Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate nel 2025? Ti segnalano incongruenze nei redditi, omissioni, scostamenti dagli ISA, anomalie nei crediti o nei versamenti? Ti stai chiedendo se sei obbligato a rispondere, cosa rischi e come puoi difenderti?
Nel 2025 il Fisco sta intensificando l’invio di lettere di compliance, sfruttando l’incrocio dei dati digitali: conti correnti, movimenti bancari, registri IVA, piattaforme online, criptovalute, bonus edilizi, attività estere. Si tratta di un controllo preventivo, che ti dà la possibilità di correggere la tua posizione spontaneamente e con sanzioni ridotte, prima che parta un vero e proprio accertamento.
Cos’è una lettera di compliance fiscale?
– È una comunicazione con cui l’Agenzia ti avvisa di possibili anomalie nei dati dichiarati
– Può riguardare redditi omessi, spese non coerenti, errori formali, IVA non versata, ritenute non operate, incongruenze nei modelli ISA, criptoattività non dichiarate
– Ti invita a correggere i dati o fornire chiarimenti, entro un termine indicato
– Non è un accertamento, ma se non reagisci, può precedere una contestazione ufficiale con sanzioni pesanti
Quali sono le lettere più comuni nel 2025?
– Anomalie ISA e scostamenti dai punteggi di affidabilità
– Omissioni reddituali da piattaforme digitali (YouTube, Twitch, OnlyFans, Amazon, eBay)
– Redditi esteri e criptovalute non dichiarati nel quadro RW
– Anomalie nei bonus edilizi (Superbonus, Ecobonus, Bonus facciate)
– Errori nei modelli F24, versamenti mancati o non attribuiti correttamente
– Difformità tra fatture elettroniche e dichiarazione IVA
Cosa succede se ignori la lettera?
– L’Agenzia può procedere con un avviso di accertamento, con sanzioni fino al 240% dell’imposta
– Può scattare la riscossione coattiva, con iscrizione a ruolo e pignoramenti
– Nei casi più gravi, può avviarsi un procedimento penale per dichiarazione infedele o omessa
– Le anomalie restano registrate, e aumentano il rischio di controlli negli anni successivi
Come puoi difenderti?
– Controlla se l’anomalia è fondata o frutto di un errore del Fisco
– Se c’è stato un errore o un’omissione, puoi usare il ravvedimento operoso per correggere la dichiarazione e pagare con sanzioni ridotte
– Se i dati dell’Agenzia sono sbagliati o mal interpretati, puoi inviare una risposta con documentazione e chiarimenti
– Evita il fai-da-te: fatti assistere da un professionista per valutare se correggere, opporre o difendere
Cos’è il ravvedimento operoso e perché conviene?
– Ti consente di regolarizzare spontaneamente una dichiarazione errata o incompleta
– Prevede sanzioni ridotte (dal 1% al 15%, in base al ritardo) e nessun accertamento se agisci per tempo
– Può essere utilizzato anche dopo una lettera di compliance, prima che parta un controllo formale
Cosa puoi ottenere se reagisci per tempo?
– Eviti accertamenti, sanzioni e interessi maggiorati
– Correggi la tua posizione in modo sereno e controllato
– Dimostri al Fisco collaborazione e trasparenza, migliorando la tua affidabilità fiscale
– Proteggi il tuo conto, i tuoi beni e la tua reputazione
Nel 2025, il Fisco dispone di strumenti digitali sempre più avanzati. Ma hai il diritto di correggere, spiegare e difenderti, se agisci in modo tempestivo e consapevole.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e compliance fiscale ti spiega cosa sono le lettere di compliance nel 2025, come rispondere, quando usare il ravvedimento operoso e come evitare le conseguenze più gravi.
Hai ricevuto una segnalazione e non sai come reagire? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione e ti diremo se devi correggere, giustificare o opporre, per salvare il tuo equilibrio fiscale e patrimoniale.
Introduzione
“Lettere di compliance” è il termine con cui si indicano le comunicazioni inviate dall’Agenzia delle Entrate ai contribuenti per segnalare possibili errori od omissioni nelle dichiarazioni fiscali, invitandoli a regolarizzare spontaneamente la propria posizione. Si tratta di avvisi informali e non di atti di accertamento formali: il loro scopo è incentivare l’adempimento spontaneo (tax compliance) senza ricorrere subito a sanzioni piene o procedure coattive. Questa strategia rientra in un approccio collaborativo inaugurato negli ultimi anni, volto a prevenire l’evasione attraverso il dialogo preventivo col contribuente, piuttosto che intervenire solo in sede di controllo ex post.
L’invio di lettere di compliance è divenuto sempre più massiccio. Nel 2015 ne furono spedite circa 300.000 (con circa 300 milioni di euro recuperati), mentre nel 2023 si è superata quota 3 milioni di comunicazioni, con un recupero di 4,2 miliardi di euro. Sulla scia di questi risultati, per il 2025 è prevista la spedizione di almeno 3 milioni di lettere ai contribuenti, secondo le linee concordate tra Agenzia Entrate e MEF. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la compliance fiscale, consentendo a chi non è in regola di “mettersi in pari” beneficiando di sanzioni ridotte e evitando le conseguenze più gravose di un accertamento formale.
In questa guida, aggiornata a luglio 2025, analizzeremo in dettaglio il funzionamento delle lettere di compliance dal punto di vista del contribuente-debitore. Verranno esaminate tutte le tipologie di comunicazioni oggi utilizzate (persone fisiche, imprese, casi particolari come regimi agevolati, bonus fiscali, ecc.), i riferimenti normativi più rilevanti, le ultime prassi e sentenze in materia, nonché il rapporto con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione in caso di mancata regolarizzazione. Lo stile sarà rigoroso ma divulgativo, adatto sia ai professionisti legali-fiscali sia a privati e imprenditori interessati a capire come gestire queste situazioni complesse. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti.
Importante: Tutte le fonti normative e di prassi citate sono riportate nella sezione Fonti in fondo alla guida, per consentire approfondimenti ulteriori e verificare direttamente i riferimenti utilizzati.
Cosa sono le lettere di compliance fiscale?
Le lettere di compliance sono comunicazioni preventive che l’Amministrazione finanziaria invia a determinati contribuenti quando dalle banche dati risultano anomalie o incongruenze nelle dichiarazioni presentate. In pratica, il Fisco segnala che qualcosa non torna (ad es. redditi non dichiarati, elementi omessi, dati errati) e invita il contribuente a verificare e, se del caso, a correggere spontaneamente gli errori prima che venga emesso un avviso di accertamento vero e proprio.
Queste comunicazioni rientrano nell’ambito delle misure di promozione dell’adempimento spontaneo introdotte dalla Legge di Stabilità 2015 (art. 1, commi 634–636, L. 190/2014). Tali norme hanno previsto strumenti proattivi per stimolare comportamenti fiscali corretti, demandando a specifici Provvedimenti del Direttore AE la definizione delle modalità con cui le informazioni sulle anomalie vengono messe a disposizione dei contribuenti e della Guardia di Finanza. In attuazione di ciò, l’Agenzia invia diversi tipi di comunicazioni: dalle segnalazioni a imprese e autonomi (es. anomalie IVA) fino alle lettere ai privati per redditi non dichiarati o altri errori. L’obiettivo dichiarato è di cambiare il rapporto Fisco-contribuente verso maggiore trasparenza e collaborazione, evitando che errori “in buona fede” sfocino immediatamente in sanzioni pesanti. In tal senso, le lettere di compliance si affiancano ad altre iniziative come il cassetto fiscale online (dove il contribuente può già vedere i dati in possesso del Fisco) e la possibilità di comunicare proattivamente con gli uffici.
È importante sottolineare che una lettera di compliance non costituisce un atto impositivo. Essa non quantifica in via definitiva le maggiori imposte dovute né comporta l’iscrizione a ruolo immediata di somme a debito. Di solito, infatti, il testo si limita a descrivere l’anomalia riscontrata e a invitare il contribuente a prendere visione dei dettagli e a regolarizzare se necessario. Non rientrando tra gli “atti impugnabili” elencati dall’art. 19 D.Lgs. 546/1992, la lettera in sé non è soggetta a ricorso autonomo (vedremo meglio questo aspetto nelle sezioni giurisprudenziali). In sostanza, si tratta di “avvisi bonari” informali, da non confondersi però con le comunicazioni di irregolarità ex art. 36-bis DPR 600/1973 (i cosiddetti avvisi bonari post-dichiarazione) né con gli avvisi di accertamento veri e propri. Più avanti confronteremo queste diverse fattispecie in apposite tabelle riepilogative.
Dal punto di vista pratico, la lettera di compliance offre un percorso agevolato: se il contribuente riconosce l’errore e si attiva spontaneamente, può presentare una dichiarazione integrativa e versare il dovuto beneficiando di sanzioni ridotte (tramite l’istituto del ravvedimento operoso). Viceversa, se ignora l’invito, l’Agenzia potrà procedere con i normali strumenti accertativi e sanzionatori, con costi ben maggiori per il debitore. In altre parole, queste comunicazioni rappresentano per il contribuente una sorta di “ultima chiamata” per mettersi in regola a condizioni favorevoli, prima che scatti la repressione fiscale in senso stretto. È quindi generalmente nell’interesse del destinatario prendere sul serio la lettera e valutare con attenzione i passi successivi, come illustrato in questa guida.
Tipologie di lettere di compliance e casi più frequenti
L’Agenzia delle Entrate ha sviluppato diverse tipologie di comunicazioni di compliance, calibrate sulle differenti categorie di contribuenti e sulle varie fonti di anomalia riscontrate. Di seguito passeremo in rassegna i casi più comuni nel 2025, suddividendoli in macro-aree: (A) persone fisiche (privati contribuenti), (B) partite IVA e imprese, e (C) casi particolari (regimi agevolati, crediti d’imposta e bonus). Per ciascun ambito descriveremo la natura delle anomalie segnalate, il contenuto tipico della lettera e le modalità di regolarizzazione suggerite.
A. Persone fisiche: anomalie nei redditi dichiarati
Per i contribuenti persone fisiche (senza partita IVA), le lettere di compliance mirano principalmente a segnalare redditi omessi o dichiarati parzialmente nella dichiarazione annuale. L’Agenzia effettua incroci tra i dati dichiarati e quelli in suo possesso tramite l’Anagrafe tributaria e altre fonti (sostituti d’imposta, registri immobiliari, scambi di informazioni internazionali, ecc.). Ecco alcuni esempi tipici di anomalie rilevate per l’anno d’imposta 2021 (dichiarazione Redditi 2022), oggetto di comunicazioni nel 2024-2025:
- Redditi di lavoro dipendente o pensione non dichiarati, o dichiarati in misura inferiore a quanto risultante dalle Certificazioni Uniche (CU). Ad esempio, un contribuente che ha percepito due CU da diversi datori di lavoro potrebbe aver indicato solo uno dei due redditi. L’Agenzia segnala la discordanza, indicando gli importi non dichiarati relativi al secondo datore.
- Redditi da fabbricati non dichiarati: tipicamente canoni di locazione omessi. L’Agenzia dispone dei dati sugli immobili posseduti e sulle registrazioni dei contratti di affitto. Se ad esempio un contribuente possiede un immobile che risulta locato (perché c’è un contratto registrato o altri indizi) ma non ha dichiarato alcun canone, la lettera evidenzierà i redditi da locazione presumibilmente non dichiarati. Analoghe segnalazioni possono riguardare fabbricati concessi in comodato o locazioni brevi non dichiarate, specie se risultano comunicazioni da portali (Airbnb, ecc.).
- Plusvalenze non dichiarate su vendite di immobili, terreni o partecipazioni. Ad esempio, se il contribuente ha venduto un’area edificabile o quote societarie e non ha indicato nulla nel quadro RT, l’Agenzia (incrociando atti notarili e registri) può segnalare la possibile plusvalenza non tassata.
- Redditi di partecipazione: omessa indicazione dei redditi derivanti da partecipazione in società di persone, S.r.l. trasparenti o imprese familiari. In questi casi l’Agenzia incrocia i dati comunicati dalla società partecipata con quanto dichiarato dal socio. Se la società ha attribuito un reddito ma nel quadro RH del socio non compare, scatta la segnalazione.
- Altri redditi diversi: ad esempio assegni periodici percepiti (es. assegno di mantenimento) non dichiarati, redditi esteri, ecc. Le categorie possibili sono molteplici; in genere nella lettera viene riportata una tabella di dettaglio che elenca le categorie di reddito non risultate in dichiarazione (lavoro dipendente, locazione, assegni, ecc.) con i relativi importi.
Una particolare sottocategoria merita un approfondimento separato: le attività finanziarie detenute all’estero e i relativi redditi esteri non dichiarati. Queste casistiche, oggetto di ampie campagne di compliance negli ultimi anni, coinvolgono sia l’obbligo di monitoraggio nel Quadro RW che la tassazione di eventuali redditi di fonte estera (interessi, dividendi, capital gains, ecc.). Le lettere in tal senso traggono origine dall’enorme mole di dati affluiti tramite lo scambio automatico di informazioni internazionali (standard CRS – Common Reporting Standard). In concreto, le autorità estere inviano all’Italia i dati di conti correnti, depositi, portafogli titoli, ecc. intestati a residenti italiani; l’Agenzia confronta questi dati con le dichiarazioni fiscali italiane per verificare se i conti esteri risultano dichiarati in RW e se gli eventuali redditi prodotti sono stati tassati.
Esempio pratico: a partire da giugno 2025 molti contribuenti stanno ricevendo comunicazioni riguardanti l’anno fiscale 2021 per anomalie nel quadro RW. Il fac-simile di queste lettere (inviate via PEC o rese disponibili nel Cassetto fiscale, di regola non in forma cartacea tradizionale) ha oggetto “Anomalia dichiarazione Quadro RW – monitoraggio fiscale”. Nel corpo della lettera si legge, ad esempio:
“Gentile Contribuente, sulla base dei dati trasmessi da istituzioni estere (banche, broker, ecc.), risultano a suo nome attività patrimoniali o finanziarie estere non indicate nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi presentata per il 2021 (Modello Redditi 2022). Dal riscontro con la Sua dichiarazione risulta che i conti e le altre attività finanziarie da Lei detenuti all’estero, elencati nel prospetto seguente, non sono stati dichiarati (in tutto o in parte) nel Quadro RW…”.
Segue nella comunicazione un elenco dei conti esteri o investimenti non dichiarati, con l’invito a regolarizzare. Analogamente, se da quei conti risultano anche redditi di capitale non dichiarati (es. interessi, dividendi), la lettera può riportare un ulteriore estratto di testo del tipo:
“…gli importi di seguito riportati, ricevuti a titolo di ‘proventi lordi’ sui conti finanziari a Lei intestati, non risultano dichiarati. Se ha già presentato dichiarazione integrativa, non tenga conto di questa comunicazione. Le segnaliamo che, qualora Lei non provveda a regolarizzare o a fornire chiarimenti, l’Agenzia potrebbe avviare un controllo…”.
Questo esempio mostra due elementi tipici: (1) la diplomazia del linguaggio (“invito a regolarizzare possibili errori”), che conferma la natura non aggressiva ma proattiva della compliance, e (2) il riferimento a eventuale regolarizzazione già avvenuta (“se ha già provveduto… non tenga conto”), chiaro indice che queste lettere spesso vengono spedite in maniera massiva e automatizzata, potendo talvolta “incrociare” contribuenti che proprio in quel momento stanno già regolarizzando (ad esempio tramite ravvedimento spontaneo). In ogni caso, il messaggio è chiaro: se nulla viene fatto, “potrebbe procedersi all’avvio di un controllo”, cioè a un successivo accertamento vero e proprio.
Va evidenziato che, nel caso delle attività estere, la lettera fornisce solo un’informazione sintetica: spesso non vengono specificati direttamente né lo Stato estero né il dettaglio di ogni singola attività non dichiarata, per ragioni di riservatezza dei dati. All’utente viene indicato di accedere al proprio Cassetto fiscale, sezione “L’Agenzia scrive”, dove può scaricare un documento di dettaglio con tutti i dati relativi all’anomalia riscontrata (es. numero conto, banca estera, importi). La scelta di non inserire tali dettagli sensibili nella PEC o lettera è voluta, e il contribuente deve quindi attivarsi per consultare online la propria posizione. Questo passaggio è fondamentale: leggere attentamente gli allegati o i prospetti disponibili nel cassetto fiscale consente di capire esattamente cosa e quanto non è stato dichiarato.
Riassumendo per le persone fisiche, le lettere di compliance più frequenti riguardano: redditi “interni” non dichiarati (lavoro, pensioni, fabbricati, partecipazioni, ecc.) e redditi/attività estere non monitorate. In entrambi i casi, la comunicazione riporta l’anomalia individuata e istruisce il contribuente su come procedere. Di solito sono allegate anche guide sintetiche (es. fac-simile di lettere e un vademecum intitolato “L’Agenzia ti scrive: lettera di invito a regolarizzare possibili errori”) e le istruzioni operative: come accedere al cassetto fiscale, come usare il servizio CIVIS per assistenza telematica, come compilare la dichiarazione integrativa. Non mancano i riferimenti per contattare l’Agenzia (call center dedicati, orari, uffici territoriali) qualora si necessiti di chiarimenti o supporto. Tutti questi strumenti saranno discussi più avanti nella parte “Cosa fare in pratica”.
Prima di passare alle imprese, è utile chiarire che le lettere di compliance per le persone fisiche non titolari di partita IVA sono di competenza della Direzione Accertamento dell’Agenzia ed escono tipicamente con alcune finestre temporali fisse. Ad esempio, negli ultimi anni le comunicazioni relative a un certo periodo d’imposta sono partite tra la fine dell’anno successivo e i due anni dopo: nel 2024 sono state inviate lettere riferite all’anno fiscale 2020, e nel corso del 2025 si stanno inviando quelle riferite al 2021. Questo meccanismo “in progressione” (dovuto anche ai tempi tecnici di raccolta dati, ad es. l’OCSE CRS fornisce i dati 2021 nel 2022/23, e l’Agenzia li elabora entro il 2024 per le lettere del 2025) fa sì che il contribuente possa ricevere segnalazioni su annualità recenti ancora accertabili. Normalmente non vengono inviate lettere per annualità ormai prescritte (oltre i termini di decadenza dell’accertamento), poiché in tal caso il Fisco non avrebbe strumenti per agire in difetto di ravvedimento. Pertanto, se ricevete una lettera di compliance significa in genere che quell’anno fiscale è ancora “aperto” e un eventuale accertamento formale sarebbe possibile se non vi attivate.
B. Partite IVA e imprese: anomalie IVA e redditi d’impresa
Per i contribuenti titolari di partita IVA (imprese, professionisti, ditte individuali), le comunicazioni di compliance sono rivolte soprattutto a segnalare incongruenze relative all’IVA e, in misura minore, ai redditi d’impresa/professionali. In questi casi le anomalie derivano dall’incrocio dei dati delle comunicazioni IVA telematiche (fatture elettroniche, corrispettivi giornalieri, liquidazioni periodiche) con quanto risulta dalle dichiarazioni annuali presentate.
Un esempio attuale è la campagna avviata nel 2025 riguardante l’anno d’imposta 2022: con Provvedimento del Direttore AE 11/04/2025 n. 176284, l’Agenzia ha iniziato ad inviare lettere ai titolari di partita IVA per i quali risultano disallineamenti tra i dati delle fatture elettroniche (e dei corrispettivi telematici) e i dati dichiarati nella dichiarazione IVA 2023 relativa al 2022. In pratica, vengono confrontati il totale delle operazioni attive IVA comunicate tramite SDI (il Sistema di Interscambio delle e-fatture) e i registratori telematici, con l’ammontare delle operazioni dichiarate nel modulo annuale IVA. Se il volume delle fatture attive risulta significativamente maggiore di quanto dichiarato, scatta la segnalazione di possibili ricavi non dichiarati (o di un’omessa presentazione della dichiarazione IVA).
Il contenuto di queste lettere per soggetti IVA è descritto nel Provvedimento stesso: esse indicano i dati aggregati dell’anomalia, ad esempio “totale delle operazioni IVA comunicate per l’anno 2022” a fronte di un minore importo indicato in dichiarazione. Vengono fornite le istruzioni per consultare i dettagli (tramite i portali telematici) e per mettersi in regola. In particolare, le lettere contengono: le generalità del contribuente (denominazione, CF/P.IVA), il numero identificativo e data della comunicazione con relativo codice atto, l’anno d’imposta interessato, e soprattutto l’entità dell’anomalia riscontrata (es. totale operazioni attive trasmesse vs dichiarate). Spiegano inoltre come richiedere ulteriori informazioni o segnalare elementi e circostanze non note al Fisco (il contribuente può replicare indicando ad esempio se alcune fatture attive non erano imponibili o se vi sono state note di credito non considerate, ecc.). Infine, forniscono le modalità per regolarizzare errori od omissioni beneficiando della riduzione delle sanzioni, cioè ricorrendo al ravvedimento operoso.
Un elemento logistico importante: queste comunicazioni ai titolari di P.IVA sono inviate al domicilio digitale (PEC) comunicato all’Indice INI-PEC o registro imprese, e sono rese disponibili anche nel portale “Fatture e Corrispettivi” oltre che nel Cassetto fiscale. Dunque l’imprenditore/professionista potrebbe ricevere la notifica direttamente via PEC. È il caso di ricordare che per i soggetti IVA vige l’obbligo di attivare e mantenere una casella PEC, quindi il Fisco utilizza preferibilmente quel canale.
Altre tipologie di anomalie che possono colpire le partite IVA e generare lettere di compliance:
- Omessa presentazione della dichiarazione IVA annuale: ad esempio, nel 2023 l’Agenzia ha inviato oltre 190.000 comunicazioni a soggetti IVA che non avevano presentato la dichiarazione per l’anno d’imposta 2016 o l’avevano presentata “vuota” (solo quadro VA). Anche attualmente, se un contribuente IVA non presenta la dichiarazione annuale (pur avendo effettuato operazioni durante l’anno), è probabile che riceva un invito a rimediare presentando la dichiarazione omessa con ravvedimento (oltre alle sanzioni ridotte). Spesso l’Agenzia individua questi casi dall’incrocio tra le LIPE (le comunicazioni trimestrali delle liquidazioni IVA) e la dichiarazione: se risultano LIPE inviate ma poi manca la dichiarazione finale, scatta l’allarme.
- Anomalie tra volume d’affari dichiarato e pagamenti elettronici: un filone recente di compliance riguarda il confronto tra i pagamenti digitali ricevuti da un’impresa (dati trasmessi dagli operatori finanziari, ad es. transazioni POS) e i ricavi dichiarati. Ad esempio, nel 2024 sono partite lettere a commercianti e professionisti con “Comunicazione pagamenti elettronici 2024” in cui si segnalano presunti incassi POS non dichiarati per l’anno 2022. La lettera, sulla base dei dati delle banche e gestori di carte, indica l’ammontare di transazioni elettroniche attribuibili al contribuente e non coerenti con quanto riportato nei corrispettivi o nel reddito dichiarato. Si tratta di un nuovo utilizzo del data-mining fiscale: incrociando gli importi dei pagamenti tracciabili incassati (comunicati dagli intermediari finanziari ex art. 7 DL 605/1973 e succ. mod.) con i ricavi noti, il Fisco individua possibili vendite/compensi in nero. Se, ad esempio, un ristoratore ha incassato 100.000 € via carta nel 2022 ma dichiarato corrispettivi totali per 70.000 €, la discrepanza di 30.000 € potrebbe generare una lettera di compliance richiedendo spiegazioni o la rettifica della dichiarazione. (N.B.: si segnala per completezza che in alcuni casi iniziali queste comunicazioni sui POS hanno avuto errori, tanto che l’Agenzia ha dovuto anche inviare lettere di annullamento per dati inesatti; ciò conferma la natura sperimentale di alcune iniziative di compliance).
- Anomalie sui dati dei corrispettivi telematici: esercizi al dettaglio che trasmettono i corrispettivi giornalieri potrebbero ricevere segnalazioni se il totale annuale trasmesso non torna con quanto poi dichiarato come ricavo. Ad esempio, se il registratore di cassa telematico ha inviato per un negozio €200.000 di incassi 2022, ma nel modello Redditi 2023 il commerciante dichiara vendite per €150.000, l’Agenzia potrebbe invitare a chiarire la differenza (forse errori di registrazione, resi non stornati, ecc.) e sanare eventuali ricavi non contabilizzati.
- Incongruenze studi di settore/ISA: in passato (era studi di settore) esistevano lettere di compliance per contribuire a far emergere basi imponibili adeguandosi alle medie di settore. Oggi con gli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) il discorso è cambiato: non risultano specifiche lettere per punteggi ISA bassi, anche se un punteggio scarso può far parte dei criteri di selezione per controlli. Potrebbero però esservi comunicazioni qualora, ad esempio, il contribuente abbia omesso di indicare alcune grandezze ISA obbligatorie in dichiarazione (similmente al caso dei forfettari che vedremo).
In generale, per le partite IVA l’approccio è simile a quello visto per i privati: la lettera espone l’anomalia in modo descrittivo e invita a regolarizzare. Ad esempio, nel caso già citato delle fatture elettroniche 2022, il Provvedimento 176284/2025 evidenzia come le comunicazioni forniscano al contribuente elementi utili per correggere errori od omissioni tramite ravvedimento operoso ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 472/1997. Viene precisato che il ravvedimento è consentito anche se la violazione è già stata constatata o sono iniziati controlli, purché non sia stato notificato un atto di liquidazione/sanzione o un formale accertamento, né già recapitata una comunicazione ex 36-bis (insomma, finché non c’è un atto impositivo “definitivo”). Questa frase, inserita nel Provvedimento, richiama proprio la modifica normativa introdotta dal 2015: oggi il contribuente può ravvedersi anche dopo aver ricevuto un invito alla compliance, cosa prima non ammessa (vedi dettagli nel paragrafo sul ravvedimento).
Un altro aspetto da notare per i soggetti IVA è la possibile combinazione con altri istituti: se l’anomalia è significativa, l’Agenzia potrebbe – parallelamente o in seguito – utilizzare strumenti quali gli inviti al contraddittorio o l’invito ex art. 5-ter D.Lgs. 218/1997 (definizione agevolata in acquiescenza), ma in genere cerca prima la via informale della compliance. Qualora, invece, il contribuente abbia omesso la dichiarazione dei redditi (non solo IVA) e la lettera lo solleciti a presentarla, parliamo di accertamento d’ufficio evitato: l’omessa dichiarazione d’impresa comporta sanzioni molto elevate (120% – 240% dell’imposta dovuta, minimo €250) e l’impossibilità di compensare costi, per cui conviene senz’altro approfittare dell’invito per presentare la dichiarazione tardiva (entro l’anno successivo) o omessa (oltre l’anno, con ravvedimento) per ridurre il danno.
C. Regimi e casi particolari: forfettari, aiuti di Stato, bonus edilizi, ecc.
Oltre ai casi classici sopra descritti, vi sono lettere di compliance mirate a situazioni particolari, ad esempio il regime forfettario, la corretta fruizione di aiuti di Stato o bonus fiscali, nonché il catasto post-interventi edilizi. Trattandosi di tematiche di “nicchia”, le trattiamo separatamente, seppur in sintesi, data la loro rilevanza nel 2025.
- Contribuenti forfettari (omessa indicazione di dati obbligatori): Con Provvedimento del 19/09/2023 n. 325550, l’Agenzia Entrate ha stabilito l’invio di comunicazioni ai contribuenti in regime forfettario che, nel modello Redditi 2022 PF (anno imposta 2021), hanno omesso di compilare i righi da RS375 a RS381 richiesti dall’art. 1, comma 73, L. 190/2014. Si tratta dei campi nel Quadro RS dove i forfettari devono indicare una serie di informazioni sull’attività esercitata (dati richiesti per monitorare il regime, non per calcolare l’imposta, che come noto è forfettaria). In particolare, le imprese forfettarie devono indicare: numero di mezzi di trasporto utilizzati nell’attività al 31/12, costo totale di materie prime e merci, costi per beni in leasing o noleggio, spese per carburante per automezzi. I lavoratori autonomi forfettari devono indicare le spese per servizi telefonici, l’energia elettrica e i carburanti per auto riferibili all’attività. Queste informazioni, sebbene non incidano sul reddito imponibile forfettario, sono obbligatorie per legge (servono all’Amministrazione per analisi statistiche e di rischio). La mancata compilazione costituisce un’irregolarità formale. Ebbene, il Provv. 325550/2023 prevede che i forfettari inadempienti siano invitati via PEC a regolarizzare la posizione, presentando una dichiarazione integrativa con quei dati, avvalendosi del ravvedimento operoso ex art. 13 D.Lgs. 472/1997. La comunicazione PEC conterrà: codice fiscale, cognome/nome (o denominazione) del contribuente; numero identificativo, data e codice atto della comunicazione; l’anno d’imposta (2021) e gli estremi telematici della dichiarazione originaria presentata. Tramite questi riferimenti, il contribuente potrà individuare nel proprio cassetto fiscale l’ambito dell’omissione e procedere a sanarla, presentando un’integrativa con i quadri RS correttamente compilati. Nella stessa lettera saranno indicate le modalità per chiedere informazioni o segnalare elementi all’Agenzia (anche per tramite dell’intermediario delegato) qualora, ad esempio, si ritenga di aver già fornito quei dati altrove. Nota: La sanzione per omessa compilazione di quei prospetti informativi non è espressamente individuata da una norma ad hoc; di solito potrebbe configurarsi come violazione dell’art. 8, D.Lgs. 471/1997 (omissione di comunicazioni prescritte) punita con sanzione fino a €2.065. In pratica però l’Agenzia, attraverso il ravvedimento operoso, consente di sanare pagando il minimo (verosimilmente €250 ridotto a 1/9, quindi ~€27) insieme all’invio dell’integrativa. Questo non è esplicitato nella lettera, ma è deducibile dalla prassi sulle violazioni formali. Chi aderisce all’invito evita l’apertura di un procedimento sanzionatorio ad hoc e soprattutto le possibili conseguenze di controllo: l’omessa indicazione di quei dati, in casi estremi, potrebbe far sospettare che il contribuente stia “forzando” il regime forfettario (specie se si vedono costi elevati non dichiarati). Dunque conviene sistemare subito.
- Aiuti di Stato in dichiarazione (errori di compilazione): Molti contribuenti (imprese e professionisti) hanno fruito negli scorsi anni di aiuti di Stato fiscali o aiuti in regime de minimis (si pensi ai vari crediti d’imposta COVID, esenzioni IMU, incentivi investimenti, ecc.). L’Agenzia gestisce la registrazione di tali aiuti sul Registro Nazionale (RNA) sulla base di quanto indicato dai contribuenti nell’apposito prospetto “Aiuti di Stato” delle dichiarazioni dei redditi e IRAP. Se la compilazione di tale prospetto contiene errori o incongruenze, l’iscrizione dell’aiuto nei registri ufficiali fallisce, e l’aiuto potrebbe risultare come non spettante finché non si corregge l’errore. Per evitare che aiuti legittimamente fruiti vengano considerati decaduti per meri errori formali, l’Agenzia ha avviato nel 2025 un ciclo di lettere di compliance rivolte ai beneficiari con dichiarazioni 2021 anomale negli aiuti di Stato. Il Provvedimento 5/06/2025 n. 244832 definisce che saranno inviate (via PEC e rese disponibili in cassetto fiscale) comunicazioni contenenti: identificazione del contribuente, estremi della dichiarazione interessata, elenco degli aiuti non registrati a causa di errori, motivazione tecnica del mancato inserimento e istruzioni per accedere ai dettagli e regolarizzare. Errori ricorrenti segnalati: l’uso improprio del codice “999” nel campo “Codice aiuto” (codice generico residuale) al posto di un codice specifico esistente; l’indicazione come aiuti di Stato di agevolazioni che in realtà non lo erano; oppure informazioni incoerenti (codice Ateco non compatibile col tipo di aiuto, errata indicazione di dimensione impresa, settore, regione, ecc.). La lettera invita a presentare una dichiarazione integrativa correggendo i dati: ad esempio sostituendo il codice 999 con quello corretto, o inserendo le informazioni esatte nei campi richiesti. Importante: in tali casi non c’è da versare nuove imposte, trattandosi di meri dati dichiarativi, e la regolarizzazione evita che l’aiuto venga considerato indebitamente fruito. Se infatti l’anomalia fosse tale da configurare un aiuto non spettante (es. contribuente privo dei requisiti, o indicazione di un bonus inesistente), allora si dovrà restituire l’aiuto con interessi e sanzioni secondo le regole ordinarie. Ma nella maggior parte dei casi di errori formali, la lettera consente di sanare senza perdere il beneficio. Anche qui il ravvedimento operoso entra in gioco: pur non essendoci imposta, c’è la sanzione per errore formale (generalmente €250, ridotta a €41 se entro 2 anni, o a €83 oltre 2 anni, ai sensi art. 8 D.Lgs. 471/97, potenzialmente ridotta ulteriormente via ravvedimento a importi minimi). L’importante è rispondere: ignorare queste lettere può significare che l’aiuto resterà non registrato e, in sede di controlli successivi, potrebbe esserne chiesta la restituzione integrale.
- Bonus edilizi e aggiornamento catastale (Superbonus 110% e simili): Un caso peculiare di lettere di compliance, emerso tra fine 2023 e 2024, riguarda i beneficiari di Superbonus e altri bonus edilizi in relazione alla necessità di aggiornare le rendite catastali degli immobili riqualificati. In pratica, dopo importanti interventi edilizi (es. ristrutturazioni con aumento di superficie, efficientamento energetico con modifiche all’immobile), è obbligo del proprietario presentare in Catasto un aggiornamento (DOCFA) se l’intervento incide sul classamento o sulla consistenza. Molti beneficiari del 110% non lo hanno fatto. L’Agenzia – che gestisce anche il Catasto – ha quindi avviato l’invio di circa 50.000 lettere di compliance ai proprietari che hanno usufruito del Superbonus, per i quali risultano variazioni edilizie non seguite da correzione catastale. In tali comunicazioni (a cura probabilmente dell’AdE Territorio) si chiede al contribuente di verificare la rendita catastale del proprio immobile e, se necessario, provvedere all’aggiornamento. Pur non essendo un accertamento, ignorare l’invito può portare a controlli in loco e a rettifiche d’ufficio con sanzioni. Questo esempio conferma come la “compliance” si estenda ormai a vari ambiti: qui non c’entra una maggiore imposta diretta, ma si tratta di far emergere basi imponibili IMU/TASI corrette dopo i lavori, nonché prevenire sanzioni catastali. Il consiglio, per chi riceve tali lettere, è di coinvolgere un tecnico (geometra/architetto) per predisporre la pratica catastale mancante. Il vantaggio di aderire spontaneamente è spesso una riduzione delle sanzioni amministrative edilizie/catastali.
Quelli descritti (forfettari, aiuti di Stato, bonus edilizi) sono esempi di come l’Agenzia stia utilizzando lo strumento delle comunicazioni bonarie a 360 gradi, non solo per recuperare gettito immediato, ma anche per “dare ai contribuenti l’opportunità” di sistemare aspetti formali e prevenire inadempienze future. A livello sistematico, tutte queste lettere fanno capo alla medesima logica normativa (art. 1 commi 634-636 L.190/2014) e operativa: condivisione delle informazioni con il contribuente e promozione del ravvedimento prima dell’avvio di un procedimento sanzionatorio vero e proprio.
Tabella 1 – Tipologie comuni di lettere di compliance e relative anomalie
Tipologia Contribuente | Anomalia segnalata | Esempio contenuto lettera | Fonte dati Agenzia |
---|---|---|---|
Persona fisica – Redditi ITA | Redditi non dichiarati (lavoro dip., pensione, affitti, ecc.) | Elenco categorie reddito e importi non presenti in dichiarazione. | Certificazioni Uniche, Anagrafe tributaria, contratti locazione |
Persona fisica – Redditi esteri | Attività finanziarie estere non monitorate; redditi esteri omessi | Indicazione conti esteri non dichiarati in RW; “proventi lordi” non dichiarati. Invito a regolarizzare prima di controlli. | Dati da autorità estere (CRS), Anagrafe conti esteri |
Impresa/Professionista – IVA | Disallineamento volume d’affari (fatture/corrispettivi vs dichiarato) | Totale operazioni IVA comunicate (SDI) vs quelle in dichiarazione. Istruzioni per vedere dettaglio e ravvedersi. | Fatture elettroniche, corrispettivi telematici, dichiarazione IVA |
Impresa/Prof. – Omessa dich. | Mancata presentazione dichiarazione IVA e/o Redditi | Anomalia: dichiarazione non pervenuta per anno X. Invito a presentare dich. integrativa (tardiva) con imposte dovute. | Archivio invii telematici (confronto LIPE vs dichiarazione) |
Impresa – Incassi POS vs ricavi | Ricavi non dichiarati desunti da pagamenti elettronici | Comunicazione incassi elettronici totali anno X e incongruenza rispetto ai corrispettivi dichiarati. Richiesta chiarimenti/regolariz. | Comunicazioni operatori finanziari ex art.7 DL 605/73 |
Forfettario – dati RS omessi | Mancata indicazione dati attività (art.1 c.73 L.190/2014) | Elenco campi RS non compilati (es. costo materie prime, n. veicoli, ecc.). Invito a inviare integrativa con tali dati. | Modello Redditi PF (Quadro RS) |
Ditte/Società – Aiuti di Stato | Errore/omissione in prospetto Aiuti di Stato (dati incoerenti) | Elenco aiuti non registrati per errori (es. codice aiuto errato). Istruzioni per integrativa correttiva. | Dichiarazione Redditi/IRAP (quadro Aiuti), Registro nazionale aiuti |
Beneficiario bonus edilizio | Mancato aggiornamento catastale post-ristrutturazione | Invito a verificare rendita catastale dopo lavori (Superbonus). Lettera PEC ai proprietari con bonus 110%. | Banca dati catasto vs comunicazioni ENEA bonus edilizi |
(Legenda: Redditi ITA = redditi di fonte italiana; LIPE = comunicazione liquidazioni periodiche IVA; SDI = Sistema Interscambio Fatture elettroniche; CRS = Common Reporting Standard OCSE.)
Cosa fare se si riceve una lettera di compliance
Passiamo ora alla parte operativa: come comportarsi concretamente quando arriva una lettera di compliance. Questa sezione fornisce una sorta di “procedura guidata” in passi, tenendo conto dei possibili scenari (anomalia effettivamente esistente, errore dell’Agenzia, impossibilità di pagare subito, ecc.). L’obiettivo è aiutare il contribuente (e il professionista che lo assiste) a valutare il da farsi, esercitare i propri diritti di difesa e, se necessario, regolarizzare nella maniera più conveniente.
1. Reperire e leggere attentamente la comunicazione
Sembra banale, ma il primo passo è assicurarsi di aver preso visione della lettera e di tutti i suoi allegati. Come visto, la notifica può avvenire in vari modi:
- PEC (Posta Elettronica Certificata): per imprese, professionisti e talvolta anche privati che abbiano un domicilio digitale attivo. Controllate regolarmente la casella PEC (e la spam della PEC, non di rado comunicazioni automatiche finiscono lì). L’oggetto della PEC di solito indica “Compliance” e l’anno di imposta interessato (es. “Anomalia Quadro RW – invito compliance”). Nel corpo trovate un testo standard e spesso un PDF allegato.
- Cassetto Fiscale: per le persone fisiche è prassi comune. Accedendo all’area riservata sul sito AE, sezione “L’Agenzia ti scrive”, potrete vedere le comunicazioni ricevute. È utile farlo periodicamente, specie se siete a conoscenza di situazioni potenzialmente anomale. Tali documenti sono scaricabili in PDF.
- Posta cartacea: l’Agenzia oggi privilegia i canali telematici, ma in alcuni casi residuali (privati senza PEC né credenziali SPID/CIE per il cassetto) può inviare una raccomandata A/R contenente la lettera. Prestate attenzione quindi ad eventuali comunicazioni postali dall’Agenzia.
Una volta ottenuta la comunicazione, leggetela con calma e integralmente. Verificate innanzitutto chi è il mittente (deve essere Agenzia Entrate, spesso Direzione Centrale Accertamento o la DP competente) e che si tratti effettivamente di una lettera di compliance e non di qualcos’altro (ad es. non confondetela con le comunicazioni ex 36-bis, che hanno tutt’altra forma e già indicano importi da versare).
All’interno della lettera troverete: la descrizione dell’anomalia individuata; il periodo d’imposta cui si riferisce; eventuali dettagli (in allegato o scaricabili dal cassetto fiscale) con l’elenco delle voci/incongruenze riscontrate; le istruzioni per interagire con l’Agenzia e per regolarizzare (es. indicazione di usare il ravvedimento operoso, link a calcolatori sanzioni, modelli di risposta via Civis); i contatti utili (numero del contact center, orari, indirizzi PEC degli uffici). È molto importante controllare anche se la lettera menziona espressamente una precedente regolarizzazione: spesso dice frasi come “se ha già inviato dichiarazione integrativa, comunichi gli estremi” oppure “in tal caso può ignorare la presente”. Questo perché può capitare di ricevere la lettera quando si è già provveduto spontaneamente: in tali casi, ovviamente, non occorre ravvedersi di nuovo per la stessa cosa, ma sarà opportuno informare l’Agenzia che l’adempimento è stato effettuato (vedi punto 3 più avanti).
Verificare l’autenticità: considerate che purtroppo circolano anche tentativi di phishing che imitano comunicazioni del Fisco. Una lettera di compliance autentica non chiede mai di cliccare link sospetti né tantomeno di fornire credenziali bancarie. Arriva da canali ufficiali (PEC dell’Agenzia, o indirizzi postali noti) e contiene sempre un numero di protocollo e un codice atto in alto. Se avete dubbi, contattate l’ufficio chiamando i numeri forniti (che devono corrispondere a quelli istituzionali, es. 06-96668907 per il CAM multicanale). In ogni caso non ignorate la comunicazione: se è autentica e la trascurate, potrebbe avere conseguenze; se fosse un falso, segnalarlo all’Agenzia aiuta a combattere le truffe.
2. Confrontare i dati segnalati con la propria situazione fiscale
Il passo successivo è passare dalla lettera ai fatti concreti: occorre confrontare quanto segnalato con i propri documenti e dichiarazioni:
- Recuperare la dichiarazione fiscale dell’anno in questione (modello Redditi, IVA, 770, ecc. a seconda del caso) e le relative ricevute di presentazione. Verificate cosa effettivamente avete dichiarato e cosa eventualmente potreste aver omesso. Spesso a distanza di 2-3 anni il contribuente nemmeno ricorda i dettagli: andate a rivedere i quadri citati (RW, RL, etc.) per capire se effettivamente mancano voci.
- Recuperare la documentazione pertinente all’anomalia: ad esempio, se si parla di conti esteri, radunate gli estratti conto esteri dell’anno indicato; se si tratta di redditi di lavoro, recuperate tutte le CU o certificazioni; se la questione è un affitto, controllate i contratti e i movimenti bancari degli affitti pagati; se l’anomalia è IVA, riestraete il registro vendite e l’elenco delle fatture emesse in quell’anno, ecc. Insomma, assicuratevi di avere un quadro completo.
- Confrontare i numeri: a volte l’Agenzia commette errori (dati non aggiornati, abbinamenti errati di codici fiscali, ecc.), quindi è bene verificare. Esempio: lettera vi contesta €10.000 di redditi esteri non dichiarati. Controllando i vostri conti, potreste accorgervi che quei €10.000 sono in realtà un mero trasferimento da un vostro conto italiano (già tassato) a quello estero, e non un reddito nuovo. Oppure una fattura considerata omessa è in realtà stata emessa con un altro codice fiscale (succede nelle fusioni o acquisizioni di aziende). Queste discrepanze dovrete poi comunicarle all’Agenzia (punto 3).
- Valutate anche se nel frattempo avete già regolarizzato: per esempio, se la lettera riguarda il 2020 e voi nel 2022 avevate già presentato una dichiarazione integrativa su quell’anno (magari dopo esservi accorti autonomamente dell’errore), allora la vostra posizione potrebbe essere già a posto. In tal caso preparate le prove (copia della dichiarazione integrativa inviata, F24 pagati) per mostrarle all’Agenzia se richiesto.
Alla fine di questa analisi potrete classificare la situazione in una delle tre macro-categorie: (a) la lettera ha ragione – c’è effettivamente un errore/omissione da sanare; (b) la lettera è in tutto o in parte infondata – i dati del Fisco non tengono conto di qualcosa o sono errati; (c) combinazione delle due – ad esempio, una parte di redditi è effettivamente omessa, un’altra invece risulta già dichiarata altrove o esente. A seconda di quale scenario si presenta, andrete al passo successivo con l’approccio adatto.
3. Interagire con l’Agenzia: chiarimenti o segnalazioni
Se dal confronto emerge che non sussiste l’anomalia contestata, o che comunque avete elementi a discolpa, è fondamentale comunicarlo all’Agenzia tempestivamente. Le lettere di compliance offrono diversi canali per fornire chiarimenti, giustificazioni o correzioni di dati:
- Portale CIVIS: è il canale telematico di assistenza per comunicazioni di irregolarità e avvisi bonari. Per le lettere di compliance è spesso utilizzabile per inviare documentazione e note di chiarimento. Ad esempio, potete caricare attraverso CIVIS i documenti che provano la vostra tesi (contratti, certificazioni, documenti esteri) allegandoli alla comunicazione specifica ricevuta. Il vantaggio è che resta una traccia formale e l’ufficio risponderà sempre via CIVIS/PEC.
- E-mail/PEC all’ufficio: talvolta la lettera indica un indirizzo mail o PEC della Direzione Provinciale o ufficio territorialmente competente, a cui inviare eventuali elementi. In mancanza di indicazioni, potete sempre mandare una PEC all’indirizzo PEC istituzionale dell’ufficio (formato tipo: dp.[provincia].utf@pec.agenziaentrate.it) riferendo il codice atto e allegando i chiarimenti.
- Telefono (Centro Assistenza Multicanale): per le persone fisiche, la lettera fornisce numeri dedicati (es. 06.96668907 da cellulare) con opzione del menu dedicata alle comunicazioni di compliance. Operatori specializzati rispondono dal lun al ven 9-17. Attraverso il CAM si possono ottenere spiegazioni sui dati contestati e talvolta, per casi semplici, risolvere verbalmente il malinteso (es. “Abbiamo due CU, manca quella di… – Ok la invii via mail a…”). Ovviamente, complessità elevate richiederanno comunque scambio documentale.
- Appuntamento in ufficio: se preferite il contatto diretto o la questione è intricata, potete fissare un appuntamento presso la Direzione Provinciale competente (indicata sulla lettera) selezionando il motivo “comunicazione compliance” sul sito AE o via call center. In sede di appuntamento, portate con voi tutti i documenti giustificativi. Un funzionario esaminerà il caso e darà atto delle vostre spiegazioni.
In ogni comunicazione con l’ufficio, indicate sempre: il riferimento della lettera (numero comunicazione, codice atto, periodo d’imposta) e il vostro codice fiscale/partita IVA, per consentire l’aggancio al volo della pratica.
Ecco alcuni esempi di giustificazioni possibili e come presentarle:
- Esempio 1: Lettera segnala redditi di lavoro dipendente non dichiarati, ma voi avevate già presentato dichiarazione integrativa. -> Risposta: inviate copia della ricevuta telematica della dichiarazione integrativa e dell’F24 pagato. Scrivete che l’integrazione era già stata effettuata in data XYZ, dunque la posizione è regolare. Chiedete conferma all’ufficio che non servirà altro. (Spesso l’Agenzia in questi casi ringrazia e chiude lì).
- Esempio 2: Lettera su conti esteri non dichiarati, ma i conti erano cointestati con un parente che ha già dichiarato tutto. -> Risposta: spiegate che i conti indicati (fornite estremi) erano cointestati e già inclusi nel quadro RW dell’altro cointestatario (fornite CF e nome). Allegate magari l’estratto della dichiarazione dell’altro soggetto. In tal caso, potreste convincere l’ufficio che non serve duplicare la dichiarazione (anche se tecnicamente l’obbligo formale di monitoraggio sarebbe su ciascun intestatario, ma in pratica talvolta chiudono un occhio se l’altro ha dichiarato).
- Esempio 3: Lettera su fatture attive non dichiarate, ma in realtà quelle “mancanti” erano con IVA non imponibile (esportazioni) che avete erroneamente omesso di indicare ma su cui non c’era imposta. -> Risposta: spiegate che avete emesso fatture per un ammontare maggiore ma molte erano operazioni non imponibili ex art. 8 DPR 633/72, erroneamente non riportate in dichiarazione sebbene registrate. Allegate copia del registro IVA vendite e di alcune fatture di esportazione come prova. Chiedete se è necessaria un’integrativa formale o se faranno rilievo. (Possibile che comunque vi consiglino di fare integrativa per sistemare formalmente).
- Esempio 4: Lettera su aiuti di Stato non registrati, ad esempio uso di codice “999” per un credito d’imposta. -> Risposta: anticipate che provvederete a presentare dichiarazione integrativa correggendo il codice dell’aiuto. Se conoscete già il codice giusto, potete menzionarlo, altrimenti chiedete conferma di quale codice utilizzare. Spesso queste lettere sono molto schematiche, quindi l’ufficio magari non risponderà con un romanzo, ma prenderà nota che siete collaborativi.
Tutto ciò va fatto in tempi rapidi. La lettera in genere non fissa un termine perentorio, ma invita a “fornire chiarimenti o regolarizzare quanto prima”. È buona norma contattare l’Agenzia entro 30 giorni dalla ricezione (o comunque prima possibile) per segnalare la propria posizione. Questo può talvolta sospendere o ritardare l’eventuale avvio di un accertamento, in attesa delle vostre spiegazioni. Se lasciate passare troppi mesi senza alcun riscontro, aumentate le probabilità che l’ufficio proceda unilateralmente.
Ricordate inoltre che, come da Statuto del Contribuente (L. 212/2000), avete diritto di ottenere copia dei documenti su cui si basa l’analisi del Fisco. Dunque, se vi manca qualche tassello (es: non riuscite a capire da quale paese provenga una certa segnalazione estera), potete formalmente richiedere accesso agli atti o comunque sollecitare via PEC che vi vengano forniti i dettagli. In pratica però, la strada più veloce è accedere al cassetto fiscale: lì di norma trovate già il necessario.
4. Se l’anomalia è confermata: regolarizzare con ravvedimento operoso
Nel caso in cui dalla vostra analisi risulti che l’errore c’è e va sanato, oppure dopo aver interloquito con l’Agenzia vi viene confermato che la strada è correggere, bisogna procedere alla regolarizzazione spontanea. Il mezzo ordinario è il ravvedimento operoso disciplinato dall’art. 13 D.Lgs. 472/1997, che consiste (in sintesi) nel versare le maggiori imposte dovute, gli interessi moratori e le sanzioni in misura ridotta, presentando se necessario una dichiarazione integrativa.
Dichiarazione integrativa: È generalmente necessaria se l’errore riguarda dati omessi o errati nella dichiarazione originaria. Dovrete utilizzare il modello Redditi (o IVA, IRAP, ecc.) relativo all’anno in questione, barrare la casella “Dichiarazione Integrativa” e indicare i nuovi dati corretti. Nell’integrativa andranno riportati tutti i dati completi della dichiarazione (non solo le parti variate) – in pratica è una dichiarazione “sostitutiva” dei soli quadri interessati, perciò conviene ripartire dalla dichiarazione originale e aggiungere/modificare il necessario. Esempio: se nel Modello Redditi PF 2022 vi era sfuggito di inserire €5.000 di reddito da locazione, predisporrete ora un Modello Redditi PF 2022 integrativo in cui il quadro RB (fabbricati) contiene anche quell’immobile locato e il relativo canone. Analogamente, se è da compilare il Quadro RW, lo inserirete con i valori dell’attività estera non dichiarata.
Tip: Molti commercialisti e CAF consigliano di scaricare dal cassetto fiscale la dichiarazione precompilata dell’anno interessato (se disponibile) per usarla come base ed evitare di introdurre nuovi errori. Dato l’arco temporale, è probabile che dobbiate compilare il modello “a mano” sui software disponibili (l’Agenzia rende scaricabili i moduli di Unico degli anni precedenti).
Calcolo di imposte, interessi e sanzioni: Una volta determinata la nuova base imponibile e ricalcolate le imposte dovute per l’anno, occorre quantificare:
- la maggior imposta dovuta (differenza tra quanto originariamente versato e quanto risulta dovuto con i nuovi redditi). Ad es., se con i €5.000 di affitto in più dovete €1.140 di IRPEF aggiuntiva, quella è la maggior imposta.
- gli interessi legali calcolati giorno per giorno sull’imposta non versata, dal giorno in cui avreste dovuto pagarla originariamente (di solito il 30 giugno dell’anno successivo alla dichiarazione) fino al giorno in cui effettivamente la pagherete ora. Il tasso legale è variato negli anni (ad es. 0.01% nel 2020, 1.25% nel 2022, 5% nel 2023, 5% nel 2024, 4% dal 1/1/2025). Il calcolo può essere fatto manualmente o usando l’applicativo gratuito messo a disposizione dall’Agenzia proprio nella sezione “Compliance per i cittadini”.
- la sanzione in misura ridotta: qui occorre capire la sanzione base applicabile e la riduzione per ravvedimento. Nel caso di dichiarazione infedele (omesso reddito) la sanzione ordinaria è dal 90% al 180% della maggiore imposta (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/97). Per redditi esteri c’è un aggravio di 1/3 su tali aliquote, portando il minimo al 120% dell’imposta. Nel caso di omessa dichiarazione (dichiarazione proprio non presentata) la sanzione sale al 120% – 240% dell’imposta, minimo €250. Per omesso quadro RW la sanzione è fissa tra 3% e 15% dell’importo non dichiarato (raddoppiata a 6%-30% se attività in paradisi fiscali). Queste sanzioni possono sembrare altissime, ma in sede di ravvedimento si riducono drasticamente. Grazie alle modifiche normative del 2015, oggi il ravvedimento è consentito anche oltre un anno dal fatto, finché non c’è notifica di accertamento. In particolare, se si ravvede oltre i 2 anni dall’omissione (come spesso accade quando la lettera arriva a distanza di 2-3 anni dal periodo), la riduzione è a 1/6 della sanzione minima (art. 13, c.1, lett. b-ter, D.Lgs. 472/97). Se invece siamo entro l’anno successivo, sarebbe 1/8 o 1/7 a seconda dei casi, ma raramente le lettere arrivano così presto. Dunque tipicamente si applica 1/6 del minimo edittale. Esempio pratico: reddito di fonte estera non dichiarato, imposta evasa €1.000, sanzione base 120% (perché estero) = €1.200. Ridotta a 1/6 = €200. Quindi pagherete €200 di sanzione invece che €1.200 (pari al 20% dell’imposta, come confermato da formule pratiche). Se il reddito estero proveniva da un paese black list (sanzione base raddoppiata al 180% minimo), la sanzione ridotta 1/6 sarebbe €300 (cioè 30% dell’imposta). – Nel caso di quadro RW omesso: se attività €50.000 in Francia (white list), sanzione base 3% = €1.500, ravvedimento 1/6 = €250. Infatti il tassettario Tasse Trading ci conferma: su €50.000 non dichiarati, sanzione ravveduta = €250. – Questi calcoli servono per capire l’ordine di grandezza: il ravvedimento conviene enormemente rispetto alle sanzioni piene che paghereste se vi accertano dopo.
Per facilitare i calcoli, l’Agenzia stessa ha predisposto un tool online “Calcolo sanzioni e interessi” accessibile nell’area compliance, che consente inserendo l’imposta evasa e la data di pagamento di ottenere importo sanzione e interessi. In alternativa, esistono fogli Excel dedicati o ci si può affidare al proprio consulente.
Compilazione degli F24: Una volta determinati gli importi da versare, occorre compilare i modelli F24 con i relativi codici tributo. La lettera di compliance fornisce indicazioni precise: ad esempio, va riportato nell’F24 il “codice atto” indicato nella comunicazione, per collegare il pagamento a quella specifica iniziativa. I versamenti si possono fare in un unico F24 o separati (imposte, sanzioni, interessi), ma è essenziale rispettare la suddivisione per anno e tributo. Alcuni codici tributo utili:
- per IRPEF integrativa si usa il medesimo codice dell’acconto/saldo IRPEF (ad es. 4001 per saldo) indicando anno di competenza;
- per IVA integrativa c’è un codice ad hoc (penali a parte);
- per le sanzioni da ravvedimento su infedele dichiarazione si usa il codice 8901 (per imposte dirette), 8904 (IVA), 1998 (IVAFE), 1999 (IVIE) ecc., a seconda del tributo;
- per gli interessi da ravvedimento c’è il codice 1989 (interessi sul ravvedimento imposte dirette) o 1990 (IVA), ecc.
La sezione “Erario” dell’F24 andrà compilata con questi codici, l’anno di riferimento (es. 2021) e l’importo. È cruciale non dimenticare nulla: se per ipotesi pagate l’imposta e la sanzione ma dimenticate gli interessi, il ravvedimento non è completo e potreste avere problemi. Tutto deve essere versato contestualmente (o in breve lasso di tempo) affinché la regolarizzazione sia perfezionata.
Un punto importante: rateazione del ravvedimento. La legge non prevede formalmente di rateizzare le somme dovute a titolo di ravvedimento – diversamente dalle cartelle esattoriali, non c’è un piano di dilazione “automatico”. Il contribuente deve tendenzialmente versare il dovuto in un’unica soluzione per beneficiare della riduzione. Nulla vieta, tuttavia, di effettuare più ravvedimenti parziali: ad esempio, se avete omesso due redditi, potreste regolarizzarne uno ora e l’altro il mese prossimo, con relativo calcolo separato di sanzioni/interessi (che saranno leggermente maggiori sul secondo perché più tardivi). Questo è possibile perché il ravvedimento operoso è per definizione “spontaneo” e potete anche decidere di integrare parzialmente (anche se, ovviamente, il Fisco si aspetta che regolarizziate tutto l’emerso). Se non riuscite a pagare l’intero importo, può avere senso contattare l’ufficio: in alcuni casi, se vedono buona volontà (pagamento parziale già fatto) e difficoltà economica, possono attendere qualche mese prima di procedere, dandovi il tempo di completare. Ma non è garantito: formalmente, dopo l’invito, se non completate la regolarizzazione l’accertamento potrebbe comunque scattare. Valutate dunque anche opzioni come finanziamenti o prestiti per coprire il debito fiscale ridotto: meglio un piccolo prestito ora per chiudere, che trovarsi il doppio o triplo da pagare poi.
Presentazione dell’integrativa e conservazione delle ricevute: Dopo aver pagato, presentate telematicamente la dichiarazione integrativa (tramite Entratel/Fisconline o tramite il vostro intermediario abilitato). Conservate la ricevuta telematica che ne attesta l’avvenuta acquisizione. A questo punto, formalmente avete adempiuto: avete presentato la dichiarazione corretta e versato il dovuto.
Comunicare all’Agenzia l’avvenuta regolarizzazione: Non è strettamente obbligatorio, ma è consigliabile. Potete inviare una PEC all’ufficio o utilizzare il CIVIS per comunicare che “in data XYZ è stata presentata integrativa e pagate imposte/sanzioni come da copia allegati”. In tal modo vi assicurate che la vostra pratica di compliance venga archiviata. In mancanza, può succedere che i sistemi non incrocino immediatamente i pagamenti e l’ufficio, non vedendo riscontri, continui il suo iter. Invece, se ricevono la vostra comunicazione con i documenti, segnaleranno internamente di non procedere ad accertamento perché il contribuente ha ottemperato.
5. Verifiche post-regolarizzazione
Dopo aver fatto tutto quanto sopra, il 99% dei casi si chiude qui positivamente: avrete sanato l’irregolarità e non subirete ulteriori conseguenze. L’ufficio potrebbe anche inviarvi una lettera di riscontro (non sempre accade) per confermare che hanno ricevuto la vostra documentazione e preso atto del ravvedimento. Spesso però vige il silenzio-assenso: se non vi fanno sapere nulla e non arrivano avvisi successivi, significa che è tutto ok.
Tuttavia, è bene sapere che l’Agenzia si riserva il diritto di controllare la completezza del ravvedimento effettuato. Soprattutto in materia di redditi esteri, permane per qualche anno la possibilità che emergano nuovi dati. Ad esempio, tornando al caso dei conti esteri: avete dichiarato e tassato un certo ammontare di redditi basandovi sui dati in vostro possesso. Se la vostra integrativa includeva, poniamo, 10.000 € di interessi da un conto, e successivamente l’amministrazione estera trasmette ulteriori informazioni su quel conto (magari c’erano altri proventi non indicati), l’Agenzia potrebbe avviare un controllo. Ma attenzione: se voi avete dichiarato tutto ciò che sapevate e avete rispettato la comunicazione, eventuali differenze potrebbero dipendere da misunderstanding. In genere, se il ravvedimento è stato ben fatto e documentato, l’ufficio non procederà con sanzioni piene, bensì potrebbe sollecitare un’ulteriore integrazione. Invece, se un contribuente ha fatto un ravvedimento “parziale” in malafede (dichiarando meno di quanto sapeva di aver guadagnato, magari per risparmiare), rischia comunque un accertamento per la parte non ravveduta.
Un caso particolare è quello delle presunzioni legali in materia di estero: ad esempio, l’art. 12 co.2 DL 78/2009 prevede che le attività non dichiarate in paesi black list si presumano costituite con redditi sottratti a tassazione, salvo prova contraria. Ciò significa che, se avete capitali in paradisi fiscali non dichiarati, l’Agenzia potrebbe presumere che siano fondi evasi negli anni precedenti e tassarveli. Nella tabella sanzioni sopra (Tabella 1 e la tabella riportata nella fonte scapuzzi-rusciano) si vede infatti che in caso di paradisi fiscali le sanzioni su redditi presunti sono enormi (180%–360% imposta). Il ravvedimento spontaneo è l’unico modo per evitare questo scenario: dichiarando ora voi quei capitali come redditi pregresse (se non potete documentarne l’origine lecita), scongiurate la presunzione. Anche dopo aver ravveduto, l’ufficio, come misura prudenziale, potrebbe chiedervi evidenze sull’origine di quei fondi (es. atti di donazione, risparmi dichiarati negli anni passati, ecc.). Questo rientra nei controlli possibili “dopo” la compliance, ma ripetiamo: chi agisce in buona fede e fornisce elementi veritieri non ha nulla da temere nel lungo periodo.
In sintesi, dopo aver risposto alla lettera di compliance – sia con chiarimenti che con ravvedimento – monitorate ancora la situazione per qualche tempo: accertatevi che nel cassetto fiscale risulti la vostra integrativa acquisita e i pagamenti registrati a vostro favore. Se successivamente dovesse comunque arrivare un avviso formale (può capitare per disguidi), potrete far valere il ravvedimento come causa di annullamento dell’atto (l’accertamento sarebbe “inibito” dall’avvenuto pagamento del dovuto, salvo differenze residuali). Dunque, conservate con cura tutta la documentazione.
6. In caso di inerzia: cosa succede se si ignora la lettera
È importante comprendere le conseguenze della mancata adesione all’invito di compliance. Se il contribuente non risponde e non regolarizza, l’Agenzia delle Entrate presumibilmente procederà con gli strumenti ordinari di accertamento. In particolare:
- Per le omissioni su dichiarazioni presentate (es. redditi parzialmente dichiarati): l’ufficio può emettere un avviso di accertamento per redditi non dichiarati. Questo è un atto impositivo formale che quantifica le maggiori imposte dovute, applica le sanzioni piene (di norma il 90% o più, aumentato in caso di estero) e gli interessi. Ad esempio, se ignorate la lettera che vi segnalava €10.000 di redditi non dichiarati e relative imposte €2.500, potreste ricevere un accertamento con imposta €2.500, sanzione 90% = €2.250 (eventualmente aumentata a 120% se estero = €3.000, o raddoppiata se paradiso fiscale), più interessi e magari accessori (addebitano spese di notifica, ecc.). La sanzione, come si vede, sarebbe molto più alta di quella che avreste pagato con ravvedimento (es. 90% vs 15%). Inoltre l’accertamento potrebbe escludere attenuanti: se era un errore formale, ormai è tardi per invocarlo. Da segnalare che in alcuni casi l’Agenzia, come forma “ibrida”, potrebbe prima inviarvi un invito al contraddittorio (specie per imposte sui redditi) o farvi recapitare un PVC (processo verbale di constatazione) dalla Guardia di Finanza. Questi eventi interrompono la possibilità di ravvedimento e preludono all’accertamento. Insomma, il dossier passa dal canale soft a quello hard.
- Per le dichiarazioni omesse: se ad es. non avete mai presentato la dichiarazione e ignorate il sollecito bonario, l’Agenzia procederà con un accertamento d’ufficio basato sugli elementi a disposizione. Significa che costruiranno loro la dichiarazione mancante, presumendo i ricavi o redditi sulla base di indizi, spesso con metodo induttivo e applicando sanzioni dal 120% al 240%. L’accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione è uno degli atti più onerosi: niente abbattimento forfettario costi (nel caso di impresa), sanzioni altissime, e spesso anche la segnalazione per reato tributario se l’imposta evasa supera le soglie penali. Tutto ciò può essere evitato presentando la dichiarazione tardiva su invito: ecco perché è essenziale non aspettare.
- Per IVA non versata o infedele: l’inerzia di fronte a incongruenze IVA può portare o a un accertamento IVA (con sanzione anch’essa del 90% dell’imposta, oltre eventuale applicazione di sanzioni accessorie come l’esclusione da rimborsi per 2 anni se importi elevati), oppure – se trattasi di controllo automatizzato ex art. 54-bis DPR 633 – all’iscrizione a ruolo diretta. In alcuni casi, ad esempio per i controlli da liquidazioni periodiche (36-bis), l’Agenzia può emettere una comunicazione di irregolarità (“avviso bonario”) senza passare per l’accertamento. Facciamo distinzione: se la lettera di compliance segnalava un’omissione, ignorandola potreste ricevere un avviso bonario vero e proprio con un importo e 30 giorni per pagare con sanzione ridotta al 10%. Se ignorate anche quello, scatta la cartella con sanzione 30%. Invece, se la lettera era già relativa a un controllo formale, ignorandola possono anche saltare direttamente alla cartella.
- Per Quadro RW non compilato: se non ravvedete, l’Agenzia potrebbe elevare la sanzione amministrativa prevista (3-15% o 6-30% dell’importo, per ciascun anno) con un atto di contestazione. Oppure, più spesso, vi farà un accertamento sul redditometro estero come dicevamo: presumerà che quei capitali siano redditi sottratti e vi contesterà un reddito imponibile fittizio con sanzione 180% su imposta. Sono scenari molto pericolosi.
Insomma, ignorare la lettera è altamente sconsigliabile. In alcuni articoli divulgativi, si parla di “non c’è obbligo di rispondere, potete anche non far nulla”. È vero solo sul piano formale: la lettera non è un atto imperativo, quindi potete cestinarla senza commettere un illecito immediato. Ma ciò “può indurre l’AdE ad attivare controlli” più incisivi. La stessa Agenzia nelle sue comunicazioni talora lo sottolinea: se non fai nulla “procederemo secondo le ordinarie attività di controllo”. Dal punto di vista del debitor-contribuente, non rispondere significa perdere l’opportunità di pagare molto meno. Anche un’eventuale definizione agevolata successiva (pace fiscale) difficilmente sarà più vantaggiosa: ad esempio, la rottamazione delle cartelle in vigore nel 2023-2024 abbatte sanzioni e interessi di mora, ma non abbatte le sanzioni amministrative “interne” incluse nel ruolo. Nel caso di avviso bonario non pagato, ad esempio, in cartella vi ritrovate imposta + sanzione 30% + interessi: la rottamazione vi toglierebbe gli interessi di mora e le eventuali maggiorazioni, ma il 30% di sanzione resterebbe da pagare. Con la compliance avreste pagato il 15% o meno. Senza contare che la rottamazione (quando c’è) arriva anni dopo e non è garantita.
Un altro aspetto: ignorando l’invito, perdete definitivamente la chance del ravvedimento operoso. La legge infatti vieta il ravvedimento dopo che vi sia stata notifica di atti di liquidazione, accertamento o invio di comunicazioni ex 36-bis/54-bis. Quindi se fate passare il treno della compliance e arriva un avviso bonario, a quel punto niente più riduzione a 1/6: quell’avviso bonario al massimo vi offre 1/3 di sanzione (nel 36-bis paghi 10% invece di 30% se paghi entro 30gg). Se arriva accertamento, ravvedimento del tutto precluso (potrete al limite ottenere sanzione ridotta di 1/3 in adesione o acquiescenza, cioè 60% invece di 90%). In sintesi: la convenienza economica a ravvedersi subito è enorme.
Dal punto di vista procedurale, dopo aver ignorato la lettera, cosa succede temporalmente? L’Agenzia normalmente attende un certo periodo, variabile a seconda del carico di lavoro, dopodiché inserisce quei nominativi nel piano di controlli. I tempi non sono uguali per tutti: alcuni potrebbero ricevere un accertamento entro pochi mesi, altri forse dopo 1-2 anni, a ridosso della decadenza. Non fate però troppo affidamento su un eventuale ritardo: specie per situazioni facilmente accertabili (es. redditi che emergono da fonti certe), oggi l’Agenzia è piuttosto celere. Quindi, se la lettera è di metà 2025 su redditi 2021, è facile che entro il 2026 spedisca l’avviso se non vi attivate.
Una volta notificato un avviso di accertamento, entrerete in un nuovo scenario: potrete ancora difendervi impugnandolo davanti al giudice tributario, oppure potrete tentare un accertamento con adesione (trattativa con l’ufficio) per ridurre sanzioni e ottenere pagamento rateale, oppure accettare l’atto con acquiescenza (pagando entro 60 giorni con riduzione delle sanzioni di 1/3). Approfondiremo nel paragrafo sul contenzioso. Ciò che qui preme è sottolineare che tutti questi percorsi alternativi sono più onerosi e stressanti rispetto alla semplice compliance: ad esempio, anche nell’ipotesi ottimistica di vincere un ricorso in Commissione Tributaria, avreste dovuto anticipare costi (tributo, avvocato, contributo unificato) e attendere anni. Conviene dunque ridurre il contendere a monte, a meno che siate convinti al 100% che il Fisco abbia sbagliato bersaglio.
Eccezione: se davvero ritenete che la pretesa sia totalmente infondata e piccola, potreste scegliere di non correggere e aspettare l’eventuale atto per poi impugnarlo. Ad esempio, lettera: “Secondo noi ha €500 di redditi non dichiarati”. Sapete che non è vero, rispondete spiegando e l’Agenzia non demorde. A quel punto potreste dire: “mi facciano l’atto e lo contesterò in giudizio”. Ci sta, ma sono casi rari, perché di solito se provate documentalmente l’inesattezza, l’ufficio evita di emettere atti insostenibili. Comunque, è un vostro diritto non pagare il “giusto per finirla” se siete convinti di aver ragione: in tal caso preparatevi appunto al ricorso.
Nota penale: c’è un ultimo tema: ignorare la compliance e non regolarizzare, se le somme evase superano certe soglie, potrebbe portare anche a conseguenze penali tributarie. Infatti, il ravvedimento operoso integrale estingue il reato (è una causa di non punibilità per i reati di omessa dichiarazione e infedele dichiarazione, purché avvenga prima che abbiate formale conoscenza di verifiche o procedimenti: una lettera di compliance non è una formale attività di verifica, quindi il ravvedimento successivo salva dal penale). Viceversa, se non fate nulla e vi accertano un’evasione sopra soglia (es. imposta evasa > €50.000 per infedele, > €50.000 per omessa, ecc.), scatterà la denuncia e il processo penale. Anche solo per questa ragione, una compliance andrebbe colta per riparare ed evitare guai ben più seri.
Riassumendo: non rispondere alla lettera di compliance è tecnicamente possibile, ma fortemente sconsigliato. Il Fisco dispone ormai di strumenti giuridici (accertamenti esecutivi, pignoramenti) che gli permettono di agire in tempi rapidi e con aggravio di costi per il debitore. La compliance è concepita come un’opportunità per voi: meglio sfruttarla.
Rapporto con Agenzia Entrate-Riscossione ed effetti sui carichi a ruolo
Un tema specifico richiesto è quello del rapporto con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), cioè l’ente preposto alla riscossione coattiva delle somme iscritte a ruolo (erede di Equitalia). In sintesi: come interagiscono le lettere di compliance con l’eventuale fase di riscossione? Cosa succede ai debiti che arrivano a cartella esattoriale se prima c’era stata o meno compliance?
È importante capire che la Agenzia Entrate-Riscossione entra in gioco solo quando esiste un ruolo da riscuotere, ossia dopo che l’Agenzia delle Entrate ha emesso un atto impositivo e il contribuente non ha pagato nei termini. Le lettere di compliance sono un passaggio pre-ruolo per eccellenza: se la compliance va a buon fine, non si arriverà mai al ruolo e quindi AER non avrà alcuna posizione da riscuotere. Dunque, uno degli scopi principali della compliance è proprio evitare ai contribuenti la fase di riscossione coattiva (con aggiunta di aggio, interessi di mora, ecc.).
Vediamo vari scenari:
- Compliance riuscita: Il contribuente regolarizza subito con ravvedimento. In tal caso, nessun importo viene iscritto a ruolo, punto. Pagando spontaneamente, il debito tributario è estinto, l’Agenzia Entrate non emette avvisi né ruoli, quindi AER non ha nulla da notificare. Fine della storia. (Se per assurdo dovesse arrivare una cartella per quell’anno, sarebbe un errore perché avete già pagato: andrebbe fatta istanza di sgravio in autotutela allegando le ricevute).
- Compliance ignorata -> avviso bonario 36-bis non pagato: In questo caso, l’Agenzia Entrate procede con il meccanismo dei controlli automatizzati. Esempio: nel controllo automatizzato la vostra dichiarazione evidenzia €X non versati, vi mandano un avviso bonario (che è una comunicazione di irregolarità ex art.36-bis). Se non pagate entro 30 giorni, scaduto tale termine l’importo è iscritto a ruolo e viene emessa la cartella di pagamento da parte di AER (senza ulteriore avviso). Questo meccanismo è parallelo alle lettere di compliance: a volte può accadere che per lo stesso anno riceviate prima una lettera di compliance su certi aspetti e poi un avviso bonario su altri (es. non avete pagato una liquidazione IVA trimestrale). Sono procedimenti distinti. In ogni caso, una volta che la cartella è emessa, il rapporto è con AER per la riscossione: potrete chiedere rateizzazione della cartella (fino a 72 rate senza dover dare prova, o 120 rate se provate difficoltà gravi). Ma a quel punto il vantaggio delle sanzioni ridotte è perso (la cartella riporta già sanzione piena 30% per 36-bis, oppure l’importo accertato se da accertamento formale).
- Compliance ignorata -> avviso di accertamento esecutivo: Dal 2011 in poi la maggior parte degli avvisi di accertamento (per imposte dirette, IVA, IRAP) relativi ad anni recenti sono emessi in forma di atto esecutivo ai sensi dell’art. 29 DL 78/2010. Ciò significa che trascorsi 60 giorni dalla notifica, se non sono stati impugnati o pagati, essi valgono come titolo per la riscossione coattiva senza bisogno di cartella. In pratica, l’atto di accertamento stesso dopo 60 giorni viene affidato ad AER per la riscossione come se fosse una cartella. AER invia una comunicazione di presa in carico (cosiddetto “730-ter” se ricordo bene) per informare il contribuente che inizierà le procedure. Dunque, se ignorate la compliance e arrivate all’accertamento, dopo 2 mesi dalla notifica vi troverete direttamente di fronte all’Agenzia Riscossione. Le misure che AER può adottare includono: fermo amministrativo su autoveicoli, ipoteca su immobili di proprietà, pignoramenti su conti correnti o stipendio/pensione, ecc., secondo le regole ordinarie di legge (L. 602/1973 e succ. mod.). Tutto ciò ovviamente aggravato da interessi di mora (attualmente ~2% annuo calcolato semestralmente) e dal famigerato aggio di riscossione (che però in parte è stato alleggerito dalle ultime norme, essendo l’AER ente pubblico).
- Compliance ignorata -> cartella su accertamento omesso: In alcuni casi particolari, se l’accertamento non è esecutivo (ad esempio tributi locali, vecchi ruoli, o situazioni pregresse), potrebbe ancora arrivare la classica cartella esattoriale. Ma il succo è lo stesso: una volta a cartella, siete in mano ad AER.
A questo punto, guardando le cose dal punto di vista del debitore: la fase di riscossione coattiva è quella in cui avete meno margine di manovra, se non sul piano dilatorio (rate, sospensioni, rottamazioni). Non si discute più la fondatezza del tributo (quella va discussa in sede di accertamento, con ricorso etc.), si può solo gestire il pagamento. Pertanto, evitare di giungere a questo stadio è cruciale.
Ciò detto, se già vi trovate con un debito iscritto a ruolo conseguente magari a un accertamento nato dopo una compliance ignorata, dovete sapere che:
- Potete chiedere ad AER una rateazione ordinaria: fino a €120.000 di debito è concessa in automatico fino a 72 rate mensili (6 anni); oltre tale importo serve documentare la temporanea difficoltà e si può arrivare a 120 rate (10 anni). Rateizzare vi mette al riparo da azioni esecutive finché pagate con regolarità.
- Potete valutare se rientrate in qualche definizione agevolata (ad esempio, la Rottamazione-quater prevista dalla L. 197/2022 per i ruoli 2000-2017, o eventuali future rottamazioni per ruoli più recenti che potrebbero essere varate). Queste misure permettono di pagare i debiti con forte sconto su sanzioni e interessi di mora. Ma attenzione: spesso riguardano ruoli fino a certe annualità (ad esempio, la quater si ferma ai ruoli consegnati entro giugno 2022). Se il vostro accertamento è del 2025, finirà a ruolo nel 2026, quindi ben fuori portata delle sanatorie attuali. Insomma, confidare in futuri condoni è sempre un azzardo.
- Una volta in mano ad AER, ogni comunicazione va fatta a loro per questioni di importi/rate, mentre per questioni di contenzioso rimane parte in causa l’Agenzia delle Entrate (in commissione tributaria, l’ente impositore è AE, non AER). In altre parole, se avete fatto ricorso contro l’accertamento e pende giudizio, potete chiedere ad AER una sospensione della riscossione presentando copia del ricorso e dell’istanza di sospensione. AER generalmente rispetta le sospensive concesse dal giudice o quelle ex lege in caso di ricorso tempestivo (il famoso 1/3 da non riscuotere finché c’è la pronuncia di primo grado, per gli accertamenti impugnati).
Lettera di compliance e “collegamento” con AER: Di per sé la lettera di compliance non compare nei sistemi di AER. Non è un atto e non ha importi esigibili, quindi AER non ne sa nulla. Soltanto se la compliance fallisce e si passa a ruoli, allora AER riceverà il carico. Va però detto che l’Agenzia delle Entrate e l’AER (che pur è ente separato) coordinano le loro attività: ad esempio, l’invio di 3 milioni di lettere di compliance nel 2025 è parallelo ad un lavoro di AER sui crediti già a ruolo. Si mira a massimizzare il gettito: Fisco entrate recupera prima possibile, AER con le rottamazioni e i piani di rientro gestisce il pregresso. Dal punto di vista del contribuente, ciò significa che potreste trovarvi a gestire in parallelo: da un lato una lettera di compliance sul 2021 che vi invita a pagare con ravvedimento; dall’altro (se avete altre pendenze) cartelle da AER per anni passati. È fondamentale non confondere i due piani: la lettera sul 2021 non può essere “rateizzata con Equitalia”, perché non c’è cartella; se volete tempo, l’unico modo è accordarsi informalmente con AE (chiedendo più tempo) ma ufficialmente dovreste ravvedere in unica soluzione. Viceversa, le cartelle del passato potete rateizzarle, ma quella è un’altra storia.
Esempio integrativo finale: Tizio riceve nel 2025 una compliance per redditi non dichiarati 2021. Ignora. Nel 2026 riceve accertamento esecutivo: 20.000 € imposte + 18.000 € sanzioni + interessi. Non paga né ricorre. A inizio 2027 AER lo prende in carico e gli manda una intimazione a pagare in 30 gg. Tizio chiede rateazione in 72 rate da ~528€/mese. Paga faticosamente. Avrebbe potuto, con compliance nel 2025, pagare forse 20.000 + (20% sanzioni =) 4.000 + pochi interessi, totale diciamo 24.500 €, e fine. Invece ora ne paga ~38.000 in 6 anni più aggio. La differenza è netta.
Conclusione: il rapporto con AER è inversamente proporzionale alla buona gestione della compliance. Se sfruttate la compliance, AER resterà un estraneo per quel caso. Se la trascurate, AER arriverà e allora dovrete gestire la vostra posizione come debitore esattoriale, con tutte le tutele (rate, ecc.) ma anche con tutti i limiti del caso (poche chance di ridurre l’importo se non pagando). Dal punto di vista del debitore consapevole, è sempre meglio regolare prima che arrivi l’esattore.
Profili giuridici e giurisprudenza recente
In questa sezione analizziamo alcuni aspetti giuridici avanzati connessi alle lettere di compliance, incluse le questioni di impugnabilità e le ultime novità giurisprudenziali, seguendo le indicazioni di fornire un taglio “per avvocati”.
Impugnabilità delle comunicazioni e tutela giurisdizionale
Questione classica: la lettera di compliance è impugnabile davanti al giudice tributario? La risposta, secondo l’orientamento attuale, è no, perché tale comunicazione non contiene una pretesa tributaria definitiva né un atto impositivo tipizzato. È considerata un mero atto preparatorio o sollecitatorio, privo di effetto lesivo immediato. L’art. 19 D.Lgs. 546/1992 elenca tassativamente gli atti contro i quali si può ricorrere (avvisi di accertamento, cartelle, rifiuti di rimborso, ecc.), tra i quali non figura la comunicazione bonaria. Per anni, dottrina e giurisprudenza hanno sostenuto l’inammissibilità del ricorso avverso avvisi bonari o lettere di compliance, in quanto “inviti al contraddittorio” e non atti autoritativi.
Tuttavia, vi è stata un’evoluzione. Una importante pronuncia della Corte di Cassazione (Sez. V, ordinanza n. 3466 dell’11/02/2021) ha affermato che anche l’avviso bonario ex art. 36-bis DPR 600/73 può essere impugnato, in quanto porta a conoscenza del contribuente una pretesa compiuta (cioè un importo specifico di imposta e sanzioni) sebbene non sia atto dell’art.19. La Corte ha ritenuto di dover interpretare estensivamente l’elenco degli atti impugnabili, in ossequio ai principi costituzionali di tutela giurisdizionale effettiva (art. 24 Cost.) e capacità contributiva (art. 53), consentendo il ricorso contro qualsiasi atto dell’Amministrazione finanziaria che manifesti chiaramente una ben definita pretesa tributaria. In quel caso, riguardante una comunicazione di irregolarità per IRAP tardivamente versata, la Cassazione ha annullato le decisioni di CTP e CTR che avevano dichiarato inammissibile il ricorso della società, stabilendo che l’avviso bonario era ricorribile e rimettendo la causa al giudice di merito. Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale più ampio che già in passato aveva talvolta aperto alla ricorribilità degli atti “atipici” quando da essi derivino effetti sostanziali analoghi a quelli di un accertamento (si pensi agli estratti di ruolo impugnabili per contestare la notifica della cartella).
Cosa comporta ciò per le lettere di compliance? In linea teorica, la lettera di compliance classica non quantifica esattamente le imposte dovute, limitandosi a segnalare redditi omessi o anomalie e invitando a regolarizzare. Non c’è una “pretesa compiuta” come nell’avviso bonario (dove c’è un importo da versare). Quindi, anche alla luce dell’orientamento ampliativo della Cassazione, la lettera di compliance pura rimane un atto non ricorribile, perché manca l’“oggetto del contendere” concreto (non vi è ancora liquidazione di imposta né atto impositivo). Il contribuente che volesse impugnarla otterrebbe con ogni probabilità un provvedimento di inammissibilità, poiché non c’è lesione attuale.
Diverso è il discorso per le comunicazioni di irregolarità ex 36-bis o gli esiti di controlli formali ex 36-ter: quelle sono quantificazioni di tributo, e infatti la Cassazione con l’ordinanza 3466/2021 le considera impugnabili. Ma qui entriamo oltre il perimetro della compliance volontaria.
In sintesi: se ricevete una lettera di compliance, non potete (né conviene) fare direttamente ricorso in Commissione Tributaria contro di essa, perché non è un provvedimento impositivo. Dovete invece utilizzare i canali di interlocuzione e, se del caso, attendere l’eventuale atto formale successivo (avviso o cartella) per impugnarlo. Questa impostazione è confermata da numerose pronunce di merito e anche di Cassazione ante-2021, che definivano le comunicazioni bonarie come atti endoprocedimentali non impugnabili. La novità del 2021 sugli avvisi bonari riconosce però una tutela anticipata quando la pretesa è già determinata. Va detto che dopo l’ordinanza 3466/2021 altre pronunce di Cassazione ne hanno seguito l’indirizzo; alcune Commissioni Tributarie già prima ammettevano ricorsi contro avvisi bonari (c’era giurisprudenza di merito altalenante). Potrebbe capitare in futuro che un contribuente provi a impugnare una lettera di compliance sostenendo che di fatto conteneva una pretesa (es. “doveva dichiarare X redditi”) – ma sarebbe un’azione pionieristica e dall’esito incerto.
Il consiglio pratico: concentrate gli sforzi difensivi nella fase precontenziosa (rispondendo alla lettera) e, se ciò non risolve, preparatevi eventualmente a impugnare l’atto successivo (accertamento/cartella). Il ricorso preventivo contro la lettera risulterebbe un boomerang, perché verrebbe rigettato per inammissibilità facendovi magari perdere tempo e soldi, e l’Agenzia potrebbe nel frattempo emettere l’atto vero.
Va inoltre evidenziato che rispondere alla lettera di compliance non vi fa perdere il diritto al ricorso sull’eventuale atto impositivo successivo. Alcuni temono: “se ammetto l’errore e faccio ravvedimento, poi arriva comunque l’accertamento e io ho precluso la difesa”. In realtà, se fate ravvedimento completo, l’accertamento non dovrebbe proprio arrivare; se arrivasse erroneamente, avreste ottime ragioni per farlo annullare (in autotutela o dal giudice). Se invece non fate nulla e arriva l’accertamento, potrete impugnarlo normalmente entro 60 giorni. La lettera in sé non condiziona questo termine né pone obblighi vincolanti (non è come l’adesione agli inviti al contraddittorio, che implicano rinuncia al ricorso se definito). Quindi, nessun rischio di decadenza dei mezzi di tutela: potete rispondere in tranquillità.
Una notazione sulla notifica degli atti successivi: la lettera di compliance spesso indica un anagrafica e indirizzo. Assicuratevi che i vostri domicili fiscali e digitali siano aggiornati, perché se non reagite, l’accertamento verrà notificato all’indirizzo di residenza/domicilio fiscale risultante in Anagrafe Tributaria (o alla PEC risultante da registro imprese per le società). Eventuali cambi di indirizzo vanno sempre comunicati all’Agenzia (o via modello anagrafico). Molte contestazioni in giudizio riguardano notifiche a vecchi indirizzi – prevenire ciò è responsabilità del contribuente.
Termine per l’accertamento e effetto della lettera
Un altro profilo rilevante è se la lettera di compliance abbia qualche effetto sui termini di decadenza per l’accertamento. La regola generale è che l’Agenzia deve notificare eventuali avvisi di accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (o del settimo anno se dichiarazione omessa). Ad esempio, per il periodo d’imposta 2021 (dichiarazione presentata nel 2022), il termine ordinario è il 31/12/2026.
La domanda è: l’invio della lettera di compliance sospende o proroga questo termine? Formalmente, no. Non c’è una norma che attribuisca all’invio della comunicazione bonaria un effetto interruttivo o sospensivo dei termini di decadenza (contrariamente ad altri atti, come la notifica di PVC o l’adesione, che sospendono i termini per 60-90 giorni). La lettera di compliance è un atto fuori dal procedimento contenzioso, dunque i termini di decadenza restano quelli normali. È capitato in passato che il legislatore concedesse una breve proroga all’Amministrazione per emettere atti di accertamento in casi di compliance avviate a ridosso della decadenza (ad es. con la L. 208/2015, se non erro, per i 36-ter fu data possibilità di notificare entro il 31 dicembre successivo per coloro che avevano ricevuto comunicazioni nel mese di dicembre). Ma in linea di massima, la lettera non ferma il calendario. Perciò, se per assurdo l’Agenzia inviava la lettera il 30/11/2026 per redditi 2021, e voi non rispondevate, entro 31/12/2026 deve comunque arrivare l’accertamento (a meno di normative di proroga). Se arrivasse oltre quel termine, sarebbe nullo per decadenza, e il fatto che avevano inviato la lettera non li salva.
Dunque, dal punto di vista difensivo, non c’è un rischio di “allungamento” dei termini perché avete ricevuto la lettera. Anzi, come detto prima, l’invio tardivo di lettere su anni quasi decaduti è spesso solo formale: se il tempo è poco, è probabile che contestualmente o subito dopo parta l’accertamento.
Giurisprudenza su ravvedimento, errori scusabili e buonafede del contribuente
Un tema correlato è come i giudici valutano il comportamento del contribuente che ha aderito alla compliance. In genere, se un contribuente ravvede e poi riceve comunque un atto (magari per errore dell’ufficio), la giurisprudenza è favorevole al contribuente: viene riconosciuta l’efficacia liberatoria del ravvedimento. Cito, a titolo di esempio, una CTR Lombardia 2019 che annullò un accertamento perché il contribuente aveva già regolarizzato dopo un invito bonario, sottolineando il principio di collaborazione e buona fede (art. 10 Statuto del Contribuente).
Inoltre, c’è attenzione da parte dei giudici al principio di affidamento: se l’Agenzia con la lettera lascia intendere che pagando con ravvedimento non ci saranno conseguenze, poi non può smentirsi. Anche sul piano di eventuali sanzioni residue, la condotta collaborativa potrebbe essere valorizzata come circostanza attenuante per ridurre le sanzioni (quando non già definite dal ravvedimento).
Va menzionato infine che una parte della giurisprudenza tributaria considera le lettere di compliance come espressione concreta del dovere di collaborazione reciproca Fisco-contribuente e del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa. La Corte di Cassazione in più sentenze relative ad accertamenti ha sottolineato l’importanza del contraddittorio endoprocedimentale (specie in ambito tributario, vedi SU n.24823/2015). Ebbene, la compliance è una forma di contraddittorio anticipato e su base volontaria. Non c’è un obbligo generalizzato di invito prima dell’accertamento (tranne che in alcuni casi ex lege come l’art.5-ter D.Lgs.218/97 per alcuni redditi d’impresa), ma il fatto che l’Agenzia lo faccia spontaneamente è apprezzato anche in sede contenziosa. Ad esempio, se un contribuente ignora l’invito, difficilmente potrà lamentare in giudizio che “non gli è stato dato modo di spiegare”, perché quell’opportunità c’era e non l’ha colta.
Al contrario, se l’Agenzia non invia nessun invito e passa direttamente all’accertamento su materie complesse, talvolta i giudici considerano ciò un elemento a sfavore dell’Amministrazione (specie dopo la Direttiva UE 2017/1371 e il d.lgs. 128/2015 sul contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio in alcuni ambiti). Non c’è obbligo di invito per ogni accertamento, ma certo l’uso ampio delle compliance mette l’ufficio in buona luce in caso di contenzioso: “vede Giudice? Noi mandiamo 3 milioni di lettere per dialogare, se questo contribuente non ha risposto, abbiamo fatto bene a colpirlo”.
Un altro spunto giurisprudenziale recente riguarda la sostituzione di atti in autotutela peggiorativi (cosiddetta autotutela “in malam partem”). Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 30051 del 21/11/2024, hanno stabilito la legittimità per l’Amministrazione finanziaria di annullare un avviso di accertamento e sostituirlo con uno nuovo più sfavorevole (entro i termini decadenziali) qualora emergano errori o nuove circostanze. Questo non incide direttamente sulle compliance, ma indirettamente conferma il potere del Fisco di rivedere i propri atti, anche peggiorandoli, se ciò avviene in autotutela motivata e nei termini. Per il contribuente, significa che se dall’interlocuzione in sede di compliance emergesse che l’omissione era persino maggiore di quanto stimato inizialmente, l’Agenzia potrebbe – invece di fare un accertamento limitato – ampliarlo (chiaramente entro i termini e con atto motivato). In pratica, conviene sempre dichiarare tutto nel ravvedimento, perché se cercate di fare i “furbi” ravvedendo solo parzialmente, e l’ufficio se ne accorge magari già in sede di esame dei documenti, potrà emettere un accertamento per la parte non ravveduta e anche per eventuali ulteriori rilievi scovati. Le SU 30051/2024 precisano che ciò non lede il legittimo affidamento se fatto nei termini, quindi attenzione: la compliance non è un condono tombale, se emergono altre irregolarità l’Erario può agire.
Sintesi per il giurista
- Natura giuridica: la lettera di compliance è un atto amministrativo non provvedimentale, privo di effetti diretti. È un invito al contraddittorio volontario, espressione del principio di collaborazione ex art.10 L.212/2000.
- Non impugnabilità immediata: salvo orientamenti futuri diversi, ad oggi le comunicazioni bonarie senza quantificazione di tributo non sono atti impugnabili. La tutela giurisdizionale del contribuente si esplica con l’eventuale impugnazione del successivo avviso/cartella, nel cui ricorso potrà far valere anche eventuali vizi della fase precontenziosa (ad es. istruttoria carente, travisamento dei fatti nonostante i chiarimenti forniti, ecc., come motivi di ricorso).
- Effetti sul termine di decadenza: la lettera di compliance non interrompe né proroga i termini di accertamento. L’Agenzia deve comunque emettere l’atto impositivo nei termini di legge (salvo sospensioni dovute ad adesioni o altri istituti formali).
- Effetti sul reato tributario: la ricezione di una lettera di compliance non preclude il ravvedimento operoso ai fini penali. Il ravvedimento perfezionato prima dell’inizio di verifiche o accertamenti ufficiali estingue i reati di omessa o infedele dichiarazione (art. 13 D.Lgs. 74/2000). La lettera di compliance non equivale a un atto di accertamento né a un P.V.C.: dunque il contribuente che si ravvede a seguito di essa, sta effettuando un ravvedimento “attivo” ma comunque spontaneo e beneficerà della non punibilità penale. Invece, se ignora e scatta un atto formale, non potrà più invocare la causa di non punibilità.
- Cass. 3466/2021 e succ.: è uno spartiacque per considerare impugnabili gli avvisi bonari (atti “paracontenziosi”). Ma la lettera di compliance pura non rientra in quel concetto di “atto con pretesa compiuta”, quindi di base rimane non ricorribile. Sarà interessante vedere se in futuro la giurisprudenza estenderà la tutela anticipata anche a questi atti (ad es. se un contribuente ricorre contro una lettera contestando magari che così evita misure cautelari? Poco probabile successo, perché difficilmente un giudice accorderebbe sospensione su un atto che non richiede nulla).
- Onere della prova: se il contenzioso arriva, il fatto che abbiate o meno risposto alla compliance può incidere sul riparto probatorio. Ad esempio, in un processo su redditi esteri non dichiarati: se non avevate risposto alla lettera, in giudizio il Fisco potrà dire che vi era stata data chance di chiarire e non l’avete fatto, per cui l’accertamento si è basato legittimamente sulle info estere (e starà a voi provare eventualmente il contrario, es. che quei capitali erano esenti). Se invece avevate risposto fornendo documenti, tali documenti e spiegazioni costituiranno parte del fascicolo e possono aiutarvi a vincere, o magari hanno persuaso il Fisco a un atto parzialmente ridotto. Quindi, cooperare conviene anche in ottica di un eventuale successivo giudizio.
Concludendo il profilo giuridico: il debitore-contribuente deve vedere la lettera di compliance non come un’accusa formale, ma come un “fischio dell’arbitro” che segnala un potenziale fallo, dandogli l’opportunità di evitarne le conseguenze. Non è ancora il cartellino giallo (l’accertamento) né il rosso (il ruolo in riscossione); è quasi un richiamo verbale. Di quel richiamo non può appellarsi al VAR (il giudice) perché non è una decisione, ma può adeguare il gioco di conseguenza per evitare sanzioni peggiori. E se ritiene di essere in regola, può spiegare all’arbitro lì per lì perché la sua mossa era corretta (invia chiarimenti), forse convincendolo. Se ciò non avviene, la sanzione formale arriva e allora sì potrà contestarla in sede giudiziaria.
Domande frequenti (FAQ) su lettere di compliance
Di seguito una serie di domande comuni sul tema “lettere di compliance” con risposte concise, a mo’ di riepilogo pratico:
D: Ho ricevuto una lettera di compliance: sono obbligato per legge a rispondere o aderire?
R: Non vige un obbligo giuridico di risposta o adesione – la lettera non è una “contestazione” formale. Tuttavia, ignorarla è fortemente sconsigliato. Se non fate nulla, l’Agenzia potrà procedere con un accertamento vero e proprio, che invece comporterà obblighi e sanzioni ben più gravosi. In pratica, pur non essendo “obbligato” a rispondere, è nel vostro interesse valutare il da farsi e, se l’anomalia esiste, regolarizzare. La collaborazione è volontaria ma la mancata collaborazione ha conseguenze (vedi accertamento e riscossione coattiva).
D: Entro quanto tempo devo regolarizzare dopo aver ricevuto la lettera?
R: La comunicazione in genere non fissa un termine preciso (salvo a volte invitare a farlo “prima possibile” o citare la scadenza di eventuali istituti come il ravvedimento speciale se applicabile). Ragionevolmente, conviene attivarsi entro 30 giorni – 60 giorni al massimo – dalla ricezione. Ciò sia per dare buon segno all’ufficio, sia perché eventuali benefici (ad es. il ravvedimento speciale previsto per il 2023-24) possono avere proprie scadenze. In ogni caso, il ravvedimento operoso è possibile finché l’Agenzia non vi notifica un atto formale (accertamento o comunicazione irregolarità). Quindi, limite ultimo è l’arrivo di un atto ufficiale o la scadenza del periodo di accertamento. Ma aspettare è rischioso: l’atto potrebbe arrivare senza ulteriori solleciti trascorso un periodo relativamente breve.
D: Posso chiedere una proroga o fare la regolarizzazione a rate perché l’importo è alto?
R: Formalmente, no, non esiste una proroga “ufficiale” né la possibilità di rateizzare il ravvedimento operoso in sé (va effettuato con pagamento integrale). Tuttavia, potete contattare l’ufficio, esporre la situazione e chiedere se è possibile avere un po’ più di tempo. Spesso l’Agenzia è disponibile ad attendere qualche mese se vede che state predisponendo l’integrativa (specie per importi elevati che richiedono reperimento di liquidità). Non c’è però una procedura codificata: è un dialogo informale. Quanto alle rate, la normativa ravvedimento non le prevede; potete in teoria frazionare il ravvedimento presentando più integrative parziali, ma è complesso e può generare confusioni. Se proprio non riuscite a pagare tutto, una strategia potrebbe essere ravvedere almeno parte ora (riducendo l’eventuale debito residuo) e poi, per il residuo, attendere l’accertamento e a quel punto rateizzare con Agenzia Riscossione. Ma attenzione: così facendo, la parte non ravveduta subirà sanzioni piene. Valutate eventualmente di farvi assistere da un professionista per pianificare la cosa. In sintesi: meglio fare uno sforzo ed evitare di andare a ruolo, piuttosto che cercare rate a posteriori con costi maggiori.
D: La lettera indica un’anomalia ma io ho verificato e non c’è alcun errore. Devo comunque fare qualcosa?
R: Sì. In tal caso, dovete informare l’Agenzia che, a vostro avviso, i dati sono corretti, fornendo le dovute spiegazioni e prove. Non basta ignorare confidando che lascino perdere: l’Agenzia dispone di quelle informazioni “anomale” e se non ha un riscontro da voi, tenderà a fidarsi dei propri dati. Quindi, inviate una comunicazione (via PEC, CIVIS o appuntamento) spiegando perché ritenete che non vi sia violazione. Ad esempio: “La CU mancante in realtà non c’era perché ero residente all’estero in quell’anno, come da Aire”, allegando documenti. Chiedete conferma di ricezione. Se l’ufficio accetta le vostre spiegazioni, archivierà la pratica. Se invece non le ritiene sufficienti, potrebbe procedere comunque ad accertamento: in sede di eventuale ricorso, la vostra posizione sarà però più forte perché avete già sollevato le vostre ragioni in contraddittorio. In ogni caso, tacere non è la strategia giusta se siete convinti di essere nel giusto: fatevi sentire, cortesemente ma fermamente, con i canali opportuni.
D: Ho già corretto l’errore prima di ricevere la lettera (o sto per farlo autonomamente). Cosa devo fare?
R: Se avete già presentato una dichiarazione integrativa e pagato prima di ricevere la comunicazione, di norma la lettera riporta una frase del tipo “Se ha già provveduto, non consideri questa comunicazione”. In tal caso suggeriamo comunque di contattare l’ufficio (o rispondere via CIVIS) comunicando gli estremi della vostra integrativa e dei pagamenti effettuati, così da chiudere il cerchio. Se invece non avevate ancora ricevuto la lettera ma eravate in procinto di ravvedervi spontaneamente, l’arrivo dell’invito non cambia la sostanza: procedete pure al ravvedimento come previsto. La differenza è che ora segnalerete nel modello F24 quel codice atto, se presente, e magari allegherete copia della comunicazione al vostro fascicolo. In sintesi: aver agito prima vi mette al riparo – l’importante è rendere edotto l’ufficio che l’adempimento è stato effettuato, così non vi disturberanno oltre.
D: Quali benefici concreti ottengo aderendo subito rispetto a aspettare l’accertamento?
R: I benefici sono: sanzioni ridotte al minimo (di solito 1/6 del minimo edittale, es. 15-20% invece di 90-120%), nessuna applicazione di interessi di mora o aggi di riscossione, possibilità di evitare iscrizioni ipotecarie/pignoramenti, niente spese processuali, niente iscrizione di reato tributario (se ravvedimento completo e oltre soglie). Inoltre, l’Agenzia di solito rinuncia ad altri profili sanzionatori minori (ad es. se regolarizzate RW, spesso non vi contestano l’omessa dichiarazione se c’era anche quella, purché integrate tutto; se ravvedete infedele, non vi fanno anche sanzione per infedele non più dichiarabile). In termini monetari, spesso pagherete meno della metà di quanto vi costerebbe un accertamento, e in termini di stress vi risparmiate anni di possibile contenzioso. L’unico “beneficio” dell’aspettare l’accertamento potrebbe essere – ma è un gioco d’azzardo – che in sede di contenzioso un giudice vi dia ragione totalmente e annulli la pretesa. Ma dovreste essere veramente sicuri che il Fisco abbia torto marcio, perché in caso contrario rischiate di pagare poi anche spese legali. Nella maggior parte dei casi, aderire conviene: la sanzione ridotta è il vantaggio più tangibile e viene persa per sempre se si lascia decorrere questa fase.
D: Se pago con ravvedimento, l’Agenzia può comunque mandarmi un accertamento?
R: Di regola no, se avete integrato correttamente tutti i punti contestati e pagato tutto il dovuto, l’Agenzia non ha motivo (né titolo legale) per emettere accertamento sulla medesima materia. L’atto di accertamento non è emesso quando il contribuente “ha fornito elementi per l’esatto adempimento dell’obbligazione tributaria” (cit. art.6 c.5 Statuto). Può succedere, per errore o disallineamento, che l’ufficio mandi ugualmente un avviso (magari perché era già pronto o per mancata registrazione del pagamento): in tal caso, basterà presentare istanza di annullamento in autotutela allegando le prove del ravvedimento e l’atto verrà annullato. Qualora – ipotesi remota ma teorica – l’Agenzia sostenesse che avete ravveduto solo parzialmente e vi contestasse ulteriore imposta, quell’accertamento riguarderebbe la parte non ravveduta. Se siete sicuri di aver incluso tutto, l’eventuale atto sarebbe viziato. In estrema ipotesi, il giudice tributario vi darebbe ragione perché il ravvedimento perfezionato toglie materia all’accertamento. Dunque, un ravvedimento fatto bene vi protegge. L’Agenzia potrà solo verificare la correttezza formale (ad es. che abbiate usato giusti codici tributo, ecc.). Attenzione però: se emergono nuovi elementi estranei a quanto regolarizzato, quelli sì possono essere oggetto di accertamento. Esempio: ravvedete €10.000 di redditi esteri segnalati, ma l’Agenzia poi scopre che in quell’anno ne avevate in realtà €20.000 (e quei secondi 10k non erano stati segnalati inizialmente). Potrebbero farvi accertamento per quell’ulteriore quota. Quindi ravvedete tutto il ravvedibile in quel contesto per mettervi al sicuro.
D: Dopo il ravvedimento operoso, potrei essere comunque soggetto a controlli o ispezioni?
R: In linea generale, una volta che avete corretto spontaneamente, l’Agenzia concentra gli sforzi altrove. Come detto, potrebbero fare qualche verifica documentale per confermare il ravvedimento (es. chiedere prova dell’origine di fondi esteri). Ma è improbabile che, avendo aderito a un invito, mandino una verifica fiscale completa a casa vostra sull’anno in questione – a meno che la situazione sia enormemente anomala (es. avete dichiarato milioni di euro di base imponibile in più: lì potrebbero voler approfondire per capire se c’erano anche altri anni similari). In teoria nulla impedisce all’Ufficio controlli di includervi in un piano di verifica anche se vi siete ravveduto, ma non è una prassi comune perché le risorse sono limitate e preferiscono indirizzarle verso chi non ha collaborato. Quindi, aderendo alla compliance, statisticamente riducete molto la chance di ulteriori controlli su quell’oggetto.
D: Posso impugnare un eventuale avviso di accertamento se ritengo che l’Agenzia non abbia considerato i chiarimenti che avevo fornito?
R: Assolutamente sì. Se, malgrado abbiate risposto alla lettera con spiegazioni, ricevete comunque un accertamento che ritenete sbagliato, potete ricorrere in Commissione Tributaria entro 60 giorni dalla notifica. Nel ricorso, evidenzierete che avevate già fornito all’ufficio elementi probatori in fase di compliance e che questi sono stati ignorati o valutati scorrettamente. Il giudice valuterà la questione ex novo. La fase di compliance e i vostri scritti non vincolano il giudice, che deciderà in base alle prove. Anzi, il fatto di aver cooperato gioca a vostro favore, mostrando la vostra buona fede. Ad esempio, se avevate dimostrato che un reddito non era imponibile ma l’ufficio ha comunque preteso imposta, il giudice, esaminando gli atti, potrebbe darvi ragione e annullare l’accertamento. Quindi, la compliance non pregiudica affatto il diritto di difesa in giudizio: potete sempre far valere le vostre ragioni sull’atto definitivo.
D: La lettera è arrivata via PEC ma io non l’avevo vista perché la casella era piena/non monitorata. Posso eccepire qualcosa?
R: No, dal punto di vista formale la PEC inviata all’indirizzo risultante dall’INI-PEC o dall’Anagrafe è notifica valida (per quanto la lettera non sia atto imposto). Se non l’avete vista in tempo utile, l’inconveniente è vostro. Tuttavia, non trattandosi di un atto impositivo, la “mancata lettura” non vi priva di un diritto di difesa processuale (perché, come detto, non c’è nulla da impugnare). Semmai, vi ha fatto perdere la chance di ravvedervi prima. Se poi arrivi un accertamento, non potrete addurre come motivo di ricorso “non ho visto la lettera di compliance”, in quanto non avete diritto a essere preavvisati: la lettera è un di più, non un obbligo procedimentale. In conclusione, è fondamentale tenere la casella PEC attiva e monitorata. Per i privati senza PEC: controllate il cassetto fiscale periodicamente, ad es. due volte l’anno, specie se sapete di avere questioni aperte. Il Fisco non ha l’obbligo di assicurarvi che leggiate la lettera, ma fa il possibile inviandola a canali digitali. Sta a voi vigilare sulle vostre comunicazioni.
D: Come posso distinguere una vera lettera di compliance da un tentativo di truffa/phishing?
R: Fate attenzione a alcuni dettagli: le vere comunicazioni dell’Agenzia Entrate provengono da indirizzi PEC ufficiali (del tipo no-reply@pec.agenziaentrate.it o simili) o sono firmate digitalmente. Non chiedono mai di cliccare link verso siti esterni sconosciuti, né di fornire password, PIN o dati bancari. Una lettera di compliance genuina riporta riferimenti normativi, un protocollo, e invita a usare i canali noti (sito AE, cassetto fiscale, uffici). Se ricevete email su caselle normali non PEC con oggetto allarmistico e link, presumete siano false (AE non comunica anomalie via semplice email). In caso di dubbio, non cliccate su nulla e contattate direttamente l’Agenzia o verificate nel vostro cassetto fiscale: se c’è una lettera per voi, la troverete lì. Purtroppo, i truffatori sfruttano il fatto che molti temono il Fisco; mantenete la calma e verificate sulle fonti ufficiali.
D: La lettera riguarda un anno per cui ho già una causa pendente (o un accertamento già notificato). Che faccio?
R: Se per lo stesso anno d’imposta avete un contenzioso o un accertamento su materia analoga, probabilmente la lettera non avrebbe dovuto arrivare (di solito non mandano compliance su questioni già sfociate in atti formali). È possibile però che riguardi un altro aspetto. Esempio: avete un ricorso in corso per un accertamento IRPEF 2019 su redditi di lavoro autonomo, e ricevete una compliance per attività estere 2019 non dichiarate. Sono due profili diversi. In tal caso potete comunque ravvedere la parte relativa alle attività estere – anzi, forse è consigliabile per evitare un secondo accertamento, eventualmente potreste chiederne un accorpamento nel giudizio in corso (ma non è semplice). Se invece la lettera sembra riferirsi proprio a ciò che è già oggetto di causa o atto: contattate l’ufficio spiegando che c’è già un procedimento su quello, fornendo gli estremi. Probabilmente archiviano la lettera in autotutela. In generale, l’arrivo di una compliance su materia sub iudice è indice di scarsa coordinazione interna, ma a voi non nuoce se segnalate subito la sovrapposizione.
Conclusione: Le lettere di compliance rappresentano una frontiera moderna del rapporto Fisco-contribuente improntata alla collaborazione preventiva. Dal punto di vista del contribuente, e specialmente del debitore potenziale, esse vanno viste come un’occasione per risolvere situazioni rischiose con il minimo impatto economico e legale. Certo, richiedono attenzione, trasparenza e talvolta sacrificio immediato (pagare il dovuto). Ma i vantaggi – in termini di riduzione sanzioni, pace futura con il Fisco, e minor aggravio di procedure – sono evidenti. Conoscere i propri diritti (come chiedere chiarimenti, come ravvedersi) e doveri (tempestività, completezza delle informazioni) è fondamentale per gestire al meglio queste comunicazioni. Speriamo che questa guida, con i riferimenti normativi, gli schemi riassuntivi e i casi pratici esposti, abbia fornito un quadro completo su cosa fare nel 2025 di fronte a una lettera di compliance fiscale.
In caso di dubbio, il consiglio finale è: non sottovalutate la lettera, ma non fatevi prendere dal panico. Esaminatela, eventualmente con un professionista, e adottate la strategia più adatta (adesione o contestazione motivata). La compliance fiscale, se ben gestita, può trasformare un rischio di sanzione in un’opportunità di regolarizzazione conveniente, contribuendo a un rapporto più sereno col Fisco e mettendovi al riparo da futuri problemi.
Fonti
- Fisco e Tasse – Rassegna Stampa (2017) – “Lettere di compliance dall’Agenzia delle Entrate: ecco cosa fare”, articolo del 31/05/2017, con annuncio della nuova sezione AE sulla compliance e descrizione del contenuto delle lettere.
- Agenzia delle Entrate (Provvedimento 11/04/2025 n. 176284) – Controllo incrociato fatture elettroniche vs dichiarazioni IVA 2022, riassunto in Directio.it: descrive l’iniziativa compliance 2025 per partite IVA e richiami normativi (L.190/2014).
- Cassazione – Ordinanza n. 3466 dell’11/02/2021 – Massimata in Avv. Andreani news: conferma impugnabilità comunicazioni 36-bis con pretesa compiuta.
- Cassazione Sezioni Unite – Sentenza n. 30051 del 21/11/2024 – principio di diritto su autotutela in malam partem (annullamento e sostituzione accertamento), citato in Diritto Bancario.
- Agenzia Entrate – Comunicato stampa e Guida “L’Agenzia ti scrive” (2016) – (riprodotto da Ansap.it) introduzione all’attività di compliance, definizioni e riferimenti al ravvedimento modificato dalla L.190/2014.
*(Le fonti sopra riportate includono riferimenti normativi primari: art. 13 D.Lgs.472/1997, art. 1 commi 634-636 L.190/2014, DPR 600/1973 art.36-bis/ter, D.Lgs.471/1997, D.Lgs.74/2000 art.13, Statuto Contribuenti L.212/2000 art.6 e 10, ecc., come richiamati nei testi.
Fisco e lettere di compliance 2025? Fatti Difendere da Studio Monardo
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Le lettere di compliance 2025 fanno parte della nuova strategia dell’Agenzia delle Entrate per anticipare i controlli e spingere i contribuenti a regolarizzarsi spontaneamente. Ma attenzione: rispondere male o non rispondere può portare dritto a un accertamento formale.
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
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Conclusione
Le lettere di compliance fiscali nel 2025 vanno prese sul serio e gestite con competenza.
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