Avvocato Esperto In Diritto Fallimentare: Cosa Fa

Hai un’impresa in difficoltà o sei un creditore che vuole tutelare il proprio credito in una procedura concorsuale? Ti stai chiedendo cosa fa esattamente un avvocato esperto in diritto fallimentare e quando può esserti davvero utile?

Il diritto fallimentare – oggi riformato nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – disciplina le situazioni di insolvenza, ristrutturazione e liquidazione di imprese e persone sovraindebitate. Un avvocato specializzato in questa materia è fondamentale per affrontare correttamente ogni fase della crisi, sia dal lato dell’impresa debitrice che da quello dei creditori.

Cosa fa un avvocato esperto in diritto fallimentare?
– Assiste l’imprenditore nella valutazione dello stato di crisi o insolvenza
– Analizza i bilanci, la contabilità e i flussi di cassa per proporre soluzioni concrete e tempestive
– Prepara e presenta istanze per la composizione negoziata della crisi, concordati preventivi, piani di ristrutturazione o la liquidazione giudiziale (ex fallimento)
– Difende il debitore da azioni revocatorie, sequestri, istanze di fallimento o pignoramenti
– Assiste il creditore nell’insinuazione al passivo, nelle opposizioni agli stati passivi, nel recupero crediti e nella tutela dei diritti nelle procedure
– Rappresenta le parti in procedimenti civili e contenziosi legati alla crisi d’impresa
– Si occupa anche della responsabilità degli amministratori, della tutela del patrimonio e della gestione dei rapporti bancari e con i fornitori

Quando ti serve un avvocato esperto in diritto fallimentare?
– Se sei un imprenditore e temi che la tua azienda sia in crisi o in uno stato di insolvenza
– Se hai ricevuto atti di pignoramento, istanze di fallimento, decreti ingiuntivi o segnalazioni in Centrale Rischi
– Se vuoi accedere a una procedura di composizione negoziata, concordato minore o liquidazione
– Se sei un creditore e vuoi tutelare i tuoi diritti in una procedura concorsuale
– Se hai ricevuto un atto revocatorio, una contestazione per pagamenti preferenziali o distrazione di beni
– Se devi tutelare la tua posizione personale da responsabilità patrimoniali, fiscali o penali

Cosa puoi ottenere con la giusta assistenza legale?
Individuare per tempo la soluzione migliore alla crisi, evitando errori gravi
– Salvare l’impresa o gestirne una liquidazione ordinata, con la massima tutela del patrimonio
Ridurre l’esposizione debitoria, anche con trattative dirette con banche e fornitori
Difenderti da azioni giudiziarie, revocatorie o contestazioni da parte di curatori o creditori
Ottenere soddisfazione come creditore, insinuandoti correttamente nella procedura
– Prevenire sanzioni e responsabilità personali, anche per amministratori e garanti

Il diritto fallimentare è un campo tecnico, in continua evoluzione, che richiede esperienza e precisione. Non basta un avvocato generico: serve uno specialista capace di muoversi tra crisi, procedure, norme e Tribunali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto fallimentare e crisi d’impresa ti spiega cosa fa un avvocato fallimentarista, quando ti serve e come può aiutarti a salvare l’attività o tutelare i tuoi interessi in una situazione complessa.

Hai bisogno di assistenza per una procedura concorsuale o vuoi capire se puoi ancora salvare la tua impresa? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Valuteremo la tua posizione e ti diremo quali strumenti usare per difenderti, ristrutturare o uscire dal fallimento con la minore perdita possibile.

Introduzione

Un avvocato esperto in diritto fallimentare – oggi più propriamente definito esperto in diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza – è un professionista specializzato nell’assistere debitori (imprese o privati) che si trovano in difficoltà finanziaria o in stato di insolvenza. In Italia questo settore è stato oggetto di una riforma organica recente: dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”), che ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare del 1942 e la legge sul sovraindebitamento del 2012. Questa riforma, attuativa di principi europei, ha introdotto nuovi strumenti per affrontare le crisi in modo più tempestivo e flessibile, privilegiando il risanamento quando possibile e riducendo lo stigma del fallimento (non a caso, termini come fallimento e fallito sono stati abbandonati dal legislatore a favore di “liquidazione giudiziale” e “debitore assoggettato”).

L’avvocato fallimentare ha il compito di guidare il debitore attraverso questo complesso quadro normativo, aiutandolo a individuare la strategia più adatta per gestire la crisi ed evitare – se possibile – la liquidazione distruttiva dell’azienda. Un avvocato esperto in questa materia svolge numerose attività: analizza la situazione economico-finanziaria del cliente per intercettare segnali di crisi, consiglia sullo strumento da adottare (composizione negoziata, accordo di ristrutturazione, concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.), predispone la documentazione richiesta (piani, attestazioni, ricorsi) e rappresenta il debitore davanti alle autorità competenti (tribunale fallimentare, esperti nominati, organismi di composizione della crisi). Inoltre, assiste nelle trattative con creditori – banche, fornitori, Fisco, enti previdenziali – e tutela il patrimonio e i diritti del debitore durante l’intero processo, ad esempio ottenendo la sospensione delle azioni esecutive (stay) quando possibile. In sintesi, l’avvocato fallimentare affianca l’imprenditore o il privato in ogni fase della crisi, dalla prevenzione all’eventuale procedura concorsuale, con l’obiettivo di salvare il salvabile o, se non c’è alternativa, di gestire la liquidazione nel modo meno traumatico possibile.

Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un’analisi avanzata delle soluzioni legali disponibili in Italia per affrontare la crisi d’impresa o il sovraindebitamento dal punto di vista del debitore. Ci rivolgiamo tanto ai professionisti del settore (avvocati, commercialisti) quanto agli imprenditori e ai privati cittadini che vogliono comprendere cosa può fare per loro un esperto in diritto fallimentare. Verranno illustrate tutte le principali procedure concorsuali e strumenti alternativi (dall’allerta precoce alla composizione negoziata, dagli accordi di ristrutturazione al concordato preventivo – ordinario e “semplificato” – fino alla liquidazione giudiziale e alle procedure minori per i non fallibili), con riferimenti normativi puntuali e le novità giurisprudenziali più recenti. Troverete anche tabelle riepilogative per confrontare le procedure, domande e risposte su questioni frequenti, nonché alcune simulazioni pratiche basate su casi reali semplificati, per mostrare come un avvocato fallimentare può intervenire concretamente nelle diverse situazioni.

L’obiettivo è fornire un quadro completo e aggiornato al 2025, evidenziando diritti e doveri del debitore in ogni fase e mettendo in luce il ruolo dell’avvocato nel garantire il rispetto delle norme e nel massimizzare le chance di superare la crisi. Il messaggio centrale è che affrontare tempestivamente i problemi finanziari con l’assistenza di un legale esperto può fare la differenza tra una ristrutturazione di successo e un fallimento irreversibile.

1. Panoramica degli strumenti per gestire la crisi d’impresa e l’insolvenza

Quando un’impresa o un individuo non riesce più a far fronte regolarmente ai propri debiti, l’ordinamento prevede diversi strumenti per gestire in modo ordinato questa situazione. Non si tratta solo di fallimento: oggi esistono soluzioni più flessibili e meno stigmatizzanti, volte a evitare la liquidazione giudiziale ove possibile. In generale, possiamo distinguere tra:

  • Strumenti negoziali e preventivi, attivabili volontariamente dal debitore per trovare un accordo con i creditori prima di arrivare all’insolvenza conclamata. In questa categoria rientrano la composizione negoziata della crisi, i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, nonché il nuovo piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) introdotto dal Codice della crisi. Questi strumenti mirano al risanamento dell’impresa o alla ristrutturazione del debito in un’ottica di continuità aziendale, evitando la disgregazione dell’attività.
  • Procedure concorsuali giudiziali, che coinvolgono l’autorità del Tribunale e spesso un voto dei creditori, da utilizzare quando la crisi è più grave o non è stato possibile raggiungere accordi stragiudiziali. Le principali sono il concordato preventivo (nelle sue varianti, ordinario in continuità o liquidatorio, e il concordato “semplificato” introdotto di recente) e la liquidazione giudiziale (che ha preso il posto del fallimento). Queste procedure permettono rispettivamente di ristrutturare i debiti con l’approvazione dei creditori o, in ultima istanza, di liquidare il patrimonio distribuendo il ricavato ai creditori secondo regole legali.
  • Procedure per debitori non fallibili (sovraindebitamento), riservate ai soggetti che non possono accedere alle procedure ordinarie perché di dimensioni troppo piccole (le cosiddette imprese minori sotto-soglia) o perché non sono imprenditori commerciali (es. privati consumatori, professionisti, imprenditori agricoli). Il CCII prevede a tal fine il concordato minore e la liquidazione controllata del sovraindebitato, analoghi rispettivamente al concordato preventivo e alla liquidazione giudiziale ma calibrati per queste categorie, oltre a uno specifico piano di ristrutturazione del consumatore (erede del vecchio “piano del consumatore” della L.3/2012).

Di seguito elenchiamo gli strumenti principali oggi a disposizione del debitore, che saranno approfonditi nei capitoli successivi:

  • Composizione negoziata della crisi – Introdotta nel 2021, è una procedura volontaria, riservata e stragiudiziale in cui l’imprenditore, assistito da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, cerca di negoziare un accordo con i creditori prima che la situazione degeneri. Consente di mantenere la gestione dell’impresa (nessuno spossessamento) e, se necessario, ottenere dal tribunale misure di protezione temporanea dalle azioni esecutive dei creditori durante le trattative.
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti – Introdotti originariamente nel 2005 e ora disciplinati dal CCII, sono accordi contrattuali tra il debitore e una parte qualificata dei creditori (almeno il 60% dei crediti) per ristrutturare l’esposizione debitoria. Devono essere omologati dal tribunale, il quale verifica che l’accordo sia idoneo a soddisfare regolarmente i creditori (in particolare che i creditori estranei all’accordo non restino pregiudicati rispetto all’alternativa del fallimento).
  • Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) – Novità del Codice della crisi, è uno strumento intermedio fra accordo e concordato. Il debitore predispone un piano con classificazione dei creditori in classi, che viene sottoposto all’approvazione: è richiesto il voto favorevole di tutte le classi (unanimità inter-classi). Se tutte le classi approvano, il tribunale omologa il piano rendendolo vincolante anche per eventuali creditori dissenzienti in quella classe. Il PRO offre maggiore flessibilità di contenuto (si possono alterare le cause di prelazione con il consenso delle classi interessate), ma è più rigido sul piano delle maggioranze (basta il dissenso in una classe per far fallire la proposta).
  • Concordato preventivo – La classica procedura concorsuale “di ristrutturazione” prevista dalla legge fallimentare fin dal 1942 (ora rivista dal CCII). Il debitore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un piano che può prevedere la continuità aziendale (proseguimento dell’attività, magari con ristrutturazione dei debiti e nuovi finanziamenti) oppure la liquidazione del patrimonio con distribuzione del ricavato, in alternativa al fallimento. I creditori votano la proposta (eventualmente divisi in classi omogenee) e, se si raggiungono le maggioranze di legge, il concordato viene omologato dal Tribunale e diventa vincolante per tutti. Nel concordato in continuità aziendale, la legge richiede il rispetto parziale delle cause di prelazione e una soglia minima del 20% di soddisfazione per i creditori chirografari in caso di apporto di finanza da liquidazione. Il tribunale può omologare il concordato anche con classi dissenzienti, purché ai creditori dissenzienti sia assicurato almeno quanto otterrebbero nella liquidazione giudiziale (principio del best interest test, codificato nell’art.112 CCII). Una variante particolare è il concordato preventivo “semplificato” per la liquidazione del patrimonio (introdotto nel 2021): si può attivare solo se prima si è tentata senza successo la composizione negoziata; in tal caso il debitore può proporre un concordato liquidatorio senza voto dei creditori, da omologare dal tribunale verificata la convenienza della proposta rispetto al fallimento. Il concordato semplificato è pensato come extrema ratio per evitare il fallimento quando le trattative stragiudiziali falliscono, ma è soggetto a stretti controlli di buona fede (il debitore deve aver negoziato seriamente nella fase di composizione negoziata, pena il diniego di ammissione).
  • Liquidazione giudiziale (ex “fallimento”) – È la procedura di insolvenza irreversibile, di natura liquidatoria, cui si ricorre quando non vi sono alternative percorribili di risanamento. Il tribunale, su istanza di un creditore, del Pubblico Ministero o anche dello stesso debitore, dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale accertando lo stato d’insolvenza. Da quel momento l’imprenditore viene spossessato: la gestione del patrimonio passa al curatore fallimentare nominato dal giudice, il quale provvede a vendere i beni e a distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (principio della par condicio creditorum). La liquidazione giudiziale porta tipicamente alla chiusura dell’attività d’impresa, salvo il caso di un esercizio provvisorio temporaneo autorizzato per preservare il valore aziendale in vista di una cessione. Va sottolineato che oggi la liquidazione giudiziale non è più concepita come una “pena” infamante, ma come l’extrema ratio da utilizzare solo se nessun’altra soluzione è praticabile. Il sistema prevede infatti vari incentivi per anticipare l’emersione della crisi e privilegiare soluzioni alternative alla liquidazione.
  • Procedura di sovraindebitamento – Termine generico che comprende gli strumenti dedicati ai debitori non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglia, consumatori, professionisti, startup innovative, imprenditori agricoli, ecc.). Il CCII, seguendo la scia della L.3/2012, offre a questi soggetti due vie principali: il concordato minore (analogo al concordato preventivo, ma rivolto ai sovraindebitati) e la liquidazione controllata del sovraindebitato (analoga al fallimento, ma per chi non potrebbe essere dichiarato fallito). In aggiunta, per il consumatore inteso come debitore persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa, è previsto un piano di ristrutturazione del consumatore in cui – come avveniva per il vecchio “piano del consumatore” – non è richiesto il voto dei creditori, ma l’omologazione è subordinata alla verifica di fattibilità e dell’assenza di atti in frode. Una differenza importante rispetto al passato è che oggi anche i creditori possono attivarsi: se un debitore sotto-soglia non assume alcuna iniziativa mentre i debiti crescono, i creditori (o l’Organismo di Composizione della Crisi) possono chiedere al tribunale l’apertura d’ufficio di una liquidazione controllata. Ciò sprona il debitore sovraindebitato a muoversi proattivamente (presentando un concordato minore o un piano del consumatore) invece di restare inerte.

Nei prossimi capitoli esamineremo in dettaglio ciascuno di questi strumenti, illustrandone i presupposti, il funzionamento e le tutele previste per il debitore. Ma prima, è utile richiamare il tema dell’allerta precoce e della prevenzione della crisi, fondamentale per capire come e quando l’avvocato fallimentare dovrebbe intervenire.

2. Segnali di crisi e allerta precoce: prevenire il dissesto

Uno dei pilastri della riforma è l’idea che le crisi d’impresa vadano affrontate tempestivamente, appena compaiono i primi segnali di squilibrio finanziario, anziché attendere che si trasformino in insolvenza conclamata. L’art. 2086 c.c., comma 2 (introdotto nel 2019), impone all’imprenditore di dotarsi di assetti organizzativi adeguati a rilevare precocemente gli indizi di crisi e di attivarsi per adottare misure correttive. In concreto, ciò significa monitorare costantemente la situazione economico-finanziaria dell’azienda (cash flow, indicatori di redditività, indici di allerta) e non ignorare segnali come: perdite di esercizio ricorrenti, grave carenza di liquidità (incapacità di pagare fornitori, stipendi o imposte alle scadenze), indebitamento crescente oltre la capacità di rimborso, continui rinvii nei pagamenti o utilizzo sistematico di fidi e scoperti.

Il nuovo Codice della crisi aveva inizialmente previsto un meccanismo di allerta obbligatoria tramite segnalazioni esterne (es. da parte del Fisco o degli enti previdenziali in caso di debiti scaduti oltre certe soglie) e un apposito Organismo di Composizione Assistita (OCRI). Tuttavia, questa parte della riforma è stata posticipata e poi superata dalla scelta di privilegiare un approccio volontario e confidenziale: la composizione negoziata della crisi. Restano comunque in vigore alcune segnalazioni esterne mirate: ad esempio, l’Agenzia delle Entrate, l’INPS o l’Agente della Riscossione (Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione) devono avvertire l’imprenditore se le sue posizioni debitorie superano certi limiti (es. IVA scaduta oltre €5.000 e superiore al 10% del volume d’affari, contributi INPS non versati oltre €15.000, ecc., come da parametri fissati dal Decreto Dirigenziale 21/7/2022). Ricevuti tali avvisi, l’imprenditore è sollecitato a rivolgersi a un professionista ed eventualmente avviare una procedura di composizione negoziata.

Dal punto di vista del debitore, il messaggio è chiaro: non aspettare di essere travolto dai creditori o di esaurire la cassa. Coinvolgere per tempo un avvocato esperto in crisi d’impresa consente di analizzare la situazione a mente fredda e valutare misure correttive o soluzioni negoziate quando ancora c’è margine di manovra. Tra l’altro, la legge prevede benefici per chi agisce tempestivamente: ad esempio, l’imprenditore che attiva un percorso di composizione negoziata o concordato prima di aggravare il dissesto può andare esente da responsabilità per il ritardato ricorso alle procedure (evitando accuse di mala gestio o bancarotta semplice). Viceversa, continuare ad accumulare debiti nella speranza irrealistica di una ripresa può aggravare le conseguenze: l’amministratore che ritarda colpevolmente il ricorso a una procedura e peggiora il passivo rischia sanzioni anche penali (la Cassazione penale ha confermato che l’amministratore che omette di chiedere il fallimento e prosegue l’attività aggravando il dissesto risponde del reato di bancarotta semplice).

In sintesi, prevenzione e allerta significano adottare una gestione proattiva: “sperare per il meglio ma prepararsi al peggio”. Un avvocato fallimentare può aiutare l’imprenditore in questa fase a interpretare correttamente gli indicatori di crisi e a predisporre piani di risanamento interni (ad esempio un piano attestato di risanamento ai sensi dell’art. 56 CCII, ossia un accordo con alcuni creditori accompagnato da una relazione di un esperto attestatore che ne garantisce la fattibilità, utile anche per escludere eventuali azioni revocatorie). Se tali misure interne non bastano, l’avvocato consiglierà di attivare uno degli strumenti che vediamo nei prossimi paragrafi, primo fra tutti la composizione negoziata, che è oggi la via privilegiata per affrontare la crisi incipiente.

3. Composizione negoziata della crisi d’impresa (strumento stragiudiziale)

La Composizione Negoziata della Crisi (CNC) è stata introdotta in Italia dal D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e successivamente integrata nel Codice della crisi (artt. 17-25 CCII). Si tratta di un percorso volontario, extragiudiziale e riservato attraverso il quale l’imprenditore in difficoltà tenta di raggiungere un accordo con i creditori, avvalendosi dell’assistenza di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione istituita presso le Camere di Commercio. L’idea è di creare uno spazio protetto di negoziazione, prima di ricorrere a procedure concorsuali più invasive.

Presupposto: l’imprenditore deve trovarsi in uno stato di crisi o di insolvenza reversibile. Non è necessario essere già insolventi in senso stretto; anzi, la CNC è pensata per essere attivata non appena la continuità aziendale è a rischio nei successivi 12 mesi (prospettiva di insolvenza). È dunque uno strumento di early warning. Non possono accedervi però le imprese per le quali sia già irreversibile la situazione (es. azienda priva di qualsiasi prospettiva di risanamento) né quelle per cui sia già pendente una procedura concorsuale maggiore. Su quest’ultimo punto, va segnalato un recente chiarimento normativo: il “Correttivo-ter” del 2024 ha stabilito che la pendenza di un’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) presentata da un creditore o dal PM non impedisce all’imprenditore di avviare la composizione negoziata, superando così i dubbi applicativi precedenti. In altre parole, anche se qualcuno ha già chiesto il tuo fallimento, puoi provare la CNC per vedere se riesci a evitarlo (ovviamente dovrai agire in fretta e in buona fede).

Avvio della procedura: l’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica dedicata (gestita dalle Camere di Commercio) e allega una serie di documenti (situazione patrimoniale aggiornata, elenco dei creditori, piano finanziario prospettico, etc.). Entro pochi giorni, una commissione nomina l’esperto indipendente, scelto tra professionisti qualificati (in genere commercialisti o avvocati con specifica formazione) iscritti in un apposito elenco. L’esperto convoca l’imprenditore per un primo incontro e insieme redigono un protocollo di conduzione delle trattative. Da notare che l’apertura della CNC non viene pubblicata nel registro imprese (resta riservata), a meno che il debitore non richieda al tribunale misure protettive: in tal caso un avviso viene pubblicato per conoscenza dei creditori.

Ruolo dell’esperto e svolgimento: L’esperto indipendente ha il compito di agevolare le trattative tra il debitore e i creditori, mantenendo una posizione imparziale. Analizza la situazione dell’impresa, individua le cause della crisi, e aiuta a formulare possibili soluzioni (ad esempio dilazioni di pagamento, accordi di riduzione parziale del debito – stralcio, conferimenti di nuovo capitale, cessione di asset non strategici, ecc.). Importante: durante la CNC l’imprenditore rimane alla guida della sua azienda (“debtor in possession”), non c’è spossessamento né gestione esterna, però è tenuto ad agire con massima trasparenza e correttezza sotto la sorveglianza morale dell’esperto. Le trattative restano confidenziali: i creditori coinvolti devono mantenere riservate le informazioni apprese.

Su richiesta del debitore, l’avvocato può chiedere al Tribunale l’emissione di misure protettive: tipicamente un decreto che sospende o vieta l’inizio di azioni esecutive e cautelari individuali da parte dei creditori per la durata delle trattative (di regola fino a 120 giorni, prorogabili di altri 60). Il tribunale concede queste misure se ritiene che vi siano concrete possibilità di composizione della crisi. Durante la CNC, inoltre, il debitore può chiedere al giudice autorizzazioni per atti urgenti (es. finanziamenti prededucibili per la continuità) o la sospensione di alcuni contratti in corso. Un aspetto importante, chiarito dalle ultime modifiche normative, è che la protezione temporanea vale anche verso le banche: se il tribunale approva le misure protettive, le banche non possono revocare gli affidamenti in essere solo perché è iniziata la procedura. Ciò tutela l’impresa da improvvise chiusure di credito.

La CNC ha una durata variabile, in media qualche mese (3-6 mesi, estendibili se le trattative sono promettenti). Può concludersi in vari modi:

  • Accordo stragiudiziale raggiunto: ad esempio un accordo di moratoria con le banche, un piano di rientro con i fornitori, una modifica delle scadenze fiscali, ecc. In tal caso l’esperto redige una relazione finale positiva e la procedura si chiude con successo. Il vantaggio è che l’impresa evita di entrare in concorsualità formale; l’accordo però avrà natura privatistica (non coinvolge eventuali creditori dissenzienti se non hanno aderito).
  • Mancato accordo ma azienda risanabile: se non si raggiunge un accordo globale ma ci sono i presupposti, il debitore può decidere di avviare subito una procedura concorsuale di regolazione della crisi, ad esempio presentare un concordato preventivo (ordinario) oppure un accordo di ristrutturazione da omologare in tribunale. La CNC in questo senso può servire da preparazione: molte informazioni raccolte e l’analisi condotta dall’esperto saranno utili per istruire la successiva procedura.
  • Esito negativo senza soluzioni: se le trattative falliscono e l’impresa è insolvente, l’esperto lo attesterà nella relazione finale. A questo punto l’imprenditore può richiedere (entro 60 giorni) l’accesso al concordato preventivo semplificato, presentando al tribunale una proposta di liquidazione del patrimonio da omologare senza voto dei creditori. Questa opportunità esiste solo per chi ha tentato la CNC: è un incentivo a provarci, sapendo che in caso di insuccesso si ha comunque un’ultima carta per evitare il fallimento. Se neppure il concordato semplificato viene attivato o omologato, resterà solo la liquidazione giudiziale.

Vantaggi della composizione negoziata: rispetto alle trattative private “fai da te”, la CNC offre diversi benefici al debitore. In primo luogo, il supporto di un esperto imparziale può aiutare a ristabilire la fiducia con i creditori e a trovare soluzioni creative, dove magari il singolo imprenditore non avrebbe negoziato efficacemente. L’esperto, inoltre, ha accesso a informazioni importanti (può consultare banche dati fiscali, bilanci, Centrale Rischi) e fornisce una relazione di credibilità sulle proposte del debitore, cosa che spesso induce i creditori a sedersi al tavolo seriamente. In secondo luogo, come visto, c’è la possibilità di ottenere uno stay delle azioni esecutive, impossibile in una trattativa privata senza tutela. Durante la CNC sono anche previste alcune misure premiali: gli interessi moratori sui debiti fiscali sono sospesi, le sanzioni fiscali non aumentano, e – novità introdotta – le banche non possono revocare o ridurre unilateralmente gli affidamenti in essere a causa della crisi (salvo giusta causa). Questo crea attorno all’impresa un ambiente protetto, evitando che vada in default per il semplice “panico” dei creditori. Infine, come già detto, la CNC apre la porta al concordato semplificato se tutto il resto fallisce.

Aggiornamenti 2024-2025: nei primi due anni di applicazione, la composizione negoziata non ha avuto un utilizzo massiccio, forse per diffidenza o scarsa conoscenza. Il legislatore è quindi intervenuto con correttivi per incentivarne l’uso. Il Decreto Correttivo n.136/2024, in vigore dal settembre 2024, ha introdotto modifiche come: la semplificazione delle condizioni di accesso, chiarendo l’assenza di cause ostative (abbiamo citato la questione dell’istanza di fallimento pendente che non blocca più); un maggior coordinamento con le procedure successive, prevedendo ad esempio moduli standard per passare dal CNC al concordato in modo più veloce; e l’estensione di alcune tutele (come il blocco delle banche). Inoltre, sul piano interpretativo, sono arrivate le prime pronunce dai tribunali che offrono linee guida: ad esempio il Tribunale di Napoli nel 2023 ha ammonito che la CNC deve essere condotta in buona fede e con genuino intento di trovare un accordo, altrimenti il debitore ne perde i benefici (nel caso specifico fu negato l’accesso al concordato semplificato a un imprenditore che aveva simulato negoziazioni senza reale impegno). Si segnalano anche linee guida ministeriali e dei consigli degli ordini professionali per uniformare le prassi.

In definitiva, la composizione negoziata è oggi considerata lo strumento principe per tentare il risanamento di un’impresa in difficoltà prima di arrendersi al fallimento. L’avvocato fallimentare, se coinvolto in questa fase, svolge un ruolo cruciale: prepara l’istanza e la documentazione iniziale, assiste il cliente negli incontri con l’esperto, formula proposte di accordo calibrate e lo aiuta a ottenere dal tribunale le protezioni necessarie. Si richiede una combinazione di competenze legali, finanziarie e negoziali. Quando funziona, la CNC può salvare aziende e posti di lavoro; quando non funziona, spesso spiana comunque la strada a una soluzione concorsuale più ordinata.

4. Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII e ss.)

Gli accordi di ristrutturazione sono uno strumento di composizione della crisi a metà strada tra il piano privato e il concordato preventivo. Previste originariamente dall’art. 182-bis della vecchia legge fallimentare, queste intese negoziali sono oggi regolate dagli artt. 60-64 CCII. In sostanza, si tratta di un accordo contrattuale con cui il debitore e una parte significativa dei creditori convengono un piano di ristrutturazione del debito (dilazioni, riduzioni, conversioni in capitale, ecc.), che viene poi omologato dal tribunale e diventa vincolante anche per i creditori che non hanno firmato l’accordo.

Requisiti principali: il debitore può proporre un accordo di ristrutturazione se ottiene l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali (si calcola sul valore dei crediti). Non è richiesto che tutti i creditori aderiscano; l’accordo può restare “parziale” purché rappresenti quella maggioranza qualificata. I creditori non aderenti (il restante <40%) resteranno estranei all’accordo, ma comunque beneficiano della moratoria temporanea e, se l’accordo viene eseguito correttamente, verranno pagati integralmente entro i termini previsti dall’accordo stesso. Per assicurare questo, la legge richiede che l’accordo garantisca ai creditori estranei un pagamento integrale entro 120 giorni dalla scadenza dei crediti o dall’omologazione (per i crediti già scaduti), oppure in misura non inferiore a quanto otterrebbero in una liquidazione giudiziale ante tempore (concetto di convenienza).

Procedura di omologazione: l’accordo, accompagnato da una relazione di un attestatore indipendente che assevera la fattibilità del piano e l’idoneità a soddisfare i creditori, viene depositato in tribunale. Il tribunale (se l’istruttoria conferma i requisiti) omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes dal momento della pubblicazione nel registro delle imprese. Durante l’iter può concedere misure protettive analoghe a quelle del concordato (stay delle azioni esecutive per max 4 mesi). Non c’è voto dei creditori in tribunale: la manifestazione di volontà è quella contrattuale delle adesioni raccolte, che deve risultare almeno pari al 60%. I creditori dissenzienti non possono opporsi all’omologa se la maggioranza c’è, ma hanno la possibilità di sollevare contestazioni in sede giudiziale circa la regolarità dell’accordo o la sua convenienza. In tal caso il tribunale valuta se effettivamente l’accordo pregiudica i dissenzienti: in generale, l’accordo sarà omologato se ai non aderenti viene assicurato quanto otterrebbero in un fallimento (principio analogo al best interest test).

Varianti e novità: il CCII ha introdotto alcune varianti agli accordi di ristrutturazione tradizionali:

  • l’accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII), in cui se tra i creditori ci sono banche o intermediari finanziari titolari di almeno il 75% di una certa classe di debiti, l’accordo può essere esteso anche alle banche dissenzienti appartenenti a quella categoria, a certe condizioni (si tratta di una forma di cram-down settoriale per le banche che ricalca quanto già previsto dal 2016);
  • l’accordo agevolato (art. 60 co. 3 lett. d CCII), dove la soglia di adesione è ridotta al 30% se il debitore non chiede misure protettive e tutti i creditori estranei vengono pagati entro 120 giorni dall’omologa (in pratica un accordo lampo per casi meno complessi);
  • gli accordi di ristrutturazione tributari e previdenziali: il CCII consente di includere anche i debiti fiscali e contributivi negli accordi, prevedendo la transazione fiscale (art. 63). Se il Fisco o l’INPS rifiutano l’adesione irragionevolmente, il debitore può chiedere al tribunale di omologare comunque l’accordo nonostante il dissenso (previo contraddittorio con l’ente). Questo meccanismo assicura che un singolo grande creditore pubblico non possa bloccare un accordo che invece la maggioranza degli altri creditori considera conveniente.

Differenze rispetto al concordato: un accordo di ristrutturazione è più snello di un concordato perché non c’è tutta la fase di voto e adunanza dei creditori davanti al giudice. Di solito i tempi sono rapidi (pochi mesi per raccogliere le firme e ottenere l’omologa). Inoltre, il debitore rimane pienamente in possesso dei beni e continua la gestione ordinaria senza commissari. Di contro, l’accordo richiede un consenso elevato ex ante – raggiungere il 60% di adesioni non è semplice – e se questo manca l’accordo non può essere imposto ai dissenzienti come invece può accadere in un concordato. Una volta omologato, però, l’accordo è vincolante e privilegia la negozialità: se l’imprenditore esegue il piano concordato, evita il fallimento e ristruttura la propria posizione debitoria in via contrattuale.

Attenzione: se l’accordo non viene poi rispettato dal debitore (inadempimento grave), i creditori potranno chiedere la risoluzione dell’accordo e presentare istanza di fallimento immediatamente, senza bisogno di una pronuncia formale di risoluzione a differenza di quanto accade nel concordato. La Cassazione ha confermato che in caso di accordo ex art.182-bis (oggi accordo di ristrutturazione ex art.63 CCII) i creditori possono considerare l’accordo risolto di diritto se il debitore non paga, e non devono attendere un decreto del tribunale che ne dichiari la risoluzione – diversamente invece dal concordato preventivo, dove la risoluzione va dichiarata dal giudice prima di poter fallire. Questa differenza spinge il debitore, una volta ottenuto l’accordo, ad adempiere scrupolosamente: sa che al primo serio inadempimento i creditori potranno farlo fallire senza ulteriori formalità.

In pratica, gli accordi di ristrutturazione funzionano bene quando il numero dei creditori non è troppo elevato e c’è già una certa intesa di massima – ad esempio con le banche principali – tale per cui si riesce a raggiungere in fretta la soglia del 60%. In situazioni più frammentate o conflittuali, può essere preferibile il concordato (dove si può arrivare all’omologa anche con dissensi, tramite il voto a maggioranza e il cram-down). L’avvocato fallimentare aiuterà il debitore a valutare pro e contro: meno formalità e pubblicità con l’accordo, ma serve un consenso alto; più garanzie di chiusura con il concordato, ma con tempi e costi maggiori e maggior intrusività (commissari, verifiche più stringenti).

Va notato infine che l’accordo di ristrutturazione non comporta l’esdebitazione automatica del debitore come effetto giuridico, perché formalmente non è una procedura concorsuale liquidatoria. Tuttavia, se eseguito correttamente, di fatto il debitore ottiene la liberazione dai debiti eccedenti le percentuali concordate (i creditori rinunciano contrattualmente a quella parte di credito). Se invece l’accordo fallisce, non c’è alcuna protezione ulteriore: i creditori potranno subito agire. Per questo l’accordo è consigliabile quando si è ragionevolmente sicuri di poterlo rispettare. Un avvocato esperto saprà negoziare clausole di flessibilità, ad esempio prevedendo termini dilatori o garanzie in caso di temporanea difficoltà, per evitare che un lieve ritardo faccia crollare l’intero impianto.

5. Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)

Il Piano di Ristrutturazione Omologato (PRO) è uno strumento innovativo introdotto dal Codice della crisi per recepire la Direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva. Si tratta, in sintesi, di un “concordato light” in cui non c’è una procedura concorsuale vera e propria con commissari e adunanza, ma il piano negoziato dal debitore viene sottoposto direttamente all’omologazione giudiziale se approvato dai creditori.

Caratteristiche chiave: a differenza dell’accordo di ristrutturazione, nel PRO tutti i creditori sono coinvolti fin dall’inizio (non c’è la distinzione tra aderenti ed estranei). Il debitore elabora un piano suddividendo i creditori in classi omogenee di trattamento e propone per ciascuna classe come verranno soddisfatti i crediti. Non è obbligatorio rispettare le cause legali di prelazione tra classi: ad esempio, si potrebbe proporre a una classe di creditori privilegiati di rinunciare a una parte del loro credito privilegiato, cosa non ammessa nel concordato preventivo ordinario salvo consenso. Questa flessibilità di contenuti è il vantaggio del PRO: si possono prevedere soluzioni molto creative (conversioni di debito in strumenti partecipativi, trattamenti differenziati) anche in deroga al principio della parità di trattamento, purché i creditori interessati siano d’accordo.

Come si formano le maggioranze? È necessario il voto favorevole di ciascuna classe di creditori: in ogni classe deve aderire >50% del credito di quella classe. Non occorre l’adesione del 100% dei creditori in assoluto, ma serve l’unanimità per classi (il che lo distingue dal concordato, dove basta la maggioranza in percentuale sul totale per ciascuna classe e alcune classi possono restare dissenzienti ed essere forzate col cram-down). In pratica, nessuna classe può essere “crammata” contro la sua volontà nel PRO: se anche una sola classe vota no, il PRO non può essere omologato. Questa è la rigidità principale del meccanismo, compensata dalla maggiore libertà nel contenuto del piano.

Procedura: il debitore deposita in tribunale la domanda di omologazione del PRO, corredata dal piano, dalla relazione dell’attestatore e dalle dichiarazioni di voto delle varie classi (o convoca l’assemblea delle classi per il voto sotto controllo del giudice). Similmente al concordato, può essere presentata una “domanda in bianco” di PRO con riserva, per ottenere misure protettive immediate e poi depositare il piano entro un breve termine. Il tribunale, se ritiene il piano ammissibile, apre la procedura di omologazione e può nominare un ausiliario o esperto per facilitare le votazioni. Una volta raccolte le votazioni e constatato che tutte le classi necessarie hanno approvato, si passa all’udienza di omologazione davanti al tribunale. Qui eventuali creditori dissenzienti (singoli creditori dentro classi approvate, o creditori non votanti) possono opporsi lamentando ad esempio la violazione del best interest test. Il tribunale verifica la regolarità del processo di voto e la convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria per eventuali creditori che si fossero opposti, poi emette il decreto di omologazione che rende il piano efficace verso tutti.

Protezione e gestione durante il PRO: analogamente al concordato, dal momento del deposito della domanda (anche in bianco) il debitore può ottenere uno stay delle azioni esecutive. Non è prevista la nomina di un commissario giudiziale: il debitore rimane in possesso durante tutto il processo, fino all’omologazione. Di fatto, l’azienda continua la sua attività normalmente durante le trattative, salvo dover fornire informazioni e sottostare eventualmente a provvedimenti del tribunale a tutela dei creditori (es. divieto di operazioni straordinarie non autorizzate).

Quando è utile il PRO? Tipicamente quando c’è la possibilità di ottenere il consenso di tutte le categorie di creditori mediante trattative intensive pre-omologa, sfruttando la flessibilità del piano per accontentare ciascuna classe in modo concordato. Ad esempio, il caso del Tribunale di Vicenza (25 febbraio 2023) è emblematico: un’impresa immobiliare minacciata da un’istanza di fallimento bancaria ha presentato un PRO prevedendo di pagare integralmente la banca ipotecaria (creando una classe a parte solo per essa) e offrendo un pagamento parziale ai chirografari che però hanno aderito perché la vendita dell’immobile unico dava il massimo ricavabile. Tutte le classi hanno approvato, quindi il PRO è stato omologato rapidamente dal tribunale, evitando il fallimento. Questo esempio mostra come il PRO possa essere usato anche in extremis per bloccare un fallimento imminente, a patto di avere una proposta che offra ai creditori almeno quanto otterrebbero in caso di liquidazione (in altre parole, rispettando il best interest test per ogni classe).

Un altro caso interessante è del Tribunale di Udine (9 marzo 2023): un’azienda con due istanze di fallimento pendenti (una dall’Agenzia delle Entrate) ha depositato un PRO “con riserva” ottenendo subito la protezione e poi presentando un piano che prevedeva uno stralcio dei debiti fiscali con trattamento migliorativo rispetto al fallimento. L’Erario ha votato contro, ma essendo inserito in una classe con altri crediti chirografari che hanno approvato, l’intera classe è risultata favorevole e il tribunale ha omologato comunque, ritenendo soddisfatto il Fisco in misura non inferiore alla liquidazione. Si è così realizzato una sorta di “cram-down fiscale” interno al PRO: pur mancando un meccanismo di cram-down interclassi formale, di fatto il dissenso del Fisco isolatamente non ha impedito l’omologa perché la classe cui apparteneva ha approvato. Questo precedente dimostra che il PRO può gestire anche creditori pubblici ostici, superando l’empasse tipica delle trattative con il Fisco (che spesso sono lente): se il piano offre al creditore pubblico almeno quanto il fallimento, il tribunale potrà procedere nonostante il suo voto contrario.

Differenze con il concordato preventivo: riassumendo, il PRO offre più libertà di pianificazione (nessun quorum di crediti privilegiati da soddisfare per legge, possibilità di alterare gradi e cause di prelazione con accordo, niente percentuale minima ai chirografari), ma richiede più consenso (unanimità delle classi, zero cram-down tra classi). Il concordato preventivo invece ha regole rigide di distribuzione (ad es. privilegiati da soddisfare per almeno il valore di liquidazione, chirografari almeno 20% salvo esenzioni) e un controllo giudiziario più incisivo (commissario, adunanza, ecc.), però consente di procedere anche con qualche creditore scontento, grazie al meccanismo per cui se la maggioranza approva, i dissenzienti sono comunque obbligati, salvo verificarne la convenienza economica. In altre parole, concordato = maggior flessibilità nelle maggioranze, PRO = maggior flessibilità nel contenuto del piano. Non a caso, la prassi indica che il PRO è preferibile in situazioni con pochi gruppi di creditori ben definiti (es. solo banche e pochi fornitori, tutti co-interessati a evitare il fallimento) dove si può ottenere l’accordo di tutti; il concordato è preferibile quando c’è eterogeneità di interessi e si prevede che qualche classe possa opporsi – lì serve il voto a maggioranza e la possibilità di cram-down che solo il concordato offre.

Dal punto di vista del debitore assistito dall’avvocato, la scelta tra PRO e concordato è delicata: l’avvocato dovrà stimare la “coalizione” possibile dei creditori. Se sa di poter portare in aula un piano con consenso universale per classi, il PRO offre tempi più rapidi (si evita la fase di ammissione e gestione commissariale, si va quasi subito all’omologa). Inoltre, l’assenza di commissario significa meno intrusioni. Se invece alcuni creditori strategici sono ostili e c’è rischio che una classe dica no, meglio optare per un concordato in cui il giudice potrà comunque forzare la mano con l’omologa nonostante il dissenso (purché il piano rispetti il best interest test).

È importante ricordare infine che, una volta omologato, il PRO è vincolante e il debitore dovrà eseguirlo fedelmente. Se non adempie, non c’è una seconda chance: i creditori insoddisfatti potranno immediatamente chiedere la liquidazione giudiziale senza bisogno di risoluzioni formali (il CCII lo prevede espressamente all’art. 64-quater). Dunque la serietà dell’impegno richiesto al debitore è massima.

6. Concordato preventivo (ordinario) e sue varianti

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale più nota per evitare il fallimento attraverso un accordo con i creditori sotto supervisione del Tribunale. Pur essendo disciplinato ora dagli artt. 84-120 CCII, mantiene l’impianto concettuale consolidato: il debitore propone un piano e una percentuale di soddisfazione ai creditori, i creditori votano, e se la maggioranza approva e il giudice attesta la legittimità e convenienza della proposta, questa viene omologata e diventa vincolante erga omnes.

Tipologie di concordato: si distingue principalmente tra:

  • Concordato in continuità aziendale (art. 84 CCII): quando il piano prevede la prosecuzione dell’attività dell’impresa (in proprio o tramite cessione o affitto a terzi). L’obiettivo è il risanamento e la salvaguardia dei valori aziendali come avviamento e posti di lavoro. Il piano deve includere un programma industriale e finanziario su come si intende rilanciare l’azienda e pagare i creditori col flusso di cassa generato dalla continuità o con altri apporti. La legge impone alcuni vincoli: se la continuità è diretta (l’impresa resta in mano al debitore), i creditori chirografari possono essere pagati anche meno del 20% purché l’esperto attestatore dichiari che, in caso di liquidazione, il realizzo dei beni d’impresa sarebbe inferiore a quella percentuale. La ratio è favorire soluzioni di continuità anche se offrono percentuali basse, in quanto comunque più vantaggiose della liquidazione. Nel concordato in continuità indiretta (es. affitto d’azienda a un terzo che poi la compra), i paletti sui pagamenti possono essere leggermente diversi.
  • Concordato liquidatorio: quando il piano prevede solo la liquidazione dei beni del debitore (vendita patrimonio, incasso crediti) e la distribuzione delle somme ai creditori, senza prosecuzione dell’attività. È di fatto un’alternativa pilotata al fallimento: l’impresa viene chiusa, ma è il debitore a proporre come liquidare e in quale misura pagare i creditori. Nella versione ordinaria, la legge ora ammette il concordato liquidatorio solo in presenza di un apporto esterno che incrementi in modo apprezzabile l’attivo (es. un nuovo finanziatore che immette risorse a beneficio dei creditori) oppure se la soddisfazione offerta ai chirografari è almeno del 20%. Queste condizioni sono poste per evitare concordati meramente dilatori o troppo penalizzanti per i creditori rispetto al fallimento.
  • Concordato misto o con continuità parziale: molte realtà propongono formule ibride, dove si vendono alcuni asset ma si mantiene in vita il core business, oppure l’azienda prosegue in esercizio provvisorio per massimizzare il valore di vendita. Il CCII comunque richiede di qualificare il concordato come in continuità se qualunque parte significativa dell’attività resta operativa (ciò importa anche la nomina di un commissario giudiziale fin dall’ammissione, obbligatoria nei concordati in continuità).

Procedura in sintesi: il debitore presenta ricorso al tribunale con la proposta di concordato, il piano e la documentazione (bilanci ultimi 3 anni, elenco creditori, relazione attestatore ecc.). Se la proposta è completa e non manifestamente inammissibile, il tribunale ammette il debitore al concordato e nomina un commissario giudiziale. Da quel momento: (a) il debitore mantiene l’amministrazione dei beni ma sotto la vigilanza del commissario e con atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione; (b) i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali (automatic stay); (c) vengono informati tutti i creditori e fissata l’udienza di discussione. I creditori votano la proposta concordataria, di solito per classi se il piano ne prevede la suddivisione (nel CCII la formazione di classi è obbligatoria se ci sono creditori con cause di prelazione o con interessi differenti). Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto in ogni classe, oppure – se le classi sono molte – almeno la maggioranza dei crediti totali e che non sia bocciata più della metà delle classi (ci sono regole dettagliate, ma semplificando: serve il voto favorevole di >50% dei crediti complessivi e di almeno la metà +1 delle classi se costituite). Se ci sono classi dissenzienti, il tribunale può comunque omologare il concordato applicando il cram-down interclassi (art.112 CCII), a condizione che: i creditori dissenzienti non ricevano meno di quanto avrebbero in liquidazione; il piano non li tratti in maniera deteriore rispetto ad altre classi di pari grado; e almeno una classe di grado inferiore o pari a loro abbia votato sì. In tal modo, il giudice può superare l’opposizione di intere classi, garantendo comunque il rispetto del best interest test.

Se il tribunale omologa il concordato, il piano diventa vincolante e l’impresa ne esegue i termini sotto la vigilanza (eventuale) del commissario o del liquidatore nominato per la fase attuativa. Se invece i creditori bocciassero la proposta o il tribunale negasse l’omologa (perché ad esempio ritiene la proposta non conveniente o fatta in frode), viene dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale) del debitore.

Tutela del debitore durante il concordato: oltre al già citato automatic stay che blocca i pignoramenti, il debitore può chiedere alcune agevolazioni come la sospensione o lo scioglimento di contratti in corso (con autorizzazione del giudice, art. 97 CCII) se necessario per il piano; l’accesso a finanziamenti prededucibili (nuova finanza garantita che verrà rimborsata prima degli altri debiti se la procedura fallisce, art. 99 CCII); e soprattutto può includere nel piano una transazione fiscale per tagliare debiti tributari e contributivi. Su questo punto, va evidenziato che dal 2021 la legge consente di stralciare anche l’IVA e le ritenute in concordato (cosa prima vietata) e ha introdotto un meccanismo per cui se il Fisco rifiuta una proposta di trattamento dei suoi crediti che però offre almeno il 20% ed è più conveniente del fallimento, il tribunale può omologare lo stesso nonostante il diniego del Fisco (il cosiddetto cram-down fiscale). Dunque oggi anche i debiti verso l’Erario possono essere ridotti, purché la proposta sia seria e non inferiore a quanto l’Erario incasserebbe in caso di liquidazione forzata.

Concordato preventivo “semplificato”: merita qualche parola a sé questa figura introdotta come misura emergenziale nel 2021 e ora prevista dall’art. 25-sexies CCII. Ne abbiamo già accennato: se una composizione negoziata si conclude senza accordo, l’imprenditore entro 60 giorni può proporre un concordato liquidatorio in cui non c’è voto dei creditori. Il tribunale convoca comunque i creditori per eventuali opposizioni e valuta se la proposta è “non inferiore al ricavabile in caso di liquidazione giudiziale”. Se ritiene di sì, omologa e nomina un liquidatore che procede a liquidare i beni secondo il piano. I creditori insoddisfatti possono solo opporsi sostenendo che avrebbero ottenuto di più col fallimento; ad esempio, nel caso Tribunale di Como, 10 maggio 2024, un creditore contestava la convenienza di un concordato semplificato ma il giudice ha verificato che la percentuale offerta era pari o superiore a quella stimata in caso di fallimento (tenuto conto anche dei minori costi e tempi del semplificato), rigettando l’opposizione. Inoltre, il tribunale può imporre condizioni (versamento di una cauzione, nomina di un ausiliario) per tutelare i creditori prima di omologare. In pratica il concordato semplificato salta la fase del voto ma richiede un controllo giudiziale rigoroso della convenienza per i creditori, fungendo da “surrogato” del loro voto. Si noti che l’abuso di questo strumento viene sanzionato severamente: come visto, se il debitore ci arriva con malafede (trattative simulate), i tribunali possono revocare l’ammissione e dichiarare direttamente il fallimento. Dunque non è un diritto automatico, ma un beneficio per il debitore meritevole che ha tentato davvero la via negoziale.

Conclusioni sul concordato: il concordato preventivo rimane una procedura cardine. Consente soluzioni variegate, dal salvataggio dell’azienda tramite ristrutturazione in continuità, alla cessione dell’azienda a terzi depurata dai debiti, fino alla liquidazione concordata con uno sconto ai debitori rispetto al fallimento. Il ruolo dell’avvocato fallimentare è centrale: preparare un piano di concordato richiede competenze tecniche (va redatta una proposta conforme a legge, con classi corrette, percentuali adeguate, eventuale transazione fiscale, e corredata da una relazione di un attestatore indipendente). L’avvocato assiste il debitore nel rispondere alle eventuali osservazioni del commissario giudiziale, nel convincere i creditori della bontà del piano (spesso tramite informazioni e incontri prima del voto) e nel gestire eventuali opposizioni in sede di omologa. In sede di esecuzione del concordato, l’avvocato può continuare a seguire l’impresa per assicurare che gli impegni vengano rispettati. Si comprende dunque perché un esperto in diritto fallimentare sia indispensabile: un concordato mal impostato può essere bocciato, mentre uno ben congegnato e negoziato ha buone probabilità di successo e permette al debitore di risollevarsi dalla crisi lasciandosi alle spalle una parte dei debiti.

E se il concordato fallisce? Purtroppo può accadere che, nonostante l’omologazione, il debitore non riesca ad adempiere integralmente il piano (ad esempio perché i risultati economici sperati non si concretizzano). In tal caso i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato: basta un inadempimento di “non scarsa importanza” (di regola, un mancato pagamento significativo) perché il tribunale, su istanza, dichiari risolto il concordato. La risoluzione comporta tipicamente l’apertura contestuale della liquidazione giudiziale (fallimento) del debitore, salvo il caso in cui il debitore nel frattempo presenti un nuovo concordato e ottenga di evitarla. In pratica: se il debitore non rispetta il piano concordatario, la protezione viene meno e i creditori tornano liberi di agire (riprendono vigore i crediti originari al netto di quanto eventualmente già incassato in concordato). Nel concordato preventivo ordinario questo richiede la pronuncia formale di risoluzione; nel concordato minore (che vedremo tra poco) vale lo stesso principio: risoluzione e apertura della liquidazione controllata ex art. 80 CCII. Dunque, l’esecuzione del piano è un momento delicato: l’imprenditore deve impegnarsi a rispettare gli accordi oppure cercare tempestivamente correttivi (come una modifica del piano o un concordato sostitutivo) prima che i creditori invochino la risoluzione.

7. Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale rappresenta la procedura concorsuale liquidatoria prevista per le imprese insolventi quando non vi sono soluzioni alternative di risanamento. In pratica è il “vecchio fallimento” rivisto nella terminologia e in alcuni meccanismi, ma con la stessa sostanza: liquidare il patrimonio del debitore e ripartire il ricavato fra i creditori secondo le regole di legge.

Soggetti assoggettabili: sono soggette a liquidazione giudiziale le imprese commerciali (società o ditte individuali) che si trovano in stato di insolvenza, salvo che rientrino nella categoria delle piccole imprese sotto-soglia. Infatti, sono escluse dalla liquidazione giudiziale ordinaria (art. 2, co.1, lett. d CCII):

  • le imprese che negli ultimi 3 esercizi non hanno superato congiuntamente tre parametri dimensionali: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi lordi annui ≤ €200.000, debiti totali ≤ €500.000. Se un’impresa rispetta tutti questi criteri, è considerata “impresa minore” e non può essere dichiarata fallita.
  • gli imprenditori agricoli (per tradizione, il fallimento riguarda solo chi esercita attività commerciale, non chi esercita attività agricola, salvo eccezioni per grandi società agricole).
  • alcuni soggetti esclusi da leggi speciali, ad esempio le “startup innovative” godono di un’esenzione temporanea dal fallimento nei primi anni.

Il peso di provare di essere sotto le soglie (quindi di non essere fallibile) grava sul debitore: se vuole eccepire la propria non fallibilità deve documentare il rispetto di tutti e tre i requisiti dimensionali, come stabilito anche dalla giurisprudenza (Cass. Sez. Unite n.9935/2015). In difetto di prova, si presume l’assoggettabilità alla procedura. Per queste imprese minori e per i soggetti non fallibili esistono le procedure di sovraindebitamento (v. infra).

Presupposto oggettivo: lo stato di insolvenza, cioè l’impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Può manifestarsi come cessazione dei pagamenti, pignoramenti infruttuosi, fuga o comportamento evasivo del debitore, ecc.

Iniziativa: la liquidazione giudiziale può essere chiesta dal debitore stesso (istanzia di autofallimento), da uno o più creditori, oppure dal Pubblico Ministero (in casi di rilevanza pubblica, insolvenze manifeste). In casi eccezionali, come abbiamo visto, può essere chiesta per i sovraindebitati anche dall’OCC o dai creditori (art. 268), sebbene allora si configuri come liquidazione controllata.

Dichiarazione di liquidazione: la pronuncia è del Tribunale competente (sezione fallimentare). Ricevuta l’istanza, il tribunale convoca il debitore e eventualmente i creditori istanti per un’udienza. Se accerta l’insolvenza e la sussistenza dei requisiti soggettivi, emette la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Da quel momento:

  • Il debitore (se persona fisica) o gli amministratori (se società) perdono la gestione ed il possesso dei beni dell’impresa: si attua lo spossessamento in favore del curatore nominato dal tribunale. Il curatore è un professionista (spesso un commercialista o avvocato specializzato) che amministra la massa fallimentare nell’interesse di tutti i creditori.
  • Si sospendono tutte le azioni esecutive individuali: i creditori devono presentare le proprie domande di ammissione al passivo nel fallimento, e non possono più agire ciascuno per conto proprio (si cristallizza il principio del par condicio).
  • Se l’azienda aveva attività in corso, il tribunale può autorizzare temporaneamente l’esercizio provvisorio (art. 211 CCII) per evitare dispersione di valore. Ad esempio, se c’è la prospettiva di vendere l’azienda come business funzionante, il curatore può continuare a far operare l’impresa per qualche mese, con l’autorizzazione del giudice e del comitato dei creditori.
  • I creditori vengono invitati a insinuare i propri crediti nello stato passivo entro una certa data.

Fasi della procedura: semplificando, dopo l’apertura si svolgono: (a) la verifica del passivo, in cui il giudice delegato e il curatore esaminano le domande dei creditori e formano l’elenco dei crediti ammessi (con eventuali cause di prelazione riconosciute); (b) la liquidazione dell’attivo, cioè la vendita dei beni del fallito (immobili, macchinari, merci, crediti, ecc.) a mezzo di procedure competitive (aste) sotto il controllo del tribunale; (c) la distribuzione del ricavato ai creditori secondo il piano di riparto, rispettando prelazioni (privilegi, ipoteche) e poi dividendo l’eventuale resto tra i chirografari proporzionalmente; (d) la chiusura della procedura, quando l’attivo è esaurito o i creditori sono stati soddisfatti fino dove possibile.

I tempi di una liquidazione giudiziale variano molto: possono essere di 2-3 anni per imprese piccole con pochi beni, ma anche oltre 5-6 anni per casi complessi con tanti asset e contenziosi. Il CCII mira a rendere più efficiente la procedura, ad esempio incentivando l’utilizzo di aste telematiche e la definizione rapida dei crediti contestati.

Effetti sul debitore: per tutta la durata della procedura, l’imprenditore dichiarato in liquidazione subisce una serie di incapacità personali: se è persona fisica non può svolgere attività di impresa come titolare di una nuova ditta, né amministrare società (fino alla chiusura del fallimento). Non può nemmeno stare in giudizio autonomamente o effettuare atti di straordinaria amministrazione sul proprio patrimonio residuo senza autorizzazione. Le società fallite, invece, vanno incontro allo scioglimento e, a fine procedura, all’estinzione. Tuttavia, con la riforma, l’accento è stato posto sul “fresh start”: l’idea che il fallito meritevole, una volta chiusa la procedura, possa ripartire pulito dai debiti residui e riabilitarsi. Infatti, oggi è previsto che alla chiusura della liquidazione giudiziale, la persona fisica ottenga di diritto l’esdebitazione (la liberazione dai debiti non soddisfatti) se ha collaborato lealmente ed è stata accertata la sua meritevolezza. Questo meccanismo, introdotto col DL 137/2020 e confermato dalla Corte Costituzionale nel 2022, fa sì che il fallito onesto non debba più richiedere una “riabilitazione” separata: la legge prevede l’esdebitazione automatica (sempre però subordinata a un decreto del tribunale che verifica l’assenza di frodi o gravi inadempimenti, quindi “di diritto” nel senso che è normalmente concessa, ma con un controllo giudiziale). Ciò incoraggia il debitore a collaborare, sapendo che potrà tornare a svolgere attività economica in tempi relativamente brevi senza il peso dei vecchi debiti. Durante la procedura, comunque, non è possibile iniziare subito una nuova attività imprenditoriale in proprio (resta l’incapacità, salvo che il giudice autorizzi per casi particolari). Dopo la chiusura, invece, l’ex fallito riacquista la piena capacità e – se esdebitato – non è più perseguitabile per i debiti pregressi.

Il ruolo dell’avvocato per il debitore: paradossalmente, quando si arriva alla liquidazione giudiziale il ruolo propositivo del debitore finisce, poiché la gestione passa al curatore. Tuttavia, l’avvocato può ancora fare molto per tutelare la persona del fallito: ad esempio, assistendolo nelle audizioni col curatore e il giudice delegato, vigilando che il passivo venga accertato correttamente (il debitore può segnalare eventuali contestazioni su crediti tardivi o insussistenti), e soprattutto richiedendo l’esdebitazione finale. Inoltre, se il fallimento nasce su istanza di creditori, l’avvocato può in fase iniziale difendere il debitore cercando di evitare la dichiarazione di insolvenza (ad esempio contestando l’ammontare del credito dell’istante, o proponendo un accordo last-minute con il creditore per far desistere dall’istanza). Oppure, può proporre reclamo contro la sentenza entro 30 giorni se ritiene che non vi fossero i presupposti. Durante la procedura, l’avvocato può assistere il debitore in eventuali azioni revocatorie o azioni di responsabilità: spesso, infatti, il curatore può citare in giudizio l’ex amministratore per atti di mala gestio, o esperire revocatoria fallimentare su pagamenti antecedenti. Il legale dovrà difendere il debitore in queste cause.

Chiusura e “fresh start”: se tutto si svolge regolarmente, al termine la procedura viene chiusa. La chiusura avviene per esaurimento dell’attivo o perché si realizza un concordato fallimentare (accordo con i creditori durante la procedura) o per insufficienza di attivo. Dopo la chiusura, come detto, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (che ormai di regola viene concessa, salvo che il debitore abbia commesso irregolarità gravi). Una particolare novità del CCII è l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283): se una persona fisica sovraindebitata non possiede alcun patrimonio liquidabile e non può offrire nulla ai creditori nemmeno in prospettiva, può chiedere ugualmente di essere liberato dai debiti, senza passare da una procedura di liquidazione – è la cosiddetta “esdebitazione a zero” concessa una volta sola nella vita al debitore meritevole che davvero non ha nulla da dare. Questo istituto straordinario, peraltro, non è concorsuale in senso stretto (non c’è una procedura di distribuzione, perché non c’è attivo), ma è un segnale ulteriore dello spirito “fresh start” del legislatore: evitare che chi è sommerso dai debiti resti per sempre fuori dall’economia produttiva.

In conclusione, la liquidazione giudiziale è il capitolo finale e più doloroso per il debitore, ma è concepita come un percorso ordinato e non punitivo per chiudere le situazioni irreversibili. L’avvocato fallimentare assiste il debitore anche qui, per minimizzare le conseguenze personali (ad esempio ottenendo le esclusioni dei debiti non esdebitabili, come sanzioni penali o alimenti, o difendendolo da eventuali accuse di bancarotta) e per preparare la strada alla riabilitazione post-fallimento. Spesso si dice che l’obiettivo moderno del fallimento è duplice: massimizzare la soddisfazione dei creditori e dare al debitore onesto una seconda opportunità. Un bravo legale lavorerà per bilanciare questi interessi.

8. Liquidazione controllata del sovraindebitato (per debitori non fallibili)

Per i piccoli debitori non soggetti a fallimento, il Codice della crisi prevede la liquidazione controllata, che ricalca la liquidazione giudiziale ma in un ambito diverso. È l’erede della “liquidazione del patrimonio” prevista dalla L.3/2012.

Chi vi accede: le persone fisiche sovraindebitate (consumatori, professionisti, imprenditori minori sotto soglia, start-up innovative, imprenditori agricoli) e anche le imprese minori non assoggettabili a fallimento. Può accedervi sia il debitore volontariamente, sia – come già ricordato – in alcuni casi può essere aperta su iniziativa dei creditori o dell’OCC se il debitore è inerte e la sua situazione lo richiede. Questa possibilità di apertura d’ufficio per inerzia è una novità del CCII, mentre prima solo il debitore poteva attivare le procedure di sovraindebitamento.

Procedura: il debitore (o il creditore/OCC) presenta ricorso al tribunale per l’apertura della liquidazione controllata. Il tribunale verifica la situazione di sovraindebitamento (incapacità di pagare i debiti) e nomina un liquidatore (figura analoga al curatore). Da lì, la procedura segue binari simili al fallimento: il liquidatore inventaria i beni, i creditori presentano domanda di ammissione, si formano gli stati passivi e si liquidano i beni con distribuzione del ricavato. Non c’è formalmente una sentenza di fallimento, ma un decreto di apertura della liquidazione controllata. Gli effetti per il debitore: anche qui scatta lo spossessamento dei beni (il liquidatore li amministra) e il divieto di azioni esecutive individuali. Però il debitore conserva la capacità di agire (non essendo “dichiarato fallito”, non subisce le stesse incapacità personali), pur dovendo collaborare con il liquidatore.

Differenze dal fallimento: la liquidazione controllata è concepita come più “leggera”. Ad esempio, non c’è la figura del Pubblico Ministero (che nel fallimento può intervenire); le norme penali del fallimento (bancarotta) si applicano solo a chi era imprenditore (il consumatore sovraindebitato non commette bancarotta, anche se può aver commesso reati comuni ovviamente); il procedimento è generalmente semplificato e concentrato. Inoltre, se il debitore è una persona fisica, dalla liquidazione controllata può emergere liberato dai debiti tramite esdebitazione, come nel fallimento. Se invece è una società sotto-soglia, la società si estingue una volta liquidata.

Concordato minore vs liquidazione controllata: al debitore sovraindebitato viene data la scelta – se è in grado di offrire qualcosa – di percorrere il concordato minore (vedi sezione seguente) per evitare la liquidazione. Se però il debito è tale che non c’è soluzione di continuità possibile, o se il debitore stesso preferisce “liberarsi” liquidando tutto, allora la liquidazione controllata è lo strumento. Va detto che dal 2023 i creditori possono forzare la mano: se un imprenditore sotto-soglia non presenta alcun piano né concordato minore, i creditori possono chiedere la sua liquidazione controllata d’ufficio, come misura per evitare che resti inerte con proliferare di debiti. Questo meccanismo è stato pensato per evitare che piccoli debitori opportunisticamente non facciano nulla, confidando di non poter essere dichiarati falliti.

Esempio pratico: un professionista (avvocato, medico) o un consumatore che abbia debiti per centinaia di migliaia di euro e nessuna capacità di rientro potrebbe optare per la liquidazione controllata. Mette a disposizione dei creditori tutto il suo patrimonio (casa, beni mobili, risparmi), che verrà liquidato dal liquidatore. Dura qualche anno la procedura, alla fine i creditori ricevono una percentuale minima e la persona può chiedere l’esdebitazione per cancellare il residuo. Questo può essere preferibile quando non c’è modo di pagare in futuro nemmeno parzialmente (perché ad esempio il reddito è appena sufficiente a vivere): si sacrifica subito il patrimonio disponibile, ma poi si riparte da zero.

Esdebitazione e incapienti: come già anticipato, il CCII ha potenziato il diritto all’esdebitazione: tutti i debitori persone fisiche, conclusa la liquidazione (giudiziale o controllata), possono ottenerla salvo casi di frode o malafede (artt. 278-279 CCII). Inoltre l’art. 283 introduce l’esdebitazione “a costo zero” per l’incapiente: se Tizio è nullatenente e non ha prospettive di poter offrire utilità ai creditori, può chiedere al tribunale di essere esdebitato subito senza nemmeno aprire una procedura di liquidazione (una sorta di clemenza per disperati, concedibile una sola volta e solo se Tizio è meritevole, cioè non ha colpe gravi nel suo indebitamento né ha beneficiato di altre esdebitazioni nei 5 anni precedenti). Questa norma, in vigore dal 2022, ha già trovato prime applicazioni nei Tribunali, ad esempio Tribunale di Pisa 2022, Tribunale di Cassino 2025.

Ruolo dell’avvocato nel sovraindebitamento: per i debitori civili o piccoli imprenditori, l’avvocato fallimentare coordina spesso con l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC). L’OCC (di solito presso gli Ordini dei commercialisti o avvocati) mette a disposizione un “gestore della crisi” che sovrintende la procedura. Nel concordato minore o nel piano del consumatore, il gestore aiuta a predisporre il piano e raccoglie le votazioni. Nella liquidazione controllata, il gestore può essere nominato liquidatore stesso. L’avvocato assiste il debitore predisponendo l’istanza, assicurando che tutti i documenti (elenco beni, elenco creditori, stato di famiglia se rilevante) siano in regola, e lo rappresenta in udienza. Se la procedura è avviata dai creditori, difende il debitore cercando di dimostrare magari che c’è spazio per un concordato (per evitare la liquidazione imposta).

Come per il fallimento, anche qui l’avvocato tutela il diritto all’esdebitazione finale: ad esempio raccoglie le prove della meritevolezza del debitore (assenza di frode, di colpa grave, ecc.) per presentare l’istanza di esdebitazione.

In definitiva, la liquidazione controllata è uno strumento di chiusura dignitosa per chi è schiacciato dai debiti ma non rientra nelle procedure ordinarie. Permette di mettere un punto fermo e, dopo il “reset”, consente al debitore di tornare economicamente attivo senza l’ombra dei vecchi debiti. Per un piccolo imprenditore, la prospettiva di poter ripartire (magari aprendo una nuova attività) dopo la liquidazione e l’esdebitazione è fondamentale – ed è compito del legale spiegare questa opportunità e guidarlo attraverso il processo, che certamente non è indolore (si perdono i beni) ma rappresenta un nuovo inizio libero dai debiti pregressi.

9. Concordato minore (per debitori sovraindebitati non fallibili)

Il concordato minore è la procedura “concorsuale” negoziale riservata ai debitori che non possono accedere al concordato preventivo ordinario. È stato introdotto dal CCII (artt. 74-83) in sostituzione dei precedenti “accordi di composizione” della L.3/2012. In sostanza, consente al debitore sovraindebitato (persona fisica o impresa minore) di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti simile a un concordato, con la differenza che qui non c’è la fase di ammissione da parte del tribunale come per il concordato preventivo, ma c’è comunque il voto dei creditori e l’omologazione.

Accesso: può proporre concordato minore il debitore sovraindebitato che ha una prospettiva di soddisfare almeno parzialmente i creditori con risorse future o con una ristrutturazione, evitando la liquidazione integrale. Non è richiesto uno stato di insolvenza completa; basta uno stato di crisi (incapacità di soddisfare integralmente i debiti). Non esistono soglie minime di pagamento come il 20% (quelle valgono solo per concordato preventivo liquidatorio delle imprese maggiori), ma il piano deve comunque offrire ai creditori una convenienza rispetto alla liquidazione. Un limite importante: se il debitore sovraindebitato è un consumatore, può accedere a un piano del consumatore (ora chiamato piano di ristrutturazione del consumatore) che non richiede il voto dei creditori; tuttavia, nulla vieta al consumatore stesso di preferire un concordato minore con voto (ad esempio se vuole coinvolgere attivamente i creditori nell’accordo). In pratica, per i privati, si preferisce spesso il piano del consumatore quando il debitore vuole ottenere l’omologazione giudiziale senza contrattare con creditori; il concordato minore invece si utilizza soprattutto per piccoli imprenditori o professionisti.

Procedura: il debitore, tramite OCC e avvocato, deposita una proposta di concordato minore al tribunale, allegando il piano e la relazione dell’organismo attestante la fattibilità e l’assenza di atti in frode ai creditori. Il tribunale, verificati i documenti, dispone che l’OCC comunichi la proposta ai creditori per la votazione (che può avvenire anche per silenzio-assenso). I creditori votano senza adunanza: hanno 30 giorni per esprimere il loro voto scritto all’OCC. Serve una maggioranza di oltre il 50% dei crediti ammessi al voto per approvare. I creditori che non rispondono entro il termine si intendono consenzienti (silenzio-assenso), altro aspetto che facilita l’approvazione – questo è un incentivo forte, perché a differenza del concordato preventivo ordinario dove chi non vota è semplicemente neutro, qui chi non si attiva viene contato a favore. Se la maggioranza si forma, il tribunale fissa udienza e può omologare il piano, dichiarando vincolanti per tutti i creditori le condizioni ivi previste. Se la maggioranza non viene raggiunta, il giudice può comunque omologare ugualmente (cram-down) se ritiene che: il piano sia nell’interesse dei creditori e questi avrebbero un soddisfacimento non migliore in caso di liquidazione; e se il mancato raggiungimento della maggioranza è dovuto a un voto irragionevole di qualche creditore (ad esempio, un creditore che vota contro pur ricevendo l’importo pieno in piano) – questa è una valutazione discrezionale del giudice.

Meritevolezza: a differenza del vecchio “piano del consumatore” che richiedeva al giudice di valutare la meritevolezza o meno del debitore (e se questi aveva colpe gravi poteva negare l’accesso), il CCII non richiede un giudizio di meritevolezza per l’ammissione al concordato minore. Lo ha chiarito ad esempio il Tribunale di Rimini (decr. 28/10/2022) notando che il legislatore ha volutamente eliminato questo filtro: anche un debitore “colpevole” di essersi indebitato può proporre concordato minore. Saranno i creditori, con il loro voto, a valutare se fidarsi o meno. L’unico vaglio del giudice è su eventuali atti in frode (ad esempio se il debitore ha sottratto beni prima di proporre il piano) e sulla fattibilità economica. Questo amplia la platea rispetto al passato: tutti i sovraindebitati, anche se hanno compiuto imprudenze finanziarie, possono tentare un concordato minore. La “meritevolezza” comunque rientrerà in gioco al termine per la esdebitazione: se dopo l’esecuzione del piano residuano debiti (perché magari i creditori hanno accettato un pagamento parziale), il debitore potrà chiedere l’esdebitazione del residuo, che verrà concessa solo se il debitore non ha tenuto comportamenti fraudolenti o gravemente colposi (art. 282 CCII). In pratica si sposta a posteriori il giudizio etico, ma non si preclude a priori l’accesso.

Contenuto del piano: può prevedere sia la continuità (es. un professionista che si impegna a destinare ai creditori una parte dei suoi redditi futuri per alcuni anni) sia la liquidazione parziale di beni. Spesso, trattandosi di persone fisiche, il piano offre la liquidazione di alcuni asset (ad es. la vendita di un immobile non essenziale) e il pagamento del resto dei debiti con i redditi futuri del debitore in un certo periodo, magari con abbattimento di una quota di debito. I creditori privilegiati devono ricevere almeno quanto avrebbero dalla liquidazione di quei beni su cui hanno privilegio, oppure possono acconsentire a riduzioni. I crediti fiscali e contributivi possono essere oggetto di stralcio tramite transazione fiscale anche qui, con le stesse regole già viste (il silenzio dell’ente viene considerato voto negativo, ma il giudice può omologare se reputa la proposta conveniente per l’Erario e l’INPS).

Se il piano riesce: dopo l’omologa, il debitore esegue quanto promesso (con la supervisione di un OCC/commissario nominato fino a chiusura). Una volta adempiuto, ottiene la liberazione dei debiti residui di diritto (perché i creditori hanno già accettato riduzioni nel piano omologato). Se invece il piano fallisce perché il debitore non paga le rate o non liquida i beni come promesso, i creditori possono chiedere la risoluzione (art. 80 CCII) e si apre la liquidazione controllata come visto.

Concordato minore vs piano del consumatore: Il piano del consumatore (ora “piano di ristrutturazione del consumatore”) è l’altra procedura minore e rimane come opzione per il debitore persona fisica che non ha debiti da attività d’impresa. La differenza principale è che nel piano del consumatore non c’è voto dei creditori: decide tutto il giudice omologando se ritiene il piano fattibile e conveniente per i creditori. Tuttavia, il giudice può valutare la meritevolezza del consumatore? Nel CCII sembra che la valutazione sia meno stringente che in passato: il tribunale verifica eventuali atti in frode e la sostenibilità del piano, ma non dovrebbe più poter rigettare la proposta solo perché, ad esempio, il consumatore è stato imprudente (questo concetto di meritevolezza è stato in gran parte superato, analogamente a quanto visto per il concordato minore). Dunque in pratica il consumatore ha due vie: concordato minore (chiama i creditori al voto, utile se magari vuole coinvolgere una banca importante in un accordo e preferisce avere la loro adesione formale) o piano del consumatore (più protetto, decide il giudice; tipico se i creditori sono tanti e disorganizzati – pensiamo a debiti di carte di credito, utenze, ecc. – quindi meglio evitare la votazione).

Dal lato debitoriale, il concordato minore richiede un po’ di attivazione in più (si cercano consensi, magari con l’aiuto del gestore OCC), ma ha il vantaggio del silenzio-assenso che rende più facile raggiungere la maggioranza. L’avvocato fallimentare aiuta il cliente sovraindebitato a capire quale strada conviene: se ha un reddito disponibile per offrire un piano di rientro parziale, conviene provare concordato minore; se la situazione è disperata e solo il giudice potrebbe approvare un piano molto squilibrato (per esempio far pagare pochissimo ai creditori), forse è meglio il piano del consumatore dove non c’è voto.

In conclusione, il concordato minore è uno strumento prezioso per dare anche ai piccoli debitori la possibilità di negoziare la propria uscita dalla crisi, evitando la liquidazione. Rappresenta per il debitore onesto ma sfortunato quello che il concordato preventivo rappresenta per le imprese più grandi: un’alternativa governata alla rovina economica totale. Il ruolo dell’avvocato è di nuovo essenziale: predisporre un piano realistico, accompagnare il cliente nelle riunioni con l’OCC, spiegare ai creditori (spesso piccoli creditori poco esperti) le ragioni per cui conviene accettare il piano, e presidiare l’iter di omologazione. Spesso c’è anche un importante aspetto umano: il debitore sovraindebitato è una persona che vive magari un dramma personale (famiglie indebitate, professionisti sull’orlo del lastrico) – l’avvocato in questi casi deve anche supportare psicologicamente, facendo comprendere che la legge offre una via d’uscita regolamentata e che c’è la luce alla fine del tunnel.

10. Diritti e doveri del debitore nelle procedure concorsuali

In tutte le procedure di cui abbiamo parlato, il debitore conserva una serie di diritti ma assume anche precisi doveri. Riassumiamo i principali aspetti comuni dal punto di vista del debitore:

Doveri di collaborazione e trasparenza: il debitore in crisi ha il dovere legale di collaborare lealmente con gli organi della procedura (esperti, OCC, commissari, curatori, giudice). Deve fornire tutte le informazioni e i documenti richiesti, non occultare nulla del suo patrimonio, e rappresentare in modo veritiero la propria situazione. Questo è fondamentale: buona parte delle chance di successo (nonché di ottenere alla fine l’esdebitazione) dipendono dalla correttezza del debitore. Ad esempio, nel concordato preventivo il debitore deve depositare bilanci e atti completi; nella composizione negoziata deve dichiarare tutti i debiti anche se contestati; nel sovraindebitamento deve fornire l’elenco di ogni creditore e attivo. Atti in frode ai creditori (es. aver venduto beni sottocosto prima di aprire la procedura, o aver creato debiti fittizi) sono causa di inammissibilità o di revoca delle procedure e fanno perdere benefici (ad es. l’esdebitazione sarà negata).

Diritti di gestione (quando rimane in possesso): in procedure come composizione negoziata, accordi, PRO, concordato e concordato minore, il debitore rimane alla guida dell’impresa o comunque mantiene la titolarità dei beni fino all’omologazione. Ciò significa che può compiere atti di ordinaria amministrazione liberamente. Tuttavia, di solito la legge richiede autorizzazione del tribunale o almeno informazione/consultazione per atti straordinari (es. vendere un immobile durante un concordato in attesa di omologa). Il debitore ha diritto di continuare la sua attività entro i limiti del piano presentato. Ad esempio, nel concordato in continuità l’imprenditore può proseguire la gestione sotto vigilanza del commissario, e se serve può chiedere autorizzazione per pagare anticipatamente fornitori strategici o stipulare nuovi contratti essenziali.

Facoltà di proporre modifiche o soluzioni alternative: il debitore è il dominus della proposta concordataria o del piano. Fino all’omologazione può modificare o migliorare la proposta (nei limiti delle norme). Nel concordato preventivo, ad esempio, può presentare una modifica del piano per convincere i creditori dissenzienti (magari offrendo una percentuale maggiore). Nel concordato minore o accordo può proporre modifiche se vede che non c’è consenso sufficiente. Ha anche il diritto di rinunciare alla procedura in certi casi (ad esempio rinunciare al concordato prima del voto, se preferisce magari andare in liquidazione volontariamente o ha trovato soldi per pagare i debiti fuori dal concordato).

Diritto alle misure protettive: come evidenziato, molte procedure riconoscono al debitore il diritto di essere protetto dai creditori durante le trattative o l’esecuzione del piano. Questo è un diritto condizionato – serve approvazione del tribunale – ma è pensato a tutela del debitore per evitare che uno o pochi creditori aggressivi compromettano la possibilità di soluzione unitaria. Quindi, se i presupposti sono rispettati, il debitore può ottenere e beneficiare dello stay (sospensione dei pignoramenti, degli interessi di mora, ecc.) per concentrarsi sul risanamento.

Doveri informativi: l’imprenditore conserva l’obbligo di informare costantemente e tempestivamente gli organi della procedura su ogni fatto rilevante. Ad esempio, se durante la composizione negoziata la situazione peggiora o emergono nuovi debiti, deve dirlo all’esperto; in concordato se ci sono variazioni significative (mettiamo un immobile crolla di valore per un evento, o c’è un improvviso calo di commesse) deve aggiornare il commissario. Questo anche nel proprio interesse: la mancanza di informazione può portare poi a contestazioni di mala fede.

Diritto di ricorrere contro provvedimenti sfavorevoli: il debitore ha strumenti di tutela processuale. Se un tribunale rigetta la domanda di concordato o di omologazione di un accordo, può proporre reclamo (appello) alle Corti superiori. Se un creditore ottiene un provvedimento ingiusto in corso di procedura (es. ammissione di un credito contestato), il debitore può fare opposizione allo stato passivo. Il diritto di difesa è garantito in ogni fase.

Doveri verso i dipendenti e contratti: in caso di continuazione aziendale, il debitore deve continuare a rispettare i contratti essenziali (salvo chiedere al giudice scioglimenti mirati) e pagare regolarmente quanto autorizzato (ad esempio i fornitori con crediti post-filing vanno pagati). Verso i dipendenti, l’apertura di una procedura non autorizza a cessare di pagarli: se l’attività prosegue, i salari maturati in costanza di concordato sono debiti prededucibili da onorare. Se invece l’azienda chiude, il debitore dovrà attivare le procedure di licenziamento collettivo secondo le norme, e i crediti dei lavoratori (TFR, stipendi arretrati) saranno ammessi in privilegio e garantiti in parte dal Fondo di garanzia INPS. L’avvocato fallimentare qui consiglia il debitore su come gestire correttamente questi aspetti per evitare cause di lavoro o aggravio di responsabilità.

Responsabilità del debitore: il debitore (soprattutto se imprenditore) deve stare attento a non commettere reati fallimentari. Anche durante le procedure “minori”, se compie atti distrattivi, preferenze a taluni creditori non autorizzate, o dissipa beni, può incorrere nei reati di bancarotta (se poi si apre la liquidazione giudiziale) o altri illeciti. Pure occultare documentazione contabile è reato. Quindi uno dei doveri impliciti è: comportarsi con correttezza e disciplina, seguendo i consigli del legale per non incorrere in guai peggiori.

Insolvenza transfrontaliera: se il debitore ha rapporti anche all’estero (es. beni o creditori in altri paesi UE), ha il diritto che le procedure aperte in Italia siano riconosciute in UE (grazie al Regolamento UE 848/2015) e ha il dovere di coordinarsi per eventuali procedure secondarie all’estero. Su questo, l’avvocato fornirà assistenza specializzata.

Riassumendo, il punto di vista del debitore nelle procedure concorsuali è spesso un mix di speranza (di risanamento o liberazione dai debiti) e di vincoli (perdita parziale o totale di controllo sui beni, obblighi di condotta). Il legislatore con la riforma del CCII ha cercato di incentivare il debitore onesto – dandogli strumenti per salvarsi e premiandolo con la discharge – e punire quello sleale – prevedendo filtri di buona fede e sanzioni (come la conversione in liquidazione se abusa del concordato semplificato). In definitiva, un debitore che collabora strettamente col proprio avvocato e segue le regole avrà molte più probabilità di uscire dalla crisi in modo ordinato e magari ripartire pulito.

11. Orientamenti giurisprudenziali recenti (2022-2025)

L’attuazione pratica del nuovo Codice della crisi sta prendendo forma attraverso le prime importanti decisioni dei tribunali e della Cassazione. Ecco una rassegna di alcune pronunce rilevanti recenti che offrono interpretazioni utili, consolidando talora gli istituti:

  • Tribunale di Vicenza, 25 febbraio 2023Primo caso di PRO omologato. Il tribunale ha omologato un piano di ristrutturazione soggetto a omologazione presentato da una piccola società immobiliare, pur in presenza di un’istanza di fallimento promossa da una banca. Ha sottolineato che il PRO può essere usato in funzione difensiva per bloccare un fallimento, a condizione che offra ai creditori una soddisfazione migliore dell’alternativa liquidatoria. Ha inoltre legittimato la creazione di classi ad hoc isolando un singolo creditore (la banca ipotecaria) e soddisfacendolo integralmente così da togliergli diritto di voto – soluzione giudicata lecita se serve alla fattibilità del piano. Questa pronuncia ha evidenziato la flessibilità del PRO nel prevenire fallimenti e la centralità del best interest test: i creditori non possono opporsi se ricevono almeno quanto otterrebbero dal fallimento.
  • Tribunale di Udine, 9 marzo 2023PRO con Erario dissenziente. In un PRO dove l’Agenzia Entrate aveva chiesto il fallimento, il tribunale ha concesso subito le misure protettive urgenti e poi ammesso il PRO, sostenendo che anche un debitore già bersaglio di istanze di fallimento può accedere al PRO come extrema ratio. Innovativo il passaggio in cui il giudice afferma che se un creditore pubblico non è in grado di accordarsi in fretta (tipico per il Fisco), il debitore può bypassare la necessità di un accordo fiscale extragiudiziale e usare direttamente il PRO, dove il Fisco dissenziente può essere aggirato inserendolo in una classe chirografaria e comunque offrendogli più del fallimento. In quel caso, l’IVA e contributi furono pagati solo parzialmente ma più che in caso di fallimento, e il PRO è passato nonostante il voto contrario dell’Erario. Si tratta di fatto di un’applicazione del cram-down fiscale interno al PRO, in linea con il principio ora sancito anche per i concordati (possibilità di omologa nonostante diniego del Fisco, se c’è convenienza).
  • Tribunale di Napoli, decreto 25 ottobre 2023Revoca del concordato semplificato per abuso. Vicenda dove l’imprenditore aveva usato la composizione negoziata in modo strumentale, giungendo volutamente a un nulla di fatto per accedere al concordato semplificato (che esclude il voto dei creditori). Il tribunale ha revocato l’ammissione al concordato semplificato rilevando la condotta ostruzionistica nelle trattative (mancanza di buona fede) e contestualmente ha dichiarato il fallimento. Ha precisato che l’accesso al concordato semplificato non è automatico ma va “meritato” con trattative corrette: il giudice può negarlo se ritiene che il debitore abbia simulato la CNC al solo scopo di arrivare al semplificato. Questo crea un importante precedente di filtro di meritevolezza nel concordato semplificato, a tutela dei creditori contro possibili abusi.
  • Tribunale di Como, 10 maggio 2024Opposizione in concordato semplificato. Un creditore contestava che la proposta semplificata gli desse meno di quanto avrebbe ottenuto dal fallimento. Il tribunale ha rigettato l’opposizione applicando il parametro del miglior soddisfacimento: ha verificato che la percentuale offerta era almeno pari (tenuto conto di costi minori e tempi più rapidi) e dunque il piano andava bene. Ha osservato che il concordato semplificato è equiparabile a una liquidazione giudiziale quanto a risultato, ma con più efficienza (meno costi). In più, ha ribadito che il giudice può imporre condizioni all’omologa (cauzioni, nomina ausiliari) per garantire l’equità verso tutti. Importanza: conferma che in assenza del voto, il tribunale è il guardiano degli interessi dei creditori e deve omologare solo se il piano è non peggiorativo per loro. Ciò tutela la costituzionalità del semplificato, evitando che i creditori siano espropriati del voto senza garanzie di convenienza.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 17 febbraio 2022 n. 4696Accordo di ristrutturazione e fallimento. La Suprema Corte, in un caso sotto la vecchia legge ma principio valido nel CCII, ha chiarito che se un debitore omologa un accordo di ristrutturazione e poi non lo esegue, i creditori possono chiederne subito il fallimento senza attendere una risoluzione giudiziale formale dell’accordo. Ciò diversamente da un concordato preventivo, dove invece è necessario passare per la pronuncia di risoluzione ex art. 119 CCII prima di dichiarare il fallimento. La Cassazione ha motivato questa differenza con la natura negoziale dell’accordo (che può prevedere clausole risolutive di diritto) e l’esigenza di tempestività: non avrebbe senso proteggere il debitore inadempiente oltre, mentre nel concordato la legge lo protegge fino a risoluzione per dare stabilità all’omologa. Questo orientamento è stato recepito nell’art. 63 co.5 CCII. Il messaggio per il debitore: occhio a rispettare gli accordi omologati, perché diversamente i creditori possono farlo fallire subito, non essendoci il “paracadute” di una pronuncia di risoluzione.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 3 marzo 2022 n. 7344Cram-down e sindacato di convenienza. In tema di omologa di concordato preventivo con classi dissenzienti, la Cassazione ha affermato che il giudice deve verificare che ai dissenzienti sia assicurato almeno il valore di liquidazione, come ora previsto dall’art. 112 CCII (principio del best interest test). Tuttavia, ha precisato che la valutazione di convenienza è di merito e insindacabile in Cassazione se non manifestamente illogica. Quindi il giudice di merito ha ampio potere nel giudicare le stime e decidere l’omologa forzata, e la Cassazione interverrà solo per errori macroscopici. Questo conferma la centralità del best interest test e legittima il fatto che la soddisfazione minima in caso di cram-down sia un fatto da valutare caso per caso, senza soglie fisse oltre a quelle di legge (20% etc.). Oggi questi principi sono codificati, ma la sentenza resta un punto di riferimento su come leggere la norma (ampia discrezionalità del giudice fallimentare in sede di omologa forzata).
  • Tribunale di Rimini, 28 ottobre 2022Concordato minore e meritevolezza. Caso pionieristico di concordato minore post-CCII. Il tribunale ha chiarito che, diversamente dal precedente “piano del consumatore”, nel concordato minore non c’è giudizio di meritevolezza all’ingresso. Il tribunale verifica solo fattibilità e assenza di frode. Ha aggiunto che la meritevolezza rileverà semmai più avanti, per l’esdebitazione finale (il debitore disonesto potrà vedersi negare la cancellazione dei debiti a fine procedura). Questa pronuncia rassicura che anche un sovraindebitato poco “virtuoso” può accedere al concordato minore: se poi i creditori pensano che sia indegno, potranno votare contro; ma il giudice non può sbarrargli la strada su base etica. Ciò riflette la nuova logica contrattuale del sovraindebitamento: liberalizzare l’accesso e lasciare la decisione economica ai creditori, riservando il giudizio morale solo alla fine per il beneficio dell’esdebitazione.
  • Tribunale di Milano, ordinanza 7 ottobre 2022Allerta interna e organi di controllo. In sede cautelare, il tribunale milanese ha ordinato a una S.r.l. di nominare un organo di controllo (collegio sindacale) d’ufficio, rilevando che superava i parametri dimensionali ex art. 2477 c.c. e la mancanza del collegio stava impedendo di rilevare tempestivamente segnali di crisi. Ha quindi collegato il dovere di assetti adeguati e controllo societario alla normativa concorsuale, affermando che non dotarsi degli organi di controllo obbligatori incide sul sistema di prevenzione della crisi e può giustificare un intervento giudiziario. È un esempio concreto dell’applicazione della filosofia dell’allerta precoce: i giudici possono intervenire persino prima dell’insolvenza per imporre all’imprenditore di dotarsi degli strumenti di monitoraggio interni. Questo mette in guardia gli amministratori: ignorare l’obbligo di adeguati assetti (imposto dall’art. 2086 c.c.) può avere conseguenze immediate.
  • Cassazione Penale, Sez. V, 30 aprile 2021 n. 15430Bancarotta da ritardata dichiarazione. Pur precedente all’entrata in vigore del CCII, questa sentenza è importante perché sancisce un principio che resta validissimo: l’amministratore che, pur vedendo l’impresa insolvente, non presenta istanza di fallimento e anzi continua l’attività aggravando il dissesto, commette bancarotta semplice. La buona fede (“speravo nel risanamento”) non esonera dalla responsabilità penale se oggettivamente il ritardo ha peggiorato la situazione. Ciò riflette la linea dura sulla tardiva emersione dell’insolvenza. Con la riforma, l’obbligo di attivarsi prima che il dissesto peggiori è ancora più marcato, per cui questo precedente penale suona come monito: aspettare troppo a lungo può non solo rovinare l’azienda ma anche esporre a sanzioni penali gli amministratori.
  • Corte Costituzionale, sentenza 6 aprile 2022 n. 67Esdebitazione automatica del fallito. La Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità sull’automatismo dell’esdebitazione introdotto dal DL 137/2020 per i fallimenti chiusi senza soddisfacimento integrale dei creditori. In sostanza, ha promosso la norma che prevede la liberazione dai debiti residui per il fallito onesto e incapiente, ritenendola conforme ai principi costituzionali (non viola il diritto di credito in quanto bilanciata dall’interesse generale a dare al debitore una seconda chance). Questa pronuncia ha spianato la strada all’inclusione definitiva dell’esdebitazione di diritto nel CCII, confermando la svolta pro-debitore del “fresh start”.

In sintesi, la giurisprudenza recente conferma l’impianto riformatore: favor accordi e soluzioni negoziate, ma rigore contro abusi; tutela dei creditori sul piano della convenienza e trasparenza (best interest test applicato ovunque); promozione del debitore proattivo e punizione di quello passivo o scorretto. I tribunali stanno dando attuazione pratica al CCII, ed è prevedibile che con il passare degli anni la Cassazione fisserà ulteriori paletti su temi ancora aperti (ad esempio il coordinamento con il fisco, la posizione dei soci finanziatori, ecc.). Per il debitore e il suo avvocato, è importante tenere conto di questi orientamenti: sapere, ad esempio, che un concordato semplificato va “guadagnato” con condotta leale, o che un accordo di ristrutturazione non eseguito può far precipitare subito nel fallimento, permette di agire con prudenza e strategia.

12. Domande frequenti (FAQ)

Di seguito raccogliamo alcune domande comuni che imprenditori, professionisti o privati debitori in crisi possono porsi, con risposte sintetiche basate su quanto esposto nella guida.

D1: Quando un’azienda in difficoltà dovrebbe attivare la composizione negoziata o un’altra misura di gestione della crisi?
R: Il prima possibile, ai primi segnali di crisi. Appena si prevede che l’impresa probabilmente non riuscirà a far fronte regolarmente alle obbligazioni nei prossimi 12 mesi, occorre muoversi. Segnali tipici: perdite ripetute che erodono il capitale, tensioni di liquidità (ad esempio si pagano i fornitori con ritardi significativi), rate fiscali o contributive non versate, utilizzo continuo di fidi al limite. Il CCII spinge per un’attivazione tempestiva: gli amministratori hanno il dovere di non aspettare l’insolvenza conclamata. Se c’è anche solo probabilità di insolvenza, conviene consultare subito un esperto (commercialista o avvocato) e valutare la composizione negoziata o altri strumenti. La composizione negoziata può essere attivata già in fase di crisi iniziale (incipiente) ed è confidenziale, quindi è lo strumento ideale appena i flussi di cassa prospettici appaiono insufficienti. Attendere troppo a lungo può significare perdere opportunità di ristrutturazione e incorrere in responsabilità per aggravamento del dissesto.

D2: Quali vantaggi ci sono a rivolgersi all’esperto indipendente nella composizione negoziata rispetto a negoziare da soli con i creditori?
R: L’esperto fornisce imparzialità, competenza e un “ombrello” legale. In pratica, l’esperto facilita il dialogo e fa emergere soluzioni che da soli magari il debitore e i creditori non vedrebbero, anche grazie alla sua posizione neutrale. Inoltre tutta la procedura CNC si svolge in una cornice protetta: una volta presentata l’istanza, il debitore può ottenere dal tribunale una protezione dalle azioni dei creditori (stay) che in normali trattative private non avrebbe. Altro vantaggio: l’esperto può accedere a banche dati e informazioni (ad esempio sui debiti fiscali e contributivi) e delineare un quadro chiaro del debito, evitando contestazioni e disinformazione tra le parti. Ci sono poi incentivi normativi specifici: durante la CNC, gli interessi di mora sui debiti fiscali sono sospesi, le eventuali penalità per ritardato pagamento sono congelate, e – punto fondamentale – le banche non possono revocare i fidi senza giustificato motivo. Questo permette all’impresa di non essere strangolata dal panico finanziario mentre cerca un accordo. Infine, se la CNC non porta a un accordo, il debitore acquisisce il diritto di accedere al concordato semplificato, possibilità che non avrebbe senza passare dalla CNC. Dunque, anche tentare la CNC può risultare vantaggioso per avere poi un paracadute.

D3: Un piccolo imprenditore “sotto soglia” (non fallibile) è obbligato per legge a utilizzare il concordato minore in caso di crisi?
R: No, non c’è un obbligo giuridico di presentare un concordato minore. Il concordato minore è una facoltà, uno strumento consigliato ma non imposto. Tuttavia, è altamente raccomandabile che il piccolo imprenditore in crisi lo prenda in considerazione, perché gli consente di proporre una soluzione concordata ai creditori ed evitare che la situazione degeneri in una liquidazione forzata del patrimonio. Se l’imprenditore non fa nulla, i creditori potranno comunque aggredire individualmente i beni (pignoramenti, ecc.) e, se i debiti sono ingenti e il debitore resta inerte, dal 2023 possono persino chiedere al tribunale di aprire d’ufficio una liquidazione controllata. Insomma, pur senza obbligo legale formale, la realtà è che la mancanza di iniziativa espone il debitore a soluzioni peggiori imposte dai creditori. Conviene quindi muoversi volontariamente, presentando un concordato minore per tentare di salvare l’attività e ridurre il debito in modo organizzato. Il concordato minore ha anche delle facilitazioni: ad esempio il silenzio-assenso dei creditori (chi non risponde è conteggiato come voto favorevole), che ne facilita l’approvazione. In sintesi: non è obbligatorio per legge, ma è quasi “obbligatorio” dal punto di vista pratico se si vuole evitare di subire passivamente l’azione dei creditori.

D4: Un professionista (avvocato, medico, ecc.) sommerso dai debiti può liberarsi dal peso debitorio come farebbe un imprenditore?
R: Sì. I professionisti, non essendo imprenditori commerciali, non sono soggetti al fallimento, ma rientrano tra i debitori “civili” o non fallibili. Il Codice della crisi offre loro (così come ai consumatori) gli stessi strumenti di sovraindebitamento: in particolare possono accedere al concordato minore se vogliono continuare la propria attività e pagare i debiti (anche solo in parte) coi proventi futuri, oppure alla liquidazione controllata se preferiscono mettere a disposizione tutto il patrimonio e chiudere la partita debitoria in un colpo solo. Ad esempio, un avvocato che abbia accumulato grossi debiti fiscali e bancari potrebbe proporre ai creditori un piano a 5 anni con pagamento parziale utilizzando il suo reddito annuale, ottenendo poi l’esdebitazione per la parte di debito che rimane non pagata. Oppure, se non è in grado di pagare praticamente nulla perché il suo reddito a malapena copre le spese vive, può attivare una liquidazione controllata cedendo quei pochi beni che ha (se ne ha) e poi, al termine, chiedere l’esdebitazione totale di tutti i debiti residui. Lo stesso vale per un consumatore privato: anche chi ha debiti personali (credito al consumo, mutui, finanziarie) e si trova soffocato può ricorrere al concordato minore o alla liquidazione controllata, con la prospettiva della “seconda chance” grazie all’esdebitazione. In sostanza, oggi la legge non fa più differenze di trattamento: anche i non imprenditori possono liberarsi dai debiti insostenibili, purché seguano queste procedure e siano sinceri e collaborativi. Il risultato finale, se tutto va bene, è che il professionista o il privato può ricominciare da capo senza l’ombra dei vecchi debiti.

D5: Che differenza c’è tra il concordato preventivo in continuità aziendale e il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO)?
R: Entrambi sono strumenti per risanare l’impresa evitando la liquidazione, ma differiscono per meccanismi e flessibilità:

  • Nel concordato in continuità, l’impresa continua ad operare sotto la vigilanza del tribunale e con la nomina di un commissario giudiziale. I creditori votano la proposta (anche divisi in classi) e il tribunale può omologare anche se qualche classe vota contro, applicando condizioni (cram-down) se certe maggioranze sono comunque raggiunte. Ci sono vincoli legali su come trattare i creditori: i privilegiati devono essere soddisfatti almeno fino al valore di realizzo dei beni su cui vantano garanzia (niente falcidie del capitale del credito salvo rinuncia volontaria), e i chirografari nel caso di concordato puramente liquidatorio devono avere almeno il 20% (a meno che il piano sia di continuità o che l’attivo sia molto basso e il tribunale autorizzi percentuali minori con classi). Insomma, c’è un rispetto della par condicio tradizionale, salvo eccezioni in continuità.
  • Nel PRO, il debitore costruisce liberamente il piano con classi di creditori e può persino derogare alle regole di priorità patrimoniale, ad esempio può proporre di pagare un creditore privilegiato solo parzialmente anche se la garanzia coprirebbe l’intero importo, purché quella classe di creditori approvi. C’è quindi maggiore libertà di contenuto (non bisogna rispettare rigorosamente il principio che i privilegiati vengono prima dei chirografari, se i privilegiati stessi accettano un sacrificio). In compenso, la procedura PRO richiede il consenso unanime tra le classi: ciascuna classe deve approvare a maggioranza interna e tutte le classi devono essere favorevoli (non esiste un cram-down interclassi nel PRO). Inoltre, il PRO è più snello proceduralmente: non c’è commissario, non c’è gestione protetta lunga – c’è la presentazione del piano, la votazione dei creditori organizzata, e poi direttamente l’omologa finale se tutto quadra. Quindi, riassumendo: Concordato in continuità – ha più controlli giudiziari e formalità, permette di superare dissensi di minoranze (cram-down), ma rispetta in larga parte le prelazioni legali; PRO – ha più libertà nel trattamento dei creditori (puoi trattare diversamente i creditori rispetto alle regole ordinarie, se questi sono d’accordo), ma devi ottenere l’accordo di tutti i gruppi significativi, altrimenti salta.

In pratica, se il risanamento richiede di “rompere” le regole di par condicio (es. far sacrificare un privilegiato oltre il suo realizzo) ed è possibile convincere tutti gli interessati, allora il PRO è ideale. Se invece si prevede che qualche gruppo di creditori sarà recalcitrante, è meglio il concordato dove c’è la stampella del cram-down giudiziale. Molti esperti dicono: il PRO è per situazioni dove riesci a coalizzare tutti intorno a un piano innovativo, il concordato serve se hai bisogno del voto e dell’intervento del giudice per forzare la mano a qualcuno.

D6: Cosa accade se, dopo l’omologazione di un concordato (preventivo o minore), il debitore non riesce a rispettare il piano?
R: In caso di inadempimento rilevante degli obblighi previsti dal piano omologato, i creditori possono rivolgersi al tribunale per far risolvere il concordato. Nella procedura di concordato preventivo ordinario, la legge (art. 119 CCII) stabilisce che basta un’inadempienza di non scarsa importanza perché, su istanza di un creditore insoddisfatto, il tribunale dichiari la risoluzione del concordato e contestualmente apra la liquidazione giudiziale (il fallimento), a meno che il debitore non riesca immediatamente a proporre e far ammettere un nuovo concordato. Analogamente, nel concordato minore l’art. 80 CCII prevede che i creditori non soddisfatti possano chiedere la risoluzione e il tribunale, accertato l’inadempimento, revoca l’omologa e apre la liquidazione controllata. In pratica, l’effetto è che il concordato viene annullato e si passa a una procedura liquidatoria: i crediti originari dei creditori “resuscitano” al netto di quanto eventualmente ricevuto durante il concordato. Ad esempio, se nel concordato preventivo i creditori avevano ricevuto un acconto del 10% e poi il piano fallisce, nel successivo fallimento potranno insinuarsi per il restante 90%, con eventuale privilegio di prededuzione per quelle somme incassate come acconto (le somme pagate in concordato poi vengono considerate come debiti prededucibili nel fallimento successivo). Nota: come accennato prima, per gli accordi di ristrutturazione la situazione è ancora più stringente – nemmeno serve una pronuncia di risoluzione, i creditori possono subito far istanza di fallimento se l’accordo è inadempiuto. In breve: se il debitore non rispetta il piano omologato, la protezione finisce e si torna a una procedura liquidatoria, dove i creditori cercheranno di recuperare il recuperabile (che spesso è poco, visto che se il piano è saltato di solito è perché le risorse erano insufficienti). Per questo è fondamentale che un piano di concordato sia proposto solo se realisticamente eseguibile; e se durante l’esecuzione si profilano difficoltà, il debitore farebbe bene a non aspettare di cadere inadempimento, ma a rivolgersi di nuovo al tribunale magari per una modifica del piano o altra soluzione.

D7: Un imprenditore che viene dichiarato in liquidazione giudiziale (fallimento) può subito avviare una nuova attività o ricoprire cariche societarie?
R: Durante la procedura di liquidazione giudiziale, no (salvo eccezioni); dopo la chiusura, sì. Precisando: dalla dichiarazione di fallimento fino alla chiusura, la persona fisica fallita subisce alcune incapacità personali per legge. Ad esempio, non può avere cariche in società (amministratore, direttore, liquidatore di società di capitali) – se fosse nominato, decadrebbe. Non può gestire patrimoni altrui e per assumere obbligazioni o stare in giudizio deve farsi autorizzare dal giudice delegato. Queste limitazioni però cessano con la chiusura della procedura. In passato esisteva la “riabilitazione civile” per il fallito (bisognava aspettare 5 anni dalla chiusura e chiedere al tribunale di riabilitarsi), ma ora questo istituto è superato: l’esdebitazione svolge di fatto quel ruolo. Oggi, se il fallito persona fisica ottiene l’esdebitazione, può immediatamente tornare a fare impresa senza i debiti pregressi. Formalmente lo status di fallito dura finché la procedura non è chiusa; ma una volta chiusa, l’ex fallito è libero di iniziare nuove attività. Va detto che anche durante la procedura, nulla vieta in teoria che il fallito avvii una nuova impresa individuale – la legge non lo proibisce espressamente – ma è altamente sconsigliabile e praticamente difficile: nessuno gli concederebbe credito, e comunque dovrebbe informare i terzi del suo status (il fallito che apre partita IVA durante il fallimento deve farlo sapere a clienti e fornitori, il che di fatto lo precluderebbe dal mercato). Inoltre, se ha beni, questi verrebbero aggrediti dal curatore. Quindi, di fatto, conviene attendere la chiusura.

Per quanto riguarda le cariche societarie: come detto, finché dura il fallimento la legge prevede che il fallito non possa essere amministratore, sindaco, ecc., di società di capitali (cause di ineleggibilità ex art. 2382 c.c.). Dopo la chiusura del fallimento, questa interdizione cade automaticamente e la persona può nuovamente ricoprire cariche. Unica eccezione: se il fallimento è stato causato da frodi o mala gestio dolosa molto gravi, il tribunale penale può con la sentenza di bancarotta applicare pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici o il divieto di esercitare attività d’impresa per un certo periodo. Ma il CCII ha mitigato queste conseguenze, e in generale punta a reinserire il fallito onesto.

In conclusione: dopo il fallimento, l’imprenditore può ripartire (anzi, lo spirito della riforma è proprio di dare la seconda opportunità). Durante la procedura, la sua capacità è limitata – è come “congelato” fino alla chiusura. Ma non appena la procedura chiude e se ottiene la esdebitazione, può tornare a vita economica normale, aprire nuove imprese, assumere cariche, etc., senza quell’aura negativa. Un consiglio: se l’imprenditore vuole già durante il fallimento partecipare ad una nuova attività, può farlo in forma di dipendente o consulente, ma non come amministratore o titolare, finché il fallimento non sia concluso.

D8: I debiti fiscali e contributivi si possono tagliare nelle procedure di crisi, o il Fisco deve essere sempre pagato per intero?
R: Sì, oggi è possibile includere anche i debiti con Erario e INPS in riduzione, tramite la “transazione fiscale”. Nelle procedure di concordato preventivo (ordinario o minore) il debitore può proporre al Fisco di accettare un pagamento parziale di imposte e contributi, ad esempio pagare solo il 50% dell’IVA dovuta, azzerare le sanzioni, dilazionare nel tempo, ecc. Tutto ciò avviene mediante la transazione fiscale e contributiva prevista dalla legge. L’Erario e gli enti previdenziali partecipano al voto come creditori: per la parte di credito chirografario (ad esempio l’IVA, che è chirografaria da quando si propone di falcidiarla) votano insieme agli altri chirografari; per la parte privilegiata (es. l’IRPEF che ha privilegio generale) votano come classe di privilegiati e devono ricevere almeno quanto spetterebbe loro dalla liquidazione dei beni gravati.

La vera svolta è stata con la riforma: anche l’IVA e le ritenute, che prima erano intoccabili, ora possono essere falcidiate all’interno di un concordato. Naturalmente devono esserci valide ragioni economiche (es. l’impresa in concordato offre al Fisco il 30% di quell’IVA perché altrimenti fallirebbe e il Fisco incasserebbe 5% – quindi conviene anche al Fisco accettare). Inoltre, il CCII prevede un meccanismo di tutela contro rifiuti irragionevoli: se il Fisco rifiuta senza motivo una proposta di transazione fiscale vantaggiosa, il debitore può rivolgersi al giudice perché venga omologato comunque il concordato nonostante il voto contrario del Fisco (il cosiddetto cram-down fiscale). In pratica, se l’Agenzia delle Entrate dicesse “no” a un piano che obiettivamente le offre il massimo possibile, il tribunale può decidere di procedere ugualmente tenendo ferma quella proposta. Va detto che l’esperienza mostra che l’Erario è ora più disponibile a trattare, proprio perché sa di non avere più potere di veto assoluto.

Negli accordi di ristrutturazione c’è uno strumento analogo: il debitore può chiedere all’Erario di aderire con una transazione e se l’Erario rifiuta, il debitore può comunque chiedere l’omologa con contestazione al rifiuto davanti allo stesso tribunale fallimentare (non deve più fare ricorso al giudice tributario: su questo c’è stata anche Cass. 7344/2022 che ha definito la competenza).

In liquidazione giudiziale chiaramente tutti i debiti, fiscali inclusi, vengono soddisfatti in base alle cause di prelazione e quel che rimane non pagato viene di solito cancellato dall’esdebitazione (quindi il Fisco viene trattato come gli altri chirografari per la parte scoperta, salvo che sanzioni e interessi di mora che di regola non sono ammessi).

Un ultimo aspetto: nei piani del consumatore o concordati minori, la transazione fiscale è ammessa con le stesse logiche. Quindi anche un privato cittadino indebitato con Equitalia può proporre di pagare una parte delle cartelle e stralciare il resto.

In sintesi, sì, i debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali possono essere falcidiati e ristrutturati nelle procedure concorsuali. Non solo: la legge oggi tutela il debitore contro eventuali rifiuti irrazionali degli enti, proprio per facilitare la chiusura di accordi. Naturalmente l’Erario tende a valutare con rigore queste proposte: di solito vuole vedere che il debitore offre il massimo possibile compatibilmente con la continuazione aziendale. Ma se questo è dimostrato (ed è qui importante la relazione dell’attestatore), allora anche il Fisco può subire un taglio del credito all’interno di un concordato o accordo omologato. È una conquista del principio della seconda opportunità: anche lo Stato-creditore si adegua a soluzioni negoziali per evitare il male peggiore (il fallimento con incasso minore).

13. Casi pratici simulati

Per meglio comprendere l’applicazione concreta degli istituti descritti, presentiamo alcune simulazioni ispirate a casi reali italiani (i nomi sono di fantasia e i dati semplificati). Questi esempi illustrano come, nella pratica, un avvocato esperto in diritto fallimentare può guidare il debitore attraverso le diverse soluzioni.

Caso Alpha S.r.l. – Composizione negoziata riuscita e accordo stragiudiziale

Contesto: Alpha S.r.l. è una PMI manifatturiera di Firenze, a conduzione familiare, settore tessile, con 50 dipendenti. Negli ultimi anni ha subito un calo di fatturato del 30% a causa della perdita di un importante cliente estero e dell’aumento dei costi delle materie prime. La società ha accumulato debiti per circa 1 milione di euro: 400.000 € con banche (mutui e scoperti), 300.000 € con fornitori, 200.000 € di arretrati IVA e INPS, e 100.000 € tra leasing e altri. Il patrimonio è costituito da un capannone industriale ipotecato e macchinari.

Segnali di crisi: Alpha inizia ad essere in ritardo di 60-90 giorni nei pagamenti fornitori e ha rate fiscali non versate. La liquidità è scarsa, le banche minacciano di revocare i fidi. I soci si rendono conto che, senza un intervento, entro pochi mesi non potranno pagare gli stipendi. Decidono di rivolgersi tempestivamente a un avvocato fallimentare.

Azione dell’avvocato: Dopo aver analizzato la situazione, l’avvocato Monardo suggerisce di attivare subito la Composizione negoziata. Prepara l’istanza sulla piattaforma indicando che l’azienda è in “probabile insolvenza” ma con prospettive di recupero se si ristrutturano i debiti e si rilanciano le vendite. Viene nominato un esperto indipendente (un commercialista). Nel frattempo l’avvocato chiede al tribunale misure protettive: ottiene un decreto che blocca per 4 mesi i pignoramenti dei creditori e impedisce alle banche di revocare i fidi.

Svolgimento delle trattative: L’esperto, l’avvocato e i rappresentanti di Alpha incontrano prima le banche: spiegano il piano industriale (Alpha ha in pipeline nuovi ordini se supera la crisi di liquidità) e propongono di consolidare gli affidamenti in un unico mutuo decennale, sospendendo le rate per 6 mesi. Le banche, rassicurate anche dall’imparzialità dell’esperto, accettano in linea di massima (sapendo che l’alternativa sarebbe il fallimento e un probabile incasso minore). Con i fornitori, l’avvocato negozia stralci del 20%: propone di pagare il 80% del dovuto in 24 mesi, evidenziando che se l’azienda chiude prenderebbero forse 20-30%. I fornitori, molti dei quali lavorano da anni con Alpha e preferiscono mantenerla come cliente, accettano la riduzione. Con l’Erario, l’esperto predispone una bozza di piano di rateizzo e transazione fiscale: chiede sconto su sanzioni e interessi e pagamento del debito IVA/INPS in 5 anni. L’Agenzia Entrate non può formalmente aderire in sede stragiudiziale senza il concordato, ma dà indicazione informale che vedrebbe di buon occhio una proposta di transazione in concordato se necessario.

Conclusione: in 3 mesi Alpha S.r.l. raggiunge un accordo stragiudiziale globale: le banche firmano un accordo di ristrutturazione del credito (consolidamento mutui), i fornitori firmano accordi individuali attestati dall’esperto con lo stralcio concordato, e il piano di rientro con il Fisco viene omologato successivamente tramite un mini-concordato in tribunale limitatamente ai debiti fiscali (coinvolgendo Agenzia Entrate e INPS, che accettano il pagamento in 60 rate con taglio delle sanzioni). L’azienda ottiene nuova finanza da un confidi (garantita dallo Stato) per 200k € che serve a riprendere la produzione. Alpha evita il fallimento, paga gradualmente i debiti ridotti e dopo due anni esce dalla crisi, avendo recuperato commesse. I posti di lavoro sono salvi. L’avvocato ha fattivamente contribuito predisponendo la documentazione, conducendo le negoziazioni delicate e assicurando il rispetto delle formalità legali (richieste misure protettive, ecc.). Senza la composizione negoziata e l’opera di coordinamento del legale, Alpha probabilmente sarebbe stata travolta dai decreti ingiuntivi e pignoramenti, perdendo la fiducia di tutti.

Caso Beta S.p.A. – Concordato preventivo in continuità con classe dissenziente (cram-down)

Contesto: Beta S.p.A. è una grande impresa veneta nel settore costruzioni (circa 200 dipendenti). A causa di investimenti sbagliati e della crisi del settore, accumula debiti per 30 milioni € (banche 15M garantiti da ipoteche su cantieri, fornitori 10M, debiti fiscali 3M, altri 2M). Nel 2024 Beta è insolvente: non riesce più a pagare i fornitori né a consegnare nei tempi, rischia penali enormi e cause legali. Due banche iniziano procedure esecutive sui cantieri ipotecati e l’Agenzia Entrate segnala debiti IVA non versata. Beta si rivolge a un avvocato fallimentare.

Soluzione scelta: L’avvocato, valutato che Beta ha ancora commesse in corso e un know-how di valore, consiglia un concordato preventivo in continuità aziendale. L’alternativa sarebbe il fallimento, che però distruggerebbe valore (cantieri incompiuti, licenziamenti, creditori che otterrebbero poco). Viene presentato un ricorso di concordato “in bianco” per ottenere subito protezione dal tribunale. Beta ottiene la sospensione delle azioni esecutive. Con l’aiuto di un advisor finanziario, si prepara un piano: i soci si impegnano a iniettare 500k € freschi, Beta propone di completare i cantieri in corso (che una volta venduti genereranno cassa), mantenere 150 dipendenti su 200 e vendere alcuni immobili non strategici.

Proposta concordataria: Il piano prevede 4 classi di creditori: (1) fornitori strategici che continueranno con Beta (a cui si propone pagamento del 60% in 4 anni per mantenere rapporti); (2) fornitori generici (pagamento 30% in 4 anni); (3) banche ipotecarie (hanno garanzie su immobili e saranno soddisfatte al 100% attraverso la vendita dei cantieri, magari rinegoziando interessi); (4) Erario e INPS (si propone transazione fiscale: pagamento 50% di IVA e contributi). Il piano stima di ricavare, completando e vendendo i progetti immobiliari, abbastanza per pagare quelle percentuali. I chirografari (fornitori classi 1 e 2) prenderebbero rispettivamente 60% e 30%, comunque meglio del ~10% stimato in caso di fallimento. I privilegiati (banche) recupererebbero tutto grazie alle ipoteche.

Votazione: Si apre la procedura, il commissario giudiziale conferma che il piano è fattibile. Si va al voto dei creditori per classi. Tutte le classi votano a favore tranne la classe 4 (Erario): lo Stato, che vantava 3M di crediti (in parte IVA, in parte IRAP), vota contro perché la proposta prevede il taglio del 50% dell’IVA e ritiene di dover adottare linea dura. Le altre 3 classi (banche, fornitori) invece approvano a larga maggioranza (classe 1: 80% sì; classe 2: 75% sì; classe 3 banche: 100% sì perché preferiscono il concordato per finire i cantieri). Quindi, 3 classi su 4 hanno detto sì, e la classe Erario no.

Cram-down: L’avvocato di Beta, in sede di omologazione, chiede al tribunale di omologare ugualmente il concordato nonostante il dissenso dell’Erario, applicando l’art.112 CCII (cram-down interclasse). Dimostra che: (a) la classe dissenziente (Erario) riceve comunque più del valore di liquidazione – infatti se Beta fosse fallita, l’Erario come chirografario avrebbe preso forse 5-10%, mentre col concordato avrà il 50%; (b) nessuna classe di grado inferiore alla sua è stata trattata meglio (qui l’Erario è chirografario, e l’altra classe chirografaria 2 prende 30%, quindi non c’è disparità in suo sfavore); (c) almeno una classe di pari grado ha accettato (sì, i fornitori generici classe 2 sono pari grado e hanno accettato). Tutte le condizioni per il cram-down sono soddisfatte. Il Tribunale omologa il concordato, confermando che l’Erario dissenziente comunque non è pregiudicato (50% > 10%) e che l’interesse generale è di permettere il risanamento. Beta S.p.A. esce quindi dal concordato: i cantieri vengono completati sotto la vigilanza del commissario, gli immobili venduti in due anni, i creditori vengono pagati secondo le percentuali promesse. L’Erario, pur scontento, incassa 1,5M su 3M che è più di quanto avrebbe ottenuto in fallimento e in tempi minori.

Esito: Beta continua la sua attività (sia pure ridimensionata), salva la maggior parte dei dipendenti, e dopo 3 anni esce dalla procedura. Gli ex amministratori ottengono anche l’esdebitazione per eventuali garanzie personali prestate. Questo caso mostra come un concordato ben orchestrato dall’avvocato può superare anche l’opposizione di un creditore pubblico importante, grazie agli strumenti offerti dalla legge. Senza il concordato, Beta sarebbe fallita con dispersione di competenze e meno soddisfazione per tutti. L’avvocato ha giocato un ruolo chiave nel negoziare con classi di creditori diverse, predisporre un piano robusto e convincere il tribunale della convenienza per applicare il cram-down.

Caso Gamma (Tizio) – Sovraindebitamento di un consumatore e concordato minore

Contesto: Tizio Gamma è un ex piccolo imprenditore edile di Roma, 65 anni, ora in pensione. Negli anni passati ha accumulato debiti personali per circa 250.000 €: mutuo residuo sulla casa 100k, varie carte di credito/finanziarie 50k, debiti con fornitori rimasti dalla sua vecchia ditta individuale 70k, debiti tributari (contributi e sanzioni) 30k. Da qualche anno Tizio ha chiuso l’attività e vive con una pensione modesta (€1.200/mese). Non riesce più a sostenere le rate e le finanziarie minacciano pignoramenti; Equitalia ha già iscritta ipoteca sulla casa per i debiti tributari. Tizio rischia di perdere l’unico immobile (prima casa).

Soluzione valutata: Si rivolge all’OCC locale tramite un avvocato. Dopo aver analizzato la situazione, emerge che la casa di Tizio vale circa 150k €, ma se venisse messa all’asta con l’ipoteca sopra probabilmente verrebbe svenduta e lui rimarrebbe comunque con debiti. Tizio vorrebbe evitare di perdere casa e provare a pagare una parte dei debiti col suo reddito. L’avvocato propone un concordato minore: Tizio può offrire ai creditori il 50% delle sue entrate mensili nette per 5 anni, e in aggiunta far entrare la figlia (lavoratrice) come garante per un contributo una tantum di 20k €. In totale, calcolano che potrà mettere a disposizione circa 50k € in 5 anni. I debiti sono 250k, quindi i creditori prenderebbero circa il 20%. In alternativa, se andassero via esecutiva sulla casa, forse prenderebbero qualcosa di più dalla vendita forzata, ma dipende.

Proposta ai creditori: Tramite l’OCC, Tizio propone: tenere la casa, continuare a pagare il mutuo residuo regolarmente (quindi la banca ipotecaria fuori dal piano, continua a essere pagata al 100% perché la rata del mutuo è sostenibile), e per gli altri debiti offrire complessivamente 50k € in 5 anni (il che equivale a circa il 25% medio di soddisfazione, distribuito pro quota tra i chirografari). L’Agenzia Entrate, per la parte di ipoteca secondaria che ha sulla casa, verrebbe soddisfatta con parte di quei 50k e contestualmente l’ipoteca verrebbe rimossa (tanto la casa rimane gravata dal mutuo primario). I creditori sono una decina: 3 finanziarie, 2 fornitori, l’Agenzia Entrate e l’INPS.

Votazione e omologa: Si attiva il concordato minore: il piano viene comunicato ai creditori. Alcuni creditori non rispondono (le finanziarie spesso non seguono attivamente queste procedure), uno dei fornitori vota sì, un altro fornitore e l’Agenzia Entrate votano no (lo Stato chiede il 100% di imposte, in teoria). Alla scadenza dei 30 giorni, facciamo conto che su 250k di crediti totali, hanno votato sì 100k, no 50k, e 100k non hanno risposto. Per il meccanismo del silenzio-assenso, i 100k silenti si aggiungono ai sì, quindi abbiamo 200k favorevoli vs 50k contrari: il piano è approvato (80% di sì). Il fornitore e l’Erario che avevano detto no presentano comunque opposizione all’omologa, lamentando che il 25% è poco e che Tizio avrebbe potuto magari vendere la casa per pagare di più. Il Tribunale però valuta che: (a) la casa è prima casa e comunque gravata da mutuo, la sua vendita forzata non avrebbe dato molto di più ai creditori chirografari; (b) il piano impegna il 50% della pensione di Tizio, che è ritenuto il massimo sostenibile perché deve pur vivere – quindi Tizio sta offrendo ai creditori tutto il suo surplus di reddito per 5 anni, un sacrificio notevole; (c) i creditori, prendendo il 20-25%, in caso di liquidazione forzata forse avrebbero preso uguale o meno, considerando costi e tempi. Inoltre Tizio è persona anziana e ha agito in buona fede (non ha sottratto beni, anzi coinvolge la figlia per offrire 20k). Il giudice omologa il concordato minore, superando l’opposizione dell’Erario perché reputa che la proposta verso il Fisco è equa (paga il dovuto per intero sul mutuo garantito dall’ipoteca – che di fatto “copre” il capitale d’imposta – e taglia sanzioni e interessi, il che è normale in transazione fiscale).

Esito: Tizio esegue il piano: per 5 anni versa metà della pensione su un conto controllato dall’OCC, e la figlia versa i 20k iniziali (derivati da un piccolo prestito che ha ottenuto). I creditori ricevono le loro quote. Tizio mantiene la proprietà della casa, fondamentale per lui e la moglie. Al termine dei 5 anni, il Tribunale dichiara l’esdebitazione di Tizio per tutto quanto non è stato pagato (restante 75% circa dei debiti). Tizio può finalmente vivere solo con il suo bilancio corrente, senza arretrati che lo tormentano. Questo caso mostra come, con l’aiuto di un legale e dell’OCC, un privato cittadino soffocato dai debiti possa uscire dalla situazione senza perdere la casa e con un compromesso accettabile per i creditori (che incassano qualcosina). L’avvocato qui ha dovuto in primis convincere il debitore a mettere a disposizione una parte del reddito e a fidarsi del procedimento, poi predisporre un piano sostenibile e condurre la negoziazione con creditori ostici come l’Erario. In assenza di ciò, Tizio forse sarebbe rimasto moroso con tutti e, prima o poi, avrebbe subìto pignoramenti e vendite all’asta, restando però con ancora debiti (perché l’asta avrebbe coperto in parte i crediti). Ora invece può godersi la pensione residua senza chiamate dei creditori.

Caso Delta S.r.l. – Fallimento con esdebitazione dell’imprenditore

Contesto: Delta S.r.l. era una piccola impresa commerciale in Lombardia, gestione familiare (padre e figlio soci). Nel 2020, complici la pandemia e alcuni crediti insoluti da clienti, Delta accumula debiti e nel 2022 viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale) su istanza di una banca. Il passivo accertato è di circa 500.000 € e l’attivo realizza solo 100.000 €. La procedura si chiude nel 2024 con un riparto finale ai creditori del 20%. I restanti 400.000 € rimangono insoddisfatti.

Situazione del titolare: Il socio amministratore, Sig. Delta, aveva anche prestato fideiussioni personali a favore della banca e di alcuni fornitori, ed è quindi co-obbligato per parte dei debiti sociali. Inoltre vanta ancora sul groppone debiti personali (un leasing auto, qualche debito fiscale personale). Dopo la chiusura del fallimento, formalmente i creditori potrebbero rivalersi illimitatamente su di lui per i debiti residui (soprattutto la banca, che sul fallimento ha preso solo il 20% del suo credito garantito parzialmente, potrebbe perseguire il fideiussore per il resto).

Richiesta di esdebitazione: L’avvocato del Sig. Delta predispone immediatamente un’istanza di esdebitazione rivolta al tribunale fallimentare. Argomenta che il Sig. Delta è meritevole: la causa del fallimento è stata principalmente la crisi Covid, lui non ha commesso irregolarità gravi (anzi ha cooperato col curatore, consegnando tutti i libri contabili e aiutando a vendere i beni). Non ha nascosto nulla e durante la procedura ha fatto il possibile (ha anche rinunciato a credito soci, ecc.). L’istanza specifica i debiti da cancellare (anche quelli personali extraconcordato, se connessi, vengono inclusi).

Decisione del tribunale: In applicazione dell’art. 278 CCII, dopo la chiusura della liquidazione il tribunale concede l’esdebitazione del Sig. Delta. Nessun creditore si oppone (ormai hanno visto che non c’è sangue da cavare dalle rape, il Sig. Delta è ripartito come dipendente altrove). La Corte dichiara dunque che tutti i debiti residui anteriori al fallimento sono cancellati nei confronti del Sig. Delta.

Esito: Il Sig. Delta, sollevato da un peso enorme, può finalmente ripartire: trova un lavoro come direttore commerciale in un’azienda concorrente, senza l’incubo delle fideiussioni. Dopo qualche tempo, valuta persino di aprire una nuova impresa (questa volta magari in forma di ditta individuale in un settore differente), sapendo che può farlo senza strascichi del passato. Per i creditori, la situazione non cambia molto (avevano già incassato il possibile dalla procedura; ora semplicemente non possono più perseguitare l’ex fallito per differenze). Ma per l’ex imprenditore è la differenza tra vivere e sopravvivere. La moglie del Sig. Delta commenta: “abbiamo perso l’azienda ma almeno non siamo marcati a vita dai debiti”. Questo caso mostra la funzione salvifica dell’esdebitazione introdotta dalla riforma e come l’avvocato sia fondamentale nel richiederla e ottenerla. Se Sig. Delta non fosse stato informato e assistito, magari i creditori avrebbero potuto provare a intimidirlo per recuperare qualcosa in più (anche se legalmente poco probabile). Così invece in pochi mesi dal termine del fallimento, il debitore ottiene nero su bianco la liberazione da ogni obbligo residuo. Il fresh start è servito.

14. Tabelle riepilogative

Per avere un colpo d’occhio sulle differenze tra le varie procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, presentiamo alcune tabelle riassuntive che ne confrontano i profili principali. Questi schemi aiutano a comprendere a quali condizioni il debitore (assistito dal suo avvocato) può accedere a ciascuno strumento, quali sono gli attori coinvolti e qual è l’esito tipico.

Tabella 1 – Confronto sintetico degli strumenti per imprese e per sovraindebitati

ProceduraChi la attiva (iniziativa)Voto dei creditori?Obiettivo / Esito principale
Composizione negoziata (CNC)Volontaria, solo il debitore (imprenditore commerciale); stragiudiziale riservata.No voto formale – accordi volontari mediati dall’esperto (adesione libera dei creditori).Risanamento stragiudiziale con accordi privati. Evitare procedure concorsuali; se fallisce, possibile accesso al concordato semplificato.
Accordo di ristrutturazioneVolontaria, debitore (imprese o debitori civili) con adesione di ≥60% dei crediti. Omologazione tribunale.No voto assembleare – serve accordo contrattuale ≥60% crediti, poi omologa (dissenzienti vincolati se c’è omologa).Ristrutturazione contrattuale dei debiti con efficacia erga omnes dopo omologa. Evitare il fallimento mantenendo gestione al debitore.
Piano di ristrutturazione omologato (PRO)Volontaria, debitore (imprese). Apertura tribunale con omologa finale.Sì, voto per classitutte le classi devono approvare (≥51% in ogni classe). Nessun cram-down interclassi.Risanamento flessibile con consenso totale: possibili deroghe alle prelazioni legali con accordo tra classi. Esito: piano omologato dal giudice vincolante per tutti, evita fallimento mantenendo continuità.
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)Volontaria, debitore (imprese soggette a fallimento). Ammesso da tribunale, poi omologato.Sì, voto creditori – maggioranza per classi e percentuali. Cram-down possibile: tribunale può omologare con alcune classi dissenzienti.Ristrutturazione o liquidazione concordata sotto controllo giudiziario. Evitare la liquidazione giudiziale, con spossessamento attenuato (debtor in possession vigilato). Se eseguito, debiti residui liberati.
Concordato “semplificato” (post-CNC)Volontaria, solo debitore dopo composizione negoziata fallita. Nomina liquidatore e omologa tribunale.No voto – creditori informati, possono opporsi; giudice omologa se piano ≥ liquidazione fallimentare.Liquidazione rapida concordata senza voto creditori. Debitore perde gestione (nomina liquidatore), ma evita fallimento se proposta conveniente. Chiude attività liquidando patrimonio.
Liquidazione giudiziale (fallimento)Su istanza debitore, creditori o PM. Imprese commerciali insolventi (non piccole).No voto – i creditori esercitano diritti individuali solo insinuandosi al passivo, distribuzione secondo legge.Liquidazione dell’attivo con spossessamento: curatore vende beni, riparto ai creditori secondo prelazioni (par condicio). Impresa cessata/chiusa. Persona fisica può ottenere esdebitazione finale.
Liquidazione controllata (sovraindebitati)Su istanza debitore oppure creditori/OCC (se debitore inerte). Debitori non fallibili insolventi (consumatori, imprese sotto soglia, ecc.).No voto – creditori presentano domande di credito, liquidatore vende beni, riparto secondo prelazioni (come un fallimento semplificato).Liquidazione del patrimonio del sovraindebitato: liquidatore nominato dal tribunale realizza l’attivo e paga creditori. Debitore persona fisica può chiedere esdebitazione (o esdebitazione incapiente ex art.283 CCII).
Concordato minore (sovraindebitamento)Volontaria, debitore non fallibile in crisi/insolvenza. Procedura OCC + omologa tribunale.Sì, voto creditori – maggioranza >50% crediti, silenzio-assenso considerato voto favorevole. Cram-down possibile se piano conveniente e rifiuti irragionevoli.Ristrutturazione dei debiti del sovraindebitato con accordo votato: pagamento parziale dei crediti secondo piano omologato. Evitare liquidazione, spesso conservando beni essenziali. Esdebitazione sul residuo dopo esecuzione piano.
Piano del consumatore (piano di ristrutturazione del consumatore)Volontaria, debitore persona fisica consumatore (non professionista) sovraindebitato. OCC + omologa tribunale.No voto dei creditori – decide il giudice sull’omologa, valutando meritevolezza e convenienza per creditori.Ristrutturazione debiti del consumatore senza coinvolgere attivamente i creditori: il giudice approva un piano di pagamento parziale se equo. Evitare liquidazione, lasciando al debitore mezzi per vivere dignitosamente.

Legenda: OCC = Organismo Composizione Crisi; PM = Pubblico Ministero; prelazioni = cause legittime di prelazione (privilegi, ipoteche, pegni). Si noti che le procedure “maggiori” (accordi, PRO, concordati) sono riservate alle imprese commerciali sopra soglia, mentre le procedure “minori” (concordato minore, liquidazione controllata, piano consumatore) riguardano piccole imprese e persone fisiche. La Composizione Negoziata è utilizzabile solo da imprenditori (anche agricoli) iscritti al Registro Imprese.

Tabella 2 – Durata indicativa e gestione (varia caso per caso, stime generali):

ProceduraDurata tipicaGestione dell’attività durante la procedura
Composizione negoziata~3-6 mesi (trattative, prorogabile su ok esperto/tribunale).Debitore in possesso totale. Esperto affianca ma non amministra; impresa prosegue attività autonomamente (con doveri di lealtà).
Accordo di ristrutturazione~4-8 mesi (raccolta firme + omologa).Debitore in possesso fino a omologa e oltre (non c’è sospensione attività). Nessun organo ausiliario salvo attestatore che valuta piano.
Concordato preventivoOrdinario: 6-12 mesi fino a omologa; esecuzione piano può durare anni (pagamenti rateali). Semplificato: ~4-6 mesi fino omologa, poi liquidazione rapida.In continuità: debitore in possesso ma sotto vigilanza commissario; liquidatorio: nominato liquidatore post-omologa (nel semplificato, direttamente). L’attività può proseguire sotto controllo o può cessare a seconda del piano.
PRO (piano ristrutt. omologato)~4-6 mesi (se procedure rapide di voto), simile a concordato ma senza commissario.Debitore in possesso (non c’è commissario). Impresa continua operatività normalmente fino all’omologa.
Liquidazione giudizialeMulti-anno: 2-5 anni la liquidazione beni (dipende da dimensione patrimonio).Curatore sostituisce debitore nella gestione. Impresa di norma cessa; possibile esercizio provvisorio temporaneo se utile per vendita. Debitore spossessato collabora.
Liquidazione controllata~2-4 anni (a seconda dell’attivo; procedure minori spesso più snelle).Liquidatore nominato gestisce e liquida i beni. Se attività d’impresa minima, può decidere di cessarla subito. Debitore persona fisica collabora ma non gestisce più i beni ceduti alla massa.
Concordato minore~6-12 mesi fino all’omologa; eventuale esecuzione del piano fino 4-5 anni (se pagamenti rateali).Debitore in possesso durante il piano (non c’è commissario pre-omologa, c’è un OCC/gestore). Se piano in continuità, prosegue attività sotto supervisione OCC; se liquidatorio in parte, liquidatore per quei beni.
Piano del consumatore~6-12 mesi fino omologa; pagamenti secondo piano (es. 3-5 anni di rate).Debitore mantiene gestione del proprio patrimonio sotto obblighi di attenersi al piano. OCC supervisiona ma non c’è spossessamento formale.

Le durate sono indicative: ogni caso concreto può subire accelerazioni o allungamenti (es. contenziosi su crediti, reclami, difficoltà di vendita beni possono prolungare le procedure). L’assistenza dell’avvocato è fondamentale per cercare di ridurre i tempi morti, rispettare le scadenze di legge e spingere per soluzioni rapide (ad esempio vendite competitive efficaci, definizione di transazioni, ecc.).

15. Conclusioni

Abbiamo attraversato l’intero “cantiere” della crisi d’impresa e dell’insolvenza: dalle prime luci gialle dell’allerta precoce fino al tramonto dell’insolvenza con la liquidazione e l’esdebitazione finale. Lungo questo percorso, il debitore non è solo: può e deve farsi accompagnare da figure professionali, prima fra tutte un avvocato esperto in diritto fallimentare, in grado di orientarlo tra strumenti vecchi e nuovi, tutelarne i diritti e costruire le soluzioni più adeguate.

Negli ultimi anni, complice la riforma e le nuove prassi, il ruolo di questo avvocato è divenuto ancor più centrale e sfaccettato. Non è più soltanto il legale che interviene dopo il dissesto per gestire un fallimento: è un consulente strategico che affianca l’imprenditore (o il privato indebitato) prima, durante e dopo la crisi, con un approccio olistico. Egli deve saper riconoscere i segnali di allarme e suggerire misure preventive; deve saper negoziare con banche e creditori magari meglio di un mediatore; deve saper redigere piani conformi alla legge e realisticamente fattibili, calandosi nei numeri insieme agli attestatori; e infine deve saper muoversi nelle aule giudiziarie fallimentari, che restano l’arena ultima dove si decidono i destini di molte imprese e persone.

Il punto di vista del debitore che abbiamo privilegiato in questa guida mostra come, di fronte alla crisi, esistano sì doveri e restrizioni, ma esistono anche molte opportunità legali di salvezza. Dall’accordo stragiudiziale più semplice al concordato più complesso, fino alla liberazione dai debiti post-fallimento, il filo conduttore è: il debitore onesto e proattivo viene aiutato dal sistema, mentre il debitore disonesto o passivo ne subisce le conseguenze peggiori. Un avvocato fallimentare di esperienza fa in modo che il proprio cliente rientri nella prima categoria: lo guida ad “agire subito” ai primi sintomi di crisi, a collaborare e comunicare trasparentemente, e a sfruttare tutti gli strumenti di legge per massimizzare le chance di risanamento o, se questo non è possibile, per minimizzare il danno e ripartire.

Possiamo concludere affermando che l’avvocato esperto in diritto fallimentare “fa” molte cose, ma soprattutto fa la differenza: la differenza tra un fallimento subìto e una crisi gestita, tra perdere tutto e salvare il salvabile, tra essere oppressi dai debiti a vita e avere invece, grazie alla legge, una seconda opportunità. Nella complessità tecnica delle norme, emerge dunque un concetto semplice e umanamente rilevante: ogni impresa o individuo in difficoltà può trovare una via d’uscita ordinata. E l’avvocato specializzato è il ponte tra quel problema (debiti, insolvenza) e la sua soluzione (accordo, piano, procedura), un ponte costruito su competenza giuridica, esperienza pratica e capacità di visione. Con il giusto supporto legale, la crisi diventa un evento da governare e non una catastrofe da subire – ed è proprio questo, in definitiva, ciò che un avvocato fallimentare fa per i suoi clienti.

Fonti (normative e giurisprudenziali)

Normativa vigente (Italia):

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022, come modificato dai decreti correttivi: D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 (attuazione Direttiva UE 2019/1023) e D.Lgs. 136/2024 (“Correttivo-ter”). Riferimenti principali: artt. 2 e 2086 c.c. (adeguati assetti e organi di controllo); artt. 13-25 (Composizione negoziata della crisi); artt. 25-bis – 25-novies (Allerta e segnalazioni); artt. 54-64 (Accordi di ristrutturazione dei debiti, incl. transazione fiscale art.63); artt. 64-bis – 64-quater (Piani di ristrutturazione soggetti a omologazione – PRO); artt. 84-120 (Concordato preventivo ordinario); art. 25-sexies (Concordato semplificato per liquidazione); artt. 121-270 (Liquidazione giudiziale e figure del fallimento); artt. 268-277 (Liquidazione controllata del sovraindebitato); artt. 74-83 (Concordato minore); artt. 278-283 (Esdebitazione, incl. esdebitazione del debitore incapiente ex art.283).
  • D.L. 24 agosto 2021, n.118 (conv. L. 147/2021) – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa post-pandemia. Ha introdotto: la Composizione Negoziata della Crisi e, come misura temporanea poi stabilizzata, il Concordato semplificato (artt. 2 e 3 DL 118/21).
  • Decreto Dirigenziale Min. Giustizia 28 settembre 2021 – Regolamento per la piattaforma telematica nazionale della Composizione Negoziata e criteri di nomina dell’esperto, compenso, ecc.
  • Decreto Dirigenziale Min. Economia 21 luglio 2022 – Parametri per le segnalazioni d’allerta dei creditori pubblici qualificati (art. 25-novies CCII). Esempi: soglia IVA non versata > €5.000 e >10% volume affari; soglia contributi INPS > €15.000, ecc..
  • Codice Civile: art. 2086, co.2 (obbligo assetti adeguati per l’imprenditore – introdotto dalla riforma con L.155/2017); art. 2477 c.c. (obbligo nomina organo di controllo nelle s.r.l. sopra soglia ridotta da D.Lgs.14/2019, rilevante ai fini dell’allerta interna); art. 2382 c.c. (cause di ineleggibilità a cariche per il fallito). Inoltre, art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale illimitata del debitore – base del principio di par condicio, con eccezioni introdotte per esdebitazione incapiente).
  • R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – Vecchia Legge Fallimentare, formalmente abrogata dal 15 luglio 2022 (salvo procedura pendenti iniziate prima). Rilevante per confronti storici e principi generali. Alcuni richiami: art. 160 L.F. (requisiti vecchio concordato), art. 182-bis L.F. (accordi di ristrutturazione), art. 67 L.F. (piani attestati di risanamento esenti da revocatoria), art. 142 L.F. (esdebitazione introdotta nel 2006).
  • Legge 27 gennaio 2012, n.3 (sovraindebitamento) – Ora abrogata e confluita nel CCII, ma utile per capire vecchi termini: piano del consumatore, accordo di composizione, liquidazione del patrimonio.
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – Sui quadri di ristrutturazione preventiva, insolvenza e remissione dei debiti. Recepita con D.Lgs.83/2022. Principi chiave recepiti: allerta precoce, protezione debitori onesti (fresh start entro 3 anni), omologazione di piani con classi dissenzienti (cram-down).

Giurisprudenza e prassi (selezione 2021-2025):

  • Tribunale di Vicenza, decreto 25 febbraio 2023Omologa di primo Piano di Ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO). Conferma che serve l’unanimità delle classi e legittima classi ad hoc per isolare creditori (es. creditore ipotecario soddisfatto integralmente e così privato del voto). Sottolinea il best interest test nel PRO: ogni classe dissenziente va comunque soddisfatta ≥ alternativa (liquidazione).
  • Tribunale di Udine, decreto 9 marzo 2023PRO con istanze di fallimento pendenti e Fisco dissenziente. Conferma accesso al PRO anche con fallimento chiesto da creditori/PM (strumento di ultima istanza per evitare il fallimento). Introduce concetto di “cram-down fiscale” di fatto nel PRO: se il Fisco vota no ma la classe chirografi approva e il piano offre al Fisco > liquidazione, l’omologa può essere concessa.
  • Tribunale di Napoli (Sez. Fall.), decreto 25 ottobre 2023Revoca ammissione concordato semplificato per abuso. Stabilisce che l’accesso al concordato semplificato ex art.25-sexies CCII non è automatico: se il debitore ha condotto trattative in CNC in mala fede o in modo non genuino, il giudice può revocare l’ammissione al semplificato e dichiarare il fallimento. Ribadisce esigenza di correttezza nelle trattative CNC come condizione per usare lo strumento semplificato.
  • Tribunale di Como, decreto 10 maggio 2024Omologa concordato semplificato con opposizione creditori. Conferma applicazione rigorosa del best interest test nel concordato semplificato: l’omologa richiede che i creditori non ottengano meno che in fallimento. Rileva che il semplificato è equiparabile a una liquidazione giudiziale semplificata e il giudice funge da garante degli interessi dei creditori, potendo imporre condizioni (depositi integrativi, nomina ausiliario) prima di omologa.
  • Corte di Cassazione – Sez. I Civile, sent. 17 febbraio 2022 n. 4696Accordi di ristrutturazione vs concordato: risoluzione e istanza di fallimento. Ha statuito che per gli accordi di ristrutturazione omologati non occorre una pronuncia giudiziale di risoluzione in caso di inadempimento: i creditori possono considerare l’accordo risolto e chiedere immediatamente il fallimento. Per il concordato, invece, è necessaria la risoluzione giudiziale ex art.119 CCII prima di poter dichiarare il fallimento. Diversità motivata dalla natura negoziale dell’accordo e recepita ora nell’art. 63 co.5 CCII.
  • Corte di Cassazione – Sez. I Civile, sent. 3 marzo 2022 n. 7344Cram-down fiscale e sindacato Cassazione. Ha affermato che il diniego dell’Erario in un concordato preventivo si impugna davanti al tribunale fallimentare (non al giudice tributario) – principio peraltro sancito già dall’art.48 L.F. e confermato dal CCII (competenza unitaria del giudice concorsuale). Inoltre, in punto di cram-down, ribadisce che il giudice dell’omologazione deve garantire ai dissenzienti almeno il valore di liquidazione (best interest test) e che la valutazione di convenienza è discrezionale, sindacabile in Cassazione solo per errore manifesto.
  • Corte di Cassazione – SS.UU. civili, sent. 15 giugno 2015 n. 9935Onere prova qualifica piccolo imprenditore. Pronuncia fondamentale (ante riforma) che chiarì che spetta al debitore provare il possesso congiunto dei requisiti di non fallibilità (sotto soglia) per evitare il fallimento. Principio di diritto confermato ora in ambito CCII per l’apertura della liquidazione giudiziale.
  • Corte di Cassazione – Sez. V Penale, sent. 30 aprile 2021 n. 15430Bancarotta semplice per tardiva richiesta fallimento. Stabilisce che l’amministratore che consapevolmente ritarda il ricorso a procedure concorsuali e aggrava il dissesto risponde di bancarotta semplice, anche se sperava in improbabile risanamento. Linea dura sul dovere di reagire tempestivamente alla crisi, in sintonia col nuovo art.2086 c.c.
  • Corte Costituzionale, sent. 6 aprile 2022 n. 67Legittimità esdebitazione “automatica” del fallito onesto. Ha dichiarato infonforme alle censure la norma (DL 137/2020, conv. L.176/2020) che introdusse l’esdebitazione di diritto a fine fallimento per il debitore persona fisica meritevole. Di fatto ha avallato l’orientamento pro-debitore del legislatore emergenziale, consolidato poi nel CCII (art.282 CCII).
  • Tribunale di Rimini, decreto 28 ottobre 2022Concordato minore: irrilevanza meritevolezza ex art.77 CCII. Ha chiarito che l’accesso al concordato minore non è subordinato a un giudizio di meritevolezza sul sovraindebitato, a differenza del precedente “piano del consumatore” che lo prevedeva. Il tribunale verifica solo fattibilità e assenza frodi; la meritevolezza inciderà semmai sull’esdebitazione finale.
  • Tribunale di Milano, ordinanza 7 ottobre 2022 (ex art.2409 c.c.)Allerta interna e obbligo organo di controllo. In un caso di società priva di collegio sindacale pur avendone superato le soglie, il tribunale ha nominato d’ufficio un revisore/sindaco, collegando la mancanza dell’organo al rischio di mancata emersione tempestiva della crisi. Segnale di come le norme societarie sugli assetti adeguati siano lette in funzione della prevenzione crisi (chi non si adegua può subire interventi giudiziari).

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Conclusione

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