Hai accumulato debiti con le banche e non riesci più a rispettare le scadenze? I fidi sono stati revocati, le rate dei finanziamenti sono in ritardo e hai già ricevuto solleciti o minacce di pignoramento? Ti stai chiedendo se puoi ottenere una riduzione del debito con le banche e come fare per difenderti?
Anche con le banche si può trattare. Esistono strumenti legali per rinegoziare, ridurre o estinguere il debito a condizioni sostenibili, soprattutto quando la tua situazione economica è compromessa o non consente più il pagamento integrale.
Quando è possibile ottenere la riduzione del debito bancario?
– Quando sei in difficoltà economica documentata e non riesci più a rispettare i piani di rimborso
– Quando hai subito la revoca del fido e ti viene richiesto il rientro immediato
– Quando la banca ha avviato azioni legali o ti ha segnalato in Centrale Rischi
– Quando sei disposto a chiudere il debito con un pagamento parziale immediato
– Quando hai già ricevuto decreti ingiuntivi, pignoramenti o cessioni del credito a società di recupero
Quali sono le principali soluzioni per ridurre il debito con le banche?
– Saldo e stralcio: paghi solo una parte del debito, e il resto viene condonato
– Rinegoziazione del mutuo o del prestito: allungamento del piano, riduzione della rata, rimodulazione delle condizioni
– Transazione a saldo: se il credito è già deteriorato o ceduto, puoi chiudere con un importo inferiore
– Accordo stragiudiziale: trattativa privata con l’istituto di credito per evitare il contenzioso
– Procedura di sovraindebitamento: se sei un soggetto non fallibile, puoi proporre un piano omologato dal Tribunale
– Composizione negoziata della crisi: per imprese con prospettive di risanamento, con la guida di un esperto
Cosa serve per ottenere un saldo e stralcio o una rinegoziazione efficace?
– Una situazione debitoria reale e documentata
– Un piano di rientro sostenibile o una proposta di chiusura immediata parziale
– La disponibilità a collaborare e fornire tutti i dati economici richiesti
– L’assistenza di un professionista per gestire la trattativa
– Un approccio serio, trasparente e motivato da una crisi temporanea o definitiva
Cosa puoi ottenere con la giusta strategia?
– La riduzione anche importante del debito residuo
– Il blocco di azioni legali e pignoramenti
– La cancellazione della segnalazione in Centrale Rischi
– La possibilità di tornare a operare senza il peso di rate insostenibili
– La chiusura definitiva della posizione debitoria con un accordo vantaggioso
Continuare a ignorare il problema non fa che peggiorare la situazione. Prima intervieni, più margine hai per trattare condizioni favorevoli con la banca.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario e ristrutturazione del debito ti spiega come ottenere la riduzione del debito con le banche, quali strumenti puoi usare e quando conviene agire per evitare il tracollo.
Hai ricevuto una diffida di pagamento, una revoca di fido o vuoi chiudere una posizione bancaria che non riesci più a sostenere? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Valuteremo la tua situazione e ti diremo se puoi ottenere un saldo e stralcio, rinegoziare o azzerare gli interessi illegittimi.
Introduzione
Molte famiglie, professionisti e imprenditori in Italia si trovano schiacciati da debiti bancari che non riescono più a sostenere. Ridurre il debito con le banche significa negoziare o ottenere legalmente un taglio dell’importo dovuto (ad esempio uno “sconto” su capitale, interessi o sanzioni) in modo da poter estinguere l’obbligazione a condizioni più sostenibili per il debitore. Dal punto di vista del debitore, l’obiettivo è uscire dalla morsa dei debiti pagando solo quanto effettivamente possibile rispetto alle proprie disponibilità, ottenendo la cancellazione del restante senza incorrere in azioni esecutive aggressive (pignoramenti, ipoteche, ecc.). In altre parole, il debitore cerca un “nuovo inizio” in cui i debiti eccedenti le sue capacità vengano in parte perdonati.
Negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha introdotto diversi strumenti, sia negoziali (fuori dal tribunale) sia giudiziali, che consentono di ridurre i debiti bancari in modo legale e definitivo. Questi strumenti vanno dalle semplici trattative private (come il saldo e stralcio, in cui la banca accetta un pagamento inferiore a quello dovuto rinunciando al resto) fino a complesse procedure concorsuali davanti al tribunale (come i piani di sovraindebitamento per privati o gli accordi di ristrutturazione e concordati preventivi per le imprese). È fondamentale conoscere le norme italiane vigenti, le recenti riforme normative (come il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in vigore dal 2022) e le più aggiornate sentenze della giurisprudenza, perché il panorama della riduzione del debito è in continua evoluzione ed è stato oggetto di importanti chiarimenti da parte della Corte di Cassazione fino al 2024-2025.
In questa guida offriremo un quadro avanzato ma chiaro di come il debitore possa ottenere una riduzione del proprio debito bancario, esaminando sia le soluzioni stragiudiziali (ad esempio rinegoziazione del mutuo, saldo e stralcio, piani di rientro) sia gli strumenti giudiziali (procedure di sovraindebitamento per privati non fallibili, accordi e concordati per imprenditori, cause per contestare interessi illegittimi, ecc.). Verranno considerati casi particolari come i debiti garantiti da ipoteca (es. mutui immobiliari) o da fideiussione (garanzie personali), approfondendo le specifiche tutele e criticità di ciascuno. Non mancherà un esame dei profili fiscali (cioè le conseguenze tributarie di una riduzione del debito) e dei profili patrimoniali (come proteggere o gestire il patrimonio del debitore durante la crisi debitoria). Il tutto sarà arricchito da riferimenti normativi, esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni.
Nota: Questa guida adotta il punto di vista del debitore. Ciò significa che ogni strumento sarà valutato in termini di opportunità e cautele per chi ha contratto il debito e vuole ridurlo, piuttosto che dal lato della banca creditrice. Il livello di analisi è volutamente approfondito e aggiornato a luglio 2025, adatto a lettori con conoscenze giuridiche di base (come avvocati, consulenti o debitori informati) che necessitano di dettagli normativi e giurisprudenziali precisi.
Passiamo ora ad esaminare i vari strumenti e strategie per ottenere la riduzione del debito bancario in Italia.
Concetti chiave e quadro normativo di riferimento
Prima di entrare nel merito delle soluzioni, è utile definire alcuni concetti chiave e il quadro normativo entro cui si collocano.
- Saldo e stralcio: è un accordo stragiudiziale transattivo (ex art. 1965 c.c.) in cui il debitore e la banca convengono che il debitore versi solo una parte del dovuto (“saldo”) e la banca rinunci al resto del credito (“stralcio”). Questo comporta l’estinzione definitiva dell’obbligazione relativa a quello specifico rapporto una volta pagato l’importo concordato. Importante: secondo la Cassazione, un accordo a saldo e stralcio non costituisce novazione del debito originario, bensì una sua modifica convenzionale. Ciò significa che il rapporto di credito non viene sostituito da un nuovo contratto, ma semplicemente “ridefinito” nei suoi termini essenziali, con la conseguenza che eventuali garanzie (come fideiussioni o pegni) permangono salvo diverso accordo. Il saldo e stralcio è uno strumento fondamentale per ridurre i debiti bancari, ma è basato sulla volontaria adesione della banca: non esiste un diritto del debitore a pretenderlo, occorre una trattativa e un’intesa formale tra le parti.
- Ristrutturazione del debito: in generale indica qualsiasi modifica delle condizioni originarie di rimborso di un debito volta a renderne possibile il pagamento. Può avvenire in via privata (es. la banca concede un periodo di moratoria, abbassa il tasso di interesse o estende la durata del prestito) oppure in via giudiziale all’interno di procedure concorsuali (es. un concordato in cui il credito bancario viene pagato parzialmente). La ristrutturazione può includere sia una dilazione (più tempo per pagare) sia una vera e propria riduzione dell’importo dovuto (stralcio parziale). Nell’ambito delle imprese, il termine si riferisce spesso a istituti specifici come gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati dal tribunale (artt. 57 e ss. Codice della crisi).
- Sovraindebitamento: è la situazione in cui un soggetto non fallibile (privato, piccolo imprenditore, professionista, ente non commerciale, ecc.) si trova con un debito complessivo eccessivo rispetto al patrimonio liquidabile e al reddito, tale da non riuscire più a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. La legge italiana ha introdotto dal 2012 procedure ad hoc per risolvere il sovraindebitamento (la cosiddetta “legge anti-suicidi” n. 3/2012, oggi integrata nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza). Lo scopo principale di queste norme è permettere al debitore sovraindebitato di pagare i propri creditori solo nella misura delle sue effettive possibilità economiche, “vivendo una vita dignitosa”, e di ottenere la cancellazione (“esdebitazione”) del debito eccedente che oggettivamente non può essere pagato. In sostanza, il legislatore riconosce che in situazioni estreme serve un meccanismo per “tagliare” i debiti e dare al debitore una seconda chance. Dal luglio 2022, la disciplina del sovraindebitamento è confluita nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), D.Lgs. 14/2019, profondamente modificato dai decreti correttivi del 2020-2022 (D.Lgs. 147/2020 e 83/2022) e da ultimo dal D.Lgs. 83/2023 e 136/2024. Tali riforme, ispirate anche alla Direttiva UE 2019/1023, hanno ampliato e semplificato l’accesso degli individui e piccole imprese a procedure di riduzione del debito ancor più efficaci (ad es. procedure familiari cumulative, introduzione dell’esdebitazione dell’incapiente per chi non ha alcun patrimonio da liquidare, abbassamento delle maggioranze di voto per accordi, ecc.).
- Procedure concorsuali e strumenti di crisi per le imprese: per le imprese “fallibili” (ossia quelle che superano le soglie di fallibilità previste dalla legge, come Srl, SpA e ditte individuali medio-grandi), esistono strumenti normativi che consentono di ridurre il debito nel contesto di una crisi aziendale. La Legge Fallimentare del 1942 (R.D. 267/1942) – abrogata nel 2022 – già prevedeva istituti come il concordato preventivo e, dal 2005, gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F.). Oggi queste fattispecie sono regolate dal Codice della crisi (CCII). In particolare: gli accordi di ristrutturazione sono disciplinati dagli artt. 57-64 CCII, che ne prevedono vari tipi (accordo ordinario con adesione di almeno il 60% dei crediti, accordo agevolato con soglia ridotta al 30% ma senza protezione delle parti non aderenti, accordo ad efficacia estesa che vincola anche dissenzienti finanziari entro certi limiti); il concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII) consente all’impresa di proporre ai creditori un piano, suddividendo i creditori in classi e prevedendo anche qui riduzioni dei debiti (stralci) più o meno ampi, purché l’alternativa liquidatoria sarebbe peggiore per i creditori. Inoltre, dal 2021 è stato introdotto uno strumento “prenegoziale” denominato composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021, ora negli artt. 12-25 CCII): pur non comportando direttamente una riduzione coattiva dei debiti, questa procedura consente alle imprese in difficoltà di negoziare con i creditori (spesso le banche) soluzioni concordate e temporanee sotto la regia di un esperto indipendente, evitando il fallimento e spesso preludendo a un accordo di ristrutturazione formale. È bene notare che nel diritto concorsuale vige il principio che i debiti possano essere ridotti solo con il consenso delle relative maggioranze di creditori o per effetto di una norma: ciò significa che fuori da queste procedure un creditore ha diritto di essere pagato per intero, salvo appunto che accetti volontariamente di meno.
- Interessi usurari e anatocistici: spesso la “riduzione del debito” passa anche attraverso la contestazione di clausole illegittime nei contratti bancari. Ad esempio, se nel contratto di mutuo o di conto corrente sono stati applicati interessi superiori alla soglia di usura (legge n. 108/1996), il debitore può eccepire la nullità della pattuizione usuraria e ottenere la nullità di tutti gli interessi (art. 1815 c.c.), dovendo così restituire solo il capitale ricevuto. Analogamente, la prassi di capitalizzare trimestralmente gli interessi (cd. anatocismo), se non conforme alla legge, può portare all’espunzione degli interessi composti dal calcolo: ad esempio la Cassazione nel 2024 ha stabilito in via definitiva che, a seguito della riforma dell’art. 120 TUB del 2013, è vietata la produzione di interessi su interessi nelle operazioni bancarie già dal 1° gennaio 2014, anche in assenza di delibera attuativa del CICR. In altri termini, dal 2014 gli interessi debitori non possono più essere capitalizzati trimestralmente: vanno calcolati al 31 dicembre e pagati una volta l’anno, e comunque non generano altri interessi se non pagati (salvo il caso di interessi di mora). Pertanto, un correntista o mutuatario potrebbe contestare in giudizio gli addebiti anatocistici illeciti post-2014 e ottenere una riduzione del saldo dovuto. Allo stesso modo, la Cassazione a Sezioni Unite nel 2021 ha chiarito che nei piani di ammortamento “alla francese” (rate costanti) non vi è anatocismo vietato, in quanto gli interessi sono calcolati solo sul capitale residuo e non su interessi scaduti; dunque non è possibile ottenere riduzioni del debito eccependo la nullità generalizzata di tale metodo di calcolo (lo si cita perché era argomento di contenzioso). In sintesi, verificare la presenza di usura o anatocismo può essere una strategia difensiva del debitore per ridurre legalmente l’importo dovuto alla banca, attraverso cause o opposizioni che eliminino dal conto interessi e oneri indebiti.
- Fideiussioni bancarie e garanzie personali: quando il debito verso banca è garantito da una fideiussione (es. un familiare garante) o da altre garanzie, la posizione del debitore principale può complicarsi (la banca, potendo rivalersi sul garante, è meno incentivata a fare sconti) ma al contempo si aprono possibili contestazioni legali. La Banca d’Italia già nel 2005 aveva sanzionato per violazione antitrust il testo standard di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI, e la Cassazione a Sezioni Unite n.41994/2021 ha confermato che sono nulle (per violazione della normativa sulla concorrenza) le clausole riproduttive di quel modello ABI, in particolare quelle che: (a) prevedono la sopravvivenza della garanzia anche se l’obbligazione principale è invalida o si estingue (c.d. “clausola di reviviscenza”); (b) dispensano la banca dal realizzare immediatamente il credito verso il debitore principale (derogando all’art. 1957 c.c. sui termini per escutere il fideiussore); (c) estendono la garanzia a tutte le obbligazioni future del debitore (clausola omnibus) senza massimale se non previsto. Nel 2024 la Cassazione (sent. 27243/2024) ha chiarito che tali nullità parziali valgono anche per le fideiussioni specifiche (cioè riferite a singoli finanziamenti) e non solo per quelle omnibus. Ciò significa che il garante, in molti casi, può opporre la nullità delle clausole “incriminate” e liberarsi dall’obbligo di pagamento. Dal punto di vista del debitore principale, l’invalidità della fideiussione può essere un vantaggio indiretto: se la banca sa di non poter escutere facilmente il garante, potrebbe essere più disponibile a trattare un saldo e stralcio col debitore stesso. In generale, quando si negozia una riduzione del debito, bisogna considerare il ruolo di garanti e coobbligati: un accordo transattivo dovrebbe espressamente liberare anche i garanti (o almeno prevederne la liberazione pagando una parte), altrimenti la banca potrebbe tentare di rivalersi su di loro per la parte di debito “stralciata”. Fortunatamente, essendo la fideiussione un’obbligazione accessoria, se il debito principale viene estinto (anche parzialmente per accordo liberatorio), la garanzia si estingue salvo patto contrario. È dunque buona prassi coinvolgere anche i garanti nelle trattative, per assicurarsi che l’eventuale stralcio copra tutte le posizioni e chiudere definitivamente la vicenda debitoria.
Questo è il contesto normativo in cui ci muoviamo: da un lato norme di diritto civile e bancario (codice civile, Testo Unico Bancario, legge anti-usura) che permettono di ricalcolare o ridurre il dovuto eliminando componenti illegittime; dall’altro norme concorsuali speciali che consentono di abbattere il debito in base a piani o accordi approvati. Nel seguito esamineremo in dettaglio i singoli strumenti, partendo da quelli extragiudiziali (dove la riduzione del debito avviene tramite accordo volontario con la banca) fino a quelli giudiziali (dove è il tribunale, su iniziativa del debitore, a convalidare un piano o imporre ai creditori un soddisfacimento parziale). Affronteremo anche le specificità legate ai debiti garantiti da ipoteca e da fideiussione, e i risvolti fiscali e patrimoniali di ciascuna soluzione.
Strumenti extragiudiziali per ridurre il debito bancario
In questa sezione analizziamo le strategie fuori dal tribunale che un debitore può adottare per ottenere una riduzione (o comunque un alleggerimento) dei propri debiti verso banche. Si tratta di accordi e soluzioni volontarie, che richiedono la collaborazione della banca e spesso una buona capacità negoziale (meglio se assistiti da un legale esperto in diritto bancario). Il vantaggio di queste soluzioni è la relativa rapidità e riservatezza (non si attiva una procedura pubblica) e la flessibilità (le parti possono concordare liberamente importi e condizioni). Di contro, la banca non è obbligata a concedere sconti – tutto dipende dalla convenienza che anche il creditore intravede nell’accordo rispetto alle alternative (recupero forzoso, rischio insolvenza del debitore, ecc.). Vediamo i principali strumenti extragiudiziali.
Rinegoziazione delle condizioni del debito
La prima via – la più semplice e a portata di mano – è chiedere alla banca una rinegoziazione del finanziamento in essere. La rinegoziazione non implica necessariamente un taglio dell’importo dovuto, ma può comportare modifiche che alleggeriscono il peso del debito, ad esempio:
- Riduzione del tasso di interesse: ottenere un tasso più basso riduce l’accumulo di interessi futuri e quindi l’importo totale da restituire.
- Allungamento del piano di ammortamento: se le rate vengono spalmarte su un periodo più lungo, ciascuna rata risulterà inferiore, rendendo il pagamento più sostenibile (anche se in totale si pagheranno più interessi, salvo riduzione del tasso).
- Periodo di moratoria o sospensione delle rate: la banca può concedere uno stop temporaneo ai pagamenti (tipicamente 6-12 mesi) in caso di difficoltà transitorie del debitore. Durante la moratoria, gli interessi possono continuare a maturare (salvo diversa pattuizione), ma il debitore ottiene un respiro immediato sul cash flow.
- Consolidamento interno del debito: ad esempio, se il cliente ha uno scoperto di conto o delle rate arretrate, la banca può “ricapitalizzare” queste posizioni in un nuovo piano dilazionato, magari accodando gli arretrati al capitale residuo e ricalcolando il tutto.
La rinegoziazione di solito non richiede particolari formalità: grazie al Decreto Bersani (D.L. 7/2007) la portabilità e rinegoziazione dei mutui è stata incentivata, e molte banche hanno propri programmi interni per ristrutturare crediti in difficoltà (anche su pressione delle autorità di vigilanza che preferiscono soluzioni concordate anziché sofferenze in aumento). Dal lato normativo, ricordiamo che:
- Per i mutui ipotecari prima casa, leggi recenti hanno previsto specifiche opportunità di rinegoziazione: ad esempio la Legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008) introdusse un meccanismo di rinegoziazione a tasso calmierato (il cosiddetto “tasso Banca Italia” per mutui a tasso variabile), e più recentemente il “Fondo Gasparrini” consente la sospensione delle rate per 18 mesi in caso di perdita del lavoro o altre circostanze gravi.
- Nel caso di procedura esecutiva già avviata sulla casa (pignoramento immobiliare), esiste uno strumento particolare denominato “Rinegoziazione del mutuo ex art. 41-bis D.L. 124/2019” (convertito dalla L. 157/2019, detto anche Fondo Salva Casa): il debitore esecutato proprietario della prima casa pignorata, se soddisfa certi requisiti, può chiedere al giudice un termine (fino a 6 mesi) per ottenere dalla stessa banca o da altro finanziatore una rinegoziazione del mutuo o un finanziamento sostitutivo finalizzato a pagare i creditori e bloccare l’asta. In pratica l’asta viene sospesa per dare una chance al debitore di salvarsi la casa, magari allungando il mutuo fino a 30 anni (anche con garanzia statale). Questa norma offre uno strumento ibrido tra extragiudiziale e giudiziale, ma è circoscritta a casi di prima casa e richiede la capacità di ottenere un nuovo mutuo (cosa non scontata per chi è in sofferenza).
In una rinegoziazione pura, il debito nominale spesso non diminuisce, ma si ottiene sollievo tramite rate più basse o interessi minori. Tuttavia, in alcuni casi la banca può anche accettare di rinunciare a interessi di mora, penali o spese maturate, effettuando di fatto uno stralcio di quelle componenti. Ad esempio, su un prestito con rate arretrate, la banca potrebbe concordare di rimettere (cancellare) le penali per ritardato pagamento se il cliente riprende a pagare regolarmente secondo un nuovo piano.
La rinegoziazione va formalizzata per iscritto (spesso tramite scrittura privata di modifica contrattuale). È fondamentale leggere bene i nuovi termini: assicurarsi che l’eventuale rinuncia a interessi o oneri sia esplicita, e che non vengano introdotte clausole peggiorative (come garanzie aggiuntive) se non concordate. Dal punto di vista del debitore, rinegoziare è consigliabile quando la difficoltà è temporanea o marginale rispetto alla capacità di rimborso a lungo termine. Se invece il debito è strutturalmente impagabile nelle sue dimensioni attuali, allora serve valutare strumenti più incisivi come il saldo e stralcio o le procedure di sovraindebitamento.
Consolidamento o rifinanziamento del debito
Un’altra opzione extragiudiziale è il consolidamento dei debiti: si tratta di ottenere un nuovo finanziamento (dalla stessa banca o da un intermediario diverso) con cui estinguere tutte le esposizioni esistenti, ritrovandosi con un’unica obbligazione più sostenibile. Tipicamente, il consolidamento punta a ridurre l’esborso mensile, combinando più debiti in uno solo a più lungo termine e magari tasso inferiore. Esempio: un privato ha 3 prestiti e 2 carte di credito revolving con rate per 1.000€ al mese complessive; può richiedere un prestito di consolidamento che chiuda tutte le posizioni e prevedere una rata unica da 600€ al mese per un periodo maggiore.
Il consolidamento non comporta un “taglio” del debito in senso stretto – anzi spesso il totale da rimborsare aumenta per via degli interessi su durata più lunga – però è rilevante citarlo perché, se ottenuto a condizioni favorevoli, evita l’insolvenza e quindi evita la necessità di procedure più drastiche. Ad esempio, molte banche offrono prodotti di consolidamento se il debitore ha ancora un merito creditizio sufficiente. In certi casi, è possibile consolidare garantendo il nuovo prestito con un’ipoteca su un immobile del debitore: questo permette al debitore chirografario (non garantito) di ottenere una riduzione del tasso grazie alla garanzia reale, e ottenere liquidità per chiudere i debiti. Bisogna però fare attenzione: ipotecare un immobile per pagare debiti minori espone il bene a un rischio che prima non aveva.
Una forma particolare di rifinanziamento è il “mutuo solutorio”, ovvero un mutuo concesso per estinguere precedenti debiti del mutuatario. Su questo la giurisprudenza ha dato conferme importanti: la Cassazione a Sezioni Unite nel 2025 (sent. 5841/2025) ha sancito la piena validità del mutuo solutorio, chiarendo che l’erogazione della somma può avvenire anche solo contabilmente (accredito sul conto del debitore destinato immediatamente a saldare le posizioni pregresse) ed è comunque idonea a far sorgere l’obbligo di restituzione a carico del mutuatario. Tradotto: se la banca vi concede un nuovo mutuo per pagare i vecchi debiti, non pensate di potervi sottrarre sostenendo che “non avete mai visto quei soldi sul conto” – quel mutuo è valido e va rimborsato come da contratto. Questa precisazione evita contestazioni sulla “causa” del contratto di mutuo solutorio e garantisce alle banche di poter offrire consolidamenti senza rischi di nullità.
In sintesi, il consolidamento è consigliabile se il debitore ha ancora un minimo di affidabilità creditizia e vuole abbassare le uscite mensili, pur sapendo di dover pagare interamente il dovuto (con più interessi se allunga molto). Se invece la banca rifiuta ulteriori prestiti o il debitore è già classificato a sofferenza, questa strada potrebbe non essere praticabile.
Accordo a saldo e stralcio del debito
Il saldo e stralcio è probabilmente la forma più diretta di riduzione sostanziale del debito in sede stragiudiziale. Come anticipato, consiste in un accordo transattivo in cui la banca accetta di chiudere la posizione debitoria in cambio di un pagamento inferiore al totale dovuto e rinuncia formalmente e definitivamente a reclamare il residuo. Ad esempio, a fronte di un debito di €50.000, la banca potrebbe accettare €20.000 a saldo e stralcio, liberando il debitore dai restanti €30.000. Questo strumento è di uso frequente soprattutto quando il debitore è già insolvente o molto vicino all’insolvenza, e la banca valuta che incassare subito una percentuale del credito sia più conveniente che intraprendere lunghe azioni legali dall’esito incerto.
Dal punto di vista giuridico, il saldo e stralcio è una transazione ex art. 1965 c.c.: va quindi formalizzato per iscritto, specificando l’oggetto (il rapporto o i rapporti che si vogliono chiudere), l’importo concordato e la rinuncia del creditore a ogni ulteriore pretesa su quel rapporto. È bene che nell’accordo sia indicato chiaramente che il pagamento parziale estingue per intero il debito e che la banca si impegna a rilasciare al debitore quietanza liberatoria finale. La Cassazione – come visto – considera questo accordo come modifica del debito originario e non come nuova obbligazione (nessuna novazione): quindi le eventuali garanzie restano vincolate fino al pagamento del saldo concordato, e l’ipoteca si potrà cancellare solo dopo l’esecuzione dell’accordo. Se vi sono fideiussori, in assenza di loro adesione esplicita all’accordo, vale il principio generale che, avendo la banca accettato un pagamento inferiore a tacitazione di ogni obbligo, anche i fideiussori beneficiano dell’estinzione dell’obbligazione garantita (non possono essere tenuti a pagare il residuo perché quel residuo è stato oggetto di rinuncia da parte della banca). Ad ogni modo è prudente includere i garanti nel saldo e stralcio facendogli sottoscrivere l’accordo, per evitare contestazioni.
Quando proporre un saldo e stralcio? Generalmente la leva negoziale del debitore è maggiore quando la sua situazione è effettivamente compromessa: paradossalmente, più il debitore è “al tracollo”, più la banca – se razionale – sarà disposta a fare uno sconto significativo, pur di ottenere qualcosa invece di rischiare di non recuperare nulla (o recuperare poco dopo anni di procedure). Se invece il debitore possiede molti beni aggredibili o redditi pignorabili, la banca sarà meno incline a rinunciare al credito. Altri fattori che tipicamente incidono sulla percentuale di stralcio: la presenza di garanzie reali (se c’è un’ipoteca di valore, la banca preferirà escutere quella e non farà grossi sconti, a meno che il valore del bene sia inferiore al debito), il tempo trascorso dal default (un credito molto “stagionato” o già passato a sofferenza viene spesso venduto a società di recupero per frazioni del valore nominale, quindi la banca potrebbe accettare cifre modeste), eventuali vizi del credito (come tassi usurai, anatocismo: se il debitore ha già contestato queste voci in tribunale, la banca potrebbe transare temendo di perdere del tutto su quegli importi).
Vantaggi: per il debitore, ovviamente, il vantaggio è di ottenere uno “sconto” concreto sul debito e chiudere la posizione evitando fallimenti, pignoramenti o ulteriori interessi di mora. Si esce dalla situazione debitoria e si può cominciare a ricostruire la propria economia personale. Il vantaggio per la banca è di incassare subito una somma certa (anche se ridotta) ed evitare spese legali e rischio di insuccesso nelle azioni di recupero. In pratica è un punto di incontro: il debitore dimostra subito disponibilità di una certa cifra (spesso il saldo e stralcio richiede pagamento in unica soluzione o poche tranche ravvicinate), la banca accetta di “perdere” una parte ma ottiene liquidità immediata e chiude la partita in tempi rapidi.
Svantaggi e attenzioni: non vi è alcuna garanzia che la banca accetti – è una trattativa. Inoltre, il debitore deve procurarsi la liquidità per pagare il saldo concordato: a volte significa rivolgersi a terzi, vendere qualche bene o farsi aiutare da familiari. Un’altra conseguenza da considerare è l’impatto sulla reputazione creditizia: un debito chiuso a saldo e stralcio viene generalmente segnalato nelle banche dati creditizie (Crif, Centrale Rischi Bankitalia) come “credito parzialmente soddisfatto a saldo”. Ciò è meglio di un’insolvenza aperta, ma potrebbe rendere più difficile ottenere nuovi prestiti per alcuni anni, finché la segnalazione permane (in Crif i dati negativi restano 36 mesi dall’ultimo aggiornamento). Dal lato legale, è fondamentale redigere bene l’accordo: indicare esattamente gli estremi dei rapporti debitori che si intendono stralciare, la data e modalità di pagamento del saldo e la dichiarazione che “a pagamento avvenuto, nulla più sarà dovuto e ogni garanzia correlata si intenderà liberata”. Si consiglia di formalizzare l’accordo per iscritto prima di effettuare il pagamento (onde evitare che, incassato il denaro, il creditore cambi idea). Idealmente l’accordo può assumere la forma di atto transattivo autenticato, specie se bisogna poi cancellare ipoteche: ma spesso avviene con semplice scrittura controfirmata dalla banca.
Percentuali di stralcio: non esiste una percentuale fissa o “di legge”. Nella prassi, si vedono stralci anche elevati (70-80% di riduzione) se il credito è molto deteriorato e non garantito; al contrario, su crediti garantiti da immobili la riduzione è contenuta o nulla (la banca vorrà almeno il valore di realizzo del bene). Un esempio concreto: su un residuo mutuo di €100.000 con casa pignorata che all’asta varrebbe forse €50.000, la banca potrebbe accettare €50.000 subito a saldo (rinunciando ad altri €50.000) perché tanto quello è il ricavato atteso dall’esecuzione. Oppure, su una carta di credito con €10.000 di insoluto da anni, ormai svalutata a bilancio, una finanziaria può accettare anche €3.000 (il 30%) sapendo che alternative di recupero realistico non ce ne sono.
Di seguito una tabella esemplificativa (puramente indicativa, ogni caso fa storia a sé) di come la gravità della crisi del debitore possa influire sul potenziale stralcio:
Situazione del debitore | Profilo del credito bancario | Percentuale di stralcio possibile (indicativa) | Note e motivazioni dello sconto |
---|---|---|---|
Debitore senza garanzie, disoccupato o con reddito minimo, altri debiti pendenti. | Credito chirografario (prestito personale, carta di credito) in sofferenza da tempo. | 50% – 80% di riduzione (debito pagato al 20-50%). | Banca teme insolvenza totale, credito già svalutato a bilancio, preferisce incassare qualcosa subito. |
Debitore proprietario di casa, ma già ipotecata dalla stessa banca o da altri, in vendita forzata. | Credito ipotecario (mutuo) con garanzia su immobile dal valore inferiore al debito residuo. | 20% – 50% di riduzione (debito pagato al 50-80%). | La banca confronta lo stralcio col ricavato dell’asta (es. se stima recupero 50%, può accettare poco più di quella soglia). |
Debitore con attività d’impresa avviata, che vuole evitare il fallimento. | Credito bancario autoliquidante o fido scoperto, senza garanzie reali ma con possibili azioni su beni aziendali. | 30% – 60% di riduzione. | La banca valuta il concordato preventivo come alternativa: se stima di prendere il 40% in un concordato tra 2 anni, può accettare un 50% subito stralciando il resto. |
Debitore in moderata difficoltà, ad esempio leggero ritardo nei pagamenti ma patrimonio integro. | Credito con garanzie solide (es. mutuo con ipoteca su immobile di valore >= debito). | 0% – 20% di riduzione (pagamento 80-100%). | La banca non ha interesse a scontare molto perché può recuperare quasi tutto dal patrimonio o con azioni legali. Magari offre solo dilazioni o taglio interessi moratori. |
Tabella 1: Esempi indicativi di percentuali di saldo e stralcio in base alla situazione. (Le percentuali sono stimate e possono variare caso per caso)
Come si evince, lo stralcio massimo si ottiene in situazioni di sostanziale irreperibilità di risorse, mentre se il debitore ha beni aggredibili la banca userà il “bastone” dell’azione legale più che la “carota” dello sconto.
Procedura per trattare un saldo e stralcio: In genere il debitore (o il suo legale) invia alla banca o alla società di recupero un’istanza scritta, formulando una proposta concreta di pagamento entro una certa data, spesso corredandola di documentazione sulla propria situazione finanziaria (per convincere il creditore che quella è la migliore offerta possibile data la crisi). La banca valuterà internamente (spesso c’è un ufficio crediti deteriorati preposto). La trattativa può richiedere vari scambi di offerte. Se si giunge a un accordo, è essenziale farsi mandare una lettera di conferma dell’accordo di saldo e stralcio con tutti i dettagli, da firmare per accettazione. Solo dopo si procede al pagamento nelle modalità pattuite (bonifico, assegno circolare, ecc.), preferibilmente con causale che richiami “saldo finale a stralcio conforme ad accordo del …”. Infine, ottenere dalla banca una quietanza liberatoria finale che attesti la chiusura completa del rapporto.
Il saldo e stralcio, come strumento principe di riduzione consensuale del debito, sarà richiamato anche più avanti nella guida quando parleremo di come si innesta in altre procedure (ad esempio può essere previsto all’interno di un piano di sovraindebitamento, oppure esiste il cosiddetto saldo e stralcio fiscale per i debiti con l’Erario in certe normative). Ma il concetto di base rimane questo: transazione bonaria debito vs pagamento ridotto.
Piano di rientro concordato (senza stralcio)
Un concetto affine ma distinto dal saldo e stralcio è il “piano di rientro” concordato. Spesso la banca, quando un debitore è in mora, propone o accetta un piano rateale per sanare l’arretrato. Ad esempio: Tizio ha 5 rate di mutuo scadute; la banca può concedergli di spalmare queste 5 rate non pagate sulle successive 12 rate future, in aggiunta alle rate correnti. Oppure Caio ha uno scoperto di conto di 20.000€: la banca gli fa firmare un piano di rientro in 24 mesi, rate mensili di ~834€ ciascuna.
Il piano di rientro è in sostanza un riconoscimento di debito con contestuale dilazione. Non comporta riduzioni dell’importo dovuto (a meno che contenga anche una rinuncia a interessi futuri o spese, ma in genere il debito riconosciuto è l’intero). Serve più che altro a evitare azioni legali immediate: il debitore si impegna formalmente a pagare a scadenze fisse, e spesso la banca, finché il piano è rispettato, sospende le azioni esecutive. Attenzione però: in caso di mancato rispetto di un piano di rientro, la posizione del debitore peggiora, perché nel frattempo potrebbe aver riconosciuto per iscritto il debito (interrompendo i termini di prescrizione e precludendo contestazioni sull’importo) e la banca, avendo già un accordo firmato, andrà direttamente in via giudiziaria (magari chiedendo un decreto ingiuntivo fondato sull’accordo stesso). Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto che la sottoscrizione di un piano di rientro può valere come ricognizione del debito che impedisce poi di eccepire vizi del contratto originario, se nell’accordo il debitore dichiara di riconoscere il proprio debito alle condizioni concordate. Dunque, mai firmare piani di rientro al buio: vanno rinegoziati importi corretti e sostenibili.
In sintesi, il piano di rientro non riduce il debito ma lo rende pagabile nel tempo; è utile se il problema è di liquidità temporanea. Se invece si punta a ridurre l’ammontare, occorre insistere per uno stralcio o passare a strumenti giudiziari.
Strumenti negoziali per imprese in crisi (moratorie e accordi extragiudiziali)
Quando il debitore è un’impresa o un imprenditore, oltre alle soluzioni sopra descritte (che rimangono applicabili anche alle imprese, es. una transazione a stralcio con la banca), esistono strumenti organizzati a livello di sistema bancario per agevolare la gestione delle crisi. Ad esempio:
- Convenzioni di moratoria ABI: sono accordi quadro promossi dall’Associazione Bancaria Italiana (spesso d’intesa col Governo) in cui le banche aderenti si impegnano a concedere moratorie standardizzate alle PMI in difficoltà. Periodicamente ne escono (es. moratoria 2015, moratoria COVID-19 nel 2020). Tali moratorie in genere sospendono i pagamenti della quota capitale dei mutui per un certo periodo, congelando la posizione senza considerarla in default. Non riducono il debito ma evitano deterioramenti immediati.
- Accordi di ristrutturazione “privati” con banche multiple: se un’impresa ha debiti verso più banche, può tentare di negoziare un accordo coordinato con tutte (o la maggioranza) delle sue banche. Questo spesso avviene con l’assistenza di un advisor finanziario e punta ad evitare di finire in procedura concorsuale. Strumenti come il “piano attestato di risanamento” (art. 56 CCII) possono essere di fatto extragiudiziali: l’impresa predispone un piano di risanamento, un professionista indipendente lo attesta come fattibile, e quindi l’impresa sigla accordi bilaterali con i creditori seguendo quel piano. Il vantaggio di avere un piano attestato è che, se viene effettivamente eseguito e pubblicato (depositato) presso il Registro Imprese, la legge gli riconosce alcune tutele: i pagamenti e atti compiuti in esecuzione del piano non sono soggetti a revocatoria fallimentare (art. 56 CCII), e le eventuali riduzioni di debiti non costituiscono sopravvenienze attive tassabili per l’impresa. Tuttavia, essendo un percorso volontario, serve l’accordo dei creditori: non c’è cram-down, quindi se una banca dissente potrebbe agire per conto suo e far saltare il banco.
- Composizione negoziata della crisi: come accennato, dal 2021 esiste questo percorso in cui un esperto terzo aiuta l’imprenditore a trovare un accordo con i creditori. In pratica l’imprenditore chiede la nomina di un esperto dalla Camera di Commercio; con lui redige un piano provvisorio e incontra le banche e altri creditori in modo organizzato. Durante la composizione negoziata può ottenere dal tribunale misure protettive temporanee (sospensione delle azioni esecutive) per favorire la trattativa. Se la negoziazione riesce, si può concludere con diversi esiti: un semplice accordo stragiudiziale (ad esempio le banche firmano un accordo di moratoria o accettano uno stralcio concordato di parte dei crediti), oppure l’accesso a una procedura giudiziale minore (concordato semplificato o convenzione di ristrutturazione agevolata). Nel contesto extragiudiziale, la composizione negoziata è utile perché fornisce un quadro istituzionale alla trattativa: le banche sono più invogliate a partecipare seriamente, sapendo che c’è il “controllo” di un esperto nominato e la prospettiva di soluzioni concordate. L’esempio di Alfa S.r.l. (cfr. caso descritto in dottrina) mostra come attraverso la negoziazione assistita l’impresa possa ottenere proroghe sui finanziamenti (moratorie), nuove linee per liquidità e anche riduzioni parziali di alcuni debiti commerciali, evitando il default.
Riassumendo le soluzioni extragiudiziali: il debitore può trattare direttamente con la banca modifiche contrattuali (rinegoziazioni), chiedere o farsi offrire un consolidamento, oppure proporre un saldo e stralcio per ridurre de jure il suo debito residuo. Le imprese hanno a disposizione ulteriori canali di negoziazione collettiva con le banche. Tutte queste strade condividono il fatto di essere volontarie: senza il consenso del creditore non producono effetti. Pertanto, se la banca rifiuta di accordarsi – o se la situazione è così grave che richiede l’intervento dell’autorità giudiziaria per superare l’opposizione di qualche creditore – è necessario attivare gli strumenti giudiziali, di cui parliamo nella prossima sezione.
Strumenti giudiziali per ridurre il debito: procedure concorsuali e azioni legali
Quando la trattativa privata non basta o non è possibile, l’ordinamento offre delle procedure formali, davanti all’autorità giudiziaria, che permettono di ottenere la riduzione dei debiti in modo coattivo o regolamentato. Ci sono due grandi categorie di strumenti giudiziali utili al debitore:
- Procedure concorsuali (o di sovraindebitamento): Sono procedimenti presso il tribunale specializzati in materia di crisi, in cui il debitore propone un piano per il pagamento parziale dei debiti. Se il piano rispetta i requisiti di legge, viene omologato dal giudice e diventa vincolante per tutti i creditori, anche se alcuni di essi dissentono (entro certi limiti). In queste procedure la riduzione del debito è dunque ottenuta attraverso un provvedimento giudiziale che rende efficace un accordo o un piano, spesso in presenza del voto favorevole di una maggioranza qualificata di creditori. Rientrano qui: le procedure di sovraindebitamento per privati e piccole imprese (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata), nonché gli accordi di ristrutturazione e i concordati preventivi per imprese maggiori.
- Azioni giudiziarie di accertamento/nullità: Sono le cause civili che il debitore può intentare (o le opposizioni alle richieste della banca) in cui si contestano gli importi dovuti facendo leva su regole legali (interessi non dovuti, clausole nulle, prescrizioni). In pratica, qui il debitore cerca di far ridurre il debito dal giudice dimostrando che una parte di esso è illegittima o non più esigibile. Ad esempio: l’opposizione a decreto ingiuntivo con cui si chiede la rideterminazione del saldo di conto corrente epurandolo dagli interessi anatocistici; la causa per far dichiarare che il tasso effettivo del mutuo era usurario e quindi non sono dovuti interessi; l’eccezione di prescrizione su rate scadute da oltre 5 anni; l’azione di nullità di una fideiussione per violazione antitrust, ecc. Queste azioni non ristrutturano il debito, ma se accolte ne riducono l’ammontare o addirittura lo annullano in parte.
Di seguito analizziamo prima le procedure concorsuali/sovraindebitamento (sezione A) e poi le azioni giudiziarie individuali (sezione B). È importante notare che spesso il debitore ricorre a entrambi gli approcci: ad esempio, un consumatore potrebbe presentare un piano del consumatore in tribunale (sez. A) e, nell’ambito di quel piano, aver contestualmente fatto valere l’usurarietà di certi interessi (sez. B) per abbassare il montante da inserire nel piano. Le due vie non si escludono.
A) Procedure giudiziali di composizione della crisi (sovraindebitamento e concorsuali)
Queste procedure permettono, in caso di crisi conclamata, di imporre ai creditori una riduzione dei loro crediti secondo un piano equo, sotto controllo del tribunale. Sono strumenti complessi che richiedono l’assistenza di professionisti (avvocati, commercialisti) e l’intervento di organi nominati dal tribunale (come gli OCRI/OCC – Organismi di Composizione della Crisi). L’effetto finale positivo per il debitore, se tutto va bene, è l’esdebitazione: la liberazione dai debiti residui una volta eseguito ciò che era previsto dal piano.
Possiamo suddividerle in due ambiti: (1) procedure per soggetti non fallibili (c.d. sovraindebitamento, ora confluite nel CCII per consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, ecc.); (2) procedure per imprese maggiori (accordi di ristrutturazione e concordati nel CCII, eredi della vecchia legge fallimentare).
Procedure di sovraindebitamento per privati e piccoli imprenditori
Sono riservate a chi non può accedere alle normali procedure fallimentari, cioè consumatori, imprenditori sotto soglia, startup innovative, enti non profit, imprenditori agricoli, ecc. – in generale i “debitori civili” o le piccole attività non soggette a fallimento. Fino al 2022 erano disciplinate dalla Legge 3/2012; oggi le troviamo nel Codice della crisi (artt. 65-91 CCII e seguenti). Le procedure principali sono tre:
- Piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore): riservato alle persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa (cioè per bisogni personali o familiari). È una proposta di piano di pagamento parziale dei debiti che il debitore consumatore presenta al tribunale tramite l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC). La caratteristica peculiare del piano del consumatore è che non richiede il voto dei creditori: è il giudice a valutare la fattibilità e soprattutto la “meritevolezza” del consumatore (ossia che il sovraindebitamento non sia dovuto a sua colpa grave o frode). Se il giudice omologa il piano, questo diventa vincolante per tutti i creditori chirografari; i creditori privilegiati (es. la banca con mutuo ipotecario) possono essere pagati parzialmente solo se acconsentono esplicitamente, altrimenti nel piano si può prevedere al più la dilazione del loro credito ma non il taglio (salvo che la percentuale a loro offerta sia comunque migliore di quanto otterrebbero pignorando il bene: in tal caso il giudice può cramdown, come da riforma del 2021). In pratica, con il piano del consumatore un privato sovraindebitato può ad esempio proporre: “Pago il 20% di ogni mio debito senza interessi, in 5 anni, perché questo posso permettermi, e chiedo l’esdebitazione del restante 80%”. Se il tribunale ritiene la proposta seria e il debitore meritevole, l’omologa anche se magari alcune finanziarie o banche non erano d’accordo – a patto che il trattamento proposto sia più vantaggioso di quello che i creditori otterrebbero altrimenti (ad es. pignorando il poco che ha). Il piano del consumatore è uno strumento potente, perché supera il dissenso dei creditori affidandosi al giudice, ed è concepito proprio per chi si è indebitato nella sfera personale (es. famiglia sovraindebitata per troppi prestiti).
- Concordato minore (ex “accordo di composizione”): è l’equivalente del piano del consumatore ma per i debitori non fallibili che hanno debiti anche di natura imprenditoriale (imprenditori sotto soglia, ditte individuali, piccoli commercianti o artigiani, professionisti con partita IVA, ecc.). Si chiama minore per distinguerlo dal concordato preventivo delle grandi imprese, ma in sostanza è un accordo di ristrutturazione tra debitore e creditori. Funziona così: il debitore prepara, con l’OCC, una proposta di accordo con i creditori in cui offre di pagarli in parte, magari secondo diverse percentuali a seconda delle categorie (si possono distinguere creditori con o senza garanzie). La proposta deve ottenere l’adesione di almeno il 60% dei crediti (prima era 70% con la Legge 3/2012, soglia abbassata poi al 60%) e in ogni caso passa al vaglio del tribunale per l’omologazione. Se omologato, vincola tutti i creditori inclusi, anche quelli dissenzienti (purché si sia raggiunta la maggioranza richiesta). Il concordato minore dunque richiede un certo consenso tra i creditori, a differenza del piano del consumatore. È uno strumento adatto a chi ha ad esempio una piccola azienda con fornitori e banche da soddisfare: consente di bloccare le azioni esecutive durante la procedura e di chiudere con un pagamento parziale concordato. Anche qui vale il principio per cui i creditori privilegiati (come le banche ipotecarie) se non aderiscono devono essere soddisfatti integralmente almeno per la parte di valore della garanzia (o comunque non possono ricevere meno di quanto otterrebbero liquidando il bene su cui hanno privilegio). Spesso il concordato minore si traduce in un pagamento dilazionato ai creditori, con eventuali stralci dei chirografari; può anche prevedere che il debitore continui l’attività (concordato minore in continuità) oppure liquidi tutto (concordato minore liquidatorio).
- Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”): è la procedura da utilizzare quando il debitore non ha la possibilità di offrire un piano di pagamento, oppure quando il piano o accordo proposto non ottiene consensi. In pratica, il debitore mette a disposizione tutto il suo patrimonio liquidabile al tribunale, che nomina un liquidatore. Il liquidatore vende i beni (esistono anche casi di assegnazione di beni ai creditori) e ripartisce il ricavato tra i creditori secondo le regole delle prelazioni. Al termine della liquidazione, se il debitore è stato cooperativo e meritevole, ottiene l’esdebitazione dei debiti rimasti insoddisfatti. La liquidazione controllata è simile al fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale per le imprese maggiori) ma con alcune tutele: ad esempio, la legge prevede duri limiti di durata – la procedura deve concludersi di norma in 3 anni – e soprattutto l’esdebitazione avviene in automatico su richiesta alla fine, senza dover avviare un giudizio separato come avveniva in passato. È la soluzione estrema: il debitore rinuncia ai suoi beni (salve le cose impignorabili per legge, ad es. i beni di stretta necessità, stipendi per la parte minima vitale, ecc.), però in cambio si pulisce da tutti i debiti residui. Oggi anche il debitore incapiente (che non ha beni né redditi) può accedere a una forma particolare di liquidazione semplificata detta “esdebitazione del debitore incapiente”: in pratica, se uno non ha nulla da dare ai creditori, il tribunale può ugualmente dichiarare cancellati i debiti inesigibili, con beneficio di esdebitazione immediata (senza utilità per i creditori). Questa misura introdotta nel 2021-2022 ha finalità sociali evidenti: dare pace a chi è nullatenente e oppresso da debiti che mai potrà pagare, pur senza alcun soddisfacimento per i creditori (è ammessa solo a condizioni rigorose e una sola volta nella vita).
Tutte queste procedure sono gestite tipicamente dal Tribunale del luogo di residenza (per persone fisiche) o sede dell’impresa, con l’assistenza di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che aiuta il debitore a predisporre la proposta e funge da gestore della procedura. Durante la pendenza di tali procedure, il debitore è protetto: il giudice può disporre la sospensione o il divieto di azioni esecutive individuali da parte dei creditori (un automatic stay simile al fallimento). Questo significa che, ad esempio, se un debitore presenta un piano del consumatore e il giudice lo ammette, gli eventuali pignoramenti in corso vengono congelati, niente nuovi pignoramenti né ipoteche, e i creditori devono aspettare l’esito.
Di seguito una tabella riepilogativa delle principali caratteristiche delle procedure di sovraindebitamento (CCII):
Procedura (CCII) | Soggetti ammessi (debitori non fallibili) | Riduzione del debito prevista? | Consenso creditori richiesto? | Esdebitazione finale? |
---|---|---|---|---|
Piano del consumatore (artt. 67-73 CCII) – ridenominato “Ristrutturazione dei debiti del consumatore”. | Consumatori (persone fisiche non imprenditori). | Sì, il piano può prevedere pagamento parziale dei debiti chirografari; privilegiati solo dilazionati (salvo consenso a stralcio). | No voto creditori, decide il giudice in base a fattibilità e meritevolezza. Creditori possono fare opposizione ma niente votazione. | Sì – il consumatore ottiene l’esdebitazione dei debiti residui all’attuazione del piano omologato. |
Concordato minore (artt. 74-83 CCII) – ex accordo di composizione. | Debitori “non fallibili” diversi dal consumatore: piccoli imprenditori, professionisti, start-up, enti no profit, soci illimitatamente responsabili, ecc.. | Sì, l’accordo può prevedere stralci di crediti chirografari e anche di parte dei privilegiati (se accettano o se comunque prendono ≥ valore liquido garanzia). | Sì voto – serve adesione di ≥60% dei crediti totali. I non aderenti sono comunque vincolati se omologa. Creditori possono opporsi in omologazione. | Sì – dopo esecuzione dell’accordo omologato, il debitore è liberato dei debiti residui (esdebitazione). |
Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) – ex liquidazione patrimonio. | Qualsiasi debitore non fallibile insolvente o sovraindebitato (anche consumatore può optare direttamente per liquidazione). | Implicitamente sì – i creditori vengono soddisfatti nei limiti del realizzo dei beni. La parte di debito eccedente di fatto non viene pagata e potrà essere cancellata con esdebitazione. | No voto – i creditori non votano, subiscono la liquidazione. Procedura gestita dal liquidatore nominato dal tribunale. | Sì – al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti (automatica salvo eccezioni). Per incapiente, possibile esdebitazione immediata. |
Tabella 2: Confronto semplificato delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (post-riforma CCII).
Dal punto di vista del debitore, scegliere l’una o l’altra procedura dipende dalla situazione: un consumatore con molti debiti opterà per il piano del consumatore (se ha un reddito da offrire in percentuale) o per la liquidazione (se non ha nulla da offrire se non liquidare i pochi beni e liberarsi dei debiti); un piccolo imprenditore magari tenterà un concordato minore se riesce ad ottenere almeno il 60% di accordo (magari convincendo le banche principali), altrimenti ripiegherà anche lui sulla liquidazione controllata. In ogni caso, l’esdebitazione cancella i debiti residui verso banche e altri creditori chirografari: dopo aver adempiuto il piano o essersi spogliato dei beni in liquidazione, il debitore esce “pulito” dalla procedura e i creditori non possono più avanzare pretese per la parte di credito non soddisfatta.
Va sottolineato che non tutti i debiti sono esdebitabili: restano comunque esclusi i debiti per mantenimenti familiari (alimenti dovuti all’ex coniuge o ai figli), le multe e sanzioni penali, e in generale obblighi di natura personale. Ma i debiti bancari rientrano sempre tra quelli cancellabili – così come i debiti fiscali, con qualche limite sulle sanzioni (vedi oltre il profilo fiscale).
Procedure concorsuali per imprese “fallibili”
Per le imprese commerciali più grandi (società di capitali, cooperative, imprese individuali sopra le soglie di fallibilità) valgono le procedure previste dal Codice della crisi che hanno preso il posto della vecchia legge fallimentare. Anche queste puntano, ove possibile, a risanare l’impresa riducendo il debito, oppure a liquidarla assicurando però l’esdebitazione all’imprenditore individuo (le società invece con la liquidazione si estinguono). Elenchiamo brevemente i principali strumenti:
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII): il debitore imprenditore propone un accordo a tutti o parte dei creditori, da omologare in tribunale. Serve il consenso di almeno il 60% dei crediti (accordo “ordinario”), ma il CCII ha introdotto varianti: l’accordo agevolato con soglia ridotta al 30% se si rinuncia a certe tutele (nessuna moratoria per i non aderenti), e l’accordo ad efficacia estesa che può vincolare anche istituti finanziari dissenzienti se un’ampia maggioranza (75%) della categoria ha aderito. Gli accordi di ristrutturazione possono includere stralci di debiti sia chirografari sia erariali (tramite la cosiddetta transazione fiscale, art. 63 CCII, oggi molto più flessibile: ad esempio ora è ammesso proporre il taglio anche dell’IVA e delle ritenute, cosa che prima era vietata). Durante le trattative l’imprenditore può chiedere misure protettive al tribunale per sospendere le azioni esecutive. Una volta omologato, l’accordo vincola i creditori aderenti e, per i non aderenti, prevede comunque che siano pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa o scadenza (quindi di fatto i dissenzienti devono essere soddisfatti per intero, altrimenti occorreva convincerli). In pratica gli accordi sono uno strumento di soluzione negoziale delle crisi con l’avallo del tribunale. Per il debitore il vantaggio è che con il decreto di omologa ottiene la cristallizzazione del debito ridotto come da accordo – i creditori non possano più pretendere oltre quanto accordato. E come già accennato, la legge fiscale (art. 88 TUIR) prevede che le riduzioni di debito in tali accordi non siano imponibili per l’impresa.
- Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII): è la procedura più nota, l’erede del vecchio concordato preventivo. Qui l’impresa propone un piano ai creditori, suddivisi in classi omogenee. Il piano può prevedere la continuità aziendale (l’impresa non chiude, anzi prosegue l’attività, magari ridimensionata) oppure la liquidazione (cessione dei beni a un assuntore, o vendita pezzi dell’azienda). In ogni caso, l’obiettivo è regolare il pagamento dei creditori in modo più vantaggioso rispetto al fallimento. Nel concordato, diversamente dall’accordo ex 57, tutti i creditori sono coinvolti e vincolati dall’omologa (non solo quelli aderenti). Occorre però il voto favorevole della maggioranza dei crediti in ogni classe (maggioranza semplice >50%, oppure 2/3 se previsto diversamente – la regola è un po’ complessa ma diciamo la maggioranza dei crediti votanti, e almeno 50% di tutte le classi) e l’omologa del tribunale che verifica diversi requisiti (fattibilità, convenienza rispetto a fallimento, ecc.). Quanto alla riduzione del debito: il concordato preventivo può prevedere anche pagamenti parziali molto bassi ai chirografari (la legge consente in ipotesi liquidatorie di non pagarli oltre il 20% salvo eccezioni, e in continuità non c’è soglia minima specifica). I creditori privilegiati devono ricevere almeno il valore di mercato del bene su cui hanno prelazione (o, se non c’è soddisfacimento integrale, devono votare a favore e accettare l’eventuale taglio). Una volta eseguito il concordato, l’azienda esce dalla crisi con i debiti ridotti secondo il piano. Se l’impresa è individuale, l’imprenditore persona fisica ottiene esdebitazione per i debiti concorsuali rimasti (anche qui introdotta dal CCII, mentre prima bisognava passare per il fallimento per esdebitarsi). Le statistiche mostrano che nei concordati liquidatori spesso i creditori chirografari prendono percentuali modeste (10-30%), dunque il taglio del debito è consistente; nei concordati in continuità, a fronte di un sacrificio minore (tipo 50%), i creditori puntano sul fatto che l’azienda risani e continui a lavorare.
- Liquidazione giudiziale (ex fallimento): se non è possibile un concordato e l’impresa è insolvente, viene dichiarata la liquidazione giudiziale. In questo caso l’imprenditore persona fisica ha comunque diritto all’esdebitazione dei debiti non soddisfatti, su sua richiesta al termine della procedura, purché abbia cooperato (art. 278 CCII). Ciò è rilevante per ridurre a zero il debito residuo post-fallimento: ad esempio se il fallimento paga il 5% ai creditori, l’imprenditore onesto verrà liberato dal restante 95% grazie all’esdebitazione (salvo debiti esclusi, come quelli risarcitori per dolo, alimenti, ecc.).
- Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: introdotto nel 2021 come rimedio in caso di composizione negoziata fallita, consente all’imprenditore di chiedere direttamente l’omologazione di un concordato liquidatorio senza voto dei creditori, purché questi ricevano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione giudiziale. È una procedura particolare e residuale, ma la citiamo perché è stata oggetto di discussione anche sul piano fiscale (le sopravvenienze attive derivanti da stralcio in questo concordato semplificato non godrebbero dell’esenzione fiscale prevista invece per gli altri concordati). Dal punto di vista del debitore, il concordato semplificato è utile per chiudere più rapidamente, ma essendo liquidatorio di fatto comporta la vendita di tutti i beni – è simile a un fallimento rapido con esdebitazione finale.
Ricapitolando per le imprese: se avete un’azienda indebitata con le banche, potete tentare un accordo di ristrutturazione omologato (che richiede l’accordo col 60% delle banche almeno) oppure un concordato preventivo (dove serve convincere i creditori votanti). In entrambi i casi potete proporre stralci dei debiti bancari; con l’accordo è necessario che le banche principali aderiscano, col concordato potete includere tutti ma dovete convincere la maggioranza in procedura. Se né accordo né concordato riescono, l’esito sarà la liquidazione giudiziale (fallimento), da cui l’imprenditore persona fisica comunque può emergere senza debiti grazie all’esdebitazione personale.
Una nota sui debiti bancari ipotecari nelle procedure concorsuali: se la banca ha un’ipoteca su un immobile e il debitore va in concordato o liquidazione, la banca è un creditore privilegiato sul ricavato di quel bene. Di norma, se l’immobile viene venduto, la banca prende fino a soddisfazione dal prezzo; se il prezzo non copre l’intero credito, la banca rimane creditore chirografario per la differenza e partecipa al concorso per quella quota (subendo quindi il possibile stralcio su quella parte). Quindi anche in procedure giudiziali, si può dire che un debito ipotecario viene “ridotto” almeno fino al valore del bene: la parte eccedente viene trattata come debito normale e potenzialmente falcidiata. Ad esempio, se c’è un mutuo residuo di €200.000 e l’immobile ne vale €150.000, la banca privilegiata otterrà €150.000 dalla vendita e per i restanti €50.000 concorrerà come chirografario, prendendo magari il 20% di quella parte secondo il piano – quindi recupera altri €10.000 – per cui in totale ottiene €160.000 e rinuncia a €40.000 (che vengono esdebitati).
B) Azioni legali per contestare e ridurre il debito
Parallelamente (o prima ancora) di ricorrere a procedure concorsuali, un debitore può far valere i propri diritti in sede giudiziale ordinaria per ridurre l’importo preteso dalla banca. Si tratta del contenzioso tradizionale banca-cliente, che può avere un impatto significativo sul debito: se ad esempio viene riconosciuto che la banca aveva applicato tassi ultra-soglia, tutti gli interessi decadono e il debito si riduce a solo capitale; oppure se un mutuo viene dichiarato nullo in parte, occorre ricalcolare gli importi. Ecco i filoni principali di contestazione:
- Usura bancaria (interessi usurari): La legge 108/1996 stabilisce un tasso soglia trimestrale oltre il quale gli interessi sono usurari e la clausola è nulla. L’art. 1815, co.2 c.c. prevede che in caso di usura “non sono dovuti interessi”. Questo implica che se in un contratto di mutuo, o di fido bancario, il tasso pattuito (sommando interessi corrispettivi, commissioni e spese) supera il tasso soglia pro tempore, il debitore può eccepire l’usurarietà e chiedere che il contratto venga ricalcolato senza interessi (pagando solo il capitale). Molto contenzioso c’è stato su come calcolare la soglia e se includere gli interessi di mora: la Cassazione, con sent. 350/2013 e altre successive, ha incluso anche gli interessi moratori nel calcolo antiusura, comparandoli con soglie specifiche per moratori (le Sezioni Unite devono ancora pronunciarsi su alcuni contrasti, ma la giurisprudenza prevalente tutela il debitore sulle eccedenze). Per il debitore usurato, quindi, c’è la prospettiva di non pagare affatto interessi, e se ne ha già pagati, di ripeterli indietro (magari compensandoli col capitale). Da notare, però, che le banche spesso si difendono sostenendo che la clausola usuraria va espunta e sostituita dal tasso soglia (secondo l’interpretazione di alcune corti), oppure che l’usura sopravvenuta non conta (la Cass. 603/2021 ha statuito che conta solo il momento della pattuizione ai fini penali, l’usura sopravvenuta è rilevante solo se il tasso variabile supera soglia? – il tema è controverso). In ogni caso, l’usura contrattuale è un potente strumento: il debitore deve far fare un’analisi tecnico-contabile al suo esperto di fiducia per verificare i TAEG e confrontarli con le soglie d’epoca. Se riscontra usura, può fare causa o opporsi al decreto ingiuntivo della banca con questa eccezione. Molte cause di mutuo in sofferenza includono questa difesa per abbattere interessi di mora altissimi (spesso i moratori contrattuali sono tipo 2-3% mensili, e superano soglia). La Cassazione, ad esempio, ha stabilito che se la somma di interesse corrispettivo e di mora potenzialmente supera la soglia, la clausola di mora può essere nulla e sostituita dal tasso legale, lasciando solo il tasso corrispettivo legittimo. Dunque, un’altra possibile riduzione viene dall’avere tassi di mora dichiarati non dovuti (così il debito non cresce ulteriormente durante la causa).
- Anatocismo e commissioni non dovute su conto corrente: Storicamente, le banche applicavano l’anatocismo trimestrale sui conti correnti (interessi su interessi ogni 90 giorni). La giurisprudenza a partire dal 1999 l’ha ritenuto illegittimo per i periodi antecedenti al 2000 (in assenza di pattuizione contraria). Poi una delibera CICR del 2000 ha reso possibile capitalizzare annualmente e in modo simmetrico. Nel 2014 il legislatore ha di nuovo vietato l’anatocismo (art. 120 TUB modificato), e dopo varie vicende si è arrivati a regole che consentono la capitalizzazione solo annuale e comunque il cliente può far addebitare gli interessi solo il 1° marzo dell’anno successivo. Insomma, nei decenni passati molti conti hanno accumulato interessi anatocistici illegittimi. Il debitore può chiedere la restituzione di quanto pagato in più o lo storno dal saldo. Ad esempio, se la banca ingiunge €100.000 da un conto affidato, il correntista può opporsi sostenendo che €20.000 di quegli addebiti sono anatocistici e quindi nulli, e il saldo reale dovuto è €80.000 o meno. La Cassazione, con sentenza n. 21344/2024, ha finalmente chiarito che dal 1° gennaio 2014 al 30 giugno 2016 (periodo in cui c’era il nuovo art.120 TUB ma non ancora la delibera CICR attuativa) vigeva il divieto assoluto di anatocismo, quindi le banche che hanno continuato la capitalizzazione trimestrale in quel lasso temporale hanno agito contro legge. Inoltre ha affermato il principio generale che gli interessi debitori non possono produrre ulteriori interessi (se non dal momento in cui diventano “sorte capitale” per mancato pagamento a fine anno, e comunque ora si devono calcolare solo sull’anno successivo). Tradotto: i clienti che hanno conti con interessi capitalizzati trimestralmente dopo il 2014 hanno ottime chance, oggi, di farsi stornare tutti gli interessi composti addebitati in violazione del divieto. Anche prima del 2014, per il periodo 2000-2014, c’era l’obbligo di pattuizione esplicita e simmetrica: molte banche si limitarono a pubblicare su Gazzetta Ufficiale la modifica unilaterale. La Cassazione ha però statuito (sent. 28215/2024) che la pubblicazione in G.U. non è sufficiente, serviva il consenso del correntista. Dunque, c’è terreno fertile per contestazioni su conti ante-2014 se manca la prova di pattuizione scritta dell’anatocismo. Oltre agli interessi, spesso sui conti venivano applicate commissioni “di massimo scoperto” o altre spese poi dichiarate nulle se non specificamente convenute e proporzionate. Tutto questo può essere oggetto di CTU contabile in causa: i giudici dispongono ricalcoli e, molte volte, il risultato è che il debitore non solo non deve più nulla, ma talvolta ha pagato più del dovuto e matura un credito verso la banca (non di rado in passato gli addebiti illegittimi trasformavano un saldo passivo in uno attivo a favore del correntista). Un esempio: Cass. 3858/2021 ha ribadito che nel determinare il saldo da cui parte il calcolo, vanno eliminati tutti gli addebiti illegittimi e non pattuiti, e considerare il cd. “saldo rettificato”. Pertanto, chi è debitore verso banca su conto corrente dovrebbe sempre far verificare da un esperto se quel saldo è corretto o gonfiato da anni di addebiti nulli.
- Nullità di clausole e violazioni di trasparenza: Ulteriore area di attacco è la normativa sulla trasparenza bancaria (TUB art. 117 e 118) e anti-abusi. Se un contratto di finanziamento non indica il tasso di interesse o le altre condizioni economiche per iscritto, la sanzione può essere la sostituzione del tasso con il tasso soglia BOT o tasso legale (art.117 TUB). Ad esempio, i contratti di conto corrente anteriori al 1999 spesso non indicavano il tasso effettivo di interesse debitore: in quel caso la giurisprudenza ha applicato il tasso minimo ex legge (spesso legale) per ricalcolare il dovuto. Anche i mutui in valuta estera che non evidenziavano rischi di cambio sono stati oggetto di contenziosi (soprattutto in CHF). Alcune clausole possono essere dichiarate vessatorie (ad es. interessi di mora troppo alti in contratti con consumatori – in tal caso il giudice può ridurli equamente). In sintesi: il debitore può scandagliare il proprio contratto alla ricerca di irregolarità formali e sostanziali che possano portare a riduzioni dell’obbligo di pagamento.
- Opposizioni nelle procedure esecutive: Se la banca ha già avviato un pignoramento (es. pignoramento immobiliare per un mutuo impagato), il debitore può comunque far valere alcune cose: tramite opposizione all’esecuzione se contesta il titolo (es. nullità del mutuo) o opposizione agli atti esecutivi se ci sono vizi procedurali, oppure chiedendo la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.) che gli consente di evitare la vendita versando un importo pari al credito più spese in un conto presso il tribunale – ma qui non c’è riduzione, paga tutto per fermarla. Oggi, però, la legge consente anche al debitore esecutato di presentare, entro il termine per il deposito delle istanze di vendita, una istanza di vendita dell’immobile con assegnazione del ricavato: in pratica proporre al giudice di poter vendere privatamente la casa a un certo prezzo e destinare il ricavato ai creditori, evitando ribassi d’asta e ottenendo spesso un prezzo migliore. Questo può indirettamente ridurre il debito residuo perché massimizza il realizzo. In mancanza, dopo l’asta se rimane un debito insoddisfatto (c.d. residuo post-esecuzione), il debitore è ancora obbligato, ma potrà cercare un saldo e stralcio su quella parte o, se persona fisica insolvente, valutare la procedura di esdebitazione per cancellarlo.
- Cause contro intermediari finanziari diversi: Fin qui abbiamo parlato di banche, ma lo stesso vale per debiti verso finanziarie o altri intermediari (leasing, factoring). Ad esempio, contestazioni su tassi leasing (spesso calcolati in maniera opaca) o su contratti di cessione del quinto (dove in passato vi erano costi occulti altissimi – oggi equiparati come debiti sovraindebitabili). Tutto ciò rientra nel bagaglio di difese del debitore.
In conclusione, le azioni giudiziarie individuali sono un complemento fondamentale per chi vuole ridurre il debito: attaccare la validità e correttezza del credito può ridurre drasticamente l’importo dovuto prima ancora di iniziare una trattativa di saldo o una procedura concorsuale. Spesso il solo minacciare in modo fondato una causa di usura o anatocismo porta la banca al tavolo per negoziare uno stralcio (le banche conoscono i rischi legali e preferiscono chiudere la questione con un accordo piuttosto che affrontare cause costose che potrebbero dar loro torto).
Naturalmente, serve il supporto di professionisti (avvocati specializzati in diritto bancario, consulenti tecnici) per intraprendere queste azioni con efficacia.
Focus: Debiti bancari garantiti da ipoteca
I debiti bancari ipotecari – tipicamente i mutui casa o i finanziamenti con ipoteca su immobili commerciali – meritano una trattazione dedicata, poiché la presenza della garanzia reale condiziona le possibilità di riduzione del debito.
Quando un debito è assistito da ipoteca su un immobile, la banca ha il diritto di soddisfarsi su quell’immobile in via preferenziale. In caso di inadempimento del debitore, l’azione tipica della banca è il pignoramento e la vendita all’asta dell’immobile ipotecato. Questa prospettiva incide sulle strategie del debitore:
- Margine di trattativa per saldo e stralcio: Se il valore di mercato dell’immobile è significativamente inferiore al debito residuo, allora la banca sa che, procedendo con l’esecuzione, recupererà solo una parte del credito (al netto anche dei costi e del tempo). In tale scenario, il debitore può proporre un saldo e stralcio in linea con quel valore. Esempio: debito €200.000, casa ne vale circa €150.000 sul mercato libero (che in asta potrebbe scendere a €100.000-120.000), il debitore potrebbe offrire €130.000 cash per chiudere. La banca potrebbe accettare, valutando che è meglio di una lunga procedura e di incognite d’asta. Viceversa, se l’immobile vale più o circa quanto il debito, la banca preferirà quasi sempre l’esecuzione o almeno vorrà una cifra prossima al 100% del credito. Dunque, per il debitore con mutuo ipotecario che non riesce a pagare, è cruciale far stimare realisticamente l’immobile e capire quanto la banca può ricavare vendendolo: quello è il benchmark minimo attorno a cui ruoterà ogni eventuale accordo.
- Rinegoziazione o sospensione mutuo: Prima di arrivare al default conclamato, il titolare di mutuo può chiedere una rinegoziazione (ad esempio spread ridotto, trasformazione da tasso variabile a fisso o viceversa, allungamento piano di ammortamento) oppure accedere a misure di sospensione delle rate (in presenza di requisiti, come perdita lavoro, malattia grave, ecc., il Fondo Solidarietà Mutui Prima Casa – cd. Fondo Gasparrini – copre fino a 18 mesi di rate sospese). Queste misure non riducono il debito ma danno respiro. Spesso, però, la rinegoziazione di un mutuo in difficoltà non porta a riduzioni dell’importo, a meno che la banca non condoni qualche mora o spesa.
- Surroga o sostituzione del mutuo: Se il debitore è in difficoltà con una banca, in teoria potrebbe cercare un altro istituto disposto a subentrare (surroga) o concedere un nuovo mutuo per estinguere il precedente (sostituzione). Tuttavia, quando già ci sono insoluti, difficilmente un’altra banca vorrà intervenire (la surroga è tipicamente per chi è regolare e vuole condizioni migliori). Se c’è un coobbligato con buona situazione, a volte si valuta di far intervenire quest’ultimo per rifinanziare il debito e poi eventualmente regolare il rapporto tra debitori in sede separata.
- Durante la procedura esecutiva: Se il mutuo va in sofferenza e la banca inizia il pignoramento dell’immobile ipotecato, il debitore può ancora agire: come menzionato, l’art. 41-bis L. 157/2019 consente, per la prima casa, di chiedere al giudice dell’esecuzione una sospensione fino a 6 mesi per trovare un accordo di rinegoziazione o un nuovo finanziatore che copra il debito. In quel periodo, se riesce ad ottenere un mutuo (garantito dal fatto che l’immobile rimarrà ipotecato a favore del nuovo finanziatore, spesso con garanzia Consap), la procedura si chiude con pagamento della banca. Questa norma, chiamata anche “Fondo salva-casa”, è un’ancora di salvezza per chi ha prospettive di reddito ma ha subito un temporaneo default: permette di non perdere l’abitazione. C’è però da dire che ottenere un nuovo mutuo mentre si è esecutati è impresa ardua; talvolta intervengono parenti o enti convenzionati.
- Conseguenze fiscali e legali di uno stralcio su mutuo ipotecario: Se si chiude a saldo e stralcio un mutuo, la banca rilascerà la cancellazione dell’ipoteca a fronte dell’accordo (di solito nel testo dell’accordo è previsto che, a pagamento avvenuto, la banca consente la cancellazione dell’ipoteca presso la Conservatoria). Il costo della cancellazione è di solito a carico del debitore ma è modesto (imposta bollo e formalità). Importante: verificare che l’accordo di saldo e stralcio specifichi l’assenso alla cancellazione e, se possibile, allegare una bozza di atto di assenso. Dal punto di vista legale, una volta concluso l’accordo, l’ipoteca non serve più a garanzia di nulla e deve essere eliminata dai registri immobiliari – è interesse del debitore farlo per poter eventualmente vendere l’immobile libero in futuro.
- Alternativa: vendita volontaria dell’immobile: Un debitore che capisce di non poter sostenere il mutuo può scegliere di vendere per conto proprio la casa sul libero mercato (magari ricavando un prezzo migliore dell’asta) e con il ricavato pagare la banca. Se il prezzo di vendita copre l’intero debito, il problema si risolve e residua la differenza al debitore. Se invece il prezzo non copre tutto, sarà necessario ottenere dalla banca la rinuncia al debito residuo per concludere la vendita (atto di quietanza a saldo): molte banche accettano tale soluzione, perché la vendita libera li fa incassare subito la gran parte e risparmiano tempo; in questi casi, la trattativa di saldo e stralcio si intreccia con la compravendita (ad esempio: Tizio trova un acquirente che offre €150.000, la banca è creditrice di €180.000, accetta €150.000 a saldo – l’atto di vendita prevede che dal prezzo €150k una quota vada direttamente alla banca che contestaualmente dà quietanza e assenso a cancellazione ipoteca). Questa soluzione è fortemente consigliabile quando possibile, perché l’acquirente sul libero mercato paga cash una somma che in asta forse non si raggiungerebbe, tutti ci guadagnano qualcosa (il debitore magari evita ulteriori esposizioni, la banca incassa di più, l’acquirente compra senza aste). Anche il legislatore la favorisce: il nuovo Codice della crisi consente al debitore in concordato di vendere beni con ipoteca prima dell’omologa con autorizzazione del giudice, per massimizzare i valori.
In definitiva, dal punto di vista del debitore ipotecario: conviene muoversi presto, appena si avvertono difficoltà, per trovare soluzioni negoziate. Una volta che la macchina esecutiva si mette in moto, lo spazio di manovra c’è ancora (anche fino all’ultimo si può saldare e bloccare l’asta, o accordarsi per stralcio), ma i costi aumentano e la posizione del debitore si indebolisce. Ricordiamo infine che l’esdebitazione post procedura esecutiva è un’ultima spiaggia: se la casa viene venduta e rimane un debito, il debitore può includerlo in una procedura di sovraindebitamento e farselo cancellare. Però se si può evitare di arrivare a perdere la casa, è meglio.
Caso pratico: Mario ha un mutuo residuo di €120.000 sulla prima casa, rata €700 che non riesce più a pagare. La casa vale sui €100.000 sul mercato attuale. Mario prova a vendere ma non trova facilmente acquirenti al giusto prezzo; intanto accumula 6 rate impagate. La banca accelera il decadimento del beneficio del termine e chiede l’intero debito, avviando pignoramento. Mario, tramite un consulente immobiliare, trova un potenziale acquirente a €95.000. Mario, col supporto legale, propone alla banca: “mi fate chiudere la pratica se vi do €95.000? L’acquirente è pronto, possiamo fare l’atto e bonificare direttamente a voi”. La banca valuta: se va all’asta, probabilmente ricava anche meno e in più dovrà attendere; quindi accetta. Viene stipulato un accordo scritto di saldo a €95.000 con liberatoria integrale. All’atto di vendita, l’acquirente versa €95.000 sul conto indicato dalla banca, la banca rilascia contestualmente in atto quietanza a saldo e assenso alla cancellazione dell’ipoteca. Mario perde la casa (perché venduta) ma si libera del mutuo senza ulteriori strascichi (i €25.000 in più di debito vengono condonati dalla banca). Se non fosse riuscito a trovare acquirente, Mario avrebbe potuto percorrere la via del 41-bis per rinegoziare (ma serviva altro mutuo) oppure lasciar andare la casa all’asta e poi cercare un piano del consumatore per liberarsi dell’eventuale differenza.
Focus: Debiti bancari con fideiussione o coobbligati
Quando un debito verso banca è garantito da uno o più fideiussori (garanti personali) o vi sono dei coobbligati in solido (es. più intestatari di un finanziamento), la questione della riduzione del debito si complica sul piano negoziale e giuridico. Occorre tenere presenti alcuni aspetti:
- Responsabilità solidale: Il fideiussore, per definizione, è obbligato in solido col debitore principale a pagare il debito alla banca (nei limiti del massimale garantito, se previsto). Questo significa che la banca può richiedere l’intera somma sia al debitore principale sia al garante, a sua discrezione. Dal punto di vista della banca, la presenza di un fideiussore robusto (ad esempio un parente con reddito o patrimonio) riduce l’interesse a fare sconti: se il debitore principale non paga, la banca spera di recuperare dal garante. Quindi, paradossalmente, avere un garante “forte” può rendere il saldo e stralcio meno probabile, perché la banca ha un’altra tasca da cui attingere.
- Coordinamento nel saldo e stralcio: Se il debitore principale vuole proporre un saldo e stralcio, è essenziale includere anche il fideiussore nell’accordo. Nella pratica, l’accordo di stralcio deve prevedere che sia il debitore sia il garante sono liberati dalla banca a fronte del pagamento concordato. Conviene far sottoscrivere al garante l’accordo per presa d’atto, in modo che non ci siano dubbi sulla sua efficacia anche verso di lui. Se ci si dimentica del garante, la banca potrebbe sostenere – al limite – di aver rinunciato al credito solo verso il debitore, ma di poter ancora pretendere dal fideiussore (anche se su questo vi sarebbe da dibattere in diritto, essendo la sua obbligazione accessoria, ma per prudenza meglio chiudere per tutti in modo esplicito). Infatti, l’art. 1301 c.c. dispone che la transazione col debitore principale libera il fideiussore salvo patto contrario. Quindi, in mancanza di patto, già la legge tutelerebbe il garante: la banca, avendo rinunciato a parte del credito, non potrebbe richiederla al fideiussore. Tuttavia è buona prassi non lasciare ambiguità.
- Azione di regresso e accordi interni: Se un garante paga alla banca (per intero o in parte), poi si rivale sul debitore principale. Dunque, ridurre il debito verso la banca può spostare il problema nel rapporto interno debitore-garante. In situazioni di crisi, spesso anche il garante è un familiare che potrebbe a sua volta trovarsi in difficoltà. Una soluzione globale è preferibile: ad esempio, nella composizione delle crisi da sovraindebitamento, è possibile presentare procedura familiare includendo entrambi, oppure il debitore principale può prevedere nel suo piano come verrà trattato un eventuale credito di regresso del garante (ad esempio considerandolo come chirografario da falcidiare anch’esso).
- Nullità antitrust delle fideiussioni ABI: Come discusso, molti contratti di fideiussione standard predisposti dalle banche (soprattutto negli anni 2000-2010) riproducono pedissequamente lo schema ABI 2003 che conteneva clausole anticoncorrenziali sanzionate. Le tre clausole incriminate, per memoria, sono: (a) Clausola di reviviscenza (il fideiussore resta obbligato anche se gli obblighi principali sono nulli o se il debitore viene esdebitato); (b) Clausola di rinuncia ai termini dell’art. 1957 c.c. (il fideiussore rinuncia a eccepire la mancata escussione nei termini – ciò elimina un’importante tutela del garante); (c) Clausola di estensione a tutte le obbligazioni future. Le Sezioni Unite 41994/2021 hanno dichiarato che queste clausole, se inserite a valle di un accordo restrittivo della concorrenza (come fu la pratica concertata ABI), sono nulle di nullità relativa (ossia su eccezione del garante). La nullità è parziale: significa che cade la clausola, ma la fideiussione può rimanere valida per il resto. Ci si chiede: quanto giova questo al garante? Dipende. Ad esempio, se cade la rinuncia all’art. 1957 c.c., torna applicabile la regola che il garante si libera se la banca non gli chiede il pagamento entro 6 mesi dal termine dell’obbligazione principale. In molti casi di fideiussioni omnibus, la banca effettivamente aspetta più di 6 mesi dalla chiusura del rapporto principale prima di escutere il garante: se così, il garante potrebbe eccepire la decadenza della garanzia. Oppure, se cade la clausola di reviviscenza, un concordato preventivo o esdebitazione del debitore principale libera anche il garante residualmente; oppure ancora, senza clausola omnibus, la fideiussione copre solo lo specifico debito indicato e non altri. Quindi, invocare la nullità parziale antitrust può alleggerire di molto la posizione del garante, e indirettamente dare al debitore principale più forza per trattare (perché la banca, intuendo l’invalidità della fideiussione, torna a dover fare affidamento solo sul patrimonio del debitore). Attenzione però: la Cassazione più recente (es. Cass. 13846/2022, Cass. 26260/2022) ha chiarito che non basta la mera conformità formale al modello ABI per dichiarare la nullità – serve provare che c’era un effetto anticoncorrenziale concreto. Inoltre, ha escluso l’estensione analogica alle fideiussioni specifiche se non dimostrato che anch’esse discendono dall’intesa (ma la sentenza n. 27243/2024 citata prima ha esteso alle specifiche quando comunque ricalcano le clausole ABI). Quindi è un terreno tecnico e non automatico. In pratica: se sei garante, fai verificare da un legale se il tuo contratto ricalca quello ABI 2003 (spesso identificabile da numeri di clausole standard). In caso affermativo, hai un buon argomento per opporti a pagare, e questo a cascata aiuta anche il debitore.
- Fideiussore escusso e procedure concorsuali: Se il debitore principale finisce in un concordato o fallimento, il fideiussore rimane obbligato verso la banca (perché l’esdebitazione del debitore non si estende automaticamente al garante, a meno di nullità di quelle clausole di reviviscenza di cui sopra). Quindi può accadere che la banca, in concordato del debitore, venga soddisfatta solo parzialmente e per il resto si rivalga sul garante. Il garante a quel punto diventerà creditore di regresso verso il debitore (ma se quest’ultimo si è esdebitato, quel credito di regresso è anch’esso perso, salvo che il garante non fosse anche lui parte della procedura). Soluzione: se debitore e garante sono entrambi in difficoltà, meglio fare una procedura di sovraindebitamento congiunta (la riforma 2021 lo permette per familiari conviventi con debiti comune origine, e la giurisprudenza spesso lo consente anche se non conviventi purché situazioni legate). In tal modo si affronta il debito bancario in un unico contesto e si chiude per entrambi.
In sintesi, dal lato del debitore principale avere un garante richiede di: coinvolgerlo nelle soluzioni (non lasciarlo all’oscuro, perché tanto la banca andrà da lui se tu ottieni lo stralcio), valutare se la fideiussione è attaccabile per guadagnare leva, ed eventualmente trovare un accordo tripartito banca-debitore-garante. Dal lato del garante, vale la pena di investire sulla propria difesa legale: un’obbligazione di garanzia può spesso essere ridimensionata o annullata per vizi (antitrust, eccessiva onerosità in caso di rinegoziazioni non accettate, ecc.). Ad esempio, Cass. 33072/2021 ha ritenuto che anche le fideiussioni specifiche relative a mutui possono beneficiare dei principi di nullità parziale (non limitato alle omnibus). Un garante che riesce a liberarsi o a mettere in dubbio la garanzia, aiuta anche il debitore principale perché spinge la banca a trattare direttamente con quest’ultimo sul debito residuo.
Caso tipico: Padre firma fideiussione per fido bancario del figlio imprenditore. L’azienda del figlio va male, accumula €50.000 di scoperto. La banca revoca il fido e chiede pagamento a figlio e padre. Il figlio è nullatenente, il padre pensionato ha una casa. La banca punta al padre. Il padre consulta un legale: la fideiussione ricalca quella ABI (clausole fotocopiate). Il legale eccepisce nullità di quelle tre clausole e fa notare che la banca non ha agito entro 6 mesi dalla revoca del fido (termine art.1957 c.c. ripristinato): dunque il padre potrebbe essere liberato. La banca, temendo di perdere tutto in causa, accetta di transare: il padre paga €20.000 a saldo e stralcio e la banca rinuncia al resto. Anche qui, l’accordo deve indicare che viene liberato pure il debitore principale (che comunque essendo il figlio nullatenente, poco importa, ma formalmente sì). Il risultato è che grazie alla contestazione legale il debito complessivo si riduce del 60% e il garante non rischia la casa.
Profili fiscali della riduzione del debito
Un aspetto da non trascurare quando si ottiene la cancellazione di una parte di debito è la fiscalità: sia dal lato di chi beneficia dello “sconto”, sia dal lato dell’ente creditore pubblico (se il debito è con l’erario). Concentrandoci sul punto di vista del debitore, ci chiediamo: se la banca mi condona €10.000 di debito, questo importo viene considerato un reddito imponibile per me? Devo pagarci le tasse?
La risposta dipende dalla natura del debitore (impresa o privato) e dal contesto in cui avviene la riduzione:
- Debitore persona fisica non imprenditore: in generale, la rinuncia di un credito da parte della banca non genera un reddito tassabile IRPEF per il debitore. Infatti, non rientra in nessuna categoria reddituale prevista dal TUIR (non è reddito di lavoro, né capitale, né altro). Non si tratta nemmeno di una “donazione” in senso tecnico che attragga imposta di donazione, perché la banca non agisce per liberalità ma per ragioni contrattuali. Dunque, se un privato cittadino ottiene uno stralcio su un prestito, non dovrà dichiarare nulla al Fisco come guadagno. Esempio: un consumatore con €5.000 di debito carta si accorda per pagarne €3.000 e stralciare €2.000 – quei €2.000 risparmiati non vengono tassati come reddito. Un’eccezione poteva porsi per i debiti fiscali: se il Fisco cancella le cartelle (es. saldo e stralcio delle cartelle previsto dalla L. 145/2018), i relativi importi non sono considerati redditi per il contribuente – sarebbe un controsenso che il fisco tolga un debito e poi tassi il beneficio. Invero, c’è una regola che se dei costi dedotti fiscalmente generano una sopravvenienza attiva da annullamento del debito, quella può essere tassabile per competenza del creditore (ma riguarda più il creditore che il debitore). Da notare: se un privato ha ottenuto prestiti e poi li non paga per saldo e stralcio, la perdita per la banca è un costo deducibile per la banca stessa, ma nessun reddito per il privato. Solo se la remissione del debito avvenisse in cambio di una controprestazione potrebbe configurare reddito (ma allora non è un condono, è baratto). Quindi i privati possono stare tranquilli: lo stralcio del debito non si porta via con l’altra mano in tasse.
- Debitore impresa o professionista (reddito d’impresa): qui il discorso è diverso. In ambito di reddito d’impresa, la legge considera ricavo tassabile la sopravvenienza attiva derivante da riduzione dei debiti. In pratica, se una società deve €100k e la banca gliene condona €40k, quei €40k diventerebbero un ricavo straordinario imponibile (stessa logica se un fornitore rinuncia a un credito). Questo principio generale ha però importanti eccezioni: l’art. 88, comma 4-ter del TUIR prevede che non sono considerate sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti ottenute attraverso procedure concorsuali o accordi di ristrutturazione omologati. Cioè, se il taglio del debito avviene in concordato preventivo, accordo ex art.182-bis/CCII omologato, o in piano attestato pubblicato, allora la società non deve pagare IRES su quella “virtù”. Questo per agevolare le ristrutturazioni: sarebbe paradossale tassare un’azienda in crisi solo perché i creditori le abbuonano qualcosa – equivarrebbe a punirla con una nuova passività. Dunque, in procedure formali, l’esenzione fiscale è la regola. Per esempio, se in un concordato la banca rinuncia al 50% del credito, la società non contabilizza quel 50% come utile tassabile. Attenzione però: fuori dalle procedure la riduzione del debito è tassabile. Se una società ottiene privatamente dalla banca uno stralcio di €50k su un’esposizione, quei €50k sono una sopravvenienza attiva imponibile (salvo se la società aveva tax loss carryforward per assorbirla, etc.). Questo potrebbe disincentivare gli accordi privati per le imprese, sebbene in pratica molte imprese abbiano perdite fiscali a sufficienza da compensare tali ricavi straordinari. Caso particolare, discusso di recente: il concordato semplificato liquidatorio del CCII 2021 inizialmente non era menzionato nell’art. 88(4-ter) TUIR, creando il dubbio che le riduzioni in tale procedura fossero tassabili. L’Agenzia delle Entrate (risposta interpello 61/2023) ha in effetti ritenuto imponibili le sopravvenienze da concordato semplificato, suscitando critiche. Nel 2025 il legislatore potrebbe correggere la norma per includere anche questa fattispecie tra le esenti, ma al momento imprese che usino quello strumento rischiano la beffa fiscale. Che dire invece dell’imprenditore individuale esdebitato? Il caso tipico è: ditta individuale in fallimento, debiti in parte stralciati, e poi persona fisica esdebitata. Dal lato IRPEF dell’imprenditore, l’esdebitazione non credo generi reddito, perché sul piano fiscale si guarda alla sfera d’impresa separatamente (entro contabilità dell’impresa). Inoltre, l’art. 88 citato copre riduzioni in procedure: quindi quell’imprenditore non deve dichiarare nulla personalmente.
- Debiti con il Fisco e previdenza: La riduzione dei debiti verso Agenzia Entrate e INPS segue regole speciali. Nelle procedure concorsuali, oggi è permesso proporre stralci anche su IVA e ritenute (prima vietato), a patto che ai crediti erariali sia garantito almeno quanto otterrebbero in liquidazione. Fuori dalle procedure, i debiti fiscali possono essere ridotti solo tramite provvedimenti legislativi di sanatoria (es. rottamazione cartelle o saldo e stralcio 2019 per persone in difficoltà). Dal punto di vista del debitore, se l’Erario abbuona sanzioni e interessi, quello non genera reddito – è semplicemente un condono. Se invece l’Erario converte il debito in altro (tipo lo “stralcio” 2019 prevedeva di pagare una percentuale del dovuto a seconda dell’ISEE del contribuente), l’agevolazione non viene tassata. In sostanza, lo Stato non reintroduce dalla finestra ciò che esce dalla porta.
- Imposte indirette e atti necessari: Un aspetto fiscale pratico: se fate un atto di transazione con la banca per saldo e stralcio, questo è soggetto a registro in misura fissa (€200) se formato per scrittura autenticata o atto pubblico, in quanto atto avente natura dichiarativa/novativa (anche se la Cassazione dice che non è novativo, ai fini fiscali è transazione). Però spesso questi accordi avvengono per scrittura non autenticata (scrittura privata semplice): in tal caso non c’è obbligo immediato di registrazione (lo si registra solo in caso d’uso, es. se lo si allega in giudizio). Quindi l’imposizione indiretta non è un grosso problema: al limite €200 di registro. Le quietanze sono esenti da bollo e registro. La cancellazione di ipoteca ha un costo fisso (imposta ipotecaria) di solito €35.
- Nota per le banche dati: Quando un debitore ottiene la riduzione di un debito, la banca segnala la posizione come “chiusa a stralcio” nelle centrali rischi. Ciò non ha conseguenze fiscali ma abbiamo visto reputazionali. Non confondere ciò col fisco.
Riassumendo: il debitore che ottiene uno sconto sul debito non deve temere di vederselo tassare (a meno che sia un’azienda fuori da procedure, ma in quel caso di solito se ne occupa il commercialista ottimizzando quell’imponibile). Nelle procedure concorsuali, la legge stessa prevede esenzione da tassazione per incoraggiare la riduzione dei debiti. Quindi il messaggio è: nessuna spiacevole sorpresa fiscale per chi si libera dei debiti in modo legale (anzi, liberarsene migliora gli indici aziendali di bilancio, come il rapporto debt/equity, anche se c’è da considerare l’impatto su eventuali utili contabili one-off).
Profili patrimoniali e di tutela dei beni del debitore
Un tema spesso presente nelle vicende di debiti è la protezione del patrimonio personale del debitore. Quando i debiti diventano insostenibili, il debitore potrebbe essere tentato di salvaguardare i propri beni da possibili azioni dei creditori (banca inclusa). D’altra parte, molte soluzioni di riduzione del debito (accordi o procedure) richiedono al debitore di impiegare il proprio patrimonio per pagare almeno in parte i creditori. Vediamo dunque due prospettive: come i creditori possono aggredire il patrimonio e come il debitore può legittimamente proteggere il minimo indispensabile; e quali sono le conseguenze patrimoniali delle procedure di riduzione del debito.
- Fondo patrimoniale: È un istituto del diritto di famiglia (artt. 167 ss. c.c.) che vincola determinati beni (immobili, titoli) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, rendendoli inalienabili e teoricamente non pignorabili per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni familiari. Molti debitori istintivamente costituiscono un fondo patrimoniale per mettere al riparo la casa dalle banche. Tuttavia, l’efficacia di questa mossa è limitata: la legge (art. 170 c.c.) dice che i creditori possono pignorare i beni in fondo se il debito è stato contratto per scopi attinenti ai bisogni della famiglia. Le banche, quando concedono mutui o finanziamenti ai coniugi, fanno quasi sempre firmare una dichiarazione che il debito è destinato alle esigenze familiari (anche se poi magari è per l’azienda di uno dei due). Inoltre, sta al debitore provare che il creditore era a conoscenza dell’estraneità ai bisogni familiari al momento in cui il debito sorse. La Cassazione ha più volte ribadito che il fondo patrimoniale non è una barriera assoluta: se non c’è prova chiara, il bene in fondo può essere aggredito. Nella pratica giudiziaria, spesso il pignoramento sul bene in fondo viene autorizzato, specie per debiti bancari facilmente riconducibili a interessi familiari (il mutuo per acquisto casa è certamente per bisogni fam.). Inoltre, se il fondo è costituito in frode ai creditori (ovvero quando il debitore era già indebitato gravemente e lo ha fatto per sottrarre il bene), la banca può agire con azione revocatoria ex art. 2901 c.c. entro 5 anni, e far dichiarare inefficace il fondo nei suoi confronti. Quindi costituire un fondo patrimoniale all’ultimo momento può peggiorare la posizione (fa irritare il giudice e il creditore, rischiando anche accuse di frode). L’uso corretto del fondo è come pianificazione preventiva in tempi non sospetti e per debiti che possano apparire estranei (es. un debito professionale di uno dei coniugi potrebbe teoricamente non riguardare la famiglia – ma giurisprudenza altalenante). In conclusione, affidarsi al fondo non garantisce di evitare il pignoramento: se la banca riesce a inquadrare il debito come utile alla famiglia (es. prestito servito a pagare spese domestiche, studi dei figli, acquisto auto di famiglia ecc.), il pignoramento passa.
- Trust o vincoli di destinazione: Negli ultimi anni qualcuno ha provato a mettere immobili in trust o a costituire vincoli ex art.2645-ter c.c., per proteggere beni da aggressioni. Anche qui, però, i creditori possono impugnare tali atti con revocatoria se pregiudicano le loro ragioni. La revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) consente al creditore di far dichiarare inefficaci gli atti a titolo gratuito compiuti dal debitore fino a 2 anni prima dall’insorgenza del credito, e anche quelli a titolo oneroso se c’è consapevolezza del pregiudizio. Un trust è spesso considerato a titolo gratuito (se fatto col proprio patrimonio a beneficio dei figli ad esempio). Quindi un debitore che trasferisce la villa in trust mentre la banca rumoreggia, difficilmente la farà franca: la banca potrà revocare quell’atto entro 5 anni dalla sua conoscenza (ed è facile dimostrare che era pregiudizievole, se nel frattempo il debitore è insolvente). Addirittura il codice crisi ha introdotto l’art. 2929-bis c.c., che consente ai creditori di pignorare direttamente i beni donati o vincolati dal debitore senza neanche passare dal giudice per la revocatoria, se l’atto di disposizione è posteriore al credito. Quindi, i trasferimenti strategici di beni a parenti o trust sono oggi molto a rischio: la banca può saltare la lungaggine della causa revocatoria e procedere subito al pignoramento del bene come se fosse ancora del debitore.
- Mantenere il necessario: Le norme prevedono comunque che certi beni siano impignorabili: ad esempio, in una casa, mobili ed elettrodomestici di uso quotidiano (le banche di solito non pignorano mobilio se non di pregio); stipendio o pensione sono pignorabili solo per una percentuale (di solito un quinto); gli strumenti di lavoro indispensabili sono pignorabili in misura limitata. Inoltre, nelle procedure di sovraindebitamento il giudice deve assicurarsi che il debitore e la famiglia possano conservare il minimo vitale per vivere dignitosamente. Quindi, anche se tutto va male, il debitore insolvente non verrà spogliato dei beni essenziali.
- Effetti patrimoniali delle procedure concorsuali: Se il debitore intraprende un concordato o piano del consumatore, spesso dovrà destinare volontariamente una parte del suo patrimonio al soddisfacimento creditori. Ad esempio, proporrà di vendere un’auto o una seconda casa e distribuire il ricavato. Nella liquidazione controllata, addirittura tutto il patrimonio non protetto viene liquidato. Ciò fa parte del “patto” per ottenere l’esdebitazione: dai quello che hai in più, in cambio ti cancelliamo ciò che resta. Dunque, il debitore deve valutare: mi conviene sacrificare questo bene e liberarmi dei debiti? In tanti casi la risposta è sì, specie se il bene rischierebbe comunque di essere pignorato. Nelle procedure recenti c’è flessibilità: il debitore può proporre di tenere l’abitazione se magari un terzo paga ai creditori una somma equivalente al valore (si chiamano concordati con continuità indiretta etc.). Non è detto che si debba sempre perdere la casa: se la casa serve da abitazione alla famiglia ed ha un valore limitato, i creditori stessi possono preferire lasciarla, ricevendo in cambio più pagamento rateale dei redditi futuri.
- Garanzie su beni di terzi: Attenzione se i debiti sono garantiti da pegni o ipoteche su beni di amici/parenti (es. l’ipoteca sulla casa di un genitore a garanzia del mutuo del figlio): ridurre il debito implica anche liberare quel bene dalla garanzia. Occorre quindi considerare l’interesse di quei terzi e possibilmente coinvolgerli nella soluzione (magari contribuiranno finanziariamente allo stralcio pur di togliere l’ipoteca dal loro bene).
In generale, dal punto di vista del debitore, conviene giocare a carte scoperte nelle procedure: dichiarare tutto il proprio patrimonio e semmai argomentare perché alcuni beni non sono attaccabili o hanno valore marginale. Evitare manovre elusive (tipo vendere la nuda proprietà al parente per pochi spicci) perché quasi sempre vengono smontate e possono pregiudicare la buona fede del debitore. Molto meglio utilizzare gli strumenti legali esistenti (ad esempio: se hai la casa di famiglia ma sei pieno di debiti, puoi fare un piano del consumatore in cui proponi di conservare la casa e pagare con i redditi in 15 anni il massimo che puoi – il giudice può permetterlo se vendere la casa darebbe ai creditori solo poco di più rispetto al piano). Oppure se hai un’azienda, usare la composizione negoziata per proteggere il valore e non farlo crollare.
In conclusione sui profili patrimoniali: La riduzione del debito raramente è gratis – di solito comporta il sacrificio di parte del patrimonio del debitore. Il diritto però tutela il debitore nel mantenere il necessario e offre vie per evitare che i creditori distruggano tutto (ad esempio, la esdebitazione dà pace finale). Tentare di occultare beni o sottrarli ai creditori illegalmente non è una buona strategia: la legge con la revocatoria e altre azioni è abbastanza efficiente nel colpire quei tentativi. Molto meglio negoziare con i creditori la sorte dei propri beni (magari offrendo uno in cambio di lasciarne un altro) o passare tramite un giudice che equilibri i sacrifici. Vale anche la pena ricordare che atti distrattivi gravi potrebbero configurare reati (bancarotta fraudolenta se c’è fallimento, o sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte nel caso di debiti fiscali).
Domande frequenti (FAQ)
Domanda: Cos’è esattamente un accordo “saldo e stralcio” con la banca e quando conviene utilizzarlo?
Risposta: Il saldo e stralcio è un accordo extragiudiziale tra debitore e banca in cui il debitore paga immediatamente una somma inferiore a quella dovuta e la banca in cambio rinuncia (stralcia) la parte restante del credito. In sostanza, si “chiude” la posizione debitoria con uno sconto concordato. Conviene utilizzarlo quando il debitore ha una certa liquidità disponibile (o può procurarsela da terzi) ma non sufficiente a saldare tutto il debito, e la banca dal canto suo sarebbe disposta ad accettare meno pur di incassare subito ed evitare il rischio di recuperare ancora meno con azioni legali. Tipicamente conviene in situazioni di crisi grave del debitore (es. debito già incagliato o sofferenza) e soprattutto se il debito è non garantito oppure garantito da beni di valore inferiore al debito. Ad esempio conviene proporlo su carte di credito, prestiti personali, scoperti di conto, oppure su mutui se l’immobile vale meno del debito. Non conviene (o comunque è difficile ottenerlo) se il debitore potrebbe pagare integralmente o se la banca ha garanzie solide (in quei casi preferiscono avere tutto). In generale, il saldo e stralcio va considerato uno strumento risolutivo rapido – conviene se si vuole chiudere la questione in breve tempo e si ha l’apporto economico per farlo, senza dover entrare in lunghe procedure giudiziarie. È bene farsi assistere da un legale nella trattativa e formalizzare tutto per iscritto.
Domanda: Cosa succede se non pago più le rate del mutuo ipotecario sulla mia casa? Posso perdere l’immobile?
Risposta: Se si interrompe il pagamento delle rate del mutuo, dopo alcune rate insolute (in genere 6-7, ma dipende dal contratto) la banca può dichiarare la decadenza dal beneficio del termine e chiedere l’intero importo residuo in un’unica soluzione. Se il debitore non riesce a pagare, la banca può avviare il pignoramento dell’immobile ipotecato. A quel punto la casa viene messa all’asta tramite il tribunale. Quindi sì, il rischio concreto è di perdere l’immobile all’asta giudiziaria. Prima che ciò accada, però, ci sono alcuni step e possibili rimedi:
- Appena si manifestano difficoltà, conviene contattare la banca: a volte è possibile ottenere una rinegoziazione (ad esempio abbassare la rata allungando il mutuo) o una sospensione temporanea delle rate (se ci sono i requisiti per accedere al Fondo di solidarietà prima casa). Ciò può prevenire il default definitivo.
- Anche dopo la risoluzione del mutuo, si può cercare di vendere privatamente l’immobile per evitare l’asta (avvisando la banca e trovando un accordo su eventuale residuo non coperto dal prezzo di vendita).
- Durante la procedura esecutiva, il debitore esecutato può, se ricorrono i presupposti, chiedere al giudice la rinegoziazione ex art. 41-bis (per la prima casa), cioè una sospensione dell’asta e la possibilità di ottenere un nuovo mutuo per saldare il debito. Inoltre, fino a che l’asta non è conclusa, il debitore può sempre salvare la casa pagando tutto il debito residuo più spese (diritto di purga del pignoramento).
- Se la casa viene effettivamente venduta all’asta, il ricavato va a pagare il debito verso la banca (e altri eventuali creditori). Se il ricavato non copre l’intero debito, la parte restante rimane a carico del debitore (debito residuo). La banca potrebbe agire per questo residuo su altri beni o redditi del debitore.
- Dopo la vendita, se il debitore non ha altri beni aggredibili e non può pagare il residuo, può valutare la procedura di sovraindebitamento per ottenere l’esdebitazione del residuo non pagato.
In sintesi: non pagando il mutuo si rischia fortemente di perdere l’immobile. È fondamentale non restare inerti: meglio cercare soluzioni alternative (accordi, vendite, rifinanziamenti) prima che la situazione arrivi all’irreversibile fase dell’asta.
Domanda: La banca è obbligata per legge ad accettare una mia proposta di riduzione del debito (saldo e stralcio)?
Risposta: No, non esiste alcuna legge che obblighi la banca ad accettare un saldo e stralcio o una riduzione del debito su richiesta del debitore. L’adesione è assolutamente volontaria e discrezionale da parte della banca. La banca, in quanto titolare del credito, può decidere liberamente se preferisce tentare di recuperare l’intero importo con gli interessi (magari via tribunale) oppure se acconsentire a una transazione riduttiva. In genere, la banca accetta solo se considera la proposta vantaggiosa rispetto alle alternative. Ad esempio, se il debitore è insolvente e rischia il fallimento, la banca potrebbe accettare un 30-40% a saldo immediato piuttosto che nulla in futuro. Ma se il debitore ha beni o redditi aggredibili che lasciano sperare in un recupero integrale o alto, la banca rifiuterà uno sconto. Non c’è un diritto soggettivo del debitore a ottenere sconti unilaterali. L’unico modo per imporre ai creditori una riduzione è utilizzare le procedure concorsuali previste dalla legge (piani del consumatore, concordati, ecc.), dove però servono certi requisiti e intervento del giudice. Fuori da quelle, il debitore può solo contrattare: la riuscita dipende dalla convenienza reciproca. Dunque, è sempre consigliabile approcciare la banca con argomentazioni solide (ad es. dimostrando che il debitore non è in grado di pagare l’intero e che l’offerta è il massimo ottenibile senza incorrere in cause lunghe e costose). La banca non è “cattiva” se rifiuta: difende il suo credito. Starà al debitore convincerla altrimenti.
Domanda: Quali debiti si possono includere nelle procedure di sovraindebitamento? Anche i debiti con il Fisco o con privati?
Risposta: Nelle procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) si possono includere praticamente tutti i debiti del debitore, con pochissime eccezioni. In particolare rientrano:
- Debiti verso banche e finanziarie (mutui, prestiti personali, scoperti, carte revolving, leasing, etc.).
- Debiti verso privati e fornitori (es. un parente che ha prestato soldi, un fornitore commerciale non pagato).
- Debiti per bollette, canoni, condominio, ecc.
- Debiti verso lo Stato e enti pubblici: cartelle esattoriali per tasse, tributi locali, multe stradali, contributi INPS, ecc. (la legge li cita espressamente come ammessi).
- Debiti da cause civili (risarcimenti) o da assegni scoperti, ecc., tranne quelli espressamente esclusi.
Le esclusioni riguardano principalmente: obblighi alimentari (assegni di mantenimento dovuti all’ex coniuge o ai figli) che non possono essere tagliati né dilazionati nelle procedure; e in generale debiti per danni da illeciti penali o sanzioni penali pecuniarie (quelli no, restano in ogni caso). Tutto il resto è ricomprensibile, anche i debiti fiscali a cui oggi è permesso applicare stralci (compresa IVA e ritenute, che prima erano protette al 100%). Naturalmente, per i debiti con garanzie reali (es. ipoteca del fisco su casa, pegno su titoli, ecc.) valgono le regole di soddisfacimento preferenziale (non è che si cancelli l’ipoteca senza dare nulla: a quel creditore garantito va offerto almeno il valore del bene). Ma si includono comunque nel piano/procedura per regolarne il pagamento dilazionato o parziale.
Quindi, se ad esempio un consumatore ha 50k € di debiti con banche, 10k € di cartelle esattoriali e 5k € di bollette arretrate, può mettere tutto nel suo piano del consumatore. Dovrà solo garantire che le eventuali sanzioni tributarie vengono almeno dilazionate (oggi possono anche essere tagliate per legge in un concordato minore/fallimento, mentre nel piano del consumatore è prassi proporne il pagamento integrale dilazionato, ma la riforma consente più flessibilità ora). In sintesi: sì, i debiti fiscali e contributivi possono essere inclusi, e anzi le nuove norme incentivano l’Erario a partecipare attivamente, potendo votare negli accordi e concordati. Ovviamente l’Agenzia delle Entrate può opporsi se ritiene l’offerta inaccettabile, ma non c’è più il veto assoluto sull’IVA ad esempio.
Domanda: Quali vantaggi offre la procedura di “piano del consumatore” rispetto a un semplice accordo privato con la banca?
Risposta: Il piano del consumatore (oggi chiamato “ristrutturazione dei debiti del consumatore”) offre diversi vantaggi chiave rispetto a un accordo stragiudiziale privato:
- È coercitivo per i creditori dissenzienti: non richiede il consenso di tutti i creditori. Se il giudice omologa il piano, tutti i creditori indicati ne sono vincolati, anche se non erano d’accordo. In un accordo privato, invece, la banca (o qualsiasi creditore) può rifiutare e l’accordo salta. Nel piano, basta la valutazione positiva del tribunale sulla fattibilità e convenienza per i creditori, senza votazione. Ciò consente al debitore di imporre un taglio del debito anche alle banche recalcitranti, cosa impossibile privatamente.
- Sospende le azioni esecutive: il tribunale può disporre la sospensione di pignoramenti, aste, ecc., non appena apre la procedura. Quindi il debitore è protetto mentre il piano viene esaminato. Privatamente, finché non c’è accordo firmato, la banca può proseguire con ingiunzioni e pignoramenti.
- Riduce anche i debiti pubblici e altri in un unico contesto: nel piano si includono banche, finanziarie, fisco, ecc., e il giudice assicura una soluzione organica. Con accordi separati, bisognerebbe negoziare con ognuno e magari qualcuno (es. Agenzia Entrate) non accetterebbe riduzioni fuori dalle sanatorie di legge.
- Esdebitazione garantita: una volta eseguiti i pagamenti previsti dal piano, il debitore ottiene la cancellazione di tutti i debiti residui pregressi. In un accordo privato, se ci si dimentica di un creditore o qualcuno non ha aderito, quel debitore può ancora esigere il suo credito. Il piano del consumatore risolve tutto insieme, dando pace definitiva (salvo poche eccezioni come alimenti).
- Controllo di un OCC e del Giudice: c’è la supervisione di un Organismo di Composizione e del tribunale, che garantiscono trasparenza e correttezza. Il debitore viene assistito nel predisporre il piano e il giudice verifica che non sia ingannevole verso i creditori. Questo dà al piano una credibilità che un’offerta privata magari non ha (il creditore potrebbe non fidarsi delle dichiarazioni del debitore, mentre col piano c’è una relazione attestata dall’OCC).
- Possibilità di ridurre anche crediti privilegiati con consenso: in sede privata, convincere una banca ipotecaria a tagliare il capitale è quasi impossibile. Nel piano, se c’è il loro consenso (o se comunque dimostri che gli paghi almeno quanto ricaverebbero da esecuzione) puoi gestire anche il loro credito in modo più flessibile.
- Soddisfacimento parziale senza immediato esborso integrale: Nel piano si può pagare in rate per diversi anni in base al reddito. In un accordo stragiudiziale, spesso la banca vuole un pagamento lump sum (tutto e subito o in poche tranche). Il piano consente di fare offerte di pagamento anche su 4-5-10 anni, sotto controllo OCC. Questo è un vantaggio enorme se il debitore non ha un grande capitale subito ma solo redditi futuri.
In sintesi, il piano del consumatore dà un potere contrattuale al debitore che da solo non avrebbe. Di contro, è più lungo e complesso (bisogna coinvolgere avvocati, OCC, giudice, e bisogna essere onesti e meritevoli – niente frodi – altrimenti il giudice non omologa). Ma se approvato, risolve la situazione anche contro la volontà di eventuali banche contrarie, il che è un vantaggio fondamentale.
Domanda: Ho fatto da garante (fideiussore) per un prestito e ora il debitore principale è insolvente. Posso essere costretto a pagare tutto il debito? Ho qualche difesa?
Risposta: Sì, se hai firmato una fideiussione valida, la banca può richiederti di pagare l’intero importo garantito (più interessi e spese) al posto del debitore principale, dato che la fideiussione è un’obbligazione solidale. Di solito il contratto di fideiussione prevede espressamente la rinuncia al beneficio di escussione, quindi la banca non deve nemmeno escutere prima il debitore principale: può venire direttamente dal garante. Quindi, in linea di principio, potresti essere costretto a pagare tutto il debito se il debitore non paga.
Tuttavia, ci sono possibili difese e azioni da valutare:
- Verifica clausole antitrust ABI: Come detto, molte fideiussioni bancarie standard contengono clausole nulle perché conformi allo schema ABI vietato (clausole di reviviscenza, 1957 c.c., ecc.). Se il tuo contratto le contiene, puoi eccepire la nullità parziale. Ad esempio, se cade la clausola di rinuncia all’art.1957 c.c., potresti sostenere che la banca ha perso il diritto contro di te se non ti ha chiesto il pagamento tempestivamente. Oppure se il debitore ha un concordato, la nullità di reviviscenza impedisce che la banca venga da te per la parte stralciata. Queste argomentazioni devono essere fatte valere in giudizio: è probabile che finirai in causa (opposizione a decreto ingiuntivo, o simili).
- Limiti importo garantito e forma: Controlla se la fideiussione ha un massimale (importo massimo). Se la banca chiede oltre quel massimale, non è dovuto. Oppure se ad esempio la garanzia era solo su uno specifico finanziamento e la banca ha esteso l’obbligo ad altro, potresti contestarlo.
- Eventuali vizi formali: La fideiussione deve essere firmata e consegnata consapevolmente. Se c’è stato dolo o violenza per farti firmare, o se la banca ha fornito informazioni false che ti hanno indotto in errore essenziale, ci sarebbero estremi di annullamento (ipotesi non comuni, ma da considerare).
- Regresso verso il debitore principale: Se paghi, hai diritto di rivalerti sul debitore principale per quanto pagato (diritto di regresso). Questo non ti evita di pagare ora, ma sappi che legalmente poi potrai agire contro di lui (anche se se è insolvente rischi di non recuperare nulla).
- Soluzioni negoziali/trattative: Anche per il garante c’è la via della trattativa: potresti proporti di pagare una parte a saldo e stralcio come nel caso del debitore. La banca in effetti, se vede che il debitore principale è in default e tu garante magari sei l’unica fonte di recupero, potrebbe accettare di chiudere con te per un importo ridotto (specie se tu stesso hai patrimoni limitati e minacci magari un tuo sovraindebitamento). Quindi puoi provare a negoziare, meglio se insieme al debitore principale, un accordo tripartito in cui paghi una percentuale e vi liberate entrambi.
- Sovraindebitamento del garante: Se anche tu, come garante, finisci in una situazione di sovraindebitamento a causa di questa escussione, hai diritto a utilizzare le stesse procedure (piano del consumatore, ecc.) per non restare soffocato. Potresti addirittura presentare un piano del consumatore congiunto col debitore se siete familiari conviventi, oppure uno separato per il tuo debito derivato di regresso.
In definitiva, sì il garante può essere chiamato a pagare tutto, ma hai alcuni strumenti legali di difesa. In primis, far scrivere da un avvocato una lettera alla banca evidenziando eventuali clausole nulle e invitandola a rivedere la pretesa (spesso le banche conoscono il problema ABI e potrebbero transare). Non ignorare le comunicazioni: se ricevi un decreto ingiuntivo, fai immediatamente opposizione entro 40 giorni tramite avvocato, altrimenti diventa definitivo. Nell’opposizione farai valere tutte le eccezioni del caso (antitrust, decadenza, ecc.). Insomma, come garante hai meno leve del debitore principale (perché hai promesso di pagare in sua vece), ma la legge ti offre comunque qualche scudo se il contratto di garanzia era scorretto o se la banca non ha agito diligentemente.
Domanda: L’esdebitazione finale cosa comporta? Ci sono debiti che “sopravvivono”?
Risposta: L’esdebitazione è il provvedimento con cui il giudice dichiara il debitore liberato dai debiti residui non pagati nella procedura concorsuale o di sovraindebitamento. In pratica, è la “lettera di cancellazione” dei debiti. Una volta ottenuta l’esdebitazione, i creditori interessati non possono più agire per quei crediti, il debitore ne è definitivamente prosciolto.
Tuttavia, alcuni debiti per loro natura non sono toccati dall’esdebitazione (vengono esclusi dall’ambito sin dall’inizio). Ad esempio, in sovraindebitamento e fallimento, restano comunque dovuti:
- Gli obblighi di mantenimento e alimenti verso coniuge e figli (questi non li estingue nessuno, vanno sempre adempiuti).
- Le multe penali e amministrative per sanzione (ad esempio ammende penali, sanzioni per violazioni del codice della strada? Queste ultime però rientrano, quindi la distinzione è: le multe per reati e le sanzioni amministrative inflitte per punire un illecito potrebbero rimanere? La legge su sovraindebitamento non lo dice espressamente, ma in fallimento sono escluse le multe e ammende penali dall’esdebitazione).
- I debiti da responsabilità civile per fatti illeciti dolosi del debitore (nel Codice della crisi c’è una previsione simile a quella fallimentare: se hai debiti derivati da risarcimenti per tuoi reati dolosi, quelli non vengono esdebitati per ragioni di ordine pubblico). Ad esempio, Tizio condannato a risarcire 1 milione per frode non potrà liberarsene con l’esdebitazione.
- In alcune interpretazioni, i debiti fiscali per cui sia stata accertata un’evasione fraudolenta potrebbero non essere perdonati (questo perché l’esdebitazione non deve premiare i comportamenti gravemente colpevoli – però qui entriamo nell’analisi fine, diciamo che generalmente i debiti fiscali sono esdebitabili se inclusi nella procedura).
A parte queste categorie, tutti gli altri debiti* che erano oggetto della procedura vengono cancellati dall’esdebitazione. Quindi: i debiti bancari, finanziari, commerciali, tributari “normali”, contributivi, verso fornitori, ecc. vengono definitivamente eliminati per la parte non pagata. Ad esempio, se in un piano del consumatore hai pagato il 30% a tutti, con l’esdebitazione il restante 70% sparisce. I creditori ricevono un provvedimento del giudice e devono mandare a perdita il credito residuo.
In concreto, l’esdebitazione riporta il debitore ad una situazione di solvibilità: potrà riprendere ad avere rapporti economici senza quell’ombra di debiti passati. È come una “fresh start”. In passato (legge fallimentare) l’esdebitazione era discrezionale e andava chiesta; oggi, specie per i consumatori, è spesso automatica al termine (nel Codice della crisi c’è scritto che nella liquidazione controllata il giudice dichiara l’esdebitazione contestualmente alla chiusura se non ci sono opposizioni e se il debitore è meritevole).
Un dettaglio: l’esdebitazione non cancella le eventuali garanzie reali sui beni non venduti. Cioè, se un creditore ipotecario non è soddisfatto, l’ipoteca resta. Ma di solito nella procedura i beni vengono liquidati oppure, se il bene rimane al debitore, vuol dire che il creditore ipotecario è stato soddisfatto. Comunque, post esdebitazione, un creditore chirografario non può più rifarsi su nulla; un creditore privilegiato insoddisfatto potrebbe teoricamente far valere la garanzia residua se il bene non è stato toccato in procedura – però qui entriamo in casi limite.
In sintesi: l’esdebitazione ti solleva da tutti i debiti precedenti (eccetto quelli esclusi per legge). È il goal finale delle procedure di insolvenza personale e ti permette di ricominciare senza zavorre. Naturalmente, se hai fatto il furbo (frode, dolo, ecc.), potresti essere dichiarato indegno e negarti l’esdebitazione. Ma con condotta corretta, la ottieni e i creditori non possono più perseguitarti.
Domanda: Ho un debito con una finanziaria per carta di credito revolving con tassi altissimi. Posso contestare l’usura e non pagare gli interessi?
Risposta: Sì, è possibile contestare l’usurarietà dei tassi su una carta revolving. Bisogna confrontare il TAEG (tasso annuo effettivo globale, comprensivo di interessi e commissioni) applicato dalla finanziaria con il tasso soglia antiusura vigente all’epoca. Le carte revolving spesso hanno tassi molto elevati (talora 20-25% annuo). Se il TAEG supera la soglia (che varia trimestralmente per categoria di credito al consumo, ma tipicamente soglia intorno a 16-18% per carte negli ultimi anni), allora gli interessi pattuiti sono usurari ab origine. In base all’art. 1815 c.c., comma 2, in caso di usura “non sono dovuti interessi”. Ciò significa che potresti dover restituire solo il capitale utilizzato e nessun interesse, neppure quello legale.
Per far valere ciò, di solito devi agire legalmente: o in via di opposizione se la finanziaria ti fa decreto ingiuntivo, o proattivamente con una causa di accertamento chiedendo la restituzione degli interessi pagati in eccedenza. È utile farsi fare una perizia da un consulente tecnico che certifichi il TAEG e la soglia antiusura superata.
Da notare: le finanziarie spesso applicano anche polizze, commissioni, ecc. Tutto concorre a formare il TAEG. Se superano la soglia, puoi appellarti alla legge 108/96. Alcune difese delle finanziarie sono state: dire che la soglia va calcolata diversamente per interessi moratori (ci sono orientamenti su come sommare moratori e corrispettivi). Ma in prestiti revolving, di solito è il tasso base ad essere altissimo e quindi usurario di per sé.
Se riesci a dimostrare l’usura, il giudice dichiarerà che tutti gli interessi non vanno corrisposti. Quindi il tuo debito si ridurrà notevolmente: solo il capitale prestato (sottraendo quanto hai già rimborsato, prioritariamente imputato a capitale). A volte risulta che hai già pagato più del capitale: allora puoi chiedere la restituzione dell’eccedenza come indebito.
Quindi, in pratica, sì: puoi non pagare gli interessi usurari. Ma è prudente farlo attraverso una pronuncia giudiziale, perché se semplicemente smetti di pagarli unilateralmente, la finanziaria può segnalarti come insolvente. Meglio portare la questione in tribunale e ottenere una sentenza/ordinanza favorevole. Un’alternativa, in via stragiudiziale, è mettere la finanziaria a conoscenza (magari tramite un avvocato) della potenziale usurarietà: talvolta, pur di evitare causa, accettano di ridurre il debito (ad esempio togliendo interessi futuri, offrendoti un saldo equo).
Riassumendo: le carte revolving con tassi astronomici sono un terreno dove la legge antiusura può essere applicata per annullare gli interessi. È consigliabile far fare i calcoli a un esperto e intraprendere le vie legali appropriate.
Domanda: Quanto tempo ci vuole e quanto costa seguire una procedura di sovraindebitamento (piano del consumatore o liquidazione)?
Risposta: I tempi e i costi possono variare a seconda del tribunale e della complessità, ma in generale:
- Tempi: La riforma del Codice della crisi ha cercato di snellire queste procedure. Un piano del consumatore tipicamente può richiedere da 6 mesi a 1 anno dall’istanza all’omologazione, se non ci sono intoppi (udienza di omologa di solito entro 90-120 giorni dal deposito, e se i creditori fanno opposizione magari qualche mese in più per decidere). La liquidazione controllata dura più a lungo perché bisogna vendere i beni: per legge ora non può eccedere 3 anni nella fase di realizzo, cui si aggiunge qualche mese per l’esdebitazione automatica. Spesso le liquidazioni di persone fisiche si chiudono in 2-3 anni. Il concordato minore (accordo) ha tempi simili al piano, perché c’è il voto dei creditori ecc.: direi 9-12 mesi tipicamente.
Va detto che l’esdebitazione dell’incapiente (quella per chi non ha nulla) può essere più rapida, perché se accolta, il giudice può dichiarare esdebitato anche subito (il Codice della crisi ha introdotto questa possibilità, ma bisogna vedere come viene applicata).
- Costi: Ci sono principalmente due voci: le spese dell’OCC/gestore e le spese legali dell’avvocato che ti assiste. L’OCC spesso applica tariffe determinate dal Ministero, spesso proporzionali al debito e patrimonio. Per piccoli debiti, alcuni OCC chiedono poche centinaia di euro; per situazioni più complesse e con beni da gestire, possono voler qualche migliaio di euro. Ad esempio, un caso di piano del consumatore con debiti medi (50-100k) potrebbe vedere un compenso OCC di ~€1.000-2.000. In liquidazione, il liquidatore (che spesso è l’OCC stesso) trattiene un compenso percentuale sulle vendite (solitamente 5-10% sul ricavato, decrescente a scaglioni). Comunque i compensi OCC sono vigilati dal giudice.
L’avvocato chiederà un compenso per la consulenza e redazione del piano/ricorso. Alcuni applicano tariffe forfettarie, altri a ora. Potrebbe essere nell’ordine di qualche migliaio di euro (diciamo tra €2.000 e €5.000, ma c’è molta variabilità geografica e di complessità). Spesso però, data la difficoltà del debitore, i pagamenti sono dilazionati o parte delle spese vengono incluse nel piano stesso (pagate durante l’esecuzione del piano come prededucibili).
Ci sono poi piccoli costi: marche da bollo, contributo unificato ridotto (per sovraindebitamento mi pare sia di €98 di contributo unificato dal 2017), notifiche, ecc.
In alcuni casi il debitore può accedere al patrocinio a spese dello Stato (gratuito patrocinio) se il suo reddito è basso e la procedura lo consente – ma c’è dibattito se queste procedure lo prevedono, comunque alcuni tribunali l’hanno ammesso per compensare il legale.
In sintesi: un piano del consumatore potrebbe costarti tra 2.000 e 5.000 euro complessivi di spese professionali, distribuiti in vari mesi, e concludersi in meno di un anno. Una liquidazione dura 2-3 anni e i costi del liquidatore si pagano con la liquidazione stessa (quindi li paghi “in natura” vendendo i beni).
Può sembrare un costo significativo, ma va comparato ai benefici: se ti cancella decine o centinaia di migliaia di euro di debiti, ne vale la pena. Inoltre, i costi dell’OCC e del liquidatore sono prededucibili: ciò significa che vengono soddisfatti con priorità sui proventi, quindi li “pagano” un po’ anche i creditori in termini di minore attivo distribuito.
Ogni OCC prima di accettare l’incarico ti farà un prospetto dei costi. È bene chiedere preventivi a più OCC (ce n’è uno presso ogni tribunale di solito, a volte più di uno sul territorio).
Ricorda anche che le procedure familiari consentono di condividere i costi: se più familiari presentano un unico piano, c’è un risparmio di scala.
Domanda: Dopo aver ottenuto un saldo e stralcio o un’esdebitazione, posso essere di nuovo affidabile per chiedere prestiti?
Risposta: Dipende dal tipo di soluzione e dal tempo trascorso. Se hai chiuso un debito con saldo e stralcio, la centrale rischi privata (CRIF) e quella pubblica di Bankitalia manterranno traccia che quel debito è stato “chiuso per accordo a saldo”. Questa informazione in CRIF rimane tipicamente per 36 mesi dalla data di aggiornamento finale. In Centrale Rischi Bankitalia, se era classificato “a sofferenza”, rimane visibile per 36 mesi dalla cessazione. Le banche vedendo quello sapranno che in passato hai parzialmente onorato un debito. Ciò può rendere più difficile ottenere nuovi finanziamenti nel breve periodo, perché vieni considerato un cliente a rischio (hai generato una perdita a un creditore precedente). Tuttavia, passati alcuni anni (di solito 2-3 anni come detto per la cancellazione dalle banche dati) e se nel frattempo hai una condotta finanziaria regolare, la tua affidabilità creditizia migliora. Diciamo che dopo 3 anni da un saldo e stralcio, la segnalazione sparisce e potresti tornare “pulito” nelle banche dati, anche se internamente molte banche chiedono comunque se uno ha avuto sofferenze.
Nel caso di esdebitazione giudiziale (post sovraindebitamento o fallimento), se c’era una sofferenza segnalata, verrà aggiornata a “chiusa senza pieno rimborso”. Anche qui, la storia creditizia rimarrà macchiata per un po’. Inoltre, per legge, chi ottiene esdebitazione ex fallimento non può chiederne un’altra prima di 5 anni, segno che si deve stare tranquilli per un po’.
In generale, è realistico che nel breve termine nessuno vi conceda prestiti rilevanti se siete appena usciti da uno stralcio/esdebitazione. Il sistema considera che avete comunque mostrato difficoltà gravi. Nel medio termine (qualche anno), con redditi dimostrabili e l’assenza di ulteriori eventi negativi, potreste tornare affidabili. Inoltre, esistono finanziamenti dedicati (ad es. cessione del quinto dello stipendio) che vengono concessi anche a chi ha avuto disavventure, perché garantiti dal TFR.
Molti chiedono: “mi mutano come cattivo pagatore per sempre?” – No, le segnalazioni negative hanno una durata limitata per legge (in CRIF massimo 36 mesi dall’ultimo aggiornamento negativo, in Centrale Rischi Bankitalia i dati storici oltre 36 mesi non sono visibili). Quindi, superato quell’arco, formalmente per il sistema sei “riabilitato”. Ci sono casi di persone esdebitate che poi dopo qualche anno riescono a ottenere nuovi mutui, specialmente se nel frattempo hanno un quadro economico migliorato.
Quindi, l’affidabilità creditizia può essere riconquistata col tempo. Un punto a favore: aver risolto i vecchi debiti (anche se in parte) è comunque meglio che lasciarli insoluti. Un creditore futuro può considerare: questo debitore ha affrontato i suoi problemi e ora è senza pendenze, il che è meglio di questo debitore ha ancora in corso esecuzioni e pignoramenti. Infine, potresti considerare di far annotare la tua esdebitazione su registri (ad esempio, in caso di fallimento c’è la riabilitazione fallimentare formale dopo un certo tempo, ma col nuovo codice l’esdebitazione è di fatto la riabilitazione).
In sintesi: nell’immediato post-stralcio, no, sarà difficile ottenere credito. Dopo qualche anno e con buone credenziali reddituali, sì, si può tornare nel mercato del credito, specie per operazioni normali (mutui prima casa, finanziamenti finalizzati, ecc.), anche se gli istituti magari vorranno qualche garanzia in più o un coobbligato. L’importante è usare questa “ripartenza” per non ricadere in eccessi di debito – un creditore, se vede che uno è passato da un’esdebitazione e poi chiede subito altro credito ingente, sarà molto cauto.
Nota finale: Ottenere la riduzione del debito con le banche è un percorso complesso che intreccia negoziazione e diritto. Ogni situazione ha sfumature diverse, ma con le informazioni normative corrette e l’assistenza di professionisti esperti, anche le posizioni debitorie più critiche possono trovare soluzione. L’importante è agire per tempo, utilizzare tutti gli strumenti disponibili (dalla trattativa bonaria fino alle aule giudiziarie) e perseguire l’obiettivo della sostenibilità finanziaria e della seconda chance economica, che l’ordinamento – soprattutto con le riforme più recenti – riconosce e tutela per i debitori onesti ma sfortunati.
Fonti e riferimenti normativi
- Legge 3/2012 (“legge anti-suicidi”) – Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento, G.U. 30/01/2012 n.24. (Abrogata e confluita nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza dal 15/07/2022).
- D.Lgs. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato dal D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 83/2023. Articoli citati: artt. 65-91 (sovraindebitamento: piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata); artt. 57-64 (accordi di ristrutturazione); art. 56 (piani attestati di risanamento); art. 268 e ss. (esdebitazione del sovraindebitato); art. 270 (esdebitazione “incapiente”); art. 48 (composizione negoziata).
- Direttiva UE 2019/1023 – Direttiva in materia di ristrutturazione preventiva e seconda opportunità (ha ispirato le riforme italiane sugli accordi e sovraindebitamento).
- Codice Civile: art. 1283 c.c. (anatocismo, divieto salvo usi e patti in certi limiti); art. 1815 c.c. co.2 (interessi usurari nulli, nessun interesse dovuto); art. 1957 c.c. (decadenza del fideiussore se creditore non agisce entro 6 mesi dalla scadenza); art. 2744 c.c. (divieto di patto commissorio); artt. 167-170 c.c. (fondo patrimoniale, opponibilità ai creditori); art. 2901 c.c. (azione revocatoria ordinaria); art. 2929-bis c.c. (aggredibilità immediata di beni donati o vincolati in frode); art. 1965 c.c. (contratto di transazione, pertinente al saldo e stralcio).
- Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/93): art. 120 TUB (regole sulla produzione degli interessi nelle operazioni bancarie); art. 117 TUB (forma e contenuto dei contratti bancari, nullità condizioni non trasparenti); art. 125-bis TUB (credito ai consumatori, TAEG); art. 128-quater TUB (Arbitro Bancario Finanziario).
- Legge sull’usura n. 108/1996: definizione di tassi soglia, aggravante penale usura.
- Legge n. 145/2018 (Legge Bilancio 2019) art. 1 commi 184-199 – Saldo e stralcio cartelle per contribuenti in difficoltà (stralcio debiti fiscali con ISEE < €20.000).
- Ordinanza Cass. Civ. Sez. I n. 21344/2024 (30/07/2024) – Divieto di anatocismo bancario dal 2014 anche senza delibera CICR. Conferma che la modifica dell’art. 120 TUB del 2013 ha vietato ogni capitalizzazione infrannuale degli interessi debitori; le clausole che la prevedevano sono nulle.
- Cass. Sez. Unite Civ. n. 15130/2024 (29/05/2024) – Ammortamento “alla francese”: non produce anatocismo vietato e non richiede specifica indicazione in contratto del regime composto. Principio di diritto: la mancata indicazione del piano di ammortamento non rende nullo il mutuo, e il metodo francese non viola l’art. 1283 c.c..
- Cass. Sez. Unite Civ. n. 41994/2021 (30/12/2021) – Fideiussioni bancarie ABI: nullità parziale per violazione antitrust delle clausole conformi allo schema ABI 2003 (clausole nn. 2, 6, 8). Estensione del principio anche alle fideiussioni specifiche (Cass. Sez. III n. 27243/2024).
- Cass. Civ. Sez. I n. 28215/2024 (04/11/2024) – Anatocismo: la semplice comunicazione in Gazzetta Ufficiale delle nuove condizioni non basta, serve il consenso del cliente per validare la capitalizzazione (conferma orientamento su delibera CICR 2000).
- Cass. Civ. Sez. I n. 350/2013 – Interessi moratori e usura: anche i moratori vanno considerati ai fini dell’usura; se la somma di corrispettivo e mora supera soglia, la clausola di mora è nulla (orientamento poi confermato da successive).
- Cass. Civ. Sez. III n. 23192/2017 – Inopponibilità del fondo patrimoniale: onere per il debitore di provare che il creditore conosceva l’estraneità ai bisogni familiari. Orientamento confermato in Cass. 32146/2024.
- Cass. Civ. Sez. III n. 26286/2019 – Nullità fideiussioni ABI: ribadisce estensione nullità anche senza espresso riferimento a omnibus, se schema anticoncorrenziale.
- Cass. Civ. Sez. III n. 13846/2022 – Limiti applicativi nullità fideiussione ABI: serve prova dell’intesa, non automatico per ogni fideiussione.
- Cass. Civ. Sez. I n. 605/2020 – Anatocismo: periodi post 2014, chiarimenti su validità clausole se delibera CICR 2016 non accettata dal cliente.
- Cass. Civ. Sez. III n. 30814/2023 (06/11/2023) – Requisiti accordo sovraindebitamento: meritevolezza e convenienza, ruolo giudice.
- Corte di Cassazione – Massimario: Relazioni e massime in materia di sovraindebitamento (vari anni), anatocismo (aggiornamenti 2024), fideiussioni omnibus (rel. 04/2018 SU).
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Conclusione
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