Avviso Di Accertamento A Venditore Su Vinted, Wallapop e Ebay: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate perché hai venduto su Vinted, Wallapop, eBay o altre piattaforme online? Ti contestano redditi non dichiarati, attività d’impresa non registrata o utilizzo improprio del regime fiscale? Ti stai chiedendo cosa rischi e come puoi difenderti?

Nel 2025 l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sulle vendite online, anche occasionali. I dati trasmessi dalle piattaforme digitali permettono al Fisco di individuare chi ha venduto troppo, troppo spesso o con troppi ricavi, trattando queste attività come vere e proprie imprese.

Quando scatta l’accertamento per vendite online?
– Se hai superato le soglie di occasionalità previste dalla legge (frequenza, entità e organizzazione)
– Se hai effettuato molte vendite con corrispettivi rilevanti nel tempo
– Se hai ricevuto pagamenti tracciabili o movimentato somme elevate su conti PayPal, carte o conti correnti
– Se hai venduto beni nuovi, in stock o acquistati per rivendita, anche se da privato
– Se il Fisco incrocia i dati della piattaforma con quelli bancari e con la tua dichiarazione

Cosa può contestarti l’Agenzia delle Entrate?
Esercizio di attività d’impresa in nero, anche senza partita IVA
Omissione di redditi da attività commerciale
Sanzioni fino al 240% dell’imposta e iscrizione a ruolo
– Nei casi più gravi, responsabilità penale per omessa dichiarazione o evasione

Come difendersi da un avviso di accertamento per vendite online?
– Verifica se la tua attività rientrava nella vendita occasionale tra privati, che non genera obbligo di dichiarazione
– Dimostra che hai venduto beni personali usati, senza intento di lucro
– Controlla se il volume, la frequenza e l’organizzazione dell’attività erano compatibili con l’uso da privato
– Se sei stato erroneamente qualificato come “imprenditore”, puoi impugnare l’avviso e far valere la reale natura delle vendite
– In caso di errori parziali o irregolarità minori, valuta il ravvedimento operoso o la definizione agevolata

Cosa puoi ottenere con una difesa corretta?
Annullamento o riduzione dell’avviso, se mancano i presupposti dell’attività d’impresa
Cancellazione delle sanzioni sproporzionate
Protezione del tuo conto e dei tuoi beni da pignoramenti o iscrizioni a ruolo
Regolarizzazione dell’attività, se necessario, con apertura partita IVA e inquadramento corretto
– Se agisci per tempo, puoi evitare conseguenze penali e blocchi finanziari

Vendere su Vinted, eBay o Wallapop non è vietato, ma se le vendite diventano abituali o sistematiche, il Fisco può considerarle reddito imponibile. Tuttavia, hai il diritto di difenderti se sei un semplice privato o se l’Agenzia ha commesso errori di valutazione.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e fiscalità digitale ti spiega come difenderti da un avviso di accertamento per vendite online, cosa puoi contestare e come tutelare il tuo patrimonio.

Hai ricevuto una contestazione per vendite su Vinted, Wallapop o eBay? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Verificheremo la tua posizione e ti diremo se puoi annullare l’accertamento, difenderti efficacemente e proteggere i tuoi risparmi.

Introduzione

Vendere oggetti usati o collezionabili su piattaforme online come Vinted, Wallapop o eBay è diventata una prassi comune anche per i privati in Italia. Tuttavia, questa attività – se non inquadrata correttamente – può attirare l’attenzione del Fisco e portare all’emissione di un avviso di accertamento tributario nei confronti del venditore. Ricevere un avviso di accertamento significa che l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente dei redditi non dichiarati (derivanti dalle vendite online) e richiede il pagamento di imposte, sanzioni e interessi.

In questa guida approfondita (aggiornata a luglio 2025), esamineremo in dettaglio la normativa italiana applicabile, le soglie e gli obblighi introdotti anche dalle recenti direttive europee (come la DAC7), i diritti e le strategie difensive del contribuente (il “debitore” nella prospettiva tributaria), e analizzeremo le sentenze più aggiornate che delineano i confini tra vendita occasionale e attività d’impresa. Il tutto con un taglio avanzato ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a privati cittadini o piccoli imprenditori. Troverete inoltre tabelle riepilogative, domande e risposte su casi pratici frequenti, ed esempi concreti di come procedere in caso di accertamento fiscale legato a vendite online.

Importante: al termine della guida è presente una sezione Fonti con riferimenti normativi, sentenze e documenti ufficiali citati nel testo.

Vendite online tra privati: normativa fiscale e distinzione tra attività occasionale e imprenditoriale

Chi vende beni tramite piattaforme online deve prestare attenzione al quadro normativo fiscale italiano. Il trattamento ai fini delle imposte dipende in primo luogo dalla natura e frequenza dell’attività di vendita: la legge distingue infatti tra vendite episodiche od occasionali e vendite abituali (attività commerciale). Questa distinzione è cruciale per capire se i ricavi ottenuti vadano dichiarati e tassati e se sia necessario aprire una partita IVA.

In sintesi, possiamo individuare tre categorie di vendite online da parte di privati, con differenti implicazioni fiscali e obblighi:

  • Vendite “episodiche” (una tantum) – Si tratta di vendite sporadiche, isolate, di beni appartenenti al proprio patrimonio personale, effettuate senza un vero intento commerciale o speculativo (ad esempio: la vendita occasionale di una bicicletta usata, di un mobile usato, di un elettrodomestico di casa, ecc.). In questo caso non si realizza un reddito imponibile: il ricavato non è tassato e non c’è obbligo di dichiarazione, perché la cessione non configura un’attività d’impresa né un’operazione rilevante ai fini IVA. La giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione) ha confermato che la vendita di beni personali appartenenti al proprio patrimonio non costituisce esercizio di attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c., neppure se quei beni vengono ceduti con un guadagno rispetto al prezzo originale. Ad esempio, la Cassazione ha annullato un accertamento fiscale verso un contribuente che aveva venduto mobili dell’arredamento di casa, ribadendo che tale fattispecie non rientra né nei redditi d’impresa né nei redditi diversi tassabili (art. 67 TUIR) data la mancanza di un intento speculativo. In parole semplici: vendere un proprio oggetto usato, per liberarsene o sostituirlo, non genera reddito tassabile (indipendentemente da quanto se ne ricava) finché resta un episodio isolato.
  • Vendite “occasionali” (non abituali, ma con scopo di lucro) – Questa categoria riguarda chi effettua alcune vendite saltuarie di beni, con una finalità lucrativa seppur non professionale, senza avere partita IVA. Tipicamente rientra qui chi vende diversi oggetti (magari svuotando soffitta e cantina, o alienando parte di una collezione personale) in modo non regolare, ma comunque ripetuto nel tempo più di una sola volta. Fiscalmente, queste situazioni – sebbene non configurino un’attività d’impresa vera e propria – possono generare reddito imponibile come “redditi diversi” ai sensi dell’art. 67, co.1, lett. i) del TUIR (D.P.R. 917/1986). In pratica, il guadagno netto derivante da queste vendite occasionali va dichiarato nella dichiarazione dei redditi (Modello Redditi PF, quadro RL) e sconta l’IRPEF come reddito diverso. Il guadagno tassabile è dato dalla differenza tra il ricavato delle vendite e i relativi costi o valori d’acquisto dei beni ceduti (il cosiddetto margine di profitto). Ad esempio, se nell’arco dell’anno un privato vende, senza partita IVA, vari oggetti ricavando 5.000€, ma dimostra che quegli oggetti gli erano costati 3.000€, dovrà dichiarare 2.000€ come reddito diverso. Non vi è in questa fase obbligo di aprire partita IVA né di applicare l’IVA sulle singole vendite, purché la vendita resti occasionale e non assuma carattere professionale abituale. Va segnalato che la Cassazione stessa riconosce la categoria dello “speculatore occasionale”, distinta dall’imprenditore: ad esempio chi sporadicamente acquista oggetti (opere d’arte, collezionismo, ecc.) per poi rivenderli a scopo di lucro, se manca la continuità, genera redditi diversi occasionali. Naturalmente la linea di confine può essere sottile e caso-specifica (lo vedremo a breve). Nota: su questi redditi diversi non si applica l’IVA, perché il soggetto non è un operatore economico abituale (manca il requisito soggettivo ai fini IVA). Riguardo agli obblighi contributivi previdenziali (INPS), in genere non è prevista l’iscrizione immediata per redditi diversi occasionali; tuttavia, se l’attività genera redditi significativi e prolungati, potrebbe sorgere ex post un obbligo di contribuzione. Spesso si cita il parametro di 5.000 € annui: nella prassi, per le prestazioni di lavoro autonomo occasionali esiste tale soglia oltre la quale scatta l’obbligo di versare contributi alla Gestione Separata INPS (sui compensi eccedenti 5.000 €). Anche se la vendita di beni non è una “prestazione d’opera” in senso tecnico, superare ricavi di circa 5.000 € con vendite online potrebbe essere un campanello d’allarme: oltre tale limite il Fisco tende a ritenere che l’attività non sia più pienamente occasionale, e può pretendere la regolarizzazione fiscale e contributiva. In sostanza, vendite occasionali di modesta entità sono per lo più esentasse e fuori da obblighi formali, mentre vendite occasionali di entità più rilevante (per importi o numero di atti) vanno dichiarate come redditi diversi e possono implicare contributi INPS (Gestione Separata) sui profitti se superano certe soglie.
  • Vendite “abituali” (attività commerciale continuativa) – In questo caso il privato agisce di fatto come un imprenditore, svolgendo un’attività di commercio online in modo professionale o comunque ripetuto e sistematico. È la situazione di chi vende regolarmente su eBay, Vinted, Wallapop o altre piattaforme, con continuità nel tempo e una certa organizzazione, sebbene magari senza una struttura aziendale formale. In tali ipotesi, l’attività esce dalla sfera privata e rientra a pieno titolo nell’esercizio di impresa commerciale. La conseguenza è che tutti i proventi sono qualificati come redditi d’impresa (art. 55 TUIR) tassabili in sede IRPEF (per le persone fisiche, o IRES se vi fosse una società), e le vendite effettuate sono soggette ad IVA (D.P.R. 633/1972) con obbligo di emissione di fattura o documento equipollente. Diventano quindi obbligatorie l’apertura della Partita IVA, l’iscrizione al Registro delle Imprese (Camera di Commercio) e all’INPS gestione commercianti, nonché tutti gli adempimenti contabili e dichiarativi tipici di un’attività di impresa (tenuta dei registri IVA, dichiarazione annuale dei redditi d’impresa, liquidazioni periodiche IVA, versamento dei contributi previdenziali, etc.). Ai fini fiscali, non importa che l’attività sia svolta senza negozio fisico o senza dipendenti: anche vendendo da casa tramite internet, con un elevato numero di transazioni e ricavi sostanziali, si può essere considerati imprenditori. La Corte di Cassazione ha più volte affermato un principio rigoroso: “se la compravendita di beni viene svolta con sistematicità e professionalità, i proventi integrano reddito d’impresa, indipendentemente dalla presenza di una struttura organizzativa”. Recentemente, la Cassazione n. 7552/2025 ha ribadito che l’abitualità e la continuità delle vendite online sono di per sé sufficienti a configurare un’attività d’impresa, anche in assenza di partita IVA e senza bisogno di un negozio tradizionale. In tale sentenza (21 marzo 2025) la Suprema Corte ha respinto la tesi del contribuente secondo cui, mancandogli una “organizzazione” d’impresa, le vendite avrebbero dovuto al più generare redditi diversi: al contrario, i giudici hanno chiarito che dal punto di vista tributario conta solo la professionalità abituale (art. 55 TUIR) e non il requisito civilistico dell’organizzazione espressa dall’art. 2082 c.c.. Ne deriva che un privato che vende in modo continuo su eBay/Vinted per più anni è considerato un imprenditore commerciale agli occhi del Fisco, con tutti gli obblighi connessi (dichiarare i ricavi ai fini IRPEF, aprire partita IVA, assoggettare le operazioni ad IVA, versare i contributi previdenziali da commerciante, ecc.).

Di seguito, una tabella riepilogativa che confronta le caratteristiche e il regime fiscale delle tre categorie di vendita descritte:

Tipo di venditeCaratteristicheRegime fiscaleObblighi principali
Episodiche (una tantum)Vendita sporadica di beni personali, effettuata una sola volta o eccezionalmente. Nessun intento di lucro professionale (es. vendita di un proprio oggetto usato).Non imponibile: il ricavo non costituisce reddito tassabile (fuori dall’ambito di applicazione delle imposte dirette e IVA).Nessun obbligo fiscale specifico: non serve partita IVA, né emissione fattura, né dichiarazione (in quanto non c’è reddito imponibile).
Occasionale (saltuaria, senza organizzazione)Vendite saltuarie, non continuative, con finalità di lucro modesta. Ad es. vendita di diversi oggetti usati di proprietà, oppure poche transazioni di acquisto-rivendita effettuate senza professione abituale.Redditi diversi ex art. 67 TUIR sul margine (ricavi meno costi). Da assoggettare a IRPEF con aliquota marginale del contribuente. Niente IVA sulle singole vendite (soggetto non imprenditore).Dichiarazione dei redditi: indicare i proventi netti nel quadro RL del modello Redditi PF. No obbligo di partita IVA né di iscrizione Camera Commercio. Possibili contributi INPS (Gestione Separata) se i compensi superano 5.000 € annui (soglia oltre cui le attività occasionali possono implicare contributi previdenziali).
Abituale (impresa)Vendite regolari, organizzate e continuative. Attività svolta con carattere professionale, anche se senza struttura complessa (es. vendita online costante anche da privato).Reddito d’impresa (art. 55 TUIR): utili tassati con IRPEF (ditte individuali) o IRES (se società). IVA dovuta sulle vendite (operazioni imponibili ex art. 2 DPR 633/72). Eventuale IRAP se sussiste autonoma organizzazione.Partita IVA obbligatoria, iscrizione al Registro Imprese e posizione INPS commercianti. Emissione di fatture o ricevute per le vendite, tenuta della contabilità (registri IVA, ecc.), dichiarazioni annuali IVA e redditi. Versamento imposte e contributi periodici (IVA, acconti IRPEF/IRES, contributi fissi e percentuali INPS). Adempimenti amministrativi (SCIA, etc.) per avvio attività.

Attenzione: non esiste una soglia fissa di legge per stabilire quando un’attività di vendita diventa “abituale”. La distinzione è fattuale e si basa su vari elementi: numero e frequenza delle transazioni, ammontare dei ricavi, natura dei beni venduti e loro provenienza, durata nel tempo dell’attività, mezzi impiegati (se c’è un’organizzazione, se si acquistano beni appositamente per rivenderli, ecc.). In generale, poche vendite isolate di beni propri suggeriscono occasionalità ed estraneità al campo d’impresa, mentre vendite ripetute, con elevati incassi e magari assortimento di prodotti, fanno propendere per l’esercizio di un’attività commerciale. La giurisprudenza tributaria è piuttosto severa nell’individuare l’abitualità: è stato riconosciuto che anche in presenza di basso numero di operazioni ma di importo rilevante si possa configurare impresa (ad es. vendite di oggetti di antiquariato di grande valore). Viceversa, alcune Commissioni Tributarie hanno escluso l’abitualità per vendite limitate nel tempo e nell’importo, valorizzando l’assenza di un vero fine commerciale. In definitiva, ogni caso andrà valutato nel complesso dei fatti: il contribuente potrà essere ritenuto imprenditore ogniqualvolta risulti una “pluralità di atti collegati e preordinati al conseguimento di un arricchimento”, e non meri episodi isolati.

La Direttiva DAC7 e i nuovi obblighi di comunicazione per le piattaforme online

Dal 1° gennaio 2023 è entrata in vigore nell’Unione Europea la Direttiva DAC7 (Direttiva UE 2021/514) che mira a contrastare l’evasione fiscale nel settore del commercio online e della gig economy. La DAC7 impone ai gestori di piattaforme digitali (marketplace online) di raccogliere e comunicare alle autorità fiscali i dati relativi ai venditori che utilizzano tali piattaforme. Questa normativa riguarda anche le piattaforme di compravendita tra privati come eBay, Subito.it, Wallapop, Vinted, Etsy, Airbnb, BlaBlaCar ecc., non solo i colossi dell’e-commerce tradizionale.

In particolare, la DAC7 prevede che ogni piattaforma debba identificare i venditori attivi e segnalarne i dati fiscali se questi superano determinate soglie in un anno solare. Le soglie fissate (uguali in tutta Europa) sono:

  • Più di 30 transazioni concluse nel corso dell’anno oppure
  • Oltre 2.000 € di ricavi lordi ottenuti tramite la piattaforma nell’anno.

Se un venditore supera anche solo una di queste soglie, la piattaforma è obbligata a trasmettere all’autorità fiscale (dello Stato UE di residenza della piattaforma o del venditore) una serie di informazioni: i dati anagrafici e fiscali del venditore, l’ammontare totale dei ricavi percepiti tramite la piattaforma, il numero di transazioni, eventuali commissioni trattenute, e l’IBAN o conto su cui vengono accreditati i pagamenti.

Ad esempio, eBay, essendo gestita da eBay Europe con sede in Germania, comunica i dati al fisco tedesco che poi li scambia con l’Agenzia delle Entrate italiana per i venditori residenti in Italia. Vinted e Wallapop, piattaforme diffuse in Italia, analogamente raccolgono i dati dei venditori che oltrepassano i limiti: Vinted contatta gli utenti via email chiedendo di compilare un modulo con le informazioni fiscali (nome, cognome, codice fiscale/partita IVA, indirizzo, ecc.) non appena si raggiunge 1 delle 2 soglie. Tali dati vanno poi comunicati all’Agenzia delle Entrate entro il 31 gennaio dell’anno successivo (termine prorogato al 31/01/2024 per i dati 2023, in via eccezionale).

Nota: Il raggiungimento delle soglie DAC7 non significa automaticamente che il venditore dovrà pagare tasse su quegli importi. Come chiarito anche da comunicazioni ufficiali di Vinted agli utenti, la segnalazione dei dati è un adempimento formale: la vendita di oggetti personali usati rimane di per sé non tassabile in Italia, anche se l’oggetto viene rivenduto a un prezzo superiore a quello d’acquisto. Solo se l’autorità fiscale, esaminando i dati, ritiene che si tratti di un’attività commerciale (e non di mere vendite occasionali di beni personali) allora richiederà le imposte dovute. In altri termini, DAC7 non crea nuove imposte, ma fornisce al Fisco informazioni preziose per individuare chi “vende troppo” online in modo da verificare se abbia adempiuto ai propri obblighi fiscali.

Cosa succede dopo la comunicazione? I gestori di piattaforme inviano all’Agenzia delle Entrate (per il tramite delle autorità fiscali del proprio paese, in caso di piattaforme estere) i dati dei venditori entro fine anno (es. dati 2023 inviati entro 31 gennaio 2024). L’Agenzia delle Entrate, ricevute queste informazioni, incrocia i dati con le dichiarazioni dei redditi presentate e con le altre evidenze a sua disposizione. Se emergono vendite online significative non dichiarate, l’Agenzia potrà avviare controlli ed eventualmente emettere avvisi di accertamento per recuperare le imposte evase. È importante notare che le piattaforme non calcolano l’eventuale debito d’imposta: esse si limitano a segnalare i dati. Spetterà all’Agenzia valutare se quelle vendite integrano redditi occasionali da dichiarare (in tal caso potrebbe inviare lettere di “compliance” suggerendo di presentare una dichiarazione integrativa per includerli) oppure un’attività d’impresa occulta (in tal caso predisporrà veri e propri accertamenti con applicazione di imposte, sanzioni e interessi).

Già a partire dalla metà del 2024 in Italia sono scattati i primi controlli sui dati 2023: molti utenti che avevano venduto oltre soglia su Vinted, Wallapop e simili hanno ricevuto email o comunicazioni dal gestore e successivamente lettere dall’Agenzia delle Entrate che chiedono chiarimenti o segnalano l’anomalia di ricavi non dichiarati. L’entrata a regime di DAC7 dunque segna un’epoca in cui sarà molto più difficile nascondere al Fisco i guadagni online, anche di piccoli importi.

Controlli del Fisco e della Guardia di Finanza sulle vendite online

Ancor prima di DAC7, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza avevano cominciato a monitorare il fenomeno delle vendite online dei privati, con vari strumenti investigativi. Ora, grazie alla mole di dati raccolti tramite le piattaforme digitali e altri canali, i controlli sono divenuti più mirati ed efficaci. Vediamo come il Fisco individua i venditori “abituali” e quali tipi di controlli può effettuare:

  • Monitoraggio delle piattaforme e scambio di informazioni: Come detto, da gennaio 2024 le Entrate dispongono dei report DAC7 con l’elenco dei venditori attivi sulle principali piattaforme e i relativi incassi. Ma anche prima di DAC7, c’erano collaborazioni in atto: eBay, ad esempio, già forniva periodicamente (su base volontaria o a seguito di indagini specifiche) i dati delle transazioni alla Guardia di Finanza. Secondo la Cassazione, le informazioni sulle vendite realizzate su eBay o altre piattaforme sono pienamente utilizzabili dal Fisco come indizi per ricostruire il reddito imponibile. Già dal 2018-2019 la Suprema Corte ha convalidato accertamenti basati sull’elenco delle attività di vendita e acquisto online ottenuto da eBay Europe S.à.r.l., ritenendolo una valida presunzione di reddito non dichiarato. In pratica, ogni transazione tracciata (pagamenti elettronici, spedizioni) può essere sfruttata per individuare vendite occulte.
  • Controllo dei movimenti finanziari: Oltre ai dati provenienti dalle piattaforme, l’Agenzia incrocia le informazioni con quelle bancarie. Tramite l’Anagrafe dei Conti e gli strumenti di indagine finanziaria, il Fisco può analizzare i flussi su conti correnti, carte ricaricabili, account PayPal e altri Payment Service Provider. In particolare, se un contribuente riceve ripetuti accrediti da marketplace (es. bonifici da “Wallapop” o accrediti PayPal da vendite Vinted), questi movimenti saltano all’occhio. Esiste un sistema centralizzato (chiamato “Risparmiometro” o altri nomi in evoluzione) che segnala all’Agenzia situazioni di incoerenza tra movimentazioni bancarie e redditi dichiarati. Dunque, anche chi prova a “eludere” i controlli spostando incassi su conti esteri o strumenti online, può essere individuato. La Guardia di Finanza ha reparti specializzati (Nucleo di polizia economico-finanziaria) che analizzano i dati bancari e possono avviare verifiche fiscali se riscontrano flussi sospetti. Un esempio tipico: se una persona con reddito dichiarato esiguo (o nullo) presenta sul conto migliaia di euro provenienti da PayPal o da transazioni e-commerce, scatterà un alert automatico per possibile evasione.
  • Verifiche fiscali e ispezioni (Guardia di Finanza): Nei casi più rilevanti (ad esempio, quando si ipotizza un vero commercio abusivo di beni), la Guardia di Finanza può procedere ad un’ispezione formale, equiparando di fatto l’operazione a una verifica in azienda. I finanzieri possono presentarsi presso il domicilio del venditore (soprattutto se risulta un magazzino o punto di consegna merce) per acquisire documentazione. Durante queste verifiche, stendono un Processo Verbale di Constatazione (PVC), in cui riportano le irregolarità riscontrate. Nel PVC confluiscono le informazioni raccolte: ad esempio stampe di inserzioni di vendita online, estratti conto, email di conferma vendite, eventuale merce in casa, ecc. Il contribuente ha diritto di fare osservazioni al PVC prima che sia emesso l’accertamento definitivo. Le indagini della GdF possono estendersi anche agli aspetti penali (ad es. sequestrare PC o documenti se si ipotizzano reati tributari rilevanti, come vedremo più avanti).
  • Lettere di compliance e inviti al contraddittorio: Nella maggioranza dei casi di vendite online non dichiarate, l’Agenzia delle Entrate procede inizialmente in modo “soft” inviando una comunicazione di compliance al contribuente. Si tratta di una lettera (o PEC) in cui si informa che “dai dati a disposizione” risultano vendite per un certo importo non trovando riscontro nelle dichiarazioni, e si invita il contribuente a fornire chiarimenti o a ravvedersi spontaneamente. In altri casi, l’ufficio emette un vero e proprio invito a comparire o questionario fiscale (ex art. 32 DPR 600/73), che è un atto formale di avvio del contraddittorio endoprocedimentale. In tale invito si chiede al contribuente di presentare documenti e spiegazioni entro una certa data, prima di emettere l’eventuale accertamento. Ad esempio, se dalle informazioni risultano 50 transazioni per 10.000€ in un anno, l’Agenzia potrà chiedere di dettagliare cosa si è venduto, se gli oggetti erano propri, i relativi costi d’acquisto, e così via. È altamente consigliabile non ignorare queste comunicazioni preliminari: sono un’occasione per chiarire la propria posizione e magari evitare sanzioni pesanti. Vedremo nel prossimo paragrafo come gestire al meglio il contraddittorio preventivo.

In sintesi, chi vende abitualmente online “in nero” ha oggi poche vie di fuga: i sistemi informatici del Fisco incrociano dati delle piattaforme, transazioni finanziarie e altri elementi (es. dogane, nel caso di importazione di merci per rivenderle). Il tutto per individuare redditi non dichiarati. Una volta raccolti sufficienti elementi, l’Agenzia procede – se non ci sono collaborazione o spiegazioni convincenti – ad emettere l’avviso di accertamento.

L’avviso di accertamento fiscale: cos’è e cosa comporta

L’avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Ufficio finanziario (Agenzia delle Entrate) contesta al contribuente un maggior reddito imponibile (e relative imposte evase) rispetto a quanto dichiarato, in questo caso derivante dalle vendite online non dichiarate. Esso costituisce un provvedimento impositivo a tutti gli effetti, indicante l’ammontare delle imposte dovute (es. IRPEF, IVA, IRAP se applicabile) oltre alle sanzioni amministrative e agli interessi maturati.

Caratteristiche principali di un avviso di accertamento per vendite su Vinted/Wallapop/eBay:

  • Viene emesso dall’Agenzia delle Entrate competente (di solito la Direzione Provinciale in base al domicilio fiscale del contribuente) al termine dell’attività istruttoria o di verifica. Può scaturire da un controllo da remoto (analisi banche dati) o da un PVC della Guardia di Finanza post verifica in loco.
  • Deve indicare chiaramente le motivazioni e la base imponibile ricostruita. Ad esempio, l’avviso riporterà: “dalle informazioni acquisite (report piattaforme online, conti correnti) risulta che il Sig. X ha effettuato nell’anno Y vendite di beni per € XX.XXX non dichiarate. Tali importi, al netto di costi non documentati, sono qualificati quali ricavi da attività commerciale abituale e pertanto vengono assoggettati a IRPEF, IVA e IRAP…” etc. Spesso, in mancanza di documentazione fornita dal contribuente, l’Ufficio adotta metodi induttivi o presuntivi, tassando l’intero ammontare dei versamenti ricevuti come ricavo lordo. Sta poi al contribuente eventualmente provare che vi erano dei costi deducibili (acquisto merce rivenduta, spese spedizione) o che parte degli accrediti non era reddito (es. rimborsi) – vedi oltre sezione difesa.
  • È un atto “impo-esattivo”: significa che trascorsi 60 giorni dalla notifica senza che il contribuente paghi o faccia ricorso, l’avviso diventa titolo esecutivo per la riscossione coattiva. In altre parole, passati 60 giorni, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può iscrivere a ruolo le somme e procedere con cartelle esattoriali, pignoramenti ecc., salvo eventuale sospensione.
  • Indica le annualità accertate e i periodi d’imposta coinvolti. Ad esempio potrebbe riguardare il triennio 2021-2023 se le vendite non dichiarate risalgono a quei tre anni. La legge prevede tempi di decadenza entro cui l’accertamento va notificato: generalmente il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione (ad esempio, redditi 2020 – dichiarazione 2021 – accertabile fino al 31/12/2026). Per i redditi totalmente omessi (dichiarazione non presentata) il termine si allunga al 7° anno successivo. Bisogna quindi verificare se l’avviso è tempestivo e rispettoso di tali termini.
  • Notifica: l’avviso di accertamento viene notificato al contribuente tramite raccomandata AR, o più spesso tramite PEC (posta elettronica certificata) all’indirizzo PEC risultante dall’Indice Nazionale. La notifica PEC è valida per chiunque abbia obbligo di PEC (es. imprese, professionisti) e dal 2022 anche per i privati cittadini che ne abbiano uno (domicilio digitale). È importante controllare la propria PEC regolarmente, perché l’avviso notificato via PEC si considera conosciuto anche se non letto (basta la ricevuta di avvenuta consegna).
  • Contraddittorio endoprocedimentale: Novità fondamentale introdotta dal 2023/2024 è l’obbligo del contraddittorio preventivo prima dell’emissione di (quasi) ogni avviso di accertamento. Il D.Lgs. 30 settembre 2023 n. 156 (riforma fiscale, attuativo Legge Delega 2022) ha inserito nello Statuto del Contribuente l’art. 6-bis, che rende obbligatorio per l’Agenzia invitare il contribuente a fornire osservazioni (avviso di accertamento anticipato da un invito) in tutti i casi in cui l’accertamento riguardi tributi armonizzati o vi siano elementi non immediatamente oggettivi. Dal 30 aprile 2024 praticamente ogni avviso impugnabile deve essere preceduto da un invito al contraddittorio, pena la nullità dell’atto. Fanno eccezione solo i casi espressamente esentati da un futuro decreto (ad esempio accertamenti da liquidazioni automatiche). Per il contribuente, ciò significa che prima di ricevere l’avviso, dovrebbe aver ricevuto una comunicazione di avvio procedimento (lettera, invito a comparire ecc.) e aver avuto modo di presentare memorie. Se così non fosse, l’assenza di contraddittorio può costituire un vizio procedurale sfruttabile per far annullare l’atto in giudizio. (Approfondiremo questo aspetto nella parte difensiva).

In caso di attività completamente occulta (nessuna dichiarazione presentata per più anni, vendite totalmente in nero), l’Agenzia potrebbe emettere un accertamento d’ufficio utilizzando metodi induttivi “puri”, basati solo sulle presunzioni semplici ricavate dai dati disponibili. Ad esempio, potrebbe considerare reddito imponibile l’intera somma dei versamenti su PayPal rilevati, salvo prova contraria. La Cassazione ha avallato questo modus operandi, chiarendo che “spetta al contribuente dimostrare che il reddito non è stato prodotto o lo è in misura inferiore” rispetto a quanto desunto dalle vendite online. Ciò crea una forte inversione dell’onere della prova a carico del venditore, che dovrà attivarsi per giustificare diversamente quelle somme.

Riassumendo: l’avviso di accertamento è l’atto con cui il Fisco formalizza la propria pretesa. Riceverlo non significa che la partita sia chiusa: il contribuente ha diritto di difendersi sia in via amministrativa (adesione, autotutela) sia in via giurisdizionale (ricorso in Commissione Tributaria, ora Corte di Giustizia Tributaria). Nella prossima sezione vedremo come reagire a un avviso del genere e quali strategie adottare per difendere la propria posizione.

Come difendersi da un accertamento fiscale per vendite online

Affrontare un avviso di accertamento richiede tempestività, preparazione e strategia. Dal punto di vista del contribuente (il debitore delle somme pretese), l’obiettivo è ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa fiscale, dimostrando l’infondatezza totale o parziale dell’accertamento, oppure accedendo a strumenti deflattivi che limitino sanzioni e conseguenze. Esaminiamo passo passo le possibili azioni difensive.

Fase pre-accertamento: contraddittorio e regolarizzazione spontanea

Idealmente, la difesa inizia prima che l’avviso vero e proprio venga emesso, ovvero al momento in cui si riceve la comunicazione di avvio del controllo (lettera di compliance, invito al contraddittorio, questionario). Questa fase preventiva è cruciale per chiarire eventuali malintesi e, se necessario, regolarizzare spontaneamente la propria posizione con il minimo aggravio.

  • Rispondere all’invito al contraddittorio: Se l’Agenzia vi invia un invito a comparire o un questionario (es. via PEC) chiedendo informazioni sulle vendite online, non ignoratelo. La mancata risposta può indurre l’ufficio a procedere d’ufficio con presunzioni sfavorevoli; inoltre, come accennato, dal 2024 il contraddittorio è obbligatorio e non parteciparvi potrebbe precludere in giudizio alcune eccezioni (il giudice potrebbe ritenere che, non avendo cooperato, il contribuente ha perso un’occasione per chiarire). Invece, inviando una risposta dettagliata entro il termine assegnato, si possono già smontare parzialmente le contestazioni. Cosa fare nella risposta? Fornire documenti giustificativi e spiegazioni puntuali su ciascun rilievo. Ad esempio, evidenziare che alcune somme accreditate non erano vendite ma rimborsi di oggetti restituiti, o erano prestiti tra familiari, oppure che i beni venduti provenivano dal proprio patrimonio personale (quindi vendita non tassabile). Se si hanno le ricevute di acquisto originarie degli oggetti venduti, esibirle per dimostrare l’assenza di plusvalore o l’entità del costo. È utile citare anche riferimenti normativi o giurisprudenziali a supporto: ad es., far presente che “la vendita di beni mobili usati del patrimonio personale non costituisce presupposto d’impresa né reddito imponibile, come da Cass. 10117/2023”, per contestare la riqualificazione a reddito d’impresa.
  • Valutare il ravvedimento operoso: Se durante il contraddittorio preliminare ci si rende conto di essere effettivamente in difetto (ad es. si è omessa la dichiarazione di redditi diversi occasionali, oppure si è continuato a vendere in modo borderline), c’è ancora la possibilità di ravvedersi spontaneamente prima che arrivi l’accertamento. Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) consente di presentare una dichiarazione integrativa per includere i redditi dimenticati e pagare le imposte dovute con sanzioni ridotte. Se la dichiarazione omessa o infedele viene sanata entro 90 giorni dalla scadenza originaria, la sanzione può essere ridotta fino a 1/10 del minimo. Nel caso di vendite online non dichiarate, se non è ancora stato notificato nulla, si può ad esempio presentare un modello Redditi integrativo includendo i redditi diversi e versando la relativa IRPEF con sanzione minima (ad es. 1/10 del 90% per omessa dichiarazione). Questo evita l’emissione dell’avviso di accertamento (o lo rende privo di oggetto per i redditi ravveduti). Ovviamente resta dovuto quanto pagato (imposte più sanzione ridotta e interessi), ma si evitano sanzioni piene e soprattutto si chiude la vicenda senza contenzioso. Nota: il ravvedimento è ammesso finché non vi sia formale notifica di un atto di liquidazione o accertamento per quell’anno; ricevere un mero invito a comparire non preclude il ravvedimento.
  • Cooperazione e trasparenza: Nel contraddittorio, mantenere un atteggiamento collaborativo e documentare tutto il possibile. Se il contribuente riesce a convincere l’Ufficio della propria versione già in questa fase, l’Agenzia potrebbe archiviare il caso o emettere un accertamento più lieve. Ad esempio, se a fronte di €50.000 accreditati sul conto per vendite, si dimostra con estratti conto e ricevute che almeno €30.000 erano dovuti al costo d’acquisto della merce (dunque profitto reale €20.000), l’eventuale accertamento verrà calibrato su quest’ultima cifra. In alcuni casi, soprattutto per importi minori, l’ufficio potrebbe concludere il contraddittorio con un avviso bonario (specie se si trattava solo di redditi occasionali non dichiarati) o con un accordo in mediazione. Ricordiamo infatti che è previsto l’istituto del reclamo/mediazione tributaria (art. 17-bis D.Lgs. 546/92) per le contestazioni di valore fino a €50.000: prima di fare ricorso, si può tentare un accordo con l’ufficio, che spesso comporta sanzioni ridotte ad 1/3.

In definitiva, la fase pre-accertamento è un’opportunità da sfruttare: un contribuente informato può far valere le proprie ragioni e magari risolvere la questione prima che diventi un vero contenzioso. Si tenga a mente che, come accennato, per gli atti emessi dal 2024 qualsiasi avviso impugnabile deve aver avuto un contraddittorio precedente. In mancanza, si potrà eccepire la nullità dell’accertamento per violazione del contraddittorio (salvo i pochi casi di esclusione). Ad esempio, se arrivasse improvvisamente un avviso di accertamento per vendite online senza che il contribuente sia mai stato contattato prima, dal 2024 ciò costituirebbe un vizio che da solo potrebbe portare all’annullamento dell’atto da parte della Commissione Tributaria.

Definizioni agevolate e accordi: acquiescenza e accertamento con adesione

Nel momento in cui l’avviso di accertamento è stato notificato (o sta per esserlo), il contribuente ha a disposizione alcuni strumenti amministrativi per evitare il pieno contenzioso, beneficiando di riduzioni sanzionatorie in cambio di una definizione bonaria della pretesa. In particolare:

  • Acquiescenza (pagamento agevolato) – Se il contribuente ritiene di non voler contestare (in tutto o in parte) l’accertamento, perché magari alcune contestazioni sono corrette, può optare per il pagamento in forma ridotta della sanzione, evitando il ricorso. L’art. 15 del D.Lgs. 218/97 consente, pagando entro 60 giorni dalla notifica l’intero importo delle imposte accertate (più interessi) e 1/3 delle sanzioni irrogate, di chiudere il caso. In pratica le sanzioni amministrative vengono ridotte al 30% del minimo edittale. Ad esempio, per un’omessa dichiarazione la sanzione base è 120% (minimo 90% – massimo 180% dell’imposta evasa); con acquiescenza si pagherebbe il 30% (ad es. 30% del 90% = 27% dell’imposta evasa). L’avviso stesso di solito contiene il prospetto con le somme da versare per aderire all’acquiescenza. Attenzione: pagando con acquiescenza si rinuncia al ricorso e l’atto diviene definitivo. È consigliabile solo se si è certi che l’accertamento sia fondato e non ci siano margini difensivi.
  • Accertamento con adesione – È uno strumento di definizione concordata dell’accertamento, disciplinato dal D.Lgs. 218/1997. Entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione (anche detta “istanza di adesione”). La presentazione dell’istanza sospende i termini per fare ricorso per un massimo di 90 giorni. Si instaura così un dialogo con l’ufficio, spesso tramite uno o più incontri (anche da remoto), in cui si ridiscutono i rilievi e si cerca un accordo sulla definizione del reddito e delle imposte. Nel caso di un venditore online, l’adesione può essere utilizzata per rinegoziare le cifre contestate: ad esempio, far riconoscere spese e costi precedentemente disconosciuti, o far ricondurre alcuni proventi alla categoria dei redditi diversi (meno sanzionati) invece che interamente a redditi d’impresa. Se le parti trovano un accordo, viene redatto un atto di adesione con le nuove somme dovute; il contribuente paga quanto concordato (in unica soluzione o in rate) con sanzioni ridotte a 1/3 (come nell’acquiescenza) e l’accertamento si intende definito in via amministrativa. L’adesione è vantaggiosa quando si riconosce un debito d’imposta ma si vuole ridurne l’entità: spesso l’ufficio accetta di abbassare il reddito accertato se il contribuente fornisce prove dei costi, oppure per tener conto della natura occasionale di parte delle vendite. Se invece si è convinti che l’atto sia totalmente infondato, l’adesione non conviene (perché comunque implicherebbe riconoscere qualcosa): meglio procedere direttamente col ricorso.
  • Autotutela – Il contribuente può sempre presentare un’istanza di autotutela all’ufficio, chiedendo l’annullamento (totale o parziale) dell’avviso per errori palesi o evidenti illegittimità. Ad esempio, se nell’accertamento c’è un errore di calcolo macroscopico o una chiara violazione di legge, si può segnalare chiedendo all’Agenzia di correggere o annullare l’atto. Tuttavia l’autotutela è discrezionale dell’amministrazione: non sospende i termini di ricorso, né vi obbliga l’ufficio a rispondere. In pratica va usata solo in casi lampanti (doppia tassazione, persona sbagliata, errore materiale) e, preferibilmente, assistiti da un funzionario comprensivo. Nelle situazioni di vendite online, raramente l’ufficio ammetterà in autotutela di aver torto sulla qualificazione (è più facile che dica di spiegarsi in sede di adesione o ricorso). Quindi l’autotutela è un’opzione residuale.

Suggerimento pratico: Appena ricevuto l’avviso, è bene farlo analizzare da un esperto (commercialista o avvocato tributarista) per decidere la strada migliore entro i 60 giorni. Se l’importo contestato è modesto e la violazione c’è stata, l’acquiescenza può essere rapida e meno costosa. Se l’importo è rilevante ma ci sono margini di trattativa, l’adesione può tagliare parte dell’imposta e sanzione. Se invece si ritiene l’accusa infondata o l’ufficio in errore, conviene prepararsi al ricorso (magari provando comunque un’adesione per vedere fin dove l’ufficio cede, dato che la domanda di adesione non preclude poi di fare ricorso se non si perfeziona un accordo).

Impugnare l’avviso di accertamento: il contenzioso tributario

Se non si è risolto in via amministrativa, oppure se si è scelto di resistere integralmente, il passo successivo è impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (il nuovo nome delle ex Commissioni Tributarie Provinciali).

Termini e procedura: Il ricorso va notificato (a mezzo PEC o posta) all’Agenzia delle Entrate entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Dopodiché entro 30 giorni si deposita presso la segreteria della Corte Tributaria. Nel nostro caso, la competenza territoriale è quella del luogo di domicilio fiscale del contribuente. Il processo tributario di primo grado dura in media alcuni mesi (anche un anno in certe regioni). L’eventuale appello si propone alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) e, dopo quella, solo per motivi di legittimità, si può ricorrere in Cassazione.

Presentare un ricorso tributario richiede la sottoscrizione di un difensore abilitato (avvocato, commercialista o esperto contabile) se il valore della causa supera €3.000. Nel nostro scenario, di solito gli importi contestati (somma di imposte più sanzioni) superano facilmente tale soglia, quindi sarà necessario farsi assistere da un professionista.

Vediamo ora i punti chiave di difesa che tipicamente si possono far valere in giudizio in un caso di vendite online contestate:

  • Contestare la qualificazione dell’attività (occasionale vs d’impresa): Questo è l’argomento centrale. Se l’Agenzia ha considerato reddito d’impresa ciò che voi ritenete fosse reddito occasionale o addirittura nessun reddito, dovrete fornire prova contraria. In giudizio, si può sostenere che le vendite contestate erano di natura meramente occasionale e non abituale. A supporto si possono portare elementi come: il numero esiguo di transazioni, la carenza di organizzazione (nessuna struttura, nessun investimento per acquistare beni da rivendere, merce proveniente da casa propria), la natura personale dei beni venduti (erano oggetti usati propri, non stock acquistati per commercio). Ad esempio, se su Vinted avete venduto principalmente i vostri vestiti usati e qualche oggetto di casa, evidenziatelo. Potete allegare magari foto o elenchi degli oggetti venduti per mostrare che non c’era un assortimento “da negozio” ma solo pezzi singoli. Segnalate anche se vi siete fermati dopo un certo periodo (quindi non c’è continuità). Tenete però presente che l’orientamento recente della Cassazione è piuttosto sfavorevole su questo fronte: come visto con la sentenza 7552/2025, i giudici supremi ritengono sufficiente, per aversi impresa, l’abitualità e ripetitività delle vendite, anche se manca un’organizzazione formale. Ciò significa che se l’Agenzia prova un elevato numero di vendite protratto in più anni, sarà difficile convincere la Corte che fosse tutto occasionale. La difesa quindi deve essere realistica: se il volume è oggettivamente elevato, può convenire concentrare gli sforzi su altri punti (ad esempio ottenere il riconoscimento dei costi, o far ridurre le sanzioni per vizi procedurali). Se invece il volume era borderline, vale la pena insistere sulla natura non professionale: citate magari la sentenza Cass. 10117/2023 che tutela la vendita di beni personali come fattispecie non tassabile, o altre pronunce di merito (es. Commissioni Tributarie) dove vendite modeste sono state ritenute non d’impresa.
  • Ricostruzione del reddito imponibile (deduzione dei costi): Molto spesso l’Agenzia nel suo accertamento presume che l’importo totale dei versamenti ricevuti sia tutto reddito. Ma sappiamo che, anche fosse attività d’impresa o anche reddito diverso, vanno considerati i costi sostenuti per ottenere quei ricavi. Quindi, un pilastro della difesa è documentare il più possibile i costi deducibili: il prezzo d’acquisto originario dei beni rivenduti, le spese di spedizione sostenute, eventuali commissioni trattenute dalla piattaforma, e così via. Ogni euro di costo provato riduce il reddito imponibile (e di riflesso imposte e sanzioni). Bisogna quindi raccogliere ricevute, fatture d’acquisto, estratti conto carta di credito (se ad esempio mostrano acquisti di prodotti che poi avete rivenduto). Anche email di conferma ordini o screenshot possono aiutare, se non avete altro. Esempio: avete comprato su Subito o al mercatino 10 oggetti per 1.000€ e poi li avete rivenduti su eBay a 1.500€. Se l’Agenzia vi contesta 1.500€ di ricavi, potrete dimostrare con ricevute che il guadagno reale era solo 500€. Nota bene: se la vostra attività era effettivamente d’impresa e avreste dovuto tenere contabilità, la mancanza di fatture di acquisto dai fornitori può essere un problema. Spesso chi commercia in nero compra merce da privati o all’estero senza farsi rilasciare fatture. In tal caso, oltre a non poter dedurre facilmente quei costi (perché privi di pezze giustificative), c’è anche la violazione formale di mancata autofatturazione (in teoria, avreste dovuto emettere autofattura voi stessi per acquisti da soggetti esonerati, come previsto dall’art. 6, co.8 D.Lgs. 471/1997). La Cassazione ha precisato che la sanzione per mancata autofattura è del 100% dell’IVA, con minimo 250€, ma non comporta dover pagare due volte l’IVA sullo stesso acquisto. Comunque, questa è una complicazione di cui tenere conto: in giudizio cercate di quantificare anche i costi “non documentati” magari tramite indizi (ad es. prelievi di contante in date vicine a quelle vendite, per inferirne che erano spese di acquisto merce).
  • Esclusione di somme non imponibili: Può capitare che nel calderone delle entrate sul conto o PayPal, l’Ufficio abbia contato anche somme che non sono ricavi da vendite. Ad esempio rimborsi di acquirenti che hanno restituito il prodotto, somme transitate solo temporaneamente, regali o trasferimenti di denaro tra familiari, ecc. È fondamentale analizzare l’estratto conto e isolare queste partite. In sede di ricorso, argomentate che quelle specifiche entrate non costituiscono reddito (perché restituzioni, o perché già tassate altrove, o irrilevanti). Portate documenti a sostegno: ad esempio, se avete traccia di un rimborso Vinted (oggetto rispedito al venditore e soldi restituiti all’acquirente), evidenziatelo chiaramente, così che quell’importo venga scorporato dalla base tassabile. Ogni elemento chiarito su questo fronte può ridurre l’imponibile. Anche chat o email possono essere allegate, per provare la natura di certe transazioni (es. messaggi in cui l’acquirente conferma di aver restituito il prodotto e ricevuto il rimborso).
  • Vizi formali e procedurali dell’accertamento: Oltre al merito, mai dimenticare di esaminare l’atto alla ricerca di vizi formali. Questi possono portare all’annullamento senza nemmeno entrare nel merito. Alcuni possibili vizi:
    • Mancato contraddittorio preventivo: come detto, se l’avviso è stato emesso dopo il 30/4/2024 senza invito precedente, e non rientra in eccezioni, si può eccepire la nullità ai sensi dell’art. 6-bis Statuto Contribuente. Le Commissioni accolgono spesso tali eccezioni perché la normativa sul contraddittorio è molto protettiva per il contribuente.
    • Motivazione insufficiente o per relationem non valida: l’avviso deve spiegare adeguatamente come si è arrivati alle somme contestate. Se è troppo generico (es. “risultano vendite online non dichiarate” senza dettagli) o rimanda a un PVC ma il PVC non è allegato, si può contestare la carenza di motivazione. La legge (L. 212/2000 art. 7 e DPR 600/73 art.42) impone che se si cita un altro atto a fondamento (es. un PVC della GdF) questo venga allegato all’avviso, pena nullità. Quindi controllate se eventuali documenti richiamati sono stati effettivamente allegati.
    • Notifica invalida o tardiva: verificate data e modalità di notifica. Se ad esempio l’avviso è stato notificato oltre i termini decadenziali, o a un indirizzo/PEC errato, potete eccepirne l’invalidità.
    • Errores in personam: in rari casi, l’accertamento potrebbe essere intestato alla persona sbagliata (es. al coniuge invece che al reale venditore, magari per confusione). Oppure, come ipotesi teorica, voi potreste sostenere che l’effettivo venditore era un terzo (ad es. un parente usava il vostro account). Questa difesa (“soggettività passiva”) è difficilissima da far valere, perché dovreste dimostrare chiaramente che i proventi non erano vostri ma di un altro soggetto. Senza prove forti (ad es. i soldi andavano su un conto non vostro) difficilmente regge, ma in situazioni particolari potrebbe essere un argomento.
    • Altri vizi: mancata indicazione del responsabile del procedimento, firma non valida sull’atto (oggi firmato digitalmente dal capo ufficio), ecc., sono eccezioni ulteriori ma più tecniche.
  • Prove ammissibili: Ricordate che nel processo tributario non è ammessa la prova testimoniale orale. Quindi eventuali testimoni (es. amici che confermerebbero che gli oggetti venduti erano vostri da anni) non possono essere sentiti formalmente. Però potete produrre dichiarazioni scritte rese da terzi, o utilizzare dichiarazioni raccolte in fase amministrativa (ad es. dichiarazioni rese alla GdF). Il giudice le valuterà liberamente come indizi. Dunque concentratevi su prove documentali: contratti, ricevute, fotografie con data (per dimostrare che possedevate da tempo certi beni), stampe di inserzioni che mostrano descrizioni utili, ecc. Più il quadro è documentato, più sarà facile convincere i giudici.

Durante il processo, permane la possibilità di accordarsi: il D.Lgs. 546/92 consente la conciliazione giudiziale in primo e secondo grado. Questo significa che, anche dopo aver iniziato la causa, potete trovare un compromesso con l’Agenzia, tipicamente su importi e sanzioni, con ulteriore riduzione di queste ultime (40% del minimo in caso di conciliazione in primo grado, 50% in secondo grado). Se la vostra posizione difensiva non è granitica, può essere fruttuoso istruire il difensore di sondare una conciliazione: magari l’Ufficio, temendo di perdere su qualche punto, accetta di abbassare le pretese in cambio di chiudere la lite.

In caso di esito sfavorevole in primo grado, si può impugnare in appello (entro 60 giorni dalla notifica della sentenza), e successivamente eventualmente in Cassazione. Tenete presente però i costi e i tempi: conviene proseguire solo se sono in gioco somme ingenti o principi importanti, oppure se ci sono evidenti errori in sentenza di primo grado.

Sanzioni amministrative e profili penali

Un accertamento fiscale per vendite online non dichiarate comporta non solo il recupero delle imposte evase, ma anche l’applicazione di sanzioni amministrative tributarie. Inoltre, se gli importi sono elevati, possono profilarsi conseguenze penali per reati fiscali. Infine, l’emersione di un’attività di impresa occulta può far scattare obblighi contributivi verso l’INPS e altre conseguenze collaterali.

Vediamo questi aspetti nel dettaglio dal punto di vista del “debitore” chiamato a risponderne:

  • Sanzioni tributarie amministrative: Come accennato, la mancata dichiarazione di redditi (o dichiarazione infedele) viene punita con pesanti sanzioni pecuniarie, calcolate in percentuale sull’imposta evasa. Nel caso di omessa dichiarazione di redditi (ad esempio, non aver proprio indicato i redditi di impresa o i redditi diversi derivanti dalle vendite online), la sanzione ordinaria va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (minimo 90% se la dichiarazione è presentata con ritardo entro un anno). La normativa è stata in parte modificata di recente; alcune fonti indicano che per dichiarazione infedele le sanzioni sono state “stabilizzate” attorno al 70% dell’imposta, ma occorre verificare caso per caso. In ogni caso, parliamo di sanzioni molto alte (superiori all’imposta evasa stessa). Queste sanzioni però possono essere ridotte sensibilmente grazie agli strumenti deflattivi:
    • con acquiescenza o adesione amministrativa si riducono a 1/3 del minimo (es. 90% diventa 30%);
    • con conciliazione in giudizio si riducono al 50% o 60% del minimo a seconda del grado.
    • Inoltre, se le violazioni sono pluriennali, si può invocare il cumulo giuridico (art. 12 D.Lgs. 472/97) invece che sommare tutte le sanzioni: si applica la più grave aumentata da 1/4 al doppio. Spesso l’Agenzia lo applica già nell’avviso, altre volte va richiesto (anche i giudici possono rideterminare le sanzioni in cumulo giuridico, evitando duplicazioni).
  • Reati tributari (profili penali): L’evasione fiscale diventa penalmente rilevante solo oltre certi limiti di imposta evasa stabiliti dal D.Lgs. 74/2000. I possibili reati, nel contesto vendite online, sono principalmente:
    • Omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 D.Lgs. 74/2000): scatta se non si presenta la dichiarazione annuale pur avendo un’imposta evasa > €50.000. La pena è la reclusione fino a 4 anni (innalzata a 6 anni in caso di imposta evasa > €250.000). Questo potrebbe riguardare chi, pur dovendo dichiarare redditi d’impresa, non lo ha fatto per nulla e ha superato la soglia. Ad esempio, se in un anno X vendeva abitualmente incassando (e non dichiarando) IVA e IRPEF per oltre 50 mila euro di imposte dovute, è configurabile il reato.
    • Dichiarazione infedele (art. 4): se la dichiarazione è stata presentata ma con omissione di redditi significativi, superando €100.000 di imposta evasa e 2 milioni di imponibile non dichiarato. Meno frequente nel nostro caso, perché di solito chi vende in nero non presenta proprio nulla.
    • Omessa fatturazione o documentazione (art. 8): se non si emettono fatture per operazioni imponibili oltre una certa soglia (€100.000 di IVA evasa). Potrebbe applicarsi a chi, già obbligato a IVA, non ha fatturato vendite per importi molto alti.
    Occorre sottolineare che per i piccoli venditori occasionali difficilmente si superano queste soglie penali. I reati entrano in gioco in scenari di evasione più massiccia (decine di migliaia di euro di tasse non versate all’anno). Tuttavia, vi sono stati casi in cui venditori eBay di oggetti di valore (es. orologi di lusso, opere d’arte) si sono trovati esposti al penale per importi elevati. La Guardia di Finanza e le Procure sono attente specialmente quando l’evasione riguarda IVA su vendite, perché l’IVA evasa oltre 50k è reato di omessa dichiarazione IVA. Nel 2023 ha fatto notizia un’indagine su un colosso dell’e-commerce con contestazioni per miliardi di euro, ma anche su scala minore ci possono essere procedimenti penali. In caso di notizia di reato, l’Agenzia segnala la cosa all’Autorità Giudiziaria. Per il contribuente, questo comporta che oltre al contenzioso tributario potrebbe aprirsi un procedimento penale parallelo. Spesso, una strategia difensiva in tali casi è cercare di patteggiare o ottenere cause di non punibilità (ad es. il pagamento del debito tributario prima della sentenza attenua molto le pene, e se l’imposta evasa è <100k potrebbe anche evitarsi la punibilità ai sensi dell’art. 13 D.Lgs.74/2000 con il pagamento integrale).
  • Obblighi verso INPS e altre conseguenze: Quando l’Agenzia accerta che in realtà svolgevate attività d’impresa, di norma trasmette una segnalazione anche all’INPS (e alla Camera di Commercio locale) per gli aspetti di competenza. L’INPS quindi potrebbe pretendere l’iscrizione retroattiva alla Gestione Commercianti e il pagamento dei contributi previdenziali dovuti per gli anni non dichiarati. Questo può essere un conto salato: i contributi fissi per commercianti sono circa €3.800-4.000 annui (per redditi fino al minimale, ~€18.000) e poi c’è un’aliquota del ~24% sul reddito eccedente. Tali importi possono essere richiesti fino a 5 anni addietro (termine di prescrizione contributi). Ad esempio, se viene accertato che dal 2020 svolgevate vendita abituale senza iscrizione, l’INPS potrebbe chiedervi i contributi 2020-2024 più sanzioni civili (interessi/multe). Anche questi avvisi INPS sono impugnabili (davanti al tribunale del lavoro), e potreste contestare di non essere in realtà stato imprenditore, analogamente a quanto fatto col Fisco. Ma se a livello tributario viene accertato definitivamente che era attività d’impresa, sarà difficile poi negarlo all’INPS. In più, potreste incorrere in sanzioni amministrative per la mancata iscrizione al registro imprese e la mancata presentazione della SCIA (violazioni spesso punite da normative locali e camerali). In sintesi, mettersi in proprio “di fatto” senza aprire posizione comporta una serie di conseguenze a cascata quando si viene scoperti.
  • Effetti sul casellario fiscale e su benefici: L’emersione di redditi non dichiarati può incidere anche su aspetti come il calcolo dell’ISEE (se in passato avete ottenuto prestazioni sociali agevolate dichiarando un reddito inferiore a quello reale, potrebbero esserne chieste le restituzioni), la perdita di eventuali regimi fiscali agevolati (es. se avevate la flat tax su altri redditi, potreste decadere), ecc. Inoltre, sanzioni tributarie elevate e iscrizioni a ruolo possono portare a fermo amministrativo su veicoli, ipoteche su immobili di proprietà e altri atti cautelari da parte dell’Agente della Riscossione.

In conclusione, dal punto di vista di chi riceve un avviso di accertamento, è importante capire che non si rischia “solo” di pagare le tasse evase, ma c’è un ventaglio di ulteriori aggravi: multe salate, possibili denunce penali se l’evasione è grave, contributi previdenziali arretrati, e complicazioni sul fronte patrimoniale (pignoramenti) e reputazionale. Tutti motivi in più per affrontare con serietà e competenza la difesa, e per il futuro, valutare di regolarizzare l’attività (ad esempio aprendo regolare partita IVA con regime forfettario, se si intende proseguire le vendite oltre la soglia di hobby).

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito, una serie di domande comuni con relative risposte sintetiche, per riepilogare i punti essenziali e chiarire dubbi pratici sul tema accertamenti fiscali per vendite online:

D: Vendere i miei oggetti usati su Vinted o Wallapop è tassabile?
R: In linea generale, no se si tratta di vendite sporadiche di beni personali usati. Il ricavato della vendita di propri vestiti, libri, oggetti di casa, effettuata occasionalmente per liberarsene, non costituisce reddito imponibile (non genera “plusvalore” tassabile). Quindi per piccole vendite tra privati, il Fisco non richiede alcuna tassa né dichiarazione. Attenzione però: se le vendite diventano frequenti e consistenti, anche gli oggetti “usati” possono essere considerati merce di un’attività commerciale e allora scatta la tassazione come reddito d’impresa (o reddito diverso se ancora non abituale). Quindi vendite usate saltuarie = esentasse, vendite usate abituali = tassabili.

D: C’è una soglia di guadagno sotto cui posso vendere online senza problemi col Fisco?
R: Non esiste una franchigia di legge universale (a parte l’irrilevanza delle vendite episodiche). Spesso si parla di 5.000 € annui come soglia informale: sotto tale importo, in presenza di occasionalità, difficilmente l’Agenzia procede ad accertamenti (anche perché 5.000€ è la soglia dei compensi occasionali oltre cui scatta l’obbligo contributivo in Gestione Separata). Inoltre, la direttiva DAC7 prevede il doppio limite di 2.000 € e 30 vendite: se stai sotto entrambe le soglie in un anno su una data piattaforma, i tuoi dati in teoria non vengono nemmeno segnalati al Fisco. Ciò detto, non è un’esenzione fiscale: anche 1000 € guadagnati andrebbero teoricamente dichiarati se frutto di attività non esente. In pratica, se vendi meno di 2.000 € l’anno in modo non regolare, il rischio di controlli è davvero minimo. Sopra quei limiti, l’attenzione del Fisco aumenta.

D: Ho superato 30 vendite e 2.000 € su Vinted quest’anno. Verrò tassato automaticamente?
R: No, non automaticamente. Il superamento di una delle soglie DAC7 (30 vendite o 2.000 €) comporta che la piattaforma invierà i tuoi dati all’Agenzia delle Entrate. L’Agenzia poi verificherà la situazione: se risulta che quelle vendite erano occasionali di beni personali, probabilmente non succederà nulla (nessun avviso, al limite una lettera di sollecito a dichiarare se proprio interpretano come redditi diversi). Se invece dai dati (o da controlli incrociati) appare che stavi svolgendo un vero commercio, allora potrai ricevere una comunicazione o un accertamento. In sintesi: la soglia DAC7 è un trigger per i controlli, non una tassa automatica oltre il quale paghi. Vinted stesso ha comunicato agli utenti che raggiungere la soglia non implica necessariamente dover pagare tasse, se non si tratta di attività commerciale.

D: Che differenza c’è tra venditore “occasionale” e “professionale” online, ai fini pratici?
R: Il venditore occasionale è colui che vende saltuariamente, senza organizzazione e senza obbligo di partita IVA. Può essere un privato che vende qualche oggetto e realizza magari un piccolo guadagno. Fiscalmente, come detto, quell’eventuale guadagno è reddito diverso da dichiarare (se significativo), ma non richiede posizione IVA. Il venditore professionale (abituale) invece è colui che svolge un’attività di vendita in modo continuativo e organizzato, anche solo via internet: costui è a tutti gli effetti un imprenditore individuale, tenuto ad aprire partita IVA, a emettere fatture ai clienti (se non tramite piattaforma che emette ricevute), a pagare IVA e tenere contabilità, e così via. Inoltre, deve iscriversi in Camera di Commercio e pagare contributi fissi all’INPS (oltre a eventuali oneri INAIL se ha un’attività classificata a rischio). Riassumendo: occasionale = niente partita IVA, tassazione solo sul guadagno eventuale; professionale = partita IVA, tassazione su tutto il volume d’affari al netto dei costi, IVA sulle vendite e contributi obbligatori.

D: Se l’Agenzia mi contesta reddito d’impresa, dovrò pagare anche l’IVA sulle vendite fatte?
R: Questa è una domanda delicata. Se l’attività era effettivamente da considerare d’impresa, , l’Ufficio può richiedere anche l’IVA non versata sulle operazioni imponibili. In pratica ricostruirà il fatturato imponibile e calcolerà l’IVA relativa (al 22% o all’aliquota dei beni venduti, di solito il 22% per beni generici) chiedendone il pagamento. Spesso negli accertamenti a venditori online, l’IVA evasa è la parte più consistente. Tuttavia, c’è un aspetto: molte vendite su piattaforme sono fatte a privati consumatori, quindi l’IVA doveva essere applicata dal venditore sul prezzo lordo. Nella ricostruzione, se l’ufficio non scorpora nulla, rischia di tassare due volte (una come ricavo IRPEF, una come IVA sullo stesso importo). In genere la GdF e AdE considerano i corrispettivi lordi “IVA compresa” e procedono a scorporare l’IVA da essi. Ad esempio, se hai incassato 122€ per un bene, considerano 100€ ricavo + 22€ IVA. Se però non lo fanno correttamente, bisognerà eccepirlo in difesa per non pagare IVA anche sul margine di profitto. Se l’Agenzia emette un accertamento IVA, dopo dovrai probabilmente anche presentare le dichiarazioni IVA “rettificative” per quegli anni, e come detto potresti incorrere in sanzioni per mancata fatturazione. Se però riesci a dimostrare che l’attività non era abituale (quindi non dovevi avere IVA), potresti ottenere l’annullamento della pretesa IVA. In caso contrario, prepara il portafoglio: oltre all’IRPEF dovrai versare l’IVA evasa più interessi e sanzione (che qui è del 90% riducibile).

D: Ho ricevuto un avviso di accertamento, posso ancora evitare di fare causa (ricorso)?
R: Sì, come spiegato nella sezione sulle definizioni agevolate, hai alcune vie per evitare il contenzioso:

  • Puoi fare acquiescenza entro 60 giorni pagando quanto dovuto con sanzioni ridotte a 1/3. Questo chiude la questione senza ricorso.
  • Puoi presentare istanza di accertamento con adesione entro 60 giorni: ciò sospende i termini di ricorso e ti consente di negoziare con l’ufficio un eventuale accordo (con sanzioni a 1/3 in caso di accordo).
  • Puoi eventualmente tentare una mediazione/reclamo se l’importo a controversia è sotto €50.000: in tal caso devi allegare al ricorso un’istanza motivata di reclamo e l’Agenzia può rispondere con una proposta di mediazione.

Tutte queste strade mirano ad evitare di arrivare davanti al giudice, o comunque a trovare un compromesso. Valuta con un esperto pro e contro. Se l’accertamento è parzialmente corretto, magari conviene adesione per limare gli importi. Se è totalmente sbagliato, ricorso diretto.

D: Quali documenti dovrei raccogliere per difendermi al meglio?
R: Conviene raccogliere:

  • Estratti conto bancari/postali e di PayPal (o altri wallet) dall’inizio alla fine del periodo contestato, evidenziando entrate e uscite relative alle vendite.
  • Storico vendite sulle piattaforme (alcune permettono di scaricare un report delle transazioni fatte nell’anno, con date e importi).
  • Ricevute di acquisto dei beni venduti, se le hai (scontrini, fatture originali quando tu comprasti l’oggetto).
  • Comunicazioni con gli acquirenti (email, chat) che possano provare eventi come resi/rimborsi, o la natura personale di alcune vendite.
  • Documenti fiscali se in qualche caso hai emesso ricevute o sei stato sostituto (es. su certe piattaforme se hai venduto tanto potrebbero averti chiesto ritenuta d’acconto, improbabile ma).
  • Eventuali prove fotografiche o di inventory: se hai foto dei tuoi oggetti a casa prima di venderli (es. collezioni, ecc.) per dimostrare che erano beni personali.
  • Documentazione reddituale: copia delle dichiarazioni presentate in quegli anni (per vedere se c’erano altri redditi o meno).

In generale, meglio fornire troppo che troppo poco in difesa: se un documento è irrilevante ci penserà il giudice a ignorarlo, ma se manca un documento cruciale poi non potrai produrlo a posteriori (in appello c’è il divieto di nuovi documenti salvo eccezioni). Quindi gioca tutte le carte subito.

D: Cosa rischio se ignoro l’accertamento e non pago?
R: Ignorare l’avviso equivale a lasciarlo diventare definitivo dopo 60 giorni. A quel punto l’importo diventa esecutivo: l’Agenzia delle Entrate Riscossione ti invierà una cartella di pagamento (o direttamente un avviso di addebito) e potrà attivare misure di recupero forzoso. Rischi quindi:

  • Interessi di mora che continuano a maturare.
  • Iscrizione a ruolo dell’intero importo, con notifica di cartella esattoriale.
  • Azioni cautelari/esecutive: fermo amministrativo su auto/moto, ipoteca su immobili di tua proprietà, fino a pignoramenti su conto corrente, stipendio, affitti, etc. per recuperare le somme.
  • L’ammontare inoltre potrebbe lievitare per l’aggio di riscossione e ulteriori costi.
  • Se l’importo di imposta evasa superava soglie penali, l’Agenzia segnalerà il tuo caso alla Procura, quindi rischi anche un procedimento penale con tutte le conseguenze (spese legali, eventuali sanzioni penali).

Insomma, non affrontare l’accertamento è la scelta peggiore. Anche se ritieni di non poter pagare, è preferibile presentare ricorso (magari chiedendo la sospensione dell’esecuzione al giudice) per prendere tempo e intanto negoziare una soluzione, piuttosto che subire direttamente le azioni di recupero.

D: Dopo aver subito un accertamento per il passato, posso continuare a vendere online?
R: Puoi, ma è fortemente consigliato regolarizzare l’attività se intendi proseguire con vendite frequenti. Se hai ormai “fatto outing” come venditore abituale (anche solo per il passato), l’Agenzia ti terrà d’occhio. Continuare a vendere in nero dopo un accertamento aumenta il rischio di un nuovo (e più severo) controllo. La scelta migliore è: valutare l’apertura di Partita IVA (magari regime forfettario al 15% se ne hai i requisiti) e iniziare a dichiarare regolarmente i redditi da e-commerce, oppure ridurre drasticamente l’attività di vendita occasionale sotto soglie significative. In base al tipo di beni venduti e al volume, un commercialista potrà consigliarti il regime giusto (ditta individuale, forfettario, ecc.). Se invece decidi di smettere totalmente di vendere, almeno non avrai nuove posizioni debitorie, ma ricorda che se hai magazzino residuo di beni acquistati prima, in teoria dovresti farne qualcosa (o venderlo comunque regolarmente). In ogni caso, dopo un accertamento concluso, l’importante è non perseverare nell’irregolarità, altrimenti le sanzioni future potrebbero essere anche più pesanti (recidiva) e non potrai invocare buona fede.

D: Serve la partita IVA se vendo oggetti fatti a mano (artigianato) su Etsy o simili?
R: Sebbene la domanda esuli un po’ da Vinted/Wallapop/eBay (che di solito sono usato, non creazioni proprie), rispondiamo brevemente: se vendi creazioni artigianali abitualmente, dovresti aprire partita IVA, inquadrandoti come artigiano o commerciante online. La disciplina è la stessa: la regola non dipende tanto da cosa vendi (usato vs fatto a mano) ma da come lo vendi (occasionale vs professionale). Purtroppo c’è un falso mito che “fino a 5.000 € si può vendere senza IVA”: come evidenziato anche da guide per Etsy, quella soglia non è un’esenzione nel commercio, vale solo per prestazioni occasionali di lavoro e non per vendite abituali. Quindi se inizi a vendere spesso le tue creazioni, devi metterti in regola (codice ATECO, PEC, iscrizione INPS, ecc.). Se vendi solo saltuariamente qualche oggetto fatto a mano, potrebbe rientrare nell’occasionalità (e in tal caso il ricavato sarebbe reddito diverso). Ma attenzione: molte piattaforme come Etsy pubblicamente dichiarano che devi avere Partita IVA se vendi su di esse. In conclusione, se sei un hobbista puro con poche vendite l’anno, niente IVA; se diventa un’attività con clientela, branding, ecc., allora sì, serve.

Conclusioni

L’aumento esponenziale del commercio online ha reso necessario un adeguamento delle regole fiscali e dei controlli. Oggi chi vende abitualmente su piattaforme come Vinted, Wallapop, eBay (ma anche Subito, Etsy, Amazon Marketplace ecc.) deve essere consapevole del quadro normativo: l’attività può generare obblighi fiscali e contributivi, e l’amministrazione finanziaria dispone di molti strumenti per scoprire chi non li adempie.

Dal punto di vista del contribuente, è fondamentale valutare onestamente la natura della propria attività di vendita: se è davvero un’attività economica continuativa, conviene regolarizzarla prima di subire sanzioni. Se invece è occasionale, è bene comunque tenere traccia di quanto si vende, così da poter dimostrare la propria buona fede in caso di controlli.

Qualora arrivi un avviso di accertamento, questa guida ha illustrato come difendersi efficacemente: attraverso il contraddittorio, il ravvedimento operoso, l’accertamento con adesione o il ricorso alle Corti tributarie, facendo valere le proprie ragioni – che si tratti di provare che le vendite erano personali e non tassabili, oppure di correggere il tiro sulle cifre contestate. Le sentenze recenti della Cassazione mostrano un orientamento severo verso chi vende online in modo continuativo senza dichiarare nulla, ma ciò non toglie che in sede di contraddittorio o giudizio si possano far valere elementi a favore del contribuente (specie su quantificazione del reddito e vizi procedurali).

In definitiva, il punto di vista del “debitore” – colui che riceve una richiesta dal Fisco – dev’essere improntato a: conoscenza dei propri diritti (il contraddittorio, la difesa tecnica), tempestività nelle azioni, trasparenza nella collaborazione (se opportuno) e fermezza nel contestare eventuali arbitri o errori del Fisco. Con la giusta strategia e, se necessario, l’ausilio di professionisti, anche un avviso di accertamento può essere gestito e risolto nel miglior modo possibile, evitando di pagare oltre il dovuto e magari riportando l’attività entro margini di legalità per il futuro.


Fonti e riferimenti normativi

  • D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – Art. 55 (Redditi d’impresa) e Art. 67, co.1, lett. i) (Redditi diversi, attività commerciali non esercitate abitualmente). Definiscono rispettivamente il reddito d’impresa e i redditi diversi derivanti da attività commerciali non abituali.
  • Codice Civile – Art. 2082 (Imprenditore) e Art. 2195 (Attività commerciali). Distinguono il concetto civilistico di imprenditore (richiede professionalità e organizzazione) dal novero delle attività economiche considerate commerciali. Richiamati nelle sentenze di Cassazione sulle vendite online.
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – Art. 2 e 5 (IVA – presupposto soggettivo e oggettivo). Stabilisce che sono soggette a IVA le cessioni di beni nell’esercizio di imprese, arti o professioni. Le vendite occasionali di beni del patrimonio personale mancano del requisito soggettivo IVA.
  • Legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Legge di bilancio 2022) – Recepimento Direttiva DAC7 nell’ordinamento italiano, con delega all’Agenzia Entrate per definire modalità attuative.
  • Provvedimento Agenzia delle Entrate 20 novembre 2023, Prot. 406671/2023 – Disposizioni attuative del D.Lgs. 8 novembre 2021 n. 188 (DAC7). Fissa termini e modalità per la comunicazione dei dati da parte dei gestori di piattaforme digitali.
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei Diritti del Contribuente) – Art. 7 (Chiarezza e motivazione degli atti) e Art. 6-bis introdotto dal D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 (Obbligo di contraddittorio preventivo generalizzato).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 – Disciplina dell’accertamento con adesione e altre forme di definizione agevolata (artt. 6-7, adesione; art. 15, acquiescenza).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – Art. 13 (Ravvedimento operoso) e Art. 12 (Cumulo giuridico di violazioni).
  • D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – Norme penali in materia tributaria: Art. 4 (Dichiarazione infedele), Art. 5 (Omessa dichiarazione), Art. 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, in parte attinente a omessa fatturazione rilevante). Art. 13 (Cause di non punibilità per pagamento del debito tributario).
  • D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 – Depenalizzazione di talune violazioni tributarie minori, rileva per sanzioni amministrative (es. omessa iscrizione CCIAA).
  • Circolare Agenzia Entrate 19/E del 6 maggio 2019 – (ipotetica, esplicativa su vendite online, se esistente; in realtà non vi sono circolari specifiche pubbliche su DAC7 per piccoli venditori, le indicazioni sono nei provvedimenti normativi).

Giurisprudenza

  • Cass., Sez. V Civ., 17 aprile 2023, n. 10117 – Ha affermato che la vendita occasionale di beni del patrimonio personale (nel caso, mobili di arredamento usati) non costituisce esercizio di attività commerciale, mancando intento speculativo, e i proventi non sono inquadrabili neanche come redditi diversi. Annullato avviso che aveva tassato il ricavato come reddito diverso ex art. 67 TUIR.
  • Cass., Sez. V, 8 marzo 2023, n. 6874 – Distinzione tra mercante d’arte (attività d’impresa) e speculatore occasionale che compra e rivende sporadicamente per lucro (redditi diversi). Conferma che pluralità di atti economici coordinati, ancorché senza professionalità abituale, configurano reddito diverso tassabile.
  • Cass., Sez. V, 23 novembre 2020, n. 26554 – Accertamento IVA e imposte su vendite online: legittimo tassare le vendite abituali su eBay; la buona fede del contribuente che credeva “marginale” il commercio tra privati non è rilevante. Ribadito che se le vendite non sono occasionali ma abituali, i guadagni non possono qualificarsi redditi diversi bensì d’impresa.
  • Cass., Sez. V, 21 marzo 2025, n. 7552 – (Caso eBay) Principio di diritto: “L’abitualità e continuità delle vendite online, anche in assenza di partita IVA, sono sufficienti a configurare un’attività d’impresa ai fini fiscali”. Il contribuente senza P.IVA che per anni effettua numerose vendite viene considerato imprenditore, a prescindere da una struttura organizzativa e dall’importo totale. Legittimo quindi l’accertamento che riqualifica i proventi come reddito d’impresa anziché redditi diversi. Nella sentenza si evidenzia la differenza tra nozione civilistica di imprenditore (2082 c.c., richiede organizzazione) e nozione tributaria (art. 55 TUIR, basta abitualità). Inoltre, la Corte ha toccato il tema dell’autofattura per acquisti senza fattura, sanzionando la mancata autofatturazione (100% IVA) ma escludendo il recupero dell’IVA a carico del cessionario in assenza di rivalsa.
  • Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 26107 e Cass. nn. 26987/2019 – (Ordinenze) Hanno ritenuto legittimo l’accertamento induttivo basato sulle vendite rinvenute su eBay, ribadendo che le transazioni tracciabili costituiscono valide presunzioni e spetta al contribuente la prova contraria.
  • Comm. Trib. Prov. di Firenze, sent. 03/19/2012 – (Precedente minore) Chiarisce che la nozione tributaria di esercizio di impresa ex art. 51 (oggi 55) TUIR è l’esercizio per professione abituale delle attività ex art. 2195 c.c., anche se non esclusiva. Quindi basta abitualità di operazioni e-commerce perché il Fisco configuri attività d’impresa.

Avviso di accertamento a venditore su Vinted, Wallapop e eBay? Fatti Difendere da Studio Monardo

Hai venduto capi, oggetti o collezioni online su Vinted, Wallapop o eBay e ora l’Agenzia delle Entrate ti ha notificato un avviso di accertamento?
Ti contestano attività commerciale non dichiarata, redditi imponibili o mancata apertura della partita IVA?

Nel 2025 il Fisco ha intensificato i controlli sulle piattaforme di vendita tra privati, utilizzando i dati trasmessi direttamente dai marketplace. Anche chi credeva di vendere saltuariamente può finire segnalato e accertato come imprenditore “di fatto”. Ma non tutte le contestazioni sono legittime.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’avviso ricevuto e ricostruisce la reale natura delle vendite effettuate
  • 📌 Verifica se sussistono gli elementi per qualificare l’attività come occasionale o commerciale
  • ✍️ Redige memorie difensive e istanze per contestare l’accertamento o chiedere l’annullamento parziale
  • ⚖️ Ti assiste nel ricorso tributario e in eventuali verifiche su conti bancari collegati
  • 🔁 Ti guida nella corretta gestione fiscale delle vendite online per evitare nuovi rischi

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in fiscalità digitale, contenzioso su e-commerce e vendite online
  • ✔️ Consulente per la difesa di venditori occasionali su marketplace (Vinted, Wallapop, Subito, eBay, Etsy)
  • ✔️ Consulente legale per soggetti senza partita IVA coinvolti in accertamenti fiscali per “vendite abituali”

Conclusione

Un avviso di accertamento per vendite su Vinted o eBay non significa automaticamente evasione fiscale, ma richiede una difesa tecnica.
Con il giusto supporto puoi dimostrare la tua buona fede, limitare i danni e tutelare il tuo patrimonio.

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