Ex Imprenditore Carpentiere Con Debiti: Come Difendersi

Sei stato un imprenditore carpentiere – titolare di una ditta individuale o socio di un’impresa artigiana nel settore della carpenteria metallica o edile – e oggi ti ritrovi sommerso dai debiti lasciati dalla tua attività? Hai ricevuto cartelle esattoriali, richieste dalle banche, solleciti dai fornitori o atti di pignoramento? Ti stai chiedendo come difenderti e se c’è una via d’uscita legale per non perdere tutto?

Molti ex imprenditori artigiani nel settore della carpenteria, spesso operativi in prima persona nei cantieri, finiscono con il caricarsi personalmente debiti accumulati per tasse, materiali, attrezzature e personale, anche dopo la chiusura dell’attività.

Quali sono i debiti più comuni di un ex carpentiere?
– Cartelle esattoriali per IVA, IRPEF e contributi INPS artigiani
– Debiti verso le banche per finanziamenti, leasing o fidi di conto corrente
– Fatture non pagate per forniture di ferro, acciaio, attrezzi, mezzi da cantiere
Contributi non versati ai dipendenti o a collaboratori
– Canoni arretrati per affitto di capannoni, magazzini o officine
– Sanzioni per inadempienze fiscali o irregolarità contabili

Cosa rischi se non intervieni?
Pignoramento del conto corrente, dello stipendio o della pensione
Aggressione alla casa, ai veicoli o agli strumenti di lavoro personali
– Iscrizione in Centrale Rischi e impossibilità di ottenere credito
– Crescita continua del debito per interessi, sanzioni e aggravi
Blocco della possibilità di ripartire con una nuova attività

Come puoi difenderti se sei un ex carpentiere con debiti?
– Verifica se i debiti sono prescritti o se le cartelle sono state notificate in modo irregolare
– Richiedi l’accesso agli atti e analizza se ci sono errori nei calcoli del Fisco
– Valuta la procedura di sovraindebitamento, anche se la tua impresa è stata chiusa da anni
– Se hai solo debiti personali, puoi accedere al piano del consumatore
– In presenza di garanzie e beni, è possibile un accordo con i creditori o una liquidazione controllata
– Controlla la possibilità di proporre un saldo e stralcio con banche e fornitori
– Opponiti a pignoramenti o ipoteche illegittime o sproporzionate

Cosa puoi ottenere con l’aiuto giusto?
Blocco immediato delle azioni esecutive
Riduzione dei debiti fino all’80% o cancellazione completa, se sei incapiente
Protezione della casa, se rientri nei requisiti previsti dalla legge
Recupero della serenità personale e familiare
– La possibilità concreta di ripartire senza essere schiacciato dal passato

Essere stato un imprenditore non significa dover pagare per tutta la vita. Se hai agito in buona fede e oggi ti trovi in difficoltà, hai diritto a strumenti legali per difenderti e ripartire.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa e sovraindebitamento ti spiega come difenderti se sei un ex carpentiere con debiti, quali soluzioni puoi attivare e come salvaguardare il tuo patrimonio personale.

Hai ricevuto atti di riscossione o richieste che non riesci più a fronteggiare? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti diremo se puoi annullare o ridurre i debiti e bloccare ogni azione esecutiva contro di te.

Introduzione

Un ex imprenditore artigiano (carpentiere) che si ritrova sommerso dai debiti può sentirsi senza vie d’uscita. In passato, avere debiti insostenibili poteva condannare un individuo a una “prigione” finanziaria a vita, senza reali strumenti giuridici per liberarsene. Oggi invece l’ordinamento italiano, in attuazione del principio del fresh start promosso anche a livello europeo, offre procedure avanzate per la gestione della crisi da debiti e l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui). Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – fornirà un’analisi dettagliata e normativa su come difendersi efficacemente dal sovraindebitamento, dal punto di vista del debitore, con un taglio tecnico-divulgativo adatto a professionisti (avvocati, commercialisti) ma anche a privati e piccoli imprenditori.

Affronteremo tutti i tipi di debito che possono gravare su un ex imprenditore (debiti bancari, fiscali, verso fornitori, personali, ecc.), esaminando i rischi e le tutele possibili. Esploreremo le procedure legali di sovraindebitamento ed esdebitazione previste dall’ordinamento italiano – dal piano del consumatore al concordato minore, dalla liquidazione controllata fino all’esdebitazione del debitore incapiente – integrando le novità normative più recenti (dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza in vigore dal 2022 fino alle modifiche del 2024) e le sentenze più aggiornate di legittimità che hanno interpretato queste norme. Il tutto sarà corredato da tabelle riepilogative, esempi pratici (simulazioni) e una sezione di domande & risposte, per chiarire i dubbi più comuni.

Nota bene: Le soluzioni illustrate (soprattutto le procedure concorsuali di sovraindebitamento) richiedono spesso l’assistenza di professionisti e l’intervento del tribunale. Inoltre, non tutti i debiti possono essere cancellati per legge: ad esempio, obblighi alimentari, risarcimenti per illeciti gravi e sanzioni penali o amministrative restano dovuti anche dopo l’esdebitazione. Questa guida aiuterà a orientarsi tra le opzioni disponibili, ma ogni situazione debitoria è diversa e andrebbe valutata caso per caso con un esperto.

Tipologie di debiti e rischi per il debitore

Un ex imprenditore carpentiere può trovarsi esposto a diverse tipologie di debito, ciascuna con regole proprie e differenti poteri in mano ai creditori. Comprendere la natura dei debiti è il primo passo per capire come difendersi. Di seguito le categorie principali e i relativi rischi:

  • Debiti bancari e finanziari: Mutui, finanziamenti aziendali, fidi di conto, leasing e scoperti di conto contratti durante l’attività imprenditoriale, oppure prestiti personali e carte di credito utilizzati per esigenze private. Questi creditori (banche, società finanziarie) in caso di insolvenza possono agire giudizialmente per ottenere un decreto ingiuntivo e procedere al pignoramento dei beni del debitore. Se il debito è garantito da ipoteca (es. mutuo sulla casa) o da pegno su beni mobili, la banca potrà agire esecutando il bene dato in garanzia (es. espropriazione e vendita all’asta dell’immobile ipotecato). È importante sapere che un creditore munito di ipoteca su un immobile non è soggetto a particolari limiti: può pignorare e far vendere all’asta anche la prima casa del debitore, poiché la protezione legale dell’abitazione principale opera solo nei confronti di alcuni crediti pubblici (vedi oltre). Inoltre, in caso di mutuo non pagato, la banca potrebbe avvalersi della clausola di decadenza dal beneficio del termine per esigere immediatamente tutto il capitale residuo. Il debitore deve quindi difendersi eventualmente contestando la regolarità delle intimazioni di pagamento o cercando un accordo di ristrutturazione del debito con la banca (ad esempio una moratoria o un piano di rientro). In sede giudiziale, se si avvia una procedura di sovraindebitamento, i debiti bancari possono essere inclusi nel piano e ristrutturati (ad esempio dilazionandoli); nel caso di mutuo sulla prima casa, le norme più recenti consentono perfino di continuare a pagare le rate residue alle scadenze originarie mantenendo l’immobile, se si è regolari con i pagamenti scaduti o se il giudice autorizza il debitore a regolarizzare le morosità.
  • Debiti verso fornitori, fornitori di materiali e altri creditori commerciali: Se l’attività imprenditoriale era svolta in forma individuale (ditta artigiana) o tramite società di persone, il carpentiere risponde personalmente dei debiti contratti verso i fornitori e subappaltatori. Questi creditori, una volta ottenuto un titolo esecutivo (es. decreto ingiuntivo non opposto o sentenza), possono procedere con pignoramenti di beni mobili (macchinari, automezzi) o immobili, nonché con pignoramenti presso terzi (ad es. blocco di conti correnti, o quote di stipendi e crediti verso clienti). Un rischio concreto è il pignoramento dei crediti professionali: se l’ex imprenditore ha ancora crediti da incassare (es. pagamenti dovuti da clienti per lavori eseguiti), i fornitori creditori potrebbero pignorarli presso il debitore di tali somme. Per difendersi, il debitore può tentare accordi transattivi (“saldo e stralcio”) offrendo un pagamento parziale in tempi rapidi, specialmente se il creditore sa di affrontare altrimenti un lungo iter di recupero. Inoltre, verificare se il credito del fornitore sia ancora azionabile o sia caduto in prescrizione (spesso i crediti commerciali si prescrivono in 5 anni, se non interrotta) è fondamentale: un’eccezione di prescrizione sollevata in sede di opposizione a decreto ingiuntivo potrebbe estinguere il debito legalmente.
  • Debiti fiscali (Erario) e contributivi (INPS, INAIL): Comprendono imposte non versate (IVA, IRPEF, IRES), ritenute, tributi locali, nonché contributi previdenziali di dipendenti o del titolare (gestione artigiani INPS) e premi assicurativi INAIL. Questi debiti sono generalmente affidati per il recupero all’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia), che agisce tramite la notifica di cartelle esattoriali e, in caso di mancato pagamento, con procedure esecutive peculiari. Il Fisco ha alcuni vantaggi ma anche limiti: può iscrivere fermi amministrativi su veicoli e ipoteche sugli immobili (anche senza un provvedimento giudiziario, trascorsi i termini di legge dalla notifica della cartella); può pignorare conti correnti e stipendio/pensione (nei limiti previsti dal DPR 602/1973 e dal c.p.c.); può pignorare gli immobili, ma non la prima casa se ricorrono certe condizioni di legge (unica casa di residenza del debitore, non di lusso, debito sotto una certa soglia attualmente €120.000). Dunque, se l’ex imprenditore possiede solo l’abitazione principale e ha debiti fiscali non enormi, l’Agente della riscossione non potrà espropriarla. In ogni caso, di fronte a intimazioni e preavvisi del Fisco, esistono vari strumenti difensivi: l’impugnazione di cartelle o accertamenti (per vizi formali o sostanziali) entro 60 giorni, che se accolta annulla il debito; oppure la richiesta di rateizzazione amministrativa del debito fiscale, che può arrivare fino a 72 o 120 rate mensili secondo l’entità e le condizioni economiche, congelando nel frattempo le azioni esecutive. Dal punto di vista concorsuale, i debiti fiscali e contributivi possono essere inclusi nelle procedure di sovraindebitamento: la legge prevede la transazione fiscale e contributiva, ossia la possibilità di proporre il pagamento parziale e/o dilazionato di tali debiti. Oggi il tribunale può omologare il piano anche contro il parere contrario dell’Erario o degli enti previdenziali (c.d. cram-down fiscale), purché la proposta sia più conveniente per il Fisco rispetto alla liquidazione. Ciò significa che anche debiti come IVA e contributi possono essere falcidiati (ridotti) e poi esdebitati, secondo l’orientamento ormai consolidato che include i tributi tra i debiti concorsualmente cancellabili.
  • Debiti verso banche e finanziarie garantiti da fideiussioni personali: Un caso frequente: l’ex imprenditore potrebbe aver garantito prestiti e leasing della propria impresa con fideiussioni personali o avalli. In caso d’insolvenza dell’azienda (ad esempio se una società della quale era socio/amministratore non paga i debiti), il garante-persona fisica viene escusso. Di conseguenza, i creditori (banche, società di leasing) possono aggredire il patrimonio personale dell’ex imprenditore per l’intero importo garantito. La difesa in questi casi può consistere nel verificare la validità formale delle fideiussioni (ad esempio, alcune fideiussioni bancarie omnibus antecedenti al 2018 sono state ritenute nulle perché uniformate ad uno schema illegittimo secondo un parere ABF-Bankitalia). Se la fideiussione è valida, il fideiussore purtroppo ha le stesse esposizioni di un debitore principale: dovrà quindi valutare le medesime strategie (trattative di saldo e stralcio, inclusione del debito garantito in un eventuale piano di sovraindebitamento, ecc.). Importante: se più garanti sono obbligati, il pagamento da parte di uno libera gli altri, ma ciò non impedisce al creditore di scegliere contro chi agire. Dunque coordinarsi tra coobbligati è difficile, ma il debitore principale e i fideiussori potrebbero, ad esempio, presentare insieme una procedura di sovraindebitamento familiare (se ne ricorrono i presupposti, v. oltre) per risolvere unitariamente la posizione.
  • Debiti personali (non legati all’attività d’impresa): Rientrano qui i debiti privati del carpentiere, come ad esempio: finanziamenti al consumo (prestiti personali, carte revolving), debiti verso privati per prestiti personali, debiti derivanti da cause civili (es. un risarcimento danni causato dal debitore fuori dall’attività lavorativa), oppure obblighi di mantenimento verso l’ex coniuge o i figli in caso di separazione/divorzio. Questi debiti seguono regole eterogenee: un credito di natura familiare (assegno di mantenimento non pagato) gode di tutela speciale e può portare anche a sanzioni penali in caso di violazione dolosa. Tali obblighi non sono cancellabili mediante esdebitazione, e possono essere riscossi anche forzosamente tramite pignoramenti di stipendio e altri beni, senza i limiti del 20% (il giudice può aumentare la quota pignorata per mantenimenti). I debiti da risarcimento per illeciti extracontrattuali possono anch’essi godere di corsie preferenziali (se derivano, ad esempio, da lesioni personali causate dal debitore, il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale). Inoltre, se il fatto dannoso fu commesso con dolo o colpa grave, tali debiti non sono esclusi dal saldo neppure dopo esdebitazione (restano esclusi dal beneficio ex art. 278 CCII, che recepisce i limiti già previsti dalla legge fallimentare). Il debitore dovrà quindi gestirli separatamente: un piano di sovraindebitamento può includerli, ma al termine quei debiti “non esdebitabili” resteranno comunque a carico (anche se spesso, in pratica, il creditore di danni potrà comunque aver ricevuto qualcosa dal piano). Per i debiti puramente privati (es. un prestito tra amici, un debito di gioco non onorato se formalizzato con scrittura, ecc.), valgono le normali azioni legali di recupero: spesso però tali creditori non privilegiati hanno chances di recupero minori, specie se il debitore non possiede beni intestati. In ogni caso, vige la regola generale che tutto il patrimonio presente e futuro del debitore risponde dei suoi debiti (art. 2740 c.c.), fatte salve le eccezioni di impignorabilità: quindi anche se oggi l’ex imprenditore non ha nulla di aggredibile, domani un’eredità o una vincita potrebbero essere intercettate dai creditori a meno che nel frattempo non si sia attivata una procedura di esdebitazione.

Riepilogo dei rischi principali: In assenza di difese, i creditori potrebbero pignorare i beni immobili, mobili e i redditi del debitore. L’ordinamento tuttavia prevede alcune tutele del minimo vitale e dell’attività lavorativa: ad esempio, gli strumenti e oggetti indispensabili per l’esercizio della professione del debitore sono impignorabili (art. 515 c.p.c.) se costituiscono l’unico mezzo di lavoro – ad esempio, un solo autocarro o un macchinario essenziale possono essere risparmiati dal pignoramento. Il salario o stipendio è pignorabile entro limiti: di regola al massimo un quinto (20%) del netto per crediti ordinari, elevabile fino a 1/3 per crediti alimentari o fiscali in certi casi; inoltre, sul conto corrente del debitore, le somme accreditate a titolo di ultima mensilità di stipendio sono impignorabili (per evitare che venga sottratto integralmente lo stipendio appena versato). La pensione gode di un minimo vitale impignorabile pari a circa 1,5 volte l’assegno sociale (circa €700) e per la parte eccedente è pignorabile nei limiti di un quinto. La prima casa – come detto – è protetta da pignoramenti dell’Agente della riscossione se sussistono i requisiti di legge, ma non è affatto protetta contro i creditori privati (banche, finanziarie, privati): questi ultimi, se il debito è significativo, possono iscrivere ipoteca giudiziale e procedere alla vendita forzata dell’immobile, anche se unica casa del debitore. È dunque cruciale, per un debitore proprietario di un immobile, prevenire il pignoramento immobiliare attraverso le soluzioni illustrate oltre (accordi o procedure concorsuali), poiché una volta avviata l’esecuzione immobiliare, fermarla diventa difficile (richiede o un accordo transattivo con tutti i creditori procedenti, o l’apertura di una procedura concorsuale che però non sempre sospende ex lege le esecuzioni individuali, salvo casi particolari).

Strumenti di tutela del debitore e soluzioni extra-giudiziali

Di fronte a una situazione di sovraindebitamento, il debitore ha a disposizione una serie di strumenti di difesa e soluzioni da valutare prima di ricorrere alle procedure concorsuali (più complesse). In questa sezione esamineremo le possibili azioni difensive e le alternative stragiudiziali (ovvero accordi privati o agevolazioni di legge) per gestire o ridurre i debiti.

1. Verifica di irregolarità formali e prescrizione dei crediti: Appena si riceve una richiesta di pagamento o un atto di citazione/ingiunzione, è essenziale controllare la regolarità formale (notifica corretta? somme calcolate esattamente? presenza di vizi nell’atto?) e valutare se il credito sia ancora esigibile o sia prescritto. Molti debiti, specie quelli non riconosciuti dal debitore in tempi recenti, possono cadere in prescrizione: ad esempio le bollette o forniture si prescrivono in 5 anni, così come interessi e alcuni tributi locali in 5 anni, mentre i tributi erariali in genere in 10 anni (salvo termine più breve per cartelle non rinnovate). Se un credito è prescritto, il debitore può opporsi al pagamento – è un’eccezione di merito che va sollevata in giudizio, altrimenti il giudice non la rileva d’ufficio. Anche vizi di notifica di atti esecutivi (p. es. notifica della cartella esattoriale mai avvenuta correttamente) possono essere fatti valere con opposizioni ad hoc, spesso portando all’annullamento dell’intera procedura e talora del debito (se nel frattempo il termine per ripeterne la notifica è scaduto).

2. Impugnazioni e opposizioni in sede giudiziaria: Quando un creditore ottiene un titolo esecutivo (decreto ingiuntivo, sentenza) il debitore in alcuni casi può ancora reagire: ad esempio, contro un decreto ingiuntivo non definitivo è ammessa l’opposizione entro 40 giorni, dove far valere ragioni di contestazione del credito (non dovuto, importo errato, prescrizione, ecc.). Se il termine è decorso e il decreto è esecutivo, resta comunque possibile opporsi al pignoramento per vizi della procedura esecutiva o per fatti estintivi sopravvenuti (opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., o agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.). Ad esempio, se il pignoramento è avvenuto su beni impignorabili (strumenti di lavoro essenziali, somme oltre i limiti, ecc.), lo si può contestare; oppure se dopo il titolo il debitore ha pagato parte del dovuto o il creditore ha ritardato oltre un certo termine dall’ultima attività (prescrizione sopravvenuta), può chiedere la cessazione dell’esecuzione. Questi strumenti difensivi sono però di carattere tecnico e vanno valutati con l’assistenza legale caso per caso.

3. Soluzioni dilatorie e accordi extragiudiziali: In molti casi, negoziare con i creditori può essere la via più rapida e meno costosa. Se il debitore ha patrimonio liquidabile (es. un immobile vendibile, o un parente disposto a sostenerlo finanziariamente) può proporre un saldo e stralcio ai creditori: ciò consiste nell’offrire il pagamento di una porzione del debito (ad es. 20-50%) in tempi brevi e in un’unica soluzione, in cambio dell’accordo a rinunciare al resto. Molti creditori, di fronte all’alternativa tra incassare qualcosa subito o rischiare nulla da un debitore insolvente, accettano. È fondamentale formalizzare bene l’accordo transattivo (meglio se a saldo e stralcio definitivo) e assicurarsi che tutti i creditori rilevanti aderiscano, altrimenti il rischio è che un creditore “fuori dall’accordo” aggredisca comunque i beni. Un’altra opzione è la rateizzazione volontaria: ad esempio, chiedere alla banca di rinegoziare il mutuo allungandone la durata per abbassare la rata, o concordare con il Fisco un piano di dilazione (come anticipato, l’Agenzia Riscossione concede piani standard fino a 6 anni, estensibili a 10 anni per debiti maggiori, purché il debitore sia in regola coi pagamenti delle rate). La Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha introdotto l’ennesima “rottamazione delle cartelle” (c.d. rottamazione-quater) permettendo ai debitori di definire i ruoli fiscali pendenti pagandone solo l’imposta dovuta senza sanzioni né interessi di mora. Iniziative simili (condoni, saldo e stralcio per contribuenti in difficoltà, ecc.) sono state ricorrenti negli ultimi anni; al luglio 2025 non risultano nuove rottamazioni aperte oltre a quelle già scadute, ma il debitore dovrebbe sempre aggiornarsi su eventuali nuovi provvedimenti di definizione agevolata dei debiti fiscali che il legislatore dovesse varare.

4. Misure protettive del patrimonio (da usare con cautela): Alcuni debitori, nel tentativo di sfuggire ai creditori, pensano di ricorrere a stratagemmi come intestare beni a terzi, costituire un fondo patrimoniale o un trust. È doveroso avvertire che tali operazioni, se effettuate quando i debiti già esistono o sono prevedibili, possono facilmente essere dichiarate nulle o revocate come atto in frode ai creditori (azione revocatoria ex art. 2901 c.c.). Ad esempio, il fondo patrimoniale (vincolo su beni destinato ai bisogni familiari) non protegge da debiti sorti per scopi estranei ai bisogni stessi; inoltre, la giurisprudenza ammette l’esecuzione sui beni in fondo patrimoniale per debiti fiscali o professionali se si prova che il debitore li ha contratti nell’attività d’impresa a vantaggio della famiglia. Pertanto, affidarsi a queste scorciatoie spesso serve poco e può anzi peggiorare la situazione (aggiungendo contenziosi). L’unica protezione preventiva lecita potrebbe essere stipulare, prima di indebitarsi, forme di responsabilità limitata (es. esercitare l’attività sotto forma di società di capitali); ma per un imprenditore individuale che è già debitore, resta solo la strada di utilizzare gli strumenti negoziali o concorsuali disponibili.

5. Valutare il “non fare nulla” (quando non c’è nulla da perdere): Può sembrare un paradosso, ma dal punto di vista pratico del debitore nullatenente, avviare complesse procedure potrebbe non essere conveniente se non si hanno beni aggredibili né redditi significativi e se i crediti hanno già limitata efficacia esecutiva. Ad esempio, consideriamo un ex imprenditore che non possiede case, non ha stipendio (o solo un modesto stipendio già in parte impignorabile) e magari i suoi debiti maggiori sono col Fisco che, come visto, non può togliergli la prima casa e può al massimo pignorare il 10-20% di un piccolo stipendio. In tale situazione “di fatto insolvibile ma senza beni aggredibili”, il debitore potrebbe decidere di non attivare alcuna procedura concorsuale e convivere con i pignoramenti limitati (ad esempio subire un prelievo del 1/10 dello stipendio da parte del Fisco). Certo, rimarrebbe formalmente indebitato a vita – salvo prescrizioni future – però se l’obiettivo principale è mantenere quel poco che ha (stipendio minimo e casa protetta), potrebbe preferire questo status quo piuttosto che una procedura concorsuale. Questa scelta però comporta rischi: se in futuro il debitore acquisisse dei beni (es. un’eredità, un nuovo lavoro ben retribuito, ecc.), i creditori sarebbero sempre pronti ad agire. Viceversa, attivare una procedura di esdebitazione gli permetterebbe di cancellare definitivamente i debiti e cogliere davvero l’opportunità di ripartire da zero (il fresh start). Perciò, ogni caso va ponderato: chi “non ha nulla da perdere” in termini di beni potrebbe posporre il ricorso alle procedure, ma chi invece possiede ancora asset importanti e vuole salvaguardarli, o semplicemente vuole liberarsi dallo stress dei debiti, dovrebbe valutare seriamente le soluzioni concorsuali offerte dalla legge.

Nei paragrafi seguenti, dunque, analizzeremo in dettaglio le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dal nostro ordinamento (secondo la normativa vigente del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Tali procedure rappresentano spesso la via maestra per un debitore sovraindebitato che voglia risolvere in modo organico la propria posizione debitoria, sotto la supervisione del tribunale, ottenendo al termine l’ambito beneficio dell’esdebitazione (ossia la liberazione dai debiti insostenibili residui). È importante sottolineare che si tratta di strumenti una tantum e di carattere eccezionale: il debitore vi accede solo se rispetta rigorose condizioni di legge e con un forte principio di leale collaborazione (deve mettere a disposizione tutto il suo patrimonio e tutte le sue risorse disponibili per soddisfare i creditori al meglio delle possibilità). In cambio, otterrà la “clemenza” sui debiti non pagati. Vediamo dunque come funzionano.

Procedure di sovraindebitamento ed esdebitazione: quadro normativo aggiornato

Evoluzione legislativa: La normativa italiana sulle crisi da sovraindebitamento è relativamente recente e in continua evoluzione. Un punto di svolta è stata la Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (soprannominata “legge salva suicidi”), che per la prima volta ha introdotto procedure concorsuali dedicate ai debitori civili e piccoli imprenditori non fallibili. In particolare, la L.3/2012 prevedeva tre strumenti:

  1. l’accordo di ristrutturazione dei debiti (accordo con i creditori);
  2. il piano del consumatore (riservato ai debiti personali del consumatore meritevole);
  3. la liquidazione del patrimonio (liquidazione concorsuale dei beni del debitore).

Questa legge ha rappresentato per quasi un decennio il quadro di riferimento per affrontare situazioni di sovraindebitamento non soggette alle procedure fallimentari ordinarie. Sono seguiti interventi correttivi: nel 2015 una modifica ha reso possibile l’esdebitazione (cancellazione debiti) anche per il fallito persona fisica meritevole; nel 2017 il legislatore ha delegato il Governo a riordinare la materia con un codice unico.

È così nato il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato col D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, che avrebbe dovuto riformare tutta la disciplina delle procedure concorsuali. Il CCII ha abrogato la legge 3/2012 e riproposto le procedure di sovraindebitamento con denominazioni in parte nuove e regole in parte aggiornate. Tuttavia, l’entrata in vigore del Codice è stata rinviata più volte (anche causa Covid-19), avvenendo poi definitivamente il 15 luglio 2022. Prima di tale entrata in vigore, il legislatore ha comunque anticipato alcune novità: la Legge 176/2020 (conversione D.L. 137/2020 “Decreto Ristori”) ha modificato la legge 3/2012 introducendo, ad esempio, l’esdebitazione del debitore incapiente (possibilità di cancellare debiti per chi non ha nulla, art. 14-quaterdecies L.3/2012) e ampliando la nozione di consumatore (includendo i soci illimitatamente responsabili per debiti estranei all’attività sociale). Molte di queste innovazioni transitorie sono poi confluite nel Codice.

Successivamente, il CCII è stato oggetto di decreti correttivi mirati ad affinare la disciplina:

  • il D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147 (Correttivo I) ha rivisto alcune definizioni (es. ha precisato che l’imprenditore minore rientra tra i sovraindebitati);
  • il D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (Correttivo II, attuativo della Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza) ha ulteriormente integrato la disciplina, ad esempio confermando la logica della “seconda opportunità” per il debitore onesto;
  • il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Correttivo III, entrato in vigore dal 28 settembre 2024) ha introdotto modifiche puntuali: per citarne alcune, ha ampliato il concetto di “incapienza” (ammettendo al beneficio esdebitativo anche debitori con minimi surplus di reddito entro soglie fissate) e ridotto da 4 a 3 anni il periodo di controllo post-esdebitazione per il debitore incapiente. Inoltre ha modificato alcuni articoli sulle procedure di sovraindebitamento – ad esempio, l’art. 74 CCII sul concordato minore – senza però stravolgerne l’impianto.

Normativa vigente (luglio 2025): Attualmente la materia è regolata dal Codice della Crisi. Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono disciplinate principalmente agli artt. 65–83 CCII (che trattano il piano di ristrutturazione del consumatore e il concordato minore) e agli artt. 268–277 CCII (che disciplinano la liquidazione controllata del sovraindebitato), mentre l’esdebitazione – inclusa quella del debitore incapiente – è regolata agli artt. 278–283 CCII. Altre disposizioni generali rilevanti si trovano negli art. 2 CCII (definizioni, tra cui quella di sovraindebitato) e art. 69 CCII (requisiti di accesso e cause ostative, v. oltre).

Per sovraindebitamento la legge intende uno stato di crisi o insolvenza del debitore non soggetto alle procedure concorsuali maggiori (fallimento, concordato preventivo, ecc.), cioè tipicamente persone fisiche, piccoli imprenditori, professionisti, start-up e enti non commerciali oberati dai debiti. La definizione classica (già in L.3/2012) parla di perdurante squilibrio tra obbligazioni assunte e patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, tale da rendere difficile o impossibile adempiere regolarmente. In parole semplici, è sovraindebitato chi ha più debiti di quanti ne possa ragionevolmente pagare con il suo patrimonio o reddito, pur non essendo soggetto alle normali procedure fallimentari.

Le procedure di sovraindebitamento hanno una duplice finalità: da un lato, consolidare e ristrutturare tutti i debiti del soggetto, soddisfacendo per quanto possibile i creditori in modo equo; dall’altro lato, liberare il debitore onesto dal peso dei debiti residui in modo da consentirgli un nuovo inizio (fresh start). Questo secondo aspetto – l’esdebitazione – è la vera “ancora di salvezza” per l’ex imprenditore travolto dai debiti. Come vedremo, l’esdebitazione viene concessa solo a certe condizioni di meritevolezza e con modalità diverse a seconda della procedura (immediata in alcuni casi, dopo qualche anno in altri), ma rappresenta il punto di arrivo sperato.

Le procedure attualmente disponibili sono essenzialmente tre, due di tipo concordatario (incentrate su un piano di ristrutturazione, con o senza voto dei creditori) e una di tipo liquidatorio:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (in breve, piano del consumatore), riservato al debitore persona fisica consumatore, nel quale il debitore propone al giudice un piano di pagamento (anche parziale) dei debiti, senza bisogno del voto dei creditori.
  • Concordato minore (che ha preso il posto dell’accordo di composizione della crisi): destinato ai debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti, ecc.), consiste in un accordo con i creditori su un piano di ristrutturazione, che richiede però l’approvazione di una maggioranza dei crediti.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: analoga alla vecchia liquidazione del patrimonio, è la procedura in cui tutti i beni del debitore vengono liquidati da un liquidatore nominato dal tribunale, e il ricavato ripartito tra i creditori. Può accedervi qualsiasi debitore sovraindebitato e si conclude, se il debitore è persona fisica meritevole, con la cancellazione dei debiti residui.

A queste si aggiunge, come strumento speciale introdotto di recente, l’esdebitazione del debitore incapiente, che consente in casi estremi al debitore persona fisica privo di qualsiasi patrimonio di ottenere la cancellazione dei debiti senza dover prima attivare una liquidazione (ne parleremo diffusamente più avanti).

Piano di Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore (ex “Piano del consumatore”)

Il piano del consumatore è uno strumento pensato per le persone fisiche non fallibili che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa. È dunque la procedura tipica, ad esempio, per l’ex imprenditore che ora è un privato cittadino indebitato: egli potrà qualificarsi come “consumatore” relativamente ai debiti personali assunti fuori dall’attività imprenditoriale. La legge infatti definisce consumatore «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, anche se socio illimitatamente responsabile di una società di persone, per i debiti estranei a quelli sociali». Ciò significa – concretamente – che un ex imprenditore o socio può accedere al piano del consumatore limitatamente ai debiti di natura personale: la Corte di Cassazione ha chiarito che la qualifica di consumatore non è esclusa dal fatto di aver svolto in passato attività d’impresa, purché al momento della proposta non ci siano obbligazioni derivanti da quella attività ancora insolute. Ad esempio, se Tizio era un carpentiere artigiano che ha chiuso la ditta e i debiti residui riguardano un prestito personale e delle carte di credito (ma i debiti dell’ex ditta sono stati definiti, oppure Tizio non era soggetto a fallimento), allora Tizio può essere trattato come consumatore sovraindebitato.

Struttura e contenuto del piano: Il debitore consumatore elabora, con l’assistenza obbligatoria di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e di un professionista gestore, una proposta di piano dettagliata che indica come verranno pagati i creditori, in quale misura (% del credito) e in quali tempi. Il contenuto del piano è molto flessibile: può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione del debito, inclusi pagamenti parziali (falcidie dei crediti) e dilazioni anche lunghe, purché sia rispettato un vincolo fondamentale a tutela dei creditori privilegiati (muniti di pegno, ipoteca o privilegio speciale): a questi occorre garantire almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni su cui vantano prelazione. Questo principio di best interest test assicura che i creditori garantiti non vengano trattati peggio che in caso di vendita forzata dei beni (es.: se c’è un mutuo su casa, il piano non può offrire al creditore ipotecario meno del valore di realizzo dell’immobile al netto delle spese, salvo che quel creditore rinunci volontariamente a una parte). Diversamente dai concordati, nel piano del consumatore non è richiesta l’adesione dei creditori: la proposta viene sottoposta direttamente al giudice per l’omologazione, senza voto. I creditori, tuttavia, vengono avvisati e possono eventualmente sollevare contestazioni (ad esempio sulla convenienza del piano rispetto ad alternative). Ma la decisione finale spetta al tribunale, che valuta due aspetti chiave: la fattibilità del piano (ossia se le previsioni di pagamento sono realistiche) e la meritevolezza del consumatore.

Requisito di meritevolezza: Storicamente, la meritevolezza nel piano del consumatore significava che il debitore non doveva aver colposamente causato il proprio sovraindebitamento né aver assunto debiti sapendo di non poterli onorare. Era un vaglio piuttosto rigoroso e discrezionale, che di fatto escludeva i debitori “leggermente” irresponsabili. La riforma operata dalla L.176/2020 ha però allentato questo criterio, sostituendolo con uno standard più oggettivo: oggi il giudice può negare l’omologazione solo se il sovraindebitamento deriva da colpa grave, malafede o frode del debitore. In altri termini, non serve più dimostrare una “assenza assoluta di colpa”: basta che il debitore non abbia tenuto comportamenti gravemente colpevoli o dolosi (ad esempio, contrarre scientemente debiti oltre le proprie possibilità è colpa grave; nascondere volontariamente patrimonio ai creditori è frode). La Cassazione ha sottolineato la necessità di applicare questo nuovo criterio introdotto dall’art. 69 CCII, superando la vecchia impostazione troppo severa. Quindi un debitore “non perfetto ma in buona fede” può accedere al piano, mentre resta escluso chi abbia compiuto manovre in mala fede o violato gravemente i principi di correttezza. In sede di omologazione il giudice verifica appunto che il consumatore versi effettivamente in stato di sovraindebitamento e che non vi sia colpa grave, malafede o frode nel determinare la situazione. Se ritiene questi requisiti soddisfatti (oltre alla fattibilità del piano), omologa il piano con decreto.

Effetti dell’omologazione: Una volta omologato, il piano diviene vincolante per tutti i creditori anteriori all’omologazione, anche per quelli dissenzienti o che non hanno partecipato. Questo comporta che i creditori non possano più agire esecutivamente in modo individuale (le procedure esecutive pendenti sono sospese o cessano) e dovranno attendere le soddisfazioni previste nel piano. L’esecuzione del piano avviene sotto il controllo del gestore nominato dall’OCC, che vigila sull’adempimento. Se il debitore esegue regolarmente quanto promesso (ad esempio paga tutte le rate concordate, oppure cede i beni previsti), al termine il tribunale emette il decreto che attesta l’avvenuto adempimento e dichiara l’esdebitazione del debitore, ossia la cancellazione di tutti i debiti residui non soddisfatti con il piano. In pratica, i creditori non potranno più avanzare pretese per la parte di credito rimasta eventualmente insoluta (fresh start). Se invece il debitore inadempie in modo grave il piano, oppure se si scoprono durante l’esecuzione attivi nascosti o atti in frode, il tribunale – su istanza dei creditori – può revocare l’omologazione e far decadere i benefici per il debitore. Ad esempio, un inadempimento grave potrebbe essere il mancato pagamento di alcune rate senza giustificazione; un atto in frode potrebbe essere la mancata dichiarazione di un bene rilevante nell’inventario iniziale. La revoca comporta che i creditori riacquistano piena libertà di azione e i debiti tornano esigibili per intero, salvo quanto eventualmente già incassato.

Cause di inammissibilità e preclusioni: La legge (art. 69 CCII) elenca alcune cause ostative all’accesso al piano del consumatore, per evitare abusi. In parte riprendono quelle che già erano previste dall’art. 7 L.3/2012. Le principali sono:

  1. Uso reiterato delle procedure: non può accedere chi è già stato esdebitato nei 5 anni precedenti, né chi ha già beneficiato di due esdebitazioni in qualsiasi tempo. Dunque l’esdebitazione è concessa al massimo due volte in una vita e comunque non due volte ravvicinate (devono passare almeno 5 anni).
  2. Indebitamento colpevole o fraudolento: è precluso l’accesso al consumatore che ha determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode (questo è sostanzialmente il riflesso del criterio di meritevolezza di cui si è detto: se tali elementi emergono già in fase di ricorso, il piano è inammissibile). Ad esempio, chi ha dilapidato patrimonio in modo volutamente irresponsabile o ha contratto debiti sapendo di non pagarli, o ancora chi ha sottratto beni ai creditori, verrà fermato in limine.
  3. Documentazione incompleta o inattendibile: il Codice richiede che il debitore depositi una documentazione completa su propria situazione economica e patrimoniale, allegando l’elenco di tutti i creditori, l’inventario dei beni, le dichiarazioni dei redditi, ecc. Se mancano documenti essenziali o se il debitore non collabora a ricostruire la sua situazione, il tribunale può dichiarare inammissibile la proposta. Questo principio, pur non elencato formalmente come causa automatica di inammissibilità, discende dal dovere generale di trasparenza: omettere colpevolmente informazioni equivale a malafede.
  4. Pregresse procedure annullate/revocate per dolo del debitore: se il debitore ha già usufruito in passato di una procedura di sovraindebitamento che però è stata revocata o risolta a causa di un suo comportamento doloso (ad es. un precedente piano revocato per frode ai creditori), egli non può proporre subito un nuovo piano. Questa preclusione, derivata dalla L.3/2012, mira a impedire un secondo tentativo a chi ha già abusato del primo.

È importante notare che alcune di queste preclusioni valgono in modo diverso a seconda della procedura: ad esempio, come indicato, un debitore non meritevole (colpa grave/frode) non può accedere al piano o concordato, ma può comunque essere ammesso alla liquidazione controllata (gli sarà semmai negata l’esdebitazione finale). Questo perché la liquidazione, essendo nell’interesse dei creditori, viene aperta anche se il debitore è “cattivo”, mentre i benefici premiali (come l’esdebitazione) gli verranno negati.

Infine, va ricordato che il piano del consumatore è una procedura volontaria: il debitore può sempre decidere di ritirare la proposta prima dell’omologazione se, ad esempio, raggiunge un accordo stragiudiziale migliore o se preferisce optare per la liquidazione. In caso di rigetto dell’omologazione da parte del tribunale (ad es. perché il giudice ritiene il debitore non meritevole, o il piano irrealizzabile), il debitore può, contestualmente, chiedere l’apertura della liquidazione controllata. Il Codice prevede infatti che il giudice, se ne ricorrono i presupposti, trasformi d’ufficio il procedimento di omologa respinta in una liquidazione dei beni. Questa è una salvaguardia per non lasciare il debitore e i creditori senza alcuna soluzione nel caso in cui il piano non vada in porto.

Esempio pratico (Simulazione) – Piano del consumatore: Mario, ex imprenditore edile, oggi dipendente, ha debiti personali per 100.000 € (prestiti, carte di credito) e un mutuo residuo sulla casa. Il suo stipendio mensile è di 1.500 € e la casa vale 120.000 € con ipoteca residua di 80.000 €. Mario si rivolge a un OCC e presenta un piano del consumatore offrendo: continuazione del pagamento del mutuo alle scadenze originarie (tutelando la casa, grazie all’art. 67 co.5 CCII) e destinazione di 300 € al mese del suo stipendio per 5 anni ai restanti creditori chirografari, ottenendo un pagamento del ~30% dei loro crediti. Il piano dimostra che Mario non ha colpa grave (i debiti derivano da spese mediche impreviste, documentate) ed è sostenibile. I creditori chirografari, pur non consultati formalmente per voto, inviano alcune osservazioni ma il tribunale le respinge perché la proposta è più vantaggiosa del fallimento (avrebbero preso meno in liquidazione). Il giudice omologa il piano. Mario esegue puntualmente i pagamenti per 5 anni; al termine, ottiene l’esdebitazione e la cancellazione dei 70.000 € circa di debito chirografario rimasto. I creditori ipotecari hanno continuato a ricevere le rate mutuo (e continueranno fino a fine mutuo), quindi sono soddisfatti; i chirografari hanno preso il 30% e nulla più potranno pretendere.

Concordato Minore (ex “accordo di composizione”)

Il concordato minore è la procedura destinata ai debitori non consumatori in stato di sovraindebitamento. In sostanza è un piccolo concordato preventivo per imprenditori sotto soglia o enti non fallibili, nonché per professionisti, imprenditori agricoli, start-up innovative, ecc.. Ha sostituito il vecchio “accordo di composizione della crisi” della L.3/2012, presentando però alcune differenze significative.

Soggetti ammessi: Possono proporre un concordato minore tutti i debitori sovraindebitati che non siano consumatori. In pratica, rientrano in questa categoria:

  • gli imprenditori “minori” (ossia di dimensioni sotto le soglie di fallibilità);
  • gli imprenditori agricoli (esenti da fallimento per definizione);
  • i professionisti (es. un architetto indebitato);
  • le start-up innovative (che per legge non falliscono nei primi anni, ma possono usare queste procedure);
  • gli enti non commerciali e altri soggetti non fallibili in genere (associazioni, fondazioni, ecc.).

Il Codice della crisi ribadisce la definizione di imprenditore minore riprendendo le soglie di fallibilità della vecchia legge fallimentare: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi lordi annui ≤ €200.000, debiti totali ≤ €500.000 (considerati almeno in uno degli ultimi tre esercizi). Chi rimane entro questi limiti non è soggetto a liquidazione giudiziale (ex fallimento) e quindi può accedere al concordato minore. Come già accennato, l’imprenditore agricolo è sempre escluso dal fallimento (art. 1 LF) e rientra quindi tra i beneficiari del concordato minore indipendentemente dal volume d’affari. Resta escluso invece il consumatore puro: se un soggetto è persona fisica e i suoi debiti sono prevalentemente personali, dovrà seguire il percorso del piano del consumatore, non può “travestirsi” da concordato minore per evitare il giudizio di meritevolezza più stringente del piano. In caso di situazioni miste (es. un ex socio illimitatamente responsabile con debiti sia personali sia d’impresa), la prassi ammette che si possa presentare un concordato minore per i debiti d’impresa e parallelamente (o successivamente) un piano del consumatore per quelli personali, purché si coordino le due procedure senza pregiudicare i creditori.

Finalità e continuità aziendale: Il concordato minore è concepito per consentire al debitore di proseguire l’attività imprenditoriale o professionale nonostante la crisi. Infatti, la legge lo configura di regola come un concordato in continuità aziendale: ciò significa che l’azienda (o lo studio professionale) continua ad operare durante e dopo la procedura, con l’obiettivo di risanare il debito col frutto dell’attività futura. È però ammesso anche un concordato minore liquidatorio (cessazione attività e liquidazione beni) in via eccezionale, purché vi sia l’apporto di risorse esterne apprezzabili a beneficio dei creditori. Questa condizione – simile a quella prevista per il concordato preventivo liquidatorio – significa che, se un piccolo imprenditore vuole proporre un concordato senza continuare l’attività, deve offrire qualcosa in più rispetto alla semplice liquidazione (es. far entrare capitali di terzi, oppure rinunciare a crediti personali): altrimenti, diversamente, tanto varrebbe aprire direttamente una liquidazione controllata. Tale previsione è stata recentemente chiarita dal Correttivo 2024 che, modificando l’art. 74 CCII, ha puntualizzato che per “risorse esterne” si intendono incrementi dell’attivo disponibile al momento della domanda, semplificando la valutazione per il tribunale.

Struttura della proposta e approvazione dei creditori: Il debitore, assistito dall’OCC, predispone una proposta di concordato minore accompagnata da un piano dettagliato di ristrutturazione. Il piano può prevedere le più varie soluzioni: rinegoziazione di debiti, stralcio parziale degli importi dovuti, moratorie sui pagamenti, e può classificare i creditori in diverse classi trattate in modo differenziato (ad esempio separando fornitori, banche, Fisco). A differenza del piano del consumatore, qui è necessario il consenso dei creditori: la proposta infatti dev’essere sottoposta a voto e approvata dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Sono esclusi dal voto i creditori privilegiati integralmente soddisfatti dal piano (perché non toccati dalla ristrutturazione) e i creditori postergati. Se vi sono classi, la maggioranza richiesta è calcolata sul totale dei crediti votanti, ma è anche necessario che la maggioranza delle classi favorevoli (in caso di classi) approvi, altrimenti il giudice può comunque omologare forzosamente (cram-down intra-classi) se ritiene la proposta conveniente per i creditori dissenzienti di classi dissenzienti. In sintesi, serve almeno il 50% dei crediti votanti favorevole. Una volta ottenuto il voto favorevole, il tribunale fissa l’udienza di omologazione: verifica la regolarità del procedimento, la fattibilità del piano e la presenza del voto favorevole. Se qualche creditore ha votato contro ed ha proposto opposizione, il tribunale valuta anche l’eventuale cram-down: può ugualmente omologare il concordato minore nonostante il dissenso di una minoranza di creditori, purché il piano risulti conveniente per loro (ovvero offre comunque più di quanto otterrebbero dalla liquidazione). Al termine, se tutto è a posto, emette il decreto di omologazione.

Effetti e fase esecutiva: Con l’omologazione, la proposta concordataria approvata diventa obbligatoria per tutti i creditori anteriori, analogamente al piano del consumatore. Il tribunale nomina di norma un liquidatore giudiziale o un gestore della crisi che sovrintenda all’esecuzione del piano. Se è un concordato in continuità, il debitore continuerà la gestione dell’impresa sotto la vigilanza del commissario/gestore; se è liquidatorio, il liquidatore provvederà a vendere i beni secondo quanto previsto. A completamento dell’esecuzione (ad esempio, dopo che il debitore avrà pagato tutte le somme promesse ai creditori secondo le scadenze del piano), il debitore persona fisica potrà ottenere l’esdebitazione dei debiti residui non soddisfatti, nei medesimi termini visti per il piano del consumatore. Se invece il concordato minore fallisce – ad esempio, perché il debitore non rispetta gli obblighi, oppure perché emergono atti in frode, o ancora se i creditori non approvano la proposta – si aprono due scenari:

  • se il fallimento avviene dopo l’omologazione (cioè durante l’esecuzione), il tribunale può dichiarare la risoluzione del concordato per inadempimento e, su istanza, aprire una liquidazione controllata di quanto resta del patrimonio;
  • se l’insuccesso avviene prima dell’omologazione (ad esempio la proposta non ottiene i voti, o il giudice nega l’omologa per indegnità del debitore), il Codice prevede espressamente che, su richiesta del debitore, il tribunale possa aprire d’ufficio la liquidazione controllata dei beni. Ciò garantisce che un debitore in dissesto non rimanga “bloccato”: se il tentativo concordatario non va in porto, si passa alla liquidazione, così da salvaguardare comunque i creditori.

Cause di inammissibilità specifiche: Anche per il concordato minore l’art. 77 CCII richiama le cause ostative di cui all’art. 69 (quelle del consumatore) in quanto compatibili. In particolare:

  1. Esdebitazioni pregresse: divieto di accesso se il debitore ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti o se ha già beneficiato di due esdebitazioni in passato. Questa regola, identica a quella per il consumatore, è stata irrobustita dal Correttivo 2024, che ha tolto il riferimento (prima presente) al semplice ricorso a procedure nei 5 anni. Ora conta solo l’eventuale esdebitazione ottenuta (quindi, se uno ha fatto una procedura senza ottenere esdebitazione, non è ostativo).
  2. Atti in frode ai creditori: è causa di inammissibilità se il debitore ha compiuto atti diretti a frodare i creditori (es. distrazione di beni). Nel concordato minore il focus è posto sulla frode effettiva, più che sulla colpa grave. In effetti, per l’imprenditore si presume una certa assunzione del rischio: errori gestionali non escludono il concordato, mentre atti dolosi sì. Quindi, non si parla di “colpa grave” espressamente, ma è chiaro che un imprenditore gravemente negligente sarà difficilmente considerato meritevole. La sostanza è che sono esclusi i comportamenti dolosi.
  3. Reiterazione e abuso: identico al consumatore, non si può accedere a procedure ripetute entro breve termine (5 anni) o oltre il limite di due complessive.
  4. Errata qualificazione come consumatore: come già detto, un debitore che sarebbe consumatore non può “scegliere” il concordato minore per evitare il giudizio di meritevolezza. Se tenta questa via artificiosamente, il tribunale potrebbe dichiarare inammissibile la domanda richiedendo invece un piano del consumatore. In situazioni miste, occorrerà allocare correttamente i debiti tra le due possibili procedure.
  5. Obblighi informativi e buona fede: anche qui vale la regola della completa disclosure. Documentazione incompleta, informazioni false o reticenti porteranno all’inammissibilità del ricorso o alla revoca della procedura in seguito.

In breve, il concordato minore richiede onestà, trasparenza e – se in continuità – la prospettiva di risanare l’impresa. Il premio finale per il debitore persona fisica è l’esdebitazione a buon esito raggiunto.

Esempio pratico – Concordato minore in continuità: Luigi è un artigiano carpentiere ancora in attività, ditta individuale, con debiti totali di €400.000 (fornitori, banche, Fisco) a fronte di un’attività che genera €50.000 annui di ricavi. Luigi presenta un concordato minore offrendo di continuare l’attività: il piano prevede che Luigi si impegna a versare tutti gli anni, per 5 anni, €20.000 ai creditori (lasciandogli il resto per vivere e proseguire l’impresa) e che venda un macchinario non essenziale per ricavare subito €50.000 da distribuire. In più, un parente apporta €20.000 a fondo perduto (risorsa esterna). In totale, secondo il piano i creditori riceveranno circa €150.000 su €400.000 (37%). Viene proposta la suddivisione in classi: fornitori al 40%, banca (chirografaria, ipoteca già escussa su altro bene) 30%, Fisco 20% dei suoi crediti. L’OCC attesta che in una liquidazione i creditori prenderebbero forse il 10%, quindi il piano è migliorativo. Si procede al voto: il 75% dei crediti votanti approva. Un istituto di credito dissenziente (con 10%) contesta perché ritiene di meritare di più, ma il tribunale omologa lo stesso in cram-down considerando la proposta conveniente. Luigi esegue il piano per 5 anni, paga regolarmente le percentuali promesse grazie ai proventi del lavoro. Alla fine ottiene dal tribunale l’esdebitazione: i €250.000 di debiti non pagati sono cancellati.

Liquidazione Controllata del Sovraindebitato

La liquidazione controllata è la procedura liquidatoria prevista per i debitori sovraindebitati. Corrisponde alla vecchia “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012, ed è in sostanza una liquidazione concorsuale semplificata per soggetti non fallibili. Si distingue dalla liquidazione giudiziale (il “fallimento” delle imprese maggiori) solo per alcune semplificazioni procedurali, ma il meccanismo di base è analogo: tutti i beni del debitore vengono presi, venduti e il ricavato distribuito ai creditori secondo l’ordine dei privilegi.

Chi vi può accedere: La liquidazione controllata è aperta a qualunque debitore sovraindebitato, persona fisica o soggetto collettivo, senza distinzione di categoria. Può accedervi il consumatore, l’imprenditore minore, l’ex imprenditore, il professionista, l’associazione, ecc., purché non soggetti a liquidazione giudiziale. Può essere richiesta volontariamente dal debitore oppure (novità del CCII) anche imposta dai creditori: infatti l’art. 270 CCII consente ai creditori di presentare istanza al tribunale per aprire la liquidazione controllata di un debitore non fallibile che si trovi in stato di insolvenza. Questo strumento “coattivo” colma una lacuna della legge precedente: prima, i creditori di un piccolo imprenditore non fallibile non avevano modo di attivare una procedura concorsuale e dovevano accontentarsi di esecuzioni individuali frammentarie; ora invece, se un debitore sotto soglia è insolvente e non prende iniziative, possono essere i creditori a trascinarlo in liquidazione controllata. Va detto che il CCII (art. 271) privilegia comunque le soluzioni concordate: se pende un’istanza dei creditori ma il debitore deposita un piano del consumatore o concordato minore, il tribunale deve esaminare prima queste proposte e sospendere la decisione sulla liquidazione, applicando il principio di preferenza delle soluzioni concordatarie.

Come funziona la procedura: La liquidazione si apre con un decreto del tribunale che accerta lo stato di insolvenza del debitore (cioè l’incapacità di pagare regolarmente i debiti) e nomina un Liquidatore giudiziale. Da quel momento, il patrimonio attuale del debitore diviene “vincolato” alla procedura: i beni vengono individuati, inventariati e liquidati (venduti) dal Liquidatore, con l’ausilio dell’OCC e sotto la supervisione del giudice delegato. Si applicano in larga parte le norme della liquidazione giudiziale (ex fallimento): i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo entro un termine (recentemente ampliato da 60 a 90 giorni dal correttivo 2024), il Liquidatore redige un programma di liquidazione, e il ricavato viene distribuito secondo le cause di prelazione (prima i creditori con privilegio, pegno o ipoteca, poi gli chirografari, ecc.). Non c’è però il fallimento in senso tecnico: ad esempio, se il debitore è una società, la liquidazione controllata non comporta l’estinzione della società (come invece accade con la liquidazione giudiziale di società, ex art. 2495 c.c.), e se è una persona fisica, non comporta limitazioni personali (come l’inabilitazione temporanea che colpiva i falliti nel vecchio regime). In generale, la liquidazione controllata è meno stigmatizzante: ad esempio, il nome del debitore non comparirà nel casellario giudiziario (mentre il fallito aveva menzione in alcuni registri pubblici).

Accesso e meritevolezza: A differenza dei piani concordatari, la liquidazione non richiede di per sé un vaglio di meritevolezza all’ingresso. Infatti il legislatore vuole che anche il debitore che ha colpa possa essere liquidato, nell’interesse di far recuperare il possibile ai creditori. Pertanto, nessuna delle cause ostative (5 anni, frode, ecc.) impedisce l’accesso alla liquidazione controllata. Un debitore che abbia frodato i creditori potrà comunque essere messo in liquidazione – anzi, a maggior ragione – anche se ovviamente non otterrà il beneficio dell’esdebitazione finale. Questa logica è esplicitata dall’art. 280 CCII, il quale prevede che non si può concedere l’esdebitazione al debitore persona fisica se egli ha tenuto comportamenti fraudolenti o gravemente colposi, o se è recidivo negli accessi. Quindi l’esame di meritevolezza viene spostato alla fine: tutti possono entrare in liquidazione, ma solo i meritevoli ne usciranno puliti dai debiti. Ciò detto, il decreto di apertura di liquidazione può essere negato se è evidente che non c’è alcun bene da liquidare: il correttivo 2024 ha chiarito che la domanda di liquidazione è improcedibile se il debitore non ha beni liquidabili e l’OCC non segnala possibili azioni recuperatorie. In passato alcuni debitori “incapienti” provavano ad aprire comunque la liquidazione pur senza beni (magari sperando poi nell’esdebitazione finale), ma ora la legge vuole evitare procedure costose e inutili: se non c’è niente da liquidare, meglio indirizzare il debitore direttamente verso l’esdebitazione di cui all’art. 283 CCII.

Durante la procedura: Il debitore in liquidazione controllata ha l’obbligo di collaborare col liquidatore, consegnare i beni e documenti, e può mantenere per sé solo i beni impignorabili e i redditi necessari al suo sostentamento (secondo le determinazioni del giudice, che di solito applica criteri analoghi al pignoramento dello stipendio). Se il debitore non coopera o viola gli obblighi, oltre a incorrere in reati, si vedrà negare l’esdebitazione (art. 282 CCII elenca proprio l’assenza di collaborazione tra le cause di diniego del beneficio). La procedura può durare qualche anno: la vecchia legge prevedeva una durata minima di 4 anni per presentare domanda di esdebitazione, ma il CCII ha eliminato un termine minimo fisso. In generale, l’esdebitazione può essere chiesta al termine della liquidazione o anche dopo 3 anni dall’apertura se la procedura è ancora in corso. Infatti, per la liquidazione giudiziale delle imprese il CCII prevede espressamente che, decorsi 3 anni dall’apertura, il tribunale possa già dichiarare inesigibili i debiti residui, indipendentemente dalla chiusura. Questa novità recepisce l’idea che, se dopo 3 anni la procedura è ancora aperta, il debitore meritevole non debba aspettare oltre per essere liberato. Nel caso della liquidazione controllata (persone sovraindebitate), analogamente, il debitore può chiedere l’esdebitazione al termine oppure trascorsi 3 anni. Il correttivo 2024 ha rimosso la formalità della necessità di istanza del debitore in caso di 3 anni trascorsi: ora, in liquidazione giudiziale, l’esdebitazione a 3 anni avviene anche d’ufficio senza istanza, mentre per la liquidazione controllata dovrebbe comunque essere richiesta (il CCII dedica una sezione apposita – Capo X Sez. II – all’esdebitazione nella liquidazione controllata, che presumibilmente mantiene l’istanza).

Esdebitazione finale: Giungiamo così al cuore: il debitore persona fisica, dopo aver subito la liquidazione di tutti i suoi beni, può ambire a ottenere dal tribunale un decreto di esdebitazione che lo liberi dai debiti non soddisfatti. I requisiti principali per l’esdebitazione post-liquidazione sono indicati all’art. 280 CCII:

  • il debitore non deve aver commesso reati concorsuali gravi (come bancarotta fraudolenta) salvo sia intervenuta riabilitazione penale;
  • non deve aver aggravato volontariamente la propria esposizione debitoria nei 5 anni prima o durante la procedura con atti in frode;
  • deve aver collaborato lealmente con gli organi della procedura (come detto, la mancata collaborazione è causa ostativa ex art. 282);
  • non deve aver già usufruito di un’esdebitazione nei 5 anni precedenti e non deve aver beneficiato di più di due esdebitazioni in totale (limiti già visti).

In sostanza, viene svolto un controllo di meritevolezza soggettiva analogo a quello ante-procedura per il consumatore, ma ex post: si guarda se durante la procedura il debitore ha fatto il possibile per soddisfare i creditori e se prima non ha tenuto comportamenti fraudolenti. Non si guarda invece quanto è stato pagato ai creditori (“requisito oggettivo”): anzi, la Cassazione ha chiarito che oggi la legge non richiede alcuna soglia minima di soddisfacimento per concedere l’esdebitazione. In passato, sotto la legge fallimentare, si discuteva se pagamenti irrisori (es. 1% ai chirografari) impedissero l’esdebitazione; le Sezioni Unite della Cassazione hanno però affermato che conta solo la condotta del debitore, non la percentuale pagata, a meno che la quasi-nullità del pagamento derivi da sue condotte ostruzionistiche. Il CCII ha risolto la questione eliminando proprio ogni riferimento al requisito oggettivo del “non pagamento non irrisorio”. Quindi, anche se i creditori ricevono poco o nulla, il debitore onesto merita comunque il fresh start.

Se il tribunale accerta che tutte le condizioni sono soddisfatte e non vi sono opposizioni fondate dei creditori, emette il decreto di esdebitazione dichiarando inesigibili nei confronti del debitore tutti i debiti concorsuali rimasti. Da quel momento il debitore è legalmente libero. Restano esclusi, anche qui, quei debiti di natura personale non esdebitabili per legge (alimenti, danni per illecito doloso, multe) che non si cancellano.

Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII): Un caso particolare, introdotto prima nella L.3/2012 (art. 14-quaterdecies) e ora disciplinato dall’art. 283 CCII, è quello del debitore assolutamente privo di beni e reddito. Invece di passare per la liquidazione (che in pratica non avrebbe materia su cui lavorare), la legge consente a tale debitore “incapiente” di chiedere direttamente l’esdebitazione, senza preventiva liquidazione. È una procedura eccezionale e premiale, pensata per evitare che chi davvero non possiede nulla resti schiacciato dai debiti a vita solo perché non c’è nulla da liquidare. I requisiti sono molto stringenti: può accedere solo la persona fisica sovraindebitata non soggetta a fallimento, quindi escludendo società e grandi imprese. Inoltre, deve dimostrare la propria completa incapienza patrimoniale e reddituale, presente e prospettica: significa provare che nemmeno alienando tutti i propri beni (che però non ha) e destinando i suoi redditi futuri per un certo periodo potrebbe offrire qualcosa ai creditori. In pratica deve essere nullatenente e senza entrate significative, e non aver occultato patrimonio (deve cioè essere meritevole e in buona fede). La meritevolezza qui è ancora più cruciale: l’art. 283 richiede l’assenza di colpa grave, malafede o frode espressamente. Se ammesso, il debitore incapiente ottiene dal tribunale un decreto di esdebitazione “a zero”, ossia la cancellazione di tutti i debiti pur senza pagamento. Però c’è un rovescio della medaglia: per i tre anni successivi (inizialmente erano quattro, ridotti a 3 anni dal D.Lgs. 136/2024), se il debitore ottiene qualche sopravvenienza attiva rilevante – ad esempio, eredita una somma, vince alla lotteria, trova un impiego con reddito alto, ecc. – è obbligato a pagare ai vecchi creditori (riapparentemente “soddisfatti” dallo stralcio) queste nuove utilità, al netto di quanto serve al suo mantenimento. In altri termini, l’esdebitazione dell’incapiente non è un condono in caso di arricchimento improvviso: per tre anni il debitore rimane sotto controllo, e ogni entrata extra va comunicata e destinata ai creditori fino a concorrenza dei loro crediti. Passati i tre anni, il debitore potrà invece godersi le eventuali fortune senza doverle retrocedere. Questo meccanismo garantisce un equilibrio: si concede il fresh start immediato, ma se il “nullatenente” diventa benestante subito dopo, i creditori non restano a mani vuote. Da notare che il D.Lgs.136/2024, come accennato, ha introdotto la possibilità di accesso all’esdebitazione incapiente anche a soggetti con piccolissimi surplus di reddito oltre il minimo vitale (prima bastava qualunque reddito per escludere; ora si tollera un margine). Inoltre, per favorire l’utilizzo di questo strumento, la Legge di Bilancio 2025 ha istituito un Fondo statale per l’esdebitazione degli incapienti con dotazione di 500.000 €, destinato a coprire le spese di procedura (compensi OCC, contributo unificato, ecc.) per quei debitori che altrimenti, paradossalmente, non potrebbero permettersi neanche di fallire “gratis”. Al momento (luglio 2025) il Fondo è istituito ma ancora in attesa di decreto attuativo.

Sintesi comparativa delle tre procedure principali: Possiamo riassumere le caratteristiche salienti in una tabella:

ProceduraDestinatariApprovazione creditoriTrattamento debitiDurataEsdebitazione finale
Piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti)Consumatori (persone fisiche con debiti estranei ad attività imprenditoriali/professionali). Es: ex imprenditore per i suoi debiti personali.Non richiede voto dei creditori (omologa giudiziale). I creditori possono contestare ma non “votano”.Pagamento anche parziale e dilazionato dei debiti, secondo un piano sostenibile. Privilegiati: garantire almeno valore di liquidazione. Possibili stralci significativi dei chirografari.Variabile, in base al piano: spesso 4–5 anni di pagamenti (nessuna durata minima per legge). Le esecuzioni sono sospese durante il piano., se il piano è completato correttamente: i debiti residui vengono cancellati. (Se il piano fallisce per colpa del debitore, niente esdebitazione e anzi revoca dei benefici).
Concordato minoreDebitori non consumatori sotto le soglie di fallibilità: piccoli imprenditori, professionisti, impr. agricoli, start-up, enti non fallibili. Es: ex imprenditore per i debiti aziendali se non fallibile.Richiede voto favorevole dei creditori: maggioranza di almeno 50% dei crediti. Se approvato, omologa del tribunale anche con cram-down su dissenzienti.Piano di ristrutturazione con possibili classi. Possibile continuità aziendale (preferibile). Possibile liquidatorio solo con apporto esterno. Falcidia dei crediti chirografari e anche privilegiati se creditori accettano o se valore eccedente garanzia.Dipende dal piano, es. 5 anni. Durante procedura, sospese azioni esecutive (dopo apertura). Se non omologato, possibile conversione in liquidazione., se il piano viene eseguito con successo: il debitore persona fisica ottiene esdebitazione dei debiti non pagati. (Se salta il concordato, si apre la liquidazione: esdebitazione solo eventualmente dopo quella).
Liquidazione controllataQualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no). Accesso volontario o su istanza dei creditori (se debitore insolvente).No voto creditori. Procedura giudiziale pura. I creditori intervengono per accertamento del passivo e partecipano alla distribuzione.Liquidazione integrale (o parziale) di tutti i beni del debitore. Convertibile in liquidazione di redditi futuri (per crediti mantenimento). Impignorabili esclusi per legge. Pagamento creditori secondo ordine privilegi.Durata media 2–4 anni (nessun termine minimo; dipende da tempi di realizzo attivo). Possibile chiusura anticipata se attivo insufficiente o accordo di esdebitazione a 3 anni. Creditori individuali bloccati (divieto azioni esecutive individuali)., se il debitore è meritevole (onesto e cooperativo). Esdebitazione concessa dal tribunale a fine procedura (o dopo 3 anni). No esdebitazione se debitore ha frodato/violato obblighi (art. 280-282 CCII).
Esdebitazione incapiente (speciale)Persona fisica sovraindebitata priva di qualsiasi patrimonio e redditualità, meritevole, non soggetta a fallimento. Di fatto: debitore nullatenente onesto.N/A (non c’è un piano né voto). Si chiede direttamente al tribunale l’esdebitazione. I creditori possono essere sentiti ma non decidono.Non c’è soddisfacimento immediato (debiti azzerati senza pagamento). Eventuale obbligo di pagare ai creditori le sopravvenienze utili entro 3 anni dal decreto.Tempistica rapida: il tribunale decide dopo l’udienza (pochi mesi). Dopo, c’è un periodo di controllo di 3 anni su eventuali entrate straordinarie., immediata con il decreto: tutti i debiti vengono dichiarati inesigibili. (Revocabile se entro 3 anni emergono asset dissimulati o vengono violate le condizioni.)

(Legenda: CCII = D.lgs.14/2019, Codice Crisi; “sovraindebitato” = soggetto non fallibile in stato di insolvenza o difficoltà finanziaria.)

Come si vede, le procedure concordatarie (piano del consumatore e concordato minore) puntano a mediare col ceto creditorio, con vantaggi se c’è accordo o se il debitore è meritevole; la liquidazione è invece la rete di ultima istanza per recuperare il possibile e dare comunque (al meritevole) la liberazione dai debiti.

Domande frequenti (FAQ) del debitore sovraindebitato

D: Un ex imprenditore può essere considerato consumatore per accedere al piano del consumatore?
R: Sì, se i debiti residui che intende ristrutturare non sono legati all’attività imprenditoriale svolta. La Cassazione ha chiarito che la qualifica di consumatore spetta anche a chi in passato ha avuto un’impresa, purché i debiti oggetto del piano siano di natura personale (scopi estranei all’attività) e non vi siano più obbligazioni derivanti dall’attività d’impresa. Ad esempio, un ex carpentiere artigiano che ha chiuso la ditta e ha solo debiti personali (carta di credito, finanziamento auto privato, ecc.) può proporre un piano del consumatore per questi debiti. Se invece ha ancora debiti professionali verso fornitori o il Fisco per IVA d’impresa, per quelli dovrà semmai usare il concordato minore (o liquidazione).

D: Ho debiti con il Fisco (cartelle esattoriali). Posso inserirli in una procedura di sovraindebitamento?
R: Assolutamente sì. Tutti i debiti fiscali e contributivi possono essere compresi nel piano del consumatore, nel concordato minore o nella liquidazione controllata. Le leggi più recenti hanno chiarito che anche l’IVA e le sanzioni possono essere oggetto di stralcio ed esdebitazione. Nelle procedure concordatarie c’è uno strumento ad hoc chiamato transazione fiscale: in sostanza il tribunale può omologare il piano anche se l’Erario (Agenzia Entrate) o gli enti previdenziali votano contro, a patto che la proposta offra al Fisco almeno quanto otterrebbe in una liquidazione. Questo meccanismo è detto cram down fiscale. Dunque, a differenza di un tempo in cui il “NO” del Fisco bloccava tutto, oggi non può più impedire al debitore meritevole di ottenere sollievo sui debiti tributari. Ovviamente bisogna comunque prevedere di pagare almeno in parte anche il Fisco, specialmente per le imposte considerate prioritarie. In alternativa alle procedure concorsuali, ricordiamo che lo Stato spesso offre misure di definizione agevolata: ad esempio la rottamazione delle cartelle (l’ultima nel 2023) permette di sanare i debiti fiscali pagando il solo capitale senza sanzioni e interessi. Se queste opzioni sono disponibili e sostenibili, vale la pena valutarle: costano meno in termini di oneri procedurali e non richiedono di andare in tribunale.

D: È vero che la mia prima casa non può essere pignorata?
R: Dipende dal tipo di creditore. La tua abitazione principale è impignorabile dall’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) se soddisfa tutte queste condizioni: è l’unico immobile di proprietà in cui risiedi anagraficamente, non è di lusso (categorie catastali escluse A/8 e A/9) e il debito fiscale totale è sotto €120.000. In tal caso il Fisco non può né pignorarla né ipotecarla (può solo iscrivere fermo sui veicoli e pignorare conto o stipendio). Attenzione: questa protezione non vale per gli altri creditori: banche, finanziarie, fornitori e privati possono pignorare e far vendere all’asta la prima casa del debitore, poiché il Codice di procedura civile non prevede esenzioni per il “bene casa” (salvo il caso particolarissimo del fondo patrimoniale, ma solo per debiti estranei ai bisogni familiari, quindi raramente applicabile). Quindi se hai un mutuo impagato, la banca può avviare l’esecuzione immobiliare; se hai debiti con privati di importo rilevante, anche loro possono farlo (previa ipoteca giudiziale di solito). In tali scenari, l’unico scudo è cercare di concordare una soluzione prima che si arrivi all’asta, oppure – se i debiti sono troppi – attivare una procedura di sovraindebitamento: durante la procedura, generalmente le esecuzioni in corso vengono sospese, e poi il destino della casa dipenderà dal piano concordato o dal programma di liquidazione. Ad esempio, in un piano del consumatore puoi prevedere di conservare la casa continuando a pagare il mutuo regolarmente; in un concordato minore in continuità potresti fare simile. In una liquidazione controllata, invece, la regola generale è che la casa viene liquidata dal liquidatore per soddisfare i creditori, a meno che non vi siano soluzioni alternative (come un accordo di conversione dei creditori chirografari).

D: Quanto dura una procedura di sovraindebitamento?
R: La durata varia in funzione della procedura scelta e della complessità. Indicativamente: un piano del consumatore richiede qualche mese per la fase di omologazione (dall’istanza al decreto possono passare 4-6 mesi circa, a seconda del tribunale). Dopodiché, la fase di esecuzione del piano dipende da quanto tempo ti sei dato per pagare i creditori: spesso i piani prevedono pagamenti rateali in 4–5 anni, ma possono essere più brevi o più lunghi (entro limiti di sostenibilità; è raro che superino i 7–8 anni). Diciamo che in media entro 5 anni dall’omologazione si conclude e si ottiene l’esdebitazione. Un concordato minore ha tempi analoghi fino all’omologazione (qualche mese, con in più la votazione dei creditori da svolgere); anche qui poi l’esecuzione del piano può durare diversi anni a seconda di cosa prevede. La liquidazione controllata, se ci sono beni immobili da vendere, può durare 2–3 anni facilmente (vendite giudiziarie, riparti, ecc.). Se i beni sono pochi e facilmente liquidabili, potrebbe chiudersi in un anno o meno; se il patrimonio è complesso, potrebbe trascinarsi oltre 3 anni. Tieni presente però che nel frattempo tu potresti già chiedere l’esdebitazione trascorsi tre anni dall’apertura, senza aspettare la chiusura formale. Infine, la esdebitazione del debitore incapiente è la più rapida: in tempi brevi (pochi mesi dall’istanza) ottieni il decreto di esdebitazione, dopodiché devi solo “attendere” che passino i 3 anni di condotta da tenere monitorata. In sintesi: l’orizzonte temporale per tornare completamente libero dai debiti può variare da circa 6 mesi (incapiente) fino a 5–6 anni (piano lungo), ma la maggior parte dei debitori si colloca attorno ai 3–4 anni di percorso.

D: Che differenza c’è tra fallimento e queste procedure?
R: Innanzitutto oggi parliamo di liquidazione giudiziale (il termine fallimento non è più usato nel CCII), e si applica solo a imprenditori commerciali medio-grandi e società che superano certe soglie. Se tu, ex imprenditore, non le superavi, non potresti essere dichiarato fallito: al suo posto c’è appunto la liquidazione controllata (volontaria o richiesta dai creditori). Se invece eri soggetto a fallimento e magari la tua impresa è stata dichiarata fallita in passato, per te persona fisica vale l’esdebitazione post-fallimentare ai sensi degli art. 279–281 CCII. La differenza fondamentale è che nel fallimento/liquidazione giudiziale l’iniziativa è normalmente dei creditori (o dell’ufficio, su insolvenza conclamata) e la procedura si focalizza sull’impresa; mentre le procedure di sovraindebitamento sono un’opportunità che ha il debitore stesso di attivare per risolvere tutti i suoi debiti in modo coordinato. Inoltre, prima il fallimento comportava alcuni stigmi (interdizioni, impossibilità di svolgere attività imprenditoriali, ecc. finché non si era riabilitati): il CCII ha eliminato molte di queste conseguenze, ma resta il fatto che fallimento/liquidazione giudiziale e concordato preventivo compaiono nel Registro delle Imprese e in altri registri, mentre le procedure di sovraindebitamento riguardano spesso privati o piccoli operatori e non hanno lo stesso rilievo pubblicistico (anche se c’è comunque la pubblicazione nei registri digitali delle procedure). In termini di beneficio finale, oggi anche il fallito meritevole può ottenere l’esdebitazione (non era così prima del 2006); quindi su quel fronte la differenza si è assottigliata. Le procedure di sovraindebitamento sono in generale più snelle e meno costose di un fallimento, e più calibrate su piccole realtà: ad esempio, nel piano del consumatore non hai il comitato dei creditori, non hai ripartizioni formali, hai meno formalità. Insomma, sono procedimenti “artigianali” come i debitori a cui si rivolgono.

D: Quali debiti NON saranno cancellati neanche dopo l’esdebitazione?
R: La legge esclude espressamente alcune tipologie di debiti dal beneficio dell’esdebitazione (art. 282 CCII per la liquidazione; principio analogo vale anche per piano e concordato). Restano dovuti:

  • gli obblighi di mantenimento e alimentari (esempio: gli arretrati dell’assegno di mantenimento per i figli o coniuge);
  • i debiti per risarcimento danni da fatto illecito extracontrattuale commesso con dolo o colpa grave (ad es. i danni civili da un reato intenzionale come una truffa, o da una condotta gravemente colposa come un incidente stradale in stato di ebbrezza);
  • le multe, ammende e sanzioni penali, nonché le sanzioni amministrative pecuniarie (come contravvenzioni stradali), purché non siano già state “commutate” in debiti civili. Nota: c’è dibattito sulle sanzioni amministrative: in principio restano escluse, ma se sono accessorie a un credito principale estinto, la giurisprudenza tende a ritenerle cancellabili insieme a quello. Comunque, tipicamente le multe stradali non si estinguono.
  • i debiti cosiddetti “estranei alla procedura”, ovvero sorti dopo l’apertura della procedura concorsuale (ma questi non sono neppure compresi nel concorso dei creditori).

In pratica, se hai qualcuno di questi debiti, sappi che dopo l’esdebitazione continueranno a esistere e potranno ancora essere pretesi. Ad esempio, se avevi €10.000 di mantenimento arretrato verso i figli, non sarà condonato: dovrai comunque pagarli, e i creditori (in questo caso l’avente diritto al mantenimento) potranno agire esecutivamente. Oppure se avevi preso una multa di €5.000, dopo l’esdebitazione quell’importo rimane. Tuttavia, questi debiti esclusi di solito sono pochi e mirati (la maggior parte dei debiti “normali”, come banche, fornitori, fisco, rientra nell’esdebitazione). Puoi sempre cercare soluzioni a parte: es. chiedere una dilazione per i debiti di mantenimento al giudice della famiglia, o una rateazione per le multe all’ente creditore.

D: Cosa succede ai miei coobbligati o garanti se io ottengo l’esdebitazione?
R: L’esdebitazione è personale: libera te dai debiti, ma non tocca la posizione di eventuali condebitori solidali o fideiussori. Questo è espressamente previsto dalla legge (ad esempio, art. 280 comma 2 CCII lo ribadisce per la liquidazione). Significa che, se avevi un debito in solido con qualcun altro e tu fai la procedura, il tuo coobbligato rimane obbligato per l’intero verso il creditore. Ad esempio, se tu e tuo fratello avete firmato insieme una fideiussione di 50.000 € e tu vieni esdebitato, la banca potrà chiedere l’intera somma a tuo fratello (tolto quanto eventualmente incassato dalla tua procedura). Oppure, se la tua s.n.c. aveva debiti e tu socio ottieni esdebitazione, la società (che è un soggetto distinto) ne resta comunque debitrice e i creditori potranno agire sul patrimonio sociale. Questa regola serve a evitare che la procedura di uno avvantaggi indebitamente altri debitori. In ottica di pianificazione familiare, se più membri della famiglia sono coobbligati sugli stessi debiti, conviene valutare la procedura familiare ex art. 66 CCII: consente a più familiari conviventi e coinvolti nella stessa situazione di sovraindebitamento di presentare un’unica procedura con un unico piano o progetto liquidatorio. Così, ad esempio, marito e moglie co-fideiussori presentano un piano congiunto: mettono insieme le risorse e al termine entrambi saranno esdebitati per quei debiti comuni. La procedura familiare è una novità del Codice molto utile in questi casi.

D: Quali sono i costi di queste procedure?
R: Ci sono dei costi da considerare: le procedure concorsuali comportano bolli, contributo unificato (nel sovraindebitamento, fortunatamente, il contributo unificato è ridotto: €98), compenso per l’Organismo di Composizione della Crisi e per il gestore o liquidatore nominato. Il compenso è stabilito dal giudice a fine procedura secondo parametri ministeriali (variabili in base all’attivo e al passivo). Spesso per piccoli debitori si parla di poche migliaia di euro complessivi. All’inizio, l’OCC di solito chiede un fondo spese (qualche centinaio di euro) per attivarsi. In alcuni casi questi costi scoraggiano chi è già in difficoltà: consapevole di ciò, il legislatore, come detto, ha creato un Fondo statale “incapienti” dal 2025 per coprire i costi dei più poveri. In attesa che entri in funzione, molte OCC applicano tariffe calmierate. È comunque un investimento: se spendi, ad esempio, €3.000 di costi di procedura ma riesci a cancellare €100.000 di debiti, è un ottimo affare per ripartire pulito. Nota anche che, durante la procedura, non pagherai direttamente i debiti (li pagherai secondo il piano, eventualmente in misura ridotta), quindi c’è un beneficio di cassa immediato. Un altro costo indiretto è l’impegno in termini di tempo e trasparenza: dovrai dedicare energie a raccogliere documenti, interagire con il professionista, e accettare che la tua situazione finanziaria sia messa sotto la lente d’ingrandimento. Ma è il prezzo della “grazia” sui debiti.

D: Dopo l’esdebitazione, posso tornare ad avere crediti o chiedere prestiti?
R: Dal punto di vista legale, sì: una volta esdebitato, sei libero come chiunque altro di contrarre nuovi debiti o finanziamenti. Non esistono (più) istituti come l’interdizione del fallito. Tieni però presente due aspetti: 1) L’esdebitazione viene iscritta nel registro pubblico delle procedure (registro delle crisi da sovraindebitamento tenuto presso il Ministero Giustizia) e rimane consultabile per alcuni anni, quindi le banche o finanziarie potrebbero saperlo e valutarlo negativamente quando chiedi nuovo credito (un po’ come succede per chi ha avuto protesti o pignoramenti). 2) Se dopo essere stato esdebitato torni a indebitarti e chiedi un’altra esdebitazione, questa potrebbe esserti negata se hai già usato il beneficio due volte o se lo fai in meno di 5 anni. Dunque è bene, dopo aver avuto la “seconda chance”, non sprecarla. In sintesi, potrai certamente tornare a operare e finanziarti, ma costruisci con prudenza la tua nuova affidabilità creditizia.

D: Cosa rischio se dichiaro il falso o nascondo qualcosa in una procedura?
R: Rischi molto: in primo luogo, la revoca/rigetto della procedura stessa (se il giudice scopre che hai occultato beni o falsificato documenti, la tua domanda verrà dichiarata inammissibile o, se già omologata, revocata). In secondo luogo, potresti incorrere in responsabilità penale. Esiste il reato di mancata collaborazione o dichiarazioni mendaci del debitore nelle procedure concorsuali (artt. 344–345 CCII, eredi del vecchio art. 236 LF), punito con la reclusione se, al fine di ottenere l’accesso o l’omologazione, rendi informazioni false o nascondi parte dell’attivo. Inoltre, alcuni comportamenti possono configurare bancarotta fraudolenta impropria (se eri imprenditore). Insomma, non conviene affatto. Molto meglio essere trasparenti: il sistema ti premia se sei onesto, ma ti punirà se cerchi furbizie.

Conclusioni

Affrontare una situazione di sovraindebitamento come ex imprenditore carpentiere richiede lucidità, conoscenza dei propri diritti e doveri, e spesso l’assistenza di professionisti specializzati. Difendersi dai debiti non significa trovare una scappatoia per non pagare, ma piuttosto utilizzare gli strumenti legali per regolare i propri debiti in modo sostenibile e, se possibile, ripartire da zero liberandosi di quelli insostenibili. L’ordinamento italiano oggi offre una gamma articolata di procedure, cucite su misura per il debitore onesto ma sfortunato: dal piano del consumatore che consente di rimettersi in pari gradualmente, al concordato minore per chi ha ancora un’attività da salvare, fino alla liquidazione controllata e all’esdebitazione totale per chi è arrivato al fondo.

Il punto di vista del debitore in questa crisi è ora centrale: le normative introdotte parlano esplicitamente di dare al debitore meritevole una seconda opportunità, evitando che resti schiacciato a vita dai debiti. Tuttavia, questa opportunità va colta rispettando le regole – meritevolezza, trasparenza, impegno – e consapevoli che i creditori hanno comunque diritto a ottenere il massimo ragionevole (da qui gli obblighi di pagamento del possibile e le eccezioni per debiti “sensibili”).

In questa guida abbiamo visto come difendersi legalmente: dalle azioni esecutive individuali (con opposizioni e limitazioni), alle soluzioni negoziali (accordi di saldo e stralcio, rateizzazioni), fino alle soluzioni concorsuali avanzate previste dal Codice della Crisi, aggiornate alle ultime riforme del 2024–2025. La presenza di fonti normative aggiornate e sentenze recenti che abbiamo citato testimonia un quadro in movimento, dove la giurisprudenza – Cassazione in primis – sta delineando un orientamento sempre più favorevole a consentire il fresh start e a subordinare il diniego dell’esdebitazione solo a comportamenti davvero inescusabili del debitore.

Il messaggio finale per l’ex imprenditore carpentiere indebitato è dunque di non disperare: per quanto grave sembri la montagna di debiti, c’è una via d’uscita legale. Occorre agire prontamente (aspettare peggiora le cose, si accumulano interessi e azioni esecutive), farsi consigliare da esperti (OCC, avvocati) e scegliere lo strumento adatto al proprio caso. Che sia un accordo stragiudiziale con i creditori o un piano presentato in tribunale, esiste la possibilità di difendersi e voltare pagina. Le normative sul sovraindebitamento sono complesse, ma come abbiamo illustrato, possono salvare non solo il patrimonio residuo del debitore (magari evitandogli di perdere la casa o gli strumenti di lavoro indispensabili), ma soprattutto la sua dignità e prospettiva futura, cancellando l’ombra dei debiti passati.

Fonti e riferimenti normativi

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – disciplina organica delle procedure concorsuali. Articoli rilevanti: artt. 65-83 (procedure di sovraindebitamento: piano del consumatore e concordato minore), artt. 268-277 (liquidazione controllata del sovraindebitato), artt. 278-283 (esdebitazione, incl. debitore incapiente). Modificato dai decreti correttivi D.Lgs. 147/2020, 83/2022, 136/2024.
  • Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (Legge “salva suicidi”) – prima introduzione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Abrogata dal CCII nel 2022, ma rilevante storicamente. Testo originario e sinottico con modifiche 2020.
  • Legge 18 dicembre 2020 n. 176 – ha innovato la L.3/2012 anticipando parti del CCII: ampliamento definizione di consumatore anche a soci illimitatamente responsabili; possibilità di piano familiare (art. 7 co.2-ter L.3/2012); introduzione esdebitazione incapiente (art. 14-quaterdecies L.3/2012).
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (“Correttivo ter” al CCII) – ha apportato modifiche tra cui: nuova definizione di incapienza e riduzione da 4 a 3 anni del periodo di obbligo post-esdebitazione per incapienti; chiarimenti su piano del consumatore (moratoria fino 2 anni per ipotecari, art. 67 CCII); restrizioni su accesso con domanda “in bianco” (art. 65 CCII); procedure familiari (art. 66); soglie di fallibilità identiche per imprenditore minore (art. 2 lett. e) CCII); ecc.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22890 – ha chiarito che la meritevolezza del consumatore va valutata secondo i nuovi criteri del Codice (assenza di colpa grave, malafede, frode) e non più secondo il vecchio parametro più restrittivo. Ha imposto ai giudici di merito di applicare art. 69 CCII, superando il precedente approccio.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 06 novembre 2024, n. 28505 – principio in tema di esdebitazione post-liquidazione: il minimo soddisfacimento dei creditori non preclude l’esdebitazione se il debitore non ha tenuto condotte ostruzionistiche o frodi che abbiano causato quella scarsa soddisfazione. Ha ribadito che il CCII ha eliminato il requisito del pagamento “non irrisorio” mantenendo solo quello soggettivo.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 23 dicembre 2024, n. 34150 – sul piano del consumatore: ha stabilito che è legittimo prevedere una moratoria oltre 1 anno per i crediti privilegiati (ad esempio pagare i creditori ipotecari dopo 2 anni dall’omologazione) purché ai creditori privilegiati sia data possibilità di esprimersi/votare sulla proposta e ricevano almeno gli interessi compensativi. Ciò supera il vecchio limite di 1 anno dell’art. 8 L.3/2012.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 14 febbraio 2023, n. 4613 – (ordinanza di rimessione) ha sollevato questione sull’interpretazione del requisito di meritevolezza nella L.3/2012, poi risolta adeguandosi alla riforma 2020. Importante per comprendere l’evoluzione giurisprudenziale sul punto.
  • Tribunale di Nola, ordinanza 2023 (post Cass. 4613/23) – ha riconosciuto la necessità di applicare la nuova soglia di meritevolezza, riammettendo un piano che in prima istanza era stato rigettato per eccesso di severità.
  • Altre fonti istituzionali: Relazione Illustrativa al D.Lgs. 136/2024 – spiega ratio delle modifiche, ad es. in tema di esdebitazione razionalizzata tra liquidazione giudiziale e controllata. Ministero della Giustizia – schede esplicative sul sovraindebitamento (giustizia.it) – linee guida pratiche per i debitori (in lingua semplice). OCC – Camere di Commercio – vademecum (es. sito tno.camcom.it).

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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