Ex Titolare Di Sala Giochi Con Debiti: Come Difendersi

Sei stato titolare di una sala giochi o attività legata al gaming e intrattenimento e ora ti ritrovi a dover affrontare debiti con il Fisco, banche, fornitori o ex dipendenti? Ti hanno notificato cartelle esattoriali, pignoramenti o richieste di pagamento anche dopo la chiusura dell’attività? Ti stai chiedendo se puoi difenderti e come evitare di perdere tutto?

Molti ex gestori di sale giochi si trovano in difficoltà dopo la chiusura, soprattutto per la complessa gestione fiscale, i costi elevati, i controlli sulle licenze ADM e gli obblighi verso lo Stato. Ma anche se il debito è elevato, la legge ti offre strumenti concreti per proteggerti.

Quali debiti può avere un ex titolare di sala giochi?
– Cartelle esattoriali per IVA, IRPEF, INPS e imposta sugli intrattenimenti
– Debiti bancari per finanziamenti, leasing di macchine da gioco o impianti
– Fatture non saldate a fornitori di apparecchi, gestione software e locali
– Debiti verso dipendenti per stipendi arretrati o TFR
– Sanzioni per mancato rispetto delle norme sui giochi leciti e concessioni ADM
– Richieste personali se hai firmato fideiussioni o garanzie per la società

Cosa rischi se non intervieni in tempo?
Pignoramento di conto corrente, stipendio o pensione
Aggressione alla casa, all’auto o ad altri beni personali
Iscrizione a ruolo e blocco fiscale
Segnalazioni in Centrale Rischi e perdita di accesso al credito
– Crescita continua del debito per interessi e sanzioni

Come puoi difenderti se sei un ex titolare indebitato?
– Verifica se i debiti sono prescritti o se ci sono vizi di notifica nelle cartelle
– Se operavi come ditta individuale, valuta la procedura di sovraindebitamento per azzerare o ridurre drasticamente il debito
– Se avevi una società, verifica se puoi essere ritenuto personalmente responsabile o se ci sono limiti alla tua esposizione
– Controlla se ci sono i requisiti per un piano del consumatore o accordo con i creditori
– Valuta un saldo e stralcio con le banche o i fornitori
– Opponiti agli atti esecutivi se non fondati o viziati

Cosa puoi ottenere con la giusta difesa?
– Il blocco dei pignoramenti e la tutela del tuo patrimonio
– La riduzione del debito fino all’80% o la cancellazione totale in caso di incapienza
– La protezione della tua prima casa
– L’esclusione da responsabilità personali se hai operato tramite società
– Una vera possibilità di ripartire senza il peso delle vecchie esposizioni

Essere ex titolare di sala giochi non ti obbliga a pagare per tutta la vita. Con gli strumenti legali giusti puoi bloccare i creditori, ridurre il debito e salvare la tua stabilità economica.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento e crisi d’impresa ti spiega cosa fare se hai gestito una sala giochi ed ora hai debiti, quali sono i tuoi diritti e come puoi difenderti per evitare danni peggiori.

Hai ricevuto richieste di pagamento o cartelle che non riesci più a sostenere? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua situazione e ti diremo come ridurre o cancellare i debiti e tornare a vivere con serenità.

Introduzione

Chiudere definitivamente un’attività commerciale – come una sala giochi – non significa purtroppo chiudere automaticamente anche i debiti accumulati. Un ex titolare di sala giochi gravato da debiti si trova spesso ad affrontare creditori (banche, fornitori, Fisco, enti previdenziali) che reclamano quanto dovuto. In questa guida approfondita esamineremo come difendersi dai debiti residui dopo la cessazione regolare dell’attività, analizzando tutte le possibili strategie. Adotteremo un approccio avanzato, con riferimenti alla normativa italiana vigente (aggiornata a luglio 2025) e alle più recenti sentenze di legittimità, ma usando un linguaggio chiaro e divulgativo. Il punto di vista sarà quello del debitore, per aiutare privati, ex imprenditori e professionisti (e i loro legali) a orientarsi tra le soluzioni disponibili.

Affronteremo dapprima le tipologie di debito più comuni e i rischi di aggressione del patrimonio personale del debitore. Quindi passeremo alle possibili soluzioni extragiudiziali (come accordi stragiudiziali e piani di rientro) e soprattutto agli strumenti legali giudiziali per la gestione della crisi da sovraindebitamento, quali le procedure previste dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal luglio 2022). Approfondiremo istituti come l’esdebitazione (anche quella “incapiente” introdotta di recente), la composizione negoziata, le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) e gli strumenti fallimentari tradizionali applicabili se il debitore rientra tra i soggetti “fallibili”. Il tutto sarà corredato da tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande & Risposte (FAQ) su dubbi frequenti (ad esempio sulla protezione della prima casa, sul trattamento dei debiti fiscali, sui requisiti di meritevolezza, ecc.). In fondo, troverete un elenco completo delle fonti normative e giurisprudenziali citate.

Scenario di riferimento: Immaginiamo un ex imprenditore che gestiva una sala giochi e che, pur avendo chiuso regolarmente l’attività (cancellazione dal registro imprese, chiusura della partita IVA), rimane esposto verso vari creditori. Egli possiede alcuni beni personali aggredibili (ad es. un’abitazione, un’automobile, magari qualche risparmio) e vuole capire come evitare o limitare azioni esecutive (pignoramenti) e, se possibile, azzerare o ridurre i debiti residui tramite gli strumenti legali a sua disposizione. Affronteremo tutte le tipologie di debito rilevanti (debiti bancari, fiscali, previdenziali, verso fornitori, ecc.) e valuteremo le soluzioni sia stragiudiziali (accordi volontari coi creditori) sia giudiziali (procedure concorsuali minori, esdebitazione, ecc.) utili a perseguire la liberazione dal debito.

Debiti post-chiusura dell’attività: tipologie e rischi per il debitore

Dopo la cessazione di un’impresa individuale, i debiti contratti durante l’attività restano generalmente a carico dell’imprenditore (che risponde con il suo patrimonio personale, presente e futuro, ai sensi dell’art. 2740 c.c.). Nel caso di una ditta individuale (come spesso è una sala giochi di piccole dimensioni), non vi è distinzione tra patrimonio dell’azienda e quello personale: il titolare rimane obbligato verso i creditori anche dopo la chiusura. Se invece l’attività era esercitata tramite una società di capitali (es. una S.r.l. che gestiva la sala giochi), formalmente i debiti sociali restano in capo alla società anche dopo la liquidazione; tuttavia, l’ex amministratore o socio potrebbe comunque subire richieste di pagamento se ha prestato garanzie personali (fideiussioni bancarie, cambiali firmate personalmente) o se emergono sue responsabilità specifiche (ad es. per mancato versamento di ritenute fiscali o contributi, che può comportare obbligo in solido). In questa guida presupporremo che il debitore sia personalmente obbligato (tipico caso di ditta individuale o di debiti garantiti personalmente).

Elenchiamo le principali tipologie di debito che un ex titolare di sala giochi può trovarsi ad affrontare e i relativi rischi:

  • Debiti bancari e finanziari: mutui, finanziamenti, scoperti di conto o leasing contratti per l’attività. Se il titolare aveva acceso un mutuo ipotecario (es. per acquistare il locale) ed è rimasto insolvente, la banca creditrice potrà agire esecutivamente sull’immobile dato in garanzia (procedura di pignoramento immobiliare). Analogamente, finanziarie e altri creditori con garanzie reali possono far valere pegni o ipoteche sui beni vincolati. In assenza di garanzie, le banche sono creditori chirografari e possono tuttavia promuovere decreti ingiuntivi e pignorare i beni mobili o crediti del debitore (conti correnti, stipendio, ecc.). È frequente che l’imprenditore abbia rilasciato fideiussioni personali a garanzia di prestiti concessi alla sua attività: in tal caso, anche se il debito originariamente era in capo all’azienda, il garante risponde in proprio verso la banca. Pertanto, il fallimento o la liquidazione della società non protegge il patrimonio personale del fideiussore, che potrà essere escusso direttamente dai creditori finanziari.
  • Debiti verso fornitori e altri privati: fatture non pagate per acquisti di beni e servizi (macchinari da intrattenimento, manutenzioni, forniture di energia, affitto dei locali, ecc.). Questi sono debiti commerciali “ordinari”. I fornitori insoddisfatti possono agire giudizialmente ottenendo un titolo esecutivo (come una sentenza o decreto ingiuntivo) e procedere con pignoramenti nei confronti dell’ex titolare. In genere sono creditori chirografari (senza garanzie) e, in un’eventuale procedura concorsuale minore, verrebbero soddisfatti pro quota dopo gli eventuali creditori privilegiati. Tuttavia, sul piano esecutivo individuale, anche un fornitore può iscrivere un’ipoteca giudiziale sui beni immobili del debitore dopo aver ottenuto una condanna (per cautelarsi) o pignorare direttamente beni mobili, conti bancari e crediti del debitore. Per esempio, potrebbe pignorare l’incasso di eventuali affitti se il debitore loca un immobile, o una parte dello stipendio se l’ex imprenditore ha trovato un lavoro da dipendente.
  • Debiti fiscali e tributari: tasse non pagate relative all’attività (IVA, imposte sui redditi, IRAP) o tributi locali (TARI, ecc.), nonché eventuali cartelle esattoriali dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) per omessi versamenti. Questi debiti godono spesso di un privilegio nel concorso con altri crediti (il fisco è creditore privilegiato per molte imposte dirette e indirette). In ambito esecutivo individuale, l’Agente della Riscossione ha poteri speciali: può ad esempio iscrivere ipoteca sui beni immobili per debiti sopra determinate soglie e attivare fermi amministrativi su veicoli. Esiste però un importante limite legale: Agenzia Entrate-Riscossione non può ipotecare né pignorare l’immobile che costituisce l’unica* casa di abitazione del debitore (la cosiddetta “prima casa”), salvo rare eccezioni*. In base alla normativa attuale, l’espropriazione immobiliare da parte del fisco è vietata se l’immobile è adibito a residenza principale del debitore, non di lusso (categorie catastali escluse A/8 e A/9), e il debitore vi risiede anagraficamente, a condizione che non sia l’unico immobile di proprietà – in quest’ultimo caso vige un divieto generale. Inoltre, per procedere al pignoramento immobiliare il debito fiscale deve superare una soglia minima significativa (attualmente €120.000 di carico affidato e solo dopo aver iscritto ipoteca e atteso almeno sei mesi). Dunque, il fisco non può “toglierci la prima casa” in molte situazioni comuni; restano però aggredibili eventuali altri immobili di proprietà e altri beni. Il fisco può inoltre pignorare i conti correnti (anche con procedure veloci di pignoramento presso terzi) e stipendi/pensioni nei limiti di legge (solitamente 1/10 o 1/7 dello stipendio per fasce basse di reddito, fino a 1/5 per stipendi più elevati, secondo le regole speciali del D.P.R. 602/1973). Attenzione: il limite della “prima casa” riguarda solo l’Agente della Riscossione; creditori privati (banche, fornitori, ecc.) possono pignorare la prima casa del debitore se non vi sono altri beni da aggredire e ottengono un titolo esecutivo, poiché per loro non vige un analogo divieto legale. Dunque, la protezione della prima casa è parziale: tutela dal fisco, ma non mette al riparo da banche o creditori muniti di ipoteca.
  • Debiti verso enti previdenziali e assicurativi (INPS, INAIL): contributi obbligatori non versati per il titolare o per eventuali dipendenti, premi assicurativi, etc. Questi debiti vengono anch’essi iscritti a ruolo e affidati all’Agente della Riscossione (con emissione di cartelle esattoriali). Godono di privilegi analoghi a quelli tributari e seguono procedure di recupero simili (pignoramenti, ipoteche, fermi). Ad esempio, il mancato versamento di contributi previdenziali personali dell’ex titolare genera un debito privilegiato verso l’INPS, che potrà insinuarsi come tale in un’eventuale procedura concorsuale minore, oppure potrà procedere tramite AER per il recupero coattivo. Vale anche per questi enti il limite sul pignoramento della prima casa previsto per AER (essendo sempre l’Agente pubblico a eseguire). Da segnalare che debiti INPS per contributi dei dipendenti sfociati in cartella possono talvolta coinvolgere l’ex amministratore anche se l’azienda era una società, in quanto configurabili come violazioni con sanzioni personali.
  • Debiti verso dipendenti o collaboratori: se nell’attività vi erano dipendenti (es. addetti alla sala giochi) e alla cessazione risultano stipendi non pagati, TFR non corrisposti, ecc., tali crediti del lavoro hanno privilegio generale mobiliare e anche privilegio immobiliare sui beni del datore di lavoro (ex art. 2751-bis c.c.), collocandosi molto in alto in caso di concorso. I lavoratori possono ottenere decreto ingiuntivo rapidamente e procedere ad esecuzione forzata, eventualmente anche promuovendo un fallimento (liquidazione giudiziale) se il datore rientra tra i soggetti fallibili (per i lavoratori è prevista la legittimazione a chiedere il fallimento dell’imprenditore insolvente). Tuttavia, nel nostro scenario supponiamo che la sala giochi fosse piccola e magari priva di dipendenti fissi, quindi questo tipo di debito potrebbe non essere presente. Se presente, i crediti di lavoro andranno soddisfatti con priorità (in una procedura concorsuale minore sarebbero soddisfatti integralmente prima di altri, oppure coperti dal Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime mensilità, con surroga INPS nel concorso).
  • Debiti personali estranei all’attività: non vanno dimenticati eventuali debiti contratti come privato cittadino, che però ricadono comunque sul patrimonio del debitore (es. finanziamenti personali, carte di credito, debiti di gioco personali, spese mediche non saldate, ecc.). Tali debiti non derivanti dall’attività imprenditoriale rientrano nella definizione di debiti “civili”. Ai fini delle soluzioni di sovraindebitamento, sarà rilevante distinguere se il debitore agisce come consumatore (debiti per scopi estranei all’impresa) o come imprenditore. Nel nostro esempio l’ex titolare di sala giochi può avere entrambe le categorie di debito; la normativa comunque consente di trattarli globalmente nelle procedure di composizione della crisi, ma la qualifica incide su quale procedura specifica sia applicabile (piano del consumatore se i debiti sono prevalentemente personali, concordato minore se riferiti all’attività, ecc., come vedremo).

Rischi di aggressione del patrimonio: Tutti questi creditori possono attivare azioni esecutive individuali contro il debitore, salvo sia intervenuta una qualche forma di protezione o sospensione. I principali strumenti di aggressione sono: il pignoramento immobiliare (espropriazione di case, terreni di proprietà del debitore), il pignoramento mobiliare (su beni mobili, attrezzature, denaro contante, automezzi – spesso anticipato da un fermo amministrativo su veicoli) e il pignoramento presso terzi (di crediti che il debitore vanta verso terzi, tipicamente stipendio presso il datore di lavoro, conto corrente presso la banca, crediti verso clienti). Il pignoramento presso terzi dello stipendio o pensione è molto comune: la legge fissa un limite impignorabile minimo (es. pensione minima impignorabile fino a circa €1.000) e una quota pignorabile del resto (di norma fino a 1/5 per i creditori ordinari). Nel caso di più pignoramenti concorrenti, la trattenuta massima totale di regola non supera metà dello stipendio. Per il conto corrente, se su esso viene accreditato lo stipendio, resta impignorabile l’ultimo importo mensile depositato; oltre quello, la banca deve congelare le somme in base all’atto di pignoramento.

Va evidenziato che la chiusura regolare dell’attività (cancellazione camerale) non costituisce di per sé una protezione contro i creditori: serve solo a evitare nuove obbligazioni e a marcare temporalmente la cessazione. Se l’ex titolare ha beni intestati (ad esempio immobili, auto, conti) questi restano attaccabili. Nascondere o simulare la cessione dei beni è estremamente pericoloso: vendite di beni a prezzo irrisorio a parenti o simili prima delle esecuzioni possono essere revocate dai creditori (azione revocatoria) e, se fatte quando già si prospettava l’insolvenza, possono configurare reati (es. bancarotta fraudolenta patrimoniale, se il debitore era soggetto fallibile poi dichiarato fallito). Dunque, è sconsigliabile tentare di eludere i creditori in modo illegale; molto meglio percorrere le vie consentite dalla legge per proteggere il patrimonio essenziale e gestire o azzerare i debiti in eccesso.

Riassumendo, dopo la chiusura dell’attività il debitore rischia: espropriazioni forzate di beni mobili e immobili, garnishment di stipendi/pensioni, azioni legali di recupero crediti che possono portare anche a segnalazioni pregiudizievoli (pignoramenti iscritti nei registri, ipoteche giudiziali, protesti se vi erano assegni scoperti, ecc.). Nel caso di ex imprenditori commerciali non piccoli, è teoricamente possibile persino un’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) da parte di creditori se ricorrono i presupposti di legge (insolvenza e status di imprenditore non minore); tuttavia, se l’attività è cessata e l’impresa era di dimensioni ridotte, spesso non si percorre questa strada formale, lasciando il recupero alle vie esecutive ordinarie. Nella sezione seguente esamineremo prima le vie stragiudiziali per trovare un accordo coi creditori ed evitare le azioni appena descritte; successivamente entreremo nel dettaglio delle procedure giudiziali concorsuali a disposizione del debitore per risolvere in modo sistematico la propria esposizione debitoria.

Soluzioni stragiudiziali: accordi transattivi e piani di rientro

Prima di ricorrere a tribunali o procedure concorsuali, un ex imprenditore indebitato dovrebbe valutare le soluzioni stragiudiziali – cioè accordi volontari con i creditori – per regolare le proprie pendenze. Queste soluzioni, sebbene non garantite da effetti legali automatici come le procedure giudiziali, possono talvolta risultare più snelle e rapide, specie se il numero di creditori è limitato e se vi è spazio per una trattativa. Ecco i principali strumenti stragiudiziali:

  • Piano di rientro a saldo integrale (rateizzazione): consiste nel negoziare con ciascun creditore un piano di pagamento dilazionato nel tempo, magari con un calendario di rate sostenibili per il debitore. Questa opzione è tipicamente usata con i creditori istituzionali: ad esempio, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione consente per legge la rateizzazione dei debiti iscritti a ruolo fino a 72 rate mensili (6 anni) automaticamente per importi entro €120.000, o piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) in casi di comprovata difficoltà. Se il debitore ha debiti fiscali, presentare un’istanza di rateazione ad AER (anche online) può bloccare nuove azioni esecutive, dato che durante la rateizzazione in regola l’agente della riscossione sospende i pignoramenti. Anche le banche spesso preferiscono rinegoziare il debito concedendo piani di rientro (magari con un periodo di pre-ammortamento). Per i fornitori, un piano di rientro può essere formalizzato con un accordo scritto (meglio se omologato da un mediatore civile o un OCC – Organismo di Composizione della Crisi – per dare maggiore credibilità). Il vantaggio della rateizzazione è che evita di incorrere subito in procedure concorsuali; lo svantaggio è che il debito resta dovuto integralmente (spesso con interessi) e il debitore deve essere certo di riuscire a rispettare le scadenze, altrimenti tornerà punto e a capo, magari avendo perso tempo prezioso.
  • Saldo e stralcio (transazione a saldo parziale): questa è una trattativa privata in cui il debitore propone di pagare solo una parte del debito (ad esempio il 20-50%) in un’unica soluzione o in poche tranche, ottenendo in cambio dal creditore una liberatoria per l’intero importo. Si parla di “saldo e stralcio” proprio perché si salda una quota e si “stralcia” il residuo. Molti creditori chirografari preferiscono incassare subito una percentuale concordata piuttosto che avviare lunghe azioni legali dall’esito incerto. Ad esempio, un ex titolare con un debito di €50.000 verso un fornitore potrebbe offrire €15.000 subito, magari con l’aiuto di un parente, in cambio della rinuncia a ogni ulteriore pretesa (formalizzata per iscritto). Anche banche e finanziarie a volte accettano transazioni riduttive, soprattutto se il debitore non ha beni aggredibili facilmente: preferiscono un importo ridotto ma certo piuttosto che inseguire il debitore per anni. Per i debiti fiscali, lo stralcio non è a discrezione del singolo funzionario ma avviene tramite normative ad hoc: ad esempio, varie “rottamazioni delle cartelle” sono state varate (l’ultima nel 2023, cosiddetta rottamazione-quater, permetteva di pagare solo l’imposta senza sanzioni né interessi di mora). Nel 2023 il legislatore ha anche previsto l’annullamento automatico dei debiti fino a €1.000 affidati ad AER dal 2000 al 2015. Queste misure di definizione agevolata sono soluzioni stragiudiziali di massa offerte dallo Stato, e il debitore farebbe bene a monitorare se ve ne sono di attive per approfittarne. Al di fuori di queste, è possibile tentare una transazione fiscale individuale solo all’interno di procedure concorsuali o in adesione agli istituti della crisi (si veda oltre per transazione fiscale nel piano del consumatore o concordato). In ambito puramente stragiudiziale, invece, il singolo contribuente non può ottenere dallo Stato uno sconto se non è previsto dalla legge (ma può comunque rateizzare come detto).
  • Moratorie e accordi di tolleranza: in alcuni casi, più che uno stralcio, è utile ottenere una moratoria (sospensione temporanea dei pagamenti) sperando in tempi migliori. Ad esempio, se l’ex imprenditore sta cercando di vendere un immobile per pagare i creditori, può chiedere loro (soprattutto alle banche) di attendere a iniziare procedure esecutive, magari sottoscrivendo un accordo in cui si impegna a vendere entro X mesi e a destinare il ricavato ai crediti. Questi accordi di “standstill” sono frequenti nelle ristrutturazioni del debito aziendale e possono valere anche su piccola scala in via informale. Ovviamente il creditore non è obbligato ad aderire, ma spesso se vede collaborazione e intravede una prospettiva di recupero migliore aspettando (ad es. vendita senza asta giudiziaria che svaluta il bene) potrebbe accettare.
  • Assistenza di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) in fase stragiudiziale: gli OCC, istituiti presso vari enti (Camere di Commercio, Ordini professionali, Comuni convenzionati), sono preposti ad assistere i debitori nelle procedure di sovraindebitamento. Nulla vieta però di consultarli anche prima di avviare una procedura giudiziaria, per avere un loro parere sulla fattibilità di un accordo. Alcuni OCC possono fungere da mediatori tra debitore e creditori anche in assenza di una procedura formale, cercando soluzioni concordate. Non è un obbligo di legge, ma data la loro esperienza, possono aiutare a predisporre proposte credibili. Ad esempio, possono redigere un piano di rientro con la firma del Gestore della Crisi che attesta la situazione, il che potrebbe convincere i creditori della bontà dell’accordo (sapendo che l’alternativa sarebbe l’avvio di una procedura concorsuale in cui forse otterrebbero di meno).

Le soluzioni stragiudiziali presentano il vantaggio di evitare formalità e pubblicità (nessuna iscrizione in registri fallimentari, nessuna sentenza), e di mantenere il controllo diretto della trattativa. Il limite principale è che richiedono il consenso dei creditori: se anche uno solo dei principali creditori non è disposto a transigere o dilazionare, il debitore rimane esposto alle sue azioni. Inoltre, un accordo stragiudiziale non coinvolge automaticamente eventuali garanti: se Tizio ottiene uno sconto dalla banca sul suo debito personale, il garante Caio (se non parte dell’accordo) potrebbe essere perseguito per l’intero – quindi occorre includere nell’intesa tutti i soggetti rilevanti. Infine, senza omologazione giudiziale, un accordo stragiudiziale non blocca di per sé l’azione di creditori estranei: ad esempio, pagando 3 su 4 fornitori, il quarto può comunque agire. Dunque, queste soluzioni funzionano meglio quando il numero di creditori è ridotto o quando tutti (o almeno la stragrande maggioranza) aderiscono all’accordo.

Un consiglio pratico: valutate sempre la sostenibilità del piano stragiudiziale e predisponete documentazione chiara sulla vostra situazione (entrate, uscite, valore dei beni) da esibire ai creditori per convincerli. Mostrarsi proattivi e trasparenti aumenta la fiducia. Se però il debito complessivo è troppo alto rispetto alle possibilità, o qualche creditore è inflessibile, è il segnale che bisogna considerare le soluzioni giudiziali, di cui parliamo nei prossimi capitoli, che offrono strumenti più “forti” per gestire la crisi imponendo talvolta ai creditori delle perdite ma con l’avallo di un tribunale.

Le procedure giudiziali di composizione della crisi: opzioni per l’ex imprenditore indebitato

Quando i debiti superano la capacità di rimborso e non si riesce a trovare un accordo bonario con tutti i creditori, l’ordinamento italiano mette a disposizione del debitore una serie di procedure concorsuali (ossia procedure giudiziali collettive) finalizzate a risolvere la crisi da sovraindebitamento, eventualmente anche con la cancellazione di parte dei debiti (esdebitazione). Queste procedure sono state recentemente riordinate e innovate con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 14/2019 – operativo dal 15 luglio 2022, e successivamente integrato e corretto (da ultimo con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024). Nel nuovo assetto, la vecchia distinzione tra fallimento e procedure minori è stata in parte superata: oggi si parla di liquidazione giudiziale (ex fallimento) per le imprese di dimensioni rilevanti, mentre per i debitori “civili” o piccoli imprenditori vi sono le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, ora inserite a pieno titolo nel Codice. In sostanza, anche chi prima rientrava nella cosiddetta “insolvenza civile” (consumatori, piccoli imprenditori non fallibili) ha a disposizione strumenti concorsuali normati nel CCII, che riprendono e migliorano quelli introdotti originariamente dalla Legge 3/2012 (nota come “legge salva suicidi”).

Dal punto di vista del debitore, l’obbiettivo di queste procedure è duplice: evitare l’aggressione disordinata del patrimonio da parte dei creditori (mediante una regolamentazione concordata o una liquidazione controllata) e, nei casi previsti, ottenere l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui insoddisfatti, così da potersi reinserire nel tessuto economico senza la zavorra di obbligazioni impagabili. Esamineremo in dettaglio le varie opzioni concorsuali, distinguendo tra:

  1. Procedure di regolazione del sovraindebitamento (applicabili a consumatori, imprenditori minori e categorie assimilate), ovvero: il Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”), il Concordato minore (ex “accordo di composizione” per imprenditori minori), la Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”) e la particolare Esdebitazione del debitore incapiente (la novità introdotta nel 2020, confermata dal Codice). Queste procedure sono caratterizzate dal fatto di svolgersi presso il Tribunale in composizione monocratica (un giudice) con l’ausilio obbligatorio di un professionista nominato (il Gestore della crisi, normalmente un commercialista o avvocato dell’OCC). Si tratta di strumenti volontari (avviati su iniziativa del debitore) e accessibili a chi non può accedere alle procedure “maggiori”. Approfondiremo requisiti e funzionamento a breve.
  2. Procedure concorsuali “maggiori” (in particolare il Concordato preventivo e la Liquidazione giudiziale), teoricamente applicabili se l’ex titolare di sala giochi rientrasse tra gli imprenditori assoggettabili a fallimento (oggi liquidazione giudiziale). Tuttavia, poiché il nostro caso-tipo riguarda un’attività presumibilmente di piccole dimensioni (sala giochi locale), è probabile che l’imprenditore fosse un “piccolo” non fallibile. Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 2, co.1, lett. c) CCII, si considera “imprenditore minore” colui che congiuntamente non supera determinati parametri: attivo patrimoniale annuale €300.000, ricavi €200.000, debiti totali €500.000. Chi rientra in questi limiti non è soggetto alla liquidazione giudiziale (ex art. 1 L.F. previgente, confermato in sostanza nel Codice) e pertanto utilizza le procedure di sovraindebitamento. Se invece l’attività avesse superato tali soglie, il debitore – pur cessata l’impresa – potrebbe essere dichiarato insolvente in sede di Tribunale fallimentare. In tal caso, le strade percorribili sarebbero: il Concordato preventivo (se si ha un piano da proporre ai creditori per evitare la liquidazione) oppure la Liquidazione giudiziale vera e propria (con nomina di un curatore) seguita dalla possibile esdebitazione post-liquidatoria. Nel prosieguo toccheremo brevemente anche questi istituti per completezza, pur focalizzandoci sullo scenario più tipico dell’ex piccolo imprenditore.
  3. La Composizione negoziata della crisi d’impresa, infine, è uno strumento ibrido introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021) e ora disciplinato anch’esso nel Codice (artt. 12-25 CCII). Si tratta di una procedura volontaria non giudiziale, in cui l’imprenditore (anche medio-grande) in difficoltà può chiedere la nomina di un Esperto indipendente per facilitare le trattative con i creditori, beneficiando nel frattempo di misure protettive (stay delle azioni esecutive) con minima interferenza dell’autorità giudiziaria. La composizione negoziata è nata per gestire precocemente la crisi d’impresa ed evitare l’insolvenza conclamata. Nel nostro contesto – l’attività è già cessata e la posizione debitoria è personale – questo istituto ha rilevanza solo teorica; tuttavia lo descriveremo sinteticamente per completezza, specie alla luce delle novità normative del 2024 che ne hanno ampliato l’accesso (ora è espressamente ammessa anche quando l’impresa è già insolvente conclamata, non solo in squilibrio). La composizione negoziata è più utile prima di chiudere l’attività, per cercare un risanamento o una soluzione concordata che eviti la fine dell’impresa. Se l’impresa è già stata chiusa, difficilmente si attiverebbe questo percorso, a meno che l’imprenditore decida di riavviare l’attività o un’altra attività e voglia gestire la crisi residua in maniera negoziata.

Delineate le opzioni generali, passiamo ad analizzare una per una le procedure di sovraindebitamento e i relativi effetti, per poi accennare ai procedimenti fallimentari tradizionali e alla composizione negoziata.

Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”)

Il piano del consumatore – ribattezzato dal Codice “ristrutturazione dei debiti del consumatore” – è la procedura riservata alle persone fisiche consumatrici, cioè che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa o professionale. Molti ex imprenditori, una volta cessata l’attività, ricadono di fatto nella categoria di consumatori per i debiti personali (ad esempio debiti di natura familiare, debiti di garanzia per mutui prima casa, spese private). Tuttavia, va chiarito che se i debiti maggiori sono stati contratti nell’ambito dell’attività, probabilmente si dovrà optare per il concordato minore o la liquidazione controllata; il piano del consumatore è indicato quando il grosso dell’esposizione è verso banche, fisco, ecc. ma come privato (o comunque può essere considerato tale – la giurisprudenza ha ammesso ad esempio un ex socio di società cessata a fare il piano del consumatore per i debiti derivanti da fideiussioni bancarie, ritenendoli “estranei all’attività attuale” e quindi da consumatore).

Caratteristiche principali: Il piano del consumatore è un piano di pagamento dei debiti proposto dal debitore al tribunale, con l’ausilio dell’OCC, che non richiede l’accordo dei creditori (i creditori non votano). È quindi una procedura molto vantaggiosa per il debitore onesto ma sfortunato: se il giudice ritiene il piano fattibile e “meritevole”, lo omologa anche senza il consenso dei creditori. L’assenza del voto dei creditori è un tratto distintivo (diversamente dal concordato minore); tuttavia, i creditori partecipano comunque all’udienza di omologazione e possono fare opposizione se ritengono il piano iniquo o irregolare. Il tribunale, valutate le posizioni, può imporre il piano con decreto di omologa, rendendolo vincolante per tutti.

Condizioni di ammissibilità: Il debitore deve essere un consumatore sovraindebitato (quindi niente debiti da attività attuale) e deve superare un vaglio di meritevolezza. In passato, la legge 3/2012 conteneva un rigido “triplice test” di meritevolezza (assenza di colpa grave, sproporzione nell’indebitamento, ecc.), ma la riforma del 2020 ha semplificato molto i criteri: oggi il piano è precluso solo se il debitore ha determinato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. Non si indaga più, ad esempio, se avesse una “ragionevole prospettiva” al momento di assumere i debiti o se c’è stata imprudenza generica: conta solo che non vi siano frodi o colpe gravi intenzionali. La Cassazione nel 2023 ha chiarito che la valutazione va fatta in modo unitario e complessivo, considerando l’origine dell’indebitamento in tutta la sua dinamica, senza cristallizzarsi su ogni singolo finanziamento acceso imprudentemente. In pratica, il giudice deve verificare che il consumatore non abbia volutamente truffato i creditori o assunto debiti sapendo di non poterli pagare con dolo o colpa gravissima. Eventi imprevedibili e crisi economiche sopravvenute giocano a favore del debitore (shock esogeni); il fatto di aver fatto errori di valutazione non basta per escludere la meritevolezza, a meno che non siano errori veramente gravi ed evitabili. Esempio: un consumatore che ha accumulato debiti per cure mediche e perdita del lavoro è chiaramente meritevole; uno che ha sperperato in gioco d’azzardo e lussi a credito potrebbe essere ritenuto non meritevole se ciò integra colpa grave (i confini talvolta sono sfumati, ma l’orientamento attuale è più indulgente col debitore rispetto al passato). Inoltre, il CCII prevede che il debitore non debba aver già beneficiato di un’esdebitazione nei 5 anni precedenti, né più di due volte in totale (quindi il piano del consumatore non si può usare a ripetizione indefinita: al massimo due volte nella vita, e non ravvicinate).

Contenuto del piano: Il piano deve indicare in modo dettagliato come il consumatore intende pagare (anche solo in parte) i propri debiti, in quali tempi e con quali risorse. Può prevedere le forme più varie: rate mensili prelevate dallo stipendio, realizzo di alcuni beni (vendita di un immobile o di un’auto) per pagare i creditori, oppure la prosecuzione di un mutuo ipotecario esistente. È ammesso pagare in modo differenziato i creditori, purché il piano assicuri che nessuno riceva meno di quanto otterrebbe in una ipotetica liquidazione (principio del “miglior soddisfacimento possibile”). Ad esempio, il piano può proporre che i debiti verso il fisco (privilegiati) siano pagati al 40%, quelli verso le banche al 20%, i fornitori al 5%, se si dimostra che nella liquidazione essi otterrebbero zero e quindi anche poco è meglio di nulla. La durata del piano non è predeterminata dalla legge: potrebbe essere pluriennale (5, 7, 10 anni). In passato c’era un dubbio sul pagamento dei creditori privilegiati (come i mutui ipotecari) oltre il limite di 1 anno dalla omologa, perché la vecchia legge menzionava una moratoria massima di 1 anno salvo liquidazione del bene. Tuttavia, la giurisprudenza – e ora la riforma – hanno chiarito che non esiste un divieto rigido di dilazione ultrannuale dei crediti privilegiati: si possono pagare in più anni, purché i creditori abbiano la possibilità di esprimersi sulla proposta e purché il piano risulti più conveniente rispetto alla vendita forzata immediata. La Cassazione con ordinanza n. 4622/2024 ha ribadito che una moratoria anche oltre 12 mesi verso i creditori ipotecari è ammessa, fermo restando che i creditori siano sentiti in udienza e che, se il piano è più vantaggioso dell’alternativa liquidatoria, il giudice può omologarlo anche senza il consenso formale della banca. In pratica, è possibile “salvare la prima casa” inserendo nel piano la continuazione del mutuo o un suo rientro graduale rinegoziato: molti tribunali hanno approvato piani che evitano la vendita all’asta dell’abitazione principale, quando il debitore è in grado di sostenere le rate e paga almeno il valore di mercato dell’immobile. Ad esempio, se il mutuo residuo è €150.000 ma la casa ne vale €100.000, un piano potrebbe prevedere di pagare €100.000 dilazionato (o continuare a pagare le rate) e stralciare la parte eccedente – questo è stato fatto in casi concreti, ritenendo preferibile far tenere la casa al debitore e incassare €100k piuttosto che venderla all’asta a €60k. La Constituzionalità di includere anche debiti oggetto di pignoramento già avviato è stata confermata: la Corte Costituzionale ha stabilito che anche i debiti già sottoposti a pignoramento con trattenuta sullo stipendio possono essere ristrutturati e ridotti nel piano, nonostante una precedente ordinanza di assegnazione; ciò in quanto l’art. 8 co.1-bis L.3/2012 (oggi trasfuso nel CCII) va interpretato estensivamente a includere anche le cessioni coattive del quinto. In altre parole, anche se un creditore ha già ottenuto dal giudice il prelievo mensile sullo stipendio del debitore, il piano può intervenire e falcidiare quel debito residuo, bloccando la prosecuzione del pignoramento (che verrà inefficace dopo l’omologa del piano). Questa è una notizia molto importante per il debitore: vuol dire che si può “liberare” il quinto pignorato dallo stipendio tramite un piano omologato, rinegoziando quella posizione all’interno del piano stesso.

Procedimento: Il consumatore deposita ricorso al tribunale competente (sua residenza) allegando il piano, i documenti contabili, l’elenco dei creditori e la relazione dell’OCC che attesta attendibilità dei dati e convenienza per i creditori. Può contestualmente chiedere misure protettive: il giudice, se le concede, sospende le azioni esecutive in corso (pignoramenti, distacchi di utenze, ecc.) per la durata dell’omologazione. Non c’è automatic stay ex lege (non scatta cioè automaticamente), ma su istanza il giudice può emettere decreto di sospensione per evitare che i creditori compromettano la fattibilità del piano durante l’esame. Segue un’udienza in cui i creditori possono comparire ed eventualmente opporsi. Il giudice valuta la fattibilità economica (che il debitore possa eseguire il piano) e la meritevolezza. Se tutto è a posto, omologa il piano con decreto. Da quel momento, il piano diventa vincolante e sostituisce le obbligazioni originarie: i creditori dovranno incassare quanto previsto nel piano e nient’altro, eventuali procedure esecutive pendenti cessano di avere effetto (ad es. un pignoramento dello stipendio in corso verrà revocato, sostituito dalla nuova cessione eventualmente prevista dal piano stesso). Il debitore guadagna tempo e riduzione del debito secondo i termini approvati.

Esdebitazione nel piano del consumatore: Una volta eseguiti i pagamenti previsti, il debitore ottiene la definitiva esdebitazione per la parte di debiti che non è riuscito a pagare nel piano. L’omologazione del piano in sé non azzera subito i debiti, ma li “congela” secondo i termini del piano; l’esdebitazione interviene dopo che il piano è stato adempiuto (se il debitore esegue correttamente tutto, viene liberato da eventuali importi residui). Se invece il piano non viene adempiuto sostanzialmente, i creditori tornano liberi di agire per le somme originarie, salvo eventuali atti esecutivi compiuti nel frattempo (di solito il fallimento del piano del consumatore è una situazione da evitare perché si ritorna al punto di partenza e i creditori possono essere ancor più aggressivi). Il Codice oggi consente al giudice, su istanza del debitore, di dichiarare comunque l’esdebitazione parziale anche se il piano non è stato completato, purché il debitore abbia versato ai creditori almeno il 10% delle somme dovute nel piano e dimostri che il mancato integrale adempimento dipende da cause a lui non imputabili (es. una malattia sopravvenuta che gli ha impedito di lavorare) – questo è un ulteriore elemento di favore verso il debitore introdotto dal nuovo Codice.

In sintesi, il piano del consumatore è uno strumento potente per un ex imprenditore che sia ora di fatto un privato cittadino con debiti: consente di imporre ai creditori una soluzione sostenibile, con eventuali stralci di parte dei debiti, mantenendo i beni essenziali (come la casa) se si riesce a pagare il loro valore. La chiave di successo è presentare un piano realistico, onesto e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. Bisogna dimostrare di essere in buona fede e di offrire tutto il ragionevolmente fattibile. Il supporto di un OCC esperto è determinante per redigere un piano solido e per certificare la fattibilità.

Concordato minore (ex “accordo di composizione”) per imprenditori minori

Il concordato minore è la procedura parallela al piano del consumatore destinata però ai debitore non consumatore, cioè all’imprenditore “minore” (piccolo) o altri soggetti non fallibili come l’imprenditore agricolo, il professionista, la start-up innovativa, etc.. In pratica, se l’ex titolare di sala giochi viene considerato ancora come imprenditore (anche se l’attività è cessata, i debiti contratti per essa lo qualificano come tale) e non come consumatore, la procedura da utilizzare per proporre un accordo ai creditori è il concordato minore.

Somiglianze e differenze col piano del consumatore: Il concordato minore, a differenza del piano, prevede il voto dei creditori. Funziona in modo analogo a un piccolo concordato preventivo: il debitore propone un piano di ristrutturazione, i creditori votano e serve il raggiungimento di una maggioranza perché il tribunale possa omologarlo. La maggioranza richiesta è quella dei crediti ammessi al voto (esclusi i privilegiati se non rinunciano a privilegio) pari ad almeno il 51%. In assenza di tale adesione, il concordato minore non può essere omologato (salvo meccanismi di cram-down fiscale se l’erario dissenziente è irragionevole, in analogia con l’art. 12-ter L.3/2012, ma sono dettagli oltre lo scopo). Il concordato minore non richiede la meritevolezza riguardo all’indebitamento pregresso (quel filtro vale solo per i consumatori); tuttavia richiede che il debitore non abbia commesso atti in frode ai creditori e abbia i requisiti soggettivi (piccolo imprenditore ecc.). Inoltre, come per il piano, non bisogna aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti né più di due volte in totale.

Quando è utile il concordato minore: Questa procedura è particolarmente indicata se l’ex imprenditore intende offrire ai creditori un piano che comporta la continuazione dell’attività o l’apporto di nuova finanza esterna. Infatti, il CCII specifica che il concordato minore può essere proposto anche per continuare l’attività (se sostenibile) oppure, se l’attività è cessata, deve prevedere un apporto di risorse esterne che aumenti apprezzabilmente il soddisfacimento dei creditori. In altre parole, non si può usare il concordato minore per liquidare semplicemente il nulla: se non c’è azienda da salvare e non ci sono nuovi capitali da terzi, allora tanto varrebbe la liquidazione controllata. Dunque un ex titolare di sala giochi potrà ricorrere al concordato minore se, ad esempio, c’è la possibilità di reimpiegarsi come imprenditore (riaprire un’attività magari ridimensionata) oppure se un familiare è disposto a mettere soldi per chiudere i debiti a saldo e stralcio generale. Esempio pratico: Tizio, ex gestore di sala giochi, vuole evitare la vendita di casa sua e continuare a utilizzarla per aprire un B&B; propone ai creditori un concordato minore in cui promette di pagarli in 5 anni usando il reddito del nuovo B&B, e in più suo fratello apporta €20.000 in contanti subito. In tal caso c’è una prospettiva di prosecuzione (nuova attività) e apporto esterno – tipicamente scenario da concordato minore.

Contenuto e struttura: Il contenuto del concordato minore è libero, simile al piano del consumatore, ma deve prevedere di regola una qualche utilità per i creditori superiore alla liquidazione. Può anche qui consistere in pagamenti parziali e dilazionati. Un aspetto importante: poiché c’è il voto, se nel piano si intende falcidiare crediti privilegiati (es. pagare un ipotecario al 50% perché l’immobile vale la metà), il creditore privilegiato ha diritto di voto sulla proposta. Servirà quindi convincere anche quel creditore della convenienza della proposta. Spesso, nel concordato minore, i debiti fiscali e contributivi assumono rilievo: la legge consente di includerli, ed è possibile anche qui stralciare IVA e ritenute (dal 2019, grazie alla dichiarazione di incostituzionalità della norma che lo vietava, è ammesso inserire IVA non pagata trattandola come un qualsiasi credito erariale). Nel CCII, l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali partecipano e votano nei concordati minori; se dovessero votare contro ma la proposta verso l’erario prevede almeno il pagamento del 10% del loro credito, il giudice può omologare lo stesso se ritiene la loro adesione arbitrariamente negata (c.d. cram-down fiscale, ex art. 48 CCII, ereditato dall’art. 12-ter L.3/2012 e dalla sent. Corte Cost. 247/2020). Questo significa che anche col fisco si può scendere a compromessi nelle procedure concorsuali: non è necessario pagare il 100% di IVA e contributi, si può proporre un pagamento parziale, e il giudice può superare il dissenso del fisco purché la percentuale offerta non sia simbolica e il piano sia serio.

Procedimento e tutela del debitore: Come per il piano, il debitore può chiedere al tribunale misure protettive appena depositata l’istanza di concordato minore (con conseguente sospensione dei pignoramenti, ecc.). Viene nominato un Gestore della crisi (OCC) che aiuta a predisporre la proposta e che vigilerà sull’esecuzione in caso di omologa. Si procede poi con il voto dei creditori: se la maggioranza approva, il tribunale passa all’omologa, verificando meramente legalità e convenienza (la convenienza è “certificata” dal voto stesso, ma il tribunale controlla che i creditori dissenzienti non ricevano meno di quanto avrebbero in liquidazione). Se il concordato è omologato, vincola tutti i creditori anteriori. Gli effetti sono similari al piano: le obbligazioni originarie si modificano secondo i termini della proposta. Il debitore si impegna a eseguire il piano, spesso sotto supervisione dell’OCC.

Esdebitazione: Se il concordato minore viene eseguito regolarmente, il debitore è liberato dai debiti residui non soddisfatti. Va notato che nel concordato minore la liberazione dai debiti avviene ipso iure per effetto dell’omologazione e del successivo adempimento del piano, senza bisogno di ulteriori istanze. Se però il debitore non adempie e il concordato risolve, i creditori riacquistano i loro diritti per intero (salvo le somme eventualmente già incassate, ovviamente) e possono agire esecutivamente. Anche qui, analogamente al piano, il CCII prevede possibili misure di clemenza: ad esempio, se il debitore ha pagato almeno il 10% di quanto dovuto e il mancato completo adempimento non è colpa sua, potrebbe essere comunque esdebitato a certe condizioni, su valutazione del giudice.

In conclusione, il concordato minore è uno strumento più contrattuale rispetto al piano del consumatore: richiede di convincere i creditori. Per un ex imprenditore con molti debiti d’impresa, può essere difficile ottenere il sì di tutti – ma non serve unanimità, basta la maggioranza del 51% in valore. Può capitare che banche e fornitori, valutata la trasparenza del debitore e la bontà del piano, votino a favore perché intravedono un recupero migliore. È fondamentale che il debitore presenti la proposta con buona fede (la scoperta di atti in frode – es. sottrazione di beni – farebbe saltare tutto) e con l’aiuto di un professionista per stimare i valori di liquidazione alternativa. Spesso, nel concordato minore, la perizia dell’OCC sarà allegata per dimostrare: “Se andiamo in liquidazione, i creditori avrebbero X; con la mia proposta avranno X+qualcosa, dunque conviene accettare”. Anche qui, come nel piano, è possibile prevedere la continuazione dell’attività (se l’impresa non è del tutto morta) magari in dimensioni ridotte, oppure predisporre un concordato liquidatorio con apporto esterno se l’attività è chiusa (l’apporto serve proprio per rendere appetibile la proposta).

Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)

La liquidazione controllata è la procedura che realizza la vendita di tutti i beni del debitore per soddisfare i creditori, sotto la direzione di un liquidatore nominato dal Tribunale. È in sostanza l’equivalente, per i debitori civili e minori, di ciò che è il fallimento (liquidazione giudiziale) per le imprese grandi. Viene infatti aperta quando il debitore è insolvente conclamato e non vi sono le condizioni per un piano o un concordato minore (o questi sono falliti). La liquidazione può essere richiesta volontariamente dal debitore sovraindebitato che ritiene di non avere altre soluzioni, oppure – novità del CCII – può essere richiesta anche da un creditore o dal PM se il debitore è sovraindebitato e non soggetto a liquidazione giudiziale. Questo è un cambiamento importante: con la vecchia legge 3/2012 la procedura era solo ad iniziativa del debitore; ora i creditori possono attivarla, analogamente a come potevano chiedere il fallimento, sebbene resti un fenomeno limitato perché spesso i creditori piccoli preferiscono l’esecuzione individuale.

Effetti principali: Quando si apre la liquidazione controllata, tutti i beni del debitore (salvo quelli impignorabili per legge, ad es. beni di stretta necessità, stipendio entro i limiti vitali, etc.) diventano parte di un “attivo” da liquidare. Il tribunale nomina un liquidatore (di solito un professionista iscritto all’albo dei curatori) che sostanzialmente si occupa di vendere i beni, riscuotere crediti del debitore, e poi distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Si forma uno stato passivo (elenco dei crediti ammessi, predisposto dal liquidatore e verificato dal giudice). Durante la liquidazione, il debitore subisce un spossessamento attenuato dei beni: non è radicale come nel fallimento, perché qui il debitore mantiene la capacità di agire (non c’è un curatore che sostituisce interamente), ma di fatto non può disporre liberamente del patrimonio e deve collaborare col liquidatore. Tutte le procedure esecutive individuali pendenti si interrompono automaticamente con l’apertura della liquidazione, e i creditori devono partecipare al concorso collettivo (non possono più agire per conto proprio). Ciò è importante perché blocca immediatamente, ad esempio, un’asta immobiliare in corso o un pignoramento dello stipendio (le somme ancora da assegnare rientrano nella liquidazione complessiva). I creditori privilegiati manterranno la prelazione sul ricavato dei beni su cui avevano garanzia (es. la banca ipotecaria verrà soddisfatta preferenzialmente sul prezzo di vendita della casa).

Durata e beni futuri: Un aspetto cruciale è la durata della procedura in relazione ai redditi futuri del debitore. In teoria, nella liquidazione tutti i beni presenti e futuri sino alla chiusura potrebbero essere presi. La vecchia legge 3/2012 prevedeva esplicitamente che i beni sopravvenuti entro 4 anni dal deposito della domanda rientravano nell’attivo. Il CCII inizialmente non era chiaro su questo termine, ma è intervenuta di recente la Corte Costituzionale (sent. n. 6/2024) a fissare un paletto temporale: ha stabilito che, grazie all’art. 282 CCII, la liquidazione controllata non può protrarsi oltre 3 anni dall’apertura per rastrellare i redditi futuri. In pratica, la Consulta ha detto: il debitore sovraindebitato ha diritto, dopo 3 anni, a riavere la piena disponibilità dei propri redditi, bilanciando il diritto dei creditori a soddisfarsi sul suo surplus nel frattempo. Infatti l’art. 282 CCII prevede che decorso il triennio vi sia l’esdebitazione di diritto (vedi oltre), e ciò implica un limite temporale anche alla liquidazione. Dunque, il liquidatore nel piano di liquidazione dovrà sfruttare al massimo i tre anni: includere i redditi futuri del debitore fino a 3 anni e non oltre. Questo significa, ad esempio, che se il debitore ha uno stipendio, per 3 anni una parte di esso verrà prelevata mensilmente per i creditori (oltre la quota necessaria al mantenimento dignitoso suo e della famiglia), ma dopo 3 anni cessa ogni prelievo e il debitore torna libero economicamente. La Corte ha ritenuto che così si garantisce la durata ragionevole e si uniforma al principio della legge Pinto (che definisce 3 anni il termine ragionevole per procedure di questo tipo). Questa pronuncia evita il rischio che il debitore resti “attaccato” a tempo indeterminato, costretto a condurre un’esistenza al minimo vitale per decenni.

Trattamento della prima casa e beni essenziali: Nella liquidazione, purtroppo, non c’è modo di salvare la casa di abitazione se essa ha un valore liquidabile e vi sono creditori ipotecari o comunque il suo valore può giovare ai creditori. Diversamente dal piano, qui non c’è discrezionalità: il liquidatore deve vendere tutti i beni non impignorabili. L’abitazione principale del debitore verrà quindi messa all’asta (salvo accordi dell’ultimo minuto per trovare somme alternative). Ci sono solo due mitigazioni: (a) i tempi – il debitore spesso può rimanere nell’immobile per alcuni mesi prima della vendita effettiva; (b) se l’immobile è cointestato con il coniuge o altri, si seguiranno le regole della comunione (potrebbe essere venduta solo la quota, oppure liquidato il valore della quota). Inoltre, per legge sono esclusi dalla liquidazione alcuni beni: ad esempio, gli strumenti di lavoro indispensabili per il debitore per mantenersi (entro un certo valore) e i beni di stretta necessità non possono essere toccati (art. 268 CCII richiama le impignorabilità di cui al codice di procedura civile, ad es. biancheria, mobili essenziali, ricordi di famiglia, ecc.). Anche lo stipendio/pensione è sottoponibile solo nei limiti di 1/5 circa come in esecuzione, lasciando il resto per vivere.

Procedura e ruoli: Il debitore (o il creditore istante) presenta istanza al tribunale, che se accoglie dichiara aperta la liquidazione e nomina il liquidatore e un giudice delegato. Il debitore deve consegnare i documenti e collaborare. I creditori presentano domanda di insinuazione entro termini fissati (se tardano possono essere ammessi fino a un anno dopo comunque, ma con qualche decadenza sui riparti già fatti). Il liquidatore redige l’inventario, vende i beni (di solito tramite procedure competitive simili alle aste fallimentari) e ripartisce le somme. Alla fine presenta un rendiconto.

Esdebitazione: Il fine ultimo per il debitore è ottenere l’esdebitazione a chiusura della liquidazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti rimasti non pagati col ricavato. Nel vecchio regime fallimentare l’esdebitazione era discrezionale e con condizioni; oggi, per i sovraindebitati, l’art. 282 CCII prevede una sorta di esdebitazione di diritto dopo 3 anni, purché il debitore abbia cooperato lealmente. In pratica, se la liquidazione controllata si conclude (o comunque trascorsi 3 anni dall’apertura) il debitore ottiene l’esdebitazione salvo che il giudice la neghi espressamente per ragioni gravi (tipo frodi scoperte). Quindi è molto più facile e automatica rispetto al passato. L’esdebitazione cancella tutti i debiti anteriori non soddisfatti, tranne alcune eccezioni per legge: restano comunque dovuti, ad esempio, gli obblighi di mantenimento e alimentari, le sanzioni penali e amministrative pecuniarie non accessorie, e i debiti da risarcimento di danni da fatto illecito (in particolare se derivanti da illecito doloso). Queste categorie di debiti inesdebitabili erano già previste nell’art. 142 L.F. e il Codice le ha confermate: hanno una natura talmente personale (mantenimento familiare) o sanzionatoria (multe) che non vengono perdonate. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi di ex imprenditori, questi non sono i debiti principali (possono esserci multe amministrative per violazioni durante l’attività, che tuttavia se accessorie a debiti estinti potrebbero seguire la sorte dei principali). Invece i debiti tributari e contributivi sono esdebitabili: la legge non li esclude, quindi se rimane ad esempio un debito IVA non pagato, anch’esso viene cancellato dall’esdebitazione finale (anzi, la Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che i debiti fiscali rientrano a pieno titolo nell’esdebitazione post-fallimentare, non essendo esclusi dalla legge). Dunque, il debitore persona fisica, cooperativo e in buona fede, che si sottopone a liquidazione controllata, dopo al massimo 3 anni esce libero da quasi tutti i debiti pregressi.

Esempio riepilogativo: Caio, ex titolare, ha chiuso la sala giochi ma ha €300.000 di debiti e pochi beni – una casa che vale €100.000 (con ipoteca banca) e un’auto vecchia. Non ha redditi capienti (lavoretti saltuari). Caio non può offrire un piano, dunque avvia la liquidazione controllata. Il liquidatore vende la casa all’asta a €80.000: paga prima la banca ipotecaria (supponiamo ipoteca per mutuo residuo €60.000 – saldata interamente col ricavato), restano €20.000 da distribuire agli altri creditori (una parte va a spese di procedura, il resto a distribuzione pro-quota: forse l’Agenzia Entrate avrà qualche migliaio di euro, i fornitori quasi nulla). Dopo la vendita dei beni, Caio non ha più nulla. Per 3 anni, se Caio trova un lavoro, dovrà versare al liquidatore il quinto dello stipendio; se riceve un’eredità o vincita in questi 3 anni, quella è “utilità sopravvenuta” rilevante e verrà anch’essa acquisita fino a poter pagare almeno il 10% ai creditori (in quel caso l’esdebitazione era già stata concessa all’inizio, ma con clausola risolutiva se arrivano soldi importanti oltre il 10%). Passati i 3 anni, finisce ogni obbligo: il giudice dichiara chiusa la procedura, Caio ottiene l’esdebitazione totale dei debiti residui (diciamo che ancora 200k non erano stati pagati – ora non li deve più). Avrà perso la casa, ma potrà ricominciare senza debiti e magari affittare un appartamento.

In conclusione, la liquidazione controllata è spesso l’ultima ratio, da scegliere se non c’è modo di proporre un piano o un concordato fattibile. Dal lato del debitore, è dolorosa perché comporta di norma la perdita dei beni, ma garantisce comunque la protezione (stop ai pignoramenti) e soprattutto la chiusura definitiva dei debiti con l’esdebitazione. Oggi, con il limite dei 3 anni, non è neppure troppo lunga: si può vedere la “luce in fondo al tunnel” in tempi certi. Molti debitori oppongono resistenza a questa idea perché equivale a “fallire” – ma per un ex imprenditore potrebbe essere una scelta opportuna se il risanamento è impossibile. È fondamentale consultarsi con un OCC o un professionista per capire se conviene presentare un piano (magari mantenendo qualche bene) o andare direttamente in liquidazione (sacrificando i beni ma abbreviando i tempi). Spesso, i tribunali in sede di colloquio preliminare con l’OCC indirizzano: se vedono che il piano è irrealistico, suggeriscono la liquidazione controllata come soluzione più aderente al caso.

Esdebitazione del debitore incapiente (fresh start senza attivo)

Una figura di assoluta novità (introdotta a fine 2020 e ora normata nell’art. 283 CCII) è l’esdebitazione del debitore incapiente, che potremmo definire un vero fresh start per chi non ha alcun bene né reddito disponibile da offrire ai creditori. È una procedura speciale pensata per il debitore persona fisica, meritevole, che si trova letteralmente senza soldi e senza beni con cui pagare i creditori, nemmeno in parte. In passato, un tale debitore era condannato a restare per sempre insolvente – perché non poteva proporre un piano (non avendo nulla da pagare, sarebbe stato bocciato) né aveva senso aprire una liquidazione (costi a vuoto). Oggi invece può chiedere al tribunale di essere liberato dai debiti anche senza alcun pagamento, in presenza di stringenti condizioni.

Requisiti:

  • Deve trattarsi di un debitore persona fisica sovraindebitata, non soggetta a liquidazione giudiziale (quindi piccoli imprenditori o consumatori, escludendo società fallibili).
  • Il debitore deve essere incapiente: significa che “non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né diretta né indiretta, nemmeno in prospettiva futura”. In altre parole, zero patrimonio e nessun reddito aggredibile prevedibile. Se c’è la minima capacità di pagamento, allora semmai andrebbe fatto un piano o liquidazione; questa procedura è per i casi in cui nemmeno una liquidazione controllata produrrebbe qualcosa.
  • Il debitore deve essere meritevole: l’art. 283 co. 7 CCII impone al giudice di verificare che non vi sia dolo, frode o colpa grave nella causazione dell’indebitamento (lo standard è simile a quello del piano del consumatore). Inoltre, non deve aver già usufruito dell’esdebitazione incapiente in passato (è ammessa una sola volta nella vita) e non deve aver subito sanzioni interdittive per reati tributari negli ultimi 5 anni.
  • Deve aver tentato almeno di risolvere la crisi: ad esempio, la legge richiede che non vi siano procedimenti di composizione della crisi rifiutati per sua colpa. Insomma, deve essere uno che arriva a chiedere la clemenza solo dopo aver cooperato e non avere alternative.

Procedura ed effetti: Il debitore deposita ricorso al Tribunale con l’elenco dei debiti, la dichiarazione di nullatenenza e le cause del sovraindebitamento. Non serve nominare un OCC se non c’è attivo, anche se talvolta il giudice può richiedere una relazione OCC sulla veridicità di quanto afferma. Se il Tribunale accoglie, emette un decreto di esdebitazione che cancella tutti i debiti immediatamente. Attenzione: questa esdebitazione “a costo zero” non comprende però: obblighi alimentari, risarcimenti danni da fatto illecito e sanzioni penali/amministrative (analogamente alle esclusioni già viste) – quei debiti restano comunque. Tutti gli altri (debiti erariali, bancari, commerciali, ecc.) vengono spazzati via.

Obblighi post-esdebitazione: C’è però una condizione risolutiva importante: se entro i 4 anni successivi il debitore incapiente ottiene “utilità rilevanti”, ha l’obbligo di pagare i creditori in misura non inferiore al 10% dei loro crediti. Questa clausola serve a evitare che uno faccia il furbo e poi magari riceva un’eredità milionaria a breve. “Utilità rilevanti” significa acquisizioni patrimoniali significative (da donazione, vincita, eredità, redditi insperati). In tal caso, il debitore deve informare il Tribunale e i creditori: l’esdebitazione potrà essere revocata se non onora l’obbligo di versare almeno il 10%. Se invece nei 4 anni non succede nulla di rilevante, l’esdebitazione resta definitiva e i creditori non potranno più reclamare nulla.

Esempio pratico: Sempronio, ex imprenditore nullatenente (vive in casa in affitto, disoccupato, nessun bene registrato), ha €50.000 di debiti con banca e fisco. Sempronio documenta che non possiede nulla vendibile e che ha cercato lavoro ma senza successo, inoltre il sovraindebitamento è dovuto alla pandemia che gli ha fatto chiudere l’attività (quindi evento sfortunato, non colpa sua grave). Il Tribunale ammette l’esdebitazione incapiente e cancella i €50.000. Dopo due anni, Sempronio trova un buon lavoro: inizia a guadagnare €1.500 al mese. Questo reddito non conta come “colpo di fortuna” ma come guadagno ordinario – di per sé non credo rientri tra utilità straordinarie da far scattare revoca (il legislatore intendeva più che altro vincite o eredità, o stipendi altissimi forse). I creditori ormai non possono attaccarlo (esdebitato). Se però dopo 1 anno dal decreto lui ricevesse per dire €100.000 di eredità dalla zia, ecco che scatta l’obbligo: con 100k Sempronio potrebbe pagare integralmente i 50k di debiti cancellati e gliene resterebbero pure; la legge infatti dice che deve pagare fino al 10% minimo – anzi, in questo caso il tribunale probabilmente revocherebbe l’esdebitazione in toto e i creditori tornerebbero ad aver diritto all’intero, perché può soddisfarli. Se l’eredità fosse minore, diciamo €10.000, pari al 20% circa dei debiti originari, Sempronio sarebbe tenuto a versare ai creditori quell’importo (che li soddisfa al 20%, superiore al 10% minimo richiesto).

Importanza dell’istituto: Questa esdebitazione incapiente rappresenta una rete di sicurezza sociale per chi si trova con debiti insostenibili senza colpa grave e proprio non ha come pagarli. Viene spesso definita di “ultima spiaggia”. Il messaggio del legislatore è: non avrai più scuse per gettarti nella disperazione o nell’illegalità, perché anche se hai perso tutto, lo Stato ti concede di ripartire pulito, se sei stato onesto. Non a caso, è soprannominata fresh start o seconda chance. Dal punto di vista dei creditori, ovviamente è dura da accettare – vedono azzerato il loro credito senza recupero – ma è bilanciata dal fatto che devono trattarsi di crediti altrimenti inesigibili comunque e da rigidi requisiti (meritevolezza e rarità dell’evento). Infatti non risulta un abuso massiccio di questo strumento: è relativamente poco noto e applicato, riservato a casi umani difficili (pensiamo a persone sovraindebitate perché garanti di aziende altrui fallite, o vittime di eventi tragici, rimaste senza nulla).

Procedura pratica: La domanda di esdebitazione incapiente va presentata con l’assistenza di un OCC o avvocato, motivando bene e allegando l’elenco dei creditori. Si notifica ai creditori, che possono comparire in udienza per eventualmente eccepire che il debitore non è davvero incapiente o non meritevole (es: se scoprono che ha venduto casa ai figli un anno prima, allora c’è frode). Il giudice valuta e decide. Il provvedimento di esdebitazione viene pubblicato e comunicato, liberando il debitore.

Dopo la procedura: Il debitore esdebitato incapiente dovrà comunque mantenere un profilo onesto: se venissero fuori asset nascosti o comportamenti scorretti, l’esdebitazione può essere revocata su istanza dei creditori lesi. Inoltre, come detto, non potrà più chiedere questa procedura in futuro (one shot). Se sfortunatamente dopo qualche anno accumulasse nuovi debiti, quelle sarebbero nuove obbligazioni (non toccate dalla vecchia esdebitazione) e non potrebbe invocare di nuovo l’aiuto per quelle.


Abbiamo quindi illustrato gli strumenti di sovraindebitamento a disposizione di un ex titolare indebitato: piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata ed esdebitazione incapiente. Questi istituti coprono la maggior parte delle situazioni possibili per chi non è soggetto a fallimento (imprenditore minore o ex tale, o consumatore). Prima di passare alle Domande e Risposte concrete, completiamo il quadro accennando agli strumenti per chi fosse invece fallibile e alla composizione negoziata, sebbene nel nostro scenario principale forse non trovano applicazione, è utile conoscerli per avere un quadro esaustivo e avanzato.

Accenno alle procedure maggiori: liquidazione giudiziale (fallimento) ed esdebitazione “ordinaria”

Se l’ex titolare di sala giochi avesse dimensioni d’impresa tali da rientrare tra gli imprenditori assoggettabili a fallimento (oltre le soglie di cui sopra), oppure se comunque un creditore ne avesse richiesto il fallimento prima del 15/07/2022 (sotto la vecchia legge), potrebbe trovarsi coinvolto in una procedura di liquidazione giudiziale (nuovo nome del fallimento). La liquidazione giudiziale è molto simile alla liquidazione controllata come meccanismo, ma con qualche differenza: è riservata alle imprese commerciali sopra soglia, si svolge con un curatore nominato e il Tribunale in composizione collegiale, prevede possibili azioni revocatorie, esame dello stato passivo formale, etc. Per il debitore persona fisica, la cosa importante è che anche nel fallimento c’è la possibilità di ottenere l’esdebitazione dei debiti residui. Era prevista dall’art. 142 L.F. e ora dagli artt. 279-282 CCII. Le condizioni per l’esdebitazione fallimentare sono simili a quelle viste per la liquidazione controllata: cooperazione del fallito, nessuna condanna per bancarotta fraudolenta, almeno parziale soddisfacimento dei creditori (nota: la vecchia legge richiedeva che i creditori avessero ricevuto qualcosa, pena diniego dell’esdebitazione; oggi questo limite è caduto, nel CCII l’esdebitazione spetta anche al fallito incapiente, anticipando il concetto di fresh start a tutti). Di fatto l’esdebitazione “ordinaria” dopo il fallimento e quella dopo la liquidazione controllata sono allineate. Quindi, se pure un ex imprenditore venisse dichiarato fallito, potrebbe – a fallimento chiuso – chiedere al tribunale di ottenere l’esdebitazione. Un caso pratico: se la sala giochi fosse stata gestita da una società e il socio avesse fatto da garante ed è stato pure dichiarato fallito come persona, alla chiusura del fallimento potrebbe essere esdebitato (questo è successo in molte pronunce, con la Cassazione che ha confermato che l’esdebitazione cancella anche i debiti erariali, come ricordato prima, e include pure gli interessi, mentre restano escluse solo le categorie di debiti ex art. 142 ult. co.).

Una particolarità: nel fallimento, contrariamente alla liquidazione controllata dove l’esdebitazione oggi è di diritto, l’esdebitazione deve essere richiesta dal fallito e concessa con decreto motivato del Tribunale, valutata la condotta (non deve aver ritardato o ostacolato la procedura, etc.). È comunque diventata prassi concederla nella maggior parte dei casi, per favorire la finalità di dare una seconda chance. L’esdebitazione dell’imprenditore fallito fu introdotta nel 2006 e rappresentò già all’epoca una svolta epocale (prima non c’era proprio modo di liberarsi dai debiti dopo un fallimento). Oggi come visto esiste addirittura l’esdebitazione “senza fallimento” incapiente.

Quanto al concordato preventivo, esso è un accordo con i creditori per evitare la liquidazione giudiziale, destinato a imprese in attività di un certo rilievo. Nel contesto di un ex piccolo imprenditore non ha applicazione, se non ipotizzando che la sala giochi fosse invece un’attività più grande ancora formalmente in essere. In ogni caso, il concordato preventivo prevede anch’esso la possibilità di falcidiare i debiti e dev’essere approvato da maggioranze più elevate (maggioranza dei crediti per classi, 2/3 se liquidatorio, ecc.). La trattazione di questo istituto esula dallo scopo di questa guida (sarebbe materiale da diritto fallimentare avanzato). Basti sapere che se per ipotesi la sala giochi fosse stata un’azienda medio-grande, prima di fallire avrebbe potuto proporre un concordato preventivo. Oggi il concordato preventivo è previsto in diverse varianti (in continuità aziendale, liquidatorio con apporto, ecc.) e il “concordato minore” ne è un cugino semplificato per i piccoli.

La composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata è uno strumento di allerta e gestione stragiudiziale introdotto nel 2021 e ora parte integrante del Codice (art. 12 e ss. CCII). Pur non trattandosi di una procedura concorsuale in senso stretto, merita menzione perché ha riflessi sulla strategia di prevenzione dell’insolvenza. Essa permette all’imprenditore (anche non piccolo, anzi rivolta principalmente alle imprese medio-grandi, ma aperta a tutte le imprese** in crisi o insolventi**) di attivare un percorso di negoziazione assistita da un esperto indipendente, iscritto in un apposito elenco, nominato da una commissione presso la Camera di Commercio. Tutto si svolge su una piattaforma telematica nazionale. L’obiettivo è elaborare un piano di risanamento o di regolazione consensuale con i creditori, prima di ricorrere alle aule giudiziarie.

Perché potrebbe interessare a un ex titolare: In verità, se l’attività è già cessata, la composizione negoziata non viene attivata – si sarebbe dovuta attivare prima della cessazione, quando c’erano segnali di difficoltà. Ad esempio, se un gestore di sala giochi avesse visto i debiti crescere e temeva di non reggere, dal 2021 in poi avrebbe potuto rivolgersi alla composizione negoziata per tentare di evitare la fine dell’impresa. L’esperto nominato avrebbe analizzato la situazione economico-finanziaria e facilitato contatti con i creditori per trovare possibili soluzioni (come un accordo di ristrutturazione del debito, o la conversione del debito in capitale, ecc.). Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere misure protettive (simili all’automatic stay) per non essere aggredito mentre tratta. Il tutto avviene riservatamente (non si ha la pubblicità di un fallimento). Se la negoziazione riesce, si chiude con un contratto (accordo stragiudiziale) oppure con l’accesso a una delle procedure concorsuali semplificate (ad es. il concordato semplificato per la liquidazione, che era una particolare uscita introdotta dal DL 118/2021 in caso di fallimento delle trattative: l’impresa poteva chiedere un concordato “senza voto” liquidatorio, ma era temporaneo e ora integrato nelle norme transitorie del CCII).

Per il debitore ex imprenditore, più che uno strumento diretto, la composizione negoziata è utile a sapere che esiste e serve in ottica di prevenzione: se un domani dovesse avviare una nuova impresa e incorrere in difficoltà, potrebbe sfruttarla per non finire di nuovo sovraindebitato. Le ultime modifiche (D.Lgs. 136/2024) l’hanno resa ancora più flessibile: ora è chiaro che può accedervi anche un’impresa già insolvente (non solo in squilibrio), e si sono semplificate le regole di nomina dell’esperto per trovare profili idonei più velocemente. I dati mostrano che la composizione negoziata è stata utilizzata con esito positivo in un numero crescente di casi (Unioncamere riferisce un aumento di oltre il doppio dei casi di successo nel 2024 rispetto al 2023), segno che alcune imprese sono riuscite a evitare il fallimento grazie ad essa.

In ogni caso, per un piccolo ex imprenditore ormai colpito da debiti personali, la composizione negoziata non offre un meccanismo di esdebitazione – in quel caso occorre passare dalle procedure di sovraindebitamento illustrate.


Ora che abbiamo un panorama completo degli strumenti di difesa e “ripartenza” per un ex titolare indebitato, con normative aggiornate al 2025 e riferimenti a giurisprudenza recente, è utile presentare alcune tabelle riepilogative che confrontino le caratteristiche delle procedure e il trattamento dei vari tipi di debito, e successivamente passare alle Domande & Risposte più frequenti, per chiarire i dubbi pratici dal punto di vista del debitore.

Tabelle riepilogative

Confronto tra le procedure di sovraindebitamento e concorsuali (debitori civili/imprenditori minori)

ProceduraChi può accedervi (soggetti)Come funziona (sintesi)Effetti sui debitiVantaggiSvantaggi/Limitazioni
Piano del consumatore(“Ristrutturazione dei debiti del consumatore”)– Persona fisica consumatore (debiti personali, non da attività)– Requisiti: Meritevolezza (no frode/malafede grave); non più di 1 esdebitazione nei 5 anni e non oltre 2 volte totali.– Il consumatore propone al Tribunale un piano di pagamento (anche parziale) dei debiti.– Nessun voto dei creditori: decide il giudice su omologazione.– Un OCC aiuta a predisporre il piano.– Possibilità di misure protettive su richiesta (stop pignoramenti pendenti).– I debiti vengono ristrutturati secondo il piano omologato (ridotti e/o dilazionati come da piano).– Una volta eseguito il piano, i debiti residui sono cancellati (esdebitazione finale).– Possibile includere tutti i debiti, anche fiscali, anche se già oggetto di pignoramento (es. cessione del quinto già in corso).– Eccezioni: non si possono modificare obblighi di mantenimento, debiti da illeciti e sanzioni (non cancellati).Imposizione ai creditori senza il loro consenso: utile se alcuni creditori sono ostili, il giudice può omologare se piano equo.– Il debitore può mantenere beni essenziali (es. casa) se il piano lo prevede come più conveniente dell’alternativa.– Flessibilità: può prevedere moratorie e pagamenti parziali di crediti privilegiati (con certe condizioni).– Stop azioni esecutive durante la procedura (su richiesta).– Accesso limitato a consumatori meritevoli: se i debiti riguardano l’attività imprenditoriale, occorre usare concordato minore invece.– Richiede che il debitore abbia qualche capacità di pagamento: pur non essendoci soglia minima, un piano totalmente a zero pagamento sarebbe respinto (in tal caso meglio esdebitazione incapiente).– Controllo giudiziale rigoroso: il giudice può non omologare se reputa il piano non sostenibile o il debitore non meritevole (anche su rilievi dei creditori).
Concordato minore(procedura per imprenditori minori, professionisti, ecc.)Imprenditore minore, imprenditore agricolo, professionista, start-up innovativa (anche società di persone minori).– Requisiti: Sovraindebitamento (crisi/insolvenza) e assenza atti in frode; non più di 1 esdebitazione nei 5 anni, non oltre 2 in totale.– Meritevolezza personale non richiesta (tranne frode) – quindi anche chi ha compiuto scelte imprenditoriali discutibili può accedere.– Il debitore propone ai creditori un piano/accordo di ristrutturazione.– I creditori votano: serve maggioranza > 50% in valore dei crediti votanti (esclusi eventuali privilegiati non falcidiati).– OCC nominato assiste e relazione sulla proposta.– Possibili classi di creditori e trattamenti differenziati (simile a concordato preventivo).– Misure protettive ottenibili su richiesta (sospensione esecuzioni).– I debiti sono ristrutturati secondo la proposta approvata: può prevedere pagamenti parziali e/o dilazionati e stralcio del debito residuo.– Debiti fiscali e contributivi inclusi, con possibile falcidia IVA e altre imposte (ammessa dalla legge e giurisprudenza); dissenso del fisco superabile col cram-down se offerto >=10%.– Dopo l’esecuzione del piano, esdebitazione per i debiti non soddisfatti (salvo eccezioni solite di legge).Consensuale (maggioranza creditori): spesso più facile “vendere” ai creditori perché hanno voce in capitolo.– Consente la continuità aziendale se il debitore intende proseguire l’attività (elemento incentivato dalla legge: se l’attività continua, il concordato minore è preferibile a liquidazione).– Possibile ottenere nuova finanza (anche in prededuzione) e prevedere apporto di terzi per aumentare soddisfacimento creditori (anche richiesto se l’attività cessa).– Stop azioni individuali su richiesta durante trattative e voto.Necessaria maggioranza creditori: se pochi creditori chiave sono contrari, la proposta fallisce (non c’è omologa giudiziale unilaterale salvo casi fisco).– Il piano dev’essere credibile e migliorativo rispetto alla liquidazione, altrimenti i creditori non hanno incentivo ad aderire.– Richiede costi e formalità (assemblee di voto/adesione) analoghi a procedure concorsuali (sebbene più snelli che nel concordato preventivo).– Anche qui, come nel piano, il debitore deve mettere sul piatto tutto il possibile: se il patrimonio è praticamente zero e nessuno apporta risorse, il concordato minore può non passare e conviene la liquidazione.
Liquidazione controllata(ex liquidazione del patrimonio)Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o imprenditore minore) può chiedere la liquidazione.– Anche i creditori o il PM possono chiederla se il debitore è sovraindebitato e non fallibile.– Non serve meritevolezza soggettiva per aprirla (può accedervi anche chi ha colpe, salvo poi l’esdebitazione può essergli negata se mala fede).– Il Tribunale apre la procedura, nomina un liquidatore e un giudice delegato.– Il liquidatore prende possesso dei beni del debitore, forma l’attivo, vende tutti i beni (mobili, immobili) e riscuote crediti.– I creditori presentano domanda di insinuazione e vengono ammessi allo stato passivo; poi il liquidatore distribuisce il ricavato secondo prelazioni.– Il debitore subisce limitazioni ma non è totalmente spossessato (può compiere atti ordinari, ma non disporre dei beni oltre il necessario).– Tutti i debiti concorsuali (quelli sorti prima dell’apertura) vengono soddisfatti pro quota con il ricavato.– Al termine, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto dei debiti rimasti impagati (eccetto debiti esclusi per legge: alimentari, illeciti, sanzioni).– Durante la liquidazione, sospese tutte le esecuzioni individuali; i pignoramenti in corso decadono.– Beni futuri: i redditi generati entro 3 anni dall’apertura rientrano nella procedura (oltre tale termine no, grazie al limite temporale sancito da Corte Cost.).Liberazione totale dai debiti (fresh start) a fine procedura, anche se il ricavato è insufficiente, purché il debitore abbia collaborato e non compiuto atti gravemente scorretti (l’esdebitazione può essergli negata in casi eccezionali di frode o malafede).– Tempistica certa: massimo 3 anni per l’utilizzo dei redditi futuri, poi il debitore riacquista i propri nuovi redditi liberamente.– Adatta a situazioni disperate: il debitore si toglie il “cerotto” in un colpo solo liquidando tutto, e dopo pochi anni riparte pulito.– Riduce costi rispetto a un fallimento: organi più snelli (liquidatore monocratico, giudice unico).– Implica la perdita dei beni: casa di proprietà, veicoli, risparmi – tutto ciò che ha valore viene liquidato. Il debitore deve essere pronto a questo sacrificio.– Il debitore in liquidazione ha uno status limitante: non può ottenere nuovi finanziamenti, la procedura è pubblica (iscrizione registro sovraindebitati) finché dura, rischia indagini sui precedenti atti (se ha fatto atti a favore di qualcuno prima, liquidatore può agire in revocatoria).– Per 3 anni deve convivere con l’eventuale prelievo forzoso su stipendi e redditi (oltre la parte impignorabile), rimanendo su un tenore di vita base.– Non c’è protezione di beni affettivi o casa: la liquidazione è “impietosa” (salvo bene impignorabili per legge).
Esdebitazione del debitore incapiente(fresh start “a zero”)– Persona fisica sovraindebitata senza beni né redditi offribili ai creditori.– Requisiti: Meritevolezza (no frode o colpa grave); non aver già ottenuto esdebitazione incapiente in passato (una volta sola); non aver rimedi concorsuali attuabili (es: liquidazione che darebbe qualcosa).– Procedura semplificata: il debitore chiede al Tribunale di essere esdebitato presentando elenco debiti e dichiarando la propria totale incapienza.– I creditori e l’OCC (se nominato) vengono sentiti; il Tribunale verifica requisiti e, se tutto ok, emette decreto di esdebitazione immediata.– I debiti di qualsiasi natura (anche fiscali, contributivi, bancari) sono cancellati integralmente dal decreto di esdebitazione, senza pagamenti ai creditori.– Eccezioni: restano dovuti solo mantenimenti, debiti per risarcimenti da fatti illeciti e sanzioni (come da legge).– Se entro 4 anni dal decreto il debitore ottiene sopravvenienze attive rilevanti, deve comunicare e pagare i creditori fino ad almeno il 10% (proporzionalmente). Se omette o se riceve somme ingenti (tali da pagarli >10%), l’esdebitazione può essere revocata in tutto o in parte.– Consente una ripartenza immediata per debitori davvero senza speranza di pagamento, evitando persino la liquidazione.– Rapidità: la pendenza della procedura è breve (il tempo di un decreto). Dopo, il debitore è libero e non soggetto a particolari restrizioni (a parte l’obbligo di onestà sulle sopravvenienze per 4 anni).– Nessun costo di liquidazione, nessun curatore: è di gran lunga la strada meno onerosa se se ne ha diritto.Accesso molto ristretto: bisogna dimostrare di non avere nulla da dare ai creditori. Se anche un piccolo bene c’è, il giudice può negare questa esdebitazione e spingere verso la liquidazione controllata (in cui almeno quel bene viene liquidato per dare qualcosa ai creditori).– Una tantum: il debitore non potrà più chiedere altra esdebitazione incapiente, quindi è letteralmente la seconda e ultima chance.– Nei 4 anni successivi, il debitore esdebitato rimane sotto una sorta di “sorveglianza”: deve evitare di arricchirsi in modo rilevante senza saldare almeno in parte i vecchi creditori, altrimenti potrebbe perdere il beneficio (poca preoccupazione se restava nullatenente, ma rilevante in caso di eredità o vincite future).– Dal lato morale/sociale, potrebbe essere visto come poco onorevole – ma è un giudizio ormai superato dalla legge stessa che punta al reinserimento.

Legenda: OCC = Organismo di Composizione della Crisi (in pratica il professionista o ente che assiste nelle procedure di sovraindebitamento); misure protettive = provvedimenti di sospensione delle azioni esecutive individuali durante la procedura concorsuale; prededuzione = privilegiare talune spese/proventi nella procedura.

Tipologie di debito e trattamento nelle procedure (Italia)

Tipo di debitoEsecuzione individuale (regole e limiti)Trattamento in piano/concordatoTrattamento in liquidazione/esdebitazioneNote
Finanziamenti bancari chirografari (prestiti personali, fidi non garantiti)– Creditori chirografari “ordinari”.– Possono pignorare beni mobili, immobili (previa ipoteca giudiziale dopo sentenza), conti, stipendio (fino a 1/5).– Nessun limite sulla prima casa per loro: se necessario, possono pignorarla (eccetto se altro creditore con prelazione li anticipa).– Inseribili in piani e concordati con pagamento parziale o anche nulla (sono residuari dopo privilegiati).– Di solito ricevono una percentuale (“falcidia”) in base a cosa il piano può dare.– Non possono opporsi singolarmente in piano del consumatore (decide il giudice); in concordato minore votano ma spesso subiscono la decisione della maggioranza.– In liquidazione, di solito non ricevono nulla o molto poco (vengono soddisfatti solo se avanza qualcosa dopo privilegi).– L’eventuale insoddisfatto è esdebitato a fine procedura: la parte non pagata è cancellata.Debiti chirografari sono quelli che più beneficiano delle procedure: possono essere ridotti drasticamente. Nell’esdebitazione finale, se rimasti impagati, vengono annullati.
Mutui ipotecari (banche con garanzia reale su immobile)– Hanno titolo esecutivo se rate non pagate (contratto notarile).– Possono escutere l’immobile ipotecato: avviano pignoramento immobiliare.– Se l’immobile è prima casa, non c’è tutela come con AER: la banca può procedere (purtroppo).– Possono pignorare anche altri beni per l’eventuale credito residuo oltre ricavato asta.– In sede di pignoramento immobiliare, il debitore può chiedere un termine di grazia (fino a 6 mesi) se può regolarizzare, oppure chiudere a saldo col ricavato di vendita privata prima dell’asta.Piani consumatore: possibile proporre continuazione del mutuo (se il debitore può riprendere pagamenti), con autorizzazione giudice a pagare arretrati entro un certo termine.– Possibile anche falcidiare il credito ipotecario fino al valore del bene e dilazionare pagamento oltre 1 anno: ammesso se il piano è più conveniente della vendita forzata. Es: casa vale 100, debito 150 -> piano può offrire 100 dilazionato e stralcia 50.– Concordato minore: analogamente, si può falcidiare ipoteca (il creditore ipotecario vota; spesso se prende almeno valore di realizzo è d’accordo).– In entrambe le procedure, se il piano prevede di non vendere la casa ma tenerla pagando le rate, va dimostrato che ciò non pregiudica i creditori (criterio convenienza). Di regola, deve essere pagato almeno il valore di perizia dell’immobile al creditore ipotecario, anche se in tempi lunghi.– L’immobile ipotecato entra nella liquidazione: sarà venduto.– Il creditore ipotecario è privilegiato sul ricavato: viene pagato per primo fino a concorrenza del suo credito. Se il ricavato non copre tutto, il residuo diventa chirografario (spesso non vede altro).– Dopo la liquidazione, l’eventuale debito residuo della banca viene esdebitato (cancellato) assieme agli altri chirografari. La banca non può pretendere altro dal debitore dopo la chiusura se non ha recuperato tutto (a meno che vi fossero fideiussori terzi rimasti obbligati).Mutui ipotecari: il debitore punta a salvare la casa tramite un piano se ha reddito sufficiente – la legge lo consente quando conviene ai creditori. Se non riesce, la casa sarà liquidata. Da notare che l’art. 41-bis TUB permette a chi è in ritardo sul mutuo prima casa di chiedere una rinegoziazione o congelamento con garanzia statale: da valutare fuori dalle procedure (misura extragiudiziale per evitare pignoramenti).
Debiti fiscali (Erario: IVA, IRPEF, IRES, IRAP, ecc.)– Riscossi tramite Agenzia Entrate-Riscossione (AER) con cartelle esattoriali.– AER può pignorare stipendi (con limiti: 1/10 su stipendi < €2.500, 1/7 se <5.000, 1/5 sopra) e conti, può fermare veicoli, ipotecare immobili (soglia debito > €20.000 per ipoteca).– Limite prima casa: AER non può pignorare l’unico immobile di residenza del debitore (non di lusso). Può però ipotecarlo come deterrente.– Può pignorare altri immobili se debito > €120.000 e ha iscritto ipoteca da 6+ mesi.– Ci sono opportunità di rateazione (fino 6-10 anni) e rottamazioni periodiche per ridurre sanzioni e interessi.– Trattabili in piani/concordati. Nessun divieto di falcidia IVA: dal 2016-2020 normative e sentenze hanno reso possibile anche ridurre IVA e ritenute nelle procedure minori (il vecchio divieto è stato dichiarato incostituzionale e non recepito nel CCII).– Ovviamente l’Erario tenderà a opporsi se offerta < 100%, ma il giudice può omologare ugualmente nel piano (dove il voto non conta) o nel concordato minore col cram-down fiscale (se fisco ottiene almeno 10% ed è trattato non peggio di altri privilegiati).– È prassi nei piani proporre pagamento parziale di IVA e altri tributi privilegiati, evidenziando che in liquidazione prenderebbero meno. La Corte Cost. 2022 n.65 ha confermato che anche se c’è già pignoramento su stipendio per debiti fiscali, il piano può includerli e tagliarli.– In liquidazione, i debiti fiscali si dividono in privilegiati (imposte, IVA, ritenute – privilegio generale mobiliare) e chirografari (sanzioni, interessi in parte).– Il fisco verrà soddisfatto in parte sul ricavato come da grado (di solito privilegio generale dopo quelli speciali come ipoteche, per una quota del ricavato mobiliare).– La quota non soddisfatta sarà esdebitata (sì, anche l’IVA residua o altre imposte: la legge non esclude tributi dall’esdebitazione). Quindi il debitore, a fine procedura, non deve più nulla al fisco (salvo forse eventuali sanzioni penali pecuniarie, se erano autonome).– Nella esdebitazione incapiente, è esplicitato che si falcidiano debiti di qualsiasi natura, fiscali compresi.Fisco: nelle procedure concorsuali minori oggi non ha più il veto grazie alle riforme. Importante però presentare proposte serie: l’Agenzia Entrate ha circolari interne su come valutare convenienza rispetto a fallimento. Se offri almeno pari a scenario liquidatorio, hai buone chance di omologa. Ricordare che l’IVA non versata è tecnicamente anche reato (sopra soglia €250k): averlo non preclude il piano, ma bisogna poi regolare la pendenza penale a parte (il piano che prevede pagamento parziale IVA può incidere sulla punibilità se interviene esdebitazione? Tema complesso: in teoria il reato resta ma estinguibile con pagamento integrale… tuttavia con esdebitazione il debito IVA viene meno civilmente, ma penalmente la giurisprudenza sta evolvendo).
Debiti verso INPS/INAIL (contributi obbligatori, premi assicurativi)– Anch’essi riscossi via cartelle esattoriali da AER.– Godono di privilegi contributivi analoghi a fiscali (spesso stesso grado dell’Erario).– Regole esecutive uguali: pignoramenti stipendio (1/5), ipoteche, fermi, e stesso limite prima casa (non pignorabile da AER).– Attenzione: per contributi dipendenti non versati, l’omissione può portare a responsabilità personale dell’amministratore anche in società (reato di omesso versamento se > €10k, sanzione amministrativa altrimenti). Ciò riguarda il penale ma qui trattiamo civile: il debito contributivo resta in capo alla ditta/debitore.– Trattamento analogo ai debiti fiscali. Possibile proporre pagamento parziale anche di contributi (prima era dubbio se si potesse falcidiare, ma la Corte Cost. 245/2019 e succ. hanno aperto a IVA e contributi uguale).– INPS/INAIL di solito nelle procedure votano con l’Erario; possibile cram-down se rifiutano irragionevolmente.– Nei piani, spesso richiesto di pagare almeno parzialmente contributi dei dipendenti (per ragioni anche etiche, ma legalmente non obbligatorio se non c’è capienza).– In liquidazione: contributi privilegiati (spesso al pari delle imposte) soddisfatti in graduatoria.– Residuo non pagato: esdebitato (nessuna eccezione per contributi nella legge).– Esdebitazione incapiente: si estendono ai contributivi, sì (fonti dicono “debiti di qualsiasi natura, anche previdenziali” falcidiati).Simile al fisco. Da notare: se l’INPS ha anticipato il TFR ai dipendenti tramite Fondo di Garanzia, l’INPS subentra come creditore privilegiato per quelle somme. Saranno trattate come crediti da lavoro (privilegio speciale su immobili? l’INPS ne ha alcuni ex L.297/82). In un piano, obbligatorio prevedere pagamento integrale di TFR per avere ok del tribunale (sono privilegi di prim’ordine).
Debiti verso fornitori (imprese, professionisti, fornitori vari)– Crediti chirografari puri (salvo abbiano decreto ingiuntivo non pagato e ipoteca giudiziale).– Possono agire come detto per chirografari: decreto ingiuntivo, pignoramenti, ecc. Molto dipende dalla rapidità: chi arriva primo a pignorare qualcosa può prendere (ma c’è concorso se più pignoramenti nello stesso bene).– Spesso importi medi; rischiano di non investire in azioni costose se sanno di insolvenza generalizzata (possono tentare istanza di fallimento se credono convenga).– Trattati insieme agli altri chirografari: tipicamente prendono una percentuale modesta del loro credito, o nulla, a seconda della fattibilità.– In piani del consumatore, non votano e subiscono l’eventuale falcidia decisa dal giudice (di solito importante per riequilibrare la situazione).– In concordato minore votano: ma essendo tanti e frammentati, raramente formano maggioranza contraria se le classi maggiori (banche, fisco) sono a favore.– In liquidazione, quasi sempre non ricevono pagamento significativo (hanno rango basso).– Vengono esdebitati sul residuo.Fornitori spesso sono i creditori più colpiti dalle falcidie, ma è anche vero che i loro crediti in molti casi sono piccole percentuali del totale. Nella prospettiva del debitore, ristrutturarli è essenziale perché sono chirografi senza i quali non si risana nulla.
Debiti per canoni, affitti, utility (bollette, locazioni commerciali)– Sono crediti chirografari se non assistiti da garanzie.– Il locatore però ha un privilegio speciale sui beni mobili presenti nei locali affittati (pegno locatizio) per le ultime annualità di affitto (art. 2764 c.c.). Nel caso di sala giochi, se il locatore non è stato pagato e c’erano apparecchiature nel locale, avrebbe potuto trattenerle; ma alla cessazione attività spesso questo tema decade.– Bollette non pagate: le utility possono sospendere forniture (energia, etc.) e restano creditrici chirografarie.– Canoni di locazione scaduti: se il contratto è sciolto, sono debiti chirografari (il privilegio del locatore rimane su eventuali beni pignorabili – di solito in procedure si risolve con consegna beni o modesta soddisfazione). Pianificabili come altri chirografi.– Bollette: chirografi, spesso importi minori, falcidiati come altri.– Va però considerato: se il debitore vuole continuare ad abitare (es. affitto casa) o usare servizi, deve regolarizzare o trovare accordo, altrimenti rischia sfratto o distacco utenze. Durante procedure concorsuali, il tribunale può autorizzare pagamento di forniture essenziali in corso, come prededuzione.– Rientrano nella liquidazione come chirografari comuni (affitti scaduti, bollette scadute).– Esdebitati alla fine se insoddisfatti (locatore, fornitore non potranno più pretendere arretrati).– I contratti in corso all’apertura della liquidazione potrebbero essere sciolti (il liquidatore può sciogliere locazioni, ecc., salvo valutare casi in cui convenga proseguirli per vendere un’azienda intera, ma in imprese cessate di solito no).– Se il locatore aveva privilegio, realizzerà qualcosa dalla vendita dei beni su cui insiste (spesso nulla se i beni erano di scarso valore).Pesi modesti di solito, ma attenzione al debito verso il condominio (spese condominiali): quello è assistito da privilegio sugli immobili ex art. 2768 c.c. Se l’ex titolare ha casa di proprietà in condominio e non paga spese, il condominio ha prelazione sull’immobile. Va considerato nei piani.
Debiti verso dipendenti (retribuzioni, TFR)– Crediti privilegiati di massimo grado: privilegio generale sui mobili (art. 2751-bis n.1 c.c.) e privilegio immobiliare (art. 2776 c.c. su immobili del datore per ultime retribuzioni, se bene ancora presente).– I dipendenti possono agire con decreto ingiuntivo immediato e pignorare conti ecc. Hanno anche diritto di istanza di fallimento privilegiata.– In pratica però, per somme rilevanti scatta l’intervento del Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità: l’INPS paga il lavoratore e si surroga come creditore.– In piani e concordati, questi debiti vanno pagati integralmente o comunque non possono essere falcidiati senza consenso (per legge, i crediti di lavoro non possono subire decurtazioni in concordati se non assicurando almeno il 20% e solo in concordato preventivo; nella sovraindebitamento la lettera di legge non era chiarissima, ma la prassi e l’etica vogliono tutelarli fortemente).– Spesso se ci sono debiti verso dipendenti, si procede prima a saldarli anche tramite il fondo di garanzia, e quello che rimane da pagare è l’eventuale surroga INPS, che ha privilegio.– Un piano del consumatore può anche prevedere pagamento parziale, ma difficilmente un giudice omologherebbe un piano che non soddisfa almeno le minime spettanze ai lavoratori (meritevolezza a rischio se il datore sacrifica dipendenti più di banche).– Hanno altissima priorità in liquidazione: il liquidatore li paga prima di quasi tutti (dopo spese di procedura e crediti prededucibili).– Di solito i crediti di lavoro vengono soddisfatti integralmente o quasi – se l’attivo è scarso, potrebbero comunque farlo attraverso il Fondo INPS (che poi come detto subentra).– Se qualcosa restasse non pagato, teoricamente sarebbe esdebitato, ma nella pratica raramente i crediti di lavoro restano impagati in procedure, perché hanno prelazione fortissima e importi spesso limitati in confronto ad asset (e c’è l’intervento INPS).Importantissimo: contributi previdenziali dovuti ai dipendenti (trattenute non versate) godono anch’essi di privilegio e il datore rischia pure sanzioni penali per omesso versamento > €10k. Vanno considerati con priorità. L’esdebitazione cancella il debito in capo a lui, ma non cancella l’eventuale reato già consumato.
Multe e sanzioni amministrative/penali (non accessorie)– Riscosse spesso via cartella (es. multe stradali, sanzioni amministrative varie).– Sono crediti chirografari senza privilegio. L’ente pubblico può pignorare come chirografo (segue procedure AER per importi maggiori, altrimenti ingiunzioni locale per multe).– Non c’è limite prima casa perché molte sono riscosse da AER ma qualificate come “sanzioni” (in realtà AER stessa non può pignorare la prima casa per nulla, quindi in quel senso c’è tutela di fatto).Non possono essere falcidiate? In realtà nulla vieta di includerle in un piano e proporne il pagamento parziale come per altri crediti chirografari. Tuttavia, c’è una perplessità: la legge esclude dall’esdebitazione finale “le sanzioni pecuniarie che costituiscono punizione”, e in analogia nei piani il giudice potrebbe chiedere che siano pagate per intero per omologare? Non c’è un obbligo legale di integrale pagamento durante il piano, ma se restano insoddisfatte non vengono cancellate a fine procedura. Quindi conviene prevedere qualcosa.– Ad es., un piano potrebbe dire: pago il 50% delle multe, poi tanto il residuo non esdebitabile resta, ma almeno riduco l’importo. Però se non è esdebitabile, quel residuo rimarrebbe comunque. Situazione borderline – meglio discutere col giudice/OCC caso per caso.Non esdebitabili: a fine liquidazione, le sanzioni pecuniarie amministrative e penali non sono cancellate (a meno che siano accessorie a un debito condonato).– In liquidazione, fanno la fila come chirografari e quasi certamente non vengono pagate (priorità bassa); chiusa la procedura, però, il debitore resta obbligato per queste sanzioni e potrà ancora ricevere richieste di pagamento su di esse (il che è un serio limite al fresh start, ma il legislatore le considera punitive, quindi non “perdonabili”).– Nota: se però la multa era “accessoria” a un debito estinto (es. soprattassa su imposta condonata), allora segue il debito principale e si estingue anch’essa.Questo è un punto dolente: l’ex imprenditore potrebbe uscire esdebitato da tutto ma avere ancora, ad esempio, una multa stradale arretrata o una sanzione amministrativa antiriciclaggio. Dovrà pagarla separatamente, perché la procedura non gliel’ha tolta. Nei piani conviene considerare di pagare per intero le sanzioni se possibile, per chiudere i conti. Nell’esdebitazione incapiente, se ci sono solo debiti da multe, in teoria quella procedura non risolve nulla perché quelli restano; infatti l’art. 283 CCII credo la escluda (non ne vale la pena se i tuoi unici debiti sono multe non esdebitabili, non vieni ammesso).

Domande frequenti (FAQ)

  • Domanda: “Posso evitare il pignoramento della mia casa ora che ho chiuso l’attività ma mi sono rimasti debiti? È la mia unica casa, ci vivo con la famiglia.”
    Risposta: Dipende da chi è il creditore. Se i debiti sono con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (fisco), c’è una tutela importante: l’Agente della Riscossione non può pignorare la prima ed unica casa di abitazione (purché non sia di lusso). Quindi per i debiti fiscali e contributivi la tua prima casa è al sicuro dall’espropriazione (anche se possono metterci un’ipoteca come “garanzia”). Se invece il creditore è una banca o un privato (es. una banca per mutuo scaduto, un fornitore con decreto ingiuntivo), purtroppo non esiste nel codice civile una protezione analoga: un creditore ipotecnario può comunque avviare il pignoramento e la vendita all’asta, anche se ci abiti ed è l’unica. L’unico modo per impedirlo è trovare un accordo col creditore (ad es. rinegoziare il mutuo o vendere tu stesso l’immobile prima dell’asta per soddisfare il credito) oppure avviare una procedura di sovraindebitamento. Con un piano del consumatore ben congegnato, è possibile salvare la casa: potresti proporre di continuare a pagare il mutuo o di pagare al creditore un importo pari al valore della casa anziché l’intero debito, ottenendo lo stop del pignoramento grazie all’omologazione del piano. Anche nel concordato minore si può evitare la vendita se la maggioranza dei creditori accetta un piano in cui tieni la casa pagando loro il valore equo. In liquidazione controllata, al contrario, non c’è scampo: il liquidatore dovrà vendere la casa (salvo sia di valore trascurabile) e con il ricavato pagherà i creditori. In definitiva: fuori dalle procedure, solo il fisco è bloccato dal pignorare la prima casa; gli altri creditori no. Dentro una procedura di composizione della crisi, hai la chance di proteggere la casa negoziando un pagamento dilazionato giudizialmente imposto ai creditori. Valuta subito questa strada con un OCC se temi pignoramenti imminenti. Se il pignoramento è già partito, sappi che presentando un ricorso per piano del consumatore o concordato minore puoi chiedere al giudice della crisi una sospensione urgente dell’asta in corso, che spesso viene concessa.
  • Domanda: “Che cosa significa esattamente sovraindebitamento? Quando posso dire di essere sovraindebitato e accedere alle procedure?”
    Risposta: Sovraindebitamento in termini legali è lo stato in cui una persona (o piccola impresa non fallibile) non riesce più a pagare i propri debiti in modo regolare. La legge lo definisce come la situazione di perdurante squilibrio economico tra obbligazioni assunte e patrimonio liquidabile per farvi fronte, oppure la manifestazione di insolvenza con inadempimenti o altri fatti esteriori. In parole semplici: sei sovraindebitato se hai accumulato debiti che, con il tuo reddito e i tuoi beni, non sei in grado di saldare secondo le scadenze. Non c’è una soglia matematica fissa (tipo un rapporto debito/reddito): conta la situazione concreta. Ad esempio, se hai 100 mila euro di debiti e sei disoccupato senza beni, sei sicuramente sovraindebitato. Se hai 50 mila euro di debiti ma uno stipendio modesto che ti permette solo di pagare le spese essenziali, anche quello è sovraindebitamento. Il sovraindebitamento può essere anche il preludio all’insolvenza vera e propria (quando smetti di pagare). Per accedere alle procedure devi trovarti in questo stato di difficoltà non temporanea. Se invece hai solo un problema di liquidità momentanea ma in prospettiva puoi pagare (magari vendendo qualcosa o con un prestito), non è un sovraindebitamento “irrisolvibile” – in tal caso le procedure concorsuali forse non ti servono, potresti ristrutturare stragiudizialmente. In sintesi, quando i debiti sono troppi rispetto alle tue possibilità realistiche di pagarli, e i creditori iniziano magari ad attivarsi (ingiunzioni, solleciti) perché non li paghi più regolarmente, allora sei sovraindebitato ai sensi di legge e puoi rivolgerti all’OCC per avviare una procedura.
  • Domanda: “Ho ancora un piccolo reddito (una pensione di €800) e una macchina; se chiedo la liquidazione controllata, mi tolgono anche la pensione e l’auto?”
    Risposta: La liquidazione controllata non ti “toglie la pensione”, nel senso che non la azzera: però il liquidatore può prelevarne una quota mensile per i creditori. La legge prevede che al debitore vada lasciato un importo minimo vitale (oggi circa €750 mensili, pari all’assegno sociale aumentato della metà) e che solo ciò che eccede può essere usato per i creditori. Con €800 di pensione, praticamente solo €50 al mese sarebbero teoricamente pignorabili. Quindi impatto ridotto. Quanto all’automobile, dipende: se è un bene di valore e non strettamente necessario all’attività lavorativa, il liquidatore potrebbe doverla vendere. Se però l’auto è di modesto valore (es. vale €2.000) e ti serve per le esigenze di vita (fare la spesa, andare dai medici), probabilmente ti verrà lasciata perché i costi e l’inutilità di venderla superano il beneficio per i creditori. La normativa tutela gli strumenti indispensabili al lavoro del debitore: ad esempio, se tu facessi il rappresentante, l’auto come “strumento di lavoro” sarebbe impignorabile fino a un certo valore. Nel tuo caso, non avendo attività, l’auto non rientra in quella categoria, ma c’è sempre una valutazione di opportunità. Spesso le utilitarie di scarso valore non vengono nemmeno liquidate perché tra spese di vendita e ricavato minimo non conviene. Quindi: aspettati di poter mantenere la pensione (in gran parte) e forse l’auto se modesta. Oggetti come televisione, mobili di casa, ecc., sono impignorabili per legge in quanto beni di uso quotidiano. Il liquidatore non ti svuota la casa di beni comuni (a meno che avessi quadri preziosi, gioielli, collezioni – quelli sì, andrebbero consegnati). Ricorda poi che la liquidazione per legge dura massimo 3 anni quanto a prelievo su redditi futuri: significa che, ad esempio, la trattenuta di €50 sulla pensione cesserebbe dopo 3 anni; e se decidessero di lasciarti l’auto, dopo la chiusura potrai tenerla senza problemi. Se invece la vendono, potrai eventualmente riacquistare un’altra auto con i tuoi soldi dopo la procedura (non c’è impedimento, salvo che quei soldi in quei 3 anni sarebbero essi stessi pignorabili se eccedenti il necessario).
  • Domanda: “Che succede se propongo un piano ai creditori ma uno o due si oppongono? Possono bloccare tutto?”
    Risposta: Dipende dalla procedura. Nel piano del consumatore, no: i creditori non hanno potere di veto perché non si vota. Possono presentare delle osservazioni, far presente al giudice le loro ragioni, ma se il giudice ritiene che il piano è corretto e tu sei meritevole, lo omologa anche con il dissenso di tutti i creditori. Quindi un creditore singolo non può bloccare un piano del consumatore omologabile. Al massimo potrebbe impugnare per Cassazione poi, ma solo per vizi di legittimità, raramente con successo. Nel concordato minore, invece, i creditori votano: serve che almeno oltre il 50% dei crediti votanti approvino. Quindi se “uno o due” creditori detengono da soli la maggioranza del tuo debito e votano contro, , possono bloccare l’omologazione (non raggiungi la maggioranza richiesta). Se però “uno o due” hanno una quota minoritaria, possono essere “sconfitti” dal voto degli altri. Esempio: hai 10 creditori uguale importo, 6 favorevoli 4 contrari -> maggioranza ottenuta, il giudice omologa comunque e i 4 contrari sono obbligati ad accettare il concordato. Esiste una tutela per le minoranze: i creditori dissenzienti possono fare opposizione sostenendo che avrebbero avuto di più in liquidazione rispetto a quanto gli dai nel concordato – se provano questo, il giudice non omologa. Ma se la proposta rispetta il criterio di convenienza per tutti, l’opposizione dei singoli non impedisce l’omologa. Caso particolare: se tra i contrari c’è il Fisco o un ente pubblico con grossa quota, c’è la possibilità di cram-down fiscale: il giudice può omologare comunque purché tu offra almeno il 10% al Fisco. Quindi nemmeno l’Erario ha più potere di veto assoluto. In generale, nelle procedure giudiziali (piano o concordato) i creditori non possono bloccare arbitrariamente se la tua proposta è seria e rispettosa delle norme. Diverso è in un accordo stragiudiziale (fuori dal tribunale): lì basta un creditore che non aderisce e tecnicamente può agire contro di te comunque – non essendoci vincolo legale, l’accordo privato vale solo per chi firma. Ecco perché spesso è necessario andare in procedura: per includere forzatamente i dissenzienti. Un’altra procedura dove serve accordo è l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. (per aziende più grandi) che richiede il 60% dei crediti e vincola poi anche gli altri, ma qui entriamo in campi specialistici oltre il nostro perimetro.
  • Domanda: “Ho debiti IVA molto alti perché con la sala giochi facevo fatturato ma poi non sono riuscito a versare l’IVA. Mi hanno detto che l’IVA non si può stralciare perché è un’imposta dovuta all’Europa. È vero? Devo pagarla per forza tutta?”
    Risposta: Un tempo questo era vero: fino al 2016-2017, nella legge fallimentare c’era il divieto di falcidiare l’IVA nei concordati, e inizialmente anche la legge 3/2012 aveva una norma simile. Però le cose sono cambiate. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 245/2019, ha dichiarato illegittimo il divieto di includere IVA e ritenute nei piani di sovraindebitamento, rimuovendo quell’ostacolo. Già prima qualche giudice trovava escamotage per permetterlo, ma dal 2019 è chiaro: anche l’IVA può essere falcidiata nelle procedure di sovraindebitamento. Il Codice della Crisi recepisce questa impostazione, tant’è vero che nel concordato minore e nei piani del consumatore non c’è scritto da nessuna parte che l’IVA va pagata integralmente. Quindi, no, non sei costretto a pagare per forza tutta l’IVA se vai in una procedura concorsuale minore. Puoi proporre di pagarne solo una parte, commisurata a ciò che i creditori chirografari prenderebbero in liquidazione. Ovviamente lo Stato come creditore preferirebbe averla tutta e potrebbe opporsi. Ma il giudice può comunque omologare se giudica la proposta equa. Nella pratica dei tribunali, si è cominciato a omologare piani dove l’IVA viene pagata in percentuale. E ricorda: se invece finisci in liquidazione (o fallimento), l’IVA di fatto non verrà pagata integralmente perché se non ci sono abbastanza soldi il fisco prende solo una parte come tutti gli altri privilegiati, e il resto viene perdonato con l’esdebitazione. Quindi ha poco senso un’interpretazione rigida “l’IVA va sempre pagata al 100%” – è stata superata. Attenzione però: l’IVA evasa oltre soglie è anche un reato penale; la falcidia in sede concorsuale non estingue automaticamente il reato (perché per la non punibilità servirebbe pagamento integrale). Questo è un problema collaterale: potresti ottenere la falcidia IVA nel piano, ma poi dover affrontare una causa penale per omesso versamento IVA. Ci sono discussioni giuridiche sul fatto che l’omologazione del piano equivalga a pagamento non fraudolento e quindi possa escludere il reato; per sicurezza molti preferiscono che nel piano del consumatore l’IVA sia pagata almeno al di sopra della soglia penalmente rilevante, o prevedere forme di transazione fiscale. Questo è un punto dove servirà un avvocato penalista eventualmente. Ma dal lato civile/concorsuale, stai tranquillo: puoi includere l’IVA nel tuo piano e proporre di pagarla parzialmente. Ad esempio, magari versi tutto il capitale IVA e stralci sanzioni e interessi; oppure paghi una percentuale se proprio non hai di più. Il giudice valuterà la meritevolezza: meglio incassare qualcosa e liberare il debitore, che condannarlo a un importo irrecuperabile.
  • Domanda: “Che differenza c’è tra il piano del consumatore e il concordato minore? Sembrano simili: come decido quale mi conviene?”
    Risposta: In effetti hanno molti aspetti in comune (entrambi mirano a evitare la liquidazione vendendo un piano di rientro), ma la differenza fondamentale è chi sei tu e chi decide. Il piano del consumatore è riservato alle persone fisiche con debiti da consumatore (cioè per bisogni familiari/personali, non legati a un’attività imprenditoriale attuale). La decisione sull’omologa la prende il giudice, indipendentemente dal consenso dei creditori. Il concordato minore invece è destinato a imprenditori minori, professionisti, ecc. (non consumatori), e per essere omologato richiede il voto favorevole dei creditori (maggioranza semplice). Quindi, se ad esempio i tuoi debiti derivano in gran parte dall’attività della sala giochi (debiti verso fornitori, banche dell’azienda, fisco per IVA d’azienda), dovrai probabilmente procedere con un concordato minore, assistito dall’OCC, presentando una proposta ai creditori e cercando di ottenere la loro adesione. Se invece i tuoi debiti fossero soprattutto privati (mettiamo, hai chiuso tutti i conti dell’attività ma ti sono rimasti debiti personali, magari per un mutuo casa, carte di credito, qualche prestito familiare, bollette, ecc.), allora sei un candidato per il piano del consumatore, dove non devi negoziare coi creditori ma convincere il giudice. In situazioni miste (un po’ e un po’), spesso l’approccio è: se avevi un’impresa, anche piccola, tendi a fare concordato minore a meno che tu possa dimostrare che i debiti aziendali si sono “personalizzati” (ad es. hai garantito col tuo nome e ora non c’è più impresa, sei di fatto un consumatore che paga debiti residui). La convenienza: il piano del consumatore è più vantaggioso per il debitore perché bypassa il voto (nessuno può farti saltare l’accordo), però ha lo scoglio della meritevolezza rigorosa (il giudice scruta bene il tuo comportamento pregresso). Il concordato minore è più contrattuale: hai un po’ più flessibilità su requisiti (non importa se hai fatto errori di gestione, puoi comunque tentare) ma devi ottenere consenso fra i creditori. In pratica, se puoi qualificarti come consumatore, preferisci il piano del consumatore, salvo il caso in cui i tuoi creditori principali (banche, ecc.) siano in realtà già disponibili all’accordo – se hai buon rapporto con loro, anche un concordato minore andrà bene. In dubbio, l’OCC ti aiuterà a capire dove rientri. Ci sono casi limite: ad esempio un artigiano cessato può presentarsi come consumatore per i debiti personali e far passare quelli di ex attività come “estranei all’attività attuale” (questioni tecniche che la giurisprudenza a volte accetta). Ma in linea generale: persona fisica non imprenditore = piano; imprenditore/professionista = concordato minore.
  • Domanda: “Quanto dura l’intera procedura? Devo aspettare tanti anni prima di essere libero dai debiti?”
    Risposta: La durata dipende da quale procedura scegli e dalla complessità, ma in genere sono tempi abbastanza ragionevoli. Orientativamente: un piano del consumatore o concordato minore richiede qualche mese per la predisposizione (raccolta documenti, relazione OCC) e poi il deposito in tribunale. Dal deposito all’omologa, se fila tutto liscio, possono passare circa 6 mesi (dipende dai tribunali: alcuni omologano in 2-3 mesi, altri 6-8). Durante questo periodo sei protetto dalle misure sospensive (se le hai chieste). Una volta omologato, inizia la fase di esecuzione del piano: quella durata la decidi tu nel piano. Può essere 4 anni, 5 anni, 10 anni – in base alle rate che hai proposto. Quindi la “procedura” di per sé può considerarsi conclusa con l’omologa, ma tu sarai definitivamente libero dai debiti solo dopo aver eseguito il piano (a meno di esdebitazioni anticipate per cause di forza maggiore previste dalla legge). Esempio: omologa nel 2025, piano di pagamenti fino al 2030, poi ottieni esdebitazione – in totale 5 anni di adempimento. Se però il piano prevede qualche pagamento subito e nient’altro (magari vendi una casa e paghi, e poi basta), allora la chiusura reale coincide con l’omologa o poco dopo. La liquidazione controllata, invece, di solito dura attorno ai 2-3 anni. Il Codice impone di fare il possibile per chiudere entro 3 anni specie per la parte di contributi futuri. Può durare un po’ di più se ci sono contenziosi o beni difficili da vendere, ma la Corte Cost. ha detto che oltre 3 anni non va prolungata per prendere redditi futuri. Diciamo quindi 3 anni circa e poi ti arriva l’esdebitazione di diritto. L’esdebitazione incapiente è la più breve: potresti ottenere il decreto di esdebitazione in qualche mese dalla domanda (il tempo di udienza e decisione). Dopodiché c’è quel periodo di 4 anni di “sorveglianza” per eventuali sopravvenienze, ma se non accade nulla, tu sei libero dai debiti già da subito. In conclusione, nessuna di queste procedure ti tiene “appeso” per decenni come una volta succedeva coi pignoramenti a ripetizione. Il legislatore vuole che in tempi ragionevoli (pochi anni) tu abbia risolto e ripartito. Un confronto: un fallimento per un piccolo imprenditore durava mediamente 5-6 anni in Italia, e poi l’esdebitazione la chiedevi e te la davano magari al 7º anno. Ora, con la liquidazione controllata, si vuole stare sui 3 anni. Certo, dovrai mantenere i tuoi impegni del piano se li hai presi: se prometti di pagare per 7 anni una rata, quella è una tua scelta per evitare di liquidare i beni. Ma è “libertà vigilata” diciamo, non un’incertezza: sai che se rispetti il piano, nel 7º anno sei a zero debiti.
  • Domanda: “Che cos’è questa meritevolezza di cui parlano? Che controlli fanno sul mio comportamento passato?”
    Risposta: La meritevolezza è un concetto introdotto per assicurare che solo i debitori che non hanno colpe gravi possano godere dei benefici delle procedure (in particolare l’esdebitazione). Nel contesto attuale, la meritevolezza conta soprattutto nel piano del consumatore e nell’esdebitazione “incapiente”. Significa che il giudice valuterà se hai causato il tuo sovraindebitamento con grave imprudenza, frode o dolo. Esempi di comportamenti non meritevoli: hai fatto debiti oltre ogni ragionevole possibilità sapendo di non poterli pagare (es. stipendio 1000 € e fai finanziamenti per rate da 800 € al mese – colpa grave), oppure hai sperperato il denaro in attività aleatorie (azzardo, spese voluttuarie) contribuendo in modo determinante alla tua insolvenza, oppure hai mentito ai finanziatori per ottenere credito (es. false documentazioni reddituali – quello è dolo/malafede). Anche atti come aver sottratto beni ai creditori (vendite simulate a parenti) segnalano non meritevolezza. Tuttavia, va detto che con la riforma 2020 il criterio è diventato più elastico: non fanno più il “controllo col bilancino” di ogni acquisto errato che hai fatto, ma guardano al quadro generale. Se il tuo sovraindebitamento è frutto di tanti fattori, magari anche errori ma non intenzione di frodare, di solito ti considerano meritevole. Viceversa, se hai una condotta spudoratamente scorretta (tipo continui a prendere prestiti pur essendo già insolvente cronico, o fai spese di lusso fregandotene dei debiti), potresti essere dichiarato non meritevole e quindi il piano del consumatore verrebbe rigettato o l’esdebitazione incapiente negata. Nelle procedure di concordato minore e liquidazione, la meritevolezza non è un requisito esplicito per l’accesso, ma incide sull’esdebitazione finale: se hai frodato i creditori, il giudice può negarti l’esdebitazione (ad es. scoprendo che hai nascosto soldi). Quindi devi tenere una condotta trasparente e collaborativa. In pratica, cosa controllano? Sicuramente la tua documentazione reddituale e patrimoniale degli ultimi anni: dichiarazioni fiscali, estratti conto, acquisti di un certo rilievo. Se notano che due anni fa hai speso 30 mila euro in viaggi e auto di lusso e ora dici di essere in miseria, qualche domanda se la fanno. Oppure se rilevano che hai assunto nuovi debiti a raffica quando già non pagavi i vecchi (comportamento definito “azzardo morale”), possono storcere il naso. La Cassazione 2023 ha criticato i giudici che troppo severamente negavano piani se il debitore aveva fatto qualche scelta avventata, ricordando che conta la globalità e uno shock esogeno (evento esterno, sfortuna) non è sempre necessario, basta che non ci sia colpa grave deliberata. Quindi, sii onesto nella ricostruzione delle cause: spiega perché ti sei indebitato, evidenzia i fattori di crisi (calo lavoro, malattia, crisi economica, cliente insolvente, etc.). Se hai commesso errori, mostra che non c’era intento malizioso. L’OCC nella sua relazione metterà in luce questi aspetti. Ad esempio, “il debitore ha in parte vissuto al di sopra delle sue possibilità contraendo mutui elevati, ma ciò non raggiunge la soglia della malafede grave, trattandosi di errore di valutazione commesso confidando in redditi poi venuti meno” – un discorso del genere spesso passa. Se invece hai evaso volontariamente le tasse per anni mettendo da parte soldi all’estero e poi chiedi esdebitazione, ecco, quella è malafede e difficilmente risulterai meritevole! Ricorda: la meritevolezza è soprattutto un filtro etico. Non cercano il “santo”, ma vogliono evitare di premiare il disonesto incallito o l’azzardatore seriale. Nel dubbio, confrontati apertamente con l’OCC su eventuali pecche passate: meglio affrontarle e giustificarle, che farle scoprire di nascosto (perché se escono a sorpresa, perdono fiducia in te).
  • Domanda: “Se apro la procedura di sovraindebitamento, finisco in qualche registro pubblico o la gente (es. i clienti, vicini) lo viene a sapere?”
    Risposta: La procedura di sovraindebitamento, una volta presentata in Tribunale, comporta alcune pubblicità legali ma molto meno visibili rispetto a un fallimento. In particolare: l’OCC e il Tribunale iscriveranno la pendenza nel Registro delle procedure di crisi tenuto dall’apposita piattaforma ministeriale (accessibile però agli addetti ai lavori, non è pubblico su Google). Inoltre l’omologazione del piano o del concordato viene pubblicata sul portale dei fallimenti in un’area dedicata e, se coinvolge beni immobili, può essere annotata nei registri immobiliari (ad esempio, il decreto di apertura liquidazione viene annotato in Conservatoria). I creditori, ovviamente, verranno a saperlo perché saranno notificati degli atti (istanza di piano o liquidazione). Tuttavia, diversamente dal fallimento, non c’è affissione all’albo del Comune, non c’è obbligo di comunicarlo ai tuoi clienti o di mettere cartelli. La legge tutela la riservatezza del consumatore sovraindebitato il più possibile. Ad esempio, la composizione negoziata è del tutto riservata finché non chiedi misure protettive. Il sovraindebitamento giudiziale appare comunque sul casellario delle imprese? Se sei una persona fisica non imprenditore, no. Se sei un imprenditore, il concordato minore viene iscritto al Registro Imprese (come succedeva per il concordato preventivo). Quindi in quel caso qualche fornitore attento potrebbe vederlo. Ma nel tuo caso, avendo cessato l’attività, non credo. In definitiva: la cerchia delle persone che lo saprà si limita ai creditori coinvolti e agli addetti (OCC, tribunale). Il debitore sovraindebitato non subisce la “gogna pubblica” del fallito di un tempo. Tanto è vero che non perde i diritti civili: puoi continuare a votare, a stipulare contratti (con prudenza), etc. Solo alcune attività sono precluse durante la procedura (ad esempio non puoi fare nuove imprese senza informare, non puoi aggravare il passivo). Quindi, è improbabile che, ad esempio, i vicini di casa lo sappiano, a meno che tu non glielo dica o che cerchino deliberatamente info nei registri legali.
  • Domanda: “Dopo che sono esdebitato, posso aprire una nuova attività o chiedere un mutuo?”
    Risposta: Tecnicamente, : l’esdebitazione, soprattutto nell’ambito sovraindebitamento, mira proprio a permetterti di tornare economicamente attivo. Non c’è una norma che ti impedisca di aprire una nuova partita IVA o costituire una società dopo l’esdebitazione. Tuttavia, devi considerare due aspetti: (1) Reputazione creditizia: se hai fatto una procedura concorsuale, è possibile che risulti nelle banche dati creditizie (CRIF o simili) come uno che ha avuto insolvenze pregresse. Anche se legalmente i debiti sono cancellati, le finanziarie potrebbero essere caute a prestarti denaro per qualche anno. Non c’è una regola fissa: di solito, l’iscrizione nei sistemi di informazione creditizia per morosità dura 36 mesi dal termine del rapporto. Se i tuoi debiti vengono estinti con esdebitazione, può darsi che dopo qualche tempo la tua posizione risulti “pulita”, ma aspettati un po’ di diffidenza. (2) Attenzione a non ricadere nell’indebitamento: la legge ti permette di indebitarti di nuovo, certo – non c’è un divieto – ma se dovessi abusarne e cercare un’altra esdebitazione, ricorda che l’esdebitazione incapiente la puoi fare solo una volta e in generale ottenere una seconda procedura entro 5 anni non è ammesso. Quindi meglio essere prudenti. Per quanto riguarda l’avvio di una nuova impresa, se la tua procedura è stata una liquidazione controllata o un concordato, durante la procedura stessa eri in qualche modo limitato (nel fallimento c’era addirittura l’inabilitazione all’esercizio d’impresa durante, nel sovraindebitamento c’è meno). Una volta chiusa la procedura con esdebitazione, queste limitazioni cadono. In passato il fallito esdebitato aveva comunque alcuni retaggi (es: non poteva fare l’amministratore di società per qualche tempo se non riabilitato); col nuovo codice non mi risultano previsioni di “periodi di sospensione” dopo l’esdebitazione. Anzi, la filosofia è di reinserirti subito. Quindi, se vuoi chiedere un mutuo per comprare casa dopo l’esdebitazione, in linea di principio nulla osta, ma la banca valuterà il tuo merito creditizio attuale. Potrebbe voler vedere qualche anno di redditi stabili senza indebitamento prima di concedertelo. Leggi speciali: per esempio, la legge “Antiusura” ti considerava cattivo pagatore se avevi sofferenze; l’esdebitazione invece cancella legalmente l’obbligo, ma non cancella la storia. Diciamo che dovrai ricostruirti un track record. Se apri un’attività, potresti avere qualche difficoltà ad ottenere forniture a credito all’inizio, finché non dimostri affidabilità. Ma legalmente non c’è un casellario pubblico che dica “Tizio era sovraindebitato, attenzione”: l’informazione rimane in ambito tribunale. Nel Registro Imprese, se eri un piccolo imprenditore, forse comparirà la nota della tua procedura fino alla chiusura, poi viene tolta (per i fallimenti di solito restano per 5 anni dalla chiusura come visura storica; per il sovraindebitamento devo verificare, ma credo simile). In conclusione: sì, puoi riprendere la normale vita economica. Anzi, la legge 155/2017 (riforma) si intitola proprio “Crisi d’impresa e dell’insolvenza” ed è ispirata al principio della seconda opportunità sancito anche da normative UE. Quindi non esiste più la “morte civile” del debitore insolvente. Abbi solo cura di imparare dall’esperienza e gestire con prudenza le nuove attività economiche.
  • Domanda: “Che costi ha la procedura? Devo pagare l’OCC o i professionisti, e se non ho soldi come faccio?”
    Risposta: Questa è una domanda cruciale. Le procedure di sovraindebitamento hanno dei costi professionali, ma spesso molto inferiori al beneficio ottenuto (cioè la cancellazione di grandi debiti). Ci sono principalmente tre voci: (1) il compenso del Gestore della crisi/OCC; (2) le spese procedurali vive (contributo unificato se dovuto – spesso no perché esente, marche da bollo, eventuali costi di pubblicazione, ecc.); (3) l’eventuale onorario di un avvocato di fiducia se ne incarichi uno (non obbligatorio per legge, ma consigliabile averne uno accanto). Il compenso dell’OCC è stabilito dal Tribunale in base a un decreto ministeriale, spesso è proporzionale all’attivo/debiti. Per situazioni molto semplici e senza attivo, alcuni OCC applicano tariffe minime o l’intervento potrebbe essere quasi a titolo di spese. Ad esempio, ho visto casi in cui per esdebitazione incapiente l’OCC chiede solo un importo simbolico o in alcuni tribunali addirittura operano a carico dello Stato (da verificare: in teoria no, ma alcuni hanno protocolli per casi sociali). In piano/concordato, se c’è da gestire rate e pagamento creditori, l’OCC prenderà un compenso (a volte pagato durante il piano). Spesso il contributo unificato per l’istanza è esente (la L.3/2012 prevedeva esenzione, il CCII non sono certo, ma mi pare di sì per il consumatore, mentre per concordato minore credo come concordato preventivo modesto). Comunque, parliamo di poche centinaia di euro di spese vive. L’avvocato: se ti affidi a un legale, dipende dal suo onorario libero professionale; alcuni fanno tariffe forfettarie accessibili per sovraindebitati. Tanti OCC stessi sono avvocati o commercialisti e ti seguono completamente senza dover pagare un avvocato a parte. Esistono inoltre fondi di assistenza in alcuni tribunali o convenzioni con associazioni di consumatori per aiutare i debitori a basso reddito. Diciamo che se non hai liquidità subito, paradossalmente la liquidazione controllata risolve perché le spese dell’organo concorsuale e i compensi dei professionisti vengono prelevati dall’attivo prima di soddisfare i creditori (prededuzione). Se l’attivo è zero, l’OCC potrebbe non essere neanche nominato (per esdebitazione incapiente spesso l’OCC non viene nominato se appare evidente la situazione – il giudice può gestire da sé). Nei piani, alcuni OCC chiedono un piccolo anticipo spese e poi si fanno pagare durante il piano (inserendo il loro compenso tra le voci da soddisfare in prededuzione, quindi col denaro che tu apporti al piano). In sostanza: un po’ di costi ci sono, ma non lasciarti scoraggiare da questo. Molti professionisti sono ben consci che trattano con persone in difficoltà e concordano piani di pagamento del loro onorario. Ad esempio, l’avvocato può accettare di essere pagato in più tranche o con parte dei risultati. L’alternativa – restare con i debiti a vita – è sicuramente più costosa! Quindi considera i costi come un investimento per liberarti. Un consiglio: rivolgiti per primo ad un OCC pubblico (presso la Camera di Commercio locale o l’Ordine degli Avvocati/Dottori Commercialisti se hanno sportello). Hanno l’obbligo di risponderti e farti un preventivo. Per legge, non possono rifiutare l’assistenza se hai i requisiti. Nei casi di particolare indigenza, alcuni tribunali hanno liquidato compensi OCC molto ridotti riconoscendo la situazione. Ad esempio, se non c’è attivo, il compenso OCC può essere simbolico (ho visto decreti con 400 euro totali di compenso). Per la parcella di un eventuale avvocato, verifica se hai i requisiti di gratuito patrocinio: per le procedure fallimentari non era ammesso, ma nel sovraindebitamento qualcuno ha provato a chiederlo per la fase di omologazione come “procedimento volontario”. Non tutte le Corti d’Appello lo concedono, c’è dibattito. Informati presso l’Ordine Avvocati locale. In conclusione: i costi ci sono ma gestibili, e comunque enormemente inferiori al beneficio di magari decine o centinaia di migliaia di euro di debiti cancellati.

Conclusione

Affrontare i debiti residui dopo la chiusura di un’attività come una sala giochi può sembrare un compito schiacciante, ma l’ordinamento italiano offre oggi strumenti efficaci per difendersi e ripartire. Dalle soluzioni negoziali con i creditori (rateazioni, saldi e stralci) alle procedure giudiziali di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata), fino all’esdebitazione totale per i casi più disperati, esiste un percorso adatto ad ogni situazione. Il filo conduttore è la valorizzazione della seconda chance per il debitore onesto: come abbiamo visto, se agisci con trasparenza e tempestività, puoi ottenere la protezione del Tribunale, il blocco delle azioni esecutive e infine la liberazione dai debiti, pur dovendo in molti casi sacrificare beni non essenziali o intraprendere piani di rimborso proporzionati alle tue forze. La chiave è non restare inerti: informati subito sui tuoi diritti, consulta un Organismo di Composizione della Crisi o un professionista esperto in crisi d’impresa e valuta il piano d’azione. Ogni caso è unico – “ex titolare di sala giochi con debiti” è una formula che racchiude tante possibili storie – ma la legge fornisce un arsenale di soluzioni flessibili per il debitore sovraindebitato meritevole, anche nelle situazioni che paiono senza via d’uscita. Con questa guida – aggiornata alle ultime novità normative del 2024-2025 e arricchita con orientamenti giurisprudenziali recenti – speriamo di averti fornito una mappa chiara per orientarti nel percorso. Ricorda: difendersi dai debiti è possibile, legalmente e dignitosamente, proteggendo ciò che conta (la propria casa, il sostentamento familiare) e tornando, dopo la tempesta, ad una vita finanziariamente sostenibile.

Dal punto di vista pratico, il nostro consiglio finale è di agire per tempo: più aspetti, più i creditori potrebbero muoversi aggressivamente. Invece, avviare per primi una procedura (ad esempio depositando un piano del consumatore) ti mette in posizione di controllo e spesso spiazza i creditori malevoli. Non vivere i debiti come una colpa morale insuperabile: la legge stessa, attraverso l’esdebitazione, sancisce che il fallimento economico non è il fallimento della persona. Oggi, grazie a questi strumenti giuridici avanzati, un debitore onesto può risollevarsi e tornare contribuire all’economia. Questa è la logica di fondo delle norme e il messaggio che anche la giurisprudenza più recente ha ribadito (si veda ad es. Corte Cost. 6/2024 sull’equilibrio tra creditori e dignità del debitore).

In bocca al lupo per il tuo percorso di risanamento: informati, pianifica, affidati a professionisti competenti, e ricorda che la legge è dalla tua parte per aiutarti a uscire dal tunnel dei debiti e difendere il frutto del tuo lavoro passato e futuro.

Fonti (normativa e giurisprudenza)

  1. Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – Articoli rilevanti: artt. 2 (definizioni, incluso sovraindebitamento); 67-73 (ristrutturazione debiti del consumatore); 74-83 (concordato minore); 268-277 (liquidazione controllata); 282-283 (esdebitazione sovraindebitato); artt. 12-25 (composizione negoziata). Entrato in vigore dal 15/07/2022, con modifiche integrative da D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024.
  2. Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (vecchia “Legge salva-suicidi”) – Normativa ora abrogata e confluita nel Codice della Crisi, ma utile come background. Prevedeva: piano del consumatore, accordo di composizione, liquidazione, con divieto (poi rimosso) di falcidia IVA e criteri di meritevolezza poi modificati nel 2020. Corte Cost. 245/2019 ha dichiarato illegittimo l’art. 7 co.1 terzo periodo L.3/2012 che vietava la falcidia di IVA e ritenute.
  3. Decreto Legge 118/2021 convertito in L. 147/2021 – Ha introdotto la Composizione Negoziata per la crisi d’impresa e misure collegate (art. 12 CCII e seguenti). Rilevante per imprese ancora in attività. Prevedeva anche il concordato semplificato post-negoziazione. Ora integrato nel Codice.
  4. Corte Costituzionale, sentenza 10 marzo 2022 n. 65 – Ha chiarito che nel piano del consumatore si possono falcidiare i crediti oggetto di pignoramento presso terzi già assegnati (es. cessione del quinto già disposta dal giudice). Questione di legittimità sull’art. 8 co.1-bis L.3/2012 risolta con interpretazione adeguatrice: la norma include anche le cessioni coattive, quindi anche i debiti con quota stipendio pignorata possono essere ristrutturati.
  5. Corte Costituzionale, sentenza 19 gennaio 2024 n. 6 – Ha rigettato la questione di legittimità sull’art. 142 co.2 CCII (estensione beni futuri in liquidazione) come applicabile alla liquidazione controllata, ritenendo che l’art. 282 CCII fissi un limite triennale implicito. Ha sancito che in liquidazione controllata i beni sopravvenuti del debitore nei 3 anni successivi all’apertura fanno parte della procedura, e oltre no. In pratica, ha fissato a 3 anni la durata massima del prelievo su redditi futuri, garantendo poi l’esdebitazione di diritto.
  6. Corte Costituzionale, sentenza 25 febbraio 2021 n. 34 – (Non citata direttamente sopra, ma nota di contesto) Ha dichiarato illegittimo l’art. 14-quinquies L.3/2012 nella parte in cui non consentiva al debitore incapiente meritevole l’esdebitazione integrale. Questa decisione ha aperto la strada all’istituto poi codificato dell’esdebitazione del debitore incapiente.
  7. Corte di Cassazione, Sez. I, 27 luglio 2023 n. 22890 – Importante ordinanza in tema di meritevolezza nel piano del consumatore. Ha affermato che, dopo la novella del 2020, la verifica va fatta secondo il solo criterio di assenza di colpa grave, malafede o frode, abbandonando il rigido “triplice test” previgente. Ha richiamato i giudici a valutare la condotta globalmente e non bocciare i piani solo perché il consumatore fece debiti imprudenti, se non c’è condotta intenzionalmente scorretta.
  8. Corte di Cassazione, Sez. I, 26 luglio 2023 n. 22715 – (Citata indirettamente) Ha trattato il tema dei pagamenti ultrannuali ai creditori privilegiati nel sovraindebitamento, confermando la possibilità di dilazioni oltre l’anno analogamente agli accordi di ristrutturazione, subordinata al diritto dei creditori di valutarne la convenienza.
  9. Corte di Cassazione, Sez. VI, ord. 15 febbraio 2021 n. 3850 – Riguardata (nel testo Corte Cass citata nel rinvio in Corte Cost. 65/2022) sulla non applicabilità dell’art.44 LF (inefficacia pagamenti dopo fallimento) al concordato preventivo e quindi per analogia al piano del consumatore: finché non c’è omologa, i pignoramenti in essere producono effetti e i pagamenti non sono revocati.
  10. Portale istituzionale “Portale Sovraindebitamento” (Zucchetti) – Scheda riepilogativa procedure CCII: definizioni di Concordato minore, Ristrutturazione consumatore, Liquidazione controllata, Esdebitazione ex art. 283.
  11. Camera di Commercio Maremma e Tirreno – OCC, pagina informativa (agg. 2025) – Spiega in modo accessibile i concetti chiave: definizione di sovraindebitamento, chi può accedere (elenco soggetti: consumatore, imprenditore minore con soglie €300k/200k/500k), possibilità offerte dalle procedure (piano, concordato, liquidazione, esdebitazione) e requisiti di accesso a ciascuna (es. non più di due esdebitazioni pregresse). Fonte utile e autorevole.
  12. Relazione Unioncamere VI Osservatorio Composizione Negoziata (nov. 2024) – Dati statistici e modifiche D.Lgs.136/2024: evidenziato ampliamento accesso anche ad imprese insolventi e semplificazioni per nomina esperto. Aumento esiti positivi nel 2024.
  13. Codice Civile e leggi collegate: per privilegi e norme esecuzione:
    • Artt. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale universale);
    • Art. 2751-bis c.c. (privilegi lavoro);
    • Art. 2770-2778 c.c. (privilegi fiscali, contributivi);
    • DPR 602/1973 (esecuzione esattoriale: limiti pignoramento su stipendi/pensioni);
    • DL 69/2013 (impignorabilità prima casa da AER, art. 52 co.1 lett.g);
    • Legge 108/1996 (usura) e 3/2012 per esenzione contributo unificato procedure (art.18).
  14. Fonti normative emergenziali recenti:
    • L. 197/2022 (Legge Bilancio 2023) – introdotto stralcio automatico mini-cartelle fino €1.000 e definizione agevolata 2023;
    • DL 34/2020 conv. L. 77/2020 – modifiche alla L.3/2012 (introdotto art. 14-quaterdecies, esdebitazione incapiente).
    • L. 176/2020 (conv. DL 137/2020 “Ristori”) – mini-riforma sovraindebitamento: ampliato meritevolezza e introdotto esdebitazione incapiente.

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  • ✔️ Avvocato esperto nella tutela degli ex titolari di imprese commerciali e ricreative
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
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Conclusione

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