Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate perché sei un influencer online? Ti contestano redditi non dichiarati, compensi da piattaforme estere, collaborazioni non fatturate o spese considerate non deducibili? Ti stai chiedendo come difenderti e cosa può fare il Fisco nel tuo caso?
Se lavori come influencer – su Instagram, TikTok, YouTube o OnlyFans – e monetizzi tramite sponsorizzazioni, affiliazioni, donazioni, contenuti esclusivi o pubblicità, sei soggetto agli obblighi fiscali previsti per ogni attività economica, anche se lavori da casa e tutto avviene online.
Cosa può contestarti l’Agenzia delle Entrate?
– Mancata apertura della partita IVA in caso di attività abituale
– Omissione di dichiarazione dei redditi percepiti da aziende, piattaforme o followers
– Compensi ricevuti dall’estero non dichiarati in Italia
– Utilizzo improprio del regime forfettario
– Fatture non emesse o documentazione incompleta
– Spese dedotte ma considerate non inerenti all’attività professionale
Come avviene l’accertamento fiscale su un influencer?
– Controllo dei dati bancari e movimenti sospetti sui conti correnti
– Analisi dei guadagni da piattaforme online e confronti con i contenuti pubblicati
– Incrocio con i dati dell’anagrafe tributaria, pagamenti elettronici e sponsorizzazioni dichiarate da aziende
– Ricostruzione dei ricavi sulla base di visualizzazioni, numero di followers e engagement rate
Cosa rischi se non reagisci?
– Tassazione dei redditi con sanzioni fino al 240% dell’imposta
– Applicazione di interessi e more su quanto non dichiarato
– Iscrizione a ruolo, pignoramenti e blocco dei conti
– Nei casi più gravi, responsabilità penale per omessa dichiarazione o dichiarazione infedele
Come puoi difenderti da un avviso di accertamento?
– Verifica se l’attività è stata davvero svolta in modo abituale e professionale
– Controlla la correttezza della ricostruzione dei redditi da parte del Fisco
– Dimostra la reale entità dei compensi e delle spese sostenute
– Se non avevi partita IVA ma hai agito saltuariamente, valuta l’applicazione del regime fiscale corretto
– Presenta memorie difensive o istanza di autotutela prima che l’atto diventi definitivo
– In caso di contestazioni eccessive, valuta il ricorso in Commissione Tributaria
Cosa puoi ottenere con una difesa ben impostata?
– Riduzione delle sanzioni e degli importi contestati
– Regolarizzazione dell’attività con partita IVA e regime fiscale corretto
– Cancellazione o sospensione delle richieste di pagamento, se l’avviso è viziato
– Protezione dei tuoi beni e del tuo lavoro da azioni aggressive dell’ente di riscossione
– Una gestione serena e sostenibile della tua attività di creator online
Anche se lavori sui social, l’attività da influencer è soggetta a tutti gli obblighi fiscali previsti per i professionisti, ma hai il diritto di difenderti da ricostruzioni sbagliate o sproporzionate.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in accertamenti fiscali nel digitale e contenzioso tributario ti spiega cosa fare se ricevi un avviso di accertamento come influencer, come dimostrare la tua posizione e come evitare il rischio di sanzioni e pignoramenti.
Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o hai dubbi sulla tua posizione fiscale? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Verificheremo la tua situazione e ti diremo se puoi annullare l’accertamento, ridurre le sanzioni e salvare la tua attività online.
Introduzione
Negli ultimi anni l’attività degli influencer online è cresciuta esponenzialmente, al punto da attirare l’attenzione del Fisco e di varie Autorità italiane. Un avviso di accertamento – tipicamente emesso dall’Agenzia delle Entrate – è il provvedimento con cui l’amministrazione finanziaria contesta ufficialmente imposte non pagate o irregolarità fiscali. Ma anche altri enti possono far pervenire contestazioni formali agli influencer: si pensi agli avvisi di addebito INPS per contributi previdenziali non versati, alle sanzioni dell’AGCM (Antitrust) per pubblicità occulta, o ai provvedimenti del Garante Privacy per violazioni dei dati personali. Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – fornisce un quadro avanzato di come difendersi dopo aver ricevuto tali atti, con riferimenti normativi, giurisprudenza recente e strumenti pratici. L’obiettivo è offrire un’analisi approfondita (ma divulgativa) dal punto di vista del “debitore”, ossia dell’influencer destinatario dell’accertamento, evidenziando le strategie di difesa a disposizione di professionisti, privati o imprenditori del settore.
Contesto attuale: la “creator economy” è ormai riconosciuta anche dal legislatore italiano. Dal 1° gennaio 2025 esiste un codice ATECO specifico (73.11.03 “Attività di influencer marketing”) che identifica ufficialmente l’attività di influencer e content creator. Ciò segna una svolta: fino al 2024 gli influencer venivano inquadrati sotto codici generici (es. intermediazione pubblicitaria), mentre ora la normativa li riconosce come categoria distinta, con regole fiscali e previdenziali dedicate. Contestualmente, l’INPS ha emanato la Circolare n.44/2025 che chiarisce gli obblighi contributivi per chi crea contenuti digitali in modo professionale. Anche le Autorità di regolazione si sono mosse: l’Autorità Antitrust (AGCM) ha sanzionato influencer per pratiche commerciali scorrette legate a pubblicità occulte, mentre il Garante per la Privacy vigila sull’uso dei dati personali (specialmente di minori e follower) da parte dei creatori di contenuti. Infine, la Guardia di Finanza e l’Agenzia Entrate hanno avviato controlli mirati: emblematico il caso di marzo 2024 in cui, attraverso verifiche sui post sponsorizzati e piattaforme per adulti (es. OnlyFans), sono stati scoperti oltre 11 milioni di euro non dichiarati al fisco da un gruppo di influencer italiani. Alcuni di essi – tra cui noti personaggi con milioni di follower – sono risultati addirittura “sconosciuti al fisco”, ossia senza alcuna dichiarazione dei redditi.
Di fronte a questa crescente attenzione, è fondamentale per un influencer sapere come reagire a un avviso di accertamento o a una sanzione. Ignorare la contestazione non è un’opzione: dopo i termini di legge l’atto diventa definitivo e si avvierà la riscossione coattiva (pignoramenti, fermi, ecc.). Occorre invece valutare le strategie di difesa legale, che variano a seconda dell’ente emittente (Fisco, INPS, AGCM, Garante) e della natura delle contestazioni. Nei capitoli seguenti esamineremo: (1) il quadro normativo degli obblighi fiscali, previdenziali e di trasparenza per gli influencer (utile per capire le possibili violazioni contestate); (2) le procedure specifiche di difesa dopo la notifica di un avviso o provvedimento, distinguendo i casi di Agenzia Entrate (tributi), INPS (contributi), AGCM (pubblicità) e Garante Privacy; (3) gli strumenti “deflattivi” o alternativi (come adesione, conciliazione, impegni); (4) una sezione di Domande & Risposte frequenti; (5) tabelle riepilogative e casi pratici simulati in ambito italiano. Il tutto accompagnato da riferimenti a fonti istituzionali aggiornate (circolari, sentenze, comunicati ufficiali) e dalla normativa di riferimento, per un livello di approfondimento adatto a professionisti legali ma accessibile anche ai non addetti ai lavori.
Quadro normativo per gli influencer: obblighi fiscali, contributivi e regolatori
Prima di affrontare la difesa “successiva” all’accertamento, riepiloghiamo sinteticamente quali sono le principali norme italiane che regolano l’attività degli influencer e che, se violate, possono dare luogo a contestazioni:
- Obblighi fiscali (dichiarazione dei redditi e IVA): un influencer residente fiscalmente in Italia è soggetto al principio del worldwide income, tassabile cioè in Italia per tutti i redditi ovunque prodotti. I compensi generati dall’attività di content creation (pagamenti in denaro, remunerazioni indirette, benefici in natura) costituiscono reddito imponibile ai fini IRPEF. A seconda delle modalità, tali proventi possono essere qualificati come reddito di lavoro autonomo (ex art. 53 TUIR) se l’attività è svolta in modo professionale senza vincolo di subordinazione, oppure come reddito d’impresa (artt. 55-66 TUIR) se l’attività presenta i caratteri di abitualità e organizzazione tipici di un’impresa commerciale. In generale, quando l’influencer svolge in maniera abituale, professionale e continuativa la produzione di contenuti a scopo di lucro, le Entrate tendono a inquadrarla come attività d’impresa (ditta individuale) – a maggior ragione dopo l’introduzione del codice ATECO dedicato nel 2025. Ciò implica l’obbligo di apertura della partita IVA e di tenuta della contabilità. Al contrario, se l’attività è occasionale (episodica, non organizzata), i relativi compensi possono rientrare tra i “redditi diversi” ex art. 67 TUIR, soggetti a ritenuta d’acconto del 20% se pagati da sostituto d’imposta. La linea di demarcazione tra occasionalità e professionalità non è meramente quantitativa, ma si basa su criteri qualitativi: una prestazione è occasionale quando avviene in modo accidentale e non reiterato, senza struttura d’impresa (es. un singolo incarico una tantum). Tuttavia, esiste anche un riferimento quantitativo pratico: il superamento di 5.000 € annui di compensi di regola fa presumere una continuità tale da richiedere partita IVA e iscrizione previdenziale. IVA: le prestazioni di promozione/pubblicità rese dall’influencer sono operazioni imponibili IVA (aliquota ordinaria) se effettuate nell’esercizio di imprese o arti, salvo rientrino in regimi speciali (ad esempio il regime forfettario con esonero IVA, se ne ricorrono i requisiti di legge). L’influencer che opera come ditta o professionista deve emettere fattura per ogni collaborazione retribuita, applicando l’IVA salvo eccezioni (esportazioni di servizi verso committenti extra-UE, oppure applicazione del reverse charge se il committente è un’azienda UE). Anche la remunerazione in natura rientra nell’imponibile: se un brand fornisce all’influencer prodotti o servizi gratuiti come corrispettivo (payment in kind), essi vanno valorizzati al valore normale di mercato ed equiparati a un reddito/performance economica. La prassi fiscale recente distingue tra prodotti “supplied” (forniti gratuitamente in cambio di obblighi promozionali, quindi veri compensi in natura) e prodotti “gifted” (omaggi senza vincolo di controprestazione). Nel primo caso l’influencer deve dichiarare il valore del bene come ricavo e, se soggetto IVA, fatturarlo al pari di un pagamento in denaro. Nel secondo caso – regalo puro senza obbligo di pubblicità – non si configura un reddito tassabile né un’operazione imponibile (ma bisogna poter dimostrare che non vi era accordo promozionale legato all’omaggio). Le violazioni fiscali tipiche nel mondo influencer includono: mancata dichiarazione di redditi da piattaforme online, omessa apertura di partita IVA nonostante attività continuativa, indebita qualificazione dei proventi come “occasionali” per evitare tassazione ordinaria, omessa fatturazione di compensi ricevuti (anche dall’estero), sottofatturazione o mancata valorizzazione di benefici in natura, indebite deduzioni di costi personali spacciati per spese professionali, ecc.
- Obblighi previdenziali (contributi INPS): parallelamente al versante fiscale, l’influencer che svolge abitualmente l’attività deve inquadrarsi previdenzialmente. In passato vi era incertezza sull’iscrizione corretta (Gestione commercianti? Gestione separata? Fondo spettacolo?); ora la Circolare INPS 44/2025 ha fatto chiarezza. In sintesi, gli influencer e content creator sono assimilati ai lavoratori autonomi ai fini previdenziali, salvo operino nell’ambito dello spettacolo. Caso generale: l’influencer senza un rapporto di lavoro dipendente deve iscriversi alla Gestione Separata INPS (la stessa dei freelance senza albo), contribuendo con l’aliquota vigente (circa 26-27% nel 2025) sul reddito imponibile. Questo vale tanto se opera con partita IVA individuale in regime professionale, quanto se svolge prestazioni di lavoro autonomo occasionale oltre certe soglie. Infatti, la normativa prevede che chi guadagna oltre 5.000 € annui da prestazioni autonome occasionali debba versare contributi alla Gestione Separata sulla parte eccedente. Dunque, un creator che inizialmente lavori senza IVA ma superi tale soglia si troverà comunque a dover contribuire all’INPS (con versamenti a carico suo e dell’eventuale committente per la quota di quest’ultimo, secondo le regole delle collaborazioni occasionali). Impresa o spettacolo: la circ. INPS precisa inoltre che se l’attività del content creator assume i connotati di un’attività d’impresa (ad es. organizzazione economica complessa, presenza di dipendenti o significativa struttura di mezzi), egli dovrà iscriversi anche al Registro Imprese (Camera di Commercio) e alla Gestione INPS Commercianti. Ciò comporta il pagamento dei contributi fissi annui e percentuali tipici degli esercenti attività commerciali. Invece, laddove l’influencer svolga un’attività assimilabile a quella di lavoratore dello spettacolo – ad esempio utilizzando prevalentemente la propria immagine e capacità artistiche a fini promozionali – potrà essere richiesto l’obbligo di iscrizione al Fondo Pensione Lavoratori dello Spettacolo (FPLS). Ciò può riguardare quei content creator che fanno intrattenimento, recitazione, performance artistiche sul web e monetizzano la propria fama come farebbe un artista tradizionale: in tali casi vi è un obbligo aggiuntivo di agibilità (certificato di agibilità INPS) prima di esibirsi e di versare contributi nell’ex-ENPALS. In pratica, le strade previdenziali per un influencer sono tre: (1) Gestione Separata (freelance digitali); (2) Gestione Commercianti (se attività imprenditoriale commerciale/marketing in senso stretto); (3) Fondo Spettacolo (se l’attività rientra nelle categorie artistiche tutelate). Va sottolineato che, qualunque sia l’inquadramento corretto, omettere l’iscrizione e i versamenti contributivi espone l’interessato a successivi avvisi di addebito INPS per recupero dei contributi dovuti, con sanzioni e interessi. Lo stesso vale per chi finge di essere un semplice “amatoriale” mentre di fatto opera professionalmente senza regolarizzarsi: i nuovi indirizzi INPS rendono più facile individuare queste posizioni irregolari, in cooperazione anche con l’Agenzia Entrate (che fornisce dati fiscali utili).
- Obblighi di trasparenza pubblicitaria: la promozione di prodotti/servizi da parte di influencer è soggetta alle regole del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) in materia di pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole. In particolare, è vietata la pubblicità occulta, ossia l’occultamento della finalità promozionale di un contenuto spacciandolo per opinione o esperienza spontanea. L’AGCM – Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – ha più volte richiamato influencer e aziende al rispetto di tali obblighi, arrivando ad aprire istruttorie e comminare sanzioni. La regola base è che ogni contenuto a carattere promozionale deve essere chiaramente riconoscibile come tale dal pubblico. Ciò significa che post, storie, video, blog in cui l’influencer pubblicizza un brand in cambio di compenso (o altro beneficio) devono riportare diciture esplicite che segnalino la natura pubblicitaria del messaggio: ad esempio “#pubblicità”, “#sponsorizzato”, “#ad” o formule analoghe ben visibili. L’AGCM e lo IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) hanno indicato linee guida su come inserire questi tag (preferibilmente all’inizio del post o entro i primi hashtag). Anche termini come “in collaborazione con [brand]” o “promosso da [brand]” vanno bene, purché evidenti. Non sono invece considerate sufficienti formule ambigue come “#thanks to [brand]” o simili ringraziamenti, che non esplicitano il fine commerciale. Oltre all’influencer, anche le agenzie che fanno da tramite e le aziende committenti sono tenute a vigilare sulla trasparenza: il Codice del Consumo prevede responsabilità concorrente per l’azienda che commissiona pubblicità occulta o ingannevole e per l’eventuale intermediario, qualora non attuino misure per rendere palese il carattere promozionale. Ad esempio, un brand che paga un influencer per un post deve accertarsi che questi inserisca l’hashtag #ad (o equivalente): se ciò non avviene e la pubblicità resta occulta, sia l’influencer che l’azienda possono essere sanzionati dall’AGCM ai sensi degli artt. 21-23 del Codice del Consumo (pratiche ingannevoli). Le sanzioni non sono simboliche: l’AGCM può irrogare multe fino a 5 milioni di euro nei casi più gravi (il massimo previsto per pratiche commerciali scorrette), anche se per singoli influencer con seguito limitato le multe effettive tendono ad essere molto più contenute (nell’ordine di migliaia o decine di migliaia di euro). Nel 2024 l’Autorità ha concluso varie istruttorie: ad esempio, a giugno 2025 ha sanzionato due influencer (noti per vendere corsi su “guadagni facili online”) per un totale di 65.000 € perché promuovevano sistematicamente servizi a pagamento senza dichiararne la natura pubblicitaria né i costi reali. Nella stessa occasione, altri quattro influencer oggetto di indagine hanno evitato la multa impegnandosi formalmente a correggere il tiro (rimozione di messaggi ingannevoli, inserimento di disclaimer pubblicitari d’ora in poi, eliminazione di follower fake, ecc.), impegni che l’AGCM ha accettato chiudendo i procedimenti senza sanzione. Questo indica che l’Autorità è propensa ad accettare misure correttive spontanee in cambio di clemenza, ma se ciò non avviene procede con il pugno di ferro. È quindi fondamentale per gli influencer rispettare le regole di trasparenza per evitare di incorrere in provvedimenti dell’Antitrust.
- Obblighi in materia di privacy e trattamento dati: sebbene meno immediato, anche il Garante per la Protezione dei Dati Personali può interessarsi dell’attività degli influencer. Due profili principali rilevano: (a) il rispetto della normativa privacy nell’eventuale raccolta e uso di dati personali di utenti/follower/clienti; (b) l’attenzione a non diffondere dati personali di terzi attraverso i propri contenuti, in violazione della loro privacy. Sul primo fronte, un influencer che, ad esempio, gestisce un sito web con form di iscrizione, o raccoglie email per newsletter, o conduce campagne promozionali targettizzate, diviene a tutti gli effetti un titolare del trattamento e deve adempiere al GDPR (Reg. UE 2016/679) e al Codice Privacy italiano (D.Lgs. 196/2003). Ciò implica fornire adeguata informativa agli interessati, ottenere il consenso quando richiesto (es. per finalità di marketing, uso di cookie di profilazione, etc.), garantire i diritti degli interessati (accesso, cancellazione, opposizione al trattamento dei propri dati), assicurare misure di sicurezza sui dati raccolti, ed eventualmente nominare un DPO (Data Protection Officer) se le dimensioni o la natura del trattamento lo richiedono. Molti micro-influencer magari non fanno nulla di tutto ciò, pensando che basti la policy della piattaforma social: ma nel momento in cui intraprendono attività autonome (es. vendere merchandising attraverso un sito proprio, gestire community su canali esterni, o anche solo salvare e riutilizzare i contatti dei follower) entrano nell’ambito di applicazione del GDPR. Sul secondo fronte, l’influencer deve stare attento a non ledere la privacy altrui nei contenuti che pubblica. Postare dati personali sensibili di qualcuno senza consenso (esempi: divulgare l’indirizzo o il numero di telefono di una persona, mostrare documenti altrui in video, filmare qualcuno in casa propria e pubblicarlo, rivelare informazioni su minori, ecc.) può configurare violazioni sia amministrative sia, nei casi più gravi, penali. Il Garante Privacy può intervenire in seguito a segnalazioni o reclami delle persone coinvolte, oppure di propria iniziativa se viene a conoscenza di illeciti (si pensi a casi mediatici: es. un influencer che pubblicasse dati sanitari di terzi, o liste di nomi, ecc., potrebbe essere oggetto di un provvedimento urgente del Garante). Le sanzioni amministrative privacy sotto il GDPR sono molto elevate nel massimo (fino a 20 milioni di euro o 4% del fatturato annuo), ma calibrate secondo i criteri dell’art. 83 GDPR: gravità del fatto, dolo/colpa, misure adottate, cooperazione, precedenti, ecc. In molti casi il Garante preferisce, almeno alla prima violazione non gravissima, adottare misure correttive non pecuniarie (es. un’ordinanza di ammonimento o ingiunzione a cessare il trattamento illecito) e solo in caso di inottemperanza o infrazioni rilevanti infligge sanzioni cospicue. Ad esempio, se un influencer non ha una privacy policy sul proprio sito, il Garante potrebbe inizialmente inviargli una richiesta di conformarsi entro un termine, invece di multarlo subito. Tuttavia, se vi è stata una diffusione illecita di dati personali con impatto su diritti di terzi, una sanzione è probabile. Un caso ipotetico: un influencer pubblica sui social la foto di una persona comune, con nome e altri dettagli personali, deridendola; la persona sporge reclamo al Garante che potrebbe sanzionare l’influencer per trattamento illecito di dati (mancata base giuridica e violazione di vari principi del GDPR). Allo stesso tempo, la vittima potrebbe agire in sede civile per danni o chiedere tutela inibitoria. Insomma, anche per gli influencer vale la regola di limitare al minimo l’uso di dati di altri senza consenso e di rispettare la privacy soprattutto di soggetti deboli (minorenni in primis – il Garante Infanzia ha acceso i riflettori sui “baby influencer” e sui rischi della sovraesposizione dei minori online).
Riassunto degli obblighi: pagare le tasse sui compensi worldwide, regolarizzare la posizione IVA e INPS se l’attività è continuativa, dichiarare sempre la natura pubblicitaria dei contenuti sponsorizzati, rispettare la privacy di utenti e terzi. La mancata osservanza di uno di questi doveri può portare a un procedimento di accertamento e alla notifica di atti a cui l’influencer dovrà rispondere attivamente. Vediamo ora, caso per caso, come difendersi dopo aver ricevuto le contestazioni.
Avviso di accertamento fiscale dall’Agenzia delle Entrate
Quando si parla di avviso di accertamento in senso stretto, ci si riferisce al provvedimento impositivo emesso dall’Agenzia delle Entrate (o da un Ufficio provinciale dell’Agenzia) con cui viene determinato un maggiore tributo dovuto dal contribuente rispetto a quanto dichiarato, o viene accertato un imponibile non dichiarato. Per un influencer, un avviso di accertamento fiscale tipicamente può riguardare: IRPEF (redditi non dichiarati o qualificati in modo diverso), IVA non versata su operazioni effettuate, eventuale IRAP (se l’attività viene considerata dotata di autonoma organizzazione), e relative sanzioni amministrative tributarie per violazioni (omessa dichiarazione, dichiarazione infedele, omesso versamento, ecc.). Spesso l’accertamento nasce da una verifica fiscale o da controlli della Guardia di Finanza: come abbiamo visto, le autorità possono incrociare i dati dei social e delle piattaforme online con le dichiarazioni dei redditi. Ad esempio, nel caso di Bologna 2024, la Finanza ha focalizzato l’attenzione su tre ambiti di reddito degli influencer: compensi per post sponsorizzati sui social, collaborazioni con aziende (influencer marketing) e contenuti venduti su piattaforme per adulti. Dai controlli è emerso un enorme divario tra guadagni effettivi e redditi dichiarati: oltre 11 milioni non dichiarati, con alcuni soggetti completamente sconosciuti al fisco. In tali situazioni, l’Agenzia notifica ai responsabili avvisi di accertamento per recuperare le imposte evase.
Caratteristiche dell’avviso di accertamento
L’avviso è un atto amministrativo motivato: contiene la descrizione delle violazioni contestate (es: “redditi di lavoro autonomo non dichiarati per l’anno X per €…, emersi da accrediti su conto PayPal/non emissione fatture ecc.”), il calcolo delle maggiori imposte dovute (IRPEF, IVA, addizionali), delle sanzioni (in genere variabili dal 90% al 180% dell’imposta evasa, a seconda del tipo di violazione) e degli interessi. Può essere “ordinario” (emesso a seguito di controllo ex-post) oppure in taluni casi “parziale” o “d’ufficio”. Va notificato (di solito via PEC al domicilio fiscale) entro termini di decadenza fissati dalla legge (il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello d’imposta, salvo casi di omissione dichiarativa che allungano a 7 anni). Con le recenti riforme, gli avvisi di accertamento emessi dal 2020 in poi costituiscono anche titolo esecutivo trascorsi normalmente 60 giorni dalla notifica, senza necessità di ulteriore cartella esattoriale: ciò significa che, scaduto il termine per il ricorso, l’importo accertato (per una quota) diventa immediatamente riscuotibile tramite l’Agente della Riscossione. È quindi fondamentale non lasciar decorrere i termini, altrimenti l’Ufficio potrà iscrivere a ruolo le somme e attivare misure cautelari (fermi, ipoteche) o esecutive.
Opzioni di difesa iniziale: adesione o ricorso
Alla ricezione di un avviso di accertamento fiscale, l’influencer (e il suo consulente fiscale/legale) dovrebbe anzitutto valutare se vi siano margini per una definizione stragiudiziale o se convenga proporre ricorso presso la giustizia tributaria. Le principali opzioni deflattive sono:
- Istanza di accertamento con adesione: è uno strumento che consente di avviare un contraddittorio con l’Ufficio emittente per cercare un accordo sul quantum dovuto. L’istanza va presentata entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (che è lo stesso termine per ricorrere); la presentazione sospende per 90 giorni i termini del ricorso. In sede di adesione, il contribuente può esporre le proprie ragioni, correggere eventuali errori di calcolo dell’Ufficio, fornire documentazione aggiuntiva e negoziare una riduzione di sanzioni. Se si raggiunge l’accordo, si formalizza un atto di adesione con il pagamento (anche rateale) delle somme concordate e lo sconto delle sanzioni ad 1/3 del minimo. L’accertamento così si “definisce” e non c’è contenzioso. Nel caso degli influencer di Bologna citato, la GdF ha comunicato che “tutte le persone sanzionate si sono dimostrate ampiamente collaborative, aderendo ai rilievi mossi e versando all’erario gli importi dovuti”: in pratica hanno accettato l’accertamento, probabilmente mediante adesione, pagando il dovuto ed evitando guai peggiori. Solo in qualche caso alcuni si sono riservati di fare ulteriori approfondimenti prima di procedere davanti agli uffici finanziari, segno che valuteranno un’eventuale contestazione formale. Quando conviene aderire? Se le violazioni contestate sono fondate e documentate, e/o si vuole evitare un lungo contenzioso, può essere conveniente cercare un accordo per ridurre le sanzioni e ottenere la rateazione. Ad esempio, se l’Agenzia contesta €100k di imposte evase, con sanzioni al 100% sarebbero altri €100k; con l’adesione le sanzioni scendono a circa €30k (un terzo del minimo, solitamente 90%→30%). Inoltre si evita il rischio di soccombenza totale in giudizio che comporterebbe sanzioni piene e spese. Al contrario, se l’accertamento appare palesemente errato o eccessivo, l’adesione potrebbe non portare sufficienti benefici, in quanto l’Ufficio difficilmente annullerà in autotutela le proprie pretese salvo errori materiali evidenti. In tal caso sarà preferibile il ricorso.
- Ricorso alle Commissioni/“Corti” tributarie: è l’azione giudiziaria con cui impugnare l’avviso. Dal 2023 la giustizia tributaria è stata riformata: gli organi di primo e secondo grado si chiamano ora Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado (già Commissioni Tributarie Provinciali/Regionali). Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento (salvo sospensione per adesione). Esso si propone alla Corte tributaria competente per territorio (solitamente quella della provincia in cui ha sede l’ufficio delle Entrate). Per controversie di valore non superiore a €50.000 è attualmente obbligatorio esperire preliminarmente un procedimento di mediazione/reclamo: in pratica, il ricorso si presenta comunque, ma l’Ufficio ha 90 giorni per eventualmente accogliere in tutto o in parte le ragioni del contribuente o proporre una conciliazione, prima che il processo entri nel vivo (se l’Agenzia rifiuta o non risponde, il ricorso prosegue). Nel ricorso l’influencer – patrocinato da un difensore abilitato (avvocato, commercialista, ecc.) – dovrà indicare i motivi di impugnazione, contestando nel merito e/o nel procedimento l’atto ricevuto.
Vediamo alcuni motivi di difesa tipicamente invocabili nel caso di influencer:
- Errata qualificazione dell’attività: un punto cruciale può essere la distinzione tra attività occasionale e attività d’impresa. L’Ufficio potrebbe aver considerato i compensi dell’influencer come reddito d’impresa (con tutto ciò che ne consegue, inclusa l’IVA dovuta e l’indeducibilità di alcuni costi personali), mentre l’interessato sostiene che la sua fosse un’attività saltuaria agli inizi, non professionale. In tal caso, in giudizio si potrà provare – attraverso la dimostrazione concreta del numero limitato di collaborazioni, della mancanza di organizzazione, ecc. – che l’attività era occasionale e i redditi andavano tassati come “redditi diversi” con ritenuta d’acconto (già eventualmente trattenuta dai committenti italiani) e senza obbligo IVA. La Cassazione ha più volte ribadito che la professionalità abituale è requisito per configurare reddito d’impresa, mentre prestazioni episodiche non lo sono. Tuttavia va detto che se i ricavi annuali erano elevati o provenivano da decine di operazioni, sarà difficile far passare la tesi dell’occasionalità.
- Rideterminazione del reddito imponibile: spesso l’accertamento fiscale nei confronti di chi non ha tenuto scritture o ha operato informalmente viene fatto in via induttiva, sulla base di elementi come versamenti su conto corrente, acquisizioni di beni, tenore di vita, numero di follower rapportato a stime di compensi, ecc. Il contribuente può contestare la ricostruzione dell’Ufficio fornendo spiegazioni per ridurre l’imponibile: ad esempio provare che alcuni accrediti in conto non erano compensi ma donazioni di familiari, rimborsi spese o transazioni personali non tassabili; o che determinati beni ricevuti (es. prodotti) non erano forniti in cambio di pubblicità ma inviati unilateralmente dalle aziende (regali senza obbligo, e se l’influencer non ne ha fatto promozione, allora non sono reddito). Documentazione e onere della prova: nelle presunzioni di reddito derivanti da movimenti bancari, la legge (art. 32 DPR 600/1973) pone a carico del contribuente l’onere di giustificare le somme movimentate sui propri conti, pena la loro imputazione a ricavi tassabili. Pertanto, l’influencer dovrà produrre in giudizio tutta la documentazione possibile (contabili, contratti, email con i brand, ecc.) per dimostrare la natura di ogni voce contestata. Ad esempio, se l’Agenzia ha rilevato bonifici da Google Ireland (YouTube) non dichiarati per €10.000, questi sono evidentemente ricavi da AdSense e vanno tassati; ma se ha rilevato anche un versamento di €5.000 da un privato, l’influencer potrebbe sostenere che si trattava di un prestito o di restituzione di capitale, producendo magari una scrittura privata o un estratto conto a supporto. Il giudice tributario valuterà caso per caso la fondatezza di tali prove.
- Determinazione delle spese deducibili: se l’accertamento riclassifica l’attività come d’impresa, l’influencer potrebbe vedersi disconoscere molti costi non documentati o ritenuti personali. In sede di difesa, è possibile cercare di recuperare in deduzione i costi effettivamente sostenuti per produrre quei ricavi, anche se non inizialmente dichiarati. Ad esempio, se l’influencer ha comprato attrezzature (fotocamere, computer), pagato collaboratori o viaggi funzionali ai contenuti, può esibire fatture o ricevute e chiedere che vengano portate in deduzione, riducendo così il reddito imponibile accertato. La Cassazione riconosce che, pur in presenza di omessa dichiarazione, il contribuente in sede contenziosa può documentare costi deducibili attinenti ai ricavi accertati, nei limiti delle regole ordinarie (principio di inerenza, competenza, ecc.). Ciò può abbattere sensibilmente le pretese.
- Vizi procedurali dell’accertamento: i professionisti verificheranno anche se l’avviso presenta vizi formali o violazioni del diritto di difesa. Ad esempio: mancata indicazione del responsabile del procedimento, difetto di motivazione (se l’atto è apodittico e non spiega le ragioni), omessa allegazione di documenti essenziali richiamati (per es. PVC della Guardia di Finanza), notifica irregolare, ecc. Alcuni vizi formali, se rilevanti, possono condurre all’annullamento dell’atto indipendentemente dal merito.
- Prescrizione/decadenza: si può eccepire l’intervenuta decadenza del potere accertativo se l’avviso è notificato oltre i termini di legge (ad esempio, redditi 2018 notificati dopo il 31/12/2024, salvo cause di raddoppio termini per reati fiscali). Oppure la decadenza dal poter recuperare l’IVA oltre i termini comunitari.
Se il ricorso in primo grado non produce esito soddisfacente, è possibile appellare la sentenza sfavorevole alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado). Successivamente, in caso di ulteriore soccombenza, resta il ricorso in Cassazione per motivi di legittimità. Tuttavia, già in primo grado oggi è prevista la figura del giudice monocratico per le controversie fino a €3.000 e la possibilità di conciliazione giudiziale (accordo transattivo in corso di causa, con riduzione sanzioni a 1/3).
Sospensione della riscossione
Un aspetto fondamentale della difesa post-accertamento è evitare che, nelle more del giudizio, l’Agenzia inizi a riscuotere forzosamente. Attualmente, l’avviso di accertamento diviene esecutivo trascorsi 60 giorni: l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione) può intanto iscrivere a ruolo un importo pari al 1/3 delle imposte accertate (più interessi) decorso tale termine, e dopo ulteriori 30 giorni emettere un’intimazione di pagamento. Per evitare azioni esecutive durante il ricorso, il contribuente deve chiedere la sospensione: può farlo sia in via amministrativa (all’ente impositore, che raramente la concede se non in autotutela per errori evidenti), sia soprattutto in via giurisdizionale, presentando istanza di sospensione all’interno del ricorso tributario. La Corte tributaria può concedere la sospensione dell’atto (totale o parziale) se sussistono fumus boni iuris (motivi fondati del ricorso) e periculum in mora (rischio di danno grave in caso di esecuzione, ad es. il contribuente dimostra che subirebbe un pregiudizio economico irreparabile). La sospensione, se accordata, congela la riscossione fino alla decisione di merito. In mancanza, occorre essere pronti a negoziare eventualmente una dilazione con l’Agente della Riscossione: le somme non sospese possono essere iscritte a ruolo e notificate tramite “cartella” o “intimazione” anche durante il processo, ma l’esecuzione (pignoramenti) non può partire finché non siano trascorsi 180 giorni dalla notifica del titolo esecutivo. In ogni caso, per evitare aggravio di interessi e aggi, molti consigliano – se l’importo non è contestato nel quantum ma solo in diritto – di versare quanto meno la parte non controversa o di iniziare un piano di pagamento in pendenza di giudizio.
Profili penali
Un discorso a parte merita la possibile rilevanza penale: se l’influencer ha omesso di dichiarare redditi imponibili superiori a determinate soglie, potrebbe scattare una denuncia per evasione fiscale (es. dichiarazione infedele se imposta evasa > €100.000, omessa dichiarazione se redditi > €50.000, omesso versamento IVA > €250.000, etc., secondo il D.Lgs. 74/2000). In tal caso l’avviso di accertamento può contenere la comunicazione di notitia criminis all’autorità giudiziaria. La difesa tributaria e quella penale devono allora procedere coordinate ma separate: il pagamento integrale dei debiti tributari (magari grazie a un’adesione) può estinguere il reato di omesso versamento o costituire circostanza attenuante, ma per altri reati (omessa dichiarazione, infedele dichiarazione) il pagamento non estingue il procedimento penale anche se può incidere sulla pena. È importante farsi assistere anche penalmente se si intravede questo rischio, ma nei limiti di questa guida (focalizzata sul piano amministrativo) basti avvisare che oltre certi importi l’influencer potrebbe trovarsi coinvolto in un procedimento penale e dovrà valutare anche un’eventuale patteggiamento o strategia difensiva in sede penale. Fortunatamente, nel caso di specie di Bologna 2024, l’azione si è fermata al piano fiscale-amministrativo, perché – come dichiarato pubblicamente da uno degli influencer coinvolti – “l’accertamento riguarda solo aspetti fiscali e non ha rilevanza penale” (probabilmente perché le imposte evase per singolo non superavano le soglie penali o perché è stata intrapresa subito la regolarizzazione).
Conclusione sulla difesa fiscale: l’influencer che riceve un avviso di accertamento deve attivarsi immediatamente, analizzare l’atto con esperti, valutare se transigere con l’ufficio (adesione) o impugnare e, in caso di ricorso, preparare una difesa documentale solida e completa. Non affrontare da soli questo procedimento: è consigliabile farsi assistere da un avvocato tributarista o un commercialista esperto in contenzioso, data la complessità delle norme coinvolte (TUIR, DPR 600/73, DPR 633/72, Dlgs 546/92, ecc.) e le interazioni possibili con profili penali o contributivi. Ricordiamo che il termine di 60 giorni è perentorio: un ricorso tardivo verrà dichiarato inammissibile. Inoltre, chiudere un occhio sperando in un condono non è strategia: se il debito è elevato, conviene intavolare subito la discussione con l’Agenzia, perché difficilmente in futuro prossimo vi saranno “sanatorie” sulle annualità recenti (nel 2023 vi è stata una definizione agevolata delle liti pendenti e un condono di cartelle fino al 2015, ma per gli anni 2018-2023 la via ordinaria è l’unica).
Tabella 1: Difesa contro Avviso Fiscale – riepilogo
Fase/Opzione | Caratteristiche | Termine | Vantaggi/Svantaggi |
---|---|---|---|
Accertamento con adesione | Richiesta incontro con Ufficio per concordare importi e sanzioni ridotte. Sospende termini ricorso per 90 gg. | Entro 60 gg da notifica avviso | + Sanzioni ridotte a 1/3 min.; pagabile in rate (max 8 trimestrali). + Niente causa. – Possibile sconto limitato su imposte. – Se fallisce, si allunga iter (ma sospende termini per ricorso). |
Ricorso tributario | Impugnazione avanti alla Corte Tributaria di I grado. Eventuale mediazione < €50k. Possibile istanza sospensiva. | Entro 60 gg (salvo adesione) | + Giudice terzo può annullare/revocare atto se viziato o infondato. + Possibilità di far valere proprie prove. – Tempi lunghi (anni su più gradi). – Se si perde, sanzioni intere e spese. |
Conciliazione giudiziale | Accordo transattivo in corso di processo (anche in appello) con sanzioni ridotte 1/3. | Fino a sentenza definitiva | + Chiude lite con compromesso. – Serve accordo con AdE (non unilaterale). |
Pagamento/rateazione post notifica | Pagamento spontaneo integrale (o tramite rate concessionate dall’Agente riscossione se ruolo già emesso). | Entro 60 gg (per beneficiare riduzione sanzioni 1/3 in acquiescenza) | + Se entro 60 gg e senza ricorso: acquiescenza con sanzioni ridotte a 1/3. + Evita contenzioso. – Debito va pagato per intero (salvo sanzioni scontate). – Rinuncia a far valere proprie ragioni in giudizio. |
Inazione (sconsigliato) | Non fare nulla entro 60 gg. Avviso diventa definitivo ed esecutivo. | – | – Comporta iscrizione a ruolo e azioni esecutive per importi dovuti + sanzioni piene. – Perde ogni chance di contestazione successiva nel merito (resta solo possibilità di istanze di dilazione o al massimo ricorso contro la cartella per vizi formali, ma non sul merito ormai cristallizzato). |
Accertamenti contributivi INPS e avvisi di addebito
Accanto al fisco, un influencer può trovarsi a dover fronteggiare contestazioni da parte dell’INPS relative ai contributi previdenziali. Questo può accadere in vari scenari: ad esempio, l’influencer ha svolto attività di lavoro autonomo abituale senza iscriversi alla Gestione Separata e senza versare i contributi dovuti; oppure avrebbe dovuto iscriversi come impresa alla gestione commercianti ma non l’ha fatto; oppure ancora ha inquadrato la propria attività in modo errato (es. come collaborazione occasionale mentre di fatto era continuativa). Le somme evase a titolo di contributi previdenziali (pensione, IVS) vengono pretese dall’INPS tramite appositi provvedimenti amministrativi, principalmente l’avviso di addebito (introdotto dal 2011 in sostituzione delle vecchie cartelle di pagamento per crediti INPS).
Che cos’è l’avviso di addebito INPS
È un documento emesso dall’INPS che contiene l’intimazione al pagamento di contributi omessi (capitale) più sanzioni civili e interessi. L’avviso ha valore di titolo esecutivo immediato: significa che, decorsi i termini di legge, l’INPS (o l’Agente della Riscossione per suo conto) potrà procedere alla riscossione coattiva senza bisogno di un’ulteriore cartella o giudizio. In pratica, funziona in modo analogo a un avviso di accertamento fiscale esecutivo. Spesso l’INPS notifica l’avviso dopo aver effettuato un controllo incrociato con i dati fiscali: se un soggetto ha presentato dichiarazioni dei redditi con partite IVA attive o redditi da lavoro autonomo, l’Istituto verifica se è iscritto a una gestione previdenziale; se non lo trova iscritto, avvia un accertamento contributivo. Nel 2025, con la circolare 44, l’INPS ha definito i criteri per individuare i content creator soggetti a contribuzione, il che faciliterà l’emissione di avvisi verso chi non si è messo in regola.
Esempio concreto: un influencer ha guadagnato 30.000 € annui dal 2022 al 2024 con la sua attività online, aprendo partita IVA in regime forfettario, ma senza iscriversi ad alcuna gestione previdenziale (né commercianti né separata). Nel 2025 l’INPS incrocia i dati: vede che il soggetto ha dichiarato redditi di lavoro autonomo ma non risulta in Gestione Separata (né ha altra copertura pensionistica). Di conseguenza, notifica un avviso di addebito chiedendo i contributi Gestione Separata dovuti sui 30.000 € per ciascun anno (aliquota ~26%), più sanzioni per omesso versamento (interessi di mora e sanzioni civili che possono arrivare anche al 30% annuo del dovuto, ridotte se si paga spontaneamente). Se l’influencer invece avesse dovuto iscriversi ai commercianti (perché la sua era considerata attività d’impresa commerciale), l’INPS richiederebbe i contributi fissi trimestrali per quegli anni più l’eventuale quota percentuale sul reddito eccedente il minimale.
Come difendersi: ricorsi amministrativi e giudiziali
Alla pari degli avvisi fiscali, anche gli avvisi di addebito INPS possono essere contestati. Vi sono però alcune differenze procedurali importanti, poiché la materia rientra nella giurisdizione del giudice del lavoro (trattandosi di contributi previdenziali obbligatori).
In passato, prima del 2012, il contribuente dopo un accertamento INPS riceveva una “nota di debito” e poi la cartella esattoriale: poteva proporre un ricorso amministrativo interno (al Comitato Provinciale INPS) entro 90 giorni e poi, in caso di reiezione, fare causa al tribunale entro 1 anno. Oggi con l’avviso di addebito la procedura è più snella: l’avviso stesso è titolo esecutivo e salta la fase amministrativa (i Comitati provinciali conservano competenza solo per alcune materie residuali). Quindi, dopo la notifica dell’avviso di addebito, il destinatario ha 40 giorni per proporre opposizione in sede giudiziaria. L’opposizione si presenta con ricorso al Tribunale in funzione di giudice del lavoro (del luogo di residenza del contribuente o dove ha sede l’ufficio INPS, secondo le regole ordinarie). Il termine di 40 giorni decorre dalla notifica e, a differenza del tributario, non è sospendibile con istanze di altro tipo: se si avvia un’interlocuzione con l’INPS, ciò non ferma il termine processuale. Pertanto è essenziale rispettarlo. Il giudizio seguirà il rito del lavoro, che è abbastanza rapido e prevede anche la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dell’esecuzione (poiché, essendo titolo esecutivo, l’INPS potrebbe nel frattempo attivare il recupero: di solito però l’INPS attende 90 giorni prima di passare a esecuzione, in analogia con le regole generali). In tribunale si potranno far valere sia motivi formali (vizi dell’avviso) sia motivi di merito.
Possibili linee di difesa nel merito:
- Contestare l’obbligo di iscrizione stessa: l’influencer può sostenere che per il periodo in questione non era dovuta alcuna iscrizione contributiva. Ad esempio, se l’INPS gli chiede contributi come commerciante (artigiani/commercianti) perché presume fosse attività d’impresa, lui potrebbe argomentare che invece operava come professionista senza cassa e quindi avrebbe dovuto semmai essere iscritto alla Gestione Separata, con un’aliquota diversa e – se i redditi erano bassi – con contributi inferiori. Qui però bisogna fare attenzione: il tribunale valuterà la natura dell’attività. La circ. INPS 44/2025 chiarisce che un content creator senza organizzazione e senza vincolo di subordinazione rientra nei lavoratori autonomi puri (quindi Gestione Separata); solo se c’è struttura imprenditoriale e prevalenza di mezzi su apporto personale allora è commerciante. Quindi, se l’INPS avesse sbagliato inquadramento (capita: a volte classifica erroneamente come commerciante chi vende servizi creativi in autonomia), quel motivo di ricorso potrebbe essere accolto, rimodulando il debito contributivo (magari con aliquota diversa). In altri casi, l’influencer potrebbe sostenere che era un semplice hobbista, operando sotto la soglia dei 5.000 € l’anno e senza professionalità, quindi nessun contributo dovuto. La soglia di 5.000 € annui (lo ricorda la stessa INPS) esenta dall’obbligo contributivo occasionale: bisogna però dimostrare che l’attività rientrava nei limiti dell’occasionalità. Se l’INPS porta evidenze di continuità (es. flusso reddituale regolare, più committenti, contenuti pubblicati settimanalmente, ecc.), difficilmente il giudice accetterà la tesi dell’occasionale. Invece, se i redditi erano modesti e magari l’influencer aveva già un lavoro principale, si potrebbe far leva sul fatto che sotto 5.000 € non scatta l’obbligo (per le collaborazioni occasionali la norma esonera fino a 5.000 € complessivi annui per evitare micro-versamenti).
- Contestare il periodo e la prescrizione: i contributi previdenziali hanno termine di prescrizione di 5 anni (salvo atti interruttivi). Se l’INPS richiede contributi per anni molto remoti, potrebbe essere intervenuta prescrizione. Ad esempio, nel 2025 l’INPS può chiedere fino ai contributi 2020 (salvo atti precedenti che abbiano interrotto la prescrizione). Se emergessero periodi antecedenti (2018, 2017), si può eccepire prescrizione e far stralciare quelle annualità dal debito.
- Riduzione delle sanzioni civili: le cosiddette sanzioni civili INPS per omesso pagamento (che non sono sanzioni “punitive” ma somme aggiuntive per mora) possono essere ridotte dal giudice in casi particolari, ad esempio se il debitore prova l’assenza di dolo o colpa grave nel mancato versamento. Le sanzioni civili ammontano di regola al 30% annuo dell’importo non pagato (con tetto al 60% del dovuto), ma se il contribuente paga spontaneamente entro 12 mesi dalla scadenza sono ridotte a un tasso minore (dal 2022 ~6% annuo). In giudizio si può richiedere al giudice di applicare la misura minore se il ritardo è dovuto a difficoltà oggettive. Non sempre è concesso, ma è una leva.
- Errori nel calcolo: verificare sempre se l’INPS ha calcolato correttamente il dovuto. Talvolta negli avvisi si trovano duplicazioni o importi già versati non scalati. Ad esempio, se l’influencer in un anno ha versato qualcosa (magari come Gestione Separata su ricevute con ritenuta d’acconto) ma l’INPS non ne ha tenuto conto, bisogna evidenziarlo con le ricevute di pagamento.
- Difetti formali: un avviso di addebito deve indicare con chiarezza la causale, il periodo, la gestione di riferimento e deve riportare l’intimazione di pagamento entro 60 giorni. Se mancano elementi essenziali o c’è ambiguità (es. non è chiaro a che gestione si riferisca il credito) ciò può renderlo nullo. Inoltre l’INPS ha l’obbligo di notificare l’avviso in modo valido: se la notifica non è regolare (es. indirizzo errato, mancanza di relata, ecc.), l’opposizione può far leva su questo.
Procedimento: il ricorso in tribunale lavoro, a differenza del tributario, è instaurato con ricorso depositato in cancelleria e notificato all’INPS; segue la convocazione delle parti in udienza. È bene farsi assistere da un avvocato specializzato in diritto del lavoro/previdenza. Durante il giudizio si possono chiedere mezzi istruttori (testimoni, CTU) se servono a chiarire la natura dell’attività. Ad esempio, se c’è dubbio se l’influencer svolgesse attività d’impresa o meno, si potrebbe chiedere una CTU contabile che analizzi la struttura organizzativa. Spesso però la questione è giuridica e documentale, risolvibile sui documenti.
Sospensione e riscossione durante la causa
Analogamente a quanto visto per il fisco, anche qui vale la pena richiedere in via d’urgenza la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’avviso impugnato, per evitare che nel frattempo l’INPS proceda con esecuzioni (pignoramenti su conto, ad esempio). Il giudice del lavoro può sospendere l’esecuzione se ricorrono gravi motivi (simili a fumus e periculum). Se non si ottiene la sospensione, l’unica è eventualmente procedere a pagare parzialmente o chiedere all’Agente della Riscossione una rateazione (l’Agente della Riscossione gestisce anche crediti INPS: per debiti fino a 120.000 € si possono avere fino a 72 rate mensili). Tuttavia, attenzione: pagare anche solo una parte durante il giudizio può essere interpretato come parziale riconoscimento; è preferibile in questi casi accordarsi con INPS per soluzioni transattive se possibile (a differenza del fisco, l’INPS è meno attrezzata per mediazioni, ma in alcuni casi può rinunciare a sanzioni se il contribuente salda il capitale).
Esito e appello: la sentenza del tribunale può confermare, annullare o ridurre l’addebito. Se l’influencer vince, l’avviso è annullato (in tutto o in parte) e nulla è dovuto, con condanna di INPS alle spese. Se perde, dovrà pagare l’importo (eventualmente già versato in parte). È ammesso appello alla Corte d’Appello (sezione lavoro) entro 30 giorni dalla sentenza se resa in forma immediata (o 6 mesi se non notificata). Il giudizio prosegue in secondo grado ed eventualmente in Cassazione (se sussistono motivi di legittimità). Durante l’appello si può chiedere nuovamente la sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado (che altrimenti l’INPS potrebbe eseguire subito).
Considerazioni: spesso, i margini di difesa nei contributi sono limitati se effettivamente l’attività era svolta e i contributi erano dovuti per legge: diversamente dal fisco dove l’Agenzia può sbagliare su cifre o interpretazioni, l’INPS contesta situazioni abbastanza oggettive (mancata iscrizione e zero versamenti). Dunque, in molti casi, il contenzioso serve a guadagnare tempo o a riclassificare nel regime più favorevole (es. passare da commercianti a separata, che può far risparmiare molto, specie perché commercianti prevedeva contributi fissi anche in assenza di reddito). Da notare che il legislatore periodicamente introduce sanatorie anche sui contributi: ad esempio, la “rottamazione” delle cartelle ha incluso anche avvisi di addebito per contributi INPS di certi anni, permettendo di pagarli senza sanzioni civili. A luglio 2025 è in corso la “Rottamazione-quater” (per debiti 2000-2017) che potrebbe includere anche contributi di quegli anni: se un influencer avesse un avviso di addebito in quella finestra temporale, potrebbe valutare di aderirvi per chiudere il debito pagando solo il capitale e interessi minimi. Ma per i debiti recenti (2020+), al momento non ci sono definizioni agevolate attive.
Tabella 2: Procedura difesa Avviso INPS – sintesi
Passo | Dettagli | Termine/Note |
---|---|---|
Opposizione giudiziale | Ricorso al Tribunale (sez. lavoro) contro l’avviso di addebito. | 40 giorni dalla notifica. Oltre, il titolo diviene definitivo. |
Ricorso amministrativo interno | Non previsto (i Comitati INPS non sono più competenti per avvisi addebito generali). Eccezione: alcune materie specifiche (es. classificazione aziende) prevedono ancora ricorso amministrativo. | – (Generalmente si va diretti in tribunale). |
Sospensione dell’esecutività | Istanza al giudice del lavoro per sospendere la riscossione durante la causa. | Può essere contestuale al ricorso o in pendenza di causa. Decide il giudice con ordinanza motivata. |
Pagamento spontaneo | L’avviso invita a pagare entro 60 gg per evitare aggravio. Se si paga entro tale termine senza ricorrere, si chiude la partita (ma si rinuncia a contestare). Possibile chiedere rate (72 rate) all’Agente riscossione post notifica. | 60 giorni (decorso inutilmente, l’importo è esecutivo). Sanzioni civili ridotte in caso di pagamento tempestivo (tasso ridotto). |
Appello | Contro la sentenza del Tribunale (lavoro) se sfavorevole o parzialmente sfavorevole. | 30 gg dalla notifica della sentenza (o 6 mesi se non notificata). |
Definizioni agevolate | Se normative speciali lo prevedono (rottamazioni, condoni contributivi). Attualmente rottamazione 2023 per debiti fino al 2017. | Variabili secondo legge. Non applicabili di norma a debiti recenti. |
Sanzioni dell’AGCM per pubblicità occulta o ingannevole
Oltre a fisco e contributi, come visto gli influencer rischiano provvedimenti dall’Antitrust (AGCM) quando violano le norme sulla lealtà della comunicazione commerciale. Ricevere una contestazione AGCM significa solitamente che l’Autorità, dopo aver aperto un’istruttoria (spesso in seguito a segnalazioni di consumatori o associazioni), ritiene che l’influencer abbia posto in essere una pratica commerciale scorretta. Nel contesto influencer, i casi più frequenti riguardano: pubblicità occulta (mancata indicazione di post sponsorizzati) e messaggi ingannevoli (promesse di guadagni facili, promozione di prodotti con caratteristiche false o omettendo informazioni fondamentali). L’AGCM può procedere da sola o congiuntamente contro l’influencer, l’eventuale agenzia e l’azienda sponsor.
Procedura AGCM: segnalazione, istruttoria e decisione
La “chiamata in causa” dell’influencer da parte dell’Antitrust può avvenire con diverse modalità. In alcuni casi l’AGCM invia inizialmente una lettera di moral suasion, ossia un richiamo formale ma non sanzionatorio, invitando ad adeguarsi (questo è avvenuto in passato, ad esempio nel 2018 e 2019 con vari VIP invitati a usare #ad). Se la condotta scorretta prosegue o se il caso viene ritenuto grave, l’Autorità avvia un’istruttoria ufficiale (procedimento istruttorio per pratica commerciale scorretta, ai sensi del Codice del Consumo). L’influencer viene formalmente informato dell’apertura del procedimento e gli viene contestato l’addebito (es: violazione degli artt. 20 e 22 o 21 del Codice del Consumo per messaggi occulti). Da quel momento egli ha diritto di partecipare al procedimento, inviare memorie difensive e documenti, e chiedere eventualmente di essere sentito. Il procedimento può concludersi in tre modi: archiviazione (se l’Autorità ritiene che non vi sia violazione o siano state eliminate le criticità), provvedimento di accettazione di impegni (se l’influencer/azienda propone rimedi e impegni per il futuro – ad esempio correggere i post, informare i follower, ecc. – l’AGCM può chiudere il caso senza accertare infrazione, rendendo vincolanti tali impegni), oppure sanzione amministrativa pecuniaria se accerta la violazione. La sanzione viene irrogata con una delibera motivata (pubblicata come provvedimento sul bollettino AGCM) e notificata agl’interessati. L’importo, come detto, può arrivare fino a 5 milioni € ma nella prassi per influencer individuali finora si è visto importi relativamente contenuti (es. 5.000 €, 10.000 €, 50.000 €…). Il recente caso (giugno 2025) di Luca “Big Luca” De Stefani è esemplare: l’AGCM gli ha inflitto 60.000 € di multa per due pratiche scorrette (pubblicità occulta di sistemi di guadagno + vanto di popolarità falsa tramite follower fake); al contempo ha sanzionato un altro influencer, Michele L., di 5.000 € per promozione ingannevole su TikTok. Altri invece hanno evitato sanzioni proponendo soluzioni (impegni) accolte dall’Antitrust, come rimuovere i proclami tipo “arricchisciti senza sforzo” e inserire d’ora in poi i disclaimer pubblicitari. Questo modus operandi mostra che l’AGCM è anche interessata all’effetto deterrente e correttivo: se l’influencer dimostra di rimediare e di adottare regole di trasparenza, potrebbe cavarsela con un richiamo.
Una volta ricevuta la notifica della sanzione (in genere un “provvedimento” con una ingiunzione di pagamento), l’influencer ha due opzioni: pagare oppure impugnare l’atto. A differenza delle imposte, qui non c’è un’adesione o conciliazione: la fase negoziale è prima della decisione (gli impegni di cui sopra). Dopo l’irrogazione, la strada è il ricorso in sede giurisdizionale amministrativa.
Impugnare una sanzione AGCM: ricorso al TAR
Le sanzioni per pratiche commerciali scorrette vanno impugnate davanti al TAR competente, che nel caso dell’AGCM – autorità nazionale – è il TAR del Lazio (Roma). Il ricorso è regolato dal processo amministrativo: il termine è di 60 giorni dalla notifica del provvedimento (classico termine per ricorsi TAR). Nel ricorso, l’influencer (assistito da un avvocato amministrativista) potrà contestare sia vizi di legittimità (es. incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) sia nel merito la valutazione dell’AGCM (nel limite in cui il giudice amministrativo possa sindacare la discrezionalità tecnica dell’Autorità). In pratica i motivi possibili sono:
- insussistenza della pratica scorretta: ad esempio dimostrare che il post incriminato non era affatto frutto di un accordo commerciale ma una scelta spontanea (caso raro, ma immaginiamo un influencer multato per non aver messo #adv su un prodotto che in realtà lui ha comprato da sé e recensito spontaneamente – potrebbe provarlo e far cadere l’accusa di pubblicità occulta). Oppure che le affermazioni fatte non erano ingannevoli nella percezione media, magari supportate da evidenze (se l’AGCM accusa di claim falsi, portare studi o dati a supporto delle affermazioni). È difficile però che l’Antitrust muova accuse infondate: spesso ha raccolto screenshot, testimonianze, etc.
- violazione del principio di proporzionalità nella quantificazione della sanzione: il Codice del Consumo dà un range molto ampio (fino a 5 mln). Il ricorrente può sostenere che la multa è eccessiva rispetto alla gravità del fatto, magari evidenziando la propria limitata capacità economica (un influencer piccolo per cui 50k € di multa sono la rovina) o il fatto di essere incensurato. Non di rado il TAR o il Consiglio di Stato, riconoscendo un vizio di proporzionalità, rideterminano la sanzione in riduzione, pur confermando la violazione. Per esempio, se a un micro-influencer fosse data la stessa sanzione di un’azienda, potrebbe essere rivista.
- vizi procedurali: l’influencer può eccepire di non aver avuto pieno accesso agli atti, o che l’AGCM non ha considerato memorie difensive pertinenti, o non ha tenuto conto di impegni offerti senza giustificarne il rigetto. Qualunque irregolarità nel procedimento che abbia leso il diritto di difesa può essere motivo di annullamento (anche se l’AGCM di solito è scrupolosa nel rispettare il regolamento sulle istruttorie).
- difetto di motivazione: se il provvedimento è carente nel motivare la sanzione o l’esistenza della pratica scorretta, è un altro motivo formale.
Va detto che il giudice amministrativo non sostituisce facilmente la propria valutazione a quella dell’Autorità, specie su aspetti tecnico-economici: però può verificare la logicità e completezza della motivazione. Ad esempio, se l’AGCM sanziona un influencer per non aver inserito “pubblicità” ma quell’influencer prova che invece c’era un’indicazione (magari non #ad ma “collaboration” in italiano), il TAR potrebbe giudicare che l’Autorità ha preteso un formalismo eccessivo e annullare l’atto perché in realtà l’informazione c’era in qualche forma.
Durante il ricorso, l’influencer può chiedere al TAR una sospensiva cautelare della sanzione, per non pagarla immediatamente: il TAR concede la sospensione se ritiene che il ricorso non sia infondato (fumus) e che l’esecuzione della sanzione arrecherebbe un danno grave (periculum, es. rovina economica). Se la sospensiva è concessa, la sanzione rimane sospesa fino alla sentenza di merito. In caso contrario, l’influencer deve pagare entro i termini indicati (di solito 30 giorni dall’intimazione) o rischia iscrizione a ruolo. È possibile anche in questa fase valutare se convenga pagare con lo sconto: per alcune sanzioni amministrative c’è la possibilità di pagamento in misura ridotta entro 30 giorni (di solito 30% di sconto) se la legge specifica. Nel Codice del Consumo questa possibilità non è espressamente prevista come lo è per multe del CdS, ma talvolta l’AGCM stessa nell’atto indica “è ammesso pagamento entro 30 gg pari al….”. Se c’è, può valere la pena se non si intende ricorrere.
Se il TAR Lazio respinge il ricorso, resta l’appello al Consiglio di Stato entro 60 giorni. I tempi per la giustizia amministrativa possono essere medio-lunghi (1-2 anni in primo grado, 1 anno in appello).
Esempi pratici e consigli
Nel malaugurato caso di ricevere dall’AGCM una contestazione o sanzione, consigliamo di:
- Attivarsi subito nel procedimento: se ancora in fase istruttoria, presentare memorie, spiegare la propria buona fede (se c’è stata) e magari offrire impegni concreti: ad esempio promettere che d’ora in poi tutti i post sponsorizzati saranno contrassegnati chiaramente, e magari proporre di pubblicare un messaggio di “rettifica” ai follower per informarli. L’AGCM potrebbe chiudere il caso con un impegno e senza sanzione, soprattutto se la violazione è marginale e l’influencer non ha precedenti.
- In caso di sanzione notificata: valutare se contestarla – ad esempio perché si ritiene di non aver commesso l’illecito – oppure accettarla e pagarla. Se l’importo è piccolo (es. 1.000-5.000 €) può convenire pagare e chiudere, perché il costo di un ricorso al TAR (con spese legali e contributo unificato) potrebbe superare la multa stessa. Inoltre, pagando entro 30 giorni, forse l’AGCM potrebbe ridurre un po’ l’importo (verificare nel provvedimento se è menzionata riduzione per pagamento tempestivo).
- Prevenire in futuro: l’esperienza insegna. Dopo un richiamo o multa, l’influencer dovrebbe dotarsi di linee guida interne per non incorrere di nuovo nell’errore. Ad esempio, inserire sistematicamente gli hashtag pubblicitari, mantenere trasparenza con i follower. Anche perché recidive potrebbero portare a sanzioni più pesanti.
Dal punto di vista legale, rispetto a fisco e contributi, le sanzioni AGCM sono un ambito dove la reputazione dell’influencer è anche in gioco: spesso questi provvedimenti vengono comunicati pubblicamente (nei comunicati stampa AGCM compaiono nomi e cognomi o pseudonimi), con possibili danni d’immagine. Difendersi significa anche eventualmente fare crisis management: spiegare pubblicamente, se opportuno, la propria posizione. Nel caso citato, uno degli influencer sanzionati (Luis S.) si è affrettato a dichiarare sui social: “non sono un evasore, ho sempre dichiarato tutto… è in corso un’indagine, vedremo come finirà”. Ciò vale per il fisco, ma analogamente se esce la notizia “Tizio multato dall’Antitrust”, un comunicato di scuse o chiarimento può mitigare i danni alla reputazione commerciale.
In conclusione, la difesa contro le sanzioni AGCM consiste nel navigare tra compliance ex post (adeguarsi subito) e tutela legale (ricorrere se ingiusto). L’ideale è ovviamente non arrivare a questo punto: essere trasparenti sin dall’inizio evita problemi sia con l’Antitrust che con il proprio pubblico di riferimento.
Provvedimenti del Garante Privacy e tutela dei dati personali
Ultimo, ma non meno importante, esaminiamo la situazione in cui l’influencer sia destinatario di un provvedimento sanzionatorio da parte del Garante Privacy. Come già accennato, questo è meno comune dell’azione fiscale o antitrust, ma è un rischio reale in determinate circostanze (soprattutto ora che la sensibilità su questi temi è aumentata). Di solito, l’intervento del Garante avviene a seguito di un reclamo da parte di qualcuno i cui dati sono stati trattati indebitamente, oppure nell’ambito di campagne generali del Garante (ad esempio sui minori in rete, sull’uso dei cookie, ecc.). I poteri del Garante includono: emanare ordini (es. ordinare di rimuovere contenuti, bloccare un trattamento illecito), comminare sanzioni pecuniarie, o trasmettere atti all’autorità giudiziaria se ravvisa violazioni che costituiscono reato (es. pubblicazione di materiale coperto da segreto, dati sanitari diffusi illecitamente, ecc.).
Esempi di violazioni privacy in ambito influencer
- Un influencer pubblica sui social il nome e il volto di un minorenne (figlio altrui) senza consenso dei genitori: questi ultimi potrebbero rivolgersi al Garante, che valuterebbe la violazione del diritto del minore alla riservatezza. Possibile conseguenza: ordine di rimuovere la foto/video e sanzione amministrativa, in base agli artt. 5, 6, 9 GDPR e norme speciali sui minori.
- Un influencer gestisce un sito web con un modulo di iscrizione newsletter e non fornisce informativa né raccoglie consensi per inviare pubblicità: su segnalazione, il Garante potrebbe aprire un’istruttoria e sanzionare per omessa informativa (violazione art. 13 GDPR) e marketing non consensuale (violazione art. 6 GDPR).
- Data breach: un influencer tiene in un database online i dati (email, indirizzi) di clienti del proprio merchandising e questi dati vengono esposti per errore o hackeraggio. L’influencer doveva notificare il data breach al Garante entro 72 ore (art. 33 GDPR) e informare gli interessati se il rischio era elevato. Se non l’ha fatto, e il Garante viene a saperlo (magari da qualche utente colpito), scatterà un procedimento per mancata notifica e carenze di sicurezza.
- Doxing o diffamazione online: se un influencer diffonde dati personali per colpire un terzo (tipo rivela l’indirizzo di una persona con cui ha litigato, incitando i follower ad agire), oltre a possibili reati di diffamazione o minaccia, c’è violazione di privacy. In passato, il Garante ha sanzionato situazioni analoghe, ad esempio contro testate giornalistiche che pubblicavano indirizzi o dettagli irrilevanti di vittime di cronaca. Con gli influencer, non ho notizie pubbliche specifiche, ma il meccanismo sarebbe simile.
Procedimento davanti al Garante
Il GDPR ha semplificato e uniformato le modalità: la persona lesa può proporre reclamo al Garante, che se lo ritiene fondato apre un’istruttoria (dando notizia al titolare del trattamento, cioè l’influencer o la sua eventuale società). L’influencer ha diritto di difendersi durante l’istruttoria, inviando memorie e documenti. Al termine, il Garante può:
- Archiviare (se ritiene che non vi sia violazione o che il fatto sia di minore rilevanza e sia stato sanato).
- Emettere un provvedimento prescrittivo o ingiuntivo senza sanzione (ad es. ordinare di adeguarsi entro un termine, ammonire per iscritto).
- Oppure emanare un’ordinanza-ingiunzione con sanzione pecuniaria (questo avviene soprattutto se la violazione è sostanziale o reiterata, o se il titolare non ha ottemperato a precedenti prescrizioni).
Poniamo che l’influencer riceva un’ordinanza-ingiunzione che gli ingiunge di pagare, ad esempio, €10.000 per violazione X del GDPR. Cosa può fare?
Pagamento ridotto: a differenza dell’Antitrust, per le sanzioni privacy la normativa prevede una sorta di definizione agevolata: se non intende contestare, il destinatario può chiedere all’Ufficio sanzioni del Garante di pagarla con una riduzione (in passato era 1/3 se non ricordo male, ma con il GDPR la disciplina è un po’ cambiata). Ad ogni modo, l’ordinanza stessa di solito indica la possibilità di pagamento entro 30 giorni di una somma pari ad un terzo del massimo o del deliberato per definire. Se c’è questa opzione, pagare subito chiude il procedimento e il Garante non fa ulteriori azioni.
Opposizione in tribunale: qualora l’influencer ritenga ingiusta la sanzione, può presentare ricorso avverso l’ordinanza-ingiunzione. La sede competente per le sanzioni privacy è l’autorità giudiziaria ordinaria, precisamente il Tribunale civile del luogo dove risiede il titolare del trattamento (o forse dove ha sede l’Autorità? Qui c’è stato dibattito, ma in genere si ritiene competente il tribunale del luogo dove è avvenuta la violazione o ove risiede il ricorrente). La legge prevede che l’opposizione vada presentata entro 30 giorni dalla notifica della sanzione, come stabilito dall’art. 152 del Codice Privacy richiamando la L. 689/1981. Si tratta di un giudizio di merito (non è solo legittimità come al TAR). Il Tribunale può riesaminare i fatti e la congruità della sanzione. L’onere di provare la violazione spetta in teoria all’Autorità, ma in pratica l’ordinanza fa già fede di quanto accertato, sta al ricorrente portare elementi per confutarla. Nel giudizio, che è un procedimento civile in camera di consiglio, si possono chiedere anche qui misure cautelari (sospendere la sanzione in attesa della decisione, soprattutto se l’importo è elevato e minaccia la solvibilità del ricorrente).
Motivi tipici di opposizione:
- contestare i fatti: provare che non c’è stata la violazione (es. il Garante dice “hai pubblicato X dato senza base giuridica”, l’influencer può cercare di dimostrare che invece c’era il consenso della persona – magari difficile, ma chissà).
- far valere la disproporzione della sanzione: come per GDPR, sanzioni devono essere efficaci ma proporzionate. Un influencer potrebbe evidenziare di aver ricavato zero da quell’illecito (nessun profitto), di aver subito già un danno reputazionale, ecc., e chiedere clemenza.
- evidenziare condotte virtuose: cooperazione con il Garante, immediata cessazione dell’illecito, scuse pubbliche, risarcimento eventuale alla vittima – tutti elementi che dovevano essere valutati dal Garante per mitigare la sanzione. Se non lo ha fatto adeguatamente, il giudice potrebbe ridurre la multa. Ad esempio, se un influencer ha violato la privacy di un soggetto ma poi ha subito cancellato il contenuto e pubblicato una rettifica scusandosi, e magari offerto un risarcimento, il Garante avrebbe dovuto tenerne conto come attenuante (art. 83 GDPR). Se non risulta, lo si fa valere in giudizio.
- eventuali vizi procedurali: la L. 689/81 permette di eccepire nullità se ad esempio l’ordinanza è carente di motivazione, o se non è stata preceduta dalla contestazione immediata (anche se nel contesto GDPR la contestazione è il procedimento in sé, non c’è obbligo di immediata come per le contravvenzioni stradali). Un esempio potrebbe essere: il Garante ha impiegato troppo tempo (violazione del termine ragionevole), oppure ha notificato la sanzione in modo non corretto.
Il Tribunale, una volta esaminate le ragioni, può accogliere l’opposizione (annullando in tutto o in parte la sanzione, o riducendola) oppure respingerla. Contro la decisione del tribunale è ammesso appello e poi Cassazione (secondo regole del rito sanzioni amministrative – di solito l’appello è ammesso solo per violazione di legge salvo alcuni casi, perché rientra nella logica di L.689/81? In realtà per sanzioni privacy credo sia appellabile come normale sentenza civile).
Anche qui, considerazioni finali: se la sanzione non è enorme, spesso viene pagata e stop; se invece è molto alta (ci sono stati casi di sanzioni di milioni a società, ma per un singolo influencer improbabile a meno di fatti gravissimi) allora conviene opporsi. Un aspetto da sottolineare: il Garante potrebbe anche combinare sanzione e imporre misure, ad esempio di cancellare determinati dati. Se l’influencer volesse contestare anche l’ordine di fare o non fare, in teoria dovrebbe impugnare quello entro 30 giorni pure, sempre davanti al tribunale (o fare un unico ricorso contro il provvedimento in ogni sua parte). Ignorare un ordine del Garante è rischioso: diventerebbe titolo esecutivo (potrebbe portare a esecuzione forzata se è di pagare, o a ulteriori sanzioni/denunce se è di fare e non si fa).
Riassumendo: la difesa verso provvedimenti del Garante Privacy passa dal tribunale ordinario e non dal TAR, con tempi stretti di 30 giorni. Le chance di successo dipendono dal caso concreto. In alcuni precedenti su aziende, i giudici hanno a volte ridotto le multe per eccesso di importo, ma hanno raramente annullato del tutto provvedimenti se la violazione c’era. Ad esempio, c’è stato il caso Enel Energia dove il Garante aveva multato l’azienda e il tribunale ha confermato la violazione ma evidenziato questioni procedurali sulle modalità di irrogazione, entrando in quel dettaglio.
Per un influencer persona fisica, un fattore considerato sarà la capacità economica: il GDPR indica di tenere conto anche delle condizioni finanziarie del contravventore. Un’influencer medio non ha il bilancio di Google; se per una svista commette infrazione, una sanzione troppo severa potrebbe essere ritenuta inopportuna dal giudice.
Consigli pratici per evitare/gestire interventi del Garante
Per evitare di arrivare alle sanzioni, l’influencer dovrebbe: dotarsi di una privacy policy per le proprie attività (anche un link in bio che spieghi eventuali trattamenti, se raccoglie dati fuori dai social), chiedere sempre autorizzazione prima di pubblicare info personali di qualcuno (soprattutto se può essere identificato chiaramente), stare particolarmente attento con i minori (non postare foto di minorenni riconoscibili senza consenso dei genitori; se sono i propri figli, va evitato di esporli in situazioni lesive della loro dignità o sicurezza), in caso di errori porre rimedio immediato (es. se incidentalmente in una story appare il numero di telefono di qualcuno, cancellare subito la story e scusarsi). In caso di richiesta da parte del Garante (il Garante può anche inviare una sorta di “questionario” chiedendo chiarimenti al titolare su come tratta dati), rispondere tempestivamente e in modo completo: la collaborazione è spesso considerata un attenuante. Infine, se arriva una sanzione, valga lo stesso discorso di ponderare costi/benefici di un’opposizione legale.
Collaborazioni con piattaforme estere: criticità fiscali e legali
Un elemento trasversale a quanto sopra, evidenziato anche nella richiesta, sono le specificità legate alle piattaforme estere. Molti influencer guadagnano tramite YouTube (Google), Instagram/Facebook (Meta), TikTok, Twitch (Amazon), OnlyFans, Patreon, ecc., società tutte estere (principalmente USA). Questo crea alcune particolarità:
Dal lato fiscale: i compensi pagati da piattaforme estere spesso arrivano in Italia senza trattenute, quindi l’influencer riceve il lordo sul proprio conto (o PayPal). Ciò può aver indotto alcuni a pensare, erroneamente, che tali redditi fossero “invisibili” al fisco italiano. In realtà, l’Agenzia delle Entrate può rintracciare questi flussi: tramite controlli sui conti bancari (i bonifici internazionali sopra certe soglie vengono segnalati per antiriciclaggio), oppure più recentemente tramite lo scambio automatico di informazioni. Infatti, con la direttiva DAC7 dell’UE, dal 2023 i gestori di piattaforme digitali sono tenuti a comunicare alle autorità fiscali i redditi corrisposti ai venditori/utenti in vari Paesi. Ad esempio, YouTube/Google dovrà reportare all’IRS e alle autorità UE gli importi versati ai creator; questi dati verranno scambiati e l’Agenzia italiana potrà sapere che Tizio (residente in Italia) ha ricevuto X euro da Google Ireland. Dunque, l’era in cui si poteva confidare nell’opacità sta finendo: chi non dichiara redditi da piattaforme estere rischia seriamente di essere scoperto, magari con qualche anno di ritardo, e subire accertamenti con recupero di imposte evase e sanzioni.
Doppia imposizione: se la piattaforma estera ha operato ritenute d’imposta nel suo paese, occorre gestire il credito d’imposta. Ad esempio, fino a qualche tempo fa YouTube applicava una ritenuta fiscale negli USA sui compensi di creator non americani, a meno che questi non compilassero il modulo per l’applicazione del trattato. Se un influencer italiano ha subito, poniamo, una ritenuta del 10% USA sui compensi, avrebbe diritto a un credito d’imposta estero in Italia (ex art. 165 TUIR) nei limiti dell’imposta italiana su quello stesso reddito. In sede di accertamento fiscale, può far valere quel credito per diminuire il dovuto (sempre che documenti l’avvenuta ritenuta). L’Agenzia potrebbe inizialmente calcolare l’imposta sul lordo, ma su istanza del contribuente dovrebbe riconoscere il credito. Questo è importante: chi riceve pagamenti lordi dovrebbe conservare le ricevute e certificazioni di eventuali ritenute subite all’estero, per evitare doppia tassazione.
Esterovestizione e residenza fiscale: alcuni influencer, specie di alto profilo, hanno tentato di trasferire la residenza all’estero (in Paesi a fiscalità più vantaggiosa) per sottrarsi al fisco italiano. Se il trasferimento è genuino (vivere >183 giorni fuori, spostare centro interessi vitali), non c’è nulla da difendere: l’Italia semplicemente non è competente (anche se per 5 anni successivi all’espatrio potrebbe presumere la residenza in Italia se non si prova il contrario, nei casi di espatrio verso paradisi). Se invece l’influencer mantiene di fatto famiglia e affari in Italia e ha solo fittiziamente spostato l’indirizzo (classica esterovestizione), l’Agenzia lo contesterà come residente di fatto. In giudizio, l’influencer dovrebbe provare di aver realmente vissuto all’estero (contratti di casa, bollette, attività documentate lì). Cassazione in tema di residenza fiscale è molto rigida: iscriversi all’AIRE da solo non basta, contano gli elementi sostanziali (famiglia, lavoro, patrimonio). Quindi un influencer “nomade digitale” deve poter dimostrare di non aver base in Italia; se non ci riesce, verrà tassato in Italia per i redditi ovunque prodotti (compresi quelli guadagnati all’estero durante la permanenza fuori).
Società estere/Schermi societari: qualcuno ha costituito una società all’estero (es. LTD in UK, LLC in USA, o a San Marino, Dubai, ecc.) per incassare i proventi di sponsorship e poi magari pagarsi un minimo stipendio. Questo può ottimizzare se fatto in contesti normativi legittimi, ma spesso l’Agenzia può contestare che la società è una schermo senza sostanza economica, amministrata di fatto dall’Italia – configurando così l’esterovestizione della società. In quel caso, l’ente estero viene tassato come fosse italiano e l’influencer rischia anche sul piano penale (dichiarazione infedele per occultamento di attività estere). Difendersi da ciò significa provare che la società ha vita propria all’estero (uffici, dipendenti, management localizzato, ecc.). Non impossibile, ma per un singolo creator è arduo convincere che la sua Ltd inglese sia davvero gestita a Londra se lui vive a Milano e fa tutto da lì.
Contratti con clausole di giurisdizione estera: è un altro aspetto. Alcuni contratti di collaborazione con brand stranieri prevedono legge applicabile straniera (es. legge USA) e foro estero. Ciò può complicare la vita se sorgono dispute private (non con autorità): p.es., influencer italiano litiga con brand USA su pagamento, la clausola dice foro New York. Bisogna andare lì o trovare soluzione arbitrale. Questo però esula dall’“avviso di accertamento” (che è cosa di autorità).
Privacy con piattaforme estere: se un influencer raccoglie dati su piattaforme estere (p.es. lista follower su Instagram) e li esporta, tecnicamente sta trasferendo dati fuori UE. In teoria dovrebbe assicurarsi che la piattaforma garantisca adeguatezza (Meta, Google ecc. hanno clausole standard). Non entriamo troppo in ciò, ma è un profilo di compliance da menzionare.
Difesa nel contesto internazionale: se l’influencer si trova coinvolto in procedimenti paralleli in più Paesi (p.es. fisco italiano e IRS americano per qualche reddito), conviene coordinare le difese e magari affidarsi a consulenti internazionali. Tuttavia, per la maggior parte degli influencer il contenzioso sarà domestico (le autorità estere di solito non vengono loro stesse dietro a un cittadino italiano – semmai forniscono info all’Italia). Un caso eccezionale è: un influencer viola la privacy di cittadini esteri – potrebbe essere citato in quel Paese. Ma direi raro.
In sintesi, collaborare con piattaforme estere non esime affatto dagli obblighi italiani. L’influencer deve dichiarare quei redditi, pagarci le imposte, e anche assolvere la cosiddetta “monitoraggio fiscale” se detiene conti correnti all’estero (Quadro RW per depositi > €15k, se ha account Transferwise o simili con IBAN estero, ecc.). Un’eventuale difesa basata sul “non sapevo dovessi dichiarare incassi da estero” non tiene giuridicamente (ignorantia legis non excusat), tuttavia può essere usata come argomento per chiedere clemenza sulle sanzioni amministrative (nel minimo edittale) evidenziando la confusione normativa pregressa. Anche la circostanza che fino al 2024 non esistesse un codice specifico e regnava incertezza potrebbe essere invocata come esimente parziale di colpa per ridurre le sanzioni (l’art. 6 del D.Lgs.472/97 consente di non applicare sanzioni se l’errore sul fatto dipende da obiettive condizioni di incertezza normativa). Ad esempio: “Non ero a conoscenza dovessi iscrivermi alla gestione commercianti, pensavo bastasse non superare 5k da occasionale” – se effettivamente c’era poca chiarezza all’epoca (prima della circolare INPS 2025, in effetti era un tema dibattuto), il giudice potrebbe diminuire le sanzioni per omissione contributiva, riconoscendo che l’obbligo non era chiarissimo.
Domande frequenti (FAQ) e risposte sulla difesa degli influencer
D1: Cos’è esattamente un “avviso di accertamento” che ho ricevuto dall’Agenzia delle Entrate?
R: È l’atto formale con cui il Fisco ti contesta di aver pagato meno imposte del dovuto in uno o più anni e ti richiede la differenza, applicando sanzioni e interessi. In pratica certifica un debito tributario verso l’erario per redditi non dichiarati o IVA non versata. Viene emesso dopo controlli o verifiche che hanno trovato irregolarità. Ha forza esecutiva se non fai ricorso entro 60 giorni.
D2: Ho ricevuto un avviso per redditi online non dichiarati nel 2022. Posso evitare il processo e trovare un accordo col Fisco?
R: Sì. Entro 60 giorni puoi presentare istanza di accertamento con adesione: avrai un incontro con l’Agenzia in cui negoziare un eventuale accordo. Se trovi l’accordo, paghi quanto pattuito (anche a rate) con sanzioni ridotte ad un terzo. Se l’accordo non si trova o non lo tenti, l’alternativa è fare ricorso al giudice tributario.
D3: Cosa succede se ignoro un avviso di accertamento fiscale e non pago?
R: Trascorsi 60 giorni senza ricorso né pagamento, l’avviso diventa definitivo. L’Agenzia può incaricare l’Agente della Riscossione di procedere con il recupero coattivo. In breve tempo potresti ricevere una cartella/ intimazione e dopo altri 30 giorni subire misure come il fermo amministrativo dell’auto, il pignoramento di conti correnti o stipendio, ipoteca su immobili, ecc. Inoltre perdi la chance di contestare nel merito: il debito diventa certo e immutabile (salvo rare ipotesi di autotutela).
D4: Ho una partita IVA forfettaria ma non mi sono iscritto all’INPS pensando di essere esonerato. Ora mi chiedono contributi per gli ultimi 3 anni. Devo pagarli per forza?
R: Se svolgevi attività abituale, l’iscrizione era obbligatoria (Gestione Separata o altra gestione) quindi l’INPS è legittimata a chiedere i contributi arretrati. Puoi però verificare: 1) se effettivamente la tua attività rientrava tra quelle con obbligo (col nuovo indirizzo INPS 2025 praticamente tutte le attività continuative di content creation lo sono); 2) se l’importo è corretto (aliquota giusta, sottratti eventuali contributi già versati altrove, ecc.). Puoi tentare un ricorso al tribunale per far ridurre sanzioni o rateizzare, ma il capitale contributivo in sé, salvo prescrizione di qualche anno, sarà dovuto. In alcuni casi, se avevi già un lavoro da dipendente con contributi, i primi 5.000 € da autonomo occasionale potevano essere esenti; oltre, comunque, la Gestione Separata è dovuta (a aliquota ridotta per chi è già coperto da altra gestione). Valuta con un esperto se l’INPS ha applicato la regola corretta in base al tuo status.
D5: Sono un creator su YouTube. I compensi AdSense che ricevo da Google Ireland sono considerati esteri: devo dichiararli in Italia?
R: Assolutamente sì, se sei fiscalmente residente in Italia. Vanno dichiarati come tuoi redditi, anche se provenienti dall’estero, perché l’Italia tassa il reddito mondiale dei residenti. Non importa che li paghi una società irlandese o americana. L’unica differenza è che in Unico vanno indicati anche nel Quadro RW ai fini di monitoraggio (se lasciati su conti esteri). Se Google ti ha trattenuto delle imposte alla fonte, puoi chiedere il credito d’imposta per evitare doppia tassazione, documentandolo. Attenzione: dal 2023 le piattaforme comunicano questi pagamenti al fisco (DAC7), quindi ti vedono.
D6: Ho ricevuto molti prodotti gratis da aziende e spesso li ho recensiti: devo pagarci le tasse?
R: Sì, nella misura in cui quei prodotti omaggio costituiscono un compenso per la tua attività promozionale. Fiscalmente si tratta di pagamento “in natura” e va quantificato in euro (prezzo normale di mercato) e aggiunto ai ricavi. Ad esempio, se hai ricevuto uno smartphone del valore di €800 in cambio di una recensione su Instagram, quel valore è reddito imponibile per te. Se hai partita IVA, andava fatturato all’azienda con quella cifra (magari emettendo fattura a €0 incassato ma con descrizione “corrispettivo consistito in bene XYZ del valore €800” – tecnicamente una permuta). Se non l’hai fatto, il fisco potrebbe contestare il valore di quei beni come redditi nascosti. Eccezione: se il regalo è veramente a titolo gratuito senza obbligo di recensire (c.d. gifted puro), allora non è reddito. Ma se poi tu spontaneamente l’hai recensito comunque, la distinzione diventa sottile e l’Agenzia potrebbe presumere ci fosse un accordo implicito.
D7: Ho preso una multa dall’Antitrust (AGCM) di 10.000 € per non aver messo #adv. È possibile non pagarla o ridurla?
R: Puoi impugnarla al TAR Lazio entro 60 giorni, chiedendo magari sospensione. Se hai motivi validi (ad es. ritieni di aver segnalato adeguatamente la pubblicità, o l’importo è eccessivo rispetto alle tue condizioni) il TAR potrebbe annullare o ridurre la sanzione. Tuttavia, valuta i costi: ricorrere al TAR comporta spese legali e il rischio di dover pagare comunque se perdi, più le spese di giudizio. In alternativa, verifica se l’AGCM consente il pagamento ridotto in misura ridotta (a volte nelle sanzioni Agcm non è previsto, ma controlla la lettera di notifica). Se la violazione c’è stata, spesso è più efficiente pagare e in futuro prestare maggiore attenzione alla trasparenza. Se ricorri, dovrai magari sostenere che la sanzione è sproporzionata; in passato le hanno abbassate per influencer che guadagnavano poco con quella pratica. Consiglio: senti un legale amministrativista per un parere specifico sul tuo caso.
D8: Come faccio a sapere qual è la corretta gestione INPS a cui iscrivermi come influencer?
R: Dopo la circolare INPS 44/2025, la regola è: se operi individualmente, senza vincoli e con mezzi propri, sei in Gestione Separata (come un freelance). Se invece hai un’organizzazione in forma d’impresa (es. hai aperto una ditta, negozi contratti commerciali come un’agenzia pubblicitaria, magari hai dipendenti o collaboratori fissi che ti aiutano a produrre contenuti), allora configura attività commerciale e devi iscriverti alla Gestione Commercianti (oltre che in Camera di Commercio). Se la tua attività è molto incentrata su performance artistiche (es. sei attore/performer su YouTube, fai spettacoli online e offline come parte del tuo brand) potresti rientrare nel Fondo Lavoratori Spettacolo. In caso di dubbio, è consigliabile chiedere parere a un consulente del lavoro o direttamente all’INPS. Meglio iscriversi correttamente fin da subito che dover pagare anni di arretrati poi.
D9: Quanto tempo ho per fare ricorso contro un avviso di addebito INPS? Devo prima fare ricorso interno?
R: Il termine per l’opposizione giudiziaria all’avviso INPS è breve: 40 giorni dalla notifica. Non c’è più un ricorso amministrativo interno obbligatorio per la maggior parte dei casi (una volta c’era il ricorso al Comitato INPS in 90 giorni, ma per gli avvisi di addebito standard ora si va direttamente in tribunale). Quindi, entro 40 giorni devi depositare ricorso al Tribunale (sezione Lavoro). Se invece hai ricevuto un provvedimento diverso (es. rigetto di una domanda, o classificazione azienda) potrebbe esserci un ricorso amministrativo specifico, ma per la richiesta di contributi via avviso no, si procede subito giudizialmente.
D10: Un influencer può essere perseguito dal Garante Privacy se filma per strada e nelle riprese appare qualcuno?
R: In linea generale, filmare persone in luogo pubblico e pubblicare il video può avere implicazioni privacy se le persone sono riconoscibili e non semplicemente comparse casuali. Il GDPR prevede un’esenzione per trattamento di dati effettuato da persona fisica per fini esclusivamente personali (uso domestico). Se l’influencer pubblica però online a scopo di condividere col pubblico (magari monetizzando), si esce dal “personale”. Quindi sì, teoricamente una persona ripresa potrebbe lamentare la violazione della propria privacy, soprattutto se dalla ripresa ricava un danno o se il contesto è lesivo (es. l’influencer ironizza su un passante ignaro ripreso in video). Ci sono tuttavia da bilanciare la libertà di manifestazione del pensiero e il fatto che in luogo pubblico un minimo di tolleranza c’è. Non esiste una regola rigida: diciamo che se l’interessato si riconosce e non gradisce, può chiedere la rimozione del video. Se l’influencer si rifiuta, potrebbe intervenire il Garante ordinando la rimozione per tutela della persona. La sanzione pecuniaria scatterebbe in casi gravi o di inottemperanza. In pratica, è buona norma oscurare volti o targhe di persone terze non consenzienti nei propri video, a meno che siano figure pubbliche o eventi pubblici.
D11: Ho spostato la residenza fiscale in un altro paese nel 2024 (paese UE) ma continuo ad avere follower e fare contenuti anche per l’Italia. Possono ancora mandarmi avvisi di accertamento in Italia?
R: Se hai davvero trasferito la residenza e ti sei iscritto all’AIRE, dal 2024 in poi in teoria l’Italia non dovrebbe tassare i tuoi redditi mondiali (ma solo quelli prodotti in Italia eventualmente, e qui dipende dalla natura). Tuttavia, l’Agenzia Entrate può contestare che il trasferimento sia fittizio se ritiene che tu abbia mantenuto il centro dei tuoi interessi in Italia. In tal caso potrebbe emettere accertamento considerandoti comunque residente in Italia (esterovestizione della persona fisica). Capita spesso con VIP che si trasferiscono a Montecarlo, per es. Quindi sì, potrebbero ancora controllare. Starà a te, eventualmente in contenzioso, dimostrare di risiedere effettivamente all’estero (esibendo contratto d’affitto, bollette, spese di vita là, etc.). Se invece il trasferimento è genuino, per il 2024 in avanti il fisco italiano non dovrebbe aver titolo (mentre per gli anni precedenti al trasferimento sì, chiaramente). Tieni presente infine che i redditi d’impresa prodotti in Italia (es. se avessi una sede/studio in Italia che genera ricavi) restano imponibili in Italia anche da non residente, attraverso stabile organizzazione.
D12: Una sanzione del Garante Privacy notificata a me persona fisica può finire su internet col mio nome? Mi devo preoccupare della reputazione?
R: Il Garante Privacy, al contrario dell’AGCM, tende a anonimizzare i nomi delle persone fisiche nei provvedimenti pubblicati. Di solito nei suoi comunicati stampa cita le aziende (es. “il Garante ha multato Google, Wind, etc.”), ma quando il soggetto è un privato non noto, per prassi non lo rende pubblico nominalmente. Dunque, se per assurdo vieni multato come Mario Rossi influencer, è improbabile che il Garante pubblichi “Mario Rossi ha avuto X € di multa”; al più uscirà un comunicato generico sulla fattispecie (“Influencer sanzionato per aver diffuso dati di un utente, Garante interviene…”). Tuttavia, può sempre trapelare sui media a seguito di indagini giornalistiche. L’AGCM invece nel Bollettino pubblica i nomi, perché tratta i casi come commercio/impresa (es. “PS12814 – Luca De Stefani (Big Luca) – Provvedimento…” è pubblico). Quindi per privacy, la reputazione è meno a rischio direttamente, ma comunque la vicenda può venire fuori. In ogni caso, se temi la reputazione, la migliore strategia è prevenire violazioni oppure risolvere in fase di reclamo (magari concordare col reclamante un esito bonario, tipo tu cancelli i dati e quello ritira il reclamo, evitando sanzioni).
D13: Che differenza c’è tra un avviso bonario e un avviso di accertamento?
R: L’avviso bonario è una comunicazione informale (solitamente delle Entrate o INPS) che segnala al contribuente una possibile anomalia o debito, invitandolo a regolarizzare spontaneamente beneficiando di sanzioni ridotte. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate invia avvisi bonari dopo liquidazione automatica della dichiarazione se risultano piccoli versamenti mancanti, permettendo di pagare con sanzione 10%. Oppure l’INPS manda avvisi bonari per contributi non versati prima di emettere l’avviso di addebito. Non è un atto impugnabile in sé e non ha valore di titolo esecutivo. L’avviso di accertamento, invece, è un atto formale e definitivo dell’amministrazione che accerta un debito e può essere impugnato in commissione o tribunale. Spesso precede l’avviso di accertamento un “processo verbale di constatazione (PVC)” della Finanza o un invito a comparire: ma l’avviso bonario in senso stretto (ad esempio quelli delle liquidazioni automatizzate) se non pagato sfocia poi in iscrizione a ruolo. Riassumendo: l’avviso bonario è un “preavviso” con proposta di chiusura agevolata, l’avviso di accertamento è il “verdetto” impositivo vero e proprio.
D14: Se vengo multato dall’AGCM o dal Garante, la cosa compare nel casellario giudiziale o in visure?
R: No, le sanzioni amministrative di questo tipo non compaiono nel casellario giudiziale (che registra condanne penali). Né esiste un registro pubblico accessibile dove siano elencate le multe AGCM/Garante a persone fisiche (per le aziende c’è il bollettino AGCM come detto). Potrebbero comparire solo se poi la sanzione non pagata genera una cartella esattoriale e questa viene iscritta a ruolo, allora quel debito potrebbe emergere da un controllo protesti/sofferenze se non pagato. Ma non c’è un “fedina penale” o certificato dove risultano. Diverso è se ci fosse un procedimento penale, quello sì andrebbe in casellario se condannato, ma le nostre fattispecie (evasione a parte) sono tutte amministrative.
D15: E per finire, una domanda generale: come posso prevenire questi problemi in futuro?
R: Consigli sintetici di compliance per influencer:
- Regolarizza la tua posizione fiscale: apri la partita IVA se hai continuità, scegli il regime fiscale adatto (forfettario fino a 85k se ne hai i requisiti, altrimenti semplificato). Fatti assegnare il codice ATECO 73.11.03 dal 2025. Emissione di fatture per ogni collaborazione, in modo da avere traccia di ogni entrata, anche se da estero (fattura senza IVA verso estero se extra-UE, o con integrazione reverse charge se UE).
- Dichiara tutti i redditi, anche i prodotti ricevuti (valorizzali), e conserva le evidenze (screenshot di dashboard YouTube, email con offerte di compenso, ecc.) così se mai c’è un controllo puoi giustificare importi e contratti.
- Iscriviti all’INPS nella gestione giusta. Contributi non versati sono debiti che cresceranno – meglio versarli periodicamente (valuta eventualmente regime forfettario + riduzione contributiva se sei under 30 e iscrivi nuova gestione separata, etc.).
- Transparency is key: su ogni post sponsorizzato, metti chiaramente #ad o equivalente. Se promuovi servizi finanziari o integratori, occhio anche ad altre normative (CONSOB per finanziari, Ministero Salute per integratori, etc., ma sono casi specifici).
- Privacy & legal: metti a norma il tuo sito (cookie banner se serve, privacy policy), non raccogliere dati che non ti servono. Chiedi sempre autorizzazione per usare contenuti altrui (foto, video) e rispetta il copyright. Non coinvolgere terzi ignari nei tuoi contenuti in modo lesivo.
- Documentati: le normative evolvono. Tieni d’occhio le linee guida dell’AGCM sugli influencer, i comunicati del Garante, e segui magari un corso di media law o consulta un legale per impostare bene i tuoi contratti con i brand (un buon contratto di collaborazione specificherà che tu dovrai rispettare obblighi fiscali e di trasparenza – tutelandoti anche da pretese del brand di fare cose illegali).
- In caso di dubbi, non aspettare l’accertamento: consulta prima un commercialista/avvocato. Spesso sistemi semplici (dichiarazione integrativa volontaria, ravvedimento operoso, ecc.) possono sanare errori con costi molto inferiori rispetto a farsi beccare.
Con queste precauzioni, limiterai molto il rischio di brutte sorprese. Se comunque dovessero arrivare, ora sai come muoverti per difenderti al meglio.
Avviso di accertamento a influencer online? Fatti Difendere da Studio Monardo
Sei un influencer, creator o content creator online e hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate?
Ti contestano redditi non dichiarati, mancate fatturazioni o movimentazioni sospette sui conti?
Oggi l’attività degli influencer è sempre più attenzionata dal Fisco, che incrocia i dati di piattaforme, brand, conti correnti e social media. Ma non tutte le contestazioni fiscali sono corrette o legittime. Con una difesa tecnica puoi far valere i tuoi diritti e ridurre o annullare le richieste.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza l’avviso di accertamento e la documentazione relativa a collaborazioni, sponsorizzazioni e incassi
- 📌 Verifica se l’Agenzia delle Entrate ha rispettato le norme tributarie e se ci sono errori formali o sostanziali
- ✍️ Redige memorie difensive e ti assiste nel contraddittorio con il Fisco
- ⚖️ Ti rappresenta nel ricorso tributario per ottenere l’annullamento dell’atto o la riduzione delle sanzioni
- 🔁 Ti supporta nella corretta regolarizzazione della tua posizione fiscale come lavoratore digitale
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Consulente per fiscalità digitale e accertamenti a carico di influencer, streamer e creator
- ✔️ Specializzato in contenzioso tributario per attività online e redditi da pubblicità, affiliazioni e donazioni
- ✔️ Consulente legale per professionisti del web, freelance digitali e partite IVA nel settore social e media
Conclusione
Essere un influencer non ti rende invisibile al Fisco, ma non significa nemmeno essere senza difese.
Con il supporto di un professionista esperto puoi difenderti, chiarire la tua posizione e ridurre le pretese dell’Agenzia delle Entrate.
📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa fiscale online comincia da qui.