Hai trasferito la tua residenza all’estero e temi che l’Agenzia delle Entrate possa contestarti la residenza fiscale in Italia? Ti stai chiedendo quali controlli vengono effettuati e quando si rischia di essere considerati ancora residenti in Italia nonostante l’iscrizione all’AIRE?
Trasferirsi all’estero non basta per evitare la tassazione italiana. L’Agenzia delle Entrate può avviare controlli approfonditi per verificare se sei davvero un residente estero o un contribuente italiano a tutti gli effetti.
Quando si è considerati fiscalmente residenti in Italia?
– Se si è iscritti all’anagrafe della popolazione residente per più di 183 giorni
– Se si ha domicilio in Italia, cioè il centro dei propri interessi familiari e affettivi
– Se si ha residenza di fatto, cioè la presenza fisica stabile in Italia per la maggior parte dell’anno
– Se si ha in Italia il centro principale degli interessi economici
Cosa verifica l’Agenzia delle Entrate?
– La presenza effettiva sul territorio italiano, anche tramite tracciamenti di accessi, utenze, spese sanitarie
– La residenza anagrafica (Italia o estero) e l’iscrizione all’AIRE
– Le spese sostenute in Italia: affitti, bollette, spese scolastiche, utenze, auto intestate
– I conti correnti esteri, le movimentazioni bancarie e l’utilizzo di carte estere sul territorio italiano
– Il mantenimento di legami familiari e personali in Italia
– La mancata compilazione del quadro RW per attività estere
Quali strumenti utilizza l’Agenzia delle Entrate per i controlli?
– Scambio automatico di informazioni tra Paesi (CRS – Common Reporting Standard)
– Anagrafe dei rapporti finanziari e accesso ai dati bancari
– Redditometro e controlli sugli elementi di capacità contributiva
– Segnalazioni da parte di autorità estere o italiani residenti
– Incrocio dati con INPS, Agenzia delle Entrate Riscossione, Comuni, compagnie aeree e operatori telefonici
Cosa rischi se vieni considerato residente fiscale in Italia?
– L’imposizione fiscale su tutti i redditi ovunque prodotti nel mondo
– Accertamenti per omessa o infedele dichiarazione dei redditi esteri
– Sanzioni dal 90% al 180% delle imposte non versate
– Interessi di mora, iscrizione a ruolo e cartelle esattoriali
– Procedimenti penali in caso di reati tributari (es. dichiarazione fraudolenta)
Come difendersi da un accertamento?
– Dimostra la tua effettiva permanenza all’estero: contratto di affitto, bollette, biglietti aerei, buste paga
– Documenta il distacco dal territorio italiano: chiusura utenze, dismissione di beni immobili, cessazione attività
– Verifica la regolarità dell’iscrizione AIRE
– Controlla la correttezza delle dichiarazioni fiscali presentate
– In caso di contestazioni, prepara una difesa documentata e attiva i rimedi previsti per il contraddittorio preventivo
Vivere all’estero non significa automaticamente essere esonerati dalla fiscalità italiana. Se l’Agenzia ritiene che i tuoi interessi vitali siano rimasti in Italia, può tassarti come residente e avviare accertamenti molto pesanti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e contenzioso con l’Agenzia delle Entrate ti spiega quali sono i controlli sui residenti esteri, cosa puoi fare per dimostrare la tua reale residenza fuori dall’Italia e come difenderti in caso di accertamento.
Hai ricevuto una richiesta di documentazione o un avviso da parte del Fisco? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione e ti diremo se rischi un’accertamento per residenza fittizia e come dimostrare la tua estraneità fiscale all’Italia.
Introduzione
Sempre più cittadini italiani vivono, lavorano o investono all’estero. Questa mobilità internazionale ha importanti implicazioni fiscali: l’Agenzia delle Entrate (AE) presta particolare attenzione ai cosiddetti residenti all’estero, per verificare che non stiano eludendo il fisco italiano. Negli ultimi anni, i controlli si sono intensificati e affinati, complice l’aumento dello scambio internazionale di informazioni finanziarie e l’evoluzione normativa recente. Nel punto di vista del contribuente (debitore), ricevere un accertamento fiscale dall’Italia mentre si risiede fuori dal Paese può generare incertezza e timori. È quindi fondamentale capire quali sono i controlli che l’Agenzia può effettuare sui residenti all’estero, quali norme li disciplinano, e come tutelarsi.
Questa guida, aggiornata a luglio 2025 con le più recenti novità normative e giurisprudenziali, offre un’analisi approfondita e di livello avanzato (adatta ad avvocati, imprenditori e privati cittadini) sul tema dei controlli fiscali verso chi risiede all’estero. Il taglio è giuridico ma divulgativo: spiegheremo i concetti chiave con linguaggio chiaro, fornendo riferimenti normativi, prassi e sentenze aggiornate. Troverete inoltre tabelle riepilogative che confrontano regimi fiscali e criteri di residenza, domande e risposte su casi pratici frequenti e alcune simulazioni di situazioni tipiche, il tutto dal punto di vista del contribuente che deve far valere la propria posizione.
Inizieremo delineando la normativa italiana sulla residenza fiscale, completamente riformata dal 2024, per poi analizzare le diverse tipologie di residenza estera (ad esempio in Paesi UE, extra-UE o paradisi fiscali) e i relativi obblighi tributari. Successivamente descriveremo come l’Agenzia delle Entrate effettua i controlli, quali strumenti investigativi utilizza (dalle liste di monitoraggio AIRE allo scambio automatico di informazioni finanziarie) e quali elementi possono far scattare un accertamento. Verranno esaminate le conseguenze in caso di accertamento (tassazione retroattiva, sanzioni amministrative e profili penali) e le strategie difensive a disposizione del contribuente: dall’onere della prova per dimostrare la residenza estera effettiva, alle procedure di impugnazione degli atti fiscali. Infine, una sezione FAQ con domande comuni chiarirà dubbi pratici, mentre le tabelle riepilogative sintetizzeranno i punti chiave (criteri di residenza prima/dopo la riforma, confronto residenti vs non residenti, strumenti di controllo, ecc.).
Importanza pratica: conoscere in dettaglio questi aspetti consente di prevenire contestazioni fiscali (ad esempio curando l’iscrizione all’AIRE e mantenendo prove solide del trasferimento all’estero) e di affrontare efficacemente eventuali accertamenti già avviati. La materia coinvolge principi di fiscalità internazionale (come il worldwide taxation italiano e le Convenzioni contro le doppie imposizioni) e richiede di bilanciare forma e sostanza: non basta infatti trasferire la residenza anagrafica, occorre trasferire il proprio centro di vita all’estero per perdere la residenza fiscale italiana. Approfondiamo dunque la disciplina vigente e i controlli dell’Agenzia delle Entrate sui residenti all’estero.
La residenza fiscale: criteri e normativa vigente
Il primo passo è chiarire quando una persona è considerata fiscalmente residente in Italia, poiché da ciò dipende la tassazione dei redditi. L’ordinamento italiano basa il prelievo sul principio della tassazione mondiale (worldwide taxation): i soggetti residenti sono tassati su tutti i redditi ovunque prodotti, mentre i non residenti sono tassati solo sui redditi prodotti in Italia. Pertanto, la distinzione tra residente e non residente è cruciale e viene stabilita dall’art. 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, D.P.R. 917/1986).
Criteri legali fino al 2023: Fino al 31 dicembre 2023, la norma (art. 2, co. 2 TUIR previgente) prevedeva che una persona fisica fosse residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni l’anno), ricorreva alternativamente uno dei seguenti criteri:
- Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente (residenza anagrafica in un Comune italiano);
- Domicilio in Italia ai sensi del Codice Civile (art. 43 c.c.), inteso come la sede principale degli affari e interessi;
- Residenza in Italia ai sensi del Codice Civile, ovvero la dimora abituale nel territorio italiano (art. 43 c.c., co. 2).
Era sufficiente il verificarsi di uno di questi elementi per più di metà anno perché scattasse la residenza fiscale italiana. In aggiunta, l’art. 2, co. 2-bis TUIR prevedeva una presunzione legale relativa: i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe residente (espatriati) e trasferiti in Stati a fiscalità privilegiata (cioè nei Paesi inclusi in apposita black list ministeriale) erano comunque considerati residenti in Italia, salvo prova contraria. Tale presunzione nasce per contrastare i trasferimenti fittizi verso paradisi fiscali: il contribuente può provare di essere realmente estero, ma l’onere della prova grava su di lui.
Riforma dal 2024: In attuazione della delega per la riforma fiscale (L. 111/2023), il D.lgs. 27 dicembre 2023 n. 209 ha ridefinito i criteri di residenza fiscale per persone fisiche e società, allineandoli alle migliori pratiche OCSE e aumentando la certezza giuridica. Le modifiche, in vigore dal periodo d’imposta 2024, hanno mantenuto l’impianto generale ma con novità sostanziali. In particolare, il novellato art. 2, co. 2 TUIR (come interpretato dalla Circolare AE n. 20/E del 4.11.2024) prevede che una persona fisica è residente fiscale in Italia (sempre se permane per >183 giorni l’anno) quando ricorre almeno uno dei seguenti criteri:
- Iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente in Italia: questo resta un criterio formale, ma diviene presunzione relativa. Dal 2024, essere iscritti all’anagrafe italiana non vincola in modo assoluto: il contribuente può dimostrare il contrario (ossia di non avere domicilio, residenza né presenza in Italia per la maggior parte dell’anno). In altre parole, la semplice mancata iscrizione AIRE (quindi la permanenza nelle liste anagrafiche italiane) non è più una presunzione assoluta di residenza fiscale, bensì un indizio forte ma superabile con prove. Ciò tutela chi, pur avendo tardato ad aggiornare l’AIRE, vive stabilmente fuori dal Paese. Resta invece immutata la presunzione relativa per i trasferimenti in paradisi fiscali (art. 2 co. 2-bis TUIR), su cui torneremo a breve.
- Domicilio in Italia (criterio sostanziale): qui sta una delle maggiori novità. Il riferimento al domicilio civilistico è stato sostituito da una nozione fiscale autonoma di domicilio, focalizzata prevalentemente sulla sfera personale. Ora, ai fini tributari, “per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”. Viene quindi privilegiato l’aspetto personale-familiare rispetto a quello economico: ciò risolve incertezze interpretative passate, in cui si dibatteva se contassero di più gli interessi economici (es. lavoro, affari) o quelli familiari. Dal 2024, per individuare il domicilio fiscale, si guarda principalmente a dove la persona ha i propri legami affettivi, familiare e sociali stabili. Ad esempio, la presenza del coniuge/partner o dei figli, la convivenza stabile o altre relazioni personali radicate in un luogo, assumono rilievo primario. Rimangono comunque validi – in via subordinata – gli elementi economici (attività lavorativa, patrimonio) se utili a individuare il centro degli interessi, ma non prevalgono più sulla sfera personale.
- Residenza in Italia ai sensi del codice civile: è il criterio invariato, corrispondente alla dimora abituale (art. 43, co. 2 c.c.). Significa il luogo in cui la persona vive abitualmente, ovvero ove trascorre di fatto la sua quotidianità. La riforma non ha modificato questa nozione, né la relativa interpretazione: restano validi i chiarimenti giurisprudenziali e di prassi accumulati negli anni. In pratica, l’accertamento della residenza civilistica continua a basarsi su elementi fattuali come la presenza fisica prolungata, la disponibilità di un’abitazione, ecc., ma sempre considerando il periodo >183 giorni.
- Presenza fisica nel territorio italiano: è il nuovo criterio introdotto dal 2024. Per la prima volta, la legge prevede espressamente che la presenza fisica in Italia per la maggior parte dell’anno costituisce un autonomo criterio di collegamento. Ciò significa che anche se una persona non è iscritta in anagrafe, e sostiene di avere domicilio e residenza all’estero, il fatto di essere fisicamente presente in Italia per almeno 183 giorni (anche non consecutivi) la rende comunque fiscalmente residente. La norma infatti specifica che ai fini del calcolo dei 183 giorni si sommano anche periodi non continuativi durante l’anno. Questo criterio risponde all’esigenza di colpire i casi in cui il contribuente, formalmente espatriato, di fatto permane in Italia per lunghi periodi (es. rientra ogni mese e passa qui più tempo che all’estero). Esempi possono essere i cosiddetti lavoratori frontalieri dei Paesi confinanti: se un transfrontaliero entra in Italia a lavorare quasi tutti i giorni, cumulando oltre metà anno sul suolo italiano, tecnicamente integrerebbe il criterio di residenza fisica. In tali situazioni di doppia presenza, sarà poi la Convenzione contro le doppie imposizioni a decidere il tie-break (come approfondiremo).
Presunzioni legali e onere della prova: Come accennato, rimangono in vigore alcune presunzioni relative per facilitare i controlli:
- Presunzione per i trasferimenti in paradisi fiscali (art. 2 co. 2-bis TUIR): se un cittadino italiano si iscrive all’AIRE e sposta la residenza in un Paese a fiscalità privilegiata (secondo le liste del DM 4/5/1999 e succ.), si presume residente in Italia salvo prova contraria. È una presunzione relativa (iuris tantum), ma molto forte: l’Agenzia non deve dimostrare nulla, è il contribuente che deve fornire evidenze convincenti di aver realmente trasferito il centro della propria vita fuori dall’Italia. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che elementi meramente formali non bastano a vincere tale presunzione: ad es., l’iscrizione AIRE, avere una casa e un’auto targata nel Paese estero, documenti di identità stranieri, sono prove necessarie ma non sufficienti. Occorre dimostrare la residenza effettiva all’estero con elementi sostanziali (presenza personale stabile, attività lavorativa principale all’estero, assenza di interessi economici e familiari in Italia, ecc.). La Cassazione (ord. n. 1292/2025) ha sancito proprio che nel caso di un espatrio a Monaco la disponibilità di abitazione e altri indicatori formali nel Principato non erano probanti da soli: il contribuente ha perso la causa perché non ha provato un effettivo spostamento di vita, a fronte della presunzione di residenza in Italia. In altre parole, per i paradisi fiscali il contribuente deve prepararsi a un controllo capillare e ad argomentare dettagliatamente la propria posizione (vedi infra sulle strategie difensive). Va precisato che questa presunzione di cui al co. 2-bis è fuori dal novero dei criteri alternativi di cui sopra: è un meccanismo a sé, che scatta al di là del domicilio, residenza o presenza fisica.
- Iscrizione AIRE come presunzione (ora relativa) di non residenza: Simmetricamente, l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) è la condizione formale per essere considerato non residente in Italia. Fino al 2023, la mancata iscrizione AIRE implicava di fatto la permanenza nell’anagrafe italiana e dunque la residenza fiscale italiana automaticamente (presunzione pressoché assoluta). Dal 2024, come detto, questo è mitigato: chi non si iscrive all’AIRE rimane presunto residente, ma può dimostrare di aver comunque trasferito altrove il proprio centro di interessi. Nonostante ciò, l’iscrizione AIRE resta altamente consigliabile ogniqualvolta ci si trasferisca stabilmente all’estero. È un obbligo di legge (L. 470/1988) entro 90 giorni dall’espatrio, ma soprattutto è prova formale necessaria per attestare il cambiamento di residenza fiscale. Un contribuente non AIRE che pretendesse di essere considerato estero avrebbe un contenzioso molto più difficile da sostenere.
Conflitti di residenza e Convenzioni internazionali: Il nostro ordinamento interno si coordina con le norme convenzionali per evitare doppie imposizioni. Se un soggetto risulta residente secondo la legge italiana e contemporaneamente residente secondo la legge di un altro Paese (caso di doppia residenza), entrano in gioco le tie-breaker rules previste dall’art. 4(2) del Modello OCSE (richiamate dalle Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni). Queste regole convenzionali stabiliscono criteri di prevalenza: ad esempio, in caso di conflitto, si guarda prima all’abitazione permanente che il soggetto possiede, poi al centro degli interessi vitali (relazioni personali ed economiche più strette), poi al luogo di soggiorno abituale, e infine alla cittadinanza. Ciò significa che se l’Italia e un altro Stato rivendicano entrambi la residenza fiscale di Tizio, si applicheranno in sequenza questi criteri per attribuire Tizio ad uno solo dei due Stati. La circolare 20/E/2024 dell’AE sottolinea che l’introduzione del nuovo criterio della presenza fisica potrebbe generare conflitti inediti (come il caso dei frontalieri di cui sopra) che dovranno appunto essere risolti mediante le tie-breaker rules convenzionali. In pratica, un lavoratore frontaliero presente fisicamente >183 giorni in Italia ma formalmente residente in Svizzera potrà invocare la Convenzione Italia-Svizzera: se il centro dei suoi interessi vitali resta in Svizzera (famiglia, casa principale in Svizzera), la Convenzione gli attribuirà residenza fiscale svizzera, obbligando l’Italia a rinunciare alla tassazione completa (salvo tassare i redditi prodotti in Italia secondo le regole per i non residenti). È importante notare che le tie-breaker rules non operano automaticamente ma vanno fatte valere dal contribuente in sede di accordo amichevole tra Stati o in giudizio. In ogni caso, conoscere queste regole è parte della strategia difensiva in caso di contestazioni di doppia residenza.
Riepilogo criteri persona fisica (ante e post riforma 2024):
Criterio di collegamento | Fino al 2023 (art. 2 previgente) | Dal 2024 (art. 2 novellato D.lgs. 209/2023) |
---|---|---|
Iscrizione anagrafica in Italia | Criterio alternativo sufficiente. Di fatto presunzione assoluta: il mancato AIRE implicava residenza in Italia. | Criterio alternativo, ma presunzione relativa: l’iscrizione in anagrafe fa presumere la residenza, tuttavia il contribuente può provare l’assenza degli altri criteri per evitare la residenza. |
Domicilio in Italia (centro interessi) | Criterio alternativo; definizione rinviata all’art. 43 c.c. (sede principale degli affari e interessi), con interpretazioni miste (interessi economici vs personali). | Criterio alternativo; nuova definizione fiscale: luogo di principali relazioni personali e familiari. Relazioni personali stabili (coniugi, conviventi, figli) prevalenti sugli interessi economici nel determinare il domicilio. |
Residenza in Italia (dimora abituale) | Criterio alternativo; definizione art. 43 c.c. (dimora abituale). Interpretazione costante: luogo di vita quotidiana. | Criterio alternativo invariato. Sempre dimora abituale. Vale anche in forma non continuativa (sommando giorni) se supera 183 gg. |
Presenza fisica in Italia (>183 giorni) | Non previsto esplicitamente come criterio autonomo, anche se la residenza civilistica implicava presenza. | Nuovo criterio alternativo. Oltre 183 giorni (anche cumulati) sul territorio italiano determinano la residenza fiscale, a prescindere da iscrizione AIRE o altri elementi formali. |
Presunzione per espatrio in paradiso fiscale | Presunzione relativa di residenza in Italia in caso di trasferimento in Stati black-list (art. 2 co.2-bis TUIR), onere della prova a carico contribuente. | Confermata e invariata. Rimane una tutela anti-elusiva: cittadino in Paese a fiscalità privilegiata considerato residente in Italia salvo prova contraria forte. |
Come si vede, dal 2024 il legislatore ha cercato di rendere più rigorosa ma anche più equa la definizione di residenza: da un lato includendo il criterio della presenza fisica (per evitare facili furbizie), dall’altro attenuando la rigidità formale dell’iscrizione anagrafica come filtro assoluto. In tutti i casi, comunque, per non essere residente in Italia è necessario non soddisfare nessuno dei criteri sopra per più di metà anno: ad esempio, un soggetto iscritto AIRE che però trascorre 7-8 mesi in Italia (presenza fisica) rimane comunque residente fiscale italiano. Viceversa, un soggetto non AIRE potrebbe tentare di provare di essere stato all’estero >183 giorni, senza famiglia né dimora abituale in Italia, per evitare la residenza (ma parte svantaggiato in quanto formalmente ancora residente per l’anagrafe).
Tipologie di residenza estera e casi particolari
Non tutti i trasferimenti all’estero sono uguali dal punto di vista fiscale. È utile distinguere alcune tipologie di “residenza estera”, perché l’atteggiamento dell’Amministrazione finanziaria e l’onere probatorio cambiano in base al Paese di destinazione e alla situazione del contribuente. Di seguito analizziamo i principali casi:
1. Residenza in Paese a fiscalità privilegiata (black list): come anticipato, questo è il caso più “sospetto” agli occhi del Fisco. I Paesi a fiscalità privilegiata (spesso definiti paradisi fiscali) sono quelli con tassazione molto bassa o nulla, tipicamente inclusi in specifiche liste normative. Fino a qualche anno fa l’Italia aveva diverse black list; oggi, dopo evoluzioni normative, si fa riferimento principalmente all’art. 47-bis TUIR per i regimi privilegiati e alla lista dei Paesi non cooperativi a fini fiscali adottata a livello UE. In generale, trasferirsi in un paradiso fiscale fa scattare la presunzione di residenza in Italia (art. 2 co.2-bis TUIR) come visto. Ciò significa che l’Agenzia presume che il trasferimento sia fittizio, salvo prova contraria. Dal punto di vista pratico, il contribuente emigrato in un paradiso fiscale deve essere pronto a fornire prove solide: ad es. contratto di lavoro stabile nel nuovo Stato, acquisto/locazione di un’abitazione effettivamente utilizzata, iscrizione figli a scuole locali, bollette e spese mediche all’estero, ecc. In più, dovrà dimostrare di non aver mantenuto in Italia interessi economici prevalenti (es. cessazione di attività imprenditoriali in Italia, vendita o chiusura di società italiane, ecc.) né legami familiari stretti rimasti sul territorio. La Cassazione ha affermato che servono elementi “gravi, precisi e concordanti” per superare la presunzione. Elementi meramente formali come l’iscrizione AIRE o il possesso di patente estera non bastano. In una controversia recente (Cass. ord. n. 11733/2024), la Corte ha ribadito che l’art. 2 co.2-bis TUIR «non costituisce un autonomo criterio di collegamento, ma una presunzione legale relativa»: ciò significa che l’Ufficio può limitarsi a rilevare il trasferimento verso un paradiso fiscale e allora spetta al contribuente dimostrare che il suo centro di vita era davvero fuori dall’Italia. Se il contribuente non offre prove convincenti, l’Agenzia vincerà facilmente la contestazione. Inoltre, va notato che i redditi non dichiarati detenuti in Paesi black-list espongono il contribuente a sanzioni e termini di accertamento aggravati: ad esempio, l’art. 12 D.L. 78/2009 prevede una presunzione legale di imponibilità in Italia per attività finanziarie detenute in Stati Black List e non indicate nel quadro RW, con raddoppio dei termini di accertamento e sanzioni elevate. Questo meccanismo penalizzante rende ancora più rischioso occultare patrimoni nei paradisi fiscali. In sostanza, chi trasferisce la residenza in un paradiso fiscale è un sorvegliato speciale: l’Agenzia presume l’elusione e attiverà controlli mirati, aspettandosi che il soggetto giustifichi dettagliatamente la propria posizione.
2. Residenza in Paese estero “normale” (white list o con tassazione ordinaria): se ci si trasferisce in uno Stato a normale tassazione (ad esempio Paesi UE come Francia, Spagna, Germania, o extra-UE come USA, Canada, ecc.), non opera la presunzione automatica di residenza italiana. L’Agenzia delle Entrate però può comunque contestare la residenza estera qualora ritenga che il contribuente abbia mantenuto in Italia il proprio centro di interessi. In assenza di presunzioni legali, vale la regola ordinaria: l’onere della prova in giudizio spetta in teoria all’Amministrazione finanziaria, che deve fornire elementi atti a dimostrare che uno dei criteri di residenza in Italia era soddisfatto per >183 giorni. In pratica, però, l’onere probatorio è condiviso: l’Ufficio presenterà indizi (es. la persona aveva famiglia in Italia, oppure possedeva casa e tornava spesso, oppure ancora aveva incarichi societari nel Paese) e il contribuente dovrà confutarli portando controprove. Iscrizione all’AIRE in questi casi è condizione necessaria ma non sufficiente: la giurisprudenza costante dice che l’iscrizione AIRE è un elemento formale che attesta l’intenzione di risiedere fuori, ma per la perdita della residenza fiscale serve la prova di aver effettivamente trasferito la vita all’estero. Spesso l’Agenzia contesta la residenza estera portando come prova il “centro degli interessi vitali” rimasto in Italia (concetto mutuato anche dalle Convenzioni). Ad esempio, se Tizio si è trasferito in Inghilterra ma la sua famiglia (moglie e figli) continua a vivere in Italia, ciò può indicare che il suo centro personale è ancora in Italia – e questo pesa più del fatto di avere un lavoro a Londra. Oppure, se Caio si trasferisce in Portogallo come pensionato ma torna in Italia molti mesi l’anno dove possiede una villa e mantiene conti bancari, l’Ufficio potrebbe sostenere che la sua residenza di fatto sia rimasta italiana. Conta molto l’aspetto qualitativo: dove la persona ha le relazioni personali più forti, dove trascorre la maggior parte del tempo, dove svolge le attività quotidiane. In assenza di familiari in Italia, l’Agenzia guarda ad altri indizi: ad es. proprietà immobiliari e disponibilità di una casa, utenze e consumi (bollette, spese), eventuali auto o altri beni registrati in Italia, frequenza dei transiti di frontiera o dei voli (quando tracciabili). I rapporti economici sono pure rilevanti: possedere un’impresa o cariche sociali in Italia, pur vivendo fuori, può far presumere un radicamento economico. La Cassazione ha affermato che l’Amministrazione può legittimamente desumere la residenza in base a un complesso di elementi concordanti che indichino il centro degli interessi in Italia, anche se il contribuente è AIRE e formalmente residente altrove. Ad esempio, in una sentenza si è ritenuto residente un soggetto AIRE in Svizzera che però manteneva qui la moglie e figli e amministrava di fatto società italiane. Dunque, nei Paesi non black-list non c’è presunzione automatica, ma l’Agenzia effettua comunque controlli sostanziali se ha il dubbio di una residenza fittizia. La difesa consisterà nel dimostrare il contrario: esibire prove di vita stabile all’estero e minimizzazione dei legami con l’Italia.
3. Cittadini non iscritti AIRE che vivono all’estero: un caso frequente è quello di chi di fatto si trasferisce (o soggiorna lungamente) all’estero senza però iscriversi all’AIRE, magari per negligenza o volontà di mantenere alcuni benefici (es. assistenza sanitaria italiana). In assenza di iscrizione AIRE, costoro risultano ancora nell’anagrafe italiana: fino al 2023 ciò li faceva considerare automaticamente residenti fiscali. Dal 2024, come visto, l’iscrizione in anagrafe è presunzione relativa: in teoria un soggetto non AIRE potrebbe provare di aver vissuto all’estero oltre 183 giorni e non avere domicilio né residenza in Italia. Tuttavia, nella pratica un mancato AIRE è un bersaglio molto facile per l’Agenzia: comparirà nelle liste selettive (di cui parleremo a breve) di italiani ufficialmente residenti in Italia ma con movimenti o redditi esteri anomali. L’Ufficio potrà contestare semplicemente che il contribuente non ha mai formalizzato l’espatrio e quindi era residente (salvo prova contraria). È un’onere difensivo pesante per il contribuente, che spesso coincide con un errore di base: se davvero ci si trasferisce stabilmente, conviene regolarizzare l’AIRE. In molti contenziosi, i giudici hanno dato torto al contribuente anche perché non aveva neppure perfezionato la cancellazione dall’anagrafe italiana, indice di una volontà poco chiara di espatrio. Dunque, la mancata iscrizione AIRE è altamente sconsigliabile: oltre a violare l’obbligo di legge, rende quasi certa la considerazione come residente italiano, a meno di situazioni peculiari.
4. Lavoratori transfrontalieri e situazioni di pendolarismo internazionale: un “residente all’estero” particolare è chi vive vicino al confine e attraversa spesso la frontiera (anche quotidianamente) per lavoro. Ad esempio, un cittadino italiano che vive a Campione (enclave italiana in Svizzera) ma ogni giorno lavora a Milano, o viceversa un italiano che vive a Como ma lavora in Ticino. Questi casi rientrano nelle casistiche delicate con il nuovo criterio di presenza fisica: un frontaliere residente in Svizzera che entra in Italia 5 giorni a settimana sommando oltre 183 giorni fisici l’anno in Italia, in teoria integrerebbe la residenza fiscale italiana in base alla legge interna. Tuttavia, qui interviene la Convenzione bilaterale: la maggior parte dei trattati (compreso quello Italia-Svizzera) ha regole speciali per i frontalieri, e comunque prevede i criteri di tie-breaker. Nella pratica, se il frontaliere ha la famiglia e la casa in Svizzera, l’Italia non potrà tassarlo come residente, anche se è presente fisicamente oltre metà anno per motivi di lavoro, poiché le tie-breaker rules gli attribuiranno la residenza svizzera. Resta però un’area grigia: la circolare AE riconosce che tali casi di conflitto dovranno essere risolti con le regole convenzionali, implicando che l’Ufficio potrebbe comunque formalmente contestare la residenza (in base alla legge interna) salvo poi doversi fermare se il trattato assegna la residenza all’altro Stato. Per evitare doppi contenziosi, ci si può rivolgere alla procedura amichevole (MAP) tra le autorità fiscali dei due Paesi. In sintesi, i frontalieri devono prestare attenzione al conteggio dei giorni ma possono contare sulle tutele convenzionali. Anche altre categorie di pendolari internazionali (es. settimanal commuters) dovrebbero monitorare di non creare inavvertitamente una situazione di doppia residenza.
5. Imprenditori e professionisti con attività in Italia e residenza estera: spesso un imprenditore si trasferisce all’estero ma lascia in Italia aziende, proprietà o comunque continua a operare nel business italiano. Questo scenario è ad alto rischio di contestazione, perché l’Agenzia potrebbe sostenere che l’imprenditore abbia mantenuto il domicilio (centro degli interessi economici, che comunque ha ancora rilevanza) in Italia. In più, può scattare il tema dell’esterovestizione societaria: se la persona sposta all’estero anche la sede legale della sua società, ma poi gestisce di fatto l’azienda dall’Italia, il Fisco contesterà che sia una società esterovestita, quindi fiscalmente residente in Italia (ai sensi dell’art. 73 TUIR). La giurisprudenza è ricca di casi: la Cassazione ha chiarito che una società con sede legale all’estero viene considerata residente in Italia se le decisioni strategiche vengono prese nel territorio italiano. Ad esempio, un caso del 2021 (Cass. 6476/2021) ha confermato la residenza in Italia di una società formalmente estera ma amministrata di fatto dall’Italia. Dunque l’imprenditore deve fare attenzione: non basta trasferirsi personalmente, occorre evitare di continuare a dirigere dall’Italia le proprie società estere. Se ciò avviene, l’Agenzia potrà contestargli sia la residenza personale (perché in fondo continua ad avere affari e interessi qui) sia la residenza delle società (doppio fronte). Naturalmente, l’imprenditore può organizzarsi delegando la gestione, nominando amministratori locali, documentando che le decisioni vengono prese all’estero (verbali CDA, luoghi di riunione, ecc.), ma deve essere coerente nei fatti. Un altro esempio: un libero professionista (consulente, artista, ecc.) che si trasferisce a Dubai ma continua a prestare servizi alla clientela italiana con frequenti soggiorni in Italia rischia sia di essere considerato fiscalmente residente, sia che le sue prestazioni vengano tassate in Italia per il principio di fonte (se ha base fissa qui). In conclusione, per chi ha attività economiche, l’espatrio deve essere accompagnato da un reale disinvestimento o riorganizzazione dei propri interessi in Italia, altrimenti il Fisco avrà facile gioco a dimostrare che l’Italia resta il centro effettivo.
6. Pensionati italiani all’estero: molti pensionati italiani trasferiscono la residenza in Paesi con agevolazioni (ad es. Portogallo, Canarie, Tunisia, ecc.) per godere di trattamenti fiscali di favore sulle pensioni. In questi casi, oltre ai profili generali di residenza, interviene la disciplina delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Spesso le Convenzioni attribuiscono la tassazione delle pensioni esclusivamente allo Stato di residenza del pensionato (eccetto pensioni pubbliche). Ciò significa che se un pensionato diventa residente fiscale in Portogallo (che offre 10 anni di esenzione pensionistica ai nuovi residenti non abituali, ad esempio), l’Italia non tasserà più la sua pensione e la pressione fiscale cala drasticamente. L’Agenzia delle Entrate però può verificare che il pensionato rispetti davvero i requisiti di residenza estera: ad esempio, che trascorra effettivamente più di 183 giorni l’anno fuori Italia, che abbia preso casa stabile all’estero, ecc. Diversi casi di cronaca hanno riguardato pensionati che risultavano iscritti AIRE magari in Tunisia o alle Canarie ma che poi vivevano gran parte dell’anno in Italia: in tali situazioni, l’Agenzia può contestare che la residenza estera è fittizia e pretendere le imposte sulla pensione retroattivamente (oltre a sanzioni). Occorre quindi coerenza: chi beneficia di regimi esteri di favore deve anche trasferire realmente la propria vita in quei luoghi, altrimenti rischia accertamenti. Dal punto di vista probatorio, un pensionato ha spesso legami familiari in Italia (figli, ecc.) – ciò di per sé non lo condanna, ma sarà scrutinato. In sintesi, i pensionati espatriati devono tenere traccia di viaggi, spese e tenore di vita per dimostrare dove vivono la maggior parte del tempo.
7. Altre situazioni particolari:
- Diplomatici e funzionari internazionali: in genere se sono cittadini italiani all’estero per ragioni d’ufficio, mantengono lo status particolare e spesso rimangono residenti in Italia per convenzione, oppure sono non tassati su certe fonti. Questi casi esulano dal fenomeno evasivo e seguono regole proprie.
- Doppia cittadinanza: Possedere doppia cittadinanza di per sé non incide; la cittadinanza italiana non implica residenza fiscale (si guardano i criteri sopra). Tuttavia, in mancanza di altri elementi, la cittadinanza funge da ultimo criterio convenzionale di tie-breaker se tutti gli altri sono in equilibrio.
- Rientro dopo anni all’estero: se uno è stato non residente per molto tempo e poi torna in Italia, i controlli sull’ultimo periodo estero possono comunque avvenire (entro i termini). Attenzione: alcuni regimi speciali per “impatriati” o “neo-residenti” in Italia richiedono di essere stati non residenti per un certo numero di anni (es. 2 anni per impatriati, 9 anni per flat tax pensionati esteri, ecc.). La prova della passata non residenza dev’essere chiara altrimenti si rischia di perdere l’agevolazione. La Circolare 20/E (2024) chiarisce che per verificare la condizione di non residenza nei periodi precedenti il 2024 si applica la vecchia disciplina e per i successivi la nuova. Quindi attenzione a chi rientra: serve aver rispettato i criteri dell’epoca in cui si era via.
- Residenza estera e famiglia in Italia: caso tipico di moglie/marito o figli rimasti in Italia mentre l’altro coniuge è all’estero. Il centro degli interessi familiari spesso determina comunque residenza in Italia per entrambi (a meno che si dimostri che la separazione geografica è permanente e la famiglia di fatto non costituisce più un nucleo unitario ai fini “vitali”). Se invece la famiglia segue all’estero e solo uno dei coniugi magari torna spesso in Italia per lavoro, quest’ultimo deve stare attento a non superare i 183 giorni fisici in Italia se vuole mantenere la residenza fuori.
Riassumendo, possiamo distinguere grossolanamente:
- Residenza estera “genuina”: trasferimento in Paese non black-list, con famiglia e interessi spostati, iscrizione AIRE, presenza in Italia saltuaria. Rischio accertamenti basso, purché tutto in regola.
- Residenza estera “a rischio”: espatrio in Paese black-list oppure espatrio di facciata (magari in Paese normale) con legami in Italia forti. Rischio accertamento alto.
- Nessuna formalità (no AIRE) ma vita all’estero: posizione fragile; formalmente residente in Italia finché non prova il contrario, quindi molto esposta.
- Situazioni ibride (pendolari internazionali): richiedono attenzione ai dettagli e spesso supporto delle Convenzioni per evitare doppie imposizioni.
Obblighi fiscali di chi risiede all’estero
Chiarito chi è considerato residente fiscale e chi non residente, esaminiamo gli obblighi tributari delle due categorie. Questo è cruciale dal punto di vista del contribuente: sapere cosa deve dichiarare e pagare in Italia un residente all’estero, onde evitare sia omissioni (sanzionate) sia indebite doppie tassazioni.
In linea generale:
- Un residente fiscale in Italia paga l’IRPEF (o IRES, se società) su tutti i redditi ovunque prodotti (principio del worldwide income), come stabilito dall’art. 3, co. 1 TUIR. Inoltre, è soggetto agli obblighi di monitoraggio fiscale (dichiarazione delle attività estere nel quadro RW e pagamento di IVIE/IVAFE se dovute) e in generale a tutte le norme tributarie italiane.
- Un non residente in Italia paga le imposte in Italia solo sui redditi ivi prodotti (principio della fonte territoriale, art. 3 co. 1 e art. 23 TUIR). Non è tenuto a dichiarare redditi esteri né patrimoniali esteri al fisco italiano, fatta salva l’eventuale applicazione di Convenzioni o regimi speciali. In sintesi, chi è residente all’estero paga le tasse nel suo Paese di residenza su tutto, e in Italia paga soltanto per ciò che deriva da fonti italiane.
Vediamo in dettaglio le principali categorie di reddito e patrimonio e come sono trattate per i non residenti:
- Redditi da lavoro dipendente e autonomo: se un cittadino residente all’estero presta lavoro in Italia (cioè l’attività è svolta fisicamente nel territorio italiano), tali redditi sono imponibili in Italia come redditi “prodotti nel territorio” (ex art. 23 TUIR). Ad esempio, un cittadino AIRE che torna per un progetto e lavora due mesi in Italia, il compenso di quei due mesi è tassabile qui (spesso con ritenuta d’imposta alla fonte). Se invece il lavoro è svolto all’estero per un datore italiano, e il lavoratore è non residente, potrebbe valere la regola della territorialità: il lavoro prestato fuori dal territorio non è tassato in Italia (salvo Convenzione che dia qualche diritto all’Italia in casi limitati). Le Convenzioni contro le doppie imposizioni solitamente prevedono che i redditi di lavoro siano tassati dove viene svolta l’attività fisica (con eccezioni per brevi periodi <183 giorni, in base all’art. 15 Modello OCSE). Quindi, un residente estero che lavora in Italia per più di 183 giorni potrebbe essere tassato dall’Italia; sotto tale soglia spesso la Convenzione evita la tassazione italiana (a meno che il datore di lavoro sia italiano e il costo sia deducibile in Italia, ci sono clausole specifiche). Per il lavoro autonomo, analogamente, un professionista non residente è tassato in Italia sui compensi per attività esercitate in Italia (art. 23 TUIR) – di solito tramite ritenuta alla fonte sui compensi (es. un conferenziere straniero pagato da un ente italiano). In sintesi: se il reddito è generato in Italia, la residenza estera non esime dal pagare le imposte italiane su quel reddito, anche se poi il Paese di residenza darà credito o esenzione secondo la Convenzione.
- Redditi d’impresa e da partecipazioni societarie: un non residente che abbia un’attività d’impresa in Italia (es. una stabile organizzazione, una sede, o un negozio) è tassato in Italia sugli utili di quella attività. Se invece un non residente possiede una società italiana (es. SRL, SpA) e ne riceve utili, quei dividendi sono generalmente soggetti a ritenuta alla fonte italiana (tipicamente 26%, ridotta se c’è Convenzione o direttive UE Madre-Figlia per società). Idem per gli interessi da fonti italiane (ritenuta 26% o 12.5% su titoli di Stato, spesso ridotta a zero per non residenti in white list su depositi bancari, ecc.) e per le royalties pagate da soggetti italiani a soggetti esteri (ritenuta 30% salvo convenzioni). Queste ritenute alla fonte spesso sono a titolo d’imposta per i non residenti, ossia estinguono l’obbligo fiscale in Italia senza necessità di dichiarazione. D’altro canto, se l’Agenzia ritiene che il soggetto fosse in realtà residente in Italia, potrebbe riqualificare quei flussi: ad esempio, se un residente estero ha ricevuto dividendi netti con ritenuta ridotta per convenzione, ma viene poi considerato residente, l’Agenzia potrebbe chiedere la tassazione come dividendi percepiti da residente (con credito d’imposta per la ritenuta eventualmente). Peggio ancora, se l’impresa estera del contribuente era gestita dall’Italia (esterovestizione), l’Agenzia può attrarre la tassazione di tutti gli utili. Esistono anche regole CFC (Controlled Foreign Companies) per contrastare l’allocazione di redditi in società estere controllate da residenti italiani: ma questo riguarda soggetti residenti in Italia con società estere, non il contrario. Per un non residente proprietario di società estere, l’Italia non applica CFC ovviamente.
- Redditi immobiliari (terreni e fabbricati): gli immobili situati in Italia producono sempre reddito imponibile in Italia, indipendentemente dalla residenza del proprietario. Dunque un cittadino italiano residente all’estero che possiede una casa in Italia deve dichiarare in Italia il relativo reddito. Se l’immobile è affittato, i canoni di locazione sono tassati in Italia (con le stesse aliquote progressive IRPEF, oppure il soggetto può optare per la cedolare secca al 21% se si tratta di locazione abitativa). Se l’immobile non è affittato, genera comunque un reddito figurativo (rendita catastale rivalutata) imponibile in Italia, salvo che si tratti dell’abitazione principale per i residenti – ma per i non residenti nessun immobile può essere “abitazione principale” ai fini IRPEF, quindi pagheranno sempre l’IRPEF su rendite catastali (spesso minima cosa). Attenzione: il non residente potrebbe non essere tenuto a presentare dichiarazione se ha solo redditi soggetti a ritenuta o imposizione sostitutiva; tuttavia, per immobili con sola rendita catastale, formalmente l’obbligo dichiarativo sussiste per indicare il reddito domenicale o catastale (a meno che sia unica casa non affittata, in certi casi esentata come “immobile a disposizione” soggetto però a IMU). A proposito di IMU: il non residente paga l’IMU sugli immobili in Italia alle stesse regole di un residente (non c’è esenzione prima casa perché la prima casa esente è solo per residenti anagrafici in quell’immobile; un AIRE però può avere agevolazioni IMU su una abitazione in Italia se iscritta come AIRE pensionato in convenzione – normativa in evoluzione). In ogni caso, l’IMU è dovuta sul possesso di immobili in Italia da chiunque, residente o no, e i Comuni attivano procedure di recupero anche dall’estero inviando avvisi tramite posta o PEC.
- Plusvalenze immobiliari e finanziarie: se un non residente vende un immobile situato in Italia generando plusvalenza tassabile (es. seconda casa venduta entro 5 anni dall’acquisto), deve pagare la relativa imposta in Italia (26% imposta sostitutiva, di solito). Lo stesso per plusvalenze da partecipazioni in società italiane “qualificate” (oltre certe soglie di partecipazione): possono essere imponibili in Italia parzialmente, se la Convenzione lo consente. Le Convenzioni spesso riservano la tassazione delle plusvalenze mobiliari al Paese di residenza, tranne immobili (sempre tassabili dove l’immobile è situato) e partecipazioni immobiliari. Ma l’art. 23 TUIR include tra redditi imponibili dei non residenti anche alcune plusvalenze su partecipazioni in società italiane. In pratica, un residente estero che cede azioni italiane potrebbe subire ritenuta in Italia (nel caso di partecipazioni non qualificate in società quotate c’è esenzione se white list). Le regole in questo campo sono complesse, ma rilevano solo in caso di contestazione di residenza: se uno era non residente e ha venduto azioni estere con plusvalenza, non doveva nulla in Italia; se però viene dichiarato residente, improvvisamente quella plusvalenza estera diventa tassabile e se non l’aveva dichiarata scatta l’accertamento. Dunque, l’impatto maggiore del cambio di residenza ex post è che tutti i redditi e plusvalenze esteri diventano oggetto di recupero imponibile.
- Patrimoni e attività finanziarie all’estero: i residenti in Italia sono soggetti al già citato monitoraggio fiscale: obbligo di dichiarare nel quadro RW della dichiarazione dei redditi le attività estere (conti correnti, investimenti, immobili, partecipazioni, oro, criptovalute, ecc.) e di pagare, ove previsto, l’IVAFE (imposta sul valore dei prodotti finanziari detenuti all’estero, 0,2%) e l’IVIE (imposta sul valore degli immobili esteri, 0,76% annuo sul valore). Un non residente invece non deve dichiarare nulla del genere all’Italia: se ha conti o case all’estero, ovviamente non interessano il fisco italiano (che non tassa i non residenti per ciò che è fuori). Questo crea spesso la tentazione di dichiararsi non residenti per non dover dichiarare patrimoni esteri. L’Agenzia è consapevole che l’RW (introdotto dal 1990) ha spinto alcuni a spostare formalmente la residenza per sottrarsi al monitoraggio. Proprio tramite lo scambio automatico di informazioni finanziarie (CRS) l’AE oggi scopre molti conti esteri non dichiarati, e avvia controlli per verificare se il titolare era residente e omissivo oppure se effettivamente era all’estero (vedi oltre sulle lettere di compliance). Se un soggetto viene riconosciuto residente “a posteriori”, l’Agenzia recupererà non solo le imposte sui redditi esteri non dichiarati, ma anche le sanzioni RW. Queste sanzioni vanno dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato (in base al valore dell’attività estera) e raddoppiano (dal 6% al 30%) se l’attività era in Paesi black-list. Inoltre, il termine di accertamento per l’omessa dichiarazione RW si raddoppia se l’attività era in Paese black-list, portando la decadenza da 5 a 10 anni. Quindi, ad esempio, se un soggetto aveva 1 milione su conti a San Marino non dichiarati e viene scoperto, l’Agenzia può andare a ritroso 10 anni e applicare sanzioni fino al 30% del valore (300 mila euro di multa potenziale), oltre alle imposte su eventuali redditi da quei capitali. Questo mostra quanto severa sia la disciplina per i residenti che occultano beni all’estero. Il non residente genuino invece non ha obblighi RW e non subisce queste sanzioni (anche se può comunque essere coinvolto in scambi info, ma di per sé se non è tenuto a dichiarare nulla, l’Italia non può multarlo).
Ricapitolando obblighi:
- Dichiarazione dei redditi (modello Redditi o 730): i non residenti la presentano solo se hanno redditi imponibili in Italia non già tassati a titolo definitivo. Ad esempio, un AIRE con solo pensione italiana tassata alla fonte può non presentarla; ma se ha affitti deve farla. I residenti ovviamente devono dichiarare tutto il mondo.
- Quadro RW (monitoraggio): solo i residenti lo compilano. Non residenti no.
- Versamenti imposte patrimoniali (IVIE/IVAFE): solo residenti. Non residenti no.
- Ritenute su redditi italiani: i non residenti subiscono ritenute su interessi, dividendi, etc., spesso a titolo d’imposta. I residenti possono subire ritenute ma di solito a titolo di acconto (tranne casi come titoli di Stato).
- Credito per imposte estere (art. 165 TUIR): solo rilevante per i residenti (per evitare doppia tassazione di redditi esteri dichiarati in Italia). I non residenti, se pagano tasse in Italia su redditi italiani e anche nel loro Paese su quegli stessi redditi, devono chiedere credito o esenzione al Paese di residenza secondo la Convenzione.
Va sottolineato un aspetto: se l’Agenzia contesta a un soggetto la residenza in Italia, solitamente ciò avviene a posteriori, per uno o più anni trascorsi. Significa che quell’individuo potrebbe aver pagato imposte nel Paese estero di residenza pensando di non doverle all’Italia. In caso di esito sfavorevole, l’Italia richiederà le sue imposte (sul worldwide income). Per evitare la doppia imposizione economica, si potrà far valere il credito per le imposte pagate all’estero su redditi prodotti lì (se la Convenzione lo prevede, generalmente sì). Quindi, ad esempio, se il contribuente aveva già pagato il 20% di tasse all’estero su un reddito X, l’Italia gli riconoscerà quel 20% a scomputo della propria IRPEF (33% ipotizziamo), chiedendo la differenza. Tuttavia, l’esperienza mostra che queste situazioni creano lunghe diatribe, perché il credito d’imposta va documentato (esibendo dichiarazioni estere, quietanze) e spesso l’Agenzia può inizialmente ignorarlo, costringendo il contribuente a invocarlo in contenzioso. In ogni caso le Convenzioni evitano che uno stesso reddito venga tassato due volte integralmente: o esentandolo in uno dei due Stati o prevedendo il credito.
Tabella di confronto – Tassazione residenti vs non residenti (persone fisiche):
Categoria | Residente in Italia | Non residente (residente all’estero) |
---|---|---|
Base imponibile IRPEF | Redditi ovunque prodotti (principio mondiale). Tutte le categorie di reddito concorrono (salvo esenzioni). | Solo redditi prodotti in Italia (principio territoriale). Redditi esteri esclusi. |
Lavoro dipendente | Tassato in Italia indipendentemente da dove svolto (ma se svolto all’estero per >183 gg/12 mesi, può applicarsi detassazione ex art. 51 co.8-bis TUIR o esenzione convenzione). | Tassato in Italia solo se lavoro svolto in Italia (convenzioni: se >183 gg in Italia o datore italiano). Se lavoro svolto all’estero, non tassato in Italia. |
Lavoro autonomo | Compensi ovunque prodotti tassati (con eventuali crediti estero). | Tassati in Italia solo compensi per attività svolte in Italia (ritenuta d’imposta). Estero escluso. |
Pensione | Pensione percepita ovunque tassata in Italia (salvo credito per eventuale ritenuta estera). | Pensione italiana tassata in Italia (salvo esenzioni convenzioni, es. pensioni private spesso tassate solo in Stato di residenza estera: in tal caso l’Italia esenta). |
Redditi d’impresa | Utili da imprese ovunque esercitate tassati (con credito). CFC rule su controllate estere. | Tassati solo utili da stabile organizzazione in Italia. Utili da impresa estera non toccati dall’Italia. |
Dividendi e interessi | Dividendi esteri tassati (26% o in dichiarazione con credito). Interessi esteri tassati (anche se spesso esenti fino a 2000€). | Dividendi da società italiane: ritenuta 26% (o minore se da convenzione). Interessi da fonti italiane: ritenuta (0% su titoli Stato, 26% su altri, con esenzioni per non residenti white list su depositi). Nessun obbligo dichiarativo se tassati alla fonte. |
Affitti e redditi immobiliari | Immobili in Italia: tassati (IRPEF o cedolare). Immobili esteri: tassati (valore catastale estero, credito imposte patrimoniali estere). | Immobili in Italia: tassati (IRPEF o cedolare su affitti, rendita catastale su non affittati). Immobili esteri: non tassati in Italia. |
Plusvalenze | Da beni ovunque: tassate in Italia (es. vendita immobile estero, azioni estere) con credito se imposte estere. | Da beni italiani: tassate se imponibili (plusvalenza immobiliare in Italia entro 5 anni, capital gain su partecipazioni italiane qualificate). Da beni esteri: non tassate. |
Monitoraggio RW | Sì – obbligo di dichiarare conto correnti esteri, investimenti esteri, immobili esteri; pagamento IVIE/IVAFE se dovuti. | No – nessun obbligo RW né IVIE/IVAFE, perché non residente. (Patrimoni esteri fuori campo in Italia). |
Imposte patrimoniali italiane | IMU dovuta su immobili in Italia (salvo abitazione principale esente). Bollo auto su veicoli iscritti in Italia. | IMU dovuta su immobili in Italia (no esenzione prima casa per non residenti salvo eccezioni AIRE pensionati). Bollo auto dovuto se veicolo registrato in Italia. |
Dichiarazione dei redditi | Necessaria (salvo esoneri minori) includendo redditi esteri e IVIE/IVAFE. | Necessaria solo se vi sono redditi italiani non soggetti a tassazione definitiva a fonte. Esempio: affitto di casa in Italia va dichiarato; interesse bancario su cui banca ha già applicato 26% no. |
(N.B.: la tabella semplifica casi generali, possono esservi eccezioni date da norme speciali o convenzioni bilaterali specifiche.)
In pratica, dal punto di vista del “residente estero”, gli adempimenti verso il fisco italiano si concentrano su ciò che rimane in Italia (immobili, redditi di fonte italiana). Un errore comune è pensare che con l’iscrizione AIRE si azzera qualsiasi obbligo fiscale in Italia: non è così. Se una persona AIRE possiede ancora beni o percepisce redditi dall’Italia, deve continuare a seguire le regole fiscali italiane per quei cespiti. Ad esempio, un pensionato AIRE che affitta la vecchia casa in Italia deve dichiarare il canone e pagare le imposte qui. Oppure, se detiene ancora quote in una società italiana e prende dividendi, subisce la ritenuta (potendo eventualmente chiedere il rimborso parziale se la Convenzione lo prevede). Inoltre, deve gestire correttamente le notifiche di atti fiscali che potrebbero arrivare al suo indirizzo estero (tema su cui torneremo brevemente più avanti).
Viceversa, dal punto di vista dell’Agenzia, un soggetto che si proclama residente all’estero ma omette di dichiarare redditi di fonte estera quando invece risulta residente, commette un’evasione. Molti controlli nascono proprio incrociando i dati: se Tizio risulta ancora residente in Italia e non presenta dichiarazione o presenta dichiarazione “in bianco”, ma emergono evidenze di redditi esteri (es. movimenti su conti esteri), scatta il sospetto. Oppure se Caio è AIRE ma continua ad avere spese elevate in Italia senza redditi dichiarati in Italia, l’Agenzia può pensare che abbia redditi esteri nascosti e in realtà sia ancora residente. Si noti ad esempio lo strumento del redditometro (accertamento sintetico): l’Agenzia può ricostruire il reddito presunto di un soggetto in base al suo tenore di vita e patrimonio. Se un contribuente AIRE possiede in Italia villa, auto di lusso, barca, e spende molto con carte italiane, potrebbe essere oggetto di accertamento sintetico assumendo che abbia un reddito non dichiarato sufficiente a giustificare quelle spese – e a quel punto l’Ufficio contesta che era residente. Insomma, l’espatriato che mantiene significative radici economiche in Italia è sotto il radar.
Modalità di controllo dell’Agenzia delle Entrate sui residenti all’estero
Passiamo ora al cuore del tema: come l’Agenzia delle Entrate svolge i controlli e accertamenti nei confronti di soggetti che dichiarano di essere residenti all’estero. Negli ultimi anni, l’Amministrazione finanziaria ha potenziato sia la fase di selezione dei contribuenti da controllare sia gli strumenti investigativi per reperire informazioni, spesso in sinergia con la Guardia di Finanza e con le autorità estere.
Le modalità di controllo possono essere riassunte così:
- Selezione mirata dei casi a rischio (“liste selettive”):
- Scambio di informazioni internazionale (automatico, su richiesta, spontaneo):
- Lettere di compliance e questionari:
- Accertamenti veri e propri (avvisi di accertamento) e indagini finanziarie:
- Cooperazione per la notifica e riscossione all’estero:
Esaminiamoli in dettaglio.
1. Selezione dei contribuenti a rischio: liste AIRE e altri criteri
L’Agenzia delle Entrate già dal 2017 ha istituito uno strumento ad hoc: le “liste selettive” dei cittadini espatriati da controllare. In base al Provvedimento AE n. 43999 del 3 marzo 2017, sono stati individuati elenchi di soggetti che hanno trasferito la residenza all’estero potenzialmente in maniera fittizia. Tali liste sono predisposte centralmente incrociando vari indicatori di rischio. Ad esempio, tipicamente includono:
- Contribuenti che risultano iscritti AIRE in Paesi a fiscalità privilegiata (target naturale per verifica);
- Contribuenti AIRE che negli anni precedenti all’espatrio avevano alti redditi in Italia e dopo l’espatrio dichiarano redditi zero (indice di possibile occultamento di redditi in quanto formalmente all’estero);
- Contribuenti espatriati che mantengono proprietà immobiliari di lusso o più immobili in Italia;
- Soggetti con ruoli amministrativi in società italiane ma residenti all’estero (possibile indizio di esterovestizione personale o societaria);
- Soggetti non iscritti AIRE ma che risultano avere interessi esteri significativi (ad esempio compaiono come titolari di conti esteri da scambio info, pur formalmente residenti in Italia – segno che potrebbero aver trasferito la residenza di fatto senza formalizzarla).
L’iscrizione all’AIRE, come già evidenziato, è la condizione formale imprescindibile per essere considerati non residenti in Italia. L’Agenzia, in collaborazione con i Comuni e il Ministero degli Esteri, utilizza l’AIRE come strumento di monitoraggio degli espatri: i Comuni trasmettono periodicamente i dati delle iscrizioni e cancellazioni AIRE, e ciò alimenta le banche dati fiscali. In passato (ante 2024) la mancata iscrizione AIRE equivaleva a prova automatica di residenza in Italia; ora è presunzione relativa, ma resta un fortissimo indicatore. Dunque, vengono monitorati anche i soggetti che risultano “evasori anagrafici” (non hanno né residenza in Italia né all’estero ufficiale).
Le “liste selettive AIRE” sono utilizzate per pianificare controlli: tipicamente, ogni anno gli uffici locali dell’Agenzia ricevono un elenco di contribuenti espatriati su cui condurre verifiche approfondite. Questo consente di concentrare le risorse dove il rischio di evasione è più elevato. Ad esempio, un italiano trasferito a Dubai con redditi elevati pre-espatsrio e che continua a comparire in movimenti finanziari italiani post-espatrio, quasi certamente finirà in lista. Oppure gruppi di persone trasferite in Slovenia o Croazia (paesi confinanti a bassa tassazione su certi redditi) potrebbero essere oggetto di campagne mirate.
Parallelamente, l’Agenzia sfrutta tutte le informazioni disponibili nelle banche dati interne (Anagrafe tributaria) per identificare situazioni anomale. Con l’avvento dell’ANPR (Anagrafe Nazionale Popolazione Residente), che unifica a livello centrale i dati anagrafici di tutti i comuni, è più facile tracciare movimenti anagrafici; e incrociandoli con i dati fiscali (dichiarazioni, registri immobiliari, ecc.) emergono incoerenze. Ad esempio, un soggetto che risulta AIRE ma continua ad avere partita IVA attiva in Italia verrà segnalato.
In sostanza, prima ancora di agire, l’Agenzia costruisce dei profili di rischio. Questo è confermato dall’informativa del Provv. 2017: si tratta di creare un “bacino di dati” alimentato anche dalle info da scambi internazionali per individuare falsi non residenti. Possiamo immaginare che questi sistemi implementino regole di data mining: es. se (AIRE = SÌ) AND (Reddito dichiarato in Italia dopo espatrio = 0) AND (Conto estero segnalato = SÌ) -> flag di rischio.
L’intensificazione dei controlli sugli espatriati è motivata proprio dai numerosi casi di esterovestizione personale riscontrati in passato. L’Agenzia, accortasi del fenomeno, ha dedicato risorse a stanarlo.
2. Scambio di informazioni internazionale
Uno dei pilastri dei controlli odierni è la mole di informazioni che l’Italia riceve dall’estero grazie agli accordi internazionali di scambio di informazioni. Vi sono tre forme principali:
- Scambio automatico (su base periodica e massiva, es. il Common Reporting Standard – CRS);
- Scambio su richiesta (per singoli casi specifici, tramite rogatorie fiscali);
- Scambio spontaneo (quando un Paese trasmette dati di sua iniziativa).
Scambio automatico – CRS/DAC2: Dal 2017 circa è operativo lo scambio automatico di informazioni finanziarie tra oltre 100 Paesi aderenti al sistema CRS (Common Reporting Standard) sviluppato dall’OCSE. In UE ciò avviene sotto la Direttiva DAC2. Ogni anno, le istituzioni finanziarie (banche, broker, assicurazioni) di ciascun Paese comunicano alle rispettive autorità fiscali i dati dei conti detenuti da non residenti. Questi dati vengono poi scambiati reciprocamente. L’Italia riceve dunque annualmente, da tutti i Paesi partner, l’elenco dei conti finanziari intestati a soggetti fiscalmente residenti in Italia. E viceversa invia ai partner i conti detenuti in Italia dai loro residenti. Attenzione: il criterio è la residenza fiscale risultante alle banche. Ciò significa che se un soggetto si dichiara residente estero alla banca estera, quell’informazione non verrà inviata all’Italia (perché la banca lo segnala al Paese estero come residente lì). Tuttavia, se l’Agenzia sospetta che in realtà egli fosse residente in Italia, può utilizzare quelle stesse informazioni come prova contraria. Un esempio pratico: Caio apre un conto in Svizzera dichiarandosi residente a Dubai; la Svizzera non comunica nulla all’Italia su Caio (lo manderà agli Emirati se del caso). Ma se emergono altri indizi e l’Italia contesta che Caio era residente italiano, potrà attivare altre vie per ottenere i dati su quel conto. Comunque, nella stragrande maggioranza dei casi, i soggetti veramente residenti in Italia e con conti all’estero vengono scoperti grazie al CRS. Nel 2019 l’Italia ha ricevuto informazioni su millioni di conti esteri di suoi contribuenti e ha iniziato una campagna di lettere di compliance massiva. Queste lettere invitavano i destinatari a verificare di aver dichiarato i redditi e i capitali all’estero, altrimenti di regolarizzarsi. Ad esempio, incrociando i dati 2019 il sistema individuò 5000 soggetti con conti in Svizzera non dichiarati, generando automaticamente lettere. L’automatic exchange viene usato anche per altri ambiti: es. scambio automatico di rulings (DAC3), di report Paese per Paese per multinazionali (DAC4), di meccanismi transfrontalieri (DAC6), e dal 2023 di dati sulle piattaforme digitali (DAC7) come Airbnb, Uber, eBay. Dal 2026 partirà anche DAC8 per le cripto-attività. Tutto ciò significa che l’Amministrazione italiana dispone ora di un flusso enorme di notizie su redditi esteri potenzialmente di propri contribuenti.
Dal punto di vista dei controlli sui residenti estero, questo strumento ha una duplice valenza:
- Permette di individuare residenti italiani con attività estere non dichiarate, rivelando potenziali evasori che magari si credevano al sicuro fuori.
- Può segnalare anomalie su soggetti che dichiarano di essere non residenti ma che figurano in qualche scambio. Ad esempio, se Tizio risulta residente in Italia (perché non AIRE) ma in CRS arrivano dati di un suo conto in Francia indicando “residenza fiscale: Italia”, l’Ufficio ha la pistola fumante. Se invece Tizio era AIRE e appare come residente in Francia su quel conto, l’Italia potrebbe non ricevere nulla, ma se emergono incongruenze può comunque chiedere (vedi scambio su richiesta).
Scambio su richiesta: È la classica rogatoria fiscale internazionale. In base alle Convenzioni contro le doppie imposizioni (art. 26 del Modello OCSE) e alla Direttiva 2011/16/UE (DAC1), l’Agenzia può chiedere specifiche informazioni a un altro Stato, motivando la richiesta. Ad esempio: “Gentile autorità francese, il sig. Rossi (codice fiscale…) è oggetto di verifica: forniteci i dettagli del suo conto n.1234 presso BNP Paribas, anni 2020-2022, saldi e movimenti”. Se la richiesta è conforme (non è una fishing expedition immotivata, ma mirata e basata su indicazioni concrete), la Francia raccoglie i dati e li trasmette all’Italia. Questo strumento viene usato nei casi più complessi o importanti, quando servono elementi probatori puntuali. Nel contesto “residenti estero”, la richiesta mirata può servire per ottenere prove definitive: es., dopo una lettera di compliance ignorata, l’Agenzia può chiedere all’Estero estratti conto dettagliati per determinare redditi imponibili. Oppure se una persona afferma “vivevo di stipendio in UK, ecco il mio conto”, l’AE può chiedere al Regno Unito i documenti per verifica. Da notare: il contribuente non viene informato quando avviene uno scambio su richiesta (lo ha chiarito la Corte di Giustizia UE nel caso Sabou, 2013). Quindi l’Agenzia può raccogliere informazioni all’insaputa del contribuente e poi utilizzarle nell’accertamento. Il contribuente potrà contestarle in sede di contraddittorio o ricorso, ma non può impedire lo scambio sostenendo un diritto al contraddittorio in quella fase. Ciò rileva per chi confidava che le proprie transazioni estere restassero segrete: oggi, se l’Agenzia vuole, può ottenerle legalmente.
Scambio spontaneo: Alcune informazioni viaggiano senza richiesta né periodicità fissa, su iniziativa di uno Stato. Ad esempio, capita che la Svizzera comunichi spontaneamente i nominativi di cittadini italiani fermati alla frontiera con valuta non dichiarata, oppure l’agenzia delle entrate di San Marino segnali all’Italia l’elenco di immobili in territorio sammarinese intestati a italiani. Ancora, uno Stato potrebbe segnalare vincite milionarie ottenute da un italiano (che potrebbero costituire reddito imponibile). Molti scandali finanziari globali (come i Panama Papers o la lista Falciani di HSBC) hanno prodotto dati che poi sono stati condivisi tra autorità: ad esempio, la Germania che ottenne i Panama Papers li mise a disposizione degli altri Paesi per le parti di competenza. L’Italia quindi riceve a volte “soffi” spontanei che innescano controlli. Il contribuente può non aspettarselo: ad es., se possedeva una polizza a Montecarlo e Monaco decide di trasmettere l’elenco dei detentori italiani, l’Agenzia si ritrova quell’informazione e può agire.
Dati da fonti “non ufficiali” (whistleblowers, liste rubate): Una menzione va fatta anche alle celebri liste come la Lista Falciani (correntisti HSBC Ginevra), SwissLeaks, Panama Papers, Paradise Papers, ecc. Inizialmente vi erano dubbi sulla utilizzabilità di tali dati, ottenuti illegalmente alla fonte (furto o hacking). Ma la Corte di Cassazione italiana con le sentenze gemelle n. 8605 e 8606/2015 ha ritenuto utilizzabile la lista Falciani, perché l’Italia l’aveva ricevuta per vie ufficiali dalle autorità francesi. Quindi la provenienza illecita originaria non inficia la prova se lo Stato la ottiene nell’ambito di collaborazione amministrativa regolare. Cass. n. 35629/2023 ha confermato la legittimità di accertamenti basati su dati bancari esteri rubati, purché supportati da riscontri ulteriori. Pertanto, l’Agenzia delle Entrate ha caricato nelle proprie basi dati anche informazioni provenienti da quelle liste (tipicamente tramite la Guardia di Finanza). Molti contribuenti nominati in liste del genere hanno sanato la propria posizione aderendo alle voluntary disclosure del 2015-2017, ma chi non lo ha fatto è ancora esposto a controlli. Se un nome appare in queste liste, è probabile che l’Agenzia lo abbia segnalato per approfondimenti (spesso attivando indagini finanziarie formali, vedi punto successivo, così da corroborare il dato con prove parallele e non basarsi solo sul file rubato). In conclusione, conti e società offshore un tempo segreti possono essere ormai noti al Fisco.
Tutto questo flusso informativo internazionale segna un cambio di paradigma: oggi l’evasione internazionale è molto più difficile da occultare. Come commenta un esperto, l’Agenzia “dispone di un arsenale informativo senza precedenti”. Il contribuente che pensava di farla franca spostando soldi e residenza oltre confine deve sapere che:
- Se rimane formalmente residente in Italia e ha redditi/conti esteri, c’è un’elevata probabilità che il Fisco lo scopra (CRS, liste, ecc.).
- Se si iscrive AIRE ma in realtà mantiene conti in Italia o continua a operare qui, l’Agenzia se ne può accorgere tramite l’Archivio dei Rapporti Finanziari e altri incroci (ne parliamo subito sotto).
- Se si iscrive AIRE e trasferisce soldi e attività all’estero confidando nell’opacità, deve quanto meno evitare Paesi collaborativi, altrimenti i dati arrivano. E anche nei non collaborativi, non è escluso che saltino fuori per vie traverse (vedi liste rubate).
3. Archivio dei rapporti finanziari, indagini e incroci dati
Accanto alle informazioni provenienti dall’estero, l’Agenzia utilizza intensivamente le proprie banche dati domestiche. Un ruolo centrale lo ha l’Archivio dei Rapporti Finanziari (cosiddetta Anagrafe dei conti), istituito nel 2012 e potenziato dal 2016. In esso confluiscono periodicamente tutte le segnalazioni delle istituzioni finanziarie italiane sui conti e depositi intestati a ciascun cliente, con indicazione di saldi e movimenti aggregati annui. Inoltre, l’archivio registra anche operazioni extra-conto come acquisti di oro, trasferimenti di denaro, utilizzo di carte di credito oltre soglie. Gli 007 del Fisco possono interrogare quest’archivio per fare analisi del rischio e selezionare contribuenti anomali. Ad esempio, se un soggetto formalmente non residente continua ad avere movimenti consistenti su conti bancari in Italia, quello è un segnale: forse incassa redditi italiani non dichiarati, oppure finanzia spese in Italia senza redditi noti. Oppure, se da questi dati risultano bonifici frequenti da/verso l’estero, l’Agenzia se ne accorge. Ad esempio: un soggetto AIRE ha un conto italiano su cui arrivano bonifici mensili da un conto estero intestato allo stesso soggetto – ciò potrebbe indicare che sta riportando in Italia soldi guadagnati fuori, oppure mantenendo un flusso per sostenere spese qui; in ogni caso, in sede di controllo questi accrediti gli verranno chiesti di spiegare.
Gli applicativi informatici dell’Agenzia fanno data matching tra le varie fonti: per ogni codice fiscale, l’analista può vedere il profilo completo combinando dati fiscali (dichiarazioni, atti) e dati finanziari (rapporti, CRS). Ad esempio, il funzionario può visualizzare per il CF X:
- Dichiarazione redditi presentata o meno, redditi dichiarati.
- Utenze elettriche/gas attive a nome X (registro utenze domestiche).
- Proprietà immobiliari intestate (Catasto, registro immobiliare).
- Auto/moto intestate (PRA, Motorizzazione).
- Conti correnti in Italia (elenco, saldi fine anno).
- Eventuali conti esteri segnalati via CRS (elenco con Paese, banca, saldo).
- Spese rilevanti (es. se usufruito di detrazioni per ristrutturazioni, c’è traccia).
- Dati IVA o fatture elettroniche se è un operatore economico.
Con questi elementi, l’Agenzia può individuare discrepanze. Esempio tipico: contribuente AIRE che non ha presentato dichiarazione perché pensa di non doverla, ma:
- Possiede 2 case in Italia (catasto: sì), delle quali almeno una risulta affittata (magari c’è un contratto registrato o consumi anomali).
- Ha un conto italiano con movimenti, su cui incassa affitti non dichiarati.
- Ha un conto estero (CRS) non dichiarato, con saldo significativo.
- Ha spese con carta di credito italiana per decine di migliaia di euro in Italia (dati aggregati della Banca: sì).
Questa persona sicuramente riceverà un invito al contraddittorio o una lettera di compliance, chiedendo spiegazioni.
Lettere di compliance e questionari: Prima di passare a un formale avviso di accertamento, l’Agenzia spesso adotta approcci “soft” con i soggetti espatriati. In particolare, invia:
- Lettere di compliance: comunicazioni (non impugnabili) che segnalano al contribuente un’anomalia (es: “risulti avere un conto estero non dichiarato, provvedi a sanare”) e lo invitano a ravvedersi o a fornire chiarimenti. Negli ultimi anni migliaia di tali lettere sono state inviate a chi non aveva compilato il quadro RW o non aveva dichiarato redditi esteri. Lo scopo è far emergere spontaneamente basi imponibili, evitando il contenzioso. Se il contribuente regolarizza (presenta una dichiarazione integrativa e paga sanzioni ridotte da ravvedimento operoso), l’iter finisce lì. Se ignora la lettera, si passa al controllo formale.
- Questionari e inviti a comparire: L’Ufficio può inviare un questionario (ai sensi dell’art. 32 DPR 600/73) con una serie di domande, oppure convocare il contribuente con un invito al contraddittorio. Ad esempio: “Gentile contribuente, da nostre analisi risulta che Lei è iscritto AIRE dal 2019 ma possiede beni e conti in Italia. Si invita a fornire documentazione attestante la Sua effettiva residenza fiscale per gli anni 2020-2021 (es. contratto di locazione estero, bollette, attestazione di lavoro estero, ecc.) e a spiegare i flussi finanziari sul Suo conto italiano”. Questo avviso può essere inviato via raccomandata o PEC (se disponibile) anche all’estero. È importante non ignorarlo: se il contribuente non risponde, l’ufficio potrà procedere unilateralmente e l’inerzia potrà essere valutata negativamente in giudizio (indice di mancanza di controprove). Rispondere invece consente di presentare la propria versione, magari convincendo l’ufficio a soprassedere o a limitare l’accertamento.
Questi atti “pre-accertamento” fanno parte del garantire il contraddittorio anticipato al contribuente (oggi obbligatorio in molte ipotesi). L’obiettivo per il contribuente è chiarire eventuali malintesi: ad esempio, potrebbe emergere che la persona non è residente in Italia e i flussi contestati avevano cause lecite (vendita di un immobile dichiarata regolarmente, ecc.). Se le spiegazioni convincono, l’Agenzia archivia il caso o lo ridimensiona. Se invece i dubbi permangono, l’Ufficio passerà alla fase successiva.
4. Accertamento e prove: come si costruisce la contestazione
Quando l’Agenzia, sulla base di tutti gli elementi raccolti, ritiene di avere sufficienti evidenze che un soggetto formalmente “residente estero” fosse in realtà tenuto a pagare le tasse in Italia, emette un Avviso di Accertamento. Si tratta dell’atto impositivo con cui vengono contestati:
- Lo status di residente fiscale in Italia per l’anno X (o anni X, Y, Z se più anni).
- I maggiori redditi imponibili non dichiarati (sia redditi esteri che redditi italiani eventualmente occultati).
- Le relative imposte dovute (IRPEF, addizionali, IVIE/IVAFE se pertinenti, ecc.).
- Le sanzioni amministrative per omessa/infedele dichiarazione.
- Gli eventuali interessi di mora.
Talvolta, se vi sono estremi, viene contestato anche l’abuso del diritto o altre violazioni (soprattutto quando schemi elusivi sofisticati, ma nel caso del singolo espatriato di solito è semplice evasione/omessa dichiarazione). Nei casi più gravi può essere fatta segnalazione per reati tributari (vedi infra).
Quali prove usa l’Agenzia? Negli accertamenti sulla residenza fiscale, l’Amministrazione costruisce un quadro probatorio fatto di indizi e presunzioni. Raramente c’è una “pistola fumante” singola; più spesso un insieme di elementi gravi, precisi e concordanti porta a ritenere la residenza in Italia. Ad esempio, un accertamento tipico concluderà: “Si considera il contribuente fiscalmente residente in Italia nell’anno 20XX ai sensi art. 2 TUIR in base ai seguenti elementi: 1) iscrizione nelle anagrafi comunali sino al… (non risulta iscrizione AIRE fino al gg/mm/aa); 2) presenza della moglie e figli in Italia per l’intero anno; 3) possesso e disponibilità di un’abitazione principale in … (utenze attive, consumi idrici ed elettrici elevati rilevati); 4) carica di amministratore e socio unico della Alfa Srl con sede in … (attività economica condotta in Italia); 5) movimenti bancari esteri per €… non dichiarati, compatibili con redditi percepiti all’estero e non dichiarati, e trasferiti in parte su conti italiani; 6) frequenti accessi/uscite dal territorio italiano (dati polizia di frontiera) tali da far ritenere una presenza fisica superiore a 183 giorni.”
Ovviamente non tutti i casi presentano tutti questi elementi. Bastano anche solo alcuni: ad es., Cassazione ha ritenuto sufficiente la presenza familiare e patrimoniale in Italia come prova prevalente. L’Agenzia può ottenere anche prove documentali: ad esempio, copia del contratto di lavoro all’estero (se fornita dal contribuente o dall’autorità estera su richiesta) che però indica che il soggetto ha lavorato solo 2 mesi all’estero e il resto del tempo risulta non giustificato; oppure estratti conto esteri che mostrano pagamenti POS in negozi italiani per buona parte dell’anno (indice di presenza qui). Anche banali social media o registrazioni telefoniche in mano alla GdF possono emergere: foto geolocalizzate in Italia, tabulati telefonici che rilevano il telefono agganciato a celle italiane per mesi (la GdF può acquisirli con autorizzazione magistrato nelle indagini finanziarie). Questi ultimi non sono usati sistematicamente, ma in casi di contenzioso spinto possono comparire.
Esito dell’accertamento: L’avviso quantificherà le imposte evase. Se il contribuente non aveva presentato affatto dichiarazione in Italia (convinto di essere estero), si configura dichiarazione omessa: le sanzioni vanno dal 120% al 240% delle imposte dovute. Se invece aveva presentato dichiarazione (magari indicando solo redditi italiani minori) si tratta di dichiarazione infedele: sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta. Spesso in questi casi è omessa totale (il soggetto AIRE non presenta nulla): quindi sanzioni molto alte (infatti Studio Monardo citava “fino al 240%” come scenario). Inoltre, l’Agenzia può contestare le sanzioni per quadro RW (se aveva attività estere non dichiarate): 3-15% annuo (o 6-30% se black list) sul valore non monitorato, con raddoppio termini come detto. Si sommano poi gli interessi (tasso legale per ogni anno di ritardo).
Profili penali: Se le imposte evase superano certe soglie, scatta la rilevanza penale. Ad esempio:
- Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): è reato se l’imposta evasa > €50.000 per periodo d’imposta. Un espatriato che non ha dichiarato nulla e deve >50k IRPEF per anno incorre in questo reato, punito con la reclusione da 2 a 5 anni.
- Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): se imposta evasa > €100.000 e elemento sottratto > 10% del reddito o >2 milioni; ad es. se aveva dichiarato poco e omesso molto. Pena da 2 a 4.5 anni.
- Emissione di fatture o altri artifici: non tipico in questo scenario, più per frodi IVA.
- Riciclaggio o autoriciclaggio possono emergere se i fondi non dichiarati vengono reimmessi in certi modi (nel caso citato di Monaco c’era accusa di riciclaggio internazionale con proventi illeciti, quindi un caso misto di evasione+reati finanziari).
Generalmente, per il contribuente persona fisica che ha solo omesso di dichiarare redditi esteri, il reato configurabile è omessa dichiarazione. La denuncia penale verrà inoltrata, ma spesso in questi casi di evasione da residenza la difesa può sostenere mancanza di dolo, confusione su residenza, ecc. (non sempre con successo). In ogni caso, la pendenza penale è un ulteriore grattacapo.
Esempio di accertamento recente: Nel caso concreto commentato dall’Avv. Monardo relativo a un italiano residente a Malta, l’Agenzia contestava residenza in Italia e richiedeva le imposte su tutti i redditi esteri come se fosse residente, con recupero degli ultimi 5 anni di imposte più sanzioni fino al 240%. Alludeva anche a possibili conseguenze penali per omessa dichiarazione e addirittura abuso del diritto (anche se tecnicamente l’abuso si applica a condotte elusive, qui sarebbe evasione palese). Inoltre, prospettava indagini finanziarie internazionali e controlli sul tenore di vita. Questo riassume bene l’approccio aggressivo possibile.
Tempistiche (anni accertabili): Un punto chiave: l’Agenzia può emettere avvisi di accertamento:
- Entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione (ordinario). Esempio: per il 2020 (dich. 2021) fino a fine 2026.
- Se la dichiarazione è omessa, entro il settimo anno successivo (due anni in più).
- Se ci sono assets in black list non dichiarati (raddoppio termini ex art. 12 D.L. 78/09), si va a 10 anni.
Attenzione: il raddoppio per reato tributario (art. 11 c.2 D.Lgs.74/2000) è stato in parte limitato, ma per omessa dich. credo non si applichi il raddoppio automatico, solo se l’azione penale inizia entro ordinari. Comunque, la norma sul monitoraggio fiscale (black list) di fatto consente 10 anni. Quindi, il Fisco può guardare molto indietro. Ad esempio, nel 2025 può controllare fino al 2015 (se omessa dich. con black list) o almeno fino al 2018 (5 anni se c’era dichiarazione). Questo amplia gli importi e sanzioni.
Notifica degli atti all’estero: Un aspetto fondamentale dal punto di vista del contribuente estero è come vengono notificati gli atti fiscali. La notifica internazionale segue regole proprie: se il contribuente ha comunicato all’AIRE il proprio indirizzo estero, l’Agenzia notificherà lì tramite raccomandata estera o tramite autorità consolari (per alcuni Paesi via ministero Esteri), oppure via PEC se ha un domicilio digitale attivo. La notifica è valida e rende esecutivo l’atto anche all’estero. Spesso, i problemi nascono se l’indirizzo AIRE non è aggiornato o la persona non ritira la posta. Ma la normativa (es. Convenzione dell’Aja 1965, Reg. UE 2020/1784) consente comunque di perfezionare notifiche anche se il destinatario non collabora. Ad esempio, se la raccomandata all’estero torna indietro per irreperibilità, potrebbero depositare l’atto in Comune italiano ultima residenza e considerarla valida (non senza contenziosi possibili). È quindi vitale per un espatriato mantenere aggiornato l’indirizzo AIRE e verificare sempre le comunicazioni provenienti dall’Italia. Altrimenti rischia di scoprire per caso di avere cartelle esattoriali già emesse a suo carico, senza aver mai visto l’accertamento originario. In questa guida non entriamo nei dettagli della notifica (trattati altrove), ma sottolineiamo: difendersi efficacemente presuppone ricevere regolarmente gli atti, quindi occhio alle notifiche all’estero.
Esecuzione e riscossione del debito fiscale dall’estero: Una volta emesso un accertamento (e divenuto definitivo, se non impugnato o dopo le sentenze), il debito tributario va riscosso. Se il contribuente risiede all’estero e non paga spontaneamente, l’Italia può attivare strumenti di cooperazione internazionale per la riscossione. Nell’Unione Europea vige la Direttiva 2010/24/UE, recepita in Italia con D.Lgs. 149/2012, che consente agli Stati membri di assistersi reciprocamente nel recupero di crediti tributari. In pratica, l’Italia può inviare all’autorità estera (es. in Spagna) una richiesta di recupero: la Spagna metterà in atto le proprie procedure (pignoramenti, ecc.) come fossero crediti domestici, per riscuotere l’importo e trasferirlo all’Italia. Questo vale anche per multe, IVA, dazi, ecc. All’esterno dell’UE, esistono convenzioni bilaterali o la Convenzione Multilaterale OCSE-Consiglio d’Europa sull’assistenza amministrativa (di cui l’Italia è parte) che prevede pure assistenza alla riscossione. Quindi trasferirsi all’estero non garantisce di sfuggire al pagamento: se ci sono beni aggredibili nel Paese estero, il Fisco locale potrà intervenire su input italiano. Ad esempio, un italiano che si è rifugiato in UK con debiti fiscali potrebbe vedersi il HMRC notificare un’ingiunzione per conto dell’Italia. Detto ciò, le procedure estere possono essere complesse e non sempre l’Italia attiva la riscossione internazionale per importi modesti. Ma per debiti rilevanti, soprattutto in UE, è prassi in crescita. Naturalmente, se il contribuente possiede ancora beni in Italia (conto corrente, immobili), l’Agenzia Entrate Riscossione li colpirà direttamente (fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti).
5. Sintesi strumenti di indagine e controllo
Per avere un quadro chiaro, elenchiamo in una tabella i principali strumenti di indagine usati dall’Agenzia nei confronti dei (presunti) residenti esteri, con la loro funzione:
Strumento/Database | Descrizione e utilizzo |
---|---|
Liste selettive AIRE (Provv. 2017) | Elenchi mirati di contribuenti espatriati a rischio evasione. Basati su criteri come destinazione (black list), reddito pre-post espatrio, beni in Italia, ecc. Servono a scegliere chi controllare. |
Anagrafe Tributaria e ANPR | Integrazione dati anagrafici (comuni, AIRE) con dati fiscali. Evidenzia soggetti formalmente residenti in Italia ma con movimentazioni estere, o AIRE con legami interni. |
Archivio Rapporti Finanziari (conti) | Banca dati dei conti correnti, depositi, investimenti in Italia. Usato per incrociare disponibilità e movimenti con redditi dichiarati. Individua bonifici da/verso estero, conti italiani attivi intestati a AIRE, ecc. |
Scambio Automatico CRS/DAC2 | Flusso annuale di dati su conti esteri di residenti italiani. Alimenta la reportistica integrata: per ogni CF il fisco vede eventuali conti esteri (Paese, saldo). Genera liste di anomalia se mancano dichiarazioni RW. Fonte di lettere di compliance. |
Scambio Automatico DAC7 (piattaforme) | Dal 2023, le piattaforme digitali comunicano i redditi da vendite/affitti di utenti. L’Italia riceverà info su guadagni di italiani via Airbnb, Uber, e-commerce, ecc.. Può segnalare redditi percepiti da AIRE su attività online, aiutando a localizzarne la fiscalità. |
Scambio su richiesta (art.26 OCSE) | Richieste mirate ad altri Stati per ottenere info specifiche (saldi, movimenti, contratti). Usato per rafforzare prove in casi complessi. Consente di acquisire documenti esteri ufficiali. |
Scambio spontaneo | Info inviate volontariamente da Stati esteri: es. proprietà immobili, trasferimenti di denaro in frontiera, vincite, elenchi di residenti italiani con conti (da inchieste). L’AE le usa per avviare controlli ad hoc. |
Liste da leaks (Falciani, Panama, ecc.) | Dati bancari/finanziari ottenuti da whistleblower e condivisi via canali ufficiali. La Cassazione ne ammette l’uso. L’AE li ha integrati nelle sue basi e li sfrutta (spesso con GdF) per scovare patrimoni offshore. |
Questionari fiscali | Richieste di informazioni al contribuente (art.32 DPR 600/73). Possono domandare chiarimenti su residenza, redditi esteri, utilizzo di immobili, ecc. L’inerzia può portare ad accertamento. |
Invito al contraddittorio | Convocazione formale prima dell’accertamento per discutere la posizione. Permette al contribuente di fornire prove e documenti. Obbligatorio in molti casi (pena nullità dell’atto se omesso). |
Indagini finanziarie (banche) | Potere della GdF e AE di acquisire direttamente da banche info dettagliate su conti (ex art. 32). Possono essere attivate sia su conti italiani (facile) che esteri (tramite rogatoria). Servono a ricostruire flussi di denaro e redditi non dichiarati. |
Accertamento sintetico (redditometro) | Metodo induttivo basato sulle spese sostenute e incremento patrimoniale. Se un (presunto) non residente spende in Italia oltre una certa soglia rispetto al reddito dichiarato (0), può essere accertato un reddito presunto. Usato soprattutto su residenti che occultano base imponibile, ma applicabile per smascherare falsi espatriati dal tenore di vita. |
Cooperazione Guardia di Finanza | La GdF conduce verifiche sul campo: può effettuare pedinamenti, controlli presso abitazioni (in Italia), raccogliere testimonianze (vicini, etc. su presenza del soggetto), accedere a tabulati telefonici con decreto magistrato, controllare passaggi doganali. Tutto per accumulare indizi su dove effettivamente vive e opera il contribuente. Ad esempio, nel caso Cass. 1292/2025 su Monaco, c’era un verbale GdF che riportava attività fraudolente svolte in Italia e segnalazione Dogane su valuta, che hanno corroborato la tesi della residenza in Italia. |
Cooperazione internazionale riscossione | Strumento post-accertamento: accordi UE/OCSE per farsi riscuotere le somme all’estero. Non è un mezzo di “controllo” ma di azione successiva. Tuttavia, la minaccia della riscossione estera è leva per indurre al pagamento spontaneo o a trovare accordi (definizione agevolata, ecc.). |
Questa panoramica evidenzia che l’Agenzia ormai incrocia big data e intelligence tradizionale. L’intuizione dell’esperto Federico Migliorini (Fiscomania) è che oggi il Fisco dispone di informazioni un tempo impensabili e ciò ha permesso di intensificare i controlli sugli espatriati italiani all’estero. Le lettere di compliance sono un esempio: spedite “in automatico” sulla base di liste di codici fiscali generati dal software incrociando dati CRS e dichiarazioni.
Dal lato contribuente, questo implica che:
- Non esistono più paradisi segreti (fatta eccezione per pochissimi paesi non cooperativi): se il vostro denaro produce redditi, prima o poi quell’informazione può arrivare al fisco.
- Anche rimanere con un piede in due staffe (un po’ in Italia, un po’ fuori) è pericoloso: qualsiasi traccia lasciata (un’utenza, un’auto, un bancomat) viene registrata e può svelare la realtà.
- Il controllo automatizzato può generare anche falsi positivi (es. uno risiede davvero fuori ma appare in lista perché non ha chiuso un conto in Italia con pochi spiccioli): in quei casi bisogna pazientemente fornire chiarimenti, ma è bene sapere che si può essere chiamati a farlo.
Un punto di riflessione (sollevato dallo stesso Migliorini) è la pericolosità di metodologie di indagine massive: c’è il rischio che vengano messi sotto controllo indiscriminato molti espatriati che invece hanno agito in buona fede ma magari commesso piccole irregolarità formali. Ad esempio, la frase “non hanno minimamente voluto effettuare un trasferimento solo fittizio, ma hanno effettuato, loro malgrado, una non corretta procedura di trasferimento” fa pensare a chi è effettivamente espatriato ma ha sbagliato qualche passaggio burocratico (magari tardiva iscrizione AIRE, o lasciato codice fiscale attivo in attività secondarie). Queste persone rischiano di finire nel calderone e dover combattere per dimostrare la propria buona fede. È un effetto collaterale: giusto combattere l’evasione, ma serve cautela per non colpire chi è fiscalmente onesto solo perché “diverso” (residente estero). Per fortuna, la possibilità di dare giustificazioni prima dell’accertamento (compliance, contraddittorio) mitiga questo rischio: se uno ha tutte le carte in regola, potrà uscirne senza danni, a costo di fornire qualche documento.
Strategie difensive e tutela del contribuente
Dal punto di vista del contribuente (debitore) potenzialmente coinvolto in questi controlli, quali sono le strategie e i diritti di difesa? Vediamoli in ordine temporale.
Prima del trasferimento: La migliore difesa è la prevenzione. Chi pianifica di trasferirsi all’estero deve:
- Iscriversi all’AIRE tempestivamente, comunicando un indirizzo estero valido. Questo evita già di essere considerato residente per default. Ricordiamo: l’iscrizione AIRE è obbligatoria entro 90 giorni dall’espatrio (L. 470/1988) e omettere di farlo può comportare sanzioni amministrative (anche se piccole) oltre a complicazioni fiscali.
- Chiudere o sistemare le posizioni in Italia: ad esempio, cessare la partita IVA individuale, dimettersi da amministratore di società (se non si intende restare coinvolti), vendere o affittare gli immobili (decidere cosa farne), comunicare la nuova residenza a banche, assicurazioni, etc. Più residui si lasciano, più dati rimarranno che la persona è ancora legata all’Italia.
- Portare con sé la famiglia se possibile: è chiaro che non sempre è fattibile, ma ai fini fiscali trasferire anche moglie/marito e figli all’estero è l’evidenza più forte del reale spostamento del centro di interessi personali.
- Stabilire una dimora principale estera: comprare o affittare casa all’estero e trasferirvi le proprie cose. Registrarsi all’anagrafe locale se previsto. Insomma, creare radici tangibili.
- Documentare tutto: tenere copie di contratti di lavoro, iscrizioni a club, bollette, ogni cosa che provi la presenza nel nuovo Stato.
Durante il periodo estero: Continuare a raccogliere prove di vita all’estero: ricevute di spese quotidiane, iscrizioni a medici, attività sociali. Mantenere eventuali biglietti di viaggio per mostrare quando e quanto si è stati in Italia (oggi molti voli sono registrati elettronicamente, si possono richiedere estratti delle prenotazioni). Se si trascorre molto tempo in Italia, valutare attentamente il conteggio dei giorni.
In caso di contatto dal Fisco (lettere di compliance/questionari): Non ignorare mai queste comunicazioni. Rispondere per iscritto, con tono collaborativo ma fermo, fornendo i chiarimenti richiesti. È utile, in questa fase, allegare copia dei documenti principali:
- Certificato di iscrizione AIRE.
- Certificato di residenza fiscale nel Paese estero (magari rilasciato dall’autorità fiscale estera su richiesta del contribuente – molti Stati lo fanno).
- Copia contratto di lavoro estero o dichiarazione dei redditi estera, per mostrare che si pagano già le tasse altrove.
- Bollette, contratti affitto estero, ecc., per provare la presenza.
- Qualsiasi elemento richiesto nel questionario (es: estratti conto).
L’obiettivo è convincere l’Ufficio prima che emetta l’atto che non c’è stata evasione. Se per caso qualche reddito italiano era stato dimenticato (es. un affitto non dichiarato), può essere opportuno sanarlo subito con ravvedimento, per dimostrare buona fede e chiudere quel punto.
Se arriva un avviso di accertamento: A questo punto, è fondamentale valutare la situazione con un professionista esperto (un tributarista, un avvocato specializzato in contenzioso tributario internazionale). Le scelte possibili sono:
- Accertamento con adesione: è una procedura che consente di incontrare l’ufficio emittente per cercare un accordo, ridiscutere gli importi e ottenere un abbattimento delle sanzioni (1/3). Presentare istanza di adesione sospende i termini per ricorrere e può portare a un compromesso. Potrebbe essere utile se il contribuente riconosce parzialmente la pretesa e vuole evitare il giudizio. Ad esempio, se effettivamente c’è stata negligenza e parte dei redditi erano imponibili in Italia, si può chiudere con sanzione ridotta.
- Ricorso al giudice tributario: se si ritiene l’accertamento infondato, o eccessivo, si può presentare ricorso entro 60 giorni dalla notifica. Nel ricorso si impugna la pretesa, portando le argomentazioni giuridiche e fattuali a proprio favore. L’onere della prova in giudizio sui fatti costitutivi dell’obbligo tributario spetta all’Amministrazione, ma come detto, in tema di residenza fiscale si traduce in un confronto di presunzioni e prove contrarie. Sarà cruciale produrre al giudice tutte le evidenze della residenza estera effettiva (contratti, certificati, testimonianze se servono).
- Sospensione dell’atto: Si può chiedere al giudice la sospensiva se l’atto comporta un pagamento immediato elevato e ci sono ragioni valide (fumus boni iuris e periculum). Spesso l’accertamento richiede pagamento entro 60gg di 1/3 del dovuto. Se l’importo è alto, conviene chiedere sospensione per non pagare prima del giudizio.
- Autotutela: contestualmente, si può presentare istanza di annullamento/revoca in autotutela all’ufficio, ma in genere se si arriva all’accertamento significa che l’ufficio è convinto. L’autotutela raramente porta frutti se non ci sono errori macroscopici.
Difese tipiche nel merito: Nella memoria difensiva e in udienza, le argomentazioni saranno:
- Contestare la ricostruzione del Fisco sui criteri di residenza: dimostrare che per più di 183 giorni non era soddisfatto nessun criterio. Ad esempio, portare timbri di passaporto o estratti di ingresso/uscita (per paesi extra-Schengen dove c’è timbratura) per contare i giorni fuori; oppure provare che anche quando era in Italia non aveva dimora abituale (es. stava in hotel saltuariamente).
- Mettere in dubbio gli indizi dell’Agenzia: es. l’Agenzia cita utenze elettriche alte = presenza: il contribuente potrebbe mostrare che l’immobile era affittato a terzi durante quell’anno, quindi i consumi non li ha fatti lui. Oppure spese con carta in Italia: magari era un familiare ad usare la carta con delega, non il contribuente stesso.
- Enfatizzare le prove a favore: la certificazione di residenza fiscale estera rilasciata dall’autorità straniera è un documento importante (anche se non vincolante). Va presentata. Se il Paese estero lo consente, anche una lettera dell’autorità che attesti che il soggetto è stato tassato come residente lì e ha il centro interessi lì.
- Convenzione contro le doppie imposizioni: se c’è conflitto, invocare l’applicazione delle tie-breaker rules. Ad esempio, argomentare che comunque, ai sensi della Convenzione Italia–X, il contribuente aveva l’abitazione permanente solo in X e lì famiglia, per cui anche se fosse considerato residente per la legge interna italiana, la Convenzione assegnerebbe la residenza a X e l’Italia non potrebbe tassare i redditi esteri. Questo è un punto delicato: i giudici tributari italiani a volte non applicano direttamente la tie-breaker sostenendo che servirebbe l’accordo amichevole tra Stati. Tuttavia, ci sono pronunce (es. CTR Lombardia) che hanno invece annullato accertamenti applicando direttamente le tie-breaker in favore del contribuente. Una recente risposta a interpello AE (n. 73/2023) ha riconosciuto lo “split year” in base a Convenzione, quindi segno di apertura. Quindi la difesa convenzionale va tentata.
- Sproporzione della pretesa e sanzioni: qualora parte del reddito fosse effettivamente tassabile in Italia ma altra parte no, evidenziare l’errore e chiedere al giudice rideterminazione. Oppure chiedere la disapplicazione di sanzioni per obiettiva incertezza se il caso era borderline (difficile in materia di residenza, che è abbastanza chiara; però ci sono stati casi dubbi, es: frontalieri prima della riforma).
- Onere della prova non assolto dall’AE: sottolineare se l’Agenzia non ha fornito elementi sufficienti. Ad esempio, se l’unico elemento è la mancata iscrizione AIRE ma nulla più, ora che è presunzione relativa potrebbe non bastare. La Cassazione in passato ha detto che per contestare residenza estera servono elementi qualificati, non bastano illazioni.
In giudizio saranno molto utili anche eventuali testimonianze scritte (dichiarazioni sostitutive di atto notorio di persone che possano confermare la presenza stabile all’estero, tipo vicini, datore di lavoro estero, ecc.) anche se la testimonianza in Commissione Tributaria è limitata, documenti del Paese estero (ad esempio attestati di frequenza scolastica dei figli all’estero).
Se il ricorso in primo grado non fosse favorevole, si può proseguire in appello (Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado, ex CTR) e poi eventualmente in Cassazione per motivi di diritto.
Possibile risoluzione bonaria: In certi frangenti, può convenire cercare un accordo transattivo con il fisco. Ad esempio, approfittare di eventuali definizioni agevolate se presenti (condono, pace fiscale, ecc. – il legislatore talvolta li propone) per chiudere la vicenda pagando solo imposte e poco altro. Oppure proporre conciliazione giudiziale in cui ci si accorda per un importo ridotto prima della sentenza di primo grado (sanzioni ridotte al 50%). Ogni caso è a sé: se il contribuente è convinto di aver ragione piena, andrà fino in fondo; se invece c’è margine di incertezza, valutare soluzioni intermedie può risparmiare tempo e soldi.
Difendersi da una notifica irregolare: Un caso particolare è quando il contribuente viene a conoscenza tardivamente di un atto (magari perché notificato a vecchio indirizzo o in Italia). In tal caso, la difesa si incentra sulla nullità della notifica. Se l’atto non è mai arrivato all’estero come doveva, lo si potrà eccepire e chiedere la rimessione in termini. Ad esempio, la notifica fatta a un indirizzo italiano non più valido è nulla se l’AE sapeva della residenza estera – ma attenzione: la legge prevede che il contribuente AIRE elegga un domicilio per notifiche in Italia; se non lo fa, l’AE può notificare validamente al vecchio comune (art. 60 DPR 600/73). Occorre quindi valutare tecnicamente ogni vizio.
Consulenza preventiva: Vista la complessità, chi intuisce di essere in una situazione borderline farebbe bene a consultare un fiscalista prima ancora di ricevere atti, per valutare se correggere spontaneamente eventuali mancanze (es. presentare dichiarazioni integrative per redditi italiani dimenticati, iscriversi tardivamente ad AIRE spiegando le ragioni, ecc.).
In conclusione, dal lato del contribuente la chiave è la prova dell’effettività: più riuscirà a dimostrare concretamente che la sua vita (famiglia, lavoro, abitazione, interessi) era all’estero, più possibilità ha di vincere la contestazione. Come giustamente riassunto: “Una residenza all’estero può essere valida. Ma devi dimostrarlo, punto per punto, se l’Agenzia ti contesta”. Questo slogan evidenzia l’approccio: carta canta.
D’altra parte, il contribuente deve evitare atteggiamenti imprudenti:
- Non pensare “sono all’estero, l’Italia non può farmi nulla”: come visto non è vero, sia per l’accertamento (possono contestare) che per la riscossione (possono inseguirti).
- Non ignorare la corrispondenza fiscale: errore grave che trasforma un accertamento contestabile in cartella esattoriale definitiva.
- Non assumere che basti un dettaglio formale (tipo AIRE) per blindarsi. La sostanza prevale.
- Non continuare a operare in Italia “come prima” pensando di non essere visti. Come notato, il fisco può provarlo con facilità.
Domande Frequenti (FAQ)
D: Mi basta l’iscrizione all’AIRE per non pagare più le tasse in Italia?
R: L’iscrizione all’AIRE è condizione necessaria ma non sufficiente per considerarti fiscalmente non residente. In altre parole, se non ti iscrivi all’AIRE sarai (presunto) residente in Italia; ma anche iscrivendoti all’AIRE, devi realmente trasferire la residenza all’estero. Serve cioè che tu non abbia in Italia né la dimora abituale, né il domicilio (centro di interessi) per la maggior parte dell’anno. La Cassazione ha più volte ribadito che l’iscrizione all’AIRE è un elemento formale, che da solo non prova la residenza estera effettiva. Quindi è un primo passo (obbligatorio per legge), ma poi conta dove vivi e lavori veramente.
D: Se trascorro meno di 183 giorni in Italia, sono automaticamente non residente?
R: In generale sì, perché la legge considera residente chi trascorre più di metà anno (183 giorni) in Italia. Tuttavia fai attenzione: i 183 giorni sono una condizione necessaria ma non l’unica. Bisogna non soddisfare nessuno degli altri criteri per oltre metà anno. Ad esempio, se trascorri 170 giorni in Italia (quindi meno di 183) ma per tutto l’anno sei rimasto iscritto all’anagrafe italiana e la tua famiglia risiede qui, l’Agenzia potrebbe comunque sostenere che eri residente (specie pre-2024, anagrafe era sufficiente). Dal 2024 la presenza fisica è un criterio aggiuntivo: se stai sotto i 183 giorni in Italia e non hai domicilio né residenza qui, dovresti essere considerato non residente. Resta il fatto che se sei cittadino trasferito in un paradiso fiscale, la presunzione ti considera residente lo stesso salvo prova contraria. Quindi il “<183 giorni” è condizione indispensabile, ma va valutata nel contesto (dove hai la casa, la famiglia, etc.). In sintesi: più di 183 giorni = quasi certamente residente; meno di 183 giorni = condizione necessaria per la non residenza, ma devi anche aver spostato il centro vitale fuori. Se hai dubbi, conserva traccia dei giorni dentro/fuori Italia (biglietti, timbri).
D: Quali redditi devo dichiarare in Italia se risiedo all’estero?
R: Devi dichiarare (e pagare tasse in Italia su) soltanto i redditi che hanno fonte in Italia. Ad esempio:
- Stipendio da lavoro dipendente svolto in Italia, o pensione erogata dall’Italia (salvo esenzioni da convenzioni).
- Compensi per attività lavorativa svolta in Italia (anche occasionale).
- Redditi di immobili in Italia (affitti o plusvalenze da vendita).
- Dividendi distribuiti da società italiane, interessi su conti bancari/postali italiani, rendite finanziarie italiane (di solito tassati alla fonte).
- Utili di imprese italiane o di stabili organizzazioni in Italia.
Non devi dichiarare nulla di ciò che guadagni all’estero: stipendi esteri, affitti di case all’estero, interessi su conti esteri, ecc., non li riporti nella dichiarazione italiana (li dichiarerai nel Paese estero di residenza secondo le sue leggi). Inoltre, se sei non residente, non compili il quadro RW e non paghi IVIE/IVAFE per asset all’estero. Attenzione però: se percepisci redditi esteri ma l’Italia ti considera ancora residente fiscale, allora l’AE pretenderà che tu li dichiarassi qui. Quindi la risposta vale se effettivamente sei riconosciuto non residente.
D: Ho un conto corrente all’estero: l’Agenzia delle Entrate può scoprirlo?
R: Sì, molto facilmente, grazie allo scambio automatico di informazioni finanziarie (CRS). Ogni anno le banche estere comunicano al fisco italiano i conti intestati a soggetti fiscalmente residenti in Italia. Se tu sei registrato presso quella banca come residente italiano, i tuoi dati (saldo, interessi, dividendi, ecc.) vengono trasmessi e l’Agenzia li confronterà con la tua dichiarazione. Se non trova il conto dichiarato, scatterà un alert e probabilmente riceverai una lettera di compliance. Se invece alla banca hai dichiarato di essere residente all’estero, il dato potrebbe non arrivare automaticamente all’Italia (dipende dal Paese: se è accordato con l’Italia, trasmette solo i conti dei residenti italiani). Però non è una garanzia: in caso di controllo approfondito, l’Italia può chiedere info su un conto anche se tu risultavi estero. Inoltre, se il Paese è in black list e non partecipa allo scambio (es. Emirati Arabi fino a poco tempo fa, ora hanno aderito in parte), è più difficile ottenere dati, ma ci sono altre vie (liste trapelate, rogatorie penali se emergono reati). Quindi, a meno che il conto sia in un paese ermetico (pochissimi rimasti, tipo qualcuno dei paradisi non cooperativi), l’Agenzia può venire a saperlo. Vale anche il viceversa: l’Italia ha accordi per cui se hai un conto in Italia e sei residente all’estero, il tuo Paese di residenza lo viene a sapere (utile per capire che le entrate fiscali si parlano).
D: Ho pagato le tasse all’estero sui miei redditi: può l’Italia richiedermi di pagarle di nuovo?
R: Se sei legittimamente non residente in Italia, l’Italia non ti chiederà nulla sui redditi esteri: tu hai pagato al tuo Paese ed è finita lì. Il problema nasce se l’Italia contesta che eri in realtà residente in Italia in quegli anni. In tal caso, l’Italia applica il suo regime di tassazione mondiale e pretenderebbe le imposte su quei redditi, anche se hai già pagato all’estero. Per evitare doppia tassazione, ci sono le Convenzioni che di solito prevedono che l’Italia riconosca un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero. Quindi in teoria pagheresti solo l’eventuale differenza. Ad esempio, su un reddito estero hai pagato 20% nel Paese X, l’Italia lo tasserebbe al 43%: se ti dichiara residente, vorrebbe 43% meno il credito del 20% già pagato, quindi il 23% restante (più sanzioni per non aver dichiarato). Tuttavia, nella pratica non sempre il meccanismo fila liscio. Devi dimostrare quanto hai versato all’estero (documentazione) e che ne hai diritto. In alcuni casi, soprattutto se non c’è convenzione, la doppia imposizione può verificarsi (es: paradiso fiscale dove hai pagato zero, e Italia chiede il 43% + sanzioni = paghi in Italia e basta; oppure paese con cui niente accordi: difficile avere credito). In sintesi: sì, se l’Italia ti considera residente può esigere imposte anche su redditi su cui hai già assolto il fisco estero, ma dovrebbe riconoscerti il credito per evitare doppia tassazione integrale. È comunque una situazione che genera contenzioso: dovresti eventualmente far valere il credito in sede di contraddittorio o giudizio, perché l’accertamento iniziale a volte omette di calcolarlo (il fisco spesso liquida l’imposta lorda e lascia a te l’onere di chiedere deduzione del credito).
D: Se ho trasferito la residenza in un Paese UE, l’Agenzia Entrate può farmi pagare le tasse o riscuotere il debito mentre sono lì?
R: Sì. All’interno dell’Unione Europea c’è piena cooperazione sia per l’accertamento che per la riscossione. Per l’accertamento: possono chiedere al tuo Paese info, come visto. Per la riscossione, c’è una normativa UE che consente all’Italia di farsi aiutare dal Paese estero per recuperare il credito. In pratica, se diventi debitore verso il fisco italiano e non paghi, l’Italia può inviarti cartelle esattoriali anche all’estero (tramite l’ente estero) e può chiedere all’ente di riscossione locale (es. l’agenzia delle entrate del tuo Paese) di procedere contro di te come farebbe per le proprie tasse. Ad esempio, possono pignorarti il conto estero o lo stipendio locale, in base alle leggi di quel Paese, per soddisfare il debito italiano. Questo vale in tutti gli Stati UE (oltre che Norvegia e altri convenzionati). Fuori dalla UE dipende: molti Stati aderiscono alla Convenzione OCSE sulla mutua assistenza amministrativa, che include l’assistenza al recupero crediti. Quindi anche fuori UE, se il tuo Stato aderisce (es. quasi tutti i paesi OCSE, come UK, USA, Canada, ecc.), l’Italia può attivare la procedura. Certo, i tempi e le modalità possono variare, ma non è affatto scontato che basti espatriare per scampare ai debiti fiscali. Conclusione: se perdi un ricorso e ti ritrovi un debito fiscale, per evitarne gli effetti dovresti pagarlo o ottenere una dilazione; altrimenti, anche all’estero rischi azioni di recupero (e in ogni caso, qualora tornassi in Italia o avessi proprietà in Italia, ti colpirebbero quelle).
D: Quanto a ritroso può andare indietro il fisco nei controlli sui redditi esteri non dichiarati?
R: Dipende dal caso, ma in generale:
- Ordinariamente, l’accertamento dev’essere notificato entro il 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Se non hai presentato proprio la dichiarazione (perché credevi di essere all’estero), il termine è il 7° anno successivo all’anno di imposta. Esempio: 2018 non dichiarato, se dichiarazione omessa, fino al 31/12/2025.
- Se inoltre i redditi/proventi erano detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata e non dichiarati, c’è la norma che raddoppia i termini: si arriva a 10 anni dopo l’anno d’imposta. Quindi 2015 potrebbe essere accertabile fino al 2026 (perché per 2015 la scadenza ordinaria sarebbe 2020, raddoppiata 2025, e con pandemia e proroghe di mezzo, fino 2026 di fatto).
In molti casi l’Agenzia esercita il raddoppio quando può, per stare più larga coi termini. Dunque può chiederti conto anche di situazioni di 8-10 anni fa se emergono adesso. Ad esempio, se attraverso i Panama Papers viene fuori un conto che avevi nel 2014 e non dichiarato, potrebbero ancora notificarti un accertamento per il 2014 (entro fine 2024 col raddoppio) e seguenti. Tieni a mente che eventuali reati tributari (omessa dichiarazione) potrebbero far scattare indagini penali con prescrizione di 6 anni (o 8 con atti interruttivi), non lunghissima, ma è un altro fronte. Quindi, prudentemente: l’orizzonte di rischio retroattivo è almeno 5-7 anni, esteso a 10 per black list. Se hai omesso qualcosa in passato, dopo 10 anni puoi tirare sospiro di sollievo (fiscale, non penal-societario perché associazione per delinquere ecc ha tempi più lunghi, ma parliamo di situazioni normali).
D: Rischio conseguenze penali se non ho dichiarato redditi esteri o ho simulato la residenza fuori?
R: Sì, c’è un rischio. In particolare il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) si configura se non hai presentato la dichiarazione dei redditi pur essendone obbligato e l’imposta evasa supera €50.000 per anno. Molti “falsi residenti esteri” non presentano dichiarazione in Italia: se su quei redditi non dichiarati l’imposta superava la soglia, è un reato. La pena è la reclusione da 2 a 5 anni. Oppure, se presentavi la dichiarazione ma incompleta, c’è il reato di dichiarazione infedele (soglia €100.000 imposta evasa e 10% del reddito non dichiarato, pena 2-4.5 anni). Situazioni più gravi potrebbero configurare frode fiscale (se hai usato artifici, es. schermi societari, fatture false – ma quello esula dalla mera residenza). Inoltre, c’è il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento imposte se hai fatto atti per renderti insolvente verso il fisco (es. intestare beni ad altri). Nella pratica, le procure procedono per omessa o infedele in questi casi di esterovestizione personale. Ad ogni modo, va detto che non tutti i procedimenti penali portano a condanne: il contribuente può difendersi anche sul penale dimostrando che non c’era dolo (ad esempio credeva in buona fede di non dover dichiarare perché pensava di essere residente altrove – linea difensiva difficile ma tentata). C’è poi la causa di non punibilità del pagamento integrale del debito tributario prima del dibattimento (introdotta per alcuni reati tributari): se paghi tutto (imposte, sanzioni, interessi) prima del processo penale, l’omessa dichiarazione ad esempio diventa non punibile. Quindi molti alla fine transano col fisco per chiudere anche il penale. Comunque, sì, evadere sostenendo falsamente di essere estero può portare anche denunce penali. La soglia €50.000 di IRPEF evasa non è altissima: basta non dichiarare circa €150.000 di redditi (in aliquota 34% media fai 50k), eventualità non rara con redditi d’impresa o capitali.
D: Se il Fisco italiano sbaglia e io ho ragione (ero davvero residente estero), come mi tutelo? Posso chiedere risarcimento?
R: La tutela principale è fare ricorso e vincerlo, annullando l’atto impositivo. Già ottenere l’annullamento è un successo: significa che non devi pagare nulla e l’Agenzia deve restituirti eventuali somme versate provvisoriamente. Oltre a ciò, in teoria, è possibile chiedere il risarcimento danni per “lite temeraria” o comportamento scorretto dell’Amministrazione, ma in campo tributario è raro e complicato. Dovresti dimostrare un danno ingiusto provocato da un accertamento chiaramente infondato e fatto in malafede o colpa grave. Onestamente, succede di rado. Al massimo potresti ottenere il rimborso delle spese legali (in parte, con la condanna alle spese a carico dell’AE, che però le Commissioni concedono limitatamente secondo tariffe standard). In casi estremi, se la vicenda ti ha causato danni gravi (conto bloccato, reputazione rovinata) potresti tentare un’azione civile, ma devi vincere nettamente sul fatto che l’Agenzia ha agito senza alcuna base. Siccome la definizione di residenza fiscale ha margini interpretativi, raramente c’è colpa grave: spesso sono valutazioni di fatto su cui il fisco può essersi sbagliato senza malizia. Quindi, realisticamente, la vittoria nel merito è la tua soddisfazione; eventuali danni indiretti non sono facili da recuperare. Perciò conviene giocare d’anticipo ed evitare di finire stritolati: prevenire e difendersi bene durante il procedimento è la strada migliore.
D: Lavoro in smart working all’estero per una ditta italiana: rischio di essere considerato residente in Italia o di dover pagare tasse doppie?
R: Questo è un tema attuale e la riforma 2023 l’ha tenuto presente citando la “prestazione lavorativa in modalità agile” nella delega. Se tu sei fiscalmente residente all’estero (hai lì la casa, la vita) e semplicemente lavori da remoto per un’azienda italiana, non dovrebbe renderti residente in Italia. Continui a vivere all’estero >183 giorni, quindi nessun criterio di residenza in Italia è soddisfatto (suppongo tu sia anche AIRE, etc.). I redditi che percepisci, però, sono redditi di fonte italiana o estera? Questo dipende da come è configurato il tuo lavoro. In base alle convenzioni, se lavori fisicamente all’estero, lo Stato estero ha in genere il potere di tassare il tuo stipendio, salvo alcune condizioni. Potresti in pratica essere tassato solo all’estero e l’Italia no, se ricorrono le clausole (es. stai più di 183gg all’estero e il datore non ha stabile organizzazione lì). È un po’ tecnico, ma in sintesi: se sei assunto da una ditta italiana ma lavori dal tuo paese estero, molte convenzioni prevedono che dopo 183 giorni l’anno l’Italia non possa tassare quello stipendio, che verrà tassato solo nel tuo Stato di residenza. Quindi nessuna doppia tassazione, al massimo devi far attenzione il primo anno se non superi 183gg. Ai fini della residenza fiscale tua: finché non torni spesso in Italia, rimani non residente. Semmai può sorgere un problema inverso: la tua azienda italiana potrebbe dover considerare di applicare la ritenuta o no sul tuo stipendio – ma questo esula. Per stare tranquilli, formalizza con l’azienda la tua posizione di lavoro all’estero (distacco, telelavoro transnazionale, ecc.) e prendi un certificato di residenza fiscale estera da dare al datore, così eviterà di applicarti trattenute italiane se la convenzione lo esenta. Con la riforma 2024 l’Italia ha introdotto il criterio presenza fisica per evitare confusioni: se tu non sei fisicamente qui, l’Italia di base non ti considera residente. Un’ultima avvertenza: se passi moltissimo tempo in Italia (es. torni per periodi lunghi) potresti innescare residenza, ma se mantieni prevalenza estero, no. Dunque lo smart worker all’estero per ditta italiana è trattato come qualsiasi altro espatriato: rileva dove vive la maggior parte del tempo e dove ha legami.
D: Mi sono trasferito in un paese a zero tasse (es. Dubai, Monaco). Come posso evitare problemi col fisco italiano?
R: Questi casi, come abbiamo detto, sono i più delicati perché scatta la presunzione anti-elusiva. Ma non è impossibile da gestire. Consigli:
- Prepara un “dossier” di prove consistente. Dal contratto di acquisto/affitto casa all’estero, alle utenze, iscrizioni a club, certificato di residenza locale, evidenze che trascorri la maggior parte dell’anno lì (biglietti aerei, ecc.), fino a dettagli come foto, iscrizioni a associazioni, conto bancario locale movimentato per spese quotidiane. Devi poter mostrare che a Dubai/Monaco tu vivi davvero e stabilmente.
- Taglia i ponti con l’Italia: almeno temporaneamente. Ciò significa niente casa disponibile (meglio affittare o vendere la casa italiana, o se la tieni vuota non far risultare consumi), niente famiglia rimasta (sennò è dura vincere la prova contraria), nessun ruolo attivo in aziende italiane, riduci le visite in Italia a periodi brevi (ferie, Natale). In pratica, non dare appigli per dire che il tuo centro vitale è ancora qui.
- Trascorsi 2-3 anni senza problemi, potrai essere più sereno, ma i primi anni sono cruciali perché il Fisco può essere più sospettoso. Regola empirica: se riesci a “resistere” 5 anni dimostrando l’effettività, poi la presunzione perde forza anche psicologicamente (lo dimostra il fatto che molte contestazioni avvengono poco dopo il trasferimento, se dopo 10 anni che stai fuori probabilmente è evidente che era vero).
- Valuta di non rientrare in Italia per periodi troppo lunghi nei primi anni. Se per qualche ragione devi tornare temporaneamente (es. assistenza a un familiare) e rischi di sforare i 183 gg in un anno, sappi che quell’anno potresti essere tassato in Italia e rovinare la posizione: cerca di evitarlo.
- Tieni un profilo basso: ostentare pubblicamente (social, giornali) di esserti trasferito per “non pagare tasse” attira attenzione negativa. Mantieni privacy sulle tue faccende finanziarie.
- Consulenza locale: informati anche sulle regole del paese dove sei. Ad es., Monaco rilascia permessi di residenza che devi mantenere con presenza effettiva minima, ecc. Se tradisci le regole lì, l’Italia lo verrà a sapere e avrà gioco facile (è capitato, gente che a Monaco non c’era quasi mai).
In breve: effettività, effettività, effettività. Se fai tutto sul serio, l’Agenzia potrà verificarti ma tu avrai le carte in regola per difenderti e vincere. Considera magari di rivolgerti a un fiscalista per predisporre già un “memorandum” sulla tua situazione, così se mai succede hai già tutto pronto.
D: Ho solo una casa vacanze in Italia ma vivo stabilmente all’estero. Possederla può farmi considerare residente?
R: Di per sé, avere un immobile in Italia non ti rende residente fiscale, se tu vivi altrove. Conta l’uso che ne fai: se è davvero solo una casa vacanze dove trascorri magari 2-3 settimane l’anno, non c’è problema, è normale che un non residente possa avere una seconda casa in Italia. Pagherai l’IMU e le tasse su eventuali affitti se la affitti, ma rimani non residente. Se però la casa vacanze si trasforma di fatto nella tua dimora principale perché alla fine stai più in Italia che fuori, allora cambia il quadro. Quindi, finché la tieni come seconda casa e la tua prima casa (abitazione permanente) è all’estero, sei a posto. L’Agenzia potrebbe guardare a quell’immobile come un indizio di legame, ma non basta assolutamente: tantissimi AIRE posseggono immobili in patria. Semmai occhio a: se la casa è vuota, non far risultare consumi elevati di utenze perché vorrebbe dire che la usi spesso; se la dai in comodato a parenti, chiarisci bene i contorni (potrebbero altrimenti pensare che ci vivi tu); se la affitti brevi periodi, dichiara i redditi. Insomma, gestiscila in modo trasparente. In passato c’erano casi in cui il fisco diceva “ha mantenuto un’abitazione a disposizione in Italia, quindi può tornarci quando vuole -> indizio di residenza”; ma se tutti gli altri elementi dicono che stai fuori, una casa vuota non prevale sul fatto che la tua vita è altrove.
D: Le convenzioni contro le doppie imposizioni possono proteggermi se l’Italia mi contesta la residenza?
R: Sì, possono. Se ti trovi in una situazione di doppia residenza (Italia vs altro Stato), la Convenzione (art. 4) prevede criteri per assegnarne una sola. Ad esempio:
- Hai un’abitazione permanente solo in uno dei due Stati -> sei residente solo lì.
- Se in entrambi, si guarda al centro dei tuoi interessi vitali (relazioni personali ed economiche).
- Se incerto, al luogo di soggiorno abituale.
- Se ancora incerto, alla cittadinanza.
- In extremis, accordo tra autorità competenti.
Queste regole, chiamate tie-breaker rules, prevalgono sul diritto interno. Quindi, anche se l’Italia secondo le sue leggi interne dice che eri residente, se la tie-breaker ti assegna all’altro Stato, in teoria l’Italia deve rinunciare alla tassazione come residente. Attenzione: l’Italia spesso sostiene che serve attivare la procedura amichevole tra Stati per applicare la tie-breaker, e in sede di accertamento magari non la considera. Però il contribuente può già in sede di ricorso invocarla: ci sono pronunce a favore. Per esempio, un caso di un contribuente con casa e famiglia all’estero: la CTR annullò l’accertamento perché il centro degli interessi vitali era evidentemente all’estero, applicando la Convenzione. Quindi, sì, la Convenzione è uno scudo importante, specialmente se la tua situazione è chiara secondo quei criteri (es. famiglia interamente all’estero). Non elimina la seccatura di difendersi, ma fornisce solide basi giuridiche. Ricorda: le Convenzioni variano leggermente Paese per Paese, ma tutte hanno l’articolo sulla residenza e criteri simili. In alcuni casi puoi anche rivolgerti direttamente all’Autorità competente estera e italiana per un accordo amichevole se subisci doppia tassazione, ma di solito si fa dopo che entrambi ti hanno tassato, il che è tardi. In ogni caso, cita sempre la Convenzione nel confronto col fisco italiano: dimostri di conoscere i tuoi diritti e li obblighi a tenerne conto.
D: Cos’è l’esterovestizione societaria e può riguardare me come persona fisica residente all’estero?
R: L’esterovestizione societaria è un fenomeno per cui una società è localizzata all’estero solo sulla carta, ma in realtà è gestita dall’Italia, quindi il fisco la considera residente in Italia. Riguarda le imprese, non direttamente le persone fisiche, ma c’è un legame: spesso l’esterovestizione societaria va di pari passo con quella personale dell’imprenditore. Ad esempio, se tu trasferisci la tua holding in Olanda e ti trasferisci anche tu lì, ma poi continui a amministrare tutto dall’Italia, l’Agenzia ti potrà contestare che tu eri residente e anche la società era residente (malgrado la sede estera). Da ciò derivano due livelli di tassazione recuperata. Quindi, se sei un imprenditore, il consiglio è: quando ti trasferisci all’estero, valuta bene come gestire le tue società italiane. Se le tieni, devi cedere il controllo diretto oppure gestirle davvero a distanza (riunioni all’estero, deleghe operative). Altrimenti, l’Agenzia potrebbe notificare accertamenti paralleli: a te come persona fisica (per i redditi di quelle società, dividendi non dichiarati ecc.) e alla società estera accusandola di essere italiana (facendole pagare IRES, etc.). Ci sono state ordinanze di Cassazione che dicono “una società con sede legale fuori paga le imposte in Italia se le decisioni sono prese in Italia”. Quindi sì, riguarda più le imprese, ma tu come socio/amministratore puoi subirne le conseguenze. Ad esempio, Cass. 2869/2013 ha stabilito che una società di diritto lussemburghese partecipata 99% da una italiana non era esterovestita se aveva realmente sede legale e amministrativa all’estero (quindi riconobbe la genuinità). Ciò significa che se strutturi bene la governance all’estero, puoi difenderti. Viceversa Cass. 33234/2018 ha detto che l’esterovestizione va contestata solo se c’è struttura di puro artificio per indebito vantaggio. Insomma, c’è giurisprudenza ampia. Per il privato imprenditore la lezione è: non lasciare troppi ponti che riconducono a te in Italia. Se hai un trust, una società estera, assicurati di rispettare la sostanza economica (substance) all’estero (uffici, dirigenti, conti locali, etc.), altrimenti fisco italiano andrà a nozze.
D: Posso trasferirmi all’estero con debiti fiscali pendenti in Italia per sfuggire al pagamento?
R: Dal punto di vista legale, nessuna norma ti impedisce di trasferirti anche se hai debiti fiscali (non c’è un “blocco” alle frontiere per debitori fiscali). Ma come spiegato prima, i debiti ti seguiranno. L’Italia, specie in UE, potrà recuperare comunque. Se il debito è elevato, anzi, trasferirti può peggiorare la tua situazione se l’Italia attiva l’assistenza estera e magari nel frattempo ti tocca gestire due sistemi legali. Invece di “sfuggire”, è meglio affrontare la questione: ad esempio chiedere una rateizzazione prima di partire, o una transazione fiscale (se rientri in certi requisiti). Comunque, se te ne sei già andato, sappi che:
- In UE, come detto, ti possono notificare ed eseguire forzatamente il debito.
- In Paesi extra-UE cooperativi, uguale (tramite convenzione OCSE).
- In Paesi “safe haven” che non collaborano, potrebbe essere più difficile per l’Italia esigere; ma intanto se lasci beni in Italia glieli prenderanno (casa ipotecata, conto pignorato). E resterai confinato nel paese rifugio, perché se rientri nell’orbita UE rischi.
- I debiti fiscali hanno prescrizioni lunghe (10 anni la cartella, rinnovabili con atti).
Inoltre, tieni conto che espatriare non blocca gli interessi né le eventuali maggiorazioni. Quindi potresti ritrovarti il debito cresciuto. Detto ciò, qualcuno “ci prova” rifugiandosi in paesi come Emirati o altri dove l’Italia non ha gran potere di recupero: è una scelta rischiosa e moralmente discutibile (incompatibile ad esempio con tornare in UE per vacanza, per dire, se hai grosse pendenze). Quindi la risposta: puoi fisicamente trasferirti, ma non elimini il debito, che continuerà a esistere e potrà raggiungerti. Se invece intendi chiedere il fallimento personale o procedure concorsuali, potresti farlo anche dall’estero, ma è complicato. Molto meglio risolvere prima di partire, se possibile.
D: Come incide la nuova normativa 2024 sulla mia situazione se sono già all’estero da prima?
R: La nuova normativa sulla residenza fiscale (D.lgs. 209/2023) si applica dal 2024 in poi. Per gli anni fino al 2023 valgono i vecchi criteri. Quindi, se ad esempio sei all’estero dal 2020 e ti contestano la residenza per gli anni 2020-2023, utilizzeranno la definizione vecchia (niente criterio presenza fisica esplicito, domicilio definito ex codice civile, e iscrizione AIRE considerata diversamente). Dal 2024 in avanti, se resti all’estero, beneficerai della regola dell’anagrafe come presunzione relativa (una tutela in più per te se per caso avevi dimenticato di iscriverti, anche se sempre meglio iscriversi lo stesso). Anche il nuovo criterio di domicilio come relazioni personali in teoria potrebbe avvantaggiarti, perché se tu fuori hai la famiglia e in Italia avevi magari solo lavoro, ora è chiaro che conta di più la famiglia fuori (prima c’era più margine per dire “ma ha ancora affari in Italia”). D’altro canto, il criterio presenza fisica potrebbe penalizzare chi magari lavorava metà anno fuori e metà in Italia: ora la legge lo inchioda come residente italiano se supera metà anno qui. In definitiva: se sei genuinamente trasferito, la riforma non ti danneggia, anzi chiarisce alcuni punti a tuo favore (es. la civiltà di poter provare il contrario se dimenticato AIRE). Se invece stavi facendo il furbo venendo in Italia per lunghi periodi, la riforma rende più facile per l’AE dimostrarti residente (col conteggio giorni). In pratica, adeguati di conseguenza: non superare i 183 giorni in Italia, cura i dettagli.
D: Conviene aderire a eventuali sanatorie (voluntary disclosure) se so di avere scheletri nell’armadio su redditi esteri?
R: Se il governo attiva in futuro una voluntary disclosure ter o simili, potrebbe essere un’opportunità per chi ha attività estere non dichiarate durante un periodo in cui era (o potrebbe essere considerato) residente in Italia. Le precedenti VD del 2015 e 2017 hanno permesso a molti di evitare guai penali e ridurre sanzioni. Quindi, se ti rendi conto di avere situazioni regolarizzabili (es: nei primi anni all’estero non hai dichiarato qualcosa che dovevi, o non eri AIRE ma stavi fuori e ora temi contestazioni), e appare una finestra di regolarizzazione, valuta seriamente di usarla. Ti costerà in soldi (imposte + sanzioni ridotte) ma chiuderai il passato con una sorta di “scudo penale”. Fuori da contesti di sanatoria, puoi comunque fare ravvedimento operoso spontaneo: se ad esempio realizzi che due anni fa dovevi dichiarare in Italia un reddito e non l’hai fatto, puoi autodenunciarti prima che ti scoprano, pagando sanzioni ridotte. Non risolve l’aspetto residenza se è controverso, ma può ridurre la portata dell’evasione contestabile. Ogni caso è strategico a sé, va ponderato con un professionista.
Conclusioni
In questa guida abbiamo esaminato in dettaglio i controlli dell’Agenzia delle Entrate sui residenti all’estero, evidenziando che la residenza fiscale è un concetto sostanziale, non meramente formale. Il fisco italiano dispone oggi di strumenti normativi (riformati nel 2024) e informativi (scambi internazionali, liste selettive, big data) molto efficaci per individuare situazioni di esterovestizione personale, ovvero di contribuenti che dichiarano di risiedere fuori ma in realtà mantengono in Italia il centro dei propri interessi. Dal punto di vista del contribuente, ciò impone un elevato grado di attenzione e trasparenza: trasferirsi all’estero richiede di rispettare le regole (iscrizione AIRE, adempimento degli obblighi su redditi italiani residui) e di poter dimostrare concretamente la propria nuova vita altrove.
Abbiamo visto come i controlli si svolgono a più livelli: preventivo (liste di rischio), informativo (scambio dati e incroci), persuasivo (compliance lettere, questionari) e repressivo (accertamenti con recupero di imposte e sanzioni, nonché coinvolgimento penale e riscossione internazionale). Il contribuente che si trovi oggetto di verifica deve conoscere i propri diritti – ad esempio le tutele convenzionali contro doppie imposizioni, l’onere della prova e il contraddittorio – e attivarsi prontamente per difendere la propria posizione con tutti gli elementi a favore.
Per gli avvocati e professionisti che assistono questi casi, la padronanza della normativa interna (art. 2 TUIR e succ. modifiche, art. 4 TUIR per le società, normativa monitoraggio) e delle fonti internazionali (convenzioni, Direttive UE) è fondamentale, così come l’aggiornamento sulla giurisprudenza di legittimità e di merito più recente. Le sentenze della Corte di Cassazione confermano l’impostazione rigida verso gli espatri in Paesi black-list (presunzione di residenza da vincere con prove forti), ma anche delineano principi garantisti (come la necessità di indizi gravi, precisi e concordanti per contestare la residenza estera in assenza di presunzioni automatiche). La Circolare 20/E del 2024 dell’AE fornisce utili chiarimenti per interpretare i nuovi criteri – ad esempio enfatizzando le relazioni personali per il domicilio e prevedendo la possibilità di prova contraria per l’anagrafe – e quindi va tenuta in conto sia in sede di consulenza preventiva che di contenzioso.
In definitiva, dal punto di vista del debitore/contribuente, il messaggio è duplice:
- Prevenire: se la tua residenza fiscale è all’estero, assicurati che lo sia anche “di fatto” e tieni le carte in ordine; dichiara in Italia ciò che devi dichiarare (redditi italiani) per non offrire facili appigli.
- Difendere: se ricevi una contestazione, raccogli tutte le prove, rispondi alle richieste e, se necessario, fatti assistere in giudizio per far valere la sostanza della tua posizione. Con documentazione accurata e argomentazioni giuridiche adeguate, hai ottime chance di vedere riconosciuta la tua residenza estera legittima, evitando un’indebita doppia tassazione.
La materia è complessa e in evoluzione: luglio 2025 vede già attuata la riforma della residenza fiscale e ulteriori sviluppi (DAC7, DAC8) che aumentano la trasparenza internazionale. È lecito attendersi che i controlli sui “finti residenti esteri” proseguano con intensità, ma al contempo chi agisce nel giusto ha oggi strumenti più chiari per dimostrarlo. L’importante è non improvvisare: la fiscalità internazionale richiede pianificazione e consapevolezza. Speriamo che questa guida – con fonti normative, giurisprudenziali e pratiche – possa servire da bussola sia ai contribuenti italiani nel mondo che ai professionisti che li supportano, per navigare con successo nelle acque (spesso agitate) dei controlli fiscali transnazionali.
Fonti e Riferimenti Normativi
- Agenzia delle Entrate – Circolare n. 20/E del 4 novembre 2024, “Istruzioni operative agli uffici in materia di residenza fiscale delle persone fisiche e delle società ed enti a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 27 dicembre 2023 n. 209”. (Disponibile sul portale AE).
- D.lgs. 27 dicembre 2023 n. 209, Attuazione della legge delega 111/2023 – Riforma della fiscalità internazionale. (In particolare art. 1 che modifica l’art. 2 TUIR sui criteri di residenza e art. 5 che modifica art. 73 TUIR su residenza società).
- D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR), art. 2 co. 1-2 (definizione di residente fiscale persone fisiche) e co. 2-bis (presunzione per trasferimenti in paradisi fiscali); art. 3 (tassazione mondiale residenti); art. 23 (redditi prodotti in Italia per non residenti).
- Codice Civile, art. 43 (definizione di domicilio e residenza ai fini civilistici).
- Legge 27 ottobre 1988 n. 470 e D.P.R. 6 settembre 1989 n. 323: obblighi di iscrizione AIRE e relative norme anagrafiche. (Iscrizione entro 90 gg dall’espatrio).
- Provvedimento Direttore AE 3 marzo 2017 n. 43999, “Definizione delle liste selettive di contribuenti a rischio evasione tra i soggetti che hanno trasferito la residenza all’estero”.
- D.L. 28 giugno 1990 n. 167 (convertito in L. 4 agosto 1990 n. 227): disciplina del monitoraggio fiscale delle attività estere (Quadro RW) e successive modifiche, inclusi art. 5-quater e seguenti D.L. 167/90 introdotti da L. 97/2013. (Prevede sanzioni 3-15% – raddoppiate per paesi black list – e raddoppio termini accertamento, art. 12 D.L. 78/2009).
- Direttiva 2011/16/UE (DAC1) e succ. modifiche DAC2…DAC7: sullo scambio di informazioni amministrative nel settore fiscale tra Stati membri UE. Ricevute in Italia da vari D.Lgs (es. D.Lgs. 29/2014 per DAC2 CRS, D.Lgs. 192/2021 per DAC6, D.L. 73/2022 conv. L.122/2022 per DAC7).
- Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia (Modello OCSE 2017): in particolare l’art. 4 (residenza fiscale, criteri tie-breaker) e art. 26 (scambio di informazioni) di tali trattati. Esempi citati: Convenzione Italia-Malta 1981, Convenzione Italia-Svizzera 1976 (frontalieri), ecc.
- Regolamento UE 2020/1784 (notifiche atti giudiziari ed extragiudiziali all’estero) e Convenzione dell’Aja 15/11/1965: normative sulle notifiche transfrontaliere.
- Direttiva 2010/24/UE sull’assistenza reciproca per il recupero dei crediti tributari, recepita con D.Lgs. 149/2012.
- D.Lgs. 74/2000, artt. 4,5 (dichiarazione infedele e omessa) e art. 5-quater (causa non punibilità pagamenti) e succ. modifiche (Soglie €50k/€100k ecc.).
- Giurisprudenza:
- Cass. civ. Sez. Trib. ord. 20 gennaio 2025 n. 1292: Residenza estera in paese black list – insufficienza di elementi solo formali (AIRE, casa, auto) a prova dell’effettività.
- Cass. civ. Sez. Trib. ord. 2 maggio 2024 n. 11733: Presunzione art.2 co.2-bis TUIR per cittadini in paradisi fiscali – natura relativa e onere del contribuente.
- Cass. civ. Sez. Trib. sent. 19 luglio 2024 n. 19982: in caso di trasferimento in paradiso fiscale opera presunzione legale relativa di residenza ex art.2 co.2-bis (conferma orientamento).
- Cass. civ. Sez. Trib. sent. 5 ottobre 2023 n. 28072: (Vicenda di residenza estera contestata, enfatizza criteri centro interessi).
- Cass. civ. Sez. Trib. sent. 18 luglio 2024 (richiamata da dottrina: afferma applicazione nuovi criteri dal 2024 in avanti).
- Cass. civ. Sez. Trib. ord. 9 marzo 2021 n. 6476: Esterovestizione società – decisioni prese in Italia => società estera considerata residente in Italia.
- Cass. civ. Sez. Trib. sent. 7 febbraio 2013 n. 2869: Società lussemburghese partecipata da italiana non esterovestita se sede legale e amm.va effettiva all’estero.
- Cass. civ. Sez. Trib. sentt. 21 dicembre 2018 nn. 33234-5: contestazione esterovestizione societaria ammissibile solo se struttura puramente artificiosa (no vantaggio fiscale indebito).
- Cass. civ. Sez. Trib. ord. 29 aprile 2015 nn. 8605-8606: Lista Falciani utilizzabile dal Fisco italiano anche se origine illecita, in quanto pervenuta tramite autorità estera.
- Cass. pen. sent. 27 gennaio 2021 n. 31617: (es. reati fiscali con residenza fittizia, conferma dolo se evidenze).
- Commissioni Tributarie (ora Corti Giustizia Tributarie) di merito: varie sentenze su residenza (es. CTR Lombardia 2017 caso Rossi vs AE; CTP Milano 2019 etc.), non dettagliate qui per brevità.
Controlli dell’Agenzia delle Entrate ai residenti all’estero? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Sei iscritto all’AIRE ma hai ricevuto comunicazioni o accertamenti dall’Agenzia delle Entrate?
Temi che il Fisco italiano ti consideri ancora residente fiscale in Italia nonostante vivi e lavori all’estero?
Negli ultimi anni, i controlli sui cittadini italiani residenti all’estero si sono intensificati, specialmente per chi mantiene legami economici, familiari o immobiliari con l’Italia. Conoscere i criteri fiscali è fondamentale per difenderti da accertamenti infondati o arbitrari.
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- 📂 Analizza la tua posizione fiscale e i documenti che provano l’effettiva residenza all’estero
- 📌 Verifica se sussistono i presupposti per un’accusa di residenza fittizia in Italia
- ✍️ Redige memorie difensive e interpelli all’Agenzia delle Entrate per chiarire la tua posizione
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e residenza fiscale
- ✔️ Consulente per la difesa di residenti AIRE, lavoratori all’estero e italiani con redditi esteri
- ✔️ Consulente legale per casi di residenza contestata, iscrizione AIRE non riconosciuta e accertamenti su patrimoni globali
Conclusione
Essere iscritti all’AIRE non ti mette automaticamente al riparo dai controlli fiscali.
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