Hai ricevuto un accertamento fiscale per fatture emesse da fornitori esteri con IVA applicata in modo errato? Ti stai chiedendo cosa fare se l’Agenzia delle Entrate ti contesta errori nella gestione dell’IVA intracomunitaria o extra-UE, anche se la fattura è stata emessa dal fornitore?
Gli errori IVA nelle operazioni con soggetti non residenti sono tra le cause più frequenti di accertamenti fiscali. Ma non sempre la responsabilità è tua, e in molti casi puoi difenderti e dimostrare la correttezza del tuo comportamento.
Cosa contesta il Fisco in caso di fatture da non residenti con IVA errata?
– Errata applicazione dell’IVA da parte del fornitore estero (es. IVA italiana indicata in fattura quando non dovuta)
– Omessa integrazione o autofattura da parte del cliente italiano
– Irregolarità nella registrazione della fattura nel registro IVA acquisti
– Violazioni delle regole sul reverse charge o sull’inversione contabile
– Mancata dichiarazione corretta nei modelli Intrastat o nell’esterometro
Chi è responsabile dell’errore IVA?
– Anche se l’errore è del fornitore estero, la responsabilità ricade spesso sul cessionario italiano
– L’impresa italiana deve conoscere le regole del trattamento IVA in caso di acquisti da non residenti
– In particolare, deve sapere quando applicare il reverse charge interno, l’autofattura per acquisti extra-UE, o l’integrazione per acquisti intracomunitari
Quali sono le conseguenze dell’accertamento?
– Recupero dell’IVA non versata (anche se formalmente indicata dal fornitore)
– Sanzioni per violazione degli obblighi contabili e dichiarativi
– Sanzioni proporzionali sull’IVA non correttamente assolta
– In certi casi, contestazioni per indebita detrazione dell’IVA a credito
Come puoi difenderti in caso di accertamento?
– Verifica se l’IVA era effettivamente dovuta e se l’errore è formale o sostanziale
– Dimostra la buona fede e l’assenza di danno erariale (soprattutto se hai versato comunque l’imposta)
– Verifica la correttezza della registrazione contabile e della dichiarazione IVA
– Presenta memorie difensive o istanze di autotutela
– In caso di sanzioni, valuta l’accesso al ravvedimento operoso o all’adesione per ridurre gli importi
– Se l’Agenzia ha commesso errori nell’accertamento, puoi impugnarlo davanti alla giustizia tributaria
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace?
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione delle sanzioni
– La non applicazione di interessi se il debito non è reale
– La tutela della tua posizione fiscale e il riconoscimento della correttezza del comportamento contabile
Gestire correttamente l’IVA con fornitori esteri è complesso, ma non sei senza strumenti. Anche in presenza di errori, se agisci con tempestività puoi evitare le sanzioni più gravi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e fiscalità internazionale ti spiega cosa fare se ricevi un accertamento per fatture da non residenti con IVA errata, quali sono le responsabilità e come difenderti legalmente.
Hai ricevuto una contestazione sull’IVA estera o sulle autofatture? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo i documenti e ti diremo se puoi difenderti, come correggere gli errori e come evitare danni alla tua impresa.
Introduzione
In Italia, quando un soggetto passivo riceve da un fornitore non residente una fattura con IVA italiana applicata erroneamente, si crea una situazione irregolare. Il meccanismo di territorialità dell’IVA prevede infatti che, per le operazioni B2B tra un non residente e un soggetto stabilito in Italia, l’imposta sia assolutamente dovuta in Italia tramite reverse charge (inversione contabile) e non dal cedente estero. In questo contesto, è essenziale comprendere le regole normative e procedurali per regolarizzare la fattura e difendersi in caso di accertamento fiscale. Questa guida, aggiornata a luglio 2025, esamina le norme italiane applicabili, la giurisprudenza recente e le circolari Agenzia, offrendo risposte approfondite e modelli di comportamento rivolti a professionisti, imprenditori e contribuenti.
Regole generali e territorialità IVA
In base al DPR 633/1972 e alla normativa UE, per le operazioni B2B con soggetti non residenti la tassazione avviene nel paese del committente. Perciò, se un’impresa italiana acquista beni o servizi dall’estero (sia UE sia extra-UE), l’IVA non deve essere addebitata dal fornitore straniero, ma è il cessionario italiano che autofattura o integra il documento tramite il meccanismo dell’inversione contabile. In particolare, l’art. 17, comma 2, DPR 633/72 dispone che il cessionario integra in fattura l’imposta laddove il cedente non è stabile in Italia. Per gli acquisti intracomunitari di beni si applica inoltre l’art. 46 del D.L. 331/1993 (integr. art.17), mentre per servizi B2B non comunitari si usa l’art. 7-ter del DPR 633/72: in ogni caso, l’IVA va “autofatturata” dal committente italiano a debito e portata in detrazione simultaneamente. In sintesi, il soggetto passivo italiano deve sempre mettere in atto il reverse charge per evitare di assolvere indebitamente l’imposta all’estero. Le istruzioni dei modelli di fatturazione elettronica (nuovo campo TD28) e le circolari Agenzia entrate (ad es. circ. 14/E/2010) ricordano che l’adempimento principale del committente è registrare la fattura estera tramite autofattura/integrazione.
Fatture errate da non residenti: scenario tipico
Può però capitare che il fornitore estero, per errore o inconsapevolezza, emetta ugualmente una fattura con IVA italiana. Ciò accade soprattutto se il cedente estero è identificato in Italia (direttamente o tramite un rappresentante fiscale) e pensa di dover applicare l’imposta locale. In tali casi, la fattura estera risulta “irregolare” ai fini IVA. Come chiarito dalla Ris. 21/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate, una fattura emessa dal rappresentante fiscale estero con la sola partita IVA italiana va considerata come non emessa ai fini del tributo: il cessionario italiano deve richiedere al fornitore estero il documento corretto o, se impossibile, provvedere autonomamente via autofattura. In ogni caso, l’IVA non dovrebbe essere pagata al fornitore straniero, perché la territorialità dell’imposta è in Italia e spetta al committente italiano assolverla via reverse charge. Ricevere invece una fattura con IVA applicata dall’estero determina una situazione irregolare per il cessionario: se questi la detrae o la versa al fornitore, commette un’assolvimento indebito dell’imposta.
Sanzioni per dichiarazione errata e obblighi di integrazione
La normativa sanzionatoria prevede pene specifiche per queste violazioni. L’art. 6 co. 11 del D.Lgs. 471/1997 punisce con una sanzione fissa da €500 a €10.000 il cessionario che omette di eseguire l’inversione contabile dovuta (ad esempio non autofattura né integra). Tuttavia l’art. 6 co. 12 (introdotto dalla legge di bilancio 2024) stabilisce una disciplina ad hoc quando il cedente abbia erroneamente versato l’IVA: in questo caso il cessionario non è tenuto a pagare l’imposta, ma è comunque punito con una sanzione amministrativa da €250 a €10.000. La norma prevede anche la solidarietà di pagamento tra cedente e cessionario: entrambi rispondono della sanzione se il fornitore ha addebitato in errore l’IVA. In sostanza, se il non residente applica l’IVA per errore (fuori dai casi di IVA dovuta), il compratore italiano subisce lo stesso una sanzione, sebbene resti confermato che non deve versare tale imposta.
Le tabelle seguenti riassumono le ipotesi principali:
Situazione | Comportamento corretto | Sanzione (art.6, DLgs.471/97) |
---|---|---|
Fattura estera senza IVA (corretta) | Acquirente applica reverse charge (integra/autofattura) | Nessuna, operazione regolare |
Fattura estera con IVA italiana errata | Acquirente non versa IVA; documenta con reverse charge | Da €250 a €10.000 (art.6 co.12: errato assolvimento) |
Acquirente omette di integrare/autofatturare (normale RC) | Acquirente integra/autofattura regolarmente | €500–10.000 (art.6 co.11: omissione inversione) |
Esente/non imponibile fatturato con RC (inesistenti) | Revoca RC in contabilità, IVA espunta (red. 5% min €1.000) | 5% dell’imponibile (art.6 co.14: operazioni inesistenti) |
Queste sanzioni sono distinte da quelle per dichiarazioni infedeli o omissioni documentali generiche. In particolare, l’art. 6 co. 12 garantisce la neutralità dell’IVA: anche quando il cedente errato ha versato l’imposta, il cessionario può esercitare il diritto alla detrazione sottostando alle condizioni del periodo originario e può chiedere rimborso dell’IVA non dovuta secondo l’art. 30-ter DPR 633/72.
Regolarizzazione della fattura errata
Davanti a una fattura errata con IVA, il contribuente deve innanzitutto evitare di versare o detrarre l’imposta indicata. Le azioni concrete di regolarizzazione sono le seguenti:
- Richiesta di rettifica al fornitore estero: contattare il cedente non residente e chiedere una nota di variazione in diminuzione dell’IVA addebitata o una nuova fattura senza IVA, in modo che l’operazione sia documentata correttamente. Se il cedente non collabora, il cessionario può emettere internamente la documentazione necessaria (vedi punto successivo).
- Reverse-charge interno (TD28): in ogni caso, l’acquirente annota in contabilità la fattura integrata con IVA a debito (self billing) e quindi la detrae in dichiarazione seguendo il pro-rata di deducibilità vigente. Con la fatturazione elettronica, si usa il tipo documento TD28 per comunicare al Sistema d’interscambio (SdI) la ricezione di fattura estera irregolare: tuttavia, come chiarito dalle Entrate durante il Telefisco 2024, il solo invio del TD28 non rappresenta una sanatoria fiscale. Serve invece il ravvedimento operoso: il cessionario versa spontaneamente la sanzione ridotta (€250) (art.6 co.9-bis1 DLgs.471/97) contestualmente alla dichiarazione IVA o con modello F24, autocertificando l’errore. L’Agenzia Entrate ha infatti precisato che, per “regolarizzare” l’operazione, l’acquirente italiano deve effettuare un ravvedimento pagando la sanzione in misura ridotta.
- Autofattura per intero imponibile: se il fornitore non può rettificare, il cessionario emette una autofattura (art.17 DPR 633/72) del solo imponibile estero, escludendo l’IVA. In questo caso non si detrae alcuna IVA (in pratica la fattura estera con IVA è trattata come un documento inesistente ai fini dell’imposta). La soluzione operativa è poco pratica, ma azzera il rischio di dedurre indebitamente. La prassi consiglia, in alternativa, di emettere autofattura indicando l’imponibile dell’operazione e l’IVA pagata come “onere accessorio” (senza detrarre nulla), precisando in calce la regolarizzazione effettuata.
- Annotazione nei registri: tutte le fatture estere e gli eventuali documenti autofattura devono essere annotati nei registri IVA acquisti e vendite (o acquisti) come previsto dall’art.25 e art.23 DPR 633/72, specificando nei DatiFatturaCollegate il numero della fattura originaria dell’estero.
In sintesi, il contribuente italiano deve comportarsi come se l’operazione fosse stata soggetta a reverse-charge fin dall’origine. Le Entrate sottolineano che l’AFFIDAMENTO sul meccanismo del TD28 riguarda solo la comunicazione di dati, mentre la regolarizzazione vera e propria avviene mediante ravvedimento. Dopo il versamento della sanzione ridotta (art.6 co.9-bis1), il contribuente potrà considerare la vicenda definita, fermo restando che manterrà il diritto a detrarre – nei limiti del pro-rata applicabile – l’IVA “riversata” dal fornitore non residente come da art.60 DPR 633/72, e potrà chiedere eventualmente il rimborso dell’imposta indebitamente versata secondo i termini di cui all’art.30-ter.
Accertamento fiscale: come difendersi
Qualora l’Agenzia delle Entrate attivi un controllo (verifica o accertamento) segnalando la detrazione indebita dell’IVA sulla fattura estera, il contribuente deve predisporre memorie difensive articolate. Il punto centrale è dimostrare che l’errore non è stato volontario e che il contribuente ha agito secondo quanto gli era possibile:
- Colpevolezza del cedente: evidenziare che l’IVA indicata in fattura è frutto di un errore del fornitore non residente identificato in Italia, che ha emesso “falsa” fattura senza necessità. Citare la Ris. 21/E/2015 che qualifica tale documento come irrilevante ai fini IVA e ribadire che la territorialità dell’operazione impone il reverse charge al cessionario. Si può sostenere che il cessionario, appena accortosi dell’anomalia, ha tempestivamente messo in atto le procedure di regolarizzazione sopra descritte (es. emissione autofattura e ravvedimento), anche se l’Agenzia non le aveva ancora normativamente specificate.
- Principio di neutralità dell’IVA: ricordare che il sistema IVA è neutrale per i soggetti passivi. Il contribuente può richiamare il diritto alla rivalsa ex art.60 DPR 633/72, che consente di recuperare l’IVA accertata in vigenza dell’originaria operazione. In pratica, se il cedente dovesse chiedere poi rimborsare l’IVA, il cessionario ha diritto di detrazione secondo le regole del periodo originario, e comunque potrà chiederne il rimborso ai sensi dell’art.30-ter. Questi rimedi garantiscono che l’imposta gravi solo sul consumatore finale, non sul contribuente.
- Elementi formali della fattura: secondo Cass. 3225/2025, per detrarre o applicare il reverse charge la fattura deve contenere tutti i dati essenziali (entità, natura e data del servizio). Se la fattura estera è generica o manca di elementi, si ribadisce che essa non prova la reale esistenza dell’operazione ai fini IVA (Cass. 3225/2025). Il contribuente deve quindi dimostrare di avere già contabilizzato correttamente l’operazione (inverse-charge e autofatturazione) ed esibire tutti i documenti integrativi emessi.
- Operato collaborativo: nel testo di risposta o memoria, è utile precisare di avere informato il Fisco tempestivamente (ad es. con comunicazione entro 90 giorni) e di aver provveduto al ravvedimento. L’art.6, comma 11 (primo periodo), prevede che la sanzione minima si applica solo se il cedente non emette fattura o la emette irregolare e il cessionario non ne informa l’Ufficio entro 90 giorni ed emette lui fattura integrativa. Far emergere questa condotta di buona fede attenua la posizione dell’acquirente.
- Principio di massima affidabilità: sottolineare che il contribuente ha fatto affidamento su un documento apparentemente regolare (fattura con P.IVA valida) e che ha agito seguendo le disposizioni allora vigenti. Se possibile, includere nello scritto precisi riferimenti legislativi (art.17 DPR 633/72, art.6 DLgs 471/97, circ.35/E/2013) e decisioni simili (p.es., Cass. 3225/2025 sulla necessità di fatture complete).
Un modello schematico di lettera di difesa al verbale di constatazione o avviso di accertamento potrebbe essere il seguente:
“Alla spett.le Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di […], in riferimento all’avviso di accertamento n. …/… notificatoci in data XX/XX/XXXX, riguardante l’operazione in oggetto, si osserva quanto segue. In data … è stata ricevuta fattura dal fornitore estero [dati], contenente erroneamente l’addebito di IVA italiana per €… (riferita alla prestazione eseguita in Italia). Tale documento, come precisato dalla risoluzione n.21/E/2015, deve essere considerato inesistente ai fini IVA, in quanto la cessione B2B era da assoggettare a reverse charge. Conseguentemente, si è tempestivamente proceduto a emettere autofattura internamente (o ad integrare il documento) in maniera conforme al D.P.R. 633/1972, registrandola nei registri IVA nei termini di legge. In forza del meccanismo dell’inversione contabile (art.17, DPR 633/72), abbiamo liquidato l’IVA a debito e detratto l’imposta nella dichiarazione del periodo, applicando il pro-rata di deducibilità vigente.
Inoltre, nell’ottica della neutralità dell’imposta, precisiamo che l’eventuale IVA versata indebitamente al fornitore estero potrà essere recuperata a mezzo rimborso ex art.30-ter DPR 633/72 o tramite rivalsa dell’IVA accertata (art.60 DPR 633/72). Ai fini dell’applicazione di sanzioni, va ricordato che la stessa norma 471/1997 (comma 12) prevede per l’errato assolvimento da parte del cedente una sanzione ridotta (250–10.000€) che, per legge, grava anche sul cessionario. Considerato il carattere non doloso della violazione (il contributore ha semplicemente fatto fede a un documento apparente) e l’adozione di tutte le misure correttive possibili, si chiede di voler valutare l’eventuale riduzione delle sanzioni applicate, conformemente al principio di ragionevolezza. In ogni caso, si è provveduto a regolarizzare la posizione mediante ravvedimento operoso del tributo e delle sanzioni, come da ricevuta allegata, in ossequio alla circolare 35/E/2013.”
Questo schema risponde ai rilievi tecnici, focalizzando su: non responsabilità volontaria del contribuente, rispetto (per quanto possibile) delle procedure IVA, eccezioni normative a difesa della neutralità tributaria, e documentazione a supporto.
Tabelle riepilogative e check-list
- Regolarizzazione tecnica:
- Se possibile, ottenere dal fornitore estero una nota di variazione IVA in diminuzione o nuova fattura senza IVA.
- In alternativa, emettere autofattura (art.17 DPR 633/72) per il solo imponibile; non detrarre l’IVA erroneamente indicata.
- In sede di fatturazione elettronica, usare il TD28 per comunicare l’operazione al Sistema d’Interscambio, ma effettuare il ravvedimento pagando €250 di sanzione (art.6, co.9-bis1, Dlgs.471/97).
- Annotare nei registri IVA l’autofattura/integrazione e l’eventuale documento originario estero (anche se “non emesso” ai fini IVA).
- Verifiche in contabilità:
- Controllare di non aver erroneamente portato in detrazione l’IVA estera; se ciò è avvenuto, rettificare con nota integrativa o annotazioni in dichiarazione.
- Verificare l’applicabilità del pro-rata di detraibilità dell’IVA: in presenza di operazioni prevalentemente esenti, solo una frazione potrebbe essere detratta.
- Se in passato si è già versata indebitamente l’IVA al fornitore, considerare di esercitare il diritto al rimborso (art.30-ter DPR 633/72).
Domande frequenti | Risposte |
---|---|
Devo pagare l’IVA se il fornitore estero l’ha addebitata erroneamente? | No. L’IVA da operazioni B2B è territorialmente dovuta in Italia tramite reverse-charge: l’acquirente italiano provvede a integrare/autofatturare. |
Cosa rischio se ho detratto quell’IVA? | Ti applicano una sanzione fissa da €500 a €10.000 (art.6 co.9-bis1 D.Lgs.471/97), poiché si configura una detrazione indebitamente avvenuta. È consigliabile ravvedersi pagando €250 (co.9-bis1) per ridurre la multa. |
Posso usare il nuovo documento TD28? | Sì, ma solo per adempiere all’obbligo di comunicazione (esterometro). L’Agenzia ha chiarito che il TD28 non regolarizza di per sé l’errore: serve comunque il ravvedimento. |
Posso chiedere rimborso dell’IVA pagata? | Sì, ex art.30-ter DPR 633/72 entro 2 anni dal versamento. La prassi Agenzia richiede di identificare come “presupposto” il momento in cui l’ufficio definisce gli accertamenti del cedente (vedi Risposta n.20/2024). |
Quali modelli di risposta preparare? | Una memoria difensiva (o email formale) che evidenzi i riferimenti normativi (DPR 633/72, 471/97, Ris. 21/E/2015, art.60) e la documentazione di regolarizzazione (autofatture, ricevute di pagamento della sanzione). Allegare le note di variazione o conferme del fornitore estero, se disponibili. |
Simulazioni pratiche
Esempio 1: Servizi UE non reverse-charge
Un’impresa italiana acquista servizi da un fornitore tedesco che è direttamente identificato in Italia. Il fornitore, per errore, emette fattura €1.000 + IVA 22% (€220) = €1.220. In realtà, essendo B2B, l’IVA non doveva essere applicata: l’acquirente avrebbe dovuto integrare €1.000 con €220 a debito e crediti (reverse-charge).
Regolarizzazione: l’italiana chiede credito nota al tedesco. Non ottiene risposta, quindi emette autodocumento per €1.000 (IVA 22% a debito) e versa €50 di sanzione (€250 ridotta) via F24 (art.6 co.9-bis1). In contabilità: |Acquisti|€1.000|, |IVA a debito|€220|, |IVA a credito|€220|. L’imposta inizialmente pagata (€220) non viene detrata. Se già detratta, viene rimossa. Con questa procedura, l’IVA è stata correttamente assolta e gli oneri sanzionatori minimi.
Esempio 2: Acquisto extra-UE senza pagamento IVA
Un’azienda italiana acquista merci da un fornitore statunitense con rappresentante fiscale in Italia. La fattura (emessa in Italia) riporta per errore IVA 22%.
Regolarizzazione: il compratore non paga tale IVA e richiede conferma al venditore. Nel frattempo, emette autofattura dell’intera operazione: in contabilità registra €1.000 imponibile e €220 IVA a debito e a credito (reverse). Determina la sanzione di €250 e la versa. Poiché l’IVA estera errata non è stata versata, la risulta in regola (e potrà detrarre solo una quota se applicabile il pro-rata). Se fosse stata pagata e detratta, deve riconoscere €220 come spesa non deducibile e versare comunque la sanzione.
Esempio 3: Piattaforma estera (ordini minimi)
Un libero professionista acquista servizi digitali per €80 da un venditore estero che applica erroneamente IVA italiana di €17.60. Poiché la base è esigua, il pro-rata non è un problema (non detrae normalmente), ma rischia comunque una multa minima di €250. Scoperto l’errore, il professionista emette autofattura per €80 e decide di assolvere volontariamente €27 (sanzione con ravvedimento ridotto). In questo modo, avrebbe dovuto pagare €25 di IVA in reverse-charge (22% di 80); invece il venditore ha già incassato €97.60. Il professionista rimborsa l’IVA di rivalsa (€17.60) tramite autodocumento (detraendone solo l’eventuale quota ammessa) e versa €25 di tributo, evitando la sanzione piena. Alla fine ha versato €25 di IVA contro i €17.60 già pagati al venditore, ed evitato la sanzione.
Conclusioni
Ricevere da un fornitore estero una fattura con IVA italiana applicata per errore crea una complessa situazione fiscale per il debitore italiano. È fondamentale agire prontamente: non versare né detrarre quell’IVA, procedere alla regolarizzazione tramite autofattura/reverse-charge e ravvedimento, e documentare ogni passaggio. In caso di accertamento, il contribuente deve fondare la propria difesa sulla normativa vigente (art.17 DPR 633/72, art.6 DLgs.471/97) e su risoluzioni dell’Agenzia (ris.21/E/2015) che considerano “inesistente” ai fini IVA la fattura errata. Le più recenti pronunce (Cass. n.3225/2025) ribadiscono l’importanza della correttezza formale e della natura effettiva delle operazioni. Applicando scrupolosamente il reverse-charge interno e gli istituti di correzione spontanea, il cessionario minimizza i rischi di sanzioni e garantisce il rispetto del principio di neutralità dell’IVA.
Fonti normative e giurisprudenziali
- DPR 633/1972 (Testo Unico IVA): art.17 (reverse charge interno) e art.60 (diritto di rivalsa).
- D.Lgs. 471/1997: art.6 commi 9-bis1 e 9-bis.12 (sanzioni per inversione contabile).
- DL 30/8/1993 n.331: art.46-47 (acquisti intracomunitari).
- Agenzia Entrate: Risoluzione n.21/E/2015 (fatture da rappresentante fiscale estero); Risposta interpello n.20/2024 (recupero IVA pagata per rivalsa); Telefisco 2024 (chiarimenti su TD28 e ravvedimento).
- Giurisprudenza: Cass. 8/2/2025 n.3225 (dettagli di fattura e idoneità probatoria).
- Cortile tributari: ordinanze interlocutorie Cass. n.27674-27676/2020 su art.6 co.9-bis3 (operazioni inesistenti con RC).
Fatture da non residenti con IVA errata e accertamento? Fatti Difendere da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento per operazioni con fornitori esteri?
L’Agenzia delle Entrate contesta errori nell’IVA applicata o nella registrazione di fatture da non residenti?
Le operazioni intracomunitarie ed extra-UE sono soggette a regole fiscali complesse. Errori nella gestione dell’IVA — come applicazione indebita dell’imposta, omessa integrazione o errata autofattura — possono portare a sanzioni, recuperi e accertamenti. Ma puoi difenderti, se assistito da un esperto.
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Conclusione
Un errore sull’IVA nelle operazioni estere non significa automaticamente evasione o frode.
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