Hai ricevuto un’intimazione di pagamento dopo una sentenza di primo grado? Ti stai chiedendo se è legittima, se devi pagare subito o se puoi opporti? E cosa succede se presenti appello?
L’intimazione di pagamento è uno strumento con cui la parte vincitrice nel giudizio può chiedere l’esecuzione della sentenza, anche prima che diventi definitiva, a meno che non sia sospesa.
Cosa succede dopo la sentenza di primo grado?
– La parte che ha ottenuto una condanna al pagamento può notificarti l’intimazione di pagamento ex art. 480 c.p.c.
– L’atto contiene la richiesta di pagare entro 10 giorni dalla notifica
– Se non paghi, può partire l’esecuzione forzata: pignoramento del conto, dello stipendio, della casa o di altri beni
– Anche se presenti appello, la sentenza può essere provvisoriamente esecutiva, salvo che il giudice ne abbia disposto la sospensione
Quando la sentenza è esecutiva anche se non definitiva?
– In via generale, tutte le sentenze di condanna sono esecutive in primo grado, a meno che non sia prevista una sospensione
– Il creditore può iniziare il recupero subito dopo l’intimazione
– Presentare appello non blocca automaticamente l’esecuzione
– Per bloccare l’esecuzione, serve un provvedimento di sospensione da parte del giudice d’appello
Come puoi difenderti se ricevi un’intimazione di pagamento?
– Verifica i termini della sentenza e se ci sono motivi validi per opporsi o sospendere l’esecuzione
– Se hai già proposto appello, puoi chiedere al giudice d’appello la sospensione della provvisoria esecutività
– Se l’intimazione è viziata (es. mancano riferimenti alla sentenza o ai termini), puoi opporti con ricorso al giudice dell’esecuzione
– Se il credito è in parte inesatto o prescritto, puoi chiedere una rideterminazione
– Puoi anche tentare un accordo stragiudiziale o rateazione prima che inizi l’esecuzione forzata
Cosa rischi se non fai nulla?
– Dopo 10 giorni dalla notifica, il creditore può procedere con pignoramento del conto, stipendio, auto, immobili
– I costi aumentano: spese legali, di notifica e interessi
– Anche in caso di vittoria in appello, potresti aver subito danni gravi ed esborsi difficili da recuperare
Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– Sospensione dell’esecuzione in attesa della sentenza d’appello
– Opposizione all’intimazione o all’atto esecutivo, se irregolare
– Riduzione delle somme richieste, se il calcolo è scorretto
– Accordi transattivi o dilazioni, per evitare l’esecuzione forzata
– Protezione dei beni essenziali, nei limiti previsti dalla legge
Ricevere un’intimazione dopo una sentenza sfavorevole non significa essere senza difese. Ma serve agire subito e nel modo corretto.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso esecutivo e impugnazioni giudiziarie ti spiega come funziona l’intimazione di pagamento dopo una sentenza di primo grado, quando puoi evitarla e quali strumenti puoi usare per difenderti.
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Introduzione
In base al codice di procedura civile, l’intimazione di pagamento è formalizzata tramite l’atto di precetto (art. 480 c.p.c.), con cui il creditore intima al debitore di adempiere entro almeno 10 giorni l’obbligo risultante dal titolo esecutivo. Dal 28 febbraio 2023 la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti per legge (art. 282 c.p.c.): ciò significa che, se la sentenza reca una condanna al pagamento, il vincitore può già procedere immediatamente all’esecuzione, senza attendere l’appello. L’avvio dell’esecuzione si effettua notificando al debitore l’atto di precetto (intimazione), con l’avvertimento che, trascorsi almeno 10 giorni senza pagamento, si procederà al pignoramento dei beni.
- Titolo esecutivo: costituito dalla sentenza di condanna (anche provvisoriamente esecutiva) valida al momento della notifica. Ai sensi dell’art. 474 c.p.c., deve trattarsi di titolo certo, liquido ed esigibile. In caso di impugnazioni o modifiche sostanziali in appello, il titolo esecutivo può decadere (cfr. infra Cass. n. 21264/2024).
- Atto di precetto (intimazione): definito all’art. 480 c.p.c., consiste nella intimazione formale di adempiere il debito entro un termine non inferiore a 10 giorni. Deve contenere i dati delle parti, la trascrizione o indicazione del titolo esecutivo (sentenza), la somma dovuta e l’invito a pagare, oltre all’avvertimento dell’esecuzione coattiva in mancanza di pagamento. L’ufficiale giudiziario notifica tale atto al debitore, fatto che interrompe anche la prescrizione del credito.
Tabella riepilogativa: procedura di esecuzione dopo sentenza
Fase | Sentenza di 1° grado provvisoriamente esecutiva | Sentenza passata in giudicato (definitiva) |
---|---|---|
Titolo | Sentenza di primo grado con efficacia esecutiva (art. 282 c.p.c.) | Sentenza definitiva (titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.) |
Efficacia | Immediata tra le parti; esecutiva di regola (salvo sospensione) | Esecutiva, per definizione |
Notifica | Notifica del precetto/intimazione (art. 480 c.p.c.) | Stessa procedura: notificare precetto |
Termine | Decorrenti 10 giorni (salvo riduzioni con autorizzazione ex art. 482 c.p.c.) | Idem (10 giorni in difetto, art. 480 c.p.c.) |
Protesta | Debitore riceve intimazione e può pagare, opporsi all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., oppure proporre sospensione in appello (art. 283 c.p.c.) | Debitore può pagare o proporre opposizione (art. 615 c.p.c.) o, se ha impugnato in cassazione, l’efficacia è sospesa ex art. 2952 c.p.c. |
Sospensione | In appello il debitore può chiedere inibitoria (art. 283 c.p.c.) se la sentenza appare fondata o sussiste grave pregiudizio. In cassazione l’esecuzione è sospesa di diritto (art. 2952 c.p.c.). | Dopo il passaggio in giudicato non vi sono misure cautelari sul titolo; eventuale cassazione sospende ex art. 2952 c.p.c. |
Effetti annullamento | Se in appello la sentenza 1° grado viene annullata per vizi formali o errori di merito, il titolo esecutivo decade. Gli atti eseguiti prima permangono nel loro effetto limitato (Cass. 21264/24). | Analogamente, se anche in cassazione il titolo viene cancellato, scatta la decadenza (Cass. n. 21264/2024). |
Domande e risposte (punto di vista del debitore)
- Cosa comporta ricevere una intimazione di pagamento (precetto) dopo una sentenza di primo grado? Il precetto è un atto formale che informa il debitore di dover pagare una somma stabilita in sentenza entro un termine (minimo 10 giorni). Il debitore deve così scegliere se adempiere spontaneamente o opporsi. In caso di mancato pagamento decorso inutilmente il termine, il creditore procederà con il pignoramento. L’intimazione interrompe la prescrizione del credito.
- Posso contestare subito il precetto/intimazione? Sì. Se ci sono vizi formali del titolo o l’ammontare è discutibile, il debitore può proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 615 c.p.c. prima che inizi l’esecuzione. Nella pratica, si cita in giudizio il creditore entro 20 giorni dalla notifica (termine ordinario) per far valere le proprie ragioni. In essa possono essere eccepiti vizi del titolo, estinzione del debito (già pagato) o decadenze. Analoga opposizione preventiva è prevista ex art. 617 c.p.c. per terzi.
- Cosa devo fare se so di avere ragione (es. prescrizione del credito)? Nel caso di crediti tributari o simili, la Cassazione ha ricordato che l’eccezione di prescrizione o altra preclusione antecedente l’intimazione va sollevata impugnando l’intimazione di pagamento stessa. Non basta lamentarla nell’opposizione al pignoramento. In pratica, se il titolo deriva da atti amministrativi (cartelle, accertamenti), il debitore deve sollevare difese formali contro l’intimazione entro 60 giorni (ordinariamente davanti all’autorità tributaria). Per crediti civili, l’azione è dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., oppure si deposita la somma eventualmente dovuta con i relativi interessi presso il tribunale per evitare incertezze.
- Cosa succede se pago entro i 10 giorni? Il debito si estingue (salvo diversi accordi). Il creditore deve rilasciare quietanza. Non può più procedere all’esecuzione in relazione a quella parte di debito saldata. L’atto di precetto decade e l’esecuzione si interrompe per quella somma.
- Quali conseguenze ha l’appello del debitore? L’appello di norma non sospende automaticamente l’esecuzione: salvo misure speciali (vedi inibitoria infra), il creditore può proseguire. Il debitore può tuttavia chiedere al giudice d’appello l’inibitoria ex art. 283 c.p.c.: se dimostra che l’appello è manifestamente fondato o che l’esecuzione arrecherà grave pregiudizio (ad es. rischio di insolvenza irreversibile), il giudice può sospendere in tutto o in parte l’esecuzione. Tale istanza va presentata con l’impugnazione d’appello o tempestivamente in corso d’appello. Se l’appello è inammissibile o infondato, il giudice può anche sanzionare l’istanza azzardata con una multa (art. 283, comm. 3).
- E dopo il giudicato? Se gli eventuali gradi successivi (secondo grado e/o cassazione) si esauriscono senza modifiche, la sentenza diventa definitiva (passa in giudicato) e l’esecuzione procede “normale”. Dalla sua efficacia definitiva decorrono interessi legali (tasso di mora variabile) a favore del creditore, anche se l’esecuzione è iniziata già al primo grado. Il debitore può proporre opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c. e segg.) in primo grado di esecuzione, per contestare ancora il credito o i vizi del titolo. Se invece la sentenza viene annullata (per esempio la Corte d’Appello o la Cassazione riconosce un vizio), il titolo esecutivo originario decade automaticamente. Ciò implica che ogni successiva esecuzione basata su quel titolo cessa: ad esempio, la Cassazione n. 21264/2024 ha confermato che anche se l’appello adotta identica decisione di merito, resta vana la precedente esecutività della sentenza di primo grado, che si considera caducata.
- Cosa può fare un debitore nel frattempo? Il debitore ha varie strade: può offrire subito il pagamento totale (o la restituzione di quanto già eseguito) al creditore; può chiedere di concludere un accordo di composizione della crisi se è in difficoltà (legge 3/2012, l. 132/2015); può proporre un’istanza di concordato o di riequilibrio se è un imprenditore commerciale in crisi. In particolare, a valle del precetto, egli potrebbe anche procedere al deposito della somma dovuta presso il tribunale (art. 499 c.p.c.) per limitare le esecuzioni; oppure versare in via surrogatoria a un terzo affidabile, chiedendo che l’ordine di pagamento lo trasferisca (inibitoria, «contemporanea esecuzione»). Questi strumenti servono a tutelare il debitore onesto o l’interesse dei creditori a ottenere pari trattamento (par condicio creditorum). Tuttavia il nodo cruciale rimane che la mancata impugnazione dell’intimazione di pagamento può precludere serie eccezioni (cfr. Cass. 6436/2025).
Sintesi pratica (simulazioni):
- Caso 1 – Intimazione dopo provvisoria esecutività: Mario, imprenditore A, riceve giudizio di primo grado sfavorevole (sentenza per €10.000). La sentenza, provvisoriamente esecutiva per legge (art. 282 c.p.c.), funge da titolo esecutivo. Il creditore B notifica a Mario un atto di precetto (intimazione di pagamento) di €10.000+interessi, con decorrenza 10 giorni. Mario riceve il precetto e valuta: se ritiene il debito infondato (ad es. vizi procedurali o prescrizione), può subito proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. entro 20 giorni, oppure pagare. Decide di impugnare l’esecuzione. Formula l’opposizione sostenendo che il credito è prescritto e propone di sospendere l’esecuzione. Poiché l’appello è in corso, può contestualmente chiedere l’inibitoria (art. 283 c.p.c.) nell’atto d’appello. Se il tribunale accoglie l’inibitoria, l’esecuzione viene sospesa fino alla decisione d’appello; altrimenti, se respinge, Mario dovrà garantire il credito (per es. depositando il dovuto) o far valere le sue eccezioni tramite opposizione all’esecuzione. Se poi la sentenza di primo grado venisse annullata in appello (pur con identico risultato di merito), il titolo esecutivo decade, e Mario potrebbe chiedere la cessazione definitiva dell’esecuzione.
- Caso 2 – Esecuzione dopo passaggio in giudicato: Giulia ha vinto in primo grado una causa per €20.000 contro Luca. Luca non appella e la sentenza passa in giudicato. Giulia notifica quindi il precetto (intimazione) a Luca, che ha 10 giorni per pagare. Luca, ormai senza appello pendente, può solo pagare o opporsi (art. 615 c.p.c.) prima che parta il pignoramento. Se Luca continua a non pagare, Giulia procede con il pignoramento presso terzi sui crediti di Luca o su un immobile. Luca può opporsi anche in corso d’esecuzione (art. 615-617 c.p.c.), esponendo ad esempio l’avvenuto pagamento o errori nel computo. Se non paga né oppone validamente, Giulia incassa il credito tramite vendita forzata dei beni pignorati. Luca, se ha pochi mezzi, potrebbe considerare fin da subito di negoziare con Giulia o cercare protezione tramite la legge sulla crisi di impresa o un piano del consumatore, anche se la normativa italiana è severa sulla effettiva sospensione del debito altrui.
Conclusioni e riferimenti normativi
La disciplina vigente (riforma Cartabia del c.p.c.) riconosce al creditore il diritto di avviare l’esecuzione già al primo grado mediante l’intimazione di pagamento (atto di precetto). La “provisionalità” dell’esecuzione non toglie al debitore la possibilità di difesa: questi può impugnare l’intimazione e sospendere gli effetti dell’esecuzione chiedendo l’inibitoria in appello. Tuttavia, come indicato da recenti pronunce di legittimità (Cass. n. 6436/2025), per far valere certe eccezioni (es. prescrizione) il debitore deve fare attenzione ad impugnare per tempo gli atti esecutivi (in particolare l’intimazione stessa), pena la loro cristallizzazione. In caso di modifiche o annullamenti del provvedimento di condanna, il titolo esecutivo decade, con la conseguente interruzione dell’esecuzione.
Fonti: Codice di procedura civile (artt. 282, 283, 474, 480 c.p.c. aggiornati alla riforma del 2022); Cass. civ. sez. trib., sent. n. 6436/2025; Cass. civ. sez. III, ord. n. 21264/2024;
Intimazione di pagamento dopo sentenza di primo grado? Fatti Difendere da Studio Monardo
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Dopo una sentenza sfavorevole in primo grado, il creditore può agire immediatamente per riscuotere quanto stabilito, salvo sospensione espressa del giudice. Ma ci sono strumenti per difenderti, sospendere l’esecuzione e impugnare la decisione.
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Conclusione
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