d’impresa (es. gestione in forma societaria o individuale con organizzazione di mezzi e personale) | Reddito d’impresa ex art. 55 TUIR | Inquadramento come impresa commerciale (es. SRL del creator o ditta individuale con struttura). Obbligo di iscrizione al Registro Imprese, contabilità ordinaria, dichiarazioni IVA/IRI. INPS Commercianti (con contributi fissi minimi annuali). Casistica: creator con business diversificato (eventi, vendita merchandising, team di collaboratori) in cui il capitale e l’organizzazione prevalgono sull’apporto personale. |
Redditi da sfruttamento di diritti (es. diritto d’autore su opere dell’ingegno) | Reddito di lavoro autonomo ex art. 53, co.2, lett. b) TUIR (diritti d’autore) | Non generalmente applicabile ai content creator per i ricavi da sponsorizzazioni/advertising. Questa categoria prevede tassazione solo sul 60-75% dell’importo per l’autore (deduzione forfetaria), ed è riservata a compensi per l’utilizzo economico di opere creative. La giurisprudenza esclude di poter assimilare i proventi da attività di influencer al diritto d’autore puro. Possibile uso solo se il creator cede a terzi diritti su proprie creazioni (es. diritti su un brano musicale, su un format originale registrato, etc.), ma non per i compensi di natura promozionale/pubblicitaria legati alla propria immagine. |
Come si evince dalla tabella, la prestazione occasionale costituisce l’unica ipotesi in cui un soggetto che monetizza su YouTube/Twitch possa evitare la partita IVA. Tale prestazione, regolata dall’art. 67 TUIR (redditi diversi) e dall’art. 2222 c.c., ha però limiti stringenti: deve trattarsi di attività saltuaria, episodica, senza organizzazione e senza obbligo di mezzi. Nella pratica, le linee guida fanno riferimento al tetto dei 5.000 € annui come indicatore oltre il quale l’attività non può più dirsi meramente occasionale (in quanto scatta anche l’obbligo contributivo). Dunque, un aspirante creator che muove i primi passi può incassare piccoli importi rilasciando semplici ricevute per prestazione occasionale (con ritenuta d’acconto del 20% solo se il pagatore è un soggetto con sostituzione d’imposta in Italia; nel caso di YouTube/Twitch che pagano da estero, nessuna ritenuta in Italia), e dichiarare tali redditi nel quadro RL del modello Redditi l’anno successivo. Ma attenzione: se le entrate diventano regolari o superano anche di poco questa soglia, l’apertura della partita IVA diventa di fatto obbligatoria per non incorrere nell’esercizio abusivo di attività economica continuativa. Lo Stato italiano riconosce sì il lavoro autonomo occasionale, ma solo entro limiti ben precisi di occasionalità. Molti creator alle prime armi sono ignari di ciò e, superando i limiti, si ritrovano poi con anni di redditi non dichiarati correttamente.
Un aspetto su cui c’è stata discussione è la possibilità di tassare parte di questi proventi come diritti di immagine o d’autore, che avrebbero trattamenti fiscali favorevoli (forfettizzazione, esclusione da IVA per natura di diritto). Alcuni influencer hanno cercato di sostenere che i compensi ricevuti – ad esempio per post sponsorizzati – fossero in realtà corrispettivi per l’utilizzo della propria immagine (equiparabili al diritto alla propria immagine ex art. 10 c.c. e L. 633/1941). Tale impostazione è stata rigettata dalla giurisprudenza tributaria. Una sentenza di secondo grado della Corte di Giustizia Tributaria del Piemonte (CGT Piemonte) del 15 maggio 2023 n. 219/2/2023 ha fatto chiarezza: i redditi derivanti dallo sfruttamento economico della propria immagine personale – nel caso di specie quelli di un calciatore famoso, ma il principio vale analogicamente per influencer e personaggi pubblici – sono redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia, non redditi assimilabili a diritti d’autore. In quella causa, un contribuente (il calciatore) aveva chiesto il rimborso di imposte sostenendo che i proventi da cessione dei diritti di immagine fossero esenti o non imponibili in Italia, ma i giudici hanno confermato il diniego: la cessione dei diritti di immagine non può essere estesa concettualmente al diritto d’autore, e i relativi compensi restano imponibili come redditi professionali. Dunque, per un creator: i compensi che derivano dal “metterci la faccia” in promozioni, sponsorizzazioni, pubblicità online, non godono delle agevolazioni dei diritti d’autore (che si applicano solo alle opere d’ingegno creative dell’autore). Anche eventuali “donazioni” o tip degli utenti su Twitch/YouTube non sono doni liberali in senso tecnico, ma vanno considerati parte integrante del reddito (sono elargiti in relazione all’intrattenimento offerto dal creator, quindi come corrispettivo sia pur volontario).
In conclusione, un reddito da YouTube/Twitch non dichiarato costituisce in genere o un reddito di lavoro autonomo non dichiarato o, in ipotesi limitate, un reddito diverso occasionale non dichiarato. In entrambi i casi l’Agenzia delle Entrate, una volta scovata l’anomalia, pretenderà che venga dichiarato e tassato secondo il giusto regime. È su queste basi che vengono formulate le lettere di compliance: ad esempio, se Tizio ha guadagnato 20.000 € nel 2021 con il suo canale Twitch senza aprire IVA né dichiararli, il Fisco gli invierà una comunicazione segnalando “redditi da lavoro autonomo non dichiarati per 20.000 €” emersi dai dati a disposizione, con invito a presentarne dichiarazione e versare imposte e sanzioni. Nel prossimo capitolo vedremo proprio come leggere e gestire una lettera di questo tipo, ovvero come difendersi in concreto.
Come difendersi da una lettera di compliance: strategie e strumenti del contribuente
Ricevere una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate può generare apprensione, ma è importante mantenere la calma e agire in modo razionale. Dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta potenzialmente in difetto), difendersi significa fondamentalmente interagire con l’Amministrazione finanziaria per chiarire la propria posizione e, se effettivamente si è in difetto, regolarizzarla col minimo impatto sanzionatorio possibile. Analizziamo passo passo le mosse consigliate.
1. Analizzare attentamente la comunicazione
Il primo passo è leggere con attenzione la lettera ricevuta, identificando:
- Quale anno d’imposta è oggetto di anomalia (es.: “redditi 2021”, riferito alla dichiarazione presentata nel 2022). Potrebbero esserci più annualità segnalate separatamente;
- Quale tipologia di reddito o fonte risulta non dichiarata: la lettera dovrebbe specificare se si tratta, ad esempio, di “redditi di lavoro autonomo” oppure “redditi di capitale” o altro. Per YouTube/Twitch, come detto, l’Agenzia solitamente li inquadra come redditi di lavoro autonomo (talora con indicazione “redditi esteri non dichiarati”);
- L’importo dell’anomalia: potrebbe essere indicato il totale dei compensi che risultano versati al contribuente da parte di un certo soggetto e non ritrovati in dichiarazione. Ad esempio: “Dai dati in Anagrafe Tributaria risulta che hai percepito €10.000 da Google Ireland Ltd. nel 2020, che non risultano dichiarati” – eventualmente con tabella dettagliata;
- Eventuali difformità parziali: la comunicazione potrebbe segnalare non solo omissioni totali ma anche importi dichiarati inferiormente rispetto a quelli comunicati da terzi. Ad esempio: “Hai dichiarato €5.000, ma i dati indicano percezioni per €8.000”;
- Le indicazioni operative: come e entro quando rispondere o regolarizzare. Spesso non c’è un termine perentorio immediato (non è un atto impositivo che scade in 60 giorni), ma la lettera può suggerire di attivarsi entro, ad esempio, 30 giorni dalla ricezione o fornire spiegazioni. Se è indicata una data per beneficiare di riduzioni sanzioni (in alcune campagne di compliance il Fisco ha fissato scadenze, ad es. per sanare l’omessa dichiarazione 2019 dissero “invia entro il 31/3/2021 per sanzione ridotta”), va tenuta in considerazione;
- I contatti per eventuali chiarimenti (telefono, email PEC, ufficio locale).
A questo punto, bisogna confrontare quanto c’è scritto con la propria posizione fiscale di quell’anno. È utile recuperare: la dichiarazione dei redditi presentata per l’anno in questione (o verificare se non è stata presentata affatto), eventuali certificazioni o documenti relativi ai pagamenti percepiti (rendiconti AdSense, estratti conto bancari evidenziando accrediti da Google/Twitch, fatture emesse se ve ne sono, ecc.).
Ci sono due scenari principali:
(a) La lettera ha ragione: c’è un’effettiva omissione/errore da parte tua. Ad esempio, non avevi proprio inserito quei redditi in dichiarazione; oppure li hai dichiarati in modo errato (magari come “redditi esenti” o altro) e l’Agenzia li vede mancanti. In questo caso occorre procedere verso la regolarizzazione (v. infra al punto 3). Prima di farlo, comunque, verifica se ci sono giustificazioni o cause attenuanti che possano esserti utili nel dialogo con il Fisco: ad esempio, potresti esserti dimenticato in buona fede di un reddito estero, oppure non eri consapevole di dover aprire la partita IVA – questo non ti esonera dal pagare, ma può essere menzionato in un eventuale contatto come segno di buona fede. Se i dati corrispondono (importi, fonti) a ciò che ricordi di aver percepito, non ha senso negare l’evidenza; conviene piuttosto attivarsi per sanare e minimizzare le conseguenze.
(b) Ritieni che la lettera sia in tutto o in parte sbagliata. Ciò può accadere, ad esempio, se:
- Hai già dichiarato quei redditi, magari in un quadro diverso, e l’Agenzia non li ha correttamente “incrociati”. Può succedere per errori nei codici: ad es., potresti aver dichiarato certi importi come “redditi diversi” e l’Agenzia li cercava come lavoro autonomo, non trovandoli. Oppure li hai inseriti cumulatamente ad altri redditi e nel dettaglio non appaiono. In tal caso potrai documentare che il reddito era incluso nella tua dichiarazione (inviando copia della dichiarazione e altri riscontri);
- Quei redditi erano esenti o esclusi da imposizione per qualche motivo specifico e le banche dati non lo riflettono. Caso raro in questo ambito, ma ipotizza: se avessi percepito somme già tassate alla fonte a titolo definitivo (non comune per YouTube, ma per ipotesi), o se rientrassero in un regime agevolato dichiarativo particolare;
- C’è un errore di persona o di importo: ad esempio, l’Agenzia potrebbe averti attribuito un reddito che in realtà riguarda un tuo omonimo, o avere duplicato un dato (può succedere con i codici fiscali, sebbene raramente). Se hai certezza di non aver mai ricevuto quei pagamenti, dovrai farlo presente;
- Non eri tenuto a dichiarare in Italia: è la circostanza della non residenza fiscale. Se nell’anno in questione tu risultavi residente AIRE all’estero o comunque hai elementi per provare che non avevi residenza in Italia (es. vivevi stabilmente all’estero e non ricadevi nei criteri di cui all’art. 2 TUIR), potresti sostenere che quei redditi non dovevi dichiararli qui. Attenzione: essere iscritti AIRE o trasferiti non basta da solo – serve analizzare le date. Però può capitare, ad esempio, che la lettera consideri anomalia 2020 mentre tu da metà 2020 sei emigrato: forse la banca dati ti segna residente tutto l’anno, e invece no. In tal caso, se effettivamente hai già dichiarato nel nuovo Stato o hai i requisiti, potrai far valere l’esclusione da imposizione per non residenza (ma preparati a fornire documenti: certificati di residenza estera, iscrizione AIRE, bollette, contratto di lavoro estero, ecc.).
In tutti questi casi, è opportuno passare al punto 2, ossia aprire un contatto con l’Agenzia per spiegare la situazione dal tuo punto di vista.
2. Dialogare con l’Agenzia: il contraddittorio endoprocedimentale
La lettera di compliance spesso offre esplicitamente la possibilità di fornire chiarimenti all’Agenzia prima che scatti qualunque altra azione. Sfruttare questa opportunità è fondamentale, soprattutto se ritieni di avere ragione o comunque elementi a tuo discarico. Il contraddittorio con l’Ufficio può avvenire in diverse forme:
- Telefono o email: in alcuni casi la lettera indica un numero da chiamare o un indirizzo email/PEC. Se la questione è semplice (es. “ho già dichiarato, allego copia dichiarazione”), può bastare una comunicazione scritta via PEC in cui, citando il numero identificativo della lettera, illustri che secondo te non c’è irregolarità, allegando i documenti di prova. Mantieni un tono formale ma collaborativo, fornendo riferimenti chiari (codice fiscale, anno, riferimento comunicazione) e chiedendo eventualmente conferma di ricezione.
- Servizio online CIVIS: è la piattaforma di assistenza telematica dell’Agenzia per comunicare su comunicazioni di irregolarità e compliance. Accedendovi con SPID/CIE, è spesso possibile selezionare la comunicazione ricevuta (che comparirà nel tuo cassetto fiscale) e inviare un messaggio o documenti all’ufficio competente. Questo è un canale tracciato ufficiale, preferibile all’email non certificata;
- Appuntamento presso l’Ufficio locale: se la cosa è articolata (ad es. devi spiegare che eri residente estero, ecc.), puoi prenotare un appuntamento in presenza presso la Direzione Provinciale/ufficio territoriale che ha emesso la lettera (di solito indicato sull’intestazione). All’appuntamento porti copia della lettera e tutta la documentazione di supporto. L’ideale è anche consegnare una memoria scritta riassuntiva, protocollandola. In essa scriverai, in modo ordinato, perché ritieni infondata o parzialmente infondata la segnalazione e allegherai prove. Ad esempio: “In merito alla Vs comunicazione ID XX segnalo che il reddito di €10.000 risulta già compreso nella mia dichiarazione (quadro RL rigo…), come da copia allegata. Chiedo pertanto l’archiviazione…” oppure “Segnalo di essermi trasferito a Londra dal 1/1/2021, come da iscrizione AIRE il … allegata, pertanto i redditi 2021 non erano imponibili in Italia…”. Consegna e fatti rilasciare ricevuta.
L’Agenzia, ricevuti i chiarimenti, valuterà. Se la tua argomentazione è valida e suffragata da prove, è nell’interesse dell’ufficio non procedere oltre: possono decidere di chiudere lì la questione con un nulla di fatto (magari ti arriverà una risposta scritta di presa d’atto, oppure semplicemente non seguirà alcun atto). Se invece non accettano le tue spiegazioni e ritengono che l’anomalia sussista, ti comunicheranno la conferma della irregolarità invitandoti comunque a regolarizzare. Ad ogni modo, hai costruito un documento difensivo utile anche in seguito: se malauguratamente ti notificano un avviso di accertamento, potrai far valere di aver già presentato le tue deduzioni (a volte questo può aiutare in fase di contenzioso, mostrando la tua buona fede e collaborazione).
È importante sottolineare: il contraddittorio preventivo in materia fiscale, soprattutto per controlli basati su dati bancari/esteri, è un diritto sancito da varie pronunce della Corte di Giustizia UE e della Cassazione. L’Agenzia è tenuta a consentire al contribuente di spiegarsi prima di emettere un accertamento in molte ipotesi di accertamenti “da tavolino”. Le lettere di compliance rientrano in questa filosofia: ti stanno dando voce. Usala, se hai qualcosa da dire a tua difesa.
Esempio pratico – Caso A (anomalia infondata): Carla riceve nel 2024 una lettera per “redditi 2021 non dichiarati – €3.000 da Twitch Interactive”. Carla però ha effettivamente dichiarato quei €3.000 nel modello Redditi PF 2022, quadro RL rigo 15, come reddito occasionale. Per qualche motivo l’Agenzia non lo ha abbinato. Carla allora scrive via PEC all’ufficio: indica i riferimenti della comunicazione, spiega che il reddito era stato incluso come reddito diverso (essendo occasionale), allega copia della dichiarazione e del prospetto di liquidazione. Dopo un mese, l’Agenzia risponde che in effetti il reddito era presente in dichiarazione e che la posizione è regolare. Nessuna sanzione, pratica chiusa.
Esempio pratico – Caso B (residenza estera): Marco, streamer italiano, si è trasferito fiscalmente a Dubai dal 2022. Riceve nel 2025 una lettera per “redditi 2022 non dichiarati – €50.000 da YouTube”. Marco però nel 2022 era residente negli EAU e iscritto AIRE (non ha presentato dichiarazione in Italia perché considerava di non doverla). Si reca all’Agenzia con documenti: certificato di residenza a Dubai, iscrizione AIRE effettiva da gennaio 2022, dichiarazione di non aver più domicilio in Italia. L’ufficio esamina: se riconosce la non residenza, dovrà annullare l’anomalia (i redditi esteri di un non residente non vanno dichiarati qui). Se invece (come possibile) sorgono dubbi – es. Marco aveva ancora famiglia in Italia nel 2022 o proprietà – l’ufficio potrebbe non convincersi e procedere comunque verso un accertamento, costringendo Marco a difendersi in sede contenziosa con maggior impegno. (Questo esempio mostra che non sempre il contraddittorio risolve, ma è comunque una tappa essenziale).
3. Regolarizzare la posizione: ravvedimento operoso
Se dalla tua analisi iniziale (punto 1) risulta che effettivamente hai omesso o sottodichiarato redditi da YouTube/Twitch, la via maestra per “difenderti” è in realtà collaborare attivamente col Fisco e sanare la violazione prima che arrivi la stangata. In ambito tributario italiano vige infatti l’istituto del ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997), che consente al contribuente di regolarizzare spontaneamente errori e omissioni fiscali beneficiando di sanzioni amministrative ridotte. La lettera di compliance, come detto, ti invita espressamente a fare ciò. Vediamo come procedere nel concreto.
Passo 3A: Predisporre la dichiarazione integrativa. Dovrai presentare una dichiarazione dei redditi integrativa (“dichiarazione integrativa a favore del fisco”) relativa all’anno d’imposta oggetto dell’anomalia. Tecnicamente, se ad esempio si tratta dei redditi 2020, bisogna compilare il Modello REDDITI PF 2021 contrassegnando la casella “Dichiarazione integrativa” e riportando i dati corretti. Nella dichiarazione integrativa inserirai il reddito da YouTube/Twitch mancante, nel quadro opportuno. Ad esempio, se era un reddito da lavoro autonomo non dichiarato, andrà nel quadro RE (o LM se forfettario); se era reddito diverso, in RL, etc. Questo farà emergere un maggior imponibile e quindi una maggior imposta dovuta per quell’anno. La dichiarazione integrativa va inviata per via telematica (tramite un intermediario abilitato, oppure usando i servizi online Fisconline/Entratel se sei capace). Dopo l’invio, verrà ricalcolato il tuo debito d’imposta per quell’anno. A quel punto conoscerai gli importi: ipotizziamo, ad esempio, che aggiungendo €10.000 di reddito autonomo, emergano €3.000 di IRPEF in più dovuta, oltre a eventuale IVA se applicabile e addizionali.
Passo 3B: Calcolare sanzioni ed interessi e compilare l’F24. Con la dichiarazione integrativa, il ravvedimento operoso richiede che tu paghi:
- la maggior imposta dovuta (nel nostro esempio €3.000 di IRPEF, più magari €300 di addizionali, più IVA se c’era);
- i tassi di interesse legali calcolati giorno per giorno sul tributo non pagato, dal momento in cui avresti dovuto pagarlo (ad esempio dal 30/06/2021 per il saldo IRPEF 2020) fino ad oggi. Il tasso legale è variato negli anni (nel 2020-21 era basso, nel 2023-24 è salito fino al 5% annuo), ma essendo su base annua e solo sul capitale d’imposta, in genere l’importo interessi non è enorme. Lo puoi calcolare pro-rata temporis;
- la sanzione amministrativa ridotta per infedele dichiarazione od omessa dichiarazione, a seconda del caso, applicando le riduzioni del ravvedimento. Nel caso di dichiarazione infedele (dichiarazione presentata ma incompleta), la sanzione base sarebbe il 90% della maggior imposta dovuta (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/97). Con ravvedimento, se sono trascorsi oltre 2 anni dalla violazione ma non c’è ancora formale accertamento, la sanzione è ridotta a 1/6 del minimo. 1/6 di 90% significa pagare il 15% circa sull’imposta evasa. Se invece la regolarizzazione avviene prima (ad es. entro un anno dall’errore, riduzione 1/8) o entro 2 anni (1/7), la percentuale cambia leggermente, ma nel contesto delle lettere compliance spesso siamo oltre i 2 anni, quindi 1/6. Nel caso di omessa dichiarazione (dichiarazione proprio non presentata entro il termine di legge), la sanzione base è più pesante: dal 120% al 240% dell’imposta, minimo €250. Col ravvedimento, c’è una peculiarità: se si rientra entro 90 giorni dalla scadenza si parla di “dichiarazione tardiva” con sanzione fissa minima (soli €25); oltre i 90 giorni si considera omessa, ma presentare comunque la dichiarazione (anche se formalmente “irregolare”) e ravvedersi riduce la sanzione al 1/6 del minimo (1/6 di 120% = 20% dell’imposta, con comunque il minimo €250 se l’imposta evasa era bassa). Dunque, chi non aveva proprio fatto la dichiarazione e viene ora invitato può sanare pagando circa il 20% dell’imposta come sanzione.
Gli importi vanno versati mediante Modello F24. L’Agenzia di solito nella lettera indica i codici tributo da usare: in generale, si useranno i codici tributo propri dell’imposta per versare la maggior imposta (es. 4001 per IRPEF saldo, 3800 per addizionale regionale, ecc.), il codice tributo 1991 per gli interessi da ravvedimento, e il codice 8901 (per imposte dirette) per le sanzioni da dichiarazione infedele, oppure 8911 per la sanzione da omessa presentazione. Nel dubbio, il commercialista o CAF potrà aiutarti a compilare correttamente l’F24. L’F24 va pagato in banca/posta o via home banking. Importante: il ravvedimento è efficace solo se contestualmente presenti la dichiarazione integrativa e effettui il pagamento completo di imposte + interessi + sanzioni ridotte. Se ometti di pagare o paghi parzialmente, il ravvedimento non perfeziona e potresti subire comunque sanzioni piene. Inoltre, non è ammessa la rateizzazione di questi importi in sede di ravvedimento – il versamento dev’essere unico (potrai semmai pensare di chiedere dopo un’eventuale dilazione in fase di riscossione se non hai pagato tutto, ma a costo di perdere lo sconto sanzioni).
Passo 3C: Comunicare l’avvenuta regolarizzazione (se richiesto). Spesso non è strettamente obbligatorio comunicare all’Agenzia che ti sei ravveduto – lo vedranno dai flussi telematici (dichiarazione integrativa ricevuta, pagamenti registrati in Anagrafe tributaria). Tuttavia, può essere prudente informare l’ufficio, ad esempio inviando via PEC copia della ricevuta d’invio della dichiarazione integrativa e dell’F24 pagato, dicendo: “In riferimento alla Vs lettera ID…, ho provveduto a regolarizzare come da documenti allegati”. Ciò chiude il cerchio e mette al riparo da possibili disguidi. L’Agenzia a quel punto non emetterà alcun accertamento, poiché l’irregolarità è stata sanata e il debito d’imposta versato (salvo rarissimi casi di contestazioni ulteriori, ad es. se ritengono che dovevi dichiarare di più, ma in genere se fai per bene, finisce lì).
Vediamo un esempio numerico per capire il vantaggio del ravvedimento:
Esempio pratico – Caso C (ravvedimento): Luigi nel 2019 ha incassato €10.000 da YouTube senza dichiararli. Riceve nel 2023 la lettera di compliance. Se ignora tutto, l’Agenzia gli notificherà un accertamento con imposta evasa e sanzione piena 90%. Ipotizziamo che €10.000 fossero imponibili IRPEF: Luigi avrebbe dovuto pagare ca. €2.500 di IRPEF (supponiamo aliquota media 25%). L’accertamento gli addebiterà €2.500 di imposta + €2.250 di sanzione (90%) + interessi (diciamo €200) = totale ~€4.950, oltre al rischio di dover pagare spese di notifica e subire iscrizioni a ruolo se non paga subito. Se invece Luigi fa integrativa e ravvede ora: paga €2.500 imposta + €375 sanzione (15%, cioè 1/6 di 90%) + €200 interessi = €3.075. Risparmio netto: quasi €1.900 di sanzioni in meno. Inoltre niente iscrizione a ruolo, niente aggi della riscossione, niente contenzioso. Luigi si è messo a posto spontaneamente.
Esempio pratico – Caso D (omessa dichiarazione): Marta nel 2020 ha guadagnato €20.000 su Twitch ma non ha proprio presentato la dichiarazione dei redditi (pensava erroneamente che sotto una certa soglia non servisse). Lettera di compliance nel 2025. Imposta dovuta supponiamo €5.000. Se non fa nulla: avviso di accertamento per omessa dichiarazione con sanzione minima 120% = €6.000, quindi €5.000 + €6.000 + interessi ~ €300 = totale ~€11.300. Con ravvedimento: Marta presenta ora (tardivamente) il modello Redditi 2021 per il 2020, paga €5.000 imposta + sanzione ridotta 1/6 di 120% = 20% = €1.000 + interessi €300 = €6.300. Anche se l’omessa è più costosa, Marta risparmia €5.000 di sanzioni e soprattutto evita la segnalazione penale (per omessa dichiarazione scatta se imposta evasa > €50.000; nel suo caso è 5k quindi non c’è rischio penale comunque, ma se fosse stata 60k, il ravvedimento l’avrebbe aiutata sul profilo penale, come vedremo dopo).
Doppia regolarizzazione (imposte dirette e IVA): un punto di attenzione per i content creator con obbligo di IVA. Se l’Agenzia vi segnala i redditi non dichiarati, penserà soprattutto alle imposte sui redditi (IRPEF, addizionali) e al limite all’IVAFE/monitory se c’è estero. Ma se quei redditi erano derivanti da un’attività che avrebbe richiesto la partita IVA, significa che probabilmente non avete assolto neanche l’IVA su di essi. Ad esempio: Caio nel 2019 incassa 50k da YouTube, non apre IVA, non dichiara nulla. La compliance letter gli dice di dichiarare il reddito (IRPEF). Caio fa integrativa, paga IRPEF con ravvedimento. Tuttavia, l’Agenzia potrebbe comunque accorgersi, magari più avanti, che su quei 50k c’era anche IVA da versare (22% su eventuali servizi imponibili, se il servizio fosse considerato reso in Italia; con YouTube però è a committenza estera, quindi niente IVA da riscuotere, ma c’era l’obbligo di identificazione e registrazione delle operazioni estere). È un terreno complesso: in sintesi, chi non aveva aperto IVA e doveva, con ravvedimento dovrebbe anche aprire retroattivamente la partita IVA e sanare l’IVA dovuta. L’apertura retroattiva di P.IVA si può fare chiedendo all’AdE, ma comporta sanzione fissa per omissione di dichiarazione inizio attività (€250) ravvedibile a €1/8 (€31) se fatto ora. Poi bisogna presentare le dichiarazioni IVA arretrate e versare l’IVA con sanzioni ridotte. Fortunatamente, come accennato, se i compensi provenivano da soggetti esteri UE, l’IVA sarebbe stata in reverse charge, quindi forse non c’è IVA da versare (ma c’è l’esterometro da sanare, con sanzioni minori). Se provenivano da soggetti extra-UE (es. Twitch pagato da USA) – comunque niente IVA (fuori campo). Quindi paradossalmente l’IVA potrebbe non essere un grosso problema per i redditi da queste piattaforme (lo sarebbe se il creator avesse percepito compensi direttamente da aziende italiane per pubblicità: in quel caso doveva addebitare IVA). In ogni caso, per scrupolo, consultate un fiscalista: il ravvedimento operoso può coprire anche l’IVA, con sanzione ridotta al 1/6 del 90% (15%) per omesso versamento/dichiarazione IVA. Le procedure sono analoghe (dich. IVA integrativa e F24 con codici tributo IVA). Meglio non limitarsi a sanare l’IRPEF ignorando l’IVA se questa era dovuta, perché l’Agenzia potrebbe poi fare un accertamento IVA separato. Idealmente, fate un ravvedimento complessivo di tutte le imposte interessate dalla vostra omissione.
Profili penali: Un vantaggio importante della regolarizzazione spontanea riguarda le possibili conseguenze penali tributarie. L’ordinamento (D.Lgs. 74/2000) punisce alcune condotte fraudolente o evasive oltre certe soglie: in particolare, la dichiarazione infedele (art.4) è reato se l’imposta evasa supera €100.000 e l’ammontare non dichiarato supera il 10% del totale o comunque €2 milioni; l’omessa dichiarazione (art.5) è reato se l’imposta evasa supera €50.000. Nel caso di molti creator, cifre simili sono possibili: basta non dichiarare 200k di redditi perché l’IRPEF evasa superi 50k, innescando il penale. Ebbene, l’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 (come modificato di recente) prevede che il ravvedimento operoso con pagamento integrale di imposte, sanzioni e interessi prima che si aprano formali controlli esclude la punibilità per i reati di omesso versamento e, per dichiarazione infedele/omessa, costituisce circostanza attenuante molto significativa (nei fatti spesso estingue il procedimento, specie se fatto prima dell’avvio). Anche il pagamento integrale dopo l’avvio del procedimento penale, ma prima del dibattimento, può condurre a causa di non punibilità (introdotta dal D.Lgs. 158/2015). Senza entrare troppo nel tecnico, è chiaro che muoversi prima mette quasi al sicuro: se tu ravvedi e paghi tutto, è altamente improbabile che il Fisco ti denunci, perché l’evasione è venuta meno (il debito è pagato) e manca l’offensività. Viceversa, ignorare la lettera e farsi trovare con grossi importi evasi può portare dritto a una segnalazione alla Procura da parte dell’Agenzia/Guardia di Finanza. Perciò, difendersi significa anche prevenire guai penali pagando il dovuto. Molti influencer noti coinvolti in indagini, a quanto si legge, hanno poi provveduto a versare spontaneamente buona parte del contestato, probabilmente per rientrare nei benefici di legge (si pensi a Gianluca Vacchi che avrebbe restituito parte delle somme prima ancora della chiusura delle indagini).
Riassumendo, il ravvedimento operoso è la strategia vincente in termini di costi/benefici quando la violazione c’è stata. Il ruolo del difensore (avvocato tributarista o commercialista) in questi casi è spesso quello di quantificare il dovuto e procedere col ravvedimento, anziché intraprendere un contenzioso perso in partenza.
4. Aderire a istituti deflattivi o definizioni agevolate (se applicabili)
Oltre al ravvedimento operoso “ordinario”, il contribuente potrebbe valutare altre strade, specie se la comunicazione di compliance si inserisce in un contesto normativo particolare. Ad esempio:
- Concordato Preventivo Biennale (CPB): Introdotto dalla legge di Bilancio 2023, è un meccanismo per le partite IVA di minori dimensioni che prevede di concordare col Fisco il reddito imponibile di due anni futuri (2023-24) sulla base di un maggior reddito dichiarato nel 2021-22, ottenendo in cambio la non punibilità per eventuali discrepanze pregresse. Nel 2024 l’Agenzia ha inviato circa 700.000 lettere di compliance mirate proprio a incentivare l’adesione al CPB, destinate ai contribuenti che nel 2022 avevano dichiarato redditi inferiori a certi minimi di settore (tipicamente sotto il livello ISA). Queste lettere hanno suscitato polemiche perché interpretate come una pressione a dichiarare di più a prescindere. Se un creator si vede recapitare una compliance di questo tipo (es. “il tuo reddito 2022 è troppo basso rispetto agli indici, ti proponiamo di adeguarlo pagando un tot per il biennio successivo”), potrebbe valutare se aderire. L’adesione al CPB comporta il pagamento di una sorta di “forfait concordato” per due anni, evitando controlli su quel periodo e sanando le irregolarità dal 2019-2022 (con pagamento di un 5% sulle maggiori differenze). È un istituto molto specifico e con scadenze strette (dicembre 2024 per aderire per il biennio 23-24). Riguarda solo chi già ha dichiarato qualcosa (non i completamente sconosciuti). Nella nostra ottica, se la lettera compliance è generica sul reddito basso, prima di aderire ciecamente conviene fare una due diligence: magari quel reddito era basso perché integravi con un altro reddito che ha esenzione, ecc. Insomma, aderire significa accettare di pagare di più del dovuto pur di stare tranquilli. È una valutazione economica/strategica da fare col proprio consulente.
- Definizioni agevolate e sanatorie: il 2023 ha visto diverse misure di tregua fiscale (D.L. 34/2023 e L. 197/2022) tra cui una sanatoria degli errori formali e un ravvedimento speciale per dichiarazioni omesse/infedeli 2019-2021, con sanzione fissa 1/18 del minimo. Tali misure però avevano finestre temporali precise (ad esempio, il ravvedimento speciale richiedeva la rimozione delle irregolarità entro il 31/10/2023 e il pagamento in 8 rate fino al 2024). Se un contribuente destinatario di compliance rientrava in quelle scadenze, avrebbe potuto usufruirne. Oggi a luglio 2025 quelle misure sono scadute. In futuro però il legislatore potrebbe varare nuovi condoni o definizioni agevolate. È sempre utile informarsi se c’è qualche scorciatoia legislativa per sanare con sconti. Ad esempio, se domani uscisse un “condono delle imposte 2022 per redditi esteri”, potrebbe convenire aspettare quello piuttosto che ravvedersi normalmente. Ma sono valutazioni aleatorie e da fare con prudenza (non c’è garanzia che arrivi un condono, e intanto il tempo passa…).
- Accertamento con adesione: Se, nonostante la lettera, il contribuente non si ravvede e arriva un formale avviso di accertamento, a quel punto ci si può ancora difendere con l’istituto dell’adesione (D.Lgs. 218/1997). Questo consente, entro 15 giorni dalla notifica dell’accertamento, di presentare istanza di adesione e avviare un confronto con l’ufficio per eventualmente ridurre la pretesa. Nel contesto di redditi non dichiarati documentati da movimenti finanziari o comunicazioni estere, lo spazio per trattare la quantificazione è modesto (i dati parlano chiaro), ma si può puntare a ridurre le sanzioni o evitare il contenzioso. Con l’adesione, le sanzioni sono dimezzate (si paga 1/3 invece di 2/3 in caso di acquiescenza, di quelle originarie) e si può ottenere un pagamento rateale (fino a 8 rate). Se quindi ti sei perso il treno del ravvedimento, l’adesione è il secondo treno da prendere per mitigare i danni. Ad esempio, in adesione su un’infedeltà con sanzione 90%, pagheresti il 30% invece del 90%. Certo, è sempre peggio del 15% che avresti pagato ravvedendoti prima.
- Ricorso in Commissione/CGT: ultima spiaggia, se proprio ritieni l’accertamento infondato o se emergono questioni di diritto, è fare ricorso al giudice tributario. Questo però esula dalla fase di compliance (ormai saremmo in fase contenziosa post-adempimento spontaneo). In questa sede basti dire: il contenzioso avrebbe senso se puoi contestare, ad esempio, la qualificazione giuridica (ma come visto è ormai assestata sul lavoro autonomo) o la tua residenza fiscale, o magari l’applicazione di una convenzione contro le doppie imposizioni. Oppure se l’Agenzia ha commesso errori procedurali (mancato contraddittorio, decadenza termini, etc.). Sono valutazioni da fare col proprio avvocato. Ma raramente conviene arrivare a tanto per redditi effettivamente percepiti e non dichiarati: difficilmente convincerai un giudice che non dovevi pagarci le tasse, se i presupposti c’erano. Per questo, la difesa migliore in molti casi è proprio regolarizzare e ridurre il danno, invece di andare allo scontro in tribunale con poche chance.
5. Prevenire future anomalie: interpello e best practice
Dopo aver affrontato (o mentre affronti) una compliance per redditi online, è opportuno pianificare il futuro in modo da evitare il ripetersi del problema. Se intendi proseguire l’attività di content creation, metti in regola il tuo setup fiscale: apri la partita IVA se non l’hai ancora fatto (magari optando per il forfettario se ne hai i requisiti), inizia ad emettere le relative fatture o ricevute per i compensi da YouTube/Twitch, versa gli acconti e salda le imposte annualmente. Così, difficilmente avrai altre brutte sorprese. L’Agenzia delle Entrate comunque continuerà con ogni probabilità a monitorare il settore almeno per i prossimi anni – come dimostrano i protocolli di intesa con la GdF – quindi la compliance spontanea è la scelta più saggia.
Se vi sono aspetti incerti nella tua situazione fiscale, puoi valutare di presentare un interpello all’Agenzia delle Entrate (art. 11 L.212/2000). L’interpello è una istanza formale con cui il contribuente chiede un parere vincolante sul trattamento fiscale da applicare ad un caso concreto e personale. Ad esempio, un creator potrebbe chiedere all’Agenzia: “I compensi che percepisco da YouTube per le visualizzazioni dei miei video possono essere considerati redditi derivanti da opere d’ingegno e quindi rientrare nell’art. 53 co.2 lett. b) TUIR (diritti d’autore)?”. L’Agenzia risponderà (in 90 giorni, salvo proroghe) con una risposta ad interpello ufficiale. Se la risposta è favorevole al contribuente, questi potrà seguirla senza temere sanzioni. Se è sfavorevole, almeno saprà come comportarsi (o potrà impugnarla in Commissione). Nel nostro esempio specifico, visto che la giurisprudenza ha già escluso di trattare i redditi da immagine come diritti d’autore, un interpello su tale tema probabilmente riceverebbe risposta negativa conforme (ribadendo che sono redditi di lavoro autonomo). Tuttavia, in altri frangenti l’interpello potrebbe aiutare: ad es. se operi anche su piattaforme nuove o con modelli remunerativi particolari, potresti chiedere come dichiarare certi proventi. Oppure, se stai valutando di trasferirti all’estero ma continuerai a produrre contenuti, potresti presentare un interpello sui nuovi investimenti o un interpello ordinario per avere conferma sulla tua residenza fiscale (non molto comune, ma possibile). Un caso interessante è per gli eSport player (pro gamer): l’INPS nella circolare 2025 li assimila talvolta agli sportivi dilettanti con regime ad hoc. Un gamer/streamer potrebbe interpellare l’Agenzia per chiedere se i premi vinti in tornei rientrano nei redditi diversi ex art. 67 lett. d) (premi sportivi) o se vanno trattati come lavoro autonomo. Insomma, l’interpello è uno strumento di difesa preventiva: va utilizzato prima di adottare la soluzione fiscale, non dopo. Nel contesto delle lettere di compliance, può servire successivamente per questioni analoghe future (ad es., dopo aver sistemato il passato, interpelli per essere sicuro del trattamento di un nuovo tipo di entrata che avrai).
Infine, tra le best practice per evitare disguidi, c’è quella di affidarsi a un professionista fiscale. Se sei un content creator che inizia a guadagnare somme non trascurabili, investi in una consulenza di un commercialista esperto in fiscalità digitale. Ti aiuterà a capire come fatturare, quali tasse mettere da parte (ad es. spesso consigliano di accantonare circa il 50% di quanto incassi per far fronte a imposte e contributi, così non ti trovi senza liquidità a giugno dell’anno dopo), come compilare correttamente la dichiarazione (ad es. indicare i redditi esteri anche nei posti giusti, come il quadro CE per il credito d’imposta estero, o il quadro RW se necessario). Una buona consulenza può prevenire l’arrivo stesso di una lettera di compliance.
Domande frequenti (FAQ) sulle lettere di compliance e i redditi da YouTube/Twitch
D1: Cosa significa esattamente la lettera di compliance che ho ricevuto dall’Agenzia delle Entrate?
R: Significa che l’Agenzia, confrontando la tua dichiarazione dei redditi con i dati a sua disposizione, ha trovato una possibile irregolarità. In particolare, per i creator digitali, indica che risultano redditi da YouTube, Twitch o altre fonti online che non risultano dichiarati o sono dichiarati in modo incongruente. La lettera non è una multa né un’accusa formale di evasione, ma un invito a verificare e, se effettivamente hai commesso un errore od omissione, a correggerlo spontaneamente. In pratica ti stanno dando l’opportunità di rimediare pagando il dovuto con sanzioni ridotte, prima di passare a misure più severe. Leggi attentamente la comunicazione: troverai il dettaglio di cosa non va (es.: “redditi non dichiarati per €X relativi all’anno Y erogati da Z”) e le istruzioni per procedere.
D2: Perché l’Agenzia delle Entrate sa dei miei guadagni su YouTube/Twitch?
R: Il Fisco dispone oggi di numerose fonti informative. In primis c’è l’Anagrafe Tributaria dove confluiscono segnalazioni e comunicazioni obbligatorie. Per i redditi da piattaforme estere, le fonti includono: lo scambio automatico di informazioni finanziarie tra Stati (che rivela transazioni transfrontaliere, conti esteri, ecc.), eventuali comunicazioni delle piattaforme digitali stesse (dal 2023 con DAC7 i gestori come Google/Amazon devono comunicare i compensi pagati agli utenti EU), e infine le attività di intelligence e verifica della Guardia di Finanza (che incrocia movimenti bancari, tenore di vita, dati emersi pubblicamente). Ad esempio, la GdF ha potuto vedere accrediti ricorrenti sul tuo conto da parte di Google Ireland, e ha passato l’informazione all’Agenzia; oppure la piattaforma ha comunicato all’Agenzia che il tuo account ha guadagnato tot. In altri casi, scoop mediatici (es. liste di streamer emerse da leak) hanno portato il Fisco a concentrare controlli su determinati soggetti. In sintesi: non dare per scontato che il Fisco “non possa sapere” – ormai lo sa, o lo saprà a breve, grazie a cooperazione internazionale e obblighi di reporting digitale.
D3: Ho guadagnato solo poche centinaia di euro caricando video su YouTube – davvero dovevo dichiararli?
R: Tecnicamente sì, anche i piccoli importi andrebbero dichiarati. Non esiste un minimo esente generalizzato per i redditi da lavoro autonomo o diversi: qualsiasi reddito, anche 100 €, sarebbe imponibile in principio (salvo rientri in casistiche particolari di esenzione che però qui non si applicano). Detto ciò, se l’importo era molto basso e l’unico reddito da te avuto, può darsi che anche dichiarandolo non avresti pagato tasse (perché magari rientravi nella no tax area con deduzione per lavoro autonomo, o avevi detrazioni che coprivano l’IRPEF). Questo però non ti esimeva dal dichiararlo. L’Agenzia può comunque inviarti una lettera di compliance per segnalare anche poche centinaia di euro, specie se provenienti dall’estero, perché c’è anche un profilo di monitoraggio (vogliono abituare tutti a dichiarare anche i piccoli redditi online). Se era davvero irrisorio, puoi regolarizzare pagando importi di tassa minimi e la sanzione sarà altrettanto minima (il 15% di poco è pochissimo). Nota: esiste una soglia di €10,33 sotto la quale l’IRPEF non versata non è iscritta a ruolo, ma ciò non significa che non vada dichiarato il reddito. Insomma, l’obbligo dichiarativo c’è sempre, indipendentemente dall’importo, a meno che tu avessi già presentato un 730 e quei 100 € fossero così piccoli che il sostituto non doveva conguagliare – ma in tal caso è questione sottile, meglio prevenire dichiarandoli. Se la tua attività era davvero occasionale, potevi qualificarli come redditi diversi e non aprire partita IVA, ma la dichiarazione era comunque dovuta.
D4: Le donazioni degli utenti su Twitch (es. le “bits”, gli abbonamenti giftati, le offerte su PayPal) sono da considerarsi reddito tassabile?
R: Sì, nella quasi totalità dei casi. Anche se spesso vengono chiamate “donazioni” in gergo, non sono donazioni liberali equiparabili a un regalo gratuito estraneo ad un rapporto. Sono piuttosto contributi volontari che il tuo pubblico ti corrisponde in relazione alla tua attività di intrattenimento. Il Fisco li considera parte integrante della remunerazione che ottieni come streamer. In pratica, equivalgono a compensi per la tua prestazione (seppur atipici). Dunque, vanno sommati agli altri incassi e dichiarati. Solo in ipotesi molto astratte si potrebbe sostenere la natura di liberalità esente (ad esempio, un utente amico ti regala 50 € “solo per stima” non durante lo stream – molto sottile e difficile da provare). Per di più, su Twitch i bit e gli abbonamenti passano comunque tramite la piattaforma, che ne trattiene una parte e ti gira il resto, quindi contabilmente risultano come compensi erogati da Twitch (già al netto). In definitiva: includi sempre anche le “donations” nelle entrate da dichiarare. Lo stesso dicasi per mance su PayPal, Patreon, OnlyFans: fanno reddito. Se qualcuno di generoso ti ha inviato denaro sul conto corrente senza causa, tecnicamente potrebbe configurarsi una donazione modica non tassata, ma il contesto streaming rende arduo sostenerlo. Meglio non appellarsi a questo per non dichiarare.
D5: Non ho mai aperto la partita IVA perché guadagnavo poco e in modo discontinuo: posso giustificarmi dicendo che era attività occasionale?
R: Puoi certamente spiegare la tua buona fede, ma se di fatto l’attività aveva i caratteri della professionalità/abitualità, l’assenza di partita IVA non ti esonera dal pagare le imposte e può anzi aggravare la posizione (perché comporta anche violazioni IVA, se rilevanti). La nozione di lavoro autonomo occasionale richiede che l’attività non sia abituale né organizzata. Se tu streammavi regolarmente (es. tutti i mesi dell’anno, magari con un palinsesto), è difficile definirla “occasionale”, a prescindere dall’importo. Molti confondono “occasionale” con “sotto 5.000 €”: in realtà, come visto, 5.000 € è solo la soglia INPS, non un salvacondotto fiscale. Quindi, se hai percepito redditi per più anni di fila senza IVA, l’Agenzia li tratterà come redditi non dichiarati (o al più come “redditi diversi” se di modesta entità, ma comunque dovuti). Dichiarare di non aver aperto IVA perché non sapevi o perché l’attività era hobby può servire a ottenere comprensione (magari potrebbero non contestarti l’omessa fatturazione con dolo, ecc.) ma non annulla il fatto imponibile. In sede di compliance, l’Agenzia solitamente non infierisce sull’aspetto amministrativo IVA se regolarizzi l’IRPEF – però, come detto, dovresti poi sanare anche l’IVA se dovuta. Insomma, non contare su questa giustificazione come scudo: è più un attenuante che può far ridurre sanzioni (spontaneamente o in adesione) mostrando che non c’era volontà fraudolenta.
D6: La lettera mi chiede di fare una dichiarazione integrativa per il 2020. Siamo nel 2025: non è prescritto ormai?
R: No, non è prescritto. I termini di accertamento per il periodo d’imposta 2020 (dichiarazione 2021) scadono il 31 dicembre 2026 (5 anni successivi, poiché dal 2016 il termine ordinario è il 5° anno successivo, esteso al 7° se dichiarazione omessa). Quindi l’Agenzia è pienamente nei tempi per contestare il 2020. Tu puoi presentare dichiarazione integrativa “a sfavore” (cioè a tuo sfavore, per dichiarare di più) entro il 31/12/2026 senza problemi; anche oltre potresti, ma poi l’ufficio non sarebbe tenuto ad accettare l’emendabilità. In ogni caso non conviene affidarsi alla prescrizione: come vedi hanno tempo. L’unica prescrizione relativamente breve era per le sanzioni penali se il reato non è contestato entro tot anni, ma qui siamo ancora in ambito amministrativo. Dunque, se la lettera riguarda 2020, 2019 o anche 2018, siamo ancora nel periodo accertabile (per il 2018 il termine è 12/2024, possibile che stiano mandando ora le ultime compliance per chiudere quei casi).
D7: Quanto tempo ho per rispondere o regolarizzare dopo aver ricevuto la lettera?
R: La lettera di solito non fissa un termine perentorio legale (non essendo un atto impugnabile, non scade in 60 giorni come un avviso). Tuttavia può indicare una scadenza “operativa” suggerita. Ad esempio, molte lettere invitano a regolarizzare entro 30 giorni per evitare il seguito. Alcune iniziative (come quella sulle dichiarazioni omesse) fissavano una data precisa per beneficiare di sanzioni minime. Ti conviene attenerti a quanto indicato: rispondere/regolarizzare entro il termine consigliato. Se la lettera non indica nulla, una regola di buon senso è agire prima possibile, idealmente entro 90 giorni. Considera che l’ufficio dopo un po’ di tempo, se non vede movimenti da parte tua, può procedere con l’accertamento. Non c’è una regola fissa: alcuni aspettano qualche mese, altri procedono rapido. Quindi, non rimandare. Il ravvedimento operoso ha efficacia finché l’ufficio non ti notifica atti (accertamento) o non avvia verifiche formali. Se per disgrazia procrastini e ti arriva l’avviso, il ravvedimento non sarà più applicabile (dovrai semmai trattare in adesione, con sconti minori). Dunque, consigliamo di risolvere entro poche settimane dal ricevimento della lettera.
D8: Posso rateizzare gli importi dovuti con ravvedimento? Ho una somma elevata da versare…
R: Purtroppo no, in fase di ravvedimento il pagamento deve essere unico. La normativa sul ravvedimento non prevede rateazioni: devi versare sanzioni e interessi in misura ridotta, ma tutto in soluzione unica contestualmente alla dichiarazione integrativa. Se non hai liquidità per l’intero importo, hai alcune opzioni:
- Pagare almeno in parte e, per la parte che non riesci, valutare di chiedere rateazione dopo l’accertamento. Mi spiego: potresti non ravvederti su tutto, attendere l’avviso e poi rateizzare con l’Agente della riscossione (le cartelle si possono rateizzare oltre 120€). Però così perdi i benefici del ravvedimento e pagherai sanzioni piene su quella parte. Non è una gran strategia;
- Un’alternativa migliore: fare comunque il ravvedimento integrale (presenti integrativa per tutto) ma pagare solo una parte subito. L’Agenzia considererà non perfezionato il ravvedimento per la parte non pagata. Però spesso, se poi ti arriva l’accertamento, ti riconoscono almeno la parte di ravvedimento che hai fatto sui versamenti parziali (riducendo sanzioni proporzionalmente). Non c’è garanzia, è un po’ borderline. In sostanza, le somme non versate resterebbero dovute con sanzioni normali. È complicato e rischioso.
- Una terza via: se rientra, potresti chiedere un pagamento frazionato ex art.8 D.Lgs. 218/97 dopo aver fatto adesione. Mi spiego: lasci che ti facciano l’accertamento, poi in sede di accertamento con adesione ottieni almeno il dimezzamento sanzioni (da 90% a 30% ad es.) e in quell’atto di adesione puoi chiedere la rateazione fino a 8 rate trimestrali. Questo ti diluisce il pagamento su 2 anni. Pagherai un po’ più sanzioni che col ravvedimento (30% vs 15%) ma hai la possibilità di rate. È una scelta di comodo finanziario, da valutare coi calcoli alla mano.
- Infine, potresti considerare finanziamenti esterni (prestito bancario) se l’importo è grande ma vuoi chiudere subito col ravvedimento: valuti interessi vs sanzioni risparmiate.
In ogni caso, sappi che la rateazione in ravvedimento non è ammessa, quindi non presentare F24 con importo parziale pensando di poter fare il resto dopo scaglionato, perché se fra un mese l’ufficio ti batte un avviso sei fregato sulla differenza. Meglio concordare un piano direttamente con loro in sede di adesione, come detto.
D9: Cosa rischio se ignoro completamente la lettera di compliance?
R: Ignorare la lettera significa sprecare l’ultima occasione di pagare il minimo delle sanzioni. Lo scenario seguente sarà probabilmente questo: l’Agenzia delle Entrate, non vedendo ravvedimento né ricevendo spiegazioni convincenti, procederà a emettere un Avviso di Accertamento a tuo carico per l’anno d’imposta in questione. L’avviso ti verrà notificato (via PEC o ufficiale giudiziario) e conterrà la quantificazione dell’imposta evasa, oltre a sanzioni piene e interessi. Le sanzioni, come detto, saranno generalmente il 90% dell’imposta evasa (infedele) o 120-240% (omessa). Avrai a quel punto 60 giorni per pagare (con sanzioni ridotte a 1/3 se fai acquiescenza immediata) oppure presentare ricorso. Contestualmente, per importi rilevanti, l’Agenzia potrebbe trasmettere un rapportino alla Procura per valutare il profilo penale (se superi le soglie di punibilità). Potresti dunque ritrovarti non solo con una cartella pesante, ma anche con un procedimento penale per reati tributari. Inoltre, l’avviso diventerà definitivo se non paghi né fai ricorso, e passerà all’Agente della Riscossione con possibilità di iscrivere ipoteche, fermi amministrativi o pignoramenti sui tuoi beni per riscuotere il dovuto. Insomma, ignorare la lettera è altamente sconsigliato: il Fisco non dimentica. Possono passare alcuni mesi, ma poi agiranno in via impositiva e coattiva. L’unico caso in cui “ignorare” può essere sensato è se sei davvero convinto al 100% che l’Agenzia abbia torto e hai le prove: ma anche in tal caso, sarebbe meglio comunque comunicare la tua posizione prima (non è ignorare, è confutare). Ignorare passivamente è la scelta peggiore, perché perdi i benefici della collaborazione e peggiori la tua posizione negoziale e sanzionatoria.
D10: Ho già ricevuto un avviso di accertamento dopo la lettera (non me ne ero occupato in tempo). Posso ancora fare qualcosa per ridurre i danni?
R: Sì. Se ti è arrivato un avviso, innanzitutto verifica se c’è margine per attaccarlo su questioni formali o sostanziali (col supporto di un tributarista). Se invece l’accertamento è corretto nei numeri, puoi aderire come spiegato sopra: presenta istanza di accertamento con adesione entro 30 giorni dalla notifica. Questo sospende i termini di ricorso e ti consente un incontro con l’ufficio per eventualmente rivedere l’atto. Spesso, in sede di adesione, l’ufficio potrà concederti di pagare le imposte contestate con sanzioni ridotte a 1/3 del minimo (equivalente a una riduzione del 66% delle sanzioni irrogate). Pagherai quindi qualcosa in più rispetto al ravvedimento (che era 1/6 del minimo), ma qualcosa in meno rispetto alla sanzione piena già iscritta (che è di solito il minimo edittale). Inoltre potrai chiedere la rateazione. In alternativa, se non vuoi o non puoi aderire, puoi fare ricorso entro 60 giorni dall’avviso, magari chiedendo in giudizio la disapplicazione di sanzioni per obiettiva incertezza, o portando elementi che prima non avevi presentato. Ma il ricorso ha costi e rischi, valutalo attentamente. Infine, dopo la definitività dell’avviso, c’è sempre la strada della riscossione frazionata: puoi chiedere al concessionario (Agenzia Riscossione) una dilazione fino a 72 rate se l’importo lo giustifica. Questo però non riduce le sanzioni, le diluisce solo. Insomma, anche post-accertamento ci sono opzioni deflattive, ma meno vantaggiose del ravvedimento iniziale.
D11: Questi redditi da YouTube/Twitch vanno dichiarati anche in qualche quadro RW per il monitoraggio estero?
R: Dipende dalle circostanze. Il Quadro RW serve a monitorare investimenti e attività finanziarie detenute all’estero, nonché trasferimenti da/per l’estero. Se tu hai semplicemente ricevuto bonifici dall’estero sul tuo conto italiano, non devi indicarli in RW (perché i soldi a fine anno stanno su un conto italiano già noto al Fisco; e i flussi non vanno in RW, vanno semmai comunicati da banche). Tuttavia, se tu hai aperto un conto estero per farti pagare (es. un conto corrente fuori Italia dove hai lasciato accumulare i compensi) oppure hai un saldo su portafogli elettronici esteri (tipo PayPal con IBAN non italiano, o il saldo creatore sul portale se considerabile rapporto estero), allora potresti avere l’obbligo di monitoraggio. Ad esempio: Twitch paga su un conto US di uno streamer e a fine anno restano 10k $ lì; quell’ammontare configura un’attività estera da dichiarare in RW (e pagare l’IVAFE, imposta sul valore attività estere, se era conto bancario: 2‰ annuo). Anche carte prepagate estere o servizi fintech con IBAN estero rientrano. Se hai dubbi, chiedi al consulente. La lettera di compliance talvolta riguarda proprio l’omessa compilazione RW: l’Agenzia incrociando i dati vede che avevi conti o investimenti non dichiarati. In queste lettere viene evidenziato l’aspetto sanzionatorio RW: ricorda che l’omessa dichiarazione di attività estere comporta sanzioni amministrative fisse pesanti (dal €3.000 a €15.000 per ogni anno, raddoppiabili se paesi black list). Però col ravvedimento puoi ridurre anche quelle (a 1/6 del minimo, quindi €500 per anno per RW). In generale, se sei uno streamer che riceve pagamenti esteri, preferisci sempre transitare su conti italiani: semplifica tutto ed eviti RW. Se invece usi conti esteri (es. N26 con IBAN DE, o depositi i guadagni su un conto US), allora dichiara quei conti nel quadro RW ogni anno, per non incorrere in sanzioni.
D12: La mia situazione è complicata, c’è di mezzo anche l’IVA e magari altre imposte: mi consigliate di farmi seguire da un professionista?
R: Assolutamente sì. Questa guida fornisce le linee generali, ma ogni caso personale può avere sfumature. Un commercialista esperto in fiscalità dei content creator o un avvocato tributarista potranno analizzare a fondo la tua posizione (magari scoprono che hai diritto a qualche credito d’imposta estero da scomputare, o che puoi dedurre spese che non avevi dedotto, riducendo l’imposta dovuta). Inoltre ti aiuteranno a predisporre correttamente le dichiarazioni integrative e i calcoli. L’investimento in una consulenza può farti risparmiare errori costosi. Ad esempio, se sbagli a compilare l’F24 potresti pagare un tributo con codice sbagliato e risultare ancora in difetto. Oppure potresti ravvederti su IRPEF ma dimenticare l’addizionale regionale, invalidando parzialmente il ravvedimento. Un professionista eviterà questi scivoloni. Ti aiuterà anche a trattare con l’ufficio eventualmente (in contraddittorio o adesione). Considerato che potresti avere sanzioni ridotte di migliaia di euro in ballo, vale la pena farsi assistere.
D13: Dopo aver sanato, l’Agenzia delle Entrate potrà ancora controllarmi in futuro?
R: Teoricamente sì, nel senso che ricevere una lettera di compliance e regolarizzare non ti garantisce immunità per controlli futuri su altri periodi o su altri aspetti. Però, se hai sanato bene, quell’anno e quel reddito ormai sono sistemati: difficilmente torneranno a chiederti altro su quello. Anzi, l’Agenzia tende a concentrare le risorse dove vede irregolarità; se dimostri di essere diventato un contribuente conforme, è meno probabile che tu sia oggetto di ulteriori attenzioni indesiderate. Un consiglio: conserva con cura tutta la documentazione della regolarizzazione (copia integrativa, F24 pagati, eventuali ricevute PEC di invio chiarimenti). Così, se mai dovesse saltare fuori in futuro una contestazione sullo stesso reddito (errore dell’ufficio che magari non ha registrato il ravvedimento), tu avrai le prove pronte per farglielo notare e far annullare l’atto in autotutela rapidamente. In generale, se in futuro dichiari correttamente i redditi di YouTube/Twitch e versi le imposte, non riceverai lettere di compliance (che come dice il nome servono solo se c’è non-compliance). Potresti ricevere al massimo comunicazioni di altro tipo (es. controlli formali 36-ter su detrazioni, ecc., che non c’entrano con i redditi online). Ma l’esperienza mostra che, una volta messo in regola, l’Agenzia sposta la sua attenzione altrove.
D14: E se smetto di fare il creator? Devo comunque sistemare il passato?
R: Sì, le obbligazioni tributarie passate rimangono. Anche se decidi di chiudere il canale e non monetizzare più, gli anni in cui hai guadagnato e non dichiarato restano a rischio fino a decorrenza termini. Quindi la lettera di compliance riferita al passato va gestita comunque. Non puoi “far finta di nulla” pensando “tanto ora ho smesso, non mi troveranno”: se ti hanno scritto, ti hanno già trovato. Semmai, se smetti l’attività, potrai chiudere la partita IVA (se l’avevi aperta) e in futuro non avrai altri obblighi, ma quelli pregressi vanno onorati.
D15: In definitiva, qual è il miglior modo di difendersi da queste lettere?
R: Il miglior modo è collaborare tempestivamente: verificare, comunicare, correggere. Il tutto mantenendo un atteggiamento proattivo e documentato. In un certo senso “difendersi” in ambito compliance non è come in un processo (dove ci si oppone): qui difendersi significa piuttosto convincere il Fisco se hai ragione, oppure minimizzare il danno se hai torto, aderendo agli strumenti deflattivi. La vera difesa vincente è prevenire: dunque farsi trovare in regola. Questo lo hai compreso: dopo la lettera, adeguati per il futuro. Se seguirai la normativa d’ora in poi, difficilmente dovrai affrontare di nuovo problemi simili.
Conclusioni e consigli finali
Le lettere di compliance per redditi da YouTube, Twitch e altre piattaforme sono ormai un fenomeno diffuso nell’ordinamento tributario italiano. Rappresentano uno strumento con cui il Fisco stimola i contribuenti digitali ad emettere un “mea culpa” fiscale spontaneo, recuperando così gettito ed evitando contenziosi. Dal punto di vista del content creator, ricevere una di queste lettere può sembrare un attacco, ma in realtà va vista come un’opportunità: l’opportunità di risolvere bonariamente una pendenza che, se trascurata, potrebbe sfociare in esiti ben peggiori (multe salate, processi, debiti esattoriali).
Abbiamo visto come affrontare la situazione su più fronti: l’analisi della propria posizione, il contraddittorio con l’Agenzia per far valere eventuali ragioni, il ravvedimento operoso per sanare il dovuto con sconti, e infine le possibili vie residuali (adesione, ricorso) qualora si arrivi all’accertamento. Il filo conduttore è la collaborazione informata: conoscere i propri diritti (ad es. quello al contraddittorio) ma anche i propri doveri, ed esercitare entrambi responsabilmente.
Abbiamo inoltre richiamato i più recenti sviluppi normativi (dal nuovo codice Ateco alle direttive europee) e giurisprudenziali, che delineano un quadro in cui i redditi da attività digitali vengono trattati in modo sempre più simile a quelli tradizionali: l’“era della frontiera selvaggia” sta finendo, e i creator devono dotarsi di strutture fiscali adeguate, come qualsiasi professionista o imprenditore.
Un creatore di contenuti, soprattutto se di successo, farebbe bene a considerare il costo fiscale come parte integrante del proprio business plan: ad esempio, accantonando una quota dei ricavi per le tasse, scegliendo il regime ottimale (forfettario se possibile), tenendo traccia delle spese deducibili (attrezzature, connessioni, viaggi per eventi) in modo da abbattere il reddito imponibile nel rispetto di legge. Così facendo, il pagamento delle imposte diventerà una routine sostenibile e non ci saranno brutte sorprese.
Per coloro che invece hanno già accumulato situazioni pregresse irregolari, questa guida ha mostrato che non tutto è perduto: il sistema tributario italiano, pur severo con gli inadempienti, offre comunque strumenti di ravvedimento e di mediazione che permettono di rientrare in carreggiata pagando il giusto (e a volte anche qualcosa meno, in caso di definizioni agevolate). La chiave è non ignorare i segnali, ma reagire con consapevolezza.
In conclusione, come difendersi dalle lettere di compliance non significa erigere barricate contro il Fisco, bensì gestire in modo intelligente il rapporto con il Fisco: contestare quando si è nel giusto, e conformarsi (alle condizioni migliori possibili) quando si è in torto. Trasparenza, tempestività e consulenza qualificata sono gli alleati principali del contribuente in questo percorso. Seguendo le indicazioni fornite e avvalendosi di professionisti se necessario, il creatore di contenuti potrà regolarizzare la propria posizione, evitare sanzioni sproporzionate e guardare al proseguimento della propria attività online senza il timore costante di un intervento delle autorità fiscali.
Come recita un adagio, “prevenire è meglio che curare”: vale anche in campo tributario. Oggi prevenire è più facile, alla luce delle norme chiare e delle prassi note; ma se c’è da “curare” il passato, le cure esistono – vanno solo applicate con determinazione e cognizione di causa. Le lettere di compliance sono il promemoria che il Fisco ci dà per ricordarci di farlo.
Fonti utilizzate e riferimenti normativi
- Agenzia delle Entrate – Provvedimento 26/10/2022 n. 439255/2022, recante modalità attuative per l’invio di lettere di compliance su attività patrimoniali/finanziarie estere non dichiarate.
- Direttiva (UE) 2021/514 (DAC7) e Decreto Lgs. 01/03/2023 n. 32 – Obbligo per piattaforme digitali di comunicare i compensi degli utenti; Circolare AE prot. 22931/2024 e Protocollo d’intesa AE-GdF 2024 sui controlli nel settore influencer.
- Circolare INPS n. 44 del 19/02/2025 – Chiarimenti sull’inquadramento previdenziale dei content creator (Gestione Separata, codice Ateco 73.11.03) e casistiche particolari (influencer-agente, cyber athlete).
- Statuto del Contribuente (L. 212/2000), art. 6 – Diritti del contribuente alla conoscibilità degli errori e adempimento spontaneo; art. 11 – Interpello del contribuente.
- D.Lgs. 472/1997, art. 13 – Ravvedimento operoso (riduzioni sanzioni: 1/9 entro 90gg, 1/8 entro 1 anno, 1/7 entro 2 anni, 1/6 oltre 2 anni prima accert., 1/5 dopo PVC etc.). .
- D.Lgs. 471/1997, art. 1 e 5 – Sanzione per dichiarazione infedele (90% imposta evasa) e omessa dichiarazione (120% – 240% imposta; 30% fisso se tardiva entro 90 gg).
- D.Lgs. 74/2000, artt. 4 e 5 – Reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione (soglie €100k e €50k); art. 13 – Non punibilità o attenuanti per pagamento integrale dei debiti tributari (come modificato da D.L. 124/2019). .
- Codice di Procedura Civile, art. 15 D.Lgs. 218/97 – Accertamento con adesione (riduzione sanzioni ad 1/3 del minimo).
Lettere di compliance per redditi da YouTube e Twitch? Fatti Difendere da Studio Monardo
Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate in merito a incassi ottenuti da YouTube, Twitch, Patreon o altri canali online?
Ti chiedono di giustificare guadagni, donazioni, sponsorizzazioni o versamenti ricevuti dall’estero?
Oggi i creator digitali sono sotto osservazione fiscale: anche se non sei una partita IVA, l’Agenzia può inviarti una lettera di compliance per redditi non dichiarati. Ma attenzione: non sei obbligato ad accettare tutto. Con la giusta assistenza, puoi difenderti e chiarire la tua posizione senza pagare più del dovuto.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza nel dettaglio la lettera di compliance e le contestazioni ricevute
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- 🔁 Ti aiuta a regolarizzare la tua attività digitale in modo corretto, anche senza aprire partita IVA se non necessario
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in fiscalità digitale e tutela legale dei content creator
- ✔️ Consulente per creator da attività online: YouTube, Twitch, OnlyFans, Patreon, affiliazioni, sponsorizzazioni
- ✔️ Consulente legale per streamer, influencer, youtuber, gamer e freelance del web
Conclusione
Una lettera di compliance non è ancora un accertamento, ma può diventarlo se mal gestita.
Con il supporto giusto puoi rispondere in modo chiaro, evitare sanzioni e mettere in sicurezza la tua posizione fiscale.
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